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Full Download Chi Ha Tradito L Economia Italiana 5Th Edition Nino Galloni Online Full Chapter PDF
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Nino Galloni
www.editoririuniti.it
ISBN 978-88-6473-161-2
Chi ha tradito
l'economia italiana?
Quinta edizione
Editori Riuniti
university press
V edizione luglio 2014
www .editoririuniti.it
13 Premessa
L'evoluzione dell'attuale crisi mondiale
29 Capitolo l
Dall947 al1962
1 . 1 . Le svolte del 1947 e l'impostazione degasperiana, p. 31 -1.2.
Le partecipazioni statali, p. 36 - 1.3. Dall'omicidio di Mattei ai pro
dromi del centro-sinistra, p. 4 1
45 Capitolo 2
Gli anni '60 e '70
2 . 1 . L'Italia ha un ruolo nello scacchiere internazionale, p. 47 -
2.2. Fiducia negli affari, investimenti elevati e valore dei patrimoni,
p. 50 - 2.3. Piccole imprese e strane virtu della lira, p. 52 - 2.4.
Un Paese che va troppo bene: bisogna ammazzare qualcuno, p. 54
59 Capitolo 3
Dal <<divorzi m> tra Tesoro e Banca d'Italia
alla messa a regime delle privatizzazioni
3.l. La crisi della sovranità p olitica e la sterilizzazione dello svi
luppo, p. 6 1 - 3.2. La fine della sovranità monetaria come puni-
zione della politica, p. 68 - 3 .3 . Restrizioni del bilancio pubblico
e svendita delle imprese partecipate, p . 75 - 3 .4. La riforma del
mercato del lavoro e la negazione delle strategie per l'industria, p.
78 - 3.5. Il ribaltamento del rischio sulla società civile come ele
mento fondamentale della insostenibilità dell'attuale modello eco
nomico, p. 84 - 3 .6. Le ripercussioni sulle grandi reti infrastrut
turali, la ricerca e l'innovazione applicata, p. 85 - 3. 7. La mancata
attuazione della Costituzione e la sottrazione della politica al
l'elettorato, p. 9 1
95 Capitolo 4
n nuovo millennio:
dopo la fine della globalizzazione, il nulla?
127 Conclusione
Come contrastare la catastrofe?
VIII
vrebbe superarli sebbene quest'ultima sia al 99° posto come
reddito pro-capite ed i primi al 12 °), mentre l'India (al 12 r
posto come reddito-procapite) appaia come la terza potenza
prima di Giappone, Germania, Russia e Brasile; seguono al
l'ottavo posto la Francia, al nono il Regno Unito, al decimo
l'Indonesia che precede Italia e Messico. Se invece si guarda
alle capacità di acquisto interne, il Giappone balza al terzo po
sto (dopo Cina ed USA), la Germania è quarta, la Francia
quinta e precede Inghilterra e Brasile, poi ottava l'Italia, nona
l'India e decima la Russia (fonte citata, pag. 8 1).
Dunque, è in corso un certo rimescolamento di carte, dove
le nuove potenze si stanno distinguendo per rincorsa ai livelli
produttivi dei Paesi di più antica industrializzazione; per
tanto, decisivi saranno i nuovi equilibri geopolitici e le scelte
dei modelli economici che dipendono anche dalla disponibi
lità di tecnologie adatte al sostegno di dinamiche demografi
che così diverse.
Per fare ipotesi ragionevoli circa non solo il futuro che ci
attende, ma anche il presente che non risulta affatto chiaro,
forse occorre riassumere i passaggi precedenti l'attuale fase.
IX
Si tratta di un capitalismo sostenibile, espansivo, manage
riale, keynesiano. I guadagni di produttività venivano divisi tra:
i lavoratori (questo modello presuppone democrazia e forti
sindacati); lo Stato; i capitalisti o proprietari. I primi fuoriu
scivano, dunque, dalla loro condizione di «proletari» e par
tecipavano alla spartizione del profitto; il secondo spendeva
per l'istruzione a tutti, la sanità universale, i trasporti pubblici,
così sgravando la classe media che poteva destinare il maggior
reddito ai consumi; i terzi, pur assistendo ad una possente ri
valutazione dei loro patrimoni - determinata dalle continue
prospettive di vendite e sviluppo- soffrivano non solo del li
vello non così soddisfacente dei profitti correnti, ma soprat
tutto del ruolo poco importante che giocavano nella società
e nell'impresa.
Questo tipo di capitalismo, proprio perché voleva espan
dere le vendite ed i mercati, sosteneva redditi e consumi,
massimizzando produzione ed utilizzo delle risorse: quindi, i
manager portavano alla crescita del valore dell'investimento,
ma spingevano in su l'occupazione fino a ridurre significati
vamente la redditività di esso. Ciò accadeva, ovviamente, non
solo se la derivata prima (incremento) dei salar� fosse stata
maggiore di quella della produttività, ma anche se l'incre
mento dell'occupazione superava la derivata prima della pro
duttività: ecco la via maestra per far crescere occupazione, pro
duzione, profitti, consumi e far decrescere i saggi di profitto
(la redditività dell'investimento). Su questo, è evidente, Marx
e Keynes avevano detto cose tra loro compatibili. Owia
mente, la cultura del tempo - da costi decrescenti e, quindi,
con sprone ad aumentare redditi, produzione e consumi- po
teva venir improntata da maggiore sobrietà, vale a dire crescita
dei salari in linea con l'andamento della produttività.
Così, l'alto livello dell'impiego portava a ridurre il saggio
di rendimento del capitale: contro questa situazione i pro
prietari (capitalisti) cominciarono a reagire nella società e
x
nell'impresa. Così Marx che aveva previsto un conflitto mor
tale tra forze produttive ed organizzazione Jel sistema- e che
in questo era stato smentito dall'esistenza di un capitalismo
molto espansivo - rientrava in gioco grazie alla prospettiva di
un azzeramento della redditività Jel capitale (finanziario)
quando si optava per una riduzione del conflitto tra forze pro
duttive e organizzazione della società.
La critica - anche ambientalistica - al consumismo, il
problema dell'inflazione (da costi), la demonizzazione
della spesa pubblica e delle tasse provocarono una cultura
reazionaria e neoconservatrice che uscì dai suoi ambiti na
turali ed invase gli stessi ambienti politici che, pure, ave
vano sostenuto il trentacinquennio di marcata crescita
economica.
Gli economisti (quelli di una volta) sapevano che la pro
duttività non poteva crescere di più dei salari; e, se i salari cre
scevano di più della produttività, c'era una parte dell'incre
mento che si perdeva per l'inflazione, ma l'occupazione
cresceva. Viceversa, con salari che crescono entro la produt
tività l'equilibrio (teorico) dei prezzi è garantito, tuttavia l'oc
cupazione si riduce se non si fanno innovazioni di prodotto:
ma, se sobrietà, parsimonia, austerità divengono obiettivi, al
lora si ritorna a far crescere i salari di meno della produttività
e, infine, a ridurli a prescindere dall'andamento di essa. Ecco
la via maestra per le crisi di sovrapproduzione, tipiche del ca
pitalismo arretrato, ma con alti indici di profitto: una parte dei
mancati guadagni dei lavoratori poteva ben servire il paga
mento di nuovi economisti che predicassero i limiti dello svi
luppo ovvero quello dei redditi non da capitale.
In effetti, se i salari crescono costantemente oltre la pro
duttività si hanno inflazione, piena occupazione, consumismo
illimitato: quindi si sarebbe dovuto intervenire su una dina
mica insostenibile, ma senza giungere a politiche deflattive,
alta disoccupazione, ecc.
