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LEDUCAZIONE NELLOMBRA

I.LIZZOLA La fragilit pu essere una risposta alla propria fatica esistenziale, oppure pu essere una sorta di autodifesa che porta a tenersi distanti e a non lasciarsi toccare. La societ non vede questa fragilit, perch non vuole vedere e delega la sofferenza umana a professionisti delleducare e del curare. Leducare richiede di esser disposti a lasciarsi ferire da quanto lessere umano sta soffrendo e da quanta amarezza, disperazione e capacit di autodistruzione lessere umano porta in se. Lazione educativa vuole scommettere sulla forza della nascita e dellinizio nelle persone, anche quando si toccata la vulnerabilit estrema. Affrontare i problemi loccasione dellincontro ma non lincontro vero e proprio bens ci si mette in ascolto della sorpresa della soluzione: questo il cuore della relazione. La relazione con laltro espressione continuamente originaria del pensare a se stessi, del disegnare il rapporto con il tempo e la realt. Persino i conflitti e i litigi che si recitano sono soltanto la maschera di una fragilit mai realmente assunta o condivisa. La fraternit fra sconosciuti il solo vincolo che pu permettere di camminare attraverso un passaggio antropologico, culturale e politico che segnato da una forte presenza della diversit accanto a noi, della fragilit e infine, dalla necessit che, in una consegna reciproca, si disegnino i destini, ovvero il riconoscimento della dignit e della libert responsabile delle donne, degli uomini e delle generazioni. La fraternit tra sconosciuti pu divenire un orientamento pe la definizione di un quadro di diritti e di obbligazioni. La possibilit di vita, pensiero, relazione, incontro sono spesso fragili, sono solo nascenti: e la relazione educativa serve proprio ad assumere la fragilit, questa fragilit. Ritrovarsi nella fragilit vuol dire accettare lincompiutezza e accettare di nascere e morire, e con questo recuperare la bellezza del vivere; arrivare al punto di poter dire che cos bello vivere che si pu anche morire.. Viviamo in un tempo che tende a rimuovere le condizioni e i vincoli per la libert degli individui, a mettere in atto il funzionamento, a rinnegare la fatica, spesso inseguendo uneterna adolescenza irresponsabile ma la natura umana ci mette sempre di fronte alla nostra fragilit. Essere fragili significa essenzialmente capire che si figli, che si nasce da qualcuno, chiamati da unaffettivit. Sono proprio questi, gli affetti, che ci hanno costituito e ci hanno permesso di essere il nostro corpo. Assumere la propria fragilit come proprio limite specifico, fare della propria storia ed esperienza il proprio sguardo, permette di costruire un orizzonte consapevole di capacit. Altrimenti si rimane disperatamente soli, della solitudine dellautosufficienza illusoria dellonnipotente. Luomo onnipotente solo, luomo tale anche perch vive un debito cui non pu e non riesce a corrispondere, tanto che ne fa una sorta di colpa antecedente, originaria. Luomo onnipotente incapace di perdonare. Ricoeur sostiene che la fragilit nella struttura stessa della vita: bisogna trasformare levidenza della fragilit in sentimento della vulnerabilit. Vivere la propria fragilit e assumere la propria capacit quel che fa delluomo un essere vulnerabile. Si pu tradire la fragilit quando si fa proprio uno sguardo che impedisce di cogliere la bellezza della fragilit, di riconoscere la propria e di aprirsi allaltro fragile con fiducia. AUTONOMIA: incapacit di incontrare laltro.

CAPITOLO 1 UNA CURA EDUCATIVA SENZA DIMORA. Simon Weil non possiamo trasformare noi stessi, possiamo soltanto essere trasformati, ma lo possiamo soltanto quando lo vogliamo con tutte le nostre forze. 1.1 - QUANDO IL TEMPO NON PRENDE FORMA IN CITTA. Viviamo in una cultura del merito e della colpa, la quale produce e da forma a una sofferenza urbana istituzionalizzata, cio una sofferenza contenuta in istituzioni definite e visibili o in istituzioni indefinite ma dalle regole rigide e dai confini continuamente riscritti sulla spinta degli interventi di ordine pubblico. Le citt non promettono vicinanze e negano la soggettivit, gli educatori e gli operatori sociali, appunto per questa realt devono spingere i soggetti a provare competenze nuove, di cura di se. Sono i diritti delluomo a generare lindividuo. Occorre diversificare le norme per cogliere la complessit dei bisogni, delle identit e dei legami. La citt mostra molti segnali di uninfelicit che viene addebitata a capri espiatori; nelle nostre citt della globalizzazione linfelicit scompare, in quella visione gli infelici o sono incapaci (quindi colpa loro) o sono sfortunati (e vanno assistiti). In ogni citt vivono tantissime storie dellabbandono che vanno ritessute per coglierne questioni di senso, si perduta la fiducia di base per riuscire a tessere autonomia, mancano capacit esistenziali e relazionali, resistono alcuni elementi di adeguatezza e di competenza ma in un quadro di incapacit e di rinuncia. Sono storie spesso classificate nella diagnosi di disturbo di personalit. La specificit di ogni uomo e ogni donna va riconquistata, per coglierne elementi di personalit e domande profonde, elementi dinamici e punti di aggancio per la relazione. Anche un patto iniziale rappresenta un primo obiettivo per cui lavorare, tenendosi liberi da aspettative troppo elevate; pu bastare creare qualche primo contesto per un contatto con la realt; cos le risorse possedute possono gradualmente essere utilizzate, perch se ne matura la capacit. 1.2 NON POSSIAMO TRASFORMARE NOI STESSI. difficolt esistenziale si pone come categoria volta a indirizzare la ricerca del significato racchiuso in quelle azioni, atteggiamenti, stili di vita con cui ogni singolo individuo traduce quella difficolt. La vita marginale va incontrata come espressione di quel particolare significato da loro attribuito alla propria esistenza, si propone un punto di osservazione che prova a cogliere tutto ci che abbia provocato i primi scivolamenti nella marginalit. Il punto di vista della persone lelemento decisivo per la lettura della condizione della vita in strada. Vulnerabilit - Siamo vulnerabili perch siamo fragili, abbiamo bisogno degli altri, ma sono possibili relazioni di cura reciproca, relazioni che permettano rispetto. Come diceva Primo Levi: la vulnerabilit possibile per tutti, perch tutti noi viviamo una condizione di fragilit.. La vulnerabilit un luogo dombra nel quale decidere di s e giocare la libert. Ogni vulnerabilit circondata da sentimenti ambigui e ambivalenti, da una parte ci pu essere un sentimento compassionevole, cio di condivisione; dallaltra vi un senso di accusa, o verso s stessi o verso gli altri. Il paradigma pedagogico sostiene che la variabile imprescindibile sia la singola persona, si da valore a come un uomo o una donna percepiscono, articolano, arricchiscono e fanno
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proprie le condizioni della loro esistenza. Cos diventa decisivo che ognuno, ogni donna e ogni uomo, offra un contributo significativo alla costruzione del proprio modello di interpretazione del mondo e di azione nel mondo. Si vuole richiamare nelle persone la forza della nascita e dellinizio. Perdita di intenzionalit: le persone non riescono pi a riconoscere la struttura intimamente relazionale della realt, non vivono la possibilit di dare senso e significato

