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Quelques thmes du dbat italien sur la gouvernance urbaine partir du cas de Cagliari (Sardaigne)

Dal governo urbano alla governance delle citt Government e governance La citt come arena di attori Unormai ampia letteratura internazionale (Pierre, 2000; Brenner, 2004; Governa et al., 2009) riassume linsieme dei cambiamenti indicati nel paragrafo precedente come passaggio dai modelli del governo (government) della citt e del territorio ai modelli della governance urbana e territoriale. Mentre il termine governo indica il potere dello Stato, organizzato in agenzie settoriali, formali e gerarchiche che agiscono attraverso procedure burocratiche, la governance denota linsieme complesso, e parzialmente sovrapposto, delle relazioni che coinvolgono nuovi attori, tradizionalmente estranei allarena politica: in questo insieme di attori, il governo solo uno dei tanti e pu esercitare solo un controllo imperfetto (Rhodes, 1997, p. 8). Schematizzando al massimo, nellidea di governo centrale il ruolo del soggetto pubblico; lidea della governance prefigura una modalit di intervento che coinvolge un insieme complesso di attori, basata sulla flessibilit e la volontariet della partecipazione. Dal punto di vista istituzionale e procedurale, lampliamento del numero e del tipo degli attori che intervengono nei processi di governance si attua con la diffusione di procedure contrattuali e negoziali, come la cooperazione interistituzionale (tra soggetti pubblici dello stesso livello, ad esempio gli accordi o le associazioni fra Comuni per la gestione integrata di un servizio o per la promozione di specifiche politiche, secondo modalit previste dalla legislazione nazionale - come in Francia le diverse forme di intercomunalit urbana - o pi spontanee - come in Italia gli accordi che mettono insieme diversi comuni in un progetto di sviluppo locale) (Dansero, Giaccaria e Governa, 2008); il partenariato fra attori pubblici e privati o, ancora, le diverse modalit di coinvolgimento e partecipazione dei cittadini ai processi decisionali (dalla informazione e comunicazione delle iniziative alla valutazione delle possibili alternative; dalla definizione dei progetti alla realizzazione degli interventi). Il dato di fondo quindi rappresentato dal fatto che, per governare sistemi complessi come le citt contemporanee, tutti gli attori abbiano bisogno degli altri in quanto nessuno possiede tutte le conoscenze, le competenze o le risorse necessarie per elaborare e attuare, da solo, una politica (Rhodes, 1997). Gli elementi essenziali della governance possono dunque essere sintetizzati nella maniera seguente:
pluralit di attori e di interessi che entrano in gioco, forme di autoregolazione sociale sulla base della quale si arriva al coordinamento e alla collaborazione tra gli attori, ridefinizione del ruolo dellente pubblico che diventa facilitatore, enabler, di tali forme, invece che provider, cio fornitore di regole e servizi (Vicari Haddock, 2004, p. 96).

differenza fra government e governance Nonostante il recente successo, il termine governance non nuovo. Soprattutto nella letteratura anglosassone, esso al centro del dibattito da diversi anni anche se ha subito, nel corso del tempo, una progressiva ridefinizione. Luso attuale del termine governance prende infatti le distanze dalle definizioni degli anni Settanta, che fondamentalmente consideravano government e governance come sinonimi. Attualmente, invece, il termine governance usato proprio per sottolineare un cambiamento rispetto al passato: governance indica cio una modalit di governare diversa, e almeno in parte contrapposta, rispetto a quella del governo (government). Tuttavia, la relazione fra government e governance non semplice: spesso, nelle interpretazioni pi semplicistiche e semplificate, il termine governance usato per indicare un generico miglioramento rispetto al passato, senza tenere conto dei molti significati che intorno al termine si sono stratificati, delle molte accezioni con cui stato,

e continua ad essere, utilizzato, dei molti campi dellesercizio del governo in cui sono utilizzati modelli di governance (Rhodes, 1997). La differenza fra government e governance chiarita da diversi autori. Dente (1999), ad esempio, distingue fra governabilit, governance e government e considera la governabilit come
labilit di produrre decisioni coerenti, sviluppare politiche efficaci, o dare attuazione ai programmi; [ mentre utilizza] il termine governare (governance) per denotare lattivit finalizzata a questo fine e il termine governo (government) come sinonimo di struttura istituzionale. Il governare sar dunque efficace se verranno raggiunti gli obiettivi prefissati o comunque risultati considerati positivi, mentre un governo efficace sar il meccanismo istituzionale che, a parit di altre condizioni, aiuter a raggiungere tale risultato (1999, p. 112).

La governance quindi considerata da Dente come un insieme di azioni, di pratiche e di processi che connotano lesercizio del governo, mentre il government richiama il campo delle istituzioni politiche e delle loro strutture organizzative (Bolocan Goldstein, 2000). Rosenau (1992) sottolinea maggiormente tale distinzione, definendo il government come linsieme delle attivit sostenute dalle autorit formali e la governance come insieme delle attivit sostenute da fini condivisi. Nei due modelli agiscono attori diversi: il government vede coinvolti unicamente governamental actors, ovvero quelli appartenenti alle istituzioni del governo direttamente eletti; la governance, invece, prevede la partecipazione degli attori istituzionali e dei non-governmental actors, ovvero anche di soggetti esterni allarena politica istituzionale, come le imprese private, i massmedia, le organizzazioni sovranazionali ecc. La governance indica quindi un fenomeno pi ampio rispetto alle sole strutture del governo: al suo interno sono comprese non solo le organizzazioni governative formali, ma anche i meccanismi informali che vedono la partecipazione di una molteplicit di attori. Nellinsieme, se consideriamo il governo come una modalit gerarchica di interazione tra attori, guidata da regole formalizzate e dal ruolo autoritativo del soggetto pubblico, e la governance come lattivit sociale nella quale nessun attore singolo pu agire da solo, la distinzione fra questi due modelli di azione non pu essere considerata secondo una logica dicotomica che li pone in netta alternativa, ma rinvia piuttosto ad un continuum in cui si intersecano aspetti e caratteristiche relative sia a modelli di government sia a quelli della governance. A questo riguardo, e facendo esplicito riferimento alle politiche urbane, Imrie e Raco (1999) riconoscono nellavvento della governance non tanto un cambiamento radicale rispetto al passato, quanto piuttosto una transizione che si svolge, almeno in parte, in continuit con le strutture, gli stili politici e le traiettorie di azione del government. In questo caso, ci che messo in evidenza soprattutto la capacit (o incapacit) delle strutture e dei meccanismi di governo di imparare a lavorare in termini di governance. Ambiguit delle definizioni di governance Limpiego del termine governance tanto diffuso quanto impreciso sul piano teorico e metodologico. Scorrendo la letteratura, limpressione quella di trovarsi di fronte a un termine impreciso e ambiguo, concettualmente molle (Osmont, 1998). Per fare ordine in questa confusione, possiamo distinguere le diverse accezioni del termine governance considerando: (i) le definizioni di tipo istituzionale e (ii) i riferimenti teoricometodologici e gli ambiti di esercizio del governo in cui si attuano azioni di governance (Rhodes, 1997). 8.4.2. Definizioni istituzionali