XI
Così, dopo il 1979, la ricerca di elevata remunerazione del
risparmio, la fine della solidarietà fra Paesi diversamente abili
nel commercio internazionale, la priorità nella lotta all'infla
zione, la sottrazione di sovranità monetaria agli apparati sta
tali spinsero in un'unica direzione: l'aumento vertiginoso dei
tassi di interesse sulle obbligazioni.
Dopo il G7 di Tokio ed i contemporanei e di poco suc
cessivi accordi in Europa, infatti, i Paesi deboli - non po
tendo più svalutare per riequilibrare i loro conti con
l'estero - dovevano far crescere i tassi di interesse allo
scopo di attirare capitali dall'estero e iniziare a svalutare i
salari interni. Viceversa, i Paesi «forti», non dovendo più ri
valutare, potevano tener bassi i tassi di interesse ed au
mentare i loro investimenti in tecnologia ed innovazione, di
venendo sempre più forti: ecco un bel modello economico
non sostenibile! Esso dura, infatti, solo una dozzina d'anni
e si schianta con la crisi del Sistema Monetario Europeo
(settembre 1992) che riporta repentinamente i tassi obbli
gazionari verso le medie storiche.
Ma la frittata è fatta: l'orizzonte temporale delle imprese si
è accorciato (durante gli anni '80, metà dei profitti e degli in
vestimenti è attirato dal rendimento delle obbligazioni), di
minuisce l'occupazione e, con essa, i salari; i proprietari ri
conquistano la scena in azienda potendo scegliere fra
investimenti reali e finanza e, nella società, propugnano una
cultura contraria alla solidarietà; gli investimenti pubblici e la
spesa sociale risultano fortemente ostacolati dagli alti tassi di
interesse e il debito pubblico esplode.
Questa seconda fase capitalistica può esser definita (di ri
vincita) dei proprietari e riguarda asimmetricamente la di
mensione del capitale: rigida culturalmente per quanto ri
guarda il risparmio e i grandi investitori (anche istituzionali,
fondi pensione e fondi di investimento), più flessibile per
quanto riguarda le piccole imprese dove la figura del pro-
XII
prietario coincide fisicamente con quella dell'imprendi
tore/manager. Quando la crisi si farà sentire di più, tale ca
ratteristica risulterà decisiva per la soprawivenza dei piccoli
imprenditori.
Dunque, la fine della fase (di rivincita) dei proprietari, la
scia a questi ultimi, dopo il 1992 ed il ritorno a tassi obbliga
zionari contenuti, la decisione di portare il capitale verso le
borse: inizia così una tipica fase finanziaria che durerà, ap
punto, fino all'inizio della speculazione al ribasso appena il pe
riodo di rialzi si concluderà con la primavera del 200 1 . Co
mincia da qui, nel 200 1 , la classica crisi finanziaria del
capitalismo, quando anche i comparti trainanti (elettronica, e
economy, ecc.) subiranno le conseguenze di una domanda
non più in linea con le capacità dell'offerta; ma, come si ve
drà, l'evoluzione di tale crisi sarà diversa e inaspettata ri
spetto alle consuete crisi finanziarie del capitalismo (perché
porterà a un modello nuovo pur con molte delle sciagure ti
piche di tali circostanze).
Ma restiamo ancora un attimo sulla fase finanziaria 1 992-
2001: in essa prendono il soprawento gli investitori istitu
zionali ed i fondi pensione i quali (contrariamente agli ab
bagli di chi vi aveva voluto vedere chissà quale meraviglia
di progresso capitalistico) ragionano esattamente da pro
prietari, in modo gretto. I profitti elevati saranno frutto di
riduzioni dell'occupazione maggiori di quelle produttive,
peraltro asseverate dal nuovo verbo della globalizzazione
che, in nome delle riduzioni salariali, giustificherà la vitto
ria del produttore meno onesto e peggiore: colui che pa
gherà di meno per la manodopera, l'ambiente, la salute. Ma
tant'e '... .
'
XIII
Vince, dunque, una cultura da costi crescenti che consente
l'abbassamento delle barriere all'entrata per i nuovi compe
titori e sposta il focus su una riduzione dei costi stessi ottenuta
cancellando la macroeconomia- vale a dire il nesso tra an
damento dei conswni e livello delle vendite- grazie, infatti,
ad un calo occupazionale strategico.
Nel frattempo, quindi durante questa terza fase, le banche
hanno ottenuto il ripristino del modello universale: potranno
convogliare capitali e rispanni verso impieghi speculativi e non
dovranno più attenersi alla regola di netta separazione tra chi
esercita il credito e chi svolge attività finanziaria a vario ter
mme.
Quindi, quando iniziano la crisi (tarda primavera del200 1)
e la speculazione al ribasso, le banche che, intanto, avevano
assunto impegni di elevata remunerazione dei titoli da loro
stesse emessi, iniziano operazioni di derivazione (inizialmente
per difendere il reddito dei loro clienti) nella prospettiva di
una celere ripresa: prospettiva rapida, certa, autorevolmente
sostenuta, ma senza ragioni o spiegazioni scientifiche.
Infatti, di trimestre in trimestre, di semestre in semestre, di
anno in anno abbondano le ottimistiche quanto ingiustificate
previsioni di ripresa e, in tredici anni di tale situazione, si emet
tono 800.000 miliardi di dollari di derivati, ma, per gestirli, si
emettono quattro volte tanto di altri titoli tossici: totale quat
tro milioni di miliardi di dollari pari a 55 volte il PIL mondiale.
Altro che il debito pubblico dell'Italia o di altri Paesi pari a
poco più di una volta il relativo PIL!
Ma l'obiettivo è questo: massimizzare l'emissione di titoli,
guadagnare sull'emissione stessa, non più tanto o solo (come
nella fase «finanziaria») sulla redditività del titolo.
E, allora, servono interi Paesi e debitori (come per i famosi
mutui «sub-prime») che vadano male, non bene. Se un Paese
va bene, se il debitore dev'essere giudicato affidabile e solvi
bile, non serve a niente: il titolo va conservato fino a scadenza.
XIV
Ma se, invece, ristÙta inaffidabile (o viene giudicato tale), al
lora, finalmente, ci si deve liberare del titolo e chi lo acquista
lo fa per rivenderlo e così via, guadagnando sui relativi pas
saggi..
E infatti. Nel 2008 esplode una delle più importanti crisi
di liquidità di tutti i tempi. Le grandi banche e le élites dei
gruppi finanziari Oe due situazioni si identificano, a rischio di
qualche imprecisione) dovrebbero fare, tutte, la stessa fine
della Leheman Brothers; ma non è così, le Banche Centrali in
tervengono - seppure con modalità e tempi diversi - nello
stesso modo e senza guardare alla nazionalità dei beneficiari:
viene partorita la dottrina delle autorizzazioni monetarie illi
mitate a favore delle grandi banche speculatrici e, questo è si
gnificativo, senza chiedere nulla in cambio, nemmeno di
smetterla!
La ragione è presto spiegata: qualche anno dopo, tra la fine
del20 13 e l'inizio di quest'anno, la grande finanza, il Fondo
Monetario Internazionale, la BCE fanno presente alle banche
che hanno troppi debiti e crediti inesigibili (bella scoperta!
Sono state proprio le banche centrali ed il FMI a sostenere il
finanziamento illimitato della spectÙazione e le perdite!),
quindi saranno commissariate, aggregate, controllate, sotto
poste a «bai! in», vale a dire che non dovranno più essere solo
gli Stati (i comuni cittadini) ad intervenire, ma i sottoscrittori
dei titoli bancari e gli intestatari dei depositi.