alle cose. Ci si trova di fronte a una sorta di rinuncia alla soggettivit, a dare forma al tempo, a dare racconto di storia alle relazioni e alla propria biografia. In annullamento totale. Quando la vita si smarrisce e manca lo scopo ci si trova in ci che i francesi chiamano dvivre (de-vivere) cio cessare di vivere, pur senza morire. Ci sono anche casi dove si pu parlare di intenzionalit distorta, di eccesso dellIo: la realt diventa una sorta di preda, la realt viene negata , quasi cancellata. Resta limmaginazione di un s solo e quasi onnipotente, nel rifiuto dogni comunicazione con laltro. A questo si giunge attraverso percorsi complessi e sofferti, vivendo microfratture esistenziali e relazionali profonde, che han fatto maturare progressivamente fatalismo esistenziale, profondo scetticismo, abulia. Dalla sfiducia in s stessi matura la non accettazione di s, che pu divenire devastante: dallo sfondo dei giorni scompare ogni significativit della presenza di altri. Lo scarto, la spaccatura tra il s ideale e il s reale pu condurre a una specie di paralisi nel rapporto con la realt. Occorre piuttosto provare lincontro, e la possibilit di evoluzione non autodistruttiva di quelle forme di coscienza di s e del mondo che paiono segnate da svuotamento, da cristallizzazione difensiva, da profonda rinuncia. Linsignificanza sociale dellesperienza della marginalit o della difficolt pu esprimersi per esclusione, in una pratica di esclusione sociale realizzata silenziosamente attraverso un rinforzo dellistituzionalizzazione e con la creazione di una sorta di trattamento sottovuoto, affidato a competenze specialistiche o a luoghi e a istituzioni di contenimento e cura. La relazione educativa caratterizza lincontro, quel particolare incontro che assume le forme di unalleanza nella quale prenda forma un tempo nuovo. Lalleanza educativa, con la sua dimensione di confronto sociale evidente anche quando nella relazione si da una certa tensione e distanza tra chi rivolge la sua attenzione educativa e chi incontrato. Il loro riconoscimento allontana, ma pu anche creare la tensione utile a guardare nel tempo di ciascuno degli attori, alle proprie condizioni in modo diverso. La relazione con laltro espressione del pensare a s, del disegnare il rapporto con il tempo e la realt, proprio per questo detta educativa. Ma quando la relazione con il tempo fortemente compromessa, al punto che i momenti vissuti paiono disegnati quasi solo da coazione o da reattivit aggressiva, oppure dalla chiusura in mondi interiori. proprio qui che emergono quelle dimensioni che una parte della pedagogia considera marginali: il lasciare tempo (labitabilit dei giorni mostra qualche fessura di ripresa dopo il disastro che ha colpito ogni luogo abitato da memorie, progetti, relazioni e promesse) e dare tempo ( lincapacit e il timore di distendere la propria vita nel tempo la grande e sofferta quesitone in gioco quando la relazione educativa quasi impossibile). LA SFIDA= lavorare insieme sullesperienza del tempo. 1.3. LABBANDONO E LA PROMESSA DI UNA VITA BUONA Il concetto di qualit di vita (preferibilmente vita buona)assume molte definizioni e declinazioni in termini di benessere da attivare allinterno del sistema dei rapporti di cura tessuto attorno alle persone fragili o ferite. Vengono evidenziati diverse dimensioni di benessere: Benessere corporeo: come il soddisfacimento dei bisogni fisiologici si accompagni a un senso di agio e calma. Benessere securitario: sicurezza e custodia. Benessere ambientale: frutto di buona interazione negli spazi e nelle situazioni. Benessere psicologico: che richiede il riattivarsi di una capacit di auto generazione del soggetto, sostenuta dal sistema di relazioni e di cura. Benessere sociale: creato dalla costruzione di relazioni di appartenenza, di

inclusione, di reciprocit, con e tra soggetti che agiscono nella rete di cura. Benessere etico-spirituale: legato al riconoscimento della coerenza degli scopi, dei valori e dei principi del soggetto. Le relazioni di cui si parla si iscrivono in unetica degli affetti e del fare insieme, potremmo dire che la cura un gesto mimetico e scambievole che genera benessere in chi la riceve, in quanto rianima chi la agisce. Loperatore, leducatore pu provare ad attendere, valorizzare e tessere ogni momento, anche frammentario, di racconto spontaneo perch la persona piano piano si legga in possibilit evolutiva. Il racconto di ogni individuo inizia da quello che lui ritiene lavvenimento pi significativo della sua auto percezione di esistere. Gli avvenimenti si affermano cos, attorno a eventi che svolgono la funzione di elemento catalizzatore. Tra le persone senza dimora questa funzione catalizzatrice svolta da fatti segnati dal dolore e sofferenza, per lo pi legati ad abbandoni e fratture relazionali. Fino a che non si prover di nuovo affetto. Le trame passate soffocano i fili che tendono al futuro, o sono questi fili che non reggono la r i-assunzione dei grovigli del passato, anche nel loro definire un pegno insieme a un terreno da riscattare. Si tratta di una paralisi del tempo, di una lenta morte di tutte le capacit ideative, la deriva verso la cronicit va contrastata rompendo questa quotidianit e riaprendola. Facendolo pi volte, perch, una volta non basta. Lentrare in un nuovo contesto disorientante e se la solitudine la condizione in cui si stati a lungo anche quella in cui ci si lascia andare, nella quale ci si perde. Non raro assistere a un processo di annientamento di s, come risposta al senso di colpa o anche a come uscita dallintollerabilit di una condizione di vita che ora viene letta con pi chiarezza. Inserire evoluzione, dubbio e novit in un sistema cristallizzato, frutto di mancate elaborazioni della sofferenza, vuol dire, almeno in una prima fase, provocare disorientamento, e pu smuovere strati non ancora emersi di sofferenza e incertezza. In questo quadro si pu tessere una costruzione di prospettive, di nuove possibilit personali che aiutino a reggere riproblematizzazioni: si pu operare il consolidamento di pratiche e id relazioni nuove, portatrici di un disegno di senso e di responsabilit. 1.4 LESTRANEITA E IL DRAMAM LASCIARE IL TEMPO Lesperienza della strada, sperimentata dopo altre esperienze di vita a volte viene letta come unesperienza di ulteriore libert. Tale considerazione lontana dalla realt in quanto segna unestraneit, unimpossibile interazione con le proprie esperienze passate, con le possibili esperienze nel presente e con le esperienze di vita di altri. Questo porta a rinchiudersi in una rete di esperienze ossessivamente simili. Tutto ci lascia nella persona profonda solitudine e vuoto. Se lipotesi che il confronto con esperienze diverse promuove riformulazioni, si sostiene che questo pu avvenire in un dramma; il dramma del ricordo e del confronto con le esperienze di s e del mondo precedenti e significative ,
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quelle nelle quali han trovato origine e luogo le fratture, le ferite e il dolore che nella strada ha cercato nascondimento. Linstaurarsi di una relazione educativa incontra subito la barriera rappresentata dalla stretta di un senso di colpa, che si potrebbe definire una colpa senza riscatto; si tratta di una colpa non elaborata che produce il blocco di una qualsiasi progettualit. La frattura stata cos profonda che per reggerla di creato un distacco emotivo da quanto successo. Lo stigma sociale viene vissuto come legittimo, come giusta pena per colpe che meritano la chiusura dogni riconoscimento. Interpretare e vivere in altro modo la realt presente-futura limpegno prioritario per riprendere il rapporto con il passato e riattribuirgli significato.

1.5 INCONTRARE LALTRO NEL SUO MOMENTO importante pensare la condizione di queste persone non solo come incapacit e patologia ma come una ricerca di un equilibrio possibile. Il luogo di accoglienza rompe lappartenenza ma ripropone la questione dei luoghi affettivi e dei legami cui prima, un tempo, si apparteneva. Il rancore o il senso di colpa dilagante sono dimensioni da cogliere, da elaborare, da orientare verso la costruzione e non la distruzione. Per far fronte ai processi di inclusione/esclusione, di riconoscimento/disprezzo della convivenza occorre che un individuo possieda risorse, fiducia, un certo equilibrio. E capacit di legarsi e di gestire la propria vulnerabilit. Su ognuno di queste dimensioni chi si trova per strada fragilissimo. FIDARSI: affidarsi, abbandonarsi e un poco mettersi nelle mani dellaltro e lasciarsi cogliere e conoscere; fidarsi sempre esporsi. Per vedere/conoscere, cogliere/creare, non devo chiedere allaltro di parlare pi forte, ma devo aumentare il mio silenzio. Un silenzio pensante, che sia capace di rivolgere la parola allaltro nascente. CAPITOLO 2- LE VIRTU DELLA COLPA. Lincontro con laltro sempre in qualche misura una ferita.. 2.1 EDUCAZIONE COME PENA E COME RISCATTO Attraverso lavori fatti sono emerse diverse resistenze, prima in assoluto quella allistituzione. La prima resistenza da rompere per unazione educativa in un istituto di detenzione nasce, dalla sostituzione dellastrazione giuridica alla sostanza del reato, alla realt e alla storia della relazione ferita. La pena finisce spesso per sostituire la colpa e crea una ricerca per il riscatto il quale rende possibile raccogliere il peso della colpa e fa maturare la capacit di tenere in s anche la ferita arrecata. Un riscatto che impedisce di essere ridotti e sempre ricondotti alla ferita e alla colpa soltanto. La societ dei giusti costituisce un universo chiuso, con pesanti esclusioni; la cultura nella quale questa societ inserita dissolve la responsabilit e la prossimit nel giudizio di colpevolezza, una societ che dopo il giudizio non sa volgersi vero il volto del condannato e non sa neppure volgersi verso il volto della vittima. una cultura del controllo e affidano alla punizione il compito di educare e la funzione di prevenire condotte devianti. una resistenza da rompere quella della societ del merito e delle colpe, nella nostra cultura porta a un malinteso modo di vivere il rapporto con la colpa. Servono relazioni con donne e uomini che non dimenticano e che insieme rimettono la colpa. Uomini che non fanno finta che nulla sia successo e non collaborano a creare rimozioni ma che curano la possibilit di nuovi inizi, ne costruiscono la possibilit. Unaltra forte resistenza si incontra nella relazione educativa nelle carceri sulla soglia del pentimento al confine di una trasformazione personale. Non semplice restare nellesitazione , nel ripensamento, non semplice rendersi conto di ci che vivono gli altri, le vittime. Per capire che si pu essere vittima. I costi morali, identitari sono alti: trasformare il cos stato in cos ho voluto un passaggio necessario e duro. Bisogna rompere la mimesi, il contagio tra la violenza del delitto e la violenza della punizione. Su questa soglia si registra anche quanto a volte lo stesso pentimento possa minare la fiducia. Di chi si pente non ci si fida e anche chi si pente fatica a fidarsi del suo pentimento, a maturarlo e accettarlo; c bisogno che anche altri ci credano, solo nella relazione si pu provare a reggere e tentare qualche passo. Riportare il senso di colpa nella propria storia personale e nella propria vulnerabilit utilizzare e canalizzare la sua forza e capacit di orientamento; farne premessa per nuovi inizi per impedirne il dilagare e la rimozione.

