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Veronica Roth

Titolo originale: Free Four: Tobias tells the story


Traduzione dall’inglese: Roberta Verde
Coordinamento editoriale: Valentina Deiana

Testo © 2012 Veronica Roth

Prima edizione in lingua inglese: HarperCollins Children’s Book, un imprint di HarperCollins Publishers

Published by arrangement with HarperCollins Publishers

Per l’edizione italiana © 2015 De Agostini Libri S.p.A.


Redazione: corso della Vittoria, 91 – 28100 Novara

ISBN 978-88-511-3100-5

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TOBIAS RACCONTA

Non mi sarei mai proposto come istruttore degli iniziati se non fosse stato per l’odore che c’è in palestra: un mix di polvere,
sudore e metallo. È tra queste mura che mi sono sentito forte per la prima volta, e non appena le mie narici si riempiono di
quest’aria, provo di nuovo quella sensazione.
Addossata alla parete di fondo c’è un’asse di legno con dipinto un bersaglio. Sopra un tavolo si trova un mucchio di coltelli da
lancio: brutali oggetti di ferro con un foro nel manico, perfetti per degli iniziati con scarsa esperienza. Di fronte a me sono
allineati i trasfazione che ancora mostrano, in un modo o nell’altro, i segni distintivi delle loro fazioni di provenienza: i
Candidi con la loro postura dritta, gli Eruditi dallo sguardo determinato e la Rigida che tiene il peso tutto sulla punta dei piedi,
per essere pronta a scattare.
«Domani sarà l’ultimo giorno del primo modulo» annuncia Eric.
Sta evitando il mio sguardo di proposito. Ieri ho ferito il suo orgoglio, e non solo perché l’ho battuto a strappabandiera. A
colazione, Max mi ha preso da parte per chiedermi come sta andando l’addestramento, come se il responsabile degli iniziati
non fosse Eric… in quel momento seduto al tavolo accanto al mio e intento a fissare con cipiglio il suo muffin alla crusca.
«Riprenderete i combattimenti più tardi» continua Eric. «Stamattina imparerete a colpire un bersaglio. Ognuno prenda tre
coltelli e prestate attenzione a Quattro, che vi mostrerà la tecnica corretta per lanciarli.» I suoi occhi si spostano verso un
punto indefinito sopra la mia fronte, in un’ostentazione di superiorità. Io raddrizzo la schiena. Non sopporto quando mi tratta
come se fossi il suo tirapiedi, come se non gli avessi spaccato un dente quando eravamo soltanto degli iniziati.
«Adesso!»
Tutti si precipitano verso i pugnali, come bambini Esclusi intorno a un tozzo di pane, con foga eccessiva. Tutti tranne lei, con i
suoi movimenti posati, la testa bionda che prova a farsi largo tra gli alti compagni. Non cerca di mostrarsi a suo agio mentre
soppesa le lame tra le mani, ed è questo che mi piace di lei… intuisce che queste armi sono insolite e tuttavia trova il modo
per maneggiarle.
Eric viene verso di me e io, istintivamente, indietreggio. Non voglio lasciarmi intimidire, ma so che è intelligente e che – se
non sto attento – si accorgerà che continuo a fissarla, il che sarebbe la fine per me. Mi volto verso il bersaglio, un coltello
nella mano destra.
Avevo chiesto che questo esercizio venisse eliminato dall’addestramento, perché non ha nessuno scopo effettivo, a parte
alimentare la spavalderia degli Intrepidi. Non è di nessuna utilità saper piantare un pugnale in un’asse di legno, a meno che
non si voglia impressionare qualcuno, cosa che farò io tra un momento. Eric direbbe che, a volte, lasciare la gente a bocca
aperta è vantaggioso, motivo per cui ha respinto la mia richiesta… ma è proprio questo ciò che detesto degli Intrepidi.
Afferro il coltello per la lama, in modo che il tiro sia ben bilanciato. Durante la mia iniziazione, il mio istruttore – Amar –
accorgendosi che avevo la mente agitata da mille pensieri, mi ha insegnato a legare i movimenti al respiro. Inspiro e fisso il
centro del bersaglio. Espiro e lancio. Il pugnale va a segno. Sento alcuni iniziati trattenere il fiato contemporaneamente.
Prendo il ritmo: inspiro e passo il coltello successivo nella mano destra, espiro e lo giro tra le dita, inspiro e guardo il
bersaglio, espiro e lancio. Tutto si fa scuro intorno a me, tranne il centro della tavola. Le altre fazioni dicono che siamo dei
bruti, che non usiamo il cervello, e invece non sto facendo altro, qui.
La voce di Eric mi riporta alla realtà. «Allinearsi!»
Lascio i coltelli conficcati nella tavola per ricordare agli iniziati che un giorno anche loro saranno capaci di farlo. È stato
Amar a darmi il nome che porto, ai tempi in cui la prima prova che affrontavano gli iniziati una volta entrati nella nostra