Adesso- da parte di molti leader politici anche europei -
si parla di abbandonare l'austerity e la spen?ing review;
forse sono servite abbastanza. Ma a che cosa? E semplice: a
peggiorare i conti pubblici, perché tale circostanza è funzio
nale alla massimizzazione nella emissione di derivati, altri ti
toli tossici, scommesse, ecc.
Fin qui, tutto «normale»: cosa, infatti, ci sarebbe da aspet
tarsi da un sistema così «tÙtrafinanziario», lontano dall'eco
nomia reale, avido e senza scrupoli?
xv
E, invece, ecco le sorprese a cui la BCE (al pari delle altre
banche centrali) ed il massimo interprete di tale modello, il
Presidente Mario Draghi, ci stanno cominciando ad abituare.
Proprio perché così lontano dall'economia reale, questo ca
pitalismo ultrafinanziario risulta meno dannoso di quello fi
nanziario classico e può lasciare spazio alle realtà locali che,
con moneta complementare, liquidità fiduciaria e le piccole
banche ancorate al territorio, avrebbero l'opportunità di ri
prendersi. Owiamente, gli Stati che, in Europa, hanno ab
bandonato la facoltà di emettere moneta a corso legale, pos
sono emettere quella fiduciaria (che, poi, dovrebbero accettare
in pagamento delle tasse) se e solo se andranno al governo
forze politiche favorevoli a tali soluzioni e restie all'austerity,
nell'attesa della resa dei conti sull'euro; le banche piccole ri
schiano di venir fagocitate dalle grandi se prevalgono le stra
tegie di accorpamento delle attuali banche centrali. Si tratta
di una prospettiva <<Illarginale>> o, meglio, di marginalizzazione
dell'economia reale, ma col capitalismo finanziario non c'era
nemmeno tale possibilità.
Andrebbe, allora, chiarito che nessuna politica anti-au
sterity (anche quelle, come si vedrà tra poco, favorite
dalla BCE, dal Presidente Renzi e dagli USA) può rag
giungere livelli adeguati senza abbandonare l'attuale euro,
vale a dire un progetto unicamente funzionale all' austerity
perché incapace di sostituirsi ai «mercati» quando questi
ultimi arrancano. E quanto Mario Draghi ha comunicato
il 5 giugno 20 14 potrebbe andare proprio a smentire la
continuità tra l'euro attuale (quale abbiamo conosciuto fi
nora) ed il suo futuro se verranno comperati titoli di
Stato indirettamente dalla BCE, anche attraverso mezzi
direttamente autorizzati da essa ovvero in cambio di As
set Backed Securities (ABS, cioè qualunque credito verso
privati) destinati, oggi, a far debito - seppure allo
0, 15%- e, domani, essere eliminato, rendendo definitiva
XVI
l'operazione di conferimento di ABS per ottenere mo
neta: così e solo così- consentendo l'aumento della spesa
pubblica al netto delle tasse e del debito stesso -la poli
tica monetaria espansiva avrebbe effetti diretti sull'eco
nomia reale e sulla crescita.
La mossa di ridurre ulteriormente il tasso di interesse dà il
segnale di un consolidamento di questo regime ultrafinan
ziario: si punta, quindi, al continuo aumento delle emissioni,
non al loro contenimento. I messaggi sull'inflazione sono
chiari e la prospettiva di una «iperinflazione» con annulla
mento di debiti, titoli, valute ormai prive di credibilità (in pri
mis il dollaro) tramontata come ogni teoria monetaria quan
titativa. Va peraltro aggiunto e sottolineato come questa svolta
ultrafinanziaria della BCE (riunione del 5 giugno20 14 e pro
spettive future) possa accompagnarsi ad auspici di sviluppo
reale dell'economia; ma anche le maggiori disponibilità liquide
per le banche andranno verso lo sviluppo se la domanda di im
pieghi per tale scopo aumenterà mentre né il saggio di inte
resse, né la maggiore disponibilità di moneta è sufficiente a
modificare il corso degli eventi. Solo la maggiore liquidità agli
Stati, se destinata a piani adeguati (ambiente, scuola, lavoro,
welfare) potrebbe: ma, come si ripeterà tra poco, così, si re
stituirebbe quella competitività che i singoli Stati mediterra
nei (soprattutto l'Italia) hanno dovuto strategicamente per
dere, con l'euro stesso e Maastricht e quant'altro, nei decenni
scorsi.
Si sta, infatti, andando verso la virtuale abolizione del tasso
di interesse; questo renderebbe facile finanziare i fabbisogni
pubblici qualora venissero ridotte le tasse, ma non le spese
(una via per la ripresa!). E, la virtuale abolizione del tasso di
interesse porterebbe anche alla trasformazione della moneta
da debito a «mutuo» (nel senso etimologico del termine);
chiunque potrebbe creare moneta, prestarla e ottenerne in
cambio altrettanta che, così, si confermerebbe nella realtà
XVII
(sempre che il «prenditore» si riveli capace di ottenerne del
Lùtra - per ipotesi in pari quantità - owero di produrre
beni e servizi di identico controvalore).
Anche la tentazione. per l'Italia. di tma b�mca pubblica fi
nalizzata a fare come «f<m tutti», v<Ùe a dire collateralizzare i
crediti delle pubbliche <muninistmzioni e portarli alla BCE per
farseli monetizzare- quasi alla pari- cozza solo contro la con
venienza delle banche private a comperare titoli pubblici a
tassi di interesse 10-15 volte più alti della BCE, lucrando sul
differenzhùe: con una b.mca pubblica ci si può finanziare al
TUR (0.25 fino <Ù 5 giugno 2014. ora solo 0,15). risparmiando
oltre 60 miliardi d.i interessi all'cmno. ma. come ricorda Pro
fumo ... s<Ùterebbe tutto il sistema bancario (privato) italiano
che si regge, appunto, sullo «spread».
Allora. il paradosso è che questo capitalismo ultrafinan
ziario ristùta meno insostenibile del previsto e, infatti. grazie
,ùl'azione delle b<mche centnùi resiste da più di 13 <mni. un re
cord. secondo solo <Ù trentacinquennio di quello espansivo e
manageriale 1 944-1 979.
Quali sono. dunque. le prospettive per l'Europa e per
l'euro?
lnnanzitutto. il destino dell'euro dipenderà dalla resa dei
conti tra i suoi ideatori e promotori.
Col Fiscal Compact. il Meccanismo Europeo di Stabilità,
l'European Redemption Found {che trasforma in garanzie
re<Ùi escutibili le proprietà di quei Paesi che non riducono il
loro debito pubblico entro il60% del PIL) e <Ùtre diavolerie
- come. nel caso it<Ùiano. il p<treggio di bil,mcio in Costitu
zione -l'Europa non reggerà.
Con golden nùe tin\'estimenti pubblici produttivi in disa
\'anzo). una seria politic.t europea di infrastrutture e quanto
Matteo Renzi dice di \'oler re.ùizzare. sarebbe possibile vedere
miglioramenti {ad esempio occupazionali e reddittuùi) e non
peggioramenti: ma c'è un problema che è lo stesso dell'euro.
XVIII
Esso fu introdotto, principalmente, per impedire all'Italia
di essere troppo competitiva in Europa; quindi- si disse an
che durante la recente campagna elettorale dd 2014 - per
uscire dall'euro occorre impegnarsi a non intervenire sui
cambi pena una guerra commerciale c non solo, owero le sva
lutazioni competitive di tutti contro tutti. Ma se la nuova va
luta nazionale non si svaluta, che senso avrebbe uscire dal
l'curo� Casomai sarebbe più sano svalutare l'curo stesso, ma
non ce ne sono le condizioni finchè esiste il dollaro; e, per
quanto riguarda il «dopo», è difficile fare previsioni senza ca
dere nella complessa considerazione del ruolo che avranno i
grandi Paesi emergenti, Cina, Russia, India, ecc.).