RESCATAR= tornare a prendere, tirare allo scoperto ci che era imprigionato, guardare nuovamente, attraverso quella perdita e quella frattura che levidenza della vulnerabilit mostra insuperabile: la sofferenza pu essere lo specchio se si trovano tracce e consegne, senza provare a negare o credere di poter abolire il patire. Rescatar vuol dire ripensare la propria storia, se stessi, la propria immagine, le proprie risorse e la loro possibile ridestinazione. RESPONSABILITA= sentita da chi di noi educa e assume cura, chiamando alla relazione e chiedendo allaltro di esporsi, di seguire e di affidarsi. DEBITO= avvertito verso chi d fiducia e si offre, e che insieme ci chiama a giocare di noi quanto portiamo come risorsa e valore, riconoscendolo come, allorigine, ricevuto da altri. COLPA= attivata quando si tocca insieme la propria impotenza e la propria forza attiva. La colpa il riflesso della fatica, del mutismo, dellincapacit o della disperazione di chi ti sta accanto e si pu sentire anche per la richiesta di esposizione, di fiducia, di apertura al nuovo che si rivolge. 2.2 PASSARE NELLOMBRA: LALTRO, LA COLPA, IL DEBITO Simon Weil: non possiamo trasformare noi stessi, possiamo soltanto essere trasformati, ma lo possiamo soltanto quando lo vogliamo con tutte le nostre forze.. Donne e uomini segnati, violati dallesercizio di una forza che si fatta violenza possono volere trasformare se stessi; chi autore di reato pu semplicemente cercare di negare le parti oscure di s nelle quali non si vuole riconoscere, ridimensionare forza e portata, cercando di separarsi da ci che di s non si vuole accettare, che si considera estraneo. Una sorta di amputazione. Per cogliere che si , si pu essere, altro dal s fino a ora manifestato occorrono due condizioni: che si guardi in faccia ci che si gi espresso, che si colga unattesa su di s, unattesa di novit, laltro dentro di s non sar mai sondato e fatto nascere se non sar atteso, evocato e chiamato; ci necessita di tempo , ascolto di s e ascolto di chi attende. Volere trasformare se stessi ricorrendo alla negazione di parti di s pu prendere due diverse strade: 1. Quella della negazione di quel che di s si manifestato nellatto violento 2. Riduzione di s alla maschera assunta nellatto criminale. Procedere su questi cammini vuol dire stare attenti a non sentire laltro per non sentire la colpa. La colpa non cancellata ma una via per andare al fondo di s stessi, il passaggio nellombra e nel vuoto della disperazione solo nostro, come la responsabilit. Nessun perfezionismo pratico potr colmare il fondo scavato dalla colpa, bisogna attraversare questo fondo e bisogna riuscire a restare con lucidit e coraggio per poi andare verso chi pu serbare unattesa su di noi. Il senso di colpa va coltivato va letto e impiegato in attraversamenti, pu sia distruggere che diventare fonte di vita rinnovata. 2.3 COLPA SENZA IMPUTABILITA E OBBLIGAZIONE. I piccoli sono particolarmente esposti alla colpa, anche quando subiscono la violenza dellindifferenza, crescendo il piccolo avr un senso di colpa che si potrebbe chiamare orientativo o regolativo. una sfida educativa il fare in modo che questa insostenibile colpa non diventi un senso di colpa onnipotente, legato a un sottile perfezionismo che pu diventare paralizzante. La capacit di sentire laltro e di sentire la colpa per ogni ferita o offesa alla vita o alla dignit ci che costituisce una donna, un uomo. Il senso di colpa stabilisce unasimmetria: lunicit nella responsabilit non un primato, ma una dedizione, unesposizione; non possiamo sostituirci allaltro, possiamo per sentire in noi il suo dolore o fierezza.. empatia e non sostituzione.

BENEDIZIONE= ci che ti coglie, precedendoti; orienta in profondit il sentire ed nella benedizione che nasciamo e ci ritroviamo. Nella prospettiva della benedizione il tempo non lineare, non va solo dal passato al futuro. Anche nella benedizione ci pu essere resistenza. 2.4 LA COLPEVOLIZZAZIONE E IL PECCATO GIUSTO Il senso di colpa va letto nella trama delle relazioni e delle rappresentazioni sociali e culturali, oltre che nel contesto di formazione delle identit. senso di colpa anteriore: si fa il male per liberarsi da questo senso di colpa, si cerca una colpa reale, per contenere e scaricare una colpa che assume forme amplificate, immaginarie, insostenibili, a volte come effetto di traumi passati. I sensi di colpa che nascono dallevidenza del limite, quelli che generano dallidealismo inconscio, oppure da un bisogno damore non soddisfatto, quelli legati alla vergogna e fallimento; tutto questo e altro si intreccia al senso di colpa come fonte dellatteggiamento morale. La propensione a prendere su di s la colpa dellaltro pu avere la funzione di proteggere la convivenza da quelle colpe, di preservare le relazioni, oppure di non farsi trascinare nella spirale di odio che il contagio del male avvia. Si cerca nellautoaccusa quel che resta di un esercizio di potere, vissuto nellimpotenza. E pu portare a pensare di aver pagato abbastanza per essere ora purificato e perfetto. Anche la psicoanalisi, la psicologia sociale e dinamica si sono occupate della colpa; la psicologia dinamica distingue la colpa come attribuzione, il giudizio di colpa, il sentimento di colpa e il senso di colpa. Questultimo tormentoso e oscuro, spesso non permette di capire se vi sia qualcosa di cui si realmente colpevoli. I meccanismi di colpevolizzazione posso portare alla delega ad altri del potere di punire, di sottoporre a espiazione, di assolvere, creando e legittimando pesanti dipendenze. Alla colpa-sentimento deve sostituirsi la maturazione di responsabilit, il senso di responsabilit a differenza di quello di colpa un senso sereno e costruttivo, non basato sulla paura ma sulla soddisfazione. C una contrapposizione netta tra il senso di colpa (dipendenza, irrazionalit e indegnit) e il senso di responsabilit (autonomia, razionalit e dignit personale). Unazione che non vogliamo accettare come nata da noi, che pensiamo estranea alla nostra personalit, proprio perch non elaborata, rischia di essere ripetuta. Solo se accolta come nostra, come colpa specifica, pu divenire un terreno di lavoro ricompositivo e riconciliativo, orientando la dimensione espiativa in termini di costruzione e di relazione, ci importante specie quando gli effetti delle azioni sono irreparabili. 2.5 PADRI E FIGLI: DIGNITA E INNOCENZA PERDUTA La dignit umana cos trattata in una visione occidentale si esprime ed riconoscibile nella libert, nellautenticit, nellautonomia e nella razionalit dellindividuo. La dignit la nostra comune indegnit, la debolezza e il degrado che sono nelle nostre possibilit e, in momenti e con intensit diverse, nella nostra realt: questo che ci pu fare incontrare in una relazione che riconosce e manifesta e da dignit. La dignit una relazione che va cercata con forza proprio la dove donne e uomini perdono la altezza, proprio nei momenti in cui perdono la forma umana dove sono deturpati dalla miseria o dallo smarrimento esistenziale, queste condizioni sono avvicinate o attraversate da molti, se non da tutti nellarco della vita. Sono lo specchio della nostra vulnerabilit. Diventa portatore di dignit chi incontra lo sconosciuto senza qualit e ne ha cura in nome dellumanit vinta e sfigurata. La dignit umana da vedere e sostenere in, e tra, donne e uomini non perfetti, non puri nei gesti; occorre richiamarla in responsabilit. Un altro