La governance delle istituzioni sovra-nazionali Alla definizione del termine governance non estranea una intensa attivit degli organismi e delle istituzioni sovranazionali, in particolare la Banca Mondiale, il Centro delle Nazioni Unite per lInsediamento Umano (UNCHS) e lUnione Europea. Come vedremo, le definizioni

proposte da tali istituzioni sono simili, e ruotano intorno ad alcune parole-chiave che ricorrono con grande insistenza. Alla fine degli anni Ottanta, la Banca Mondiale introduce il termine good governance come elemento di confronto per valutare le forme e le modalit degli investimenti nei paesi terzi secondo modalit trasparenti, efficienti e democratiche. In questo modo, la Banca Mondiale intende promuovere i propri obiettivi e le proprie metodologie di intervento nei paesi del Sud del mondo. Secondo la Banca Mondiale, le azioni di good governance sono basate su relazioni tra Stato, societ civile ed economia privata che rispondono ad alcuni principi chiave: partecipazione, trasparenza, efficacia, responsabilit e affidabilit delle decisioni pubbliche. Anche il Centro delle Nazioni Unite per lInsediamento Umano (UNCHS) concorre alla definizione del termine e indica nella buona governance una risposta efficiente ed efficace ai problemi urbani da parte di governi locali responsabili, che lavorano in collaborazione con la societ civile (BSHF, 2000). Nella campagna globale sulla buona governance urbana, lanciata dallUNCHS nel 2002, sono indicate le principali caratteristiche che essa deve assumere: la sostenibilit, cio il bilanciamento dei bisogni sociali, economici e ambientali delle generazioni presenti e future; la sussidiariet, cio lassegnazione di risorse e responsabilit al livello territoriale pi appropriato; lequit, cio la diffusione dellaccesso ai processi decisionali e alle necessit fondamentali della vita urbana; lefficienza, cio la fornitura corretta di servizi pubblici e la promozione dello sviluppo economico locale; la trasparenza e la responsabilit, da parte dei decisori e di tutti coloro che hanno interessi nella definizione e nella messa in atto dei processi di sviluppo urbano; il coinvolgimento della popolazione e della cittadinanza, cio il riconoscimento dei singoli cittadini come risorsa principale delle citt e, insieme, come oggetto e mezzo per attuare lo sviluppo umano sostenibile; la sicurezza degli individui e del loro ambiente. Nel luglio del 2001, lUnione Europea promulga il Libro bianco sulla governance europea in cui sono definiti i principi generali relativi alluso del termine e alle sue possibilit di applicazioni in ambito comunitario (Cce, 2001). Nel Libro bianco, la governance definita come insieme di
regole, processi e comportamenti che influenzano il modo in cui i poteri sono esercitati a livello europeo, facendo particolare riferimento allapertura, alla partecipazione, alla responsabilit, allefficacia e alla coerenza [dei processi decisionali] (ibid., p. 8).

Nellimpostazione dellUnione Europea, la governance indicata e assunta come strategia generale per il rafforzamento dei principi basilari di proporzionalit e di sussidiariet posti alla base del processo di integrazione europea. Ogni azione comunitaria cos chiamata a riferirsi ai principi della good governance e a verificare (a) se lazione pubblica realmente necessaria; (b) se il livello Europeo quello pi appropriato e (c) se le misure scelte sono proporzionate al raggiungimento degli obiettivi dichiarati (ibid., p. 11). Nelle definizioni istituzionali, il termine governance fondamentalmente usato per descrivere gli obiettivi che le diverse istituzioni intendono raggiungere, esplicitando tali obiettivi attraverso alcuni principi-guida come la sostenibilit, lefficacia o la partecipazione. Limpostazione del dibattito sulla governance data in ambito istituzionale per stata oggetto di alcune critiche, che si attestano su due aspetti principali (Osmont, 1998). In primo luogo, la concezione di good governance proposta dalla Banca Mondiale basata sul modello liberal-democratico occidentale: le politiche e

gli investimenti nei paesi del Sud del mondo sono cos valutati con riferimento a requisiti del tutto avulsi dalle specificit dei diversi contesti. I principi-chiave che connotano la good governance della Banca Mondiale (che non sono poi molto diversi, nella loro genericit, da quelli dellUNCHS o dellUnione Europea) derivano, inoltre, dalla corporate governance (cio la governance delle imprese). Lintroduzione del modello della good governance porta quindi ad applicare alle dinamiche economiche e sociali dei paesi del Sud del mondo un modello economico-imprenditoriale di stampo neoliberista. E, pi in generale, alla definizione di un modello generale di azione che prescinde largamente dalle differenze dei contesti in cui si applica, nonostante la dichiarata attenzione verso la molteplicit di attori e le specificit locali. Nel complesso, la definizione di governance che emerge dai documenti istituzionali privilegia una concezione del termine di tipo prescrittivo-normativo (che sottolinea come si dovrebbe agire in una certa situazione o, pi in generale, per modificare lo stile del governo) piuttosto che analitico-descrittivo (che descrive una determinata situazione o una determinata pratica di governo) (Bevir, 2002). Governance diviene cos sinonimo di cambiamento, di nuovi meccanismi e di nuove strutture per lelaborazione e lattuazione delle politiche, con particolare attenzione ai cambiamenti organizzativi e procedurali. 8.4.3. Interpretazioni teoriche e ambiti di applicazione

Il termine governance assume diversi significati anche in relazione al quadro teorico-metodologico usato dagli studiosi al fine di sottolineare alcuni aspetti piuttosto che altri e ai diversi ambiti di esercizio del governo in cui si attuano azioni di governance. I riferimenti teorici, e gli aspetti che permettono di sottolineare, non sono fra loro mutuamente esclusivi, ma si combinano spesso, in un gioco continuo di rimandi e citazioni non del tutto agevole da discernere. Minimal State Un primo ambito di interpretazioni considera la governance come sinonimo di minimal state, a indicare cio la ritirata dellintervento del soggetto pubblico nellerogazione dei servizi pubblici, con la conseguente avanzata del mercato nella fornitura degli stessi. Bench, come suggerisca Stoker (1998), nel caso del minimal state il termine governance sia usato unicamente per rendere accettabili i tagli alla spesa pubblica, questa linea interpretativa applicata nelle forme del new public management (cfr. Fig. 8.2.). In questo caso, si sottolineano infatti le possibilit offerte dalla trasposizione di metodologie e principi di organizzazione del lavoro di tipo privatistico nel settore pubblico. In particolare, luso di metodi valutativi e lintroduzione di incentivi differenziati a seconda dei risultati (i.e. la competizione di mercato nella fornitura dei servizi pubblici). Queste interpretazioni hanno una ricaduta diretta sulle citt per quanto riguarda, in particolare, la crescente ritirata del soggetto pubblico nellerogazione dei servizi pubblici e la progressiva tendenza verso la privatizzazione degli stessi, prima di quelli economici e poi di quelli legati alla persona. Ma un indizio della svolta aziendalista e manageriale nellorganizzazione del soggetto pubblico lo si individua anche nella riorganizzazione della macchina amministrativa municipale. Ad esempio, in diversi paesi, fra i quali anche lItalia (nellambito delle riforme istituzionali degli anni Novanta e per i comuni con pi di 15.000 abitanti o per comuni di dimensione inferiore consorziati), stata introdotta la figura del city manager. Tale innovazione, che deriva dagli Stati Uniti e la cui efficacia in realt piuttosto incerta (Golombiewski e Gabris, 1996), si inscrive pienamente nella prospettiva della citt impresa: il city manager dovrebbe, infatti, assicurare il raccordo tra vertice politico e amministrativo, introducendo capacit manageriale nellambito dellazione del soggetto pubblico al fine di incrementarne lefficienza e lefficacia nella gestione delle risorse. Governance come coordinamento e organizzazione Secondo altri autori (come ad esempio Stoker, 1998; 2000 o Le Gals, 2006), invece, il termine governance permette di riesaminare le forme pi tradizionali di