Il senso di un'uscita dall'euro senza svalutazione della
nuova moneta (essendo «teorico» questo esercizio quanto
quello di proporre la svalutazione della eventuale «nuova»
moneta) sta, invero, nell'ipotesi di recupero della sovranità
valutaria nazionale ovvero nella decisione di finanziare
spese pubbliche produttive e necessarie in disavanzo: ma ciò
renderebbe tanto competitiva la nostra economia, quanto
accadrebbe con l'uscita dall'euro e la svalutazione. Quindi,
anche le proposte di grandi investimenti europei e spese
pubbliche in disavanzo devono - prima - vincere le resi
stenze di chi non ci vuole competitivi, vale a dire la Ger
mania e la Francia.
È vero che le recenti elezioni europee hanno spezzato
l'asse francotedesco con Hollande in posizione pericolante,
ma appare più probabile che quest'Europa freni contro i
suoi stessi interessi putativi perché- in realtà- prevale, come
per il passato, solo la difesa degli interessi dci più forti.
Quindi, l'ipotesi più affidabile è quella di scarsi cambia
menti (in senso favorevole all'ltaliaJ se questi ultimi non sa
ranno veramente radicali, riguardando le alleanze geopoliti
che: ci si salva se l'Europa esplode, se la Germania va per aria
(ma è difficile che non la preceda la Francia), se si vara un'al-
XIX
leanza verso i Balcani ed il Mediterraneo (persino conti
nuando a fare l'occhiolino agli USA).
Alla fine, questo capitalismo ultrafinanziario finirà per
agevolare le prospettive di una decrescita travestita da svi
luppo locale; ma si tratta di un modello economico insoste
nibile perché, in esso, la diminuzione demografica deve essere
superiore a quella produttiva.
È in questa situazione che andrebbe inserita un'analisi o,
meglio ancora, un tentativo di previsione circa il futuro del
l'attuale partito di maggioranza relativa in Italia (e anche in
Europa) ed il suo presente leader. Dunque: Matteo Renzi ha
vinto, anzi stravinto, per due ragioni. In primo luogo ha riu
nificato le componenti del suo partito e l'elettorato tende a
premiare tale tendenza così come a penalizzare le divisioni; in
secondo luogo ha dato messaggi concreti, positivi e, soprat
tutto, di speranza (in questo ha sbaragliato il principale av
versario, giudicato - anche da parte di molti dei suoi- troppo
aggressivo e distruttivo). In fondo, queste elezioni hanno mo
strato, primo, che l'elettorato moderato non vuole più l'au
sterity, ma teme l'uscita dall'euro (il che non vuoi dire che sia
favorevole all'euro: infatti se mettiamo in fila, soprattutto in
Europa, con l'eccezione della Germania, le varie componenti
euroscettiche si ha una massa elettorale più che consistente);
secondo, che il tema della sovranità (nazionale, monetaria,
ecc.) non è risultato particolarmente premiato.
Ma, se risultasse corretta tutta l'analisi economico-finan
ziaria precedente, allora i governi e tutti i pro-euro, si trove
ranno- già tra pochi mesi, vale a dire anche prima della fine
del semestre italiano- a verificare che la preparazione del ri
spetto delle attuali regole impedisce il rispetto della principale
indicazione dell'elettorato, vale a dire la fuoriuscita dall'au
sterity senza negare tutto il presente apparato europeistico.
L'unica via di uscita, si ripete, potrebbe dipendere dal
l' azione delle Banche Centrali, ma nemmeno l'azzeramento
xx
del tasso di interesse (un cambiamento storico), baste
rebbe se, poi, i privati non chiedessero prestiti finalizzati
ad investimenti reali (acquisti di appartamenti esclusi)
alle istituzioni creditizie e queste ultime non fossero messe
in condizione di fornire adeguata liquidità al sistema: oc
correrebbe, infatti, uscire dali' austerity in senso stretto,
per quanto riguarda la spesa pubblica (produttiva, per in
vestimenti buoni, ecc.). Ciò potrà esser fatto senza au
mento del debito pubblico se il progetto di rendere defi
nitiva l'acquisizione di crediti (ABS) da parte della BCE,
in cambio di moneta, andasse in porto. Ma è proprio que
sto che la Germania - salvo sconvolgimenti oggi abba
stanza remoti - vuole impedire e che tutto lo stesso ap
parato burocratico europeo non è attrezzato per
conseguire. Tale, mi pare, lo scenario contradditorio che
il governo guidato da Matteo Renzi dovrà affrontare da su
bito quando a iniziali realizzazioni e molte promesse non
dovesse seguire un cambiamento effettivo.
Per contro, maggiore attenzione andrebbe prestata a fe
nomeni come l'«Unlocking Funding» che è una forma alter
nativa per darsi liquidità da parte delle imprese (vedi AFME
- Association for Financial Markets in Europe, London/Bru
xelles 20 14) e la ricerca di soluzioni sostenibili.
Di esse, la prima sembra essere il ritorno ad un capitalismo
espansivo (con tecnologie che minimizzano la quantità di
agenti inquinanti e di risorse pregiate o non rinnovabili per
unità di prodotto, ripristino della netta separazione tra il cre
dito e la finanza speculativa, utilizzo della sovranità moneta
ria per raggiungere la piena occupazione combinando welfare
permanente, investimenti reali e politiche del consumo a fa
vore della produzione dei beni immateriali); la seconda, un ab
bandono del modello capitalistico con una moneta non avente
valore intrinseco vale a dire non passibile di cupidigia, accu
mulazione o risparmio e la piena occupazione a livello locale
XXI
con esportazione delle sole eccedenze per finanziare le im
portazioni inevitabili.
In fondo, il processo interrotto alla fine degli anni '70
stava portando il capitalismo ad un livello di crescita della
classe media e di emarginazione del ruolo della proprietà
nell'impresa e nella società da far presagire, alla fine, il pas
saggio ad un modello non capitalistico (senza rendite, senza
necessità di risparmio, senza moneta avente valore intrin
seco, con piena occupazione); per questo, tra le due soluzioni
sostenibili (immediato passaggio ad un modello non capita
listico oppure ripristino di tm modello capitalistico di tipo key
nesiano - pur riveduto e corretto anche alla luce dell'esi
genza di riqualificare, nei contenuti, la funzione dei consumi
- sia preferibile trovare alleanze politiche su questa seconda
strategia. Tanto, qualtmque alternativa al proseguire così (con
continui regressi fino alla catastrofe) porterebbe allo stesso ri
sultato: superamento del capitalismo subito o dopo aver ri
portato a maturazione il modello keynesiano espansivo.
Entrambe tali soluzioni, comunque, richiedono una cre
scita della consapevolezza generale, l'espressione di tma classe
dirigente esclusivamente interessata al bene di tutti, l'identi
ficazione e la messa a regime delle tecnologie oggi disponibili
per avere energia a costi negativi e rifiuti zero, il ripristino del
l'obiettivo di solidarietà nel rapporto tra gli Stati sovrani, la
piena valutazione del ruolo e delle prospettive dei Paesi emer
genti, tra cui la Russia, la Cina, l'India, il Brasile, il Messico,
l'Indonesia, l'Iran, la Siria, l'Egitto, l'Italia e molte altre realtà
africane, europee, asiatiche ed americane.