luogo costitutivo della dignit umana nella relazione tra generazioni si trova nel sentire la fraternit e la colpa che la lavora, sentire il legame tra esseri vulnerabili eppure chiamati a una prossimit responsabile. Siamo chiamati a rispondere da dentro la nostra vulnerabilit e possiamo maturare la consapevolezza del fatto che nella nostra vulnerabilit coesistono, insieme, impotenza verso il male e possibilit di ferire laltro, e coesistono volontario e involontario. La colpa e il perdono sono compresenti, maturano luna grazie allaltro, nella simmetria di relazioni in cui ci si affida e si dipende reciprocamente. Lavorano insieme senso di colpa e perdono, nessuno si libera da solo della colpa, una volta incamminati fuori dallinnocenza. Occorre che vegliamo gli uni sugli altri e ci richiamiamo oltre reciprocamente, sostenendo una presa di distanza costosa e impegnativa dal male compiuto. Presa di distanza e ricomposizione che non si risolvono nella condanna, nellapparato della sentenza e nella pena scontata conseguentemente. 2.6 POTER ESSERE ALTRO DA SE Non arrivare al fondo delle cose non conoscere il fondo di s stessi. Non osare guardare a fondo s stessi lasciar morire la propria anima. Occorre essere avvertiti di fronte ai giusti che disprezzano. Alla societ dei giusti che considera estranei i colpevoli. La tentazione del riequilibrio assegna alla pena il compito di esprimere e rendere percepibile la gravit della colpa. Ma evidente che la pena produce altro: produce insoddisfazione nelle vittime, e produce vittimizzazione negli attori di reato. Solo se il colpevole protagonista , e non oggetto passivo, della vicenda sanzionatoria, solo se si apre nel tempo la possibilit di ritrovare s stessi nella forza e per la forza della colpa, si evita quella astrattezza e impersonalit, quella solitudine passiva che cristallizza e svuota le persone autrici di reato e il loro tempo di vita. Non costruiamo fraternit da giusti e giustificati ma da nonne e uomini con il senso di colpa, una fraternit umile e dimessa, il cui codice non sta scritto bens nella comune fragilit che pu portare alla consegna reciproca, allaffidamento e alla cura. CAPITOLO 3 NELLO SGUARDO DELLE VITTIME 3.1- DARE TEMPO NEL SOFFRIRE Il dono del tempo un dono di ospitalit, nel tempo donato si accolgono, si ospitano esperienze ed eventi della vita di donne e di uomini, tutte le esperienze e gli eventi. Perch, ospitati nel tempo che si dato ancora tra gli uni e gli altri, possiamo ritrovarci ognuno straniero e ospite. Ognuno affidato. lestrema povert, la fragilit dellesporsi, la semplicit che permette che ci si dia tempo. Nel tempo dato, nel tempo che si dato, che si da di nuovo, pu, piano, svolgersi lesperienza della ricapitolazione: lesperienza del riprendere tempi e passaggi della vita, prenderne un po distanza e ritessere i fili. Ricapitolazione delicata e mai semplice ma necessaria, per non vivere nella scissione dei tempi giustapposti, per non vivere solo nella dispersione o nella contrapposizione. La ricapitolazione pu avvenire grazie ad atti di fiducia e di cura. La memoria dolorosa, il futuro non luogo di speranza e fiducia; difficile sperare dopo il tradimento, certamente quando si spera si sa e non si sa: si spera ci su cui non si ha potere o controllo. Si spera quando si sente ancora uno sguardo su di s, unattesa, una sollecitudine: allora si apre un orientamento interiore verso il non ancora. La speranza memoria di futuro. Pascal: noi non viviamo mai, ma speriamo di vivere Entrare nel presente dellaltro ferito nella dimensione del donare, dare tempo e guardare a lui come essere per il futuro, ristabilendo un qualche rapporto con

quelloriginario suo essere valore vivente, che passato nella prova del tradimento. Movimento di approssimazione, di prossimit, che cerca di indebolire la paralisi del dolore e richiamare allo stesso movimento: dare-ricevere. La cura si rivela essere essenzialmente dare ancora tempo alla formazione delluomo, pensare la questione del tempo in questa prospettiva sostenere che nellavventura umana il male, il negativo no n originario, non atto primo. Le ferite possono divenire esperienze conoscitive e di approfondimento del sentire a patto che non venga rubato il tempo: come spesso per chi profugo. Il tempo viene rubato in tanti modi, quando si strappati dalle memorie, dalle cose, dai luoghi, dai riti che serbano i racconti che ci hanno accolto, oppure quando si svuotano i giorni dalle dedizioni, dalle cure e dalle consegne verso chi figlio o a noi affidato. Il tempo rubato quando si spezza il filo col passato e col futuro. E il tempo rubato anche quando il presente ridotto ai bisogni e alle necessit, quado laltro solo minaccia o peso fastidioso. I nostri gesti non sono mai soltanto i nostri gesti, ma sono anche dei momenti di inizio. Ci pu essere anche resistenza a questo, chi consumato e finito, chi ormai porta in s la cristallizzazione di un paesaggio interiore chiuso, nel ripiegamento dellestrema resistenza al dolore, non sente, pu non voler sentire. naturale che si crei una resistenza da parte di chi vive un dolore molto forte ed essendo riportato a s stesso e al suo corpo dal dolore non riesce ad accettare che qualcun altro pretenda di essere nel suo posto. Se un tempo la benedizione era sentita come il rifugio stabile e sicuro dellorigine nello sradicamento e che uno la perde; una questione cruciale: se non possibile benedizione nello sradicamento, allora la nostra epoca per moltissime donne e uomini non pu che essere vissuta come maledetta. Laltro diviene solo e anzitutto minaccia, rivale, fonte del disprezzo. Laltro era stato portatore della benedizione. 3.2 SCENDERE NELLE VISCERE La vulnerabilit richiama a una grande sobriet del fare, del conoscere, del sentire. Sobriet nella quale si gioca lumanit delle presenza, dei gesti e dellincontro tra donne e uomini. Sentire laltro: attenzione anzi discesa ai luoghi pi segreti dellessere. A volte lo sguardo sulla vittima sa gi cosa cercare; la scienza, la medicina, il diritto e le scienze umane vorrebbero prendersi carico delle vittime. A volte vorrebbero assumere il male, e volere il bene. Non bisogna pretendere di assumere e vincere il male, di volere il bene; non ci si pu appropriare del bene ne del tutto liberarsi e liberare dal male. Il male lo si pu patire senza lasciargli lultima parola e al bene si pu cercare di non offrire troppa resistenza, di fargli spazio. Curare sempre fare un po male, essere curati mettersi in mani daltri, prossimi ma distanti dalla nostra fragilit, dal nostro bisogno, dal nostro soffrire. Ci si interroga in questi anni attorno al destino del sentire: sono evidenti i segni di unatrofia del sentire, di unincapacit di provare affetti che alimentino legami tra donne e uomini, di un appiattimento del sentimento. Coltivare un sentire attento coltivare la facolt di attenzione, quella che permette di farsi cogliere dai gemiti della vita. Occorre un ritrarsi, un fare spazio, un porsi in rispetto alla realt, agli altri; allora pu nascere un esperienza di conoscenza la quale contemplare, non solo considerare la bassezza di un comportamento ma indignarsi, non solo esprimere apprezzamento per una donna o un uomo, ma amare. Contemplare, indignarsi e amare richiedono di fare spazio, di ospitare, di tenere rispetto, di prendere distanza: di sentire laltro.

3.3 UNO SGUARDO CHE CHIEDE TUTTO Lo sguardo della vittima chiede tutto, ci che le stato tolto la fiducia originaria che nella fragilit e nella vulnerabilit avrebbe potuto contare sulla cura. La vulnerabilit ci espone alla possibilit sempre incombente di una ferita, e attiva il compito morale delle donne e degli uomini, consegnati in cura. Oggi la sfida proprio quella di costruire una convivenza a partire dalla condizione di vulnerabilit, in un gioco di riconoscimento, legame e dipendenza, cui partecipi ognuno. Ma la vittima mostra anche come una donna e un uomo vulnerabili possano essere resi inermi. Linerme in balia del potere degli altri, e ci che rende inerme labbandono, la violenza, la miseria e sofferenza. Togliere lo sguardo dal corpo interrompere la possibilit di un suo farsi presente a me , ma togliere la parola al corpo, negare la richiesta che la sua sola presenza mi rivolge, non coglierne il testamento. Il corpo ci che distingue e rende unici ed ci che comune tra noi. In esso si esposti e ci si espone agli altri. Lo sguardo della vittima disfa non solo il movimento del nostro conoscere ma anche quello della nostra intenzionalit; lo disfa per indirizzarlo verso un agire in ascolto e pensoso, un fare nel debito. Disfa il nostro sguardo lo sguardo della vittima, lo attira a s, lo colpisce e lo indebolisce. Spinge in un tragitto sul quale noi, che non siamo vittime, ma che pure originariamente siamo esposti, dobbiamo liberarci dal nostro sguardo. Simone Weil: siamo accerchiati dalla nostra stessa vita. Il nostro tempo anche il tempo in cui emerge e si diffonde una particolare preoccupazione per le vittime, per gli uomini feriti, per la vita che nasce dallabbandono. E forse questo salver questo tempo dei destini consegnati. 3.4 FRATERNITA COME POSSIBILITA Limpossibile si fatto reale e lingiusto si fatto possibile. La vittimizzazione, la costruzione di categorie di vittime, di un riconoscimento sociale per le vittime, rischia sempre di far scivolare nelloblio e nellomissione il portato di elezione-denuncia che esse ci rivolgono. Non stata evitata la violenza: risponderne assumere una colpa e ristabilire una promessa, per conto dellumanit. Solo noi, adesso e qui di fronte, possiamo assumere responsabilit, noi che portiamo la capacit della violenza e dellindifferenza; a noi il muoverci in affidabile fraternit tra stranieri. Sento responsabilit e spero nella giustizia, in prima persona, mi gioco e mi riconosco nella prossimit a chi ho di fronte, nella sua ferita e nella mano che lha inferta: scegliendo tra noi lalleanza nella ferita. Spesso il possesso dei saperi a occultare, saturare, allontanare le ombre e gli abissi portati dalle donne e dagli uomini feriti nel profondo; e a preservare i soccorritori e i curanti dalle questioni, fratture e dalle interrogazioni fondamentali cui riconducono i volti svuotati delle vittime. La relazione un avvicinanza, non una facile conciliazione senza ulteriorit, continuamente aperta, mentre la distanza realt di un movimento, di un agire, di un soffrire e cercare, non un misurare, ne un definire. La relazione svela la sua sostanza, specie quando appare pi forte la mia disuguaglianza dallaltro. Il rischio per molte vittime, soprattutto bambini, che oltre alla sofferenza delle ferite ci sia la sofferenza complicata di non poter soffrire in modo proprio e originale, in rapporto con lesperienza individuale, ma di essere indotti a soffrire secondo una certa immagine di sofferenza. Il legame tra offesa fatta e offesa subita si radica nel profondo. Rivivere e ritrovare loffesa passaggio importante per vivere dentro di s la rimessa del proprio debito, come per rimettere il debito al debitore. Altrimenti pu finire tutto, coscienza e fiducia, nella zona della colpa: portare loffesa subita, taciuta, poi subita come colpa, impedisce di amare laltro e se stessi.