organizzazione della societ e delleconomia, enfatizzando il cambiamento rispetto al passato in relazione alla sempre maggiore importanza assunta da una pluralit di attori e alla molteplicit delle forme di azione che ognuno di essi pu mettere in gioco. Interrogandosi principalmente sulle modalit di regolazione politica delle dinamiche economiche, questa linea interpretativa mette in evidenza il superamento delle classiche separazioni tra le diverse sfere che caratterizzano le dinamiche economiche e sociali (pubblico, privato e societ civile) e fra i diversi modelli di regolazione delle stesse. La governance in questo caso vista come una forma di coordinamento e di organizzazione dei soggetti e delle loro azioni che presenta caratteristiche distintive rispetto al mercato (forma organizzativa tipica del settore privato) e alla gerarchia (forma organizzativa tipica del settore pubblico). In questo quadro, la governance urbana costituisce una specifica modalit di organizzazione e coordinamento dei diversi attori e interessi presenti nella citt. Lobiettivo di questa modalit organizzativa sarebbe quello di far s che la citt agisca come un attore collettivo, dotato di una autonoma strategia di sviluppo. Un aggregato di soggetti, quindi, in grado di definire una visione condivisa della citt e del suo sviluppo, di decidere obiettivi comuni di cambiamento, di mettere in atto una strategia condivisa per perseguirla (Bagnasco e Le Gals, 2001). Pensare alla citt come attore collettivo non vuole dire pensare ad una citt priva di differenze e conflitti, ma indica piuttosto la possibilit e la capacit degli attori e delle organizzazioni che operano nella citt di confrontarsi con essi. Anzi. Differenze e conflitti sono visti come possibilit per esplorare in maniera pi ampia le alternative, per ridefinire i problemi collettivi e le possibilit di azione (Bobbio, 1996). Interpretare la citt come attore collettivo, inoltre, non implica neanche considerare la condivisione come una condizione stabile, ma piuttosto come esito di un processo in continuo mutamento che va sempre costruito e alimentato. Questa linea interpretativa riconosce esplicitamente, infine, che gli attori e le organizzazioni che operano nella citt non sono esclusivamente di livello urbano. Governance multilivello La governance urbana in questo caso, necessariamente, una governance multilivello, in cui cio assumono una rilevanza centrale il collegamento e il coordinamento transcalare fra attori che si muovono, agiscono e hanno interessi a diverse scale territoriali e istituzionali (Stoker, 2000).

8.4.4. Possibilit e limiti della governance urbana


A partire da tali definizioni, possibile sintetizzare gli aspetti principali della governance urbana, la quale: costituisce una modalit di organizzazione di una pluralit di attori che si fonda sulla costruzione di partenariati e coalizioni (attori pubblici e privati), orientati verso il raggiungimento di un obiettivo specifico, definito congiuntamente; deriva da un complesso gioco negoziale fra attori e interessi in cui si scambiano risorse, si costruiscono obiettivi (almeno tendenzialmente) condivisi, si organizza il consenso; mette in gioco non unicamente le risorse finanziarie, conoscitive, politiche e di consenso dei partecipanti, ma anche le regole, formali e informali, che gestiscono le interazioni fra gli stessi; non connessa unicamente al ruolo delle istituzioni formali (cio quelle che, in definitiva, sono costituite da, o rappresentano gli, attori del governo), quanto piuttosto al processo di favorire relazioni basate sul consenso e lapprendimento collettivo, al fine di sviluppare il capitale sociale e promuovere lo scambio di conoscenze e competenze; a differenza della governance delleconomia, che rivolta in maniera pressoch esclusiva al raggiungimento dellefficienza economica delle imprese, e delle forme pi riduttive che interpretano la governance come minimal state, si confronta con il problema della rappresentanza degli interessi, inserendo fra i propri obiettivi anche le dimensione sociali, politiche e culturali.

Limiti della governance Sembra quindi che le cose possano funzionare, che ci sia stato un cambiamento del modo in cui le citt sono governate e che questo cambiamento presenti nessuno (o pochi) rischi. In realt, esistono alcune difficolt insite nel modello della governance urbana che possono essere ricondotte a due tipi. Il primo tipo comprende le difficolt legate alla complessit del contesto (la citt) in cui si costruiscono le azioni di governance; il secondo tipo riguarda invece le difficolt proprie ai meccanismi di governance e, in particolare, alla difficolt di tenere insieme una molteplicit di attori e interessi (Stoker, 2000). Fra le difficolt del primo tipo vanno ricordate almeno lattuale complessit urbana; la conflittualit che caratterizza ogni politica e ogni intervento nella citt, resa pi acuta dalla necessit di coordinamento transcalare; il difficile rapporto fra i processi formali della rappresentanza e quelli fondati sulla partecipazione diretta di una molteplicit di attori e interessi. Questultimo aspetto si connette direttamente alle difficolt del secondo tipo, in cui rientrano soprattutto: la costruzione di accordi di comodo fra gli attori coinvolti; lallungamento dei tempi derivante dalla costruzioni di partenariati e accordi; il cambiamento di ruolo del soggetto pubblico, che deve imparare ad accompagnare processi complessi e a parlare con una pluralit di interessi senza farsi portatore unicamente di quelli forti (come nel caso dei regimi urbani orientati al mercato prima ricordati) o condizionare da attori non locali; la rigidit e limpermeabilit delle reti degli attori meglio organizzati, che determina spesso la scarsa partecipazione di attori e interessi deboli; le modalit della partecipazione che appaiono spesso connotate da retorica e furbizie (Paba, 2003), senza riuscire ad incidere attivamente sulle trasformazioni urbane, tanto da ridursi alla legittimazione di decisioni gi prese e a forme di costruzione (e spesso manipolazione) del consenso; la diminuzione della legittimit dellazione e la difficolt di discernere chi sia responsabile di che cosa nelle complesse organizzazioni multiattoriali tipiche della governance (il problema che, in inglese, definito di accountability). 8.5. La governance delle citt europee fra competitivit e coesione

In termini generali, come visto nei paragrafi precedenti, la governance urbana indica un cambiamento del modo in cui si costruiscono, e degli obiettivi che si pongono, le politiche urbane. Tale cambiamento legato, nelle pratiche, alle nuove politiche urbane che, a partire dagli anni Novanta, sono state attuate, con diversa efficacia, nelle citt europee (Le Gals, 2006). I caratteri di queste innovazioni vanno ricercati, almeno dal punto di vista generale, nella sperimentazione di forme integrate e intersettoriali di azione; nel coinvolgimento e nella partecipazione ai processi di trasformazione urbana di una molteplicit di soggetti e interessi, anche quelli deboli; nel cambiamento del ruolo esercitato dal soggetto pubblico al loro interno; nelle modalit negoziali attraverso cui sono prese le decisione e innescate le trasformazioni (Governa et al., 2009). Questi aspetti si ritrovano, con enfasi diverse, in due ambiti di politiche urbane: il primo quello della rigenerazione urbana; il secondo connesso alla promozione dello sviluppo economico, allattrazione di investimenti, imprese ed eventi. I due ambiti sono solo teoricamente divisi: nelle pratiche, infatti, troviamo spesso degli sconfinamenti da uno allaltro. 8.5.1. Governance urbana e rigenerazione della citt Rigenerazione urbana Rigenerazione urbana un termine complesso e polisemico. In generale, le politiche di rigenerazione urbana indicano quellinsieme di azioni e interventi messi in atto in parti specifiche della citt caratterizzate da situazione pi o meno acute di degrado, fisico e sociale, per promuovere migliori condizioni di vita e di qualit urbana.