residenza era attraversare lo scenario della paura. Lui era il tipo di persona che riesce ad appiccicarti addosso un
soprannome, rendendolo così simpatico che tutti lo adottano.
Ora è morto, ma a volte, quando sono qui, sento ancora la sua voce che mi rimprovera perché trattengo il fiato.
Lei non trattiene il fiato. Questo è positivo, una pessima abitudine in meno da eliminare, però il suo braccio è maldestro e
impacciato quanto una zampa di gallina.
I coltelli volano ma quasi nessuno riesce a farli ruotare. Persino Edward non ci è ancora riuscito, nonostante – di solito – sia il
più rapido a imparare, gli occhi resi vivi dalla sete di conoscenza tipica di tutti gli Eruditi.
«Mi sa che la Rigida ha preso troppe botte in testa!» esclama Peter. «Ehi, Rigida! Hai presente cos’è un coltello?»
È difficile che arrivi a detestare così profondamante qualcuno, ma Peter è un caso a parte. Odio il fatto che cerchi di svilire la
gente, proprio come fa Eric.
Tris non risponde, prende un coltello e lo lancia, con lo stesso movimento goffo del braccio, che però stavolta funziona. Sento
il metallo sbattere contro la tavola e sorrido.
«Ehi, Peter» dice poi. «Hai presente cos’è un bersaglio?»
Li osservo uno per uno, cercando di non incrociare lo sguardo di Eric, che sta camminando avanti e indietro alle spalle del
gruppo, come un animale in gabbia. Devo ammettere che Christina è brava (per quanto mi secchi riconoscere i meriti di
Candidi arroganti), e lo è anche Peter (per quanto mi secchi riconoscere i meriti di futuri psicopatici). Al, invece, è solo una
sorta di clava che parla e cammina, tutto potenza e niente controllo.
E la tragedia è che se n’è accorto anche Eric.
«Quanto sei lento, Candido? Hai bisogno di un paio di occhiali? Devo avvicinarti il bersaglio?» dice, la voce nervosa.
Al la Clava ha un’anima inaspettatamente gentile. Il sarcasmo lo ferisce. Al lancio successivo, il suo coltello si schianta
contro il muro.
«Che cos’era questo, iniziato?» lo provoca Eric.
«Mi è... mi è scivolato.»
«Be’, penso che dovresti andare a raccoglierlo.»
Gli altri interrompono i lanci.
«Vi ho detto di fermarvi?» li riprende Eric, sollevando le sopracciglia piene di piercing.
Qua si mette male.
«Andare a raccoglierlo?» ripete Al. «Ma stanno tutti lanciando.»
«Quindi?»
«Quindi non voglio essere colpito.»
«Penso che tu possa contare sul fatto che i tuoi compagni hanno una mira migliore della tua. Vai a prendere il tuo coltello.»
«No.»
La Clava colpisce ancora, penso. La risposta è risoluta ma del tutto priva di strategia. Eppure, ci vuole più coraggio da parte
di Al per dire di no di quanto ce ne voglia a Eric per costringerlo a prendersi una coltellata nella schiena. Ma questo Eric non
lo capirà mai.
«Perché no? Hai paura?»
«Di essere infilzato da un coltello volante? Sì, certo!»
Il mio corpo si fa pesante quando Eric alza la voce. «Fermi!»
La prima volta che ho visto Eric era vestito di azzurro e portava i capelli con la riga di lato. Tremava quando si è avvicinato
ad Amar per farsi iniettare nel collo il siero di simulazione. Per tutta la durata del suo scenario della paura non si è mosso
neanche di un centimetro: è rimasto immobile, gridando con i denti stretti, e in qualche modo era riuscito a rallentare il battito
cardiaco fino al livello richiesto, controllando il respiro. Non sapevo si potesse vincere la paura dominando il corpo prima
ancora di riuscire a dominarla nella mente. È stato allora che ho capito che dovevo stare in guardia da lui.
«Allontanatevi» ordina agli iniziati. Poi si rivolge ad Al: «Tutti tranne te. Mettiti davanti al bersaglio».
Lui deglutisce e si dirige con passo pesante verso la tavola di legno. Io mi stacco dal muro. So cos’ha in mente Eric.
Probabilmente finirà col cavargli un occhio o perforargli la gola; finirà con qualcosa di orribile, come tutti i combattimenti a
cui ho assistito: uno dopo l’altro, mi hanno allontanato sempre più dalla fazione che ho scelto come mio rifugio.
Senza guardarmi, Eric dice: «Ehi, Quattro. Vieni a darmi una mano qui, ok?»
Una parte di me si sente sollevata: se sarò io a tirare, è meno probabile che Al rimanga ferito. Ma l’altra vorrebbe lavarsene
le mani: io non riesco a essere crudele e non voglio fare il lavoro sporco di Eric.
Cerco di sembrare indifferente, grattandomi il sopracciglio con la punta di un pugnale, ma non mi sento affatto distaccato. Mi
sento come se qualcuno mi stesse conficcando a forza in uno stampo che non corrisponde al mio corpo, costringendomi ad
assumere la forma sbagliata.
«Rimarrai là, mentre lui lancia i coltelli» continua Eric «finché non impari a non battere ciglio.»
Avverto un macigno schiacciarmi il petto. Vorrei intervenire, ma se contraddico Eric, lui si impunterà ancora di più, per
rimettermi al mio posto. L’unica opzione che ho è far finta di essere annoiato da tutta la faccenda.
«È proprio necessario?»
«Comando io qui, ricordi?» ribatte lui. «Qui, e da ogni altra parte.»
Il sangue mi sale al viso mentre lo fisso dritto negli occhi. Max mi aveva proposto di fare il capofazione… avrei dovuto
accettare. E l’avrei fatto, se avessi saputo che avrei evitato cose come questa, tipo far penzolare gli iniziati sopra lo
strapiombo o costringerli a battersi fino a perdere i sensi.
Mi accorgo di aver stretto i coltelli con tanta forza che i manici mi hanno lasciato l’impronta sul palmo della mano. Devo fare
come dice Eric. L’unica alternativa sarebbe abbandonare la palestra, ma – se me ne vado – Eric prenderà il mio posto, e
questo non posso permetterlo.
Mi posiziono di fronte ad Al.
E a un tratto lei dice… so che è lei perché ha la voce bassa, per una ragazza, e un tono prudente: «Smettetela».
Non voglio che Eric se la prenda con lei, così la fulmino con un’occhiataccia, come se questo potesse fermarla. Lo so che non
è così. Non sono stupido.
«Qualunque idiota può stare davanti a un bersaglio» insiste. «Non dimostra niente, se non che stai facendo il bullo con noi. Il
che, se non ricordo male, è un comportamento da vigliacchi.»
Bruti – bulli, mocciosi dei Livelli Inferiori – ecco cosa siamo noi Intrepidi, sotto i tatuaggi, i piercing e i vestiti scuri. Forse
sono stupido. Devo smettere di pensare a lei in questo modo.
«Allora non dovresti avere problemi a prendere il suo posto» la provoca Eric, scostandosi dal viso i capelli, che si avvolgono
in un ricciolo intorno al suo orecchio.
Poi solleva gli occhi e mi guarda, ma solo per un secondo. È come se sapesse. Lui sa che ho un debole per lei, e quindi mi
costringerà a lanciarle contro i pugnali. Per un istante – no, un po’ più a lungo di un istante – considero l’idea di usare lui come
bersaglio, invece. Potrei colpirlo al braccio, o alla gamba, senza far danni...
«Dì addio alla tua bella faccia» la schernisce Peter dalla parte opposta della stanza. «Ma già, tu non ce l’hai.»
Registro a malapena il commento. Sono troppo occupato a osservare lei.
Si appoggia con la schiena alla tavola. Con la cima della testa sfiora il bordo inferiore del disco, al centro del bersaglio.
Solleva il mento e mi guarda con quella caparbietà tipica degli Abneganti, che conosco molto bene. Anche se li ha
abbandonati, sono loro che le infondono la forza.
Non posso dirle che andrà tutto bene, non davanti a Eric, ma posso aiutarla a essere forte. «Se chiudi gli occhi, Al prende il
tuo posto, chiaro?» le ricordo.
Eric mi sta un po’ troppo vicino, e batte nervosamente il piede sul pavimento. Devo fare questa cosa nel modo giusto: non
posso mirare verso il bordo esterno della tavola, perché lui sa che sono in grado di colpire il centro. Ma un lancio mal
eseguito, un errore di un centimetro, e potrei farle male. Dì addio alla tua bella faccia.
Peter ha ragione: lei non è bella… è molto di più. Non è come le ragazze che mi attraevano una volta, tutte forme, curve e
morbidezza. È minuta ma forte, e i suoi occhi luminosi reclamano l’attenzione. Guardarla è come svegliarsi.
Lancio il primo coltello, tenendo gli occhi fissi nei suoi. La lama si conficca nel legno, vicino alla sua guancia. Mi tremano le
mani per il sollievo. Lei abbassa le palpebre, e capisco che devo ricordarle di nuovo il suo altruismo.
«Ne hai abbastanza, Rigida?»
Rigida. Ecco perché sei forte, mi capisci?
Lei sembra infuriata. «No.»
Come diavolo potrebbe capirmi? Non può mica leggermi nella mente, santo cielo!
«Occhi aperti, allora» continuo, toccandomi la fronte in mezzo alle sopracciglia. Non ho bisogno che mi guardi negli occhi, ma
mi sento meglio se lo fa. Respiro l’odore di polvere, sudore e metallo e mi passo il coltello dalla mano sinistra alla destra.
Eric si avvicina ancora di più.
Il mio campo visivo si restringe alla riga che le separa i capelli… espiro e tiro.
Avverto la presenza di Eric alle spalle. «Mmm» bisbiglia, nient’altro.
«Su, Rigida» insisto. «Lascia che qualcun altro prenda il tuo posto.»
«Stai zitto, Quattro!» sbotta lei. E io vorrei gridarle di rimando che mi sento frustrato quanto lei, con questo avvoltoio di
Erudito che studia ogni mia mