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Terenzio

I DATI BIOGRAFICI E LA PRODUZIONE COMICA


Notizie biografiche
Le notizie biografiche di Publio Terenzio Afro si ricavano da Svetonio che, nel De poetis, racconta
le vicende salienti della sua vita.
Altre notizie, poi, si desumono dai prologhi delle sue stesse commedie.
La sua vita si inserisce nel periodo di tempo compreso tra la fine della II guerra punica (201 a.C.)
e l'inizio della III (149 a.C.) e si lega strettamente con la vicenda politica e culturale romana di
quegli anni.
Terenzio nacque tra il 195 a.C e il 183 a.C. a Cartagine.
Giunse a Roma come schiavo del senatore Terenzio Lucano, dal quale fu affrancato ob ingenium
et formam ("per ingegno e bellezza"); divenne intimo di Scipione Emiliano e di Gaio Lelio,
entrando quindi a far parte del Circolo degli Scipioni.
Notizie biografiche
Questa sua posizione di prestigio suscitò però l’invidia dei suoi contemporanei, soprattutto degli
altri letterati. Su di lui sorsero così calunnie e pettegolezzi: lo si accusava di plagio e di essere
addirittura un prestanome dei suoi importanti protettori, i veri effettivi autori delle sue
commedie (era, infatti, considerato disdicevole per un civis Romanus impegnato politicamente,
dedicare il proprio tempo alla composizione di commedie.
Amareggiato dal complessivo insuccesso della sua produzione, ma soprattutto per studiare in
loco istituzioni e costumi greci da ritrarre nelle sue opere, Terenzio lasciò Roma nel 160 a.C. e
volle fare un viaggio in Grecia e in Asia Minore, da cui però non fece più ritorno.
Morì qualche anno più tardi, o a causa di una malattia, o a causa di un naufragio, oppure per il
dolore procuratogli dalla perdita dei bagagli che contenevano molte commedie che aveva
tradotto da originali menandrei reperiti in Grecia.
La produzione comica
Di Terenzio ci sono pervenute, integralmente, sei commedie, composte e rappresentate a Roma.
Le commedie di Terenzio sono tutte palliatae, cioè drammi di ambientazione greca; il modello
preferito è l’ateniese Menandro, dal quale sono ricavate quattro trame su sei; le altre due
risalgono ad Apollodoro di Caristo, un minore che a sua volta si ispirava alla lezione menandrea.
A Roma la palliata significa essenzialmente Plauto, il geniale commediografo che domina le
scene fra III e II secolo a.C. e i cui copioni continuano ancora per decenni a essere rappresentati
con successo. È un modello ingombrante e inarrivabile, e Terenzio ha la saggezza di non sfidarlo,
ma di cercare strade nuove; anche le difficoltà cui va incontro nel far accettare il proprio teatro
al grande pubblico attestano il suo spiccato sperimentalismo.
La produzione comica
Terenzio esordì nel 166 a.C. con una commedia, l’Andria ("La ragazza dell’isola di Andro").
La trama si incentra intorno al giovane Panfilo innamorato della straniera Glicerio (la “donna di
Andro” del titolo), con la quale ha concepito un figlio; alla fine della commedia la donna si rivela
di nascita libera e l’amore tra i due ragazzi, fortemente avversato dal padre di Panfilo, può
realizzarsi. Nella commedia d’esordio Terenzio sperimenta già il “doppio intrigo”: alla vicenda
principale si intreccia infatti quella dell’amore fra Carino, amico di Panfilo, e Filumena, in un
primo tempo destinata in moglie allo stesso Panfilo.
La produzione comica
Nel 165 Terenzio fece rappresentare una seconda commedia, l’Hecyra ("La suocera"): il pubblico,
dopo le prime scene, abbandonò il teatro, preferendo assistere ad una contemporanea
manifestazione di pugili e funamboli; fu un fiasco clamoroso.