Le politiche di rigenerazione urbana intervengono quindi sui cosiddetti quartieri in crisi, cio quelle
porzioni di citt in cui si sono via via resi chiari e manifesti i limiti e le difficolt delle tradizionali forme di intervento pubblico a fronte della crescente complessit del quadro sociale ed economico tanto pi a seguito della fine di quel trentennio glorioso che aveva segnato insieme lo sviluppo urbano post-bellico e la costruzione di sistemi di welfare (Briata et al., 2009, p. II).

Se per andiamo a vedere le esperienze che possono essere ricondotte a questo obiettivo generale, troviamo non poche differenze (Vicari Haddock e Moulaert, 2009). Alla fine degli anni Sessanta, i quartieri pi poveri di molte citt Nordamericane sono stati interessati da importanti interventi di rigenerazione urbana. Si tratta di operazioni ampie e complesse, che hanno demolito le parti pi degradate dei quartieri per fare spazio a investimenti, pubblici e privati, e a interventi, per lo pi infrastrutturali, necessari a rispondere alle esigenze di citt allora in rapida espansione. Queste operazioni hanno per avuto esiti controversi: spesso pi che il miglioramento delle condizioni di vita degli abitanti originari dei quartieri hanno determinato la loro espulsione, tanto che, come ci ricordano Vicari Haddok e Moulaert (2009),
lespressione urban renewal venne polemicamente sostituita con negro removal per indicare quanto questi interventi avessero di fatto penalizzato le comunit pi povere in questo caso di colore provocandone lulteriore concentrazione e segregazione, ridotto le risorse per ledilizia popolare pubblica e pi in generale privatizzato spazi in precedenza collettivi (2009, p. 20) (cfr. Fig. 8.3.).

Rigenerazione della citt in Europa In Europa, la rigenerazione urbana declinata in maniera diversa, anche con riferimento alle condizioni dei contesti nazionali (si vedano le differenze fra Francia, Gran Bretagna e Italia presentate da Briata et al., 2009). La rigenerazione urbana entra nelle pratiche di trasformazione delle citt europee alla fine degli anni Settanta, in un periodo in cui i presupposti economici su cui si basava la concentrazione industriale mostrano segnali di crisi, si avviano intensi processi di deindustrializzazione e profondi cambiamenti nella struttura, fisica e sociale, delle principali aree urbane. La crisi dellindustria fordista si accompagna ad una crisi che investe, nel corso degli anni, non solo i centri produttivi, ma la citt nel suo complesso. I processi di ristrutturazione industriale, oltre a ridimensionare limpiego nel secondario a favore del terziario e ad aprire nuove forme di disagio sociale e povert, portano alla chiusura di importanti stabilimenti industriali, lasciando ampi vuoti nel tessuto urbano (cfr. cap. 9). La rigenerazione urbana si esercita quindi in parti di citt caratterizzate dagli ampi vuoti lasciati dalla deindustrializzazione: fabbriche abbandonate e stabilimenti industriali dimessi sono cos riusati per dare nuova qualit a interi quartieri. Esemplificativo , a questo riguardo, il caso di Torino. In questa citt, le iniziative di politica urbana messe in atto a partire dalla seconda met degli anni Ottanta agiscono prevalentemente su aree industriali dimesse: la trasformazione dello stabilimento Fiat del Lingotto, attuata sulla base del progetto di Renzo Piano, scelto a seguito di un concorso internazionale cui partecipano i pi famosi architetti del periodo (siamo nel 1984) o le grandi e piccole trasformazioni, che, seguendo il nuovo Piano Regolatore (approvato nel 1995, su progetto dello studio Gregotti Associati), ridisegnano la citt sulla base della presenza di vuoti industriali da riempire disposti lungo la cosiddetta spina centrale. Architettura come simbolo del rinnovamento In molte citt europee, gli interventi sui vuoti industriali assumono il ruolo di grandi progetti di rinnovo urbano. Centri direzionali, quartieri espositivi, centri culturali e di intrattenimento, edifici per servizi e uffici, parchi tecnologici e grandi strutture culturali o sportive divengono il cuore di importanti processi di cambiamento delle citt,

concentrano su di s ingenti investimenti, non solo finanziari, ma anche organizzativi e simbolici, sono presentati allopinione pubblica come necessari per rilanciare lo sviluppo economico delle citt in crisi (cfr. cap. 9). Questi progetti sono spesso connotati da edifici ad alto contenuto evocativo e simbolico che richiamano la rinnovata vitalit delleconomia locale, il suo avanzato sviluppo tecnologico, la dimensione culturale internazionale della citt (Vicari Haddock, 2004, p. 112). Famosi architetti, i cui nomi si incontrano in tante citt (Franck Gehry, Renzo Piano, Sebastiano Calatrava, Rem Koolhass, Jean Nouvel, Richard Meyer, Daniel Libeskind, Zaha Hadid per citare i pi noti), diventano le firme che le citt si contendono per costruire o rilanciare, attraverso un insieme di edifici, limmagine urbana complessiva. Una rigenerazione urbana che si attua per grandi progetti, dunque: il Museo Guggenheim a Bilbao, lExpo 98 a Lisbona, la ricostruzione del centro storico e il progetto per la citt della scienza e delleconomia nella zona di Adlershof a Berlino, la trasformazione della sponda meridionale del Tamigi a Londra, il quartiere fieristico di Monaco, il Museo MAXXI a Roma. Neoliberismo urbano Nel complesso, processi che implicano una profonda trasformazione della citt, ma che poco o nulla hanno a che vedere con lattenzione ai temi della coesione sociale e che si risolvono spesso in meccanismi di pura valorizzazione immobiliare (Vicari Haddock e Moulaert, 2009). Processi attuati, anzi, allinterno di una visione della citt e del suo sviluppo in cui si ritrovano, in maniera pi o meno evidente, le caratteristiche del neoliberismo urbano (Brenner e Theodore, 2002a; 2002b): la citt non solo considerata come arena per la crescita e il dispiegarsi dei meccanismi del mercato, ma anche i temi della coesione sociale sono inglobati in questa visione e visti unicamente come risorse per la competitivit economica. Di fatto, tali principi portano alla progressiva divisione delle societ urbane in due grandi categorie:
coloro che hanno le competenze per integrarsi in questo nuovo sistema economico e, quindi, beneficiare dei vantaggi della ricchezza da questo creata e coloro che non possiedono tali competenze e che sopravvivono in condizioni sempre pi precarie e difficili (Vicari Haddock e Moulaert, 2009, p. 54).