XXII
Presentazione della quarta edizione
Novembre 2013
XXIII
Unione Europea, ma nessun vincolo; stringe accordi stra
tegici sul nucleare civile con Russia e Cina che, se non con
dizionati dal costo del danaro privato a lungo termine, po
trebbero portare a risultati decisivi sul fronte della fusione
o di nuove tecnologie.
Ma torniamo alla Germania, dove non è awenuto niente
di quanto ci si poteva aspettare guardando al resto del
l'Europa: Angela Merkel ha vinto ed il popolo tedesco ha
accettato le riduzioni salariali.
In effetti, la vittoria della Merkel non è stata completa
proprio a causa della sua stessa indicazione (di non utiliz
zare il secondo voto a disposizione dell'elettore per difen
dere l'alleato liberale che, così, non è entrato in Parla
mento) che le ha fatto mancare una maggioranza
sufficiente a scongiurare un'alleanza coi Verdi oppure con
i Socialdemocratici. Salvo voler sostenere che l'intenzione
fosse proprio quella di dover coinvolgere questi ultimi in
un governissimo giustificato dall 'esigenza di condividere i
sacrifici per mantenere la supremazia dell'export e gli
equilibri dei conti pubblici.
Già dalle precedenti edizioni di questo testo sappiamo
quanto siano taroccati i conti pubblici della Germania (e
non è la sola): si considera il suo debito al netto della Pre
videnza e della gestione dei Lander; la sua banca di pro
prietà pubblica compera i titoli di Stato per mantenere
bassi i tassi di interesse.
Ma non è questo il punto. La debolezza della Germania,
infatti, consiste in un'errata valutazione sua e degli osser
vatori internazionali circa le conseguenze degli stessi avanzi
commerciali. L'effetto positivo delle esportazioni nette, an
drebbe sottolineato, dipende dalla crescita della domanda
interna e delle retribuzioni che awiene, in un Paese in via
XXIV
di sviluppo, finché può fare crescere queste ultime tro
vandosi in condizione di recuperare la differenza con i con
correnti e, in un Paese industrializzato, grazie a continui in
vestimenti tecnologici e innovativi.
Ma la Germania non si trova in nessuna delle situazioni
sopra riportate: non è la Cina (che pur tuttavia - lo ricor
davo alla fine della presentazione della terza edizione - si
sta adeguando al suo ruolo di potenza non più arretrata),
ma non registra nemmeno investimenti tecnologi e inno
vativi come un tempo. In altri termini, le forti riduzioni sa
lariali compromettono la domanda del più grande Paese
europeo, non invogliano investimenti produttivi (i capitali
cercano remunerazione finanziaria all'estero) e preludono
ad una generalizzata e maggiore crisi di sovrapproduzione.
In Europa non c'è che una strada: l'aumento deciso dei
salari degli operai tedeschi, la riduzione delle esportazioni
e l'aumento delle importazioni della Germania. Se la Ger
mania facesse questo si salverebbe e salverebbe i suoi par
tner, candidandosi ad una leadership europea giustificata;
ma, per ora, non sembra disponibile ad una soluzione del
genere.
A seguito dei malumori connessi con lo spionaggio
delle comunicazioni informatiche, la Germania ha ribadito
la propria linea, in contrasto con quella del FMI, degli USA
e dello stesso Draghi che vorrebbero più sviluppo e meno
rigidità; ma i Tedeschi vanno avanti così, ritenendo che po
litiche economiche, di bilancio e monetarie espansive,
creerebbero maggiori problemi del permanere di una si
tuazione dove stringendo la cinghia (ma fino a quanto?) si
sopravviva.
In Italia, il governo Letta sta assicurando il massimo ral
lentamento possibile nella direzione del baratro; parados-
xxv
salmente, se cadessero prima la Germania o l'euro, l'Italia
potrebbe giovarsi del passaggio da Monti (che aveva esa
sperato la citata velocità) al governo di rallentamento ov
vero delle larghe fraintese.
Ma non mi sento di escludere che, invece, le tensioni so
ciali in Italia esplodano prima; e sarebbe un'occasione
persa per un Paese che, non ostante tutto, ha i fondamen
tali a posto ed è, per diversificazione merceologica al
l'esportazione, il terzo del mondo (dopo Cina e Germania).
In Francia, la rinascente destra lepénista, sta cercando
di candidarsi alla guida di un cambiamento nazionalista:
prospettiva antistorica, ma non certo peregrina .. .
Ovviamente, il quadro internazionale continua ad esser
caratterizzato dalla palese contraddizione tra declino del
l'impero statunitense (e, quindi, incertezza del dollaro
che, per ora e pericolosamente, però continua a dominare
i mercati) e crescita del potere della grande finanza.
Ormai anche le banche sono diventate subalterne ad
una finanza che guadagna distruggendo risparmio e capi
tale; è la forma suprema di un capitalismo ingestibile, ir
responsabile e anarchico. Le stesse Banche Centrali che,
dopo il 2008 , avevano fornito liquidità illimitata alle ban
che universali in crisi per continuare sulla cattiva strada,
non rispondono più a queste ultime, ma direttamente alla
finanza internazionale dominatrice.
La scorsa estate sono state avanzate politiche di bail-in
consistenti nell'esproprio dei depositi bancari: si sa che
l'unico modo di mettere in difficoltà le banche è far loro
mancare la liquidità, effetto derivante dalla diffusione del
panico dei depositanti per la sottrazione delle loro so
stanze; e, adesso, addirittura il Commissario europeo Olli
Rehn propone un aumento dei deficit pubblici, purché
XXVI
unicamente finalizzati ai salvataggi bancari, vale a dire
fornire liquidità per continuare a distruggerla sui mercati
finanziari.
La nuova politica viene avanzata dal citato Commissa
rio ai ministri finanziari dell'Unione il 9 ottobre, cioè il
giorno dopo la storica riunione del FMI in cui si annun
ciano, nell'ordine:
a) la insostenibilità delle situazioni bancarie (perché
circa il 50 % dei crediti è inesigibile);
b) la necessità di porre le banche stesse sotto un sistema
di controllo-coordinamento-commissariamento;
c) la possibilità di far uscire la BCE dalla Troika.
Mario Draghi è l'uomo del cambiamento: si allinea sulle
posizioni della grande finanza, promette che ci sarà credito
per lo sviluppo e riesce a contenere le proposte della Mer
kel che approva la nascita dell'Unione Bancaria proprio
perché sa che gli istituti più incasinati sono quelli tedeschi:
come al solito, tutti cercano di trattenere i guadagni e
condividere i problemi.
Un'altra Europa è possibile (alternativa ad utopistici
Stati Uniti d'Europa e a nazionalismi vecchia maniera)?
In teoria, sarebbe possibile una Confederazione di
Stati sovrani, che abbia una sua moneta di conto e rego
lazione, ma ammetta la circolazione sia delle valute na
zionali, sia di quelle locali: che si ispiri ai principi del
Trattato di Westfalia, di rispetto reciproco tra soggetti su
periorem non recognoscentes. Ma tutto ciò richiede un au
mento di consapevolezza che è il primo ingrediente di
una speranza possibile.
La Confederazione dovrebbe mutare orientamento di
politica economica, dialogare di più con l'Africa, aprirsi ad
una nuova stagione della Storia dove i Paesi oramai emersi
XXVII
(Russia, Cina India, Brasile, Argentina, Sudafrica .. . ) possano
giocarsi la partita decisiva coi vecchi poteri del pianeta.