La trama è la seguente: Panfilo ha sposato Filumena, abbandonando per lei l’etera Bacchide; in
sua assenza, la moglie ha però lasciato la casa della suocera (hecyra, in greco); col tempo si
scopre che l’allontanamento è dovuto alla gravidanza ormai avanzata di Filumena, che è rimasta
incinta in seguito alla violenza subita da uno sconosciuto. Al termine della commedia, grazie
all’apporto determinante di Bacchide, l’ignoto violentatore è identificato in Panfilo stesso: il
figlio di Filumena è dunque suo e il matrimonio può riprendere il proprio cammino.
La produzione comica
Nel 163, fece rappresentare l’Heautontimorumenos ("Il punitore di se stesso").
Nella commedia mette nuovamente in scena due figli, il bravo Clinia, innamorato di una ragazza
povera, Antifila, e oggetto per questo dei continui rimproveri del padre Menedemo, e Clitifone,
figlio di Cremete, legato all’esosa cortigiana Bacchide. Dopo una serie di colpi di scena è ancora
l’agnizione a sciogliere la trama: Antifila è in realtà sorella di Clitifone; alla fine entrambi i giovani
si sposeranno.
La produzione comica
Nel 169 furono, invece, rappresentate ben due commedie: l’Eunuchus ("L'eunuco") e il Phormio
("Formione").
L’Eunucus fu il più grande successo di Terenzio, perché è la sua commedia più simile alla comicità
plautina: il soldato Trasone e il giovane Fedria sono entrambi innamorati dell’etera Taide e si
contendono i suoi favori a colpi di doni; quando però Trasone regala alla cortigiana una schiava
(che è in realtà sorella di Taide stessa), di lei si innamora perdutamente Cherea, fratello di
Fedria, che, travestito da eunuco, si introduce in casa dell’etera e si approfitta della ragazza. Alla
fine i due giovani potranno sposarsi, mentre Fedria e Trasone si accordano per dividersi le grazie
di Taide.
La produzione comica
Il Phormio ripropone il collaudato modello dei due amori paralleli. Protagonista è il
parassita Formione, che riesce con vari stratagemmi a combinare l'unione dei due cugini Fedria e
Antifone con le due ragazze di cui sono innamorati, una suonatrice di cetra e una ragazza povera,
che Antifone sposa in assenza del padre. Alla fine si scopre che questa è la cugina di Antifone e,
per quanto riguarda la citarista, il parassita riesce a ottenere il denaro per riscattarla.
La produzione comica
Nel 160, infine, durante i giochi funebri per celebrare la morte di Lucio Emilio Paolo, padre di
Scipione Emiliano, Terenzio fece rappresentare la sua ultima commedia, l’Adelphoe ("I fratelli");
nella stessa occasione tentò una seconda rappresentazione dell’Hecyra, ma anche questa volta il
pubblico abbandonò il teatro, preferendo i gladiatori. Una terza rappresentazione avvenne
durante i Ludi Romani dello stesso anno e, finalmente, durò dall’inizio alla fine: il pubblico rimase
in teatro grazie alla presenza di Ambivio Turpione, attore molto celebre di quel tempo.
Negli Adelphoe Demea e Micione sono i fratelli protagonisti, ma hanno ben poco in comune: il
primo è severo, intransigente, ama la campagna e l’educazione tradizionale; il secondo – che ha
scelto di non sposarsi ma ha adottato uno dei due figli di Demea – è invece indulgente, generoso
e cerca con il figlio un rapporto di confidenza. Per quasi tutta la commedia i fatti sembrano dare
ragione al metodo educativo di Micione, ma in ultimo la situazione si ribalta: Demea ridicolizza il
fratello e riconquista l’affetto di entrambi i figli, che promettono di rimettersi alla sua guida.
La nuova tecnica teatrale
Nella conduzione dell’intreccio e nell’impianto complessivo della commedia Terenzio presenta
novità significative rispetto a Plauto.
La più vistosa è l’abolizione del prologo espositivo, destinato a informare gli spettatori sugli
antefatti e spesso anche sulla conclusione della vicenda messa in scena: in Terenzio il prologo si
trasforma invece in una tribuna dalla quale l’autore parla al suo pubblico, illustra le proprie
scelte di poetica, si difende dall’accusa di plagio o da quella di essere il semplice prestanome dei
suoi potenti protettori.