3.5 LINTELLIGENZA DELLA PIETA Maria Zambrano: la prima cosa nellessere umano non guardare quanto sentirsi guardato Gli occhi delle vittime della violenza e del dolore sono svuotati: non riescono a vedere. La vittima stata schiacciata da uno sguardo: larma di Medusa proprio lo sguardo. C affinit tra orrore e visione: la vittima spesso inguardabile. Sottratti allo sguardo altrui, non esposti, si pu godere di un esercizio del proprio sguardo che scruta e vede senza che laltro sappia e possa sottrarsi; lo sguardo di un potere impudico. Il potere cieco di donne e uomini che si fan ciechi perch vogliono evitare lesposizione, lessere visti, fa vittime tra altre donne e altri uomini. Questi, presi e travolti nella loro debolezza esposta, no vogliono, non riescono pi a vedere. Non vogliono, non riescono pi a sentire. La tentazione di accorciare le distanze subito agendo, reagendo, nasce spesso dal non accettare quella distanza come insuperabile, dal viverla come insopportabile. Si prova cos a ricondurre la relazione con la vittima dentro unintenzionalit riparatrice. Occorre invece lasciare lavorare quella domanda nel tempo dellincontro tra noi e le vittime, cercare di uscirne tropo presto fare apparire laltro, vittima, in uno spazio sociale gestito da qualche potere, viverlo come straniero, come categoria. Occorre fare molta attenzione quando si costruiscono spazi sociali per le vittime. Abitare la distanza dalla vittima, senza farsi estranei, senza porsi dietro il paravento della tecnica di soccorso o della compassione, accettare lambivalenza, la fluttuazione e lincertezza. Fare della vittima un eroe, il protagonista della rivalsa sul male subito, permette di non interrogarci troppo sulla nostra non piena innocenza nei suoi confronti, sulle nostre paure e debolezze. Ci che va ricercato nella vittima non linnocenza, piuttosto la ricostruzione del patto di unaffidabilit gratuita, primitiva e originaria. In questo la preferenza per il povero, la vedova, lorfano oltre la giustizia. Non la sacralit delle vittime ma la loro umanit, la loro dignit di nuovo ricostruibile, un ancora possibile respiro della libert a essere in gioco. Il legame da stabilire di nuovo tra la vittima e il soccorritore il legame dellorigine. 3.6 TORNINO I VOLTI: LESILIO E LINFANZIA Lvinas: il volto dellaltro originalit, via, unicit. la passivit non lanticipazione dellannientamento della persona, ma la scoperta di quanto siamo radicati nella relazione con molte forme di alterit Lavvenire laltro, da un lato perch esposto oltre, del ferito non possiamo appropriaci, dallaltro lato perch allaltro che diamo tempo, che siamo chiamati a dare tempo. Generando, curando, ascoltando, educando si da tempo. Le prove cui siamo chiamati nella cura, quella concreta e organizzata dei sapere sono: la consapevolezza della limitata controllabilit del patrimonio tecnico-scientifico, dei saperi delluomo e elle relazioni; la fatica di mantenere aperto un rapporto con lattesa, il mistero, la mancanza che porta alla perdita dei fini e della cura dellanima, a favore della cura del dominio; la memoria della colpa, della ferita subita e inferta. Volta a volta affrontiamo queste prove, ritrovando origine e densit di valore dellincontro, fuori da generi richiami a universali formali. Solo con lintelligenza della piet ci si pu approssimare agli abbandonati; la piet non solo quel sentimento di dolore causato dalla vista di qualche male; la ragion pratica della piet pu ritrovare un pensiero capace di non lasciare le donne e gli uomini soli e incapaci di trattare con ci che si incontra nel varco dellesistenza, nella ferita e nel risucchio del vuoto. Non questione di sentimento, ma di un movimento del pensare e del sentire verso quella realt e quellincontro; movimento nel quale ci si ritrova visti e giudicati, in cui si nello stesso tempo laltro, gli altri e in relazione a essi. Trattare con la vittima riferirsi a

un rapporto con qualcuno e con qualcosa che non sta sul nostro piano vitale, con una realt misteriosa, un enigma. In tale rapporto non trattiamo laltro bens trattiamo con laltro. A parlare davanti alla vittima, tolta lispirazione della piet, non resta che langoscia dellaltro: nellaltro si trova ci che paralizza gli uomini nella paura. Un sapere che non perda lintelligenza della piet sa operare vicino alla vittima, e al colpevole, come davanti a uno straniero che sopraggiunge. Al tragico dellesistenza umana apparitene il dover aver bisogno dell'altro anche per la propria libert, alla meraviglia apparitene la passione che ci fa capaci di avere a che fare con lo sconosciuto che in ognuno di noi e che al tempo stesso ci circonda e ci avvolte. lo sguardo della piet. Sono i bambini a sentire la festa originaria: cercano non parole concetto ma un linguaggio aurorale, giocano a vivere; la fragilit e la forza delle bambine e bambini con il senso del dono e della bont delle cose. Dobbiamo stare attenti a non fare incombere continuamente sguardi adulti su di loro e a non distrarli continuamente. I bambini si immergono nel sogno, nel gioco, in storie che non possono raccontare perch le stanno vivendo mentre alluomo maturo, cui a volte accadono tante cose, in realt non accade nulla. A questultimo serve di tornare ad ascoltare la meraviglia e il timore dellinfanzia: limmaturit appare la via della saggezza. La felicit chiede anche la capacit di provare dolore e di poterlo manifestare, evitando risentimento e invidia, amore proprio e insoddisfazione, sono infatti lapatia e il rancore a tenere basso lo sguardo. Simone Weil: lo sguardo dellamore impedisce di avvelenare dentro. Lo sguardo dellinfanzia esposta sulla sofferenza si coglie in quellincredibile bellezza di occhi che chiedono verit. C un rinvio profondo tra infanzia, innocenza e sofferenza. La sofferenza come via di scavo, di riduzione allessenziale, a una nuova possibile e ridonata innocenza. In chi soffre a lungo a volte cogli, nelle pause lasciate o conquistate dal soffrire immeritato e, a poco a poco, irriducibile, lemergere della domanda, della parola, del racconto innocente: da bambino. Linnocenza felice precaria e fragile. CAPITOLO 4 LINCONTRO NELLA CURA Ci sono condizioni di vita, o transizioni biografiche, che ben rappresentano un non riuscire a nascere del tutto, un essere appena vivi, essere gi qualcosa, seppure privo di forma. Ritrovare in qualche modo riscattare, lessere debole dellinfanzia pu voler dire, svelare le forme dellesercizio della forza che si fa prepotenza e disprezzo attorno a noi, che si fa dura freddezza e indifferenza; ritrovare la debolezza dellinfanzia prezioso per mantenere la veglia sulla nostra forza. 4.1 LESPERIENZA UMANA DELLA CURA Il patto di cura basato sulla fiducia pi complesso. La fiducia si negozia e si alimenta nella relazione, in pi momenti, non per vie lineari. Tra gli esisti pi delicati e importanti dei programmi della medicina contemporanea c il nuovo peso che la malattia ha assunto nella vita dei singoli e nelle relazioni che tessono a convivenza, a partire dalle relazioni familiari. In questi decenni le modalit della comunicazione e le rappresentazioni dellimmaginario diffuso della malattia sono andate modificandosi velocemente, rivelando la forte tensione tra voglia di rimozione e bisogno di elaborazione che attraversa le persone. Nella malattia emerge oggi un obbligo a un ridisegno delle forme di vita, questo legame nuovo tra persone, famiglie, reti di prossimit e servizio sanitario pu produrre, nella convivenza e nel clima sociale anche una deresponsabilizzazione generalizzata, una forma nuova di