Oggi la politica è in bilico tra vecchie logiche egoistiche
e la nascita di un necessario nuovo che si caratterizzerà per
un materiale umano diverso, più consapevole e lungimi
rante.
Ci arriveremo pacificamente o dopo ulteriore crisi e
dolore?
XXVIII
Presentazione della terza edizione
Giugno 2013
XXIX
mercato primario. Ciò che, però, risulta ancora non dige
rita è la diversificazione- già accennata nella seconda edi
zione di questo testo- tra posizioni «americane» (quanti
tative easing monetario, il risanamento dei bilanci pubblici
assieme allo sviluppo, accettate anche dalla BCE) e posi
zioni dell'Unione Europea (Germania, ma non solo), di ri
sanamento e, quindi, ancora di austerity, come premessa
dello sviluppo.
In secondo luogo, il caso Cipro ha portato alla luce una
prospettiva terrificante di bail-in generale, tendente ad af
fiancare le oramai logore strategie di quantitative easing
(sostegno alle esigenze di liquidità delle banche mediante
autorizzazioni monetarie illimitate) con misure di confisca
dei depositi: sebbene si tratti di quelli oltre i lOOmila
euro, si sa che non c'è altra strada certa per abbattere le
banche oltre quella di diffondere il panico circa la loro sol
vibilità. Questa è la vera novità, il vero mistero: se i pa
droni erano le banche, come mai c'è qualcuno (le banche
centrali, le burocrazie internazionali, quegli stessi politici
che erano sui libri paga delle banche) che le vuole sotto
mettere? E perché si considera piu facile toccare i depo
siti, rischiare il caos, continuare con l'autorizzazione di
mezzi monetari illimitati (mentre l'economia reale soffre
la scarsità di credito e di mezzi per gli investimenti), invece
di reintrodurre la Glass Steagall, cioè la netta separazione
tra i soggetti che speculano sulle piazze internazionali e le
banche ordinarie?
Le risposte potrebbero essere due: confusione mentale;
consapevolezza del fatto che la liquidità necessaria a gestire
tutti i titoli tossici o derivati è un decuplo dei 30 mila mi
liardi di dollari che le banche centrali hanno autorizzato
dopo il 2008 .
xxx
In terzo luogo, si è riaperto il dibattito non solo sulla te
nuta dell'euro e della stessa UE, ma su criteri - che po
trebbero portarci fuori sia dalla cosiddetta crisi, sia dal
l'austerity - come la golden rule (spese in disavanzo per
investimenti produttivi) o i titoli obbligazionari europei
(aspetto, credo, piu complicato da far accettare ai rigori
sti o sedicenti tali fino al 22 settembre 20 13 ).
In quarto luogo, ogni Paese sta cercando la propria via
di uscita, riaddomesticando il debito cosiddetto sovrano,
modificando la classificazione delle spese, attrezzandosi
con banche pubbliche allo scopo di ottenere mezzi mo
netari a basso prezzo dalla BCE, cercando di orientare
l'opinione pubblica secondo strategie precostituite di ab
bandono dell'euro o, addirittura, della UE così come si è
evoluta dopo l'introduzione della moneta unica.
Così c'è un Portogallo a cui si propone Uoao Ferreira do
Amara!, Why We Should Leave the Euro?) di uscire dalla
moneta unica e chi ragiona all'opposto: mantenere un
euro (debole, tendenzialmente svalutato) per i Paesi PIIGS
e far uscire la Germania e i Paesi forti con un ritorno alle
loro valute (Bagnai, Borghi, Sapir e altri, Manifesto di So
lidarietà europea per avviare la Ricostruzione). Ma se la Ger
mania voleva aiutarci, poteva farlo anche con l'euro: e se
poi svalutasse il marco? Visto che, non crediamo sia un mi
stero, a fronte delle sue intense esportazioni, si sono ac
cumulati enormi quantitativi di prodotti metalmeccanici
(soprattutto automobili) che si potranno comprare solo a
fronte di una svalutazione e non di una rivalutazione della
moneta usata dai Tedeschi.
La Francia versa in condizioni pessime sia sul fronte com
merciale, sia su quello sociale: non riesce ad essere competi
tiva e, quindi, si presenta alla BCE con quasi 500 miliardi di
XXXI
collaterale (spazzatura) e, però- a regole vigenti - essendo
garantito (tripla A) da una seppur fantomatica e scono
sciuta agenzia di rating d'oltremare, ottiene autorizzazioni
monetarie allo 0,5 % .
I Paesi nordici, nonostante il loro eccellente welfare, non
riescono piu a tenere i giovani. . . il sociale va sgretolandosi.
Date queste quattro premesse, vediamo di approfondire
alcuni cambiamenti, anche alla luce di quanto è accaduto
e potrebbe accadere a livello politico in Italia, Paese che
non smette mai di stupire, persino gli stessi Italiani: stiamo
esportando piu del previsto e stiamo cominciando a im
portare di meno. Vi è un rapporto tra questo, la riduzione
di reddito ufficiale, una ripresa- persino occupazionale-
in agricoltura?
Cerchiamo, se possibile, di andare con ordine; soprat
tutto per quanto riguarda il necessario passaggio all'evo
luzione politica che appare notevolmente annessa a quella
economica.
Dopo l'estate del2012 si è aperta una stagione che sem
brava poter preludere - per le elezioni che non si sapeva
ancora quando celebrare - ad una coalizione nettamente
contraria all'austerity, di cui però non tutti avevano ap
prezzato la fallimentarietà: era stata introdotta l'IMU- ad
esempio, con il beneplacito di quasi tutte le forze presenti
in Parlamento- senza considerare che essa avrebbe com
portato un ulteriore peggioramento per le prospettive del
mercato immobiliare già molto depresso. Forse tassare le
seconde o, meglio, le terze case sfitte avrebbe fatto conse
guire quattro risultati: un notevole gettito fiscale, la rivita
lizzazione degli affitti, il non peggioramento delle com
pravendite, una maggiore trasparenza e regolarizzazione
(sarebbe diventato conveniente regolarizzarsi, vale a dire
XXXII
cedere alle amministrazioni il 20 % degli affitti e rispar
miare la tassa sugli sfitti). Era stato approvato in modo piu
bulgaro che latino il cosiddetto MES (Meccanismo Euro
peo di Stabilità) che - se non si farà una necessaria e ge
nerale retromarcia - comporterà danni evidenti allo svi
luppo e spese aggiuntive capaci di riportarci oltre i
parametri, selvaggiamente e inopinatamente, decisi a Maa
stricht.
Ma, quando le elezioni anticipate erano oramai certe, i
partiti, i gruppi e i movimenti che avrebbero potuto dar
vita ad una coalizione alternativa, basata su un programma
minimo - capace di unire le forze a differenza di un pro
gramma massimo che, ovviamente, divide - finirono per ar
roccarsi allo scopo di garantire visibilità, certezza di can
didature e via dicendo ai propri leader.
Il programma «minimo» in sei punti viene allegato a
questa edizione così come un insieme di proposte/dise
gni/progetti di legge sulle questioni piu urgenti, atti a
fronteggiare l'emergenza occupazionale, eventuali attacchi
della speculazione internazionale, la continua difficoltà
per la cassa dello Stato che impone - per pagare i debiti
delle amministrazioni nei confronti delle imprese, già de
finiti compiutamente - l'emissione di nuovi titoli che vanno
ad appesantire la situazione del debito pubblico.