Si intravede così l’esistenza di un vivace dibattito letterario e di un pubblico interessato a
seguirne lo svolgimento.
Tutto questo ha anche l’effetto di accrescere il coinvolgimento dello spettatore: questi perde la
posizione di superiorità che gli proviene dal conoscere in anticipo i protagonisti e l’esito della
vicenda e partecipa alle scoperte e alle delusioni dei personaggi.
La nuova tecnica teatrale
 Terenzio, inoltre, evita le vistose incongruenze spesso presenti nelle trame plautine; pratica
largamente la contaminatio, cioè l’impiego per una stessa commedia di due copioni greci, ma
cura accortamente le suture fra le diverse trame, in modo che la composizione non sia visibile
allo spettatore.
 La sua lingua è di gran lunga meno brillante e ricca di quella plautina, ma presenta in generale
un tono medio di elegante sobrietà; i giochi di parole si riducono fortemente, le allusioni o i
doppi sensi osceni scompaiono quasi del tutto, le parti cantate (CANTICA) cedono il posto ai
dialoghi (DIVERBIUM).
Ancora rispetto a Plauto, poi, Terenzio mantiene un’ambientazione rigorosamente greca, senza
intrusioni di usi e costumi romani o esotici.
La nuova tecnica teatrale
Anche in Terenzio, inoltre, al centro della vicenda comica, troviamo amori ostacolati che, alla
fine, si realizzano felicemente. I personaggi sono quelli della commedia nuova greca, giovani
innamorati, ragazze oneste ecc.; della commedia nuova, troviamo anche i soliti stereotipi:
equivoci, inganni ecc. Terenzio, però, attenua decisamente i tratti caricaturali dei personaggi e
ne fa delle figure delicate, tenere, sensibili. Protagonista del suo teatro non è più il servus
callidus, ma padri e figli. Egli inoltre non ridicolizza i sentimenti d’amore dei giovani, ma li segue
con partecipazione e simpatia.
Terenzio tende poi, a suo modo, a complicare gli intrecci menandrei, inserendo nella commedia,
accanto alla coppia principale, una seconda coppia. Gli adulescentes spesso sono quindi due e
sono due i senes.
Rispetto a Plauto, Terenzio costruisce i suoi intrecci con coerenza maggiore e con più credibilità,
caratteristiche queste mancanti nell’altro, che puntava sull’efficacia comica della singola scena.
Padri e figli in Terenzio
Il tema che più sta a cuore a Terenzio è però quello dei rapporti padri-figli, rilevante in tutte le
commedie, centrale in Heautontimoroumenos e Adelphoe.
 È un tema chiave della cultura romana, società patriarcale, nella quale l’eccezionale
concentrazione di poteri e prerogative in capo ai padri determina facilmente tensioni o conflitti
tra le generazioni.
È un tema importante nella cultura del II secolo a.C., che vede da un lato Lucio Emilio Paolo,
vincitore della Macedonia nel 168 a.C., impartire per primo ai figli un’educazione fondata
esclusivamente sul ricorso a maestri greci, dall’altro il suo contemporaneo Catone scrivere
personalmente i libri sui quali il figlio deve formarsi e nei quali lo invita viceversa a diffidare dei
Greci, genia corrotta e pronta a inquinare in modo irreversibile il costume romano tradizionale.
Padri e figli in Terenzio
 È ingenuo identificare nei personaggi di Terenzio allusioni precise a questa o quella figura
storica (non va però sottovalutata la circostanza per cui gli Adelphoe andarono in scena proprio
ai funerali di Emilio Paolo); ma certo ponendo al centro dei propri interessi la questione
educativa il commediografo sapeva di toccare un tema sensibile.