Nuove forme di esclusione si sommano cos a quelli gi esistenti, nuove povert a quelle che tradizionalmente connotano la vita urbana, amplificate anche della ritirata del ruolo dello Stato nella fornitura dei servizi pubblici e, pi in generale, dalla crisi economica e culturale del welfare state (cfr. Fig. 8.4.). Bench estremamente visibili, questi processi non sono lunico modo in cui le citt europee attuano le proprie politiche di trasformazione. Programmi urbani dellUE A partire dagli anni Novanta, agli interventi prima descritti si affiancano programmi di rigenerazione urbana che si rivolgono maggiormente verso i temi originari della ricostruzione della qualit fisica e sociale della citt. Elemento trainante di queste politiche lUnione Europea che, pur non avendo competenze esplicite in materia, ha indotto una generale innovazione nella governance delle citt. Le iniziative e i programmi comunitari (lo Schema di sviluppo dello spazio europeo del 1999, le iniziative Interreg e Urban, la politica regionale e le modalit di gestione dei Fondi Strutturali, lAgenda territoriale dellUnione europea del maggio 2007) hanno infatti diffuso alcuni principi chiave e progressivamente modificato, in maniera diversa ma convergente, le modalit di azione dei governi locali (Janin-Rivolin, 2004). Particolarmente influente stata, in questo ambito, liniziativa comunitaria Urban nata proprio con lobiettivo di promuovere progetti e interventi innovativi per la rigenerazione urbana. URBAN Liniziativa Urban stata avviata nel 1994, dopo la precedente fase di sperimentazione dei cosiddetti Progetti Pilota Urbani (1989-1993). Urban I (1994-1999) ha interessato 118 citt europee, dando luogo ad unintensa attivit di progettazione a livello locale. Lesperienza continuata con Urban II (2000-2006), con interventi rivolti a citt e quartieri con una popolazione minima di 20.000 abitanti (anche se in alcuni casi

tale soglia stata abbassata a 10.000) e caratterizzati da situazioni particolarmente problematiche dal punto di vista socio-economico (disoccupazione, scarsa attivit economica, povert, emarginazione sociale, elevata presenza di immigrati e minoranze etniche, basso livello distruzione, elevata criminalit, andamento demografico instabile, precaria situazione ambientale). I programmi finanziati sono stati 70, 31 dei quali in quartieri del centro citt, 27 nelle periferie urbane, 4 in zone miste e 8 relativi ad intere citt. Le citt interessate sono centri di diversa dimensione e importanza: Berlino in Germania, Anversa in Belgio, Pamplona in Spagna, Lisbona in Portogallo, Strasburgo in Francia, Amsterdam e Rotterdam in Olanda, Vienna in Austria, Helsinki in Finlandia, Gteborg in Svezia, Bristol nel Regno Unito; in Italia, sono stati finanziati 10 progetti (Carrara, Caserta, Crotone, Genova, Milano, Misterbianco, Mola di Bari, Pescara, Taranto e Torino). Nel complesso, le caratteristiche di Urban possono essere riassunte nella messa in atto di azioni basate su (CE, 2003): approccio integrato ai problemi e alle opportunit della rigenerazione urbana, con particolare riferimento ai temi dellemarginazione sociale e della qualit ambientale; priorit delle strategie dellUnione europea, in relazione allintegrazione degli immigrati, allo sviluppo sostenibile, alle pari opportunit e alla societ dellinformazione; gestione locale delle iniziative, con il forte coinvolgimento degli abitanti nelle fasi di ideazione e di gestione dei progetti; processi di apprendimento, con lanalisi e lo scambio di esperienze e buone pratiche allinterno di un gruppo composto da circa 200 citt. Liniziativa Urban ha permesso di sperimentare alcune innovazioni nella governance urbana delle citt europee: interventi mirati su aree relativamente ridotte allinterno di alcune citt (e quindi territorializzazione delle politiche, con attenzione specifica alle potenzialit di trasformazione e ai problemi dei diversi luoghi); integrazione (di attori, fonti di finanziamento e iniziative operanti nel settore sociale, ambientale ed economico, con il superamento di una visione monosettoriale dei problemi urbani e delle iniziative da intraprendere); diffusione di metodi e tecniche per la partecipazione diretta dei cittadini ai processi decisionali (e quindi costruzione di pratiche di democrazia deliberativa) (Elster, 2009). 8.5.2. Governance della citt e promozione dello sviluppo economico urbano Accanto alle azioni di governance urbana che, in maniera diversa e anche contraddittoria, sono rivolte alla rigenerazione della citt, un secondo ambito di politiche urbane in cui si individuano tracce di governance quello delle politiche per la competitivit. Queste azioni sono variamente intrecciate alle precedenti, bench si pongano come esplicito obiettivo lo sviluppo economico urbano e il coinvolgimento degli attori forti (investitori, imprenditori ecc.). Nellambito di queste politiche, nel corso degli ultimi venti anni, molte citt europee hanno attuato piani strategici e di marketing per promuovere la propria posizione nella gerarchia internazionale. In queste forme di governance, le citt sono quindi considerate come attori competitivi che agiscono nel mercato globale, competendo con altre citt, per accaparrarsi risorse scarse (eventi, investimenti ecc). Pianificazione strategica Piani strategici e strategie di marketing urbano, pur condividendo gli obiettivi di fondo, non sono per la stessa cosa. I piani strategici presentano una maggiore strutturazione concettuale. Secondo Gibelli (1997), in particolare, esistono tre famiglie di pianificazione strategica, corrispondenti anche a diverse fasi storiche: lapproccio sistemico degli anni Sessanta, lapproccio aziendalista degli anni Ottanta, e lapproccio reticolare-visionario che si fa strada dagli anni Novanta. Mentre le prime due famiglie sono segnate da alcuni limiti (la prima, da un elevato livello di astrazione e dalla debole interazione fra gli attori; la seconda,