mancato riconoscimento pubblico del dolore e della sofferenza. Lesperienza pu essere narrata secondo tre immagini: 1. IRRUZIONE: si intende reciproca irruzione, indica un movimento, invasione in un mondo ordinato. Durante la reciproca invasione, mentre uno spazio comune non ancora costruito occorre sorvegliare ci che si porta e ci che si chiede allaltro, e prestare attenzione a come va accettata e contenuta quella presenza daltri che ci fa sentire di restare allo scoperto. frequente la difficolt a capire e a farsi capire, sulla soglia fra dentro e fuori, la quale molto presente negli scambi di quipe con le persone in cura. La fatica di entrare e uscire da pi momenti e storie pu essere sostenuta dal sentirsi responsabili insieme. Lquipe necessita di una cura educativa per funzionare correttamente, essa si costruisce attraverso la conoscenza condivisa attorno a problemi sui quali si interviene operativamente. Lequipe deve essere in grado di garantire sempre unadeguata prestazione professionale tesa a guarire il sintomo, a ristabilire al meglio un equilibrio che la malattia ha alterato. La cura medica si esprime nellintreccio tra la dimensione di relazione di accoglienza, di ascolto e quella dellintervento professionale. Se prevale una definizione dellidentit del medico prevalgono la diagnosi, la ricerca, la scelta terapeutica e la tecnica dintervento. Quando si propone attenzione alla cura, anche nel confronto nello scambio e nei dialoghi nellquipe centrale la relazione con il malato e con il suo sistema di vita. 1. FAGLIA: si vive come su una faglia, ci rende i paesaggi fino a quel punto definiti, come sospesi, rivoltati e fortemente incerti, o irrimediabilmente perduti e i progetti futuri spezzati. Su una faglia i paesaggi si distruggono e si rigenerano, la ricostruzione chiede nuove flessibilit e nuova resistenza. Sulla faglia si incontrano due fatiche: la prima quella di medici e operatori che provano a far entrare in una situazione nuova i familiari e le persone pi vicine, con lurgenza e la necessit di farlo in tempi rapidi. La seconda quella dei malati, dei feriti e delle famiglie, che provano a lasciare entrare nella loro frattura le figure, i linguaggi e i messaggi degli operatori sanitari o sociali. Si tratta quindi di entrare in dialogo con la nuova condizione della persona ricoverata, presa in carico dal servizio. La tecnologizzazione e specializzazione chiamano in gioco una mediazione nuova tra medico e paziente, pi fredda, lattenzione alla relazione e alluomo rischia di essere delegata a funzioni specifiche. 1. SOGLIA DI UNATTESA: a ben guardare tutto lapparato tecnologico e organizzativo in un servizio di cura finalizzato a tenere aperto il tempo, verso un venire o un tornare in presenza. Un agire che permette lattesa nel senso che molte volte fronteggia lemergenza, il possibile tracollo delle condizioni del paziente, oppure un agire che prova a riabilitare, a permettere pratiche nuove di vita. Le storie e le pratiche raccolte nelle strutture socio-sanitarie parlano di una medicina che si confronta con il limite, come contorno, lineamento e soglia che conferisce forma allumano, al tempo di vita e alle relazioni tra persone. Forma di una vita buona. Spesso la cura coesiste nel prendere tempo, o dare tempo: si sostiene il paziente nei momenti di crisi e si aspetta per vedere se il suo corpo sapr trovare un nuovo equilibrio, o si fa reggere in vista di un incontro atteso, duna comunicazione. come se in questi casi la medicina della pretesa diventasse dellattesa. Si intrecciano necessariamente prospettive diverse: Adattiva: per la quale la realt e il nuovo rapporto con essa va assunto, letto nei suoi vincoli e nelle sue possibilit.

Pro-attiva: per la quale occorre provare il nuovo rapporto con la vita e la realt tracciando e aprendo cammini, sondando il nuovo con la forza della speranza e del progetto di cambiamento. 4.3 DOLORE E VULNERABILITA La miseria e la povert non sono propriet dellAltro, ma le modalit della sua apparizione, la sua maniera di riguardami, il modo della sua prossimit. Lincontro con le persone fragili e ferite, con i familiari e le persone prossime, riscostruisce il rapporto tra la totalit e i problemi dellesistenza e la particolarit del vissuto quotidiano. La fatica che dichiara loperatore di fronte al suo percepire, da parte dei familiari, il non volere fare i conti con la realt, o il loro riuscirci, pare spesso essere solo laltra faccia della sua fatica a fare i conti con la storia, le relazioni, i significati feriti dalla persona sottoposta a terapia intensiva. Riconoscimento pubblico del dolore: per pubblico si intende qualcosa di pi umilmente legato alle pratiche e agli incontri che avvengono istituendo spazi comuni, luoghi di prossimit nei quali in presenza della malattia, della sofferenza si da unesperienza di riflessivit sociale, di ricerca di forme di vita buone e giustizia. Il dolore rinvia a un orizzonte pubblico per eccellenza, perch nel dolore lumanit riconosce s stessa; si tratta di un riconoscimento della comune condizione di fragilit. La vulnerabilit emerge quando la nostra presenza si colloca entro i tempi e i luoghi nei quali si apre la riflessione sulla nascita e la morte, su cosa inizia e cosa resta, allora che incontriamo i sentimenti di precariet e dipendenza in noi e negli altri. Allora si fa chiarezza sulla mancanza o sul limite della forza, emerge levidenza della consegna e della resa. La vulnerabilit riapre anche il confronto con le figure della potenza e della contingenza, della necessit. Lautonomia resa fragile dalla vulnerabilit, ma questultima ci che costituisce lautonomia stessa. Empatia: Edith Stein parla di empatia come dellesperienza di soggetti altri da noi e del loro vissuto, che ci permette di comprendere linterno degli altri, le loro sensazioni, i loro sentimenti, le loro motivazioni. Lempatia pu disporre a vivere e a leggere il mondo come esperienza degli atti con cui gli esseri umani si scambiano significati ed emozioni. Il cogliere lesperienza altrui non un atto successivo al coglimento della mia vita interiore e della realt esterna, ma un atto costitutivo di ogni piena esperienza di s e del mondo, accanto a questo valore fondativo lempatia possiede un costante valore correttivo: essa mi aiuta a verificare e correggere il modo stesso con cui io valuto il mio comportamento. Sentire laltro un poco trovarsi in un vuoto, esposti come davanti a un condannato, ma anche umanizzare questa distanza, questa esposizione: un poco soffrendone e guardando a lui, con lui nel buio. Si incontrano sensi di colpa sia da parte ei familiari che da parte degli operatori. Dai primi, senso di debito per quanto si ricevuto e senso di colpa per quanto non si potuto dare. Per quanto riguarda gli operatori; un senso di debito e un po anche lesigenza di sentirsi perdonati, lagire e il sentire espressi in giorni intensi. Dobbiamo spingerci a dimenticare il debito nella misura in cui confina con la colpa e si rinchiude nella ripetizione, ma non dobbiamo dimenticarlo dallaltro lato quando esso significa riconoscimento di una eredit. 4.4 LEQUIPE, IL CONFLITTO E LALLEANZA. Se lquipe di cura vive le sue relazioni e il suo funzionamento esclusivamente attorno alla conoscenza organizzata neutralizzer il conflitto nella sua struttura gerarchica e autoritaria. Se invece vive il senso di una narrazione, di una continua costruzione della