Nell’Heautontimoroumenos Menedemo ha educato il figlio secondo la “tradizionale durezza dei
padri”: il risultato è stato che il giovane, pur di non dispiacergli, si è arruolato come mercenario
in Asia; all’inizio della commedia il padre pentito punisce il proprio errore (donde il titolo della
commedia) sottoponendosi spontaneamente ai lavori agricoli.
Negli Adelphoe Micione, il padre indulgente, teorizza apertamente il proprio sistema educativo,
in contrapposizione a quello del fratello: chi educa i figli con durezza ne ottiene un’obbedienza di
facciata; chi ne ricerca la confidenza, ne scusa gli inevitabili errori, li sostiene nella formazione di
un’autonoma coscienza morale, non solo se ne assicura la benevolenza, ma ne promuove anche
una maturazione più adeguata.
Padri e figli in Terenzio
Ma in Terenzio nessun personaggio è totalmente scevro da errori: e nella conclusione degli
Adelphoe proprio il “moderno” Micione viene abbandonato da entrambi i figli di Demea.
La commedia terenziana non è un teatro a tesi e le posizioni del drammaturgo non coincidono
con quelle di questo o quel personaggio: lo spettatore è chiamato a cogliere quanto di
unilaterale e dunque di potenzialmente intollerante si cela in qualsiasi posizione che pretenda di
detenere in esclusiva la verità.
Smascherare le certezze, anche quelle che meglio sembrano reggere alla prova dei fatti: in
fondo, è quello che ogni esperienza teatrale è chiamata a fare.
Il messaggio morale: l'humanitas
Attraverso l'opera di Terenzio il circolo scipionico "divulgava" la propria, rivoluzionaria ideologia:
anche grazie all'incontro-scontro diretto con la civiltà greca, gli intellettuali scipionici
elaborarono e approfondirono un ideale di humanitas, grossa novità nella cultura e nella stessa
mentalità, tradizionali, dei Romani.
Questo ideale fu inteso non soltanto come semplice traduzione del termine greco filantropia
(interesse per l'uomo), ma piuttosto come apertura dell'uomo verso i propri simili, al di là di ogni
barriera sociale, nella coscienza della comune natura umana, seppur nella consapevolezza delle
sue innumerevoli sfaccettature.
È lo stesso messaggio che vuole trasmettere anche Terenzio: aprirsi agli altri, rinunciare
all’egoismo, comprendere i propri limiti ed essere indulgenti nei confronti degli errori altrui:
essere, in una parola, tolleranti e solidali. Chi si apre agli altri vive veramente da uomo fra gli
uomini. E' questo il senso del famoso ed emblematico "homo sum humani nihil a me alienum
puto" ("sono uomo e niente di ciò che è umano considero a me estraneo"), contenuto
nell'Heautontimorumenos.
Il messaggio morale: l’humanitas
I personaggi terenziani sono veramente lontanissimi da quelli pacchiani, spregiudicati, egoisti e
truffaldini di Plauto: i giovani di Terenzio, accanto ad un comportamento spesso scapestrato,
presentano comunque tratti di maggiore consapevolezza e di disponibilità all'accettazione delle
regole sociali; i vecchi non sono libidinosi ed invidiosi, ma tengono sinceramente al bene ed alla
felicità dei figli; i servi non sono scaltri promotori di truffe, oppure quando lo sono, agiscono in
buona fede, per il bene dei giovani ed anziani padroni, con cui dividono guai, tristezze e felicità,
quasi in un nucleo familiare "allargato". Infine, gli stessi milites e le stesse cortigiane non sono
lenoni lussuriosi vanagloriosi e approfittatori, o semplici donne avide di denaro, ma acquistano
uno spessore di comprensione e di buona fede che li rendono uomini e donne come gli altri.
La stessa comicità di Terenzio appare perciò rivoluzionaria, in accordo col suo "messaggio": una
comicità nuova, che non consiste più nella battutaccia o nell'intrigo, ma che invece risiede nel
sorriso compassionevole, sempre venato di riflessione e di meditazione (a tal riguardo, taluni
critici hanno definito, quello del nostro autore, un "teatro pedagogico").

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