dallovvia radice economicista, che riduce il governo della citt al governo di unimpresa), la terza famiglia presenta alcuni elementi di innovazione in termini di governance urbana. Nei piani strategici del terzo tipo, infatti, il coinvolgimento delle lites urbane non un fine in s, ma una modalit attraverso cui definire obiettivi condivisi, da raggiungere in un arco di tempo medio-lungo (cinque-dieci anni), e strategie comuni per perseguirli. Secondo Bobbio (2002), la scommessa della pianificazione strategica quella di creare un orizzonte condiviso che diventi patrimonio di tutti gli attori in gioco e li stimoli a muoversi, nelle loro scelte puntuali, in modo coordinato (p. 131). A partire dalla fine degli anni Ottanta, molte citt europee hanno elaborato piani strategici. Lesempio pi significativo, e pi citato, quello di Barcellona che nel 1988, per prepararsi alle Olimpiadi del 1992, ha iniziato un processo di pianificazione strategica, pi volte ridefinito. Altre citt sono poi seguite: Lione, Glasgow, Bilbao, Stoccarda, Sheffield (Perulli, 2004). In Italia, prima citt a dotarsi di un Piano Strategico stata Torino, nel 2000, con un piano che poi stato aggiornato e rivisto nel 2006, cui si sono rapidamente affiancate La Spezia, Firenze, Cagliari, Asti, Bari, Bolzano, Carbonia, Jesi, Prato, Venezia, Napoli e altre ancora, estendendo nel territorio italiano, da Nord a Sud, in citt di diversa dimensione, con diverse opportunit di sviluppo e problematiche da affrontare, questa modalit di governance urbana, anche grazie al finanziamento del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti per favorire la diffusione di tali iniziative. Accanto alla diffusione delle esperienze, un elemento di interesse il progressivo allargamento della dimensione territoriale cui si rivolge la pianificazione strategica. Mentre infatti, nella prima fase, essa riguardava per lo pi il comune centrale delle agglomerazioni urbane, secondo una concezione strettamente amministrativa del territorio di riferimento, successivamente sono stati elaborati processi di pianificazione strategica a scala metropolitana, anche in situazioni, come quella italiana, in cui la delimitazione delle aree metropolitane non formalmente definita nonostante il continuo richiamo alla necessit della sua istituzione almeno dalla legge 142 del 1990 (Bartaletti, 2009). Un tale percorso, come testimoniano ad esempio sia lesperienza di Barcellona sia quella di Torino, sembra indicare la progressiva assunzione di consapevolezza che la pianificazione strategica dello sviluppo urbano debba necessariamente confrontarsi con la scala metropolitana. Marketing urbano Rispetto alla pianificazione strategica, il marketing urbano appare meno strutturato, anche perch lapplicazione delle strategie di marketing alle politiche urbane e territoriali pi recente (Ave e Corsico, 1994). Secondo Ashworth (1995), il marketing delle citt nasce per rispondere al nuovo insieme di obiettivi e aspettative cui i soggetti pubblici sono chiamati a rispondere nel nuovo clima economico e politico che si innesca a partire dagli anni Ottanta, pur in una fase di generalizzata contrazione delle risorse finanziarie. Le citt devono contendersi lattrazione di residenti, turisti, investimenti, imprese: la concorrenza e la competitivit urbana determinano quindi la necessit di messa a punto di nuovi strumenti di gestione, tra cui il marketing e la comunicazione assumono un ruolo centrale. Il marketing urbano si inserisce quindi pienamente in quelle politiche urbane orientate al mercato pi volte ricordate: in questo contesto, esso si configura come attivit di comunicazione e promozione della citt, in quanto prodotto da vendere, rispetto a potenziali investitori, locali, nazionali o internazionali (Vicari Haddock, 2004, p. 99). chiaro che la citt non un prodotto economico, che non si pu vendere come una merce. Il marketing urbano presenta quindi forti margini di ambiguit. Del resto, come dice Salone,
sotto letichetta marketing territoriale vengono accomunate politiche ed azioni anche molto diverse fra loro: interventi di ridefinizione/riqualificazione su parti pi o meno vaste del tessuto urbano, connessi con politiche di valorizzazione immobiliare delle aree centrali e delle periferie interne; casi sempre pi frequenti di promozione di aree destinate ad accogliere attivit integrate nel campo della ricerca e dello sviluppo (poli tecnologici, parchi scientifici ecc.), con i dispositivi

pubblicitari e di commercializzazione immobiliare che pure tutto ci comporta; la predisposizione di azioni integrate per la localizzazione di impresa da parte di agenzie di sviluppo e per la promozione di investimenti esteri (2005, p. 118).

Per orientarsi in questo ampio catalogo, possibile identificare quattro campi principali di azione del marketing urbano: lattrazione di nuovi investimenti; il mantenimento del tessuto economico e produttivo esistente; lagevolazione della fuoriuscita dal mercato di imprese obsolete o di produzioni non attrattive; la promozione dellimmagine della citt come sede ideale per gli investimenti. Nelle forme pi banali, solo questultimo aspetto che viene praticato: si usa cio una parte, la promozione dellimmagine della citt, per il tutto. Sono cos prodotte campagne pubblicitarie per comunicare e vendere la citt e questultima ridotta a brand. Viceversa, proprio nelle pi impegnative linee di azioni rivolte alla ridefinizione delle economie urbane che si annida lelemento pi interessante della possibilit di applicare il marketing alla citt. La possibilit cio di definire unazione di governance urbana esplicitamente orientata alla domanda, cio ai consumatori, effettivi o potenziali, dellofferta urbana (Dematteis, 1994). Aspetti critici Nel complesso, attraverso le diverse forme di governance urbana per la promozione della competitivit e lo sviluppo economico, le citt europee hanno messo in atto strategie pi o meno efficaci per
sviluppare servizi innovativi e specializzati, attrarre funzioni pregiate e visitatori (turisti e varie categorie di city users), costruire un ambiente favorevole allinsediamento del grande business, diffondere unimmagine attraente [] sfruttare i grandi eventi sportivi, culturali o religiosi per rinnovare le proprie infrastrutture e farsi conoscere (Bobbio, 2002, p. 129).

Lelemento maggiormente innovativo di queste modalit di governance costituito dal riferimento ad una dimensione strategica del governo urbano, che segnala un cambiamento di segno in una prassi a lungo centrata su una visione strettamente tecnica della pianificazione territoriale. Il contenuto strategico del governo urbano pone al centro del processo di pianificazione il confronto con le dinamiche politiche e sociali delle citt, con i rapporti di potere presenti al loro interno, con i flussi e le relazioni sovra-locali in cui le citt sono inserite. Anche in questo caso emergono per alcuni limiti. In primo luogo, la governance urbana che prende forma attraverso piani strategici o azioni di marketing appare spesso come un insieme di obiettivi generici o come un catalogo piuttosto banale di buone intenzioni (Bobbio, 2002, p. 131), incapaci quindi di esprimere una capacit effettiva di azione. Bobbio prosegue, per, sostenendo che in molti casi limpegno collettivo volto a individuare le scelte di carattere strategico ha fatto compiere notevoli passi in avanti (p. 131). Se questo vero, va per segnalato un secondo limite. Altrettanto spesso, infatti, queste forme di governance appaiono solo dei vaghi tentativi per affermare lesistenza di una dimensione aggregata degli interessi e, ancora pi di frequente, difficile percepire dai piani strategici e ancora di pi dalle azioni di marketing urbano la presenza di differenti visioni strategiche del governo delle citt. In questo modo, la governance finalizzata allo sviluppo economico e alla competitivit rischia di ridursi alla promozione della strategia di sviluppo espressa dai regimi urbani dominanti e dalle coalizioni di interesse che governano le citt, senza dare spazio a visioni alternative o diverse dello sviluppo urbano.