Fino ad un certo punto, tutte le forze di centro (cen
trodestra e centrosinistra), con esclusione di SEL e Lega,
vanno a braccetto sotto la regia del premier Mario Monti,
come si è accennato (vedi IMU, MES, ecc.), quando que
st'ultimo annuncia la propria candidatura con un nuovo
partito, dopo essere stato solo virtualmente, ma non effet
tivamente, «sfiduciato» dal leader del centrodestra che
avrebbe sostituito Berlusconi; a quel punto (incolmabile
XXXIII
vantaggio per il centrosinistra e «salita» in campo di Ma
rio Monti), rientra in gioco lo stesso Berlusconi, con una
mossa disperata a fronte del subbuglio nel centrodestra e
di un PD sempre piu forte.
Risultato: il neonato Movimento 5 Stelle (M5 S) di
Beppe Grillo ottiene il25 % circa dei voti, l08 Deputati e
56 Senatori, numero sufficiente a far mancare la maggio
ranza al PD di Bersani dove non c'è il consistente premio
della Camera.
Berlusconi recupera parecchio.
Sulla carta sono possibili due maggioranze: PD e M5S;
PD e PDL.
Dato l'andamento della campagna elettorale e i prece
denti storici, tutti negano cittadinanza a questa seconda op
zione. Bersani tenta di coinvolgere nel nuovo governo
M5S che, per motivi vari, non è disponibile; l'occasione
storica tramonta, un (nuovo) governo appare ipotesi di ar
dua realizzazione e, allora, si passa alla elezione del Presi
dente della Repubblica. Chiunque, ma non una conferma
dell'uscente, tuona lo stesso Napolitano in buona compa
gnia. Il PD non accetta la candidatura (fatta emergere dal
M5S) di un insigne giurista, molto di sinistra, il prof. Ro
dotà, e, gira e rigira, molla e rimolla, chi viene eletto? Ma
Giorgio Napolitano, naturalmente; e il governo come sarà?
Ma PD-PDL, naturalmente.
Viene proposto, anzi, preposto, Enrico Letta che, prima
ancora di andare a giurare, scampa ad un attentato perché
lo sparatore (un novellino del terrorismo che, chissà come,
si rivelerà un tiratore scelto) - non si capisce se disperato
o meno, perplesso o meno, confuso o meno - ripiega su
due poveri Carabinieri , di cui uno in gravissime condizioni.
Enrico Letta annuncia il superamento dello schema
XXXIV
montiano. Da Berlusconi accetta la sospensione dell'IMU:
il PDL annuncia che farà cadere il governo se essa non sarà
definitiva. Incassa la chiusura della procedura contro l'Ita
lia per deficit eccessivo. Si impegna a perorare la causa
della golden rule (investimenti per la ripresa anche in di
savanzo). Sembra in preda alla tentazione di abbassare le
tasse sui neoassunti dimenticando che le imprese doman
dano tanto lavoro quanto gliene serve per raggiungere
obiettivi produttivi dettati dagli ordinativi; se il super
mercato mette in offerta l'acqua minerale ne posso acqui
stare dieci casse, ma non mi metterò giornalmente a bere
venti litri d'acqua al giorno se prima ne bevevo due! Inol
tre il film lo si conosce già: per risparmiare sul costo del la
voro, le imprese si disfano di trentacinquenni o cinquan
tenni (che, poi, sono, comunque, piu difficili da gestire) e
assumono giovani - scaricando sulla collettività la diffe
renza - che poi, non appena compiranno 35, 40 o 50 ver
ranno sostituiti di nuovo da lavoratori piu giovani, piu
istruiti, disponibili a paghe piu basse. Casomai si dovrebbe
puntare su un rilancio dell'apprendistato (che interessa
adeguatamente anche l'artigianato e le piccole imprese),
abbassando, sì, il piu possibile le cosiddette barriere al
l' entrata, ma poi - questo è il punto - assicurandosi che il
lavoratore formato inizi una carriera stabile: non importa
se nella stessa azienda, nello stesso settore o nello stesso
Paese.
Non stupisce, quindi, se la situazione sociale ed econo
mica ufficiale continua a peggiorare, sebbene l'Italia, come
si è accennato, si trovi in buona compagnia, in Europa ed
anche fuori di essa.
Pesa la difficoltà dello Stato a procurarsi liquidità per ri
durre lo scarto tra cassa (fabbisogno) e competenza (spesa
xxxv
che viene stanziata e impegnata), il quale determina resi
dui passivi come mancate erogazioni e trasferisce sulle
imprese la (ulteriore) carenza di liquidi.
Si arriva persino a confondere l'eventuale garanzia - a fa
vore delle banche - su un debito proprio dello Stato con un
aumento della spesa pubblica.
La rinuncia alla sovranità monetaria, se non determina
una delega piena ed efficace alla BCE, è illegittima oltre
che dannosa. Ma la lira era sostenibile alle condizioni pre
cedenti il 1 98 1, come si argomenta nel testo; oggi l'Italia,
con le modalità suggerite nell'articolato che si propone (al
legato), potrebbe emettere Certificati di Credito Erariali
(CCE) che, utilizzati tra le imprese, immessi (con le mo
dalità descritte) nei depositi bancari, accettati in paga
mento di tasse e tributi, consentirebbero allo Stato di non
indebitarsi ulteriormente, onorando i propri impegni e di
dare respiro all'economia; nella prevedibile ipotesi di do
ver gestire una successiva procedura di infrazione anche fa
cendo pesare seri argomenti a proposito della contabilità
e dei modi di autorizzazione di mezzi monetari a favore di
Francia e Germania (di cui si è accennato nella seconda
come in questa edizione).
Oggi, prima delle elezioni tedesche del 22 Settembre,
quali previsioni si possono fare?
Il Giappone ha scelto la via dell'accelerazione del quan
titative easing monetario: tassi di interesse reali negativi e
liquidità abbondante. Meglio della scarsità europea, ma
non appare la soluzione: i «fondamentali» del Giappone
non tornano in ordine per la semplicissima ragione che
l'elemento strategico sono i buoni investimenti (industrie,
infrastrutture, istruzione, welfare) , investimenti sosteni
bili per uno sviluppo responsabile e a misura d'uomo.
XXXVI
Non sembrano sostenibili, né responsabili, le ipotesi di de
crescita come quelle di crescita illimitata.
Al contrario, lo sviluppo dovrebbe essere un vincolo (da
parametrare alle esigenze di valorizzazione delle risorse
umane da occupare), mentre l'ambiente un obiettivo da
«massimizzare» in termini di benessere e qualità della vita.
L'ambiente come vincolo e lo sviluppo come obiettivo
appaiono un ossimoro col rischio o di bloccare lo svi
luppo per proteggere l'ambiente o di non accettare che un
limite allo sviluppo ci sia: non quello che ritengono certi
ambientalismi (vedi il mio Oltre lo sviluppo sostenibile, cit.
in bibliografia) ma quello definito dai buoni, sostenibili e
necessari investimenti dell'economia reale.
Parimenti, le risorse monetarie non dovrebbero essere
né scarse (è insensato dal momento in cui esse non sono
piu legate ad alcunché di prezioso); né illimitate, come si
diceva, ma tante quante ne servono per realizzare gli in
vestimenti di cui c'è bisogno.
Anche rispetto all'euro, occorrerebbe ribadire che non
può essere valida né la sua difesa acritica (a parte il princi
pio di conservazione dell'esistente come punto di partenza
che, però, appare ardua in fasi storiche connotate da forti
mutazioni), né il suo abbandono, altrettanto acritico: certa
mente esso ha fatto piu danni che altro - soprattutto- nei
Paesi mediterranei, ma il suo abbandono (anche con le mo
dalità proposte nell'appendice alla precedente edizione) e
l'adozione della situazione pregressa, non sarebbe la solu
zione dei problemi.
Le questioni monetarie, infatti, se male impostate -
come l'euro - determinano problemi; ma, se bene impo
state, sono solo premessa necessaria di uno sviluppo che di
pende dalla capacità di effettuare investimenti socialmente
XXXVI I
ed economicamente necessari o, almeno, non inutili. Si
parla, infatti, di sviluppo potenziale per intendere quello
in cui tutte le risorse reali vengono opportunamente uti
lizzate e valorizzate.
Così, l'Italia può rinunciare alla moneta nazionale, ma
non alla moneta; e ciò vale per tutti i Paesi che abbiano ri
sorse reali- soprattutto umane- da valorizzare. Ma persino
quelli che - teoricamente - fossero a sviluppo potenziale
zero o negativo (decrescita demografica e stabilizzazione del
PIL monetario procapite owero stabilizzazione di entrambi
gli indicatori) avrebbero bisogno di una vera moneta.
Fra l'altro, l'analisi del dato demografico recente, al
meno in realtà come quella italiana, dimostra un aumento,
non dovuto alla semplicistica ragione delle presenze ex
tracomunitarie, ma ad una non prevista tendenza dei cit
tadini nazionali a fare piu figli: sommando, dunque, i due
effetti (nati da genitori comunitari e non) e sottraendo i de
cessi, si ha che la decrescita del PIL disponibile procapite
è maggiore di quella del PIL reale.
Se non si cambia urgentemente la politica economica,
una eventuale decrescita del PIL monetario andrebbe a
pregiudicare consolidati equilibri sociali e previdenziali
O' attuale sistema italiano, infatti, detto «a contribuzione»,
è in equilibrio tendenziale- per definizione- con un tasso
di valorizzazione notevole, rispetto a tutti i fondi di altro
tipo, ma è legato alla media quinquennale del PIL mone
tario o nominale).
Il problema della fuoriuscita dall'euro, come si cerca di
sottolineare nell'appendice (già della seconda edizione) si
diversifica a seconda della dimensione e delle caratteristi
che di ciascun Paese.
La discriminante piu importante, infatti, potrebbe essere
XXXVI II
tra Paesi con sufficiente diversificazione produttiva e Paesi
troppo limitati o «specializzati». Ad esempio, la crisi po
litica internazionale dell'euro ha avuto la sua impennata
con la situazione della Grecia: situazione che, lo si era di
mostrato nelle precedenti edizioni di questo testo e lo si
conferma adesso, forse è stata voluta, certamente agevolata
dai comportamenti europei (soprattutto, ma non solo, te
deschi) che avrebbero potuto e dovuto minimizzare il
danno. Ma, a prescindere da chi fa che cosa e perché, oc
correrebbe domandarsi quanti yogurt sarebbero occorsi a
comperare (dalla Germania e dalla Francia) tutti quei sot
tomarini e carri armati.
Nessuno qui discute la priorità, per la Grecia, di ar
marsi, ma delle due l'una: o si hanno degli alleati (e, allora,
si possono studiare le ottimizzazioni situazionali) o non si
hanno e, allora, bisogna fare da sé. Vale a dire: tanti sot
tomarini e carri armati di importazione quanti yogurt si rie
scono ad esportare.
Questo discorso, però, andrebbe opportunamente ge
neralizzato: a partire dal G7 del 1 979, contrariamente a
quanto era stato programmato e, in qualche modo pra
ticato, dopo gli accordi di Bretton Woods del 1 944, si
decise che ciascun Paese dovesse essere responsabile
della propria bilancia dei pagamenti. In precedenza (fino
al G7 del 1 97 9), invece, erano i Paesi forti che, rivalu
tando la propria moneta o accettando le svalutazioni di
quelli deboli, fornendo aiuti e altro, consentivano l'equi
librio.
Dopo il 1 979, quell'equilibrio non c'è piu stato, perché
i Paesi deboli tendono a peggiorare (devono alzare i pro
pri tassi di interesse per cercare di riequilibrare i loro di
savanzi commerciali importando capitali) e quelli forti a
XXXI X
migliorare: possono ridurre al minimo il costo dei loro in
vestimenti (reali, tecnologici, ecc.) avendo già un avanzo
della propria bilancia commerciale.
Per questo la Germania vuole esportare il piu possibile,
per minimizzare il costo del denaro owero ottenere lo
stesso risultato con meno moneta; per far ciò massimizza
la produzione (quindi l'occupazione) , ma, in difficoltà, ri
duce i salari, dandone la colpa ai PIIGS e riversando
odio su di loro. A fine settembre, dopo le loro elezioni, sarà
possibile valutare l'effetto di tali dinamiche. Owiamente,
la Germania si sta awiando ad una situazione di super
produzione che va bene per le esportazioni, ma può
esporla ad altri e piu seri problemi. Fra l'altro, nessun
Paese che voglia esser leader può evitare un disavanzo
commerciale: come gli USA, deve aiutare - finchè può e gli
stessi USA, ad esempio, non (ne) possono piu - gli alleati.
Quindi, la posizione tedesca è anomala: vuole dominare,
ma a spese degli altri. Questo non funziona: è un ele
mento di forte debolezza per l'Europa, ma, paradossal
mente, non sempre per l'euro . . . nel senso che - con le at
tuali regole internazionali - la Germania potrebbe anche
fare di peggio.
Se una soluzione da economie chiuse (seppure nella ver
sione keynesiana di un'apertura trascurabile) non pare
praticabile; se l'attuale soluzione delle economie aperte con
squilibri che aumentano Oa cosiddetta globalizzazione)
risulta, ormai, chiaramente, insostenibile; quale potrebbe
essere la vera soluzione?
Sembrerebbe importante sottolineare sia la svolta del
l'ultimo congresso del Partito Comunista Cinese - ottobre
20 12 - di assegnare piu importanza allo sviluppo del
l' economia interna e meno alle esportazioni, sia i primi ac-
XL
cordi «sistemici» tra i BRICS (Brasile, Russia, India, Cina,
Sudafrica) .
Essi hanno ormai deciso di fare una Banca Mondiale al
ternativa e loro Agenzie di rating per opporsi alle politiche
e ai diktat delle versioni «occidentali» di esse; e, gli «Oc
cidentali», owiamente, stanno - per ora - tuonando con
tro gli stessi BRICS a causa di questa importante, storica,
decisione.
La possibile soluzione è un cambiamento di paradigma
epocale: fuori dalle economie chiuse (e da qualsiasi ana
cronistica ipotesi autarchica), fuori dalle economie keyne
siane, fuori dalla attuale globalizzazione, si potrebbe pro
spettare un futuro in cui ciascun Paese spinge al massimo
le proprie capacità produttive interne e, per finanziare le
proprie importazioni necessarie, esporta le eccedenze: ma
queste ultime ad un prezzo arbitrario, vale a dire senza un
vincolo a portare i propri salari sotto quelli della concor
renza. Fenomeno quest'ultimo che ha finito per depri
mere la domanda complessiva e awiare la solita crisi da in
sufficienza della domanda.
E l'Europa che farà? Si schiererà con gli USA, oramai
del tutto succubi della potenza egemonica inglese o at
tenderà una nuova (possibile, ma non si sa quanto proba
bile) indipendenza americana?
Anche per l'Italia potrebbero prospettarsi cambiamenti
epocali; soprattutto se l'attuale governo fallisse, la linea filo
mediterranea verso Africa, Medio-Oriente e Balcani po
trebbe riacquistare peso e, chissà . . . potremmo parlare di
BRIICS ! ! !
3 giugno 2013
XLI
Presentazione della seconda edizione
Giugno 2012