conoscenza, promuover scambio e mezza a punto reciproca, comprensione aperta e responsabilit condivisa. La relazione che si crea allinterno dellquipe intesa come sistema integrato di relazioni tra ruoli e funzioni, come comunicazione funzionale, come interazione delle competenze e degli ambiti di lavoro individuali. La relazione che si crea invece tra medico e paziente spesso prende la forma esclusiva di un rapporto tra medico e malattia. Tutti gli scambi comunicativi, i gesti verbali e non, tutto quello che riguarda il paziente acquista alta rilevanza nel lavoro dellquipe. Questultima se si focalizza attorno alla malattia vivr una dinamica e un conflitto interni di tipo gerarchico e funzionale, ci saranno conflitti tra ruoli e la tensione sar incentrata sul peso dei saperi e delle responsabilit. Se invece lquipe incentrata attorno al paziente vivr una sorta di conflitto circolare, una messa in relazione continua di attenzioni a sintomi, significati e relazioni; il conflitto sar tra diverse postazioni accanto al malato e riguarder il governare bene. La diversit dei punti di vista e ei contatti con la persona malata e la pluralit di competenze preziosa, senza negare la diversit delle responsabilit e dei ruoli, si pensi ad esempio agli INFERMIERI: essi si concentrano sul come aderire al singolo caso a partire da principi generali e competenze tecniche; la riflessione che permette di stare nelle pratiche di routine, costruendo saperi e pratiche delle esperienza. Infermieri /e mettono in atto quotidianamente una competenza corporea. la loro forma di presenza, nella quale giocano distanza e intervento, in unattenzione clinica al linguaggio del corpo, alle emozioni dei gesti, alle parole non dette e alle alterazioni leggere. La scrittura pu risultare importante per il paziente, la forza della scrittura consiste nel suo riuscire a innescare un processo intellettivo che evita di toccare molte cose con le parole. STRATEGIA DEL DELFINO: il delfino si accosta quando percepisce segnali di disponibilit, di fiducia e di ingaggio e quando il momento, si discosta facendosi un poco lontano. Ma non troppo, tenendo e tenendosi in vista, pronto a cogliere segni di accoglienza o di richiesta. Rispetta i tempi e i momenti: quelli del bisogno di stare concentrati su di se, quelli della domanda di sostegno, quelli del desiderio di un contato. In certe situazioni in terapia intensiva la comunicazioni bloccata. In quipe spesso si vive una situazione in cui si finisce per dover costruire ponti al fine di tenere in collegamento ci che spesso rischia di essere separato. Donne e uomini nella cura chiedono sicurezza esistenziale, sociale e anche culturale nel conflitto; questa sicurezza esistenziale costruzione continua, nellagire aperto al confronto, nellattenzione e nella capacit di apprezzamento. Unorganizzazione di cura si presenta come luogo di conoscenza e di costruzione di relazioni di senso, quella dellquipe unorganizzazione in cui si vive sempre sotto pressione. Si opera per far sostenere la pressione di condizioni a volte critiche a chi ricoverato; ma occorre fare attenzione anche a rendere sostenibile la pressione a chi opera. Lidentit professionale si costituisce in uninterazione costante con lambiente circostante, il contesto di vita. Linterazione dei singoli operatori col contesto, il ridisegnarsi del contesto stesso, rendono attiva e responsabile la relazione con i colleghi, ne fanno unesperienza di co-formazione continua. Sorvegliarsi reciprocamente durante lesecuzione dei lavori non solo supportare e garantire altri in uno scambi di favori, piuttosto comprendere, rivedere quanto si andati costruendo, in un continuo processo retrospettivo delle azioni, delle analisi condotte, delle decisioni prese, dei processi sviluppati nelle organizzazioni. Le persone vivono oggi nelle organizzazione unesposizione particolare allinimiciza o alla freddezza. Ma possono anche costruire relazioni di amicalit. Lamicalit, a differenza dellamicizia, non chiede gioco personale e piacere della libert: amicali lo si diventa per scelta o per dovere, anche professionale. Solidariet professionale a tempo, lamicalit

che richiama rispetto, sorveglianza reciproca, affidabilit, permette di elaborare la sconfitta e linsuccesso. E orienta a rivedere e a ricominciare. un clima che si costruisce per agire bene il conflitto. Stile professionale dun gruppo, ben riconoscibile da occhi esterni, lamicalit chiede sapienza gestionale e direttiva, perch la risonanza tra la veste professionale e alcune direzioni pi personali costruisca scambio e continuit di stile nel gruppo di lavoro. 4.5 NELLO SCACCO E NELLA PROMESSA Lvinas: c questo rovesciamento dellattivit del soggetto in passivit, nel pianto e nel singhiozzo, la dove non c pi nulla tra noi ed essa, la suprema responsabilit di questa assunzione estrema si rovescia in suprema irresponsabilit, in infanzia. Lesperienza della sofferenza non pu essere scomposta ne solo guarita, presenta la condizione umana nei suoi aspetti complessi e radicali. Resistere al male apre a complesse strategie, diversi percorsi dentro di se e dentro la storia tra donne e uomini. Scuote unesistenza quotidiana facendo emergere strutture, significati, aree non indagate o rifugiate dalla riflessione. Pare che vi sia un andirivieni tra interrogazioni solo apparentemente vicine e simili. Un andirivieni che nasce dalla percezione che dei gesti e delle parole in presenza daltri resta sempre qualcosa di pi e diverso rispetto alla funzionalit del gesto e al senso immediatamente evidente delle parole. questo andirivieni tra domande che dovremmo curare, anche in tutti i luoghi in cui ci incontriamo. Occorre distinguere bene la domanda circa la correttezza da quella circa lappropriatezza, quella sul senso e valore. Linteriorizzazione dellaltro perduto o lasciato andare sempre anche anticipazione della propria morte: la riconciliazione della perdita anche, in parte, riconciliazione anticipata con la propria morte. una sorta di interiorizzazione raddoppiata. sul confine del corpo nascente, corpo sofferente, del corpo amante che sarresta la possibilit e la libert di fare del corpo il luogo di conquista della natura, di quella natura che ci costituisce e ci circonda. Mettere a fuoco operazione dellintelligenza, ben attrezzata di categorie e metodi; ma pu essere anche avvicinare a un fuoco, alle emozioni e ai movimenti interiori, ci che vedo osservando e cogliendo, per scioglierne le apparenze e coglierne il cuore. Se non si mette a fuoco non si vede bene. 4.6 UNA CELLULA ETICA La malattia si manifesta come impatto con incapacit e i impossibilit. Evoca uno spazio comune della relazione per temperare la solitudine: del malato anzitutto, ma anche del familiare e del medico, realizzando una cellula del buon consiglio tra malato, quipe medica, famiglia e persone coinvolte nelle relazioni vitali. Il malato insostituibile nel suo confronto con la sofferenza e con lorizzonte della propria morte, ma proprio qui la solitudine deve essere compensata da una cellula del buon consiglio; davanti alla accettazione della mortalit, il rapporto fra malato, lquipe medica e la famiglia costituisce una cellula del buon consiglio. Si tratta di una relazione di prossimit al di l dellaspetto istituzionale; le relazioni che postulano letica sono asimmetriche, la reciprocit trova il suo
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limite nellinsostituibilit dellaltro pi fragile. Non ci mette al suo posto: al pi ci si pu approssimare a lui nel suo posto. una reciprocit tra insostituibili ed in questa reciprocit che si conserva e che si genera a un tempo la ragione del vivere insieme. Lvinas: la morte laltro assoluto dellessere un altro inimmaginabile che aleggia al di delle capacit di comunicazione: ogni volta che lessere parla di quellaltro, finisce per

parlare, attraverso una metafora negativa, di s stesso. La morte degli altri dolorosa e sconvolgente, e possiamo temere la morte di altri pi della nostra. la loro che mi obbligher a fronteggiare un nulla, un vuoto che non voglio percepire ma che non potr non percepire. Bisogna costruire un rapporto con la propria morte per riuscire a viverla come occasione nuova, occasione ulteriore e ultima di generosit e dedizione. CONCLUSIONE: La conoscenza e lazione diventano momenti ricorsivi, di avvicinamento e accompagnamento al farsi della vita sociale e simbolica, personale e relazionale. Le nostre convivenze di cittadini resi uguali dal diritto e dalle istituzioni tutelati nella libert individuale, faticano sempre pi a condividere impegni e responsabilit di futuro, allo stesso tempo mal sopportano le differenze cos vicine e numerose, e si vedono sorgere nuove barriere tra le culture e le identit, tra le generazioni e i generi. Si tracciano sentieri e norme nascenti proprie di una fraternit comune di una fraternit in assenza. Una fraternit che non ha bisogno della presenza evidente di un legame affettivo, di sangue o parentela, che da vita a uno spazio comune di convivenza, in quanto donatori che ignorano i beneficiari e non sono toccati dalla loro gratitudine. Fraternit a monte dello scambio. Anche le politiche, le progettazioni e le esperienze per il dopo di noi (espressione spesso usata dalle famiglie per indicare che il figlio disabile dovrebbe poter godere il pi possibile dopo la scomparsa dei genitori di un ambiente e id una qualit di vita integralmente umana e dignitosa) sono un esempio di fraternit in assenza. Queste esperienze rendono presente un modo di vivere il legame sociale come una dimensione che entra a costruire identit complesse e in cammino di persone che possono anche pensare a un comune debito verso un dono dorigine e originario che apre a una reciprocit non equivalente e a una solidariet fraterna tra sconosciuti. I luoghi della formazione e del lavoro come i luoghi della cura si stanno rivelando luoghi duri e difficili in questi tempi per le donne e uomini pi fragili, sono luoghi di selezione, a volte luoghi di abbandono. La sfida educativa sta nellaiutare la ripresa di cura e di progetto dentro reti di relazioni che sono le proprie, quelle con le famiglie vicine, e attivando punti di appoggio concreti nel territorio locale. Se leducazione quella esperienza dellincontro donne e uomini, tra generazioni, nella quale prende forma il tempo, allora occorre provare a sostenere forme buone del tempo biografico, famigliare e intergenerazionale, dentro le forme buone del tempo biografico, familiare e intergenerazionale, dentro le forme buone e responsabili del tempo sociale. Diverse competenze e diversi saperi sono chiamati a collaborare: quelli delle scienze umane e sociali con quelli delle scienze economiche e giuridiche e delle scienze politiche. Saperi che collaborino aprendo spazi di esperienza e di progetto allinterno dei quali venga sempre curata una dimensione di riflessivit sociale, educativa e politica. La democrazia una viva interazione di presenze reciproche, di forme di libert responsabile, di partecipazione e consensi costruiti nella vita comune. Ma occorre chiarire che il prossimo un nessuno escluso, sono tutti gli esseri umani, tutti vulnerabili e non c il bisognoso di cui avere pena. Chi offre aiuto non pu riuscire a farlo, n chi ha bisogno daiuto pu riuscire a riceverlo, se non attraverso codici comunicativi che sono sempre, insieme, interpersonali, sociali, tecnico-professionali. Nel vivo prendere senso, faccia a faccia, di ogni singolo incontro, le impersonali condizioni sociali, culturali e istituzioni sono materia prima essenziale, a propria volta vivente, della quale le sensazioni pi soggettive e ineffabili sono impastate fin nelle fibre pi intime, sottili e segrete. Dalle esperienze, pare emergere con evidenza che

la questione non solo quella di affinare saperi e tecniche che delimitino i problemi e cerchino interventi risolutivi; costruendo cos un confine netto tra la forza di pensiero, analisi, metodi, interventi, protocolli e fragilit di condizioni sociali ed esistenziali, fisiche e mentali, affettive e relazionali. Tale confine va realizzato in un luogo nel quale quelle dimensioni di forza e fragilit possano abitare intrecciate nelle donne e negli uomini che si incontrano nei servizi territoriali, negli istituiti di pena , nelle comunit e nei luoghi educativi. Leducazione anzitutto unesperienza di incontro tra donne e uomini, tra generazioni.

RIFLESSIONI
Il rapporto con laltro, con il proprio limite, proviene dalla piena concezione dellessere figli, figli di un dono e portatori di un debito. La grande tentazione del mondo in cui viviamo essere figli di noi stessi ma il risultato una straniante perdita didentit. In Europa sono presenti segni di un crollo iniziato molti anni fa, allo stesso tempo non per tutto da buttar via: c unattenzione grossa, un po soffocata, alla relazione, alla prossimit. I segni di crollo e i bagliori di speranza aprono una finestra sul cambiamento, cambiamento che deve trasformare il modo di vivere la fedelt poich questultima che ci fa essere creativi. Quelli che tra noi sono padri e madri non devono dimenticarsi di essere figli a loro volta: figli di una vita ricevuta, sospesi su una promessa. Da figli si capaci di un nuovo inizio poich il fine non il compimento ma la consegna: lasciare nei propri gesti e nelle proprie parole delle tracce simboliche, servire e seminare, vivere il tempo non in modo lineare, non con il desiderio di appropriarci di tutto. La voglia di figli che caratterizza il mondo odierno la futile espressione di un desiderio di propriet. La pedagogia ha tre basi rintracciabili nella filosofia: la fenomenologia, da cui prende la sua logica, logica sconfitta da Hegel nella sua confutazione del principio di non contraddizione: lidentit si costruisce sempre nella diversit. Lesistenzialismo, filosofia della parzialit e del limite, studiato a partire dalluomo ambivalente e portatore dangoscia di Kierkegaard. Lermeneutica, linterpretazione della realt in base al contesto in cui viviamo, che diviene chiave di lettura. Letica rappresenta la base fondante della pedagogia. Possiamo immaginare la pedagogia come un esagono i cui vertici rappresentano dei passaggi, ottenibili tramite la riflessivit, condizione che interdisciplinare che permette il cambiamento: individuo, gruppo, organizzazione, comunit (rete sociale), territorio, contesto sociale (democrazia). La pedagogia un territorio che intreccia tutti gli sguardi che incontriamo, la scuola di oggi tende a rendere la realt troppo omogenea: seleziona i migliori in base al loro tipo di organizzazione mentale. La differenza tra psicologia e pedagogia il considerare la fragilit come elemento costituivo dellumano, stare nello stato nascente. Stare nello stato nascente creare un laboratorio di scrittura per carcerati, trovare un modo di far spalancare la porta a chi ci ha messo una grossa serratura sopra. Le parole costruiscono una storia. Negli ultimi anni, nel mondo occidentale, la vita media si allungata molto, e ad ogni anno che guadagniamo ci sono sei mesi in pi di sofferenza da curare. La nostra una societ che, da un certo punto di vista, sa assumersi molte pi fragilit rispetto a prima: possiamo tranquillamente affermare che i 2/3 delle persone che vivono sul pianeta vivono una condizione di vulnerabilit. Ci vuole filialit, ci vuole labbandono nelle mani di altri. La fraternit un tema su cui, negli ultimi anni, si discusso molto dal punto di vista politico, ma manca unattenta analisi dal punto di vista umano. Urge unumanizzazione del potere tramite la vulnerabilit, questultima che orienta il potere, lo istituisce come luogo di responsabilit. Oggi viviamo in unenorme condizione di fragilit: i nostri miti non sono fragili, sono forti, e questa la contraddizione pi grande della nostra societ. Sono rappresentati

unilateralmente. I ricchi siamo noi, nella nostra parte del mondo. La ricchezza tuttavia non basta: molto pi importante avere una rete di relazioni ben salde: si guardino gli extracomunitari e la potenza delle loro relazioni familiari. Li fa stare in piedi. La vera autonomia moltiplicare i legami di dipendenza, lasciarsi guardare, lasciarsi trasformare. Il pane rappresenta il debito originale, il dono non restituibile che a nostra volta dobbiamo offrire. Asservendolo, il dono diventa ricatto. Dobbiamo essere testimoni del dato di fatto che il nostro debito irrisarcibile. Siamo tutti figli di Caino, il fratello maggiore, colui che deve imparare a fare spazio, ad ascoltare. Il desiderio del padre la fratellanza con Abele ed grazie a questo amore paterno che Caino non perisce sotto Abele, ma viceversa. Abele si scopre fratello: riceve un dono da Caino. Il loro conflitto in ognuno di noi, fare i conti con una tensione generativa, sentire in s la potenzialit del carnefice e quella della vittima. Lamore pi forte della morte, ha un fulcro di generativit in pi. La torre di Babele la torre della razionalit umana, una torre che non prevede tempo per chi si fa male. Dio confonde le lingue: gli uomini sono nuovamente stimolati allattenzione reciproca, sono obbligati a capirsi di nuovo e cercano nuove strade per farlo. Siamo tutti traditori e debitori di una colpa originale ma siamo capaci della facolt dinizio. La noluntas il non voler essere nati, viene dal delirio di appropriazione del reale. Se tutto logica, se tutto una concezione meccanicistica del reale, come fa ad esistere la responsabilit? Tu sei ci che sei e il tuo sguardo appare tale solo se impari, nel contempo, a essere guardato: viene dalla propria finitezza, il proprio senso del limite ed il segreto per la costruzione di un potere giusto, guardare lasciandosi guardare, divenire trasformati da altri. La speranza memoria di futuro: la capacit di tenere aperto il tempo, di lasciarsi consumare e trasformare, la logica del fare e del disfare. Si tratta di portarsi dentro levidenza del fallimento, del rimanere sospesi, sperare. Mandela e gli altri personaggi grandi hanno questa caratteristica: sono del futuro, per il futuro e abitano in esso anche dopo la loro morte. C una differenza tra speranze (attese, memorie di futuro) e la speranza, essa la capacit di attendere, di incontrare. Oggi si vive nellimmediatezza che porta alla tristezza: non ci sono progetti nel tempo. Desiderare vivere ci che mi manca a livello umano, non come gap dovuto a un qualche tipo di invidia. Desiderare tendere allinfinito, raggiungerlo nel non sarai abbandonato, nel gesto di libert nel limite. Possiamo ricondurci a tre immagini della cura: lirruzione (disorganizzazione e riorganizzazione), lo stare su una faglia, nella tensione, nella ferita, e lo stare sulla soglia, su una dimensione che colleghi il dentro con il fuori, che stabilisca le distanze e sia un luogo di prossimit. I tre paradigmi della cura sono: la cura materna, la pi semplice, la pi naturale e asimmetrica, la cura amicale, uno scambio simmetrico, reciproco, che coltiva nellaltro la parte migliore, e una cura sanitario/sociale, limitata nel tempo ma con un incontro profondo nella fragilit.Noi siamo percezione di profonda continuit, il nostro corpo e la percezione che ne abbiamo. Siamo esperienza del nostro corpo e riflessivit su di esso: la riflessivit la strada per scoprire lesperienza del nostro tempo, un tempo oggettivo e soggettivo, un tempo dellaltro. Tra lio e il tu, sentire il mondo insieme, i propri e reciproci mondi vitali, ognuno irripetibile, con un senso unico che gli appartiene. Nel rapporto tra persona e organizzazione ci si identifica reciprocamente: una partecipazione parziale ma piena. I senza dimora non vivono la pura ricerca di una casa intesa come luogo fisico, cercano un luogo nel quale relazionarsi di nuovo, in cui costruire nuovamente la propria identit.Negli ultimi 50 anni il rapporto generazionale si evoluto da una situazione post 68 molto conflittuale a una situazione di negoziazione che ha aperto a nuove speranze nel rapporto tra generazioni, speranze che per necessitano di essere coltivate e alimentate ancora a lungo.

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