Governance territoriale (1) Il termine governance urbana e territoriale utilizzato nel dibattito internazionale per indicare un cambiamento sia degli obiettivi delle politiche e degli interventi (dal controllo della crescita alla promozione dello sviluppo locale), sia delle forme dellazione (dalla imposizione autoritativa delle

scelte alla costruzione negoziale del consenso attorno a specifici progetti). Essa definisce una modalit di coordinamento delle dinamiche economiche, sociali e territoriali che si basa sul coinvolgimento e sulla partecipazione volontaria di una molteplicit di attori. Il termine governance molto diffuso, nonostante sia ambiguo e controverso. Alla sua diffusione hanno contribuito in maniera non marginale le organizzazioni internazionali. Negli anni 80, la Banca Mondiale ha introdotto il termine di good governance per identificare i propri obiettivi e le proprie modalit di intervento nei paesi terzi. La good governance cos stata assunta come metodologia guida delle politiche della Banca Mondiale, legittimandone lintervento nei paesi in via di sviluppo e portando alla diffusa applicazione di alcuni principi di ispirazione imprenditoriale e neo-liberista. Governance territoriale (2) Nel luglio del 2001, lUnione Europea ha promulgato il Libro bianco sulla governance europea in cui sono definiti i principi generali relativi alluso del termine e alle possibilit di applicazioni di tale modello di azione in ambito comunitario. La good governance comunitaria indicata e assunta come strategia generale per il rafforzamento dei principi basilari di proporzionalit e di sussidiariet posti alla base del processo di integrazione europea. Nelle indicazioni del Libro bianco, governance diviene sinonimo di cambiamento, con particolare enfasi sui seguenti aspetti: partecipazione dei cittadini alle tematiche europee; riforma del processo di elaborazione e di attuazione delle politiche; miglioramento dellesercizio delle responsabilit esecutive dellUe, attraverso la decentralizzazione delle competenze e lapplicazione del principio di sussidiariet; promozione della coesione territoriale; costruzione di una world governance; rafforzamento dellintegrazione e della dimensione strategica delle politiche comunitarie.

Il caso di Cagliari Ambito territoriale Piano strategico Tavoli tematici Attori coinvolti Esempi di luoghi, attori, pratiche Betile Terminal crocieristico Marina caf noir Conclusioni La pianificazione strategica uno strumento di politica urbanistica e territoriale che ha iniziato ad essere applicato nei paesi dellEuropa occidentale a partire dagli anni Novanta, e che in tempi pi recenti ha acquisito consensi ampi in seno alle amministrazioni locali. Il suo successo si innestato nella discussione sulla centralit delle metodologie classiche di pianificazione territoriale, fondate sul primato della funzione regolatrice e vincolistica del piano. Ladozione di un approccio strategico alla pianificazione urbana e territoriale ha oggi leffetto di generare profondi cambiamenti nelle arene istituzionali delle citt e delle regioni dellEuropa contemporanea che hanno deciso di farlo proprio. Almeno nelle esperienze pi significative, ne conseguita una spinta diffusa alla riconfigurazione e riorganizzazione delle relazioni di governo urbano; in particolare, al tentativo del superamento (spesso, non si sa quanto utopistico o velleitario) di una logica corporativa di mobilitazione sociale e alla ricerca di una nuova visione condivisa dello sviluppo. Tali modalit di governo del territorio si originerebbero evidentemente non tanto a partire dallautorit di un attore dotato di poteri esclusivi e coercitivi, quanto da pratiche concrete e quotidiane di confronto, di negoziazione e di coordinamento degli interessi.

Lopera di sintesi , in realt, un esercizio di selezione tra attori, interessi e spazialit il processo di pianificazione strategica prenderebbe forma sulla base dellindividuazione di una selezionata serie di assi dazione e obiettivi relativi : - al mero uso del suolo e alle destinazioni funzionali degli spazi urbani; - alla protezione delle risorse ambientali; - alla valorizzazione delle potenzialit culturali e artistiche della comunit locale; - (pi in generale) agli investimenti volti alla riqualificazione del patrimonio fisico e culturale della citt. In molti casi, le esperienze di pianificazione strategica hanno svolto un ruolo importante anche nel ripensare la forma delle citt, e nellaffermare visioni geografiche degli spazi urbani che sono il riflesso della progettualit espressa dagli attori locali (Healey, 2004). Anche in Italia le iniziative di pianificazione strategica sono state adottate fin dalla seconda met degli anni Novanta, avendo come protagoniste dapprima citt di dimensione grande o medio-grande, collocate per lo pi nellarea centro-settentrionale del Paese : Milano, Torino, Firenze Le esperienze di pianificazione strategica hanno suscitato entusiasmi e rinnovati sentimenti di partecipazione alla vita urbana nelle lite come nelle pi ampie collettivit locali. Tuttavia, non hanno mancato di stimolare riflessioni critiche, in particolare sul carattere retorico o comunque vago e debolmente articolato di molti propositi annunciati nei programmi. rischio di adottare ricette e pratiche, idee, politiche preconfezionate, originariamente riferite ad altri territori, con i limiti di meccanismi partecipativi costruiti secondo modalit al fondo opportunistiche ovvero dettati da finalit di mero consenso politico. Comuni dell'area vasta di Cagliari: 1. Pula; 2. Villa San Pietro; 3. Sarrch; 4. Capoterra; 5. Assemini; 6. Decimomannu; 7. Elmas; 8. Cagliari; 9. Monserrato; 10. Selargius; 11. Sestu; 12. Settimo S. Pietro; 13. Sinnai; 14. Quartu S. Elena; 15. Quartucciu; 16. Maracalagonis Cagliari - Area vasta Ladozione di una scala intercomunale di intervento e pianificazione strategica si presenta quanto mai necessaria alla luce delle evoluzioni (tuttaltro che lineari e spesso contraddittorie) dei quadri ambientali e territoriali della regione urbana cagliaritana che possiamo riassumere in tre punti: - formazione di un sempre pi vasto e denso continuum edificato, a seguito di fenomeni di suburbanizzazione via via pi intensi; - conseguente diffusione dei servizi alle persone in un ampio numero di comuni, anche di piccola dimensione; - rinnovata centralit della citt capoluogo sotto il profilo delle funzioni politico-amministrative e del terziario evoluto , terziarie, quaternarie, simboliche, di immmagine, culturali. Si tratta di un processo gi avvenuto in molti spazi urbani e che produce, tra laltro, un cambiamento duso della citt . Nel riassetto della distribuzione della popolazione si compone una articolazione rinnovata: Alla tradizionale dualit centro-periferia (composta anche di pendolarismo) si aggiunge la categoria dei city users o consumatori metropolitani. Non quantificabili statisticamente, sono difficili anche da determinare: si tratta di turisti, uomini daffari, studenti, pubblico di eventi, frequentatori temporanei.

SI delinea cos un passaggio concettuale di forte impatto (anche se ancora da approfondire) che vede coloro che vivono la citt trasformarsi da cittadini/abitanti (definizione politica oltre che urbanistica), in utenti-consumatori I discorsi della politica e i piani delle politiche assumono posizionamenti che sospingono il potere alladozione della governance: Da una parte la costruzione del processo di pianificazione presuppone la partecipazione quasi sondaggistica o da indagine marketing dei consumatori-utenti della citt Dallaltra, le misure, i piani,i progetti si reindirizzano verso lofferta in grado di soddisfare (o produrre) lutenza/consumo: usi semi-permanenti, spazi per esigenze commerciali, individuazione di spazi-palinsesto dinamici per usi elastici destinati al consumo di servizi. Come tutte le delimitazioni volte a fini politico-amministrativi, anche lindividuazione dellarea vasta di cui si tratta esprime caratteri di inevitabile arbitrariet, soggetti a essere messi in discussione: essa infatti potrebbe essere estesa nel rispetto delle ripartizioni provinciali e sulla base di evidenti interconnessioni e integrazioni di carattere funzionale, sia a nord, lungo i pi importanti assi stradali che collegano il resto dellIsola, sia verso sud-ovest e sud-est, comprendendo comuni che condensano risorse di valore strategico per larea (sul piano turistico, ad esempio, il comune di Villasimius), attualmente esclusi dalla delimitazione. Sulla scena politica e lungo il percorso della pianificazione strategica si presentano molti operatori istituzionali - Il Forum des Sindaci (i 16 comuni della Area Vasta) convocato in forma periodica e che produce (dicembre 2005) un documento metodologico ecoomico e amminisrativo nel quale vengono esposte gli assi generali Piano strategico intercomunale (Area Vasta di Cagliari, 2005). - Il Comune di Cagliari protagonista del Piano strategico della citt che, naturalmente considerata alla scala intercomunale. - La Provincia che prepara un Piano strategico consacrato soprattutto alla scala del territorio metropolitano di Cagliari (tutto da definire) - La Regione Autonoma della Sardegna che definisce il piano strategico regionale e gioca ruoli importanti determinati dalla sua capacit economico-politica legata anche allo Statuto speciale Nel dicembre del 2005 i sedici comuni hanno sottoscritto un documento di valore metodologico, economico e amministrativo, nel quale sono esposte le linee generali del Piano strategico intercomunale (Area Vasta di Cagliari, 2005). Liniziativa dunque promossa dalle amministrazioni comunali che si riconoscono nella pianificazione strategica, con ladesione di altri attori istituzionali quali la Provincia (di Cagliari) e la Regione, e la partecipazione degli attori locali (stakeholder), vale a dire quei gruppi, persone o istituzioni portatori di interessi specifici (Ibidem) motivati a offrire il proprio contributo alliniziativa e allesperienza. Naturalmente, le maggiori aspettative si concentrano nel processo di elaborazione intrapreso dal capoluogo: nel bene e nel male: - da un lato per il contributo al processo di coesione e integrazione territoriale che il capoluogo stesso pu apportare allinsieme dellarea vasta; - dallaltro per la condizione di dipendenza economica, funzionale e politica che scaturisce dal primato incontrastato di Cagliari (cfr. Lee, 2000).

Nel maggio del 2007 lAmministrazione comunale di Cagliari convoca una conferenza cittadina allo scopo di presentare le linee fondamentali che dovranno orientare il Piano Strategico. Lelemento distintivo della pianificazione strategica di Cagliari risiede nel fatto di svolgersi a una duplice scala geografica: comunale e inter-comunale. La scala intercomunale chiama in causa unarea vasta formata da sedici comuni, identificati dal documento di programmazione regionale del Por Sardegna 2000-2006, i quali si riconoscono a livello politico-istituzionale in un Forum dei Sindaci promosso con cadenza periodica Articolazione del Piano 1 conferenza di presentazione del processo di pianificazione strategica; 2 formulazione e comunicazione di una strategia collettiva e partecipativa per il governo della citt 3 esibizione dottimismo progettuale e di volont di cambiamento nellapproccio alla gouvernance locale; 4 protagonismo o, meglio, sollecitazione al protagonismo degli attori locali (citt, zona vsta o metropolitana, regione) soprattutto centrata nellistituzione e apertura dei tavoli tematici di consultazione. Sono stati individuati cinque tavoli tematici che guideranno il confronto, ciascuno dei quali impegnato nella scelta di un tema rilevante e nella selezione dei relativi assi strategici di intervento (Amministrazione Comunale di Cagliari, 2005). I temi rilevanti individuati nel documento di piano prendono in considerazione unampia variet di assi strategici, che vanno dalle problematiche inerenti la qualit urbana a quelle riguardanti linternazionalizzazione delle funzioni della citt, la valorizzazione dei saperi locali e il potenziamento dei distretti produttivi e tecnologici. Attori coinvolti Totale 295 Di cui 118 presenti in un solo tavolo (40%) 66 nei tavoli 4 e 5 E plausibile associare i 5 temi in due classi pi generali: MATERIALE: i due primi assi (la citt, ledilizia, la riqualificazione, la costruzione delle reti e dei rapporti, linfrastrutturazione, ecc. la citt produttiva, che garantisce valore aggiunto economico (edile, mercantile, che cresce e si estende, industriale, politica, imprenditrice)) IMMATERIALE e secondi tre assi che comprendono (tra laltro) : cultura, identit, formazione, conoscenza, coesione e pratiche sociali e del meticciato interculturale. la citt che vive, si incontra, scambia, innova, crea, conosce, si mostra). Attori pubblici - PARTECIPAZIONE MAGGIORE NEI TAVOLI DI INDIRIZZO VERSO LA CITT MATERIALE - DEBOLE PARTECIPAZIONE NELLA CITT IMMATERIALE - PARTECIPAZIONE STANDARDIZZATA IN TUTTI I TAVOLI Attori pubblico/privati : associazioni, corporazioni, - Maggioritaria vocazione immaterale - Appartenenza politica degli attori associativi - Differenziazione nella taglia dei partecipanti

Attori privati - PRESENZA PREDOMINANTE NEL SETTORE TERZIARIO - RIDONDANZA NEL SETTORE TURISTICO - PRESENZA SETTORE EDITORIALE Nei discorsi. Il Piano Strategico coltiva, da un lato, lambizione di istituzionalizzare (o codificare, se si vuole) le visioni inevitabilmente differenti che coesistono allinterno di un campo urbano complesso e denso di potenzialit; dallaltro, lobiettivo di definire una strategia comune, condivisa dagli attori che partecipano al confronto e alla negoziazione delle scelte di sviluppo urbano e territoriale. Tuttavia, il processo politico che il Piano metter in campo non sar neutrale: non vi sono attori e reti relazionali che esistono di per s, al di fuori della arena della policy; piuttosto il processo stesso di policy che ha il potere di creare soggetti e alleanze, potenziando il ruolo di alcuni attori, reti e spazi geografici anzich di altri (Jones, 1997; Uitermark, 2005). Conclusioni Le contraddizioni delle fast policies (politiche di accelerazione) in contesti istituzionali lenti come quelli del Mezzogiorno italiano Lesito una deformazione del carattere strategico-relazionale che esaspera le finalit di consenso politico del piano e le tradizionali componenti di retorica nellamministrazione locale La formazione dellattore collettivo , in realt, un silente processo di identificazione selettiva degli attori e di esclusione di alcuni attori rispetto ad altri Ladozione di modalit post-democratiche di governo urbano rischia in realt di sancire il deperimento della democrazia urbana e delle possibilit di contare di pi per gli attori pi deboli Tra processo di formazione e comunicazione della pianificazione strategica di Cagliari e la partecipazione attiva degli attori sociali ed economici si compone uno iato sostanziale: da una parte linvestimento dallalto (istituzionale, imprenditoriale, politico) e dallaltro alcune occasioni di attivismo culturale urbano sostanzialmente slegate dai processi di conduzione strategica della citt. Al centro alcuni spazi, oggetti, luoghi, elementi, gruppi, afferenti alluna o allaltra parte della comunit urbana. Ci pare fondamentale approfondire la disamina delle relazioni di potere al tempo stesso oggetto e soggetto del processo di negoziazione delle scelte, per poter decifrare dietro una apparente pretesa di obiettivit e di equidistanza i veri interessi in gioco nella citt. Losservazione critica deve consentire di gettare luce sui nuovi rapporti di gerarchia (e relative disuguaglianze) fra gli attori, in una prima fase lasciati nellombra dalla retorica del consenso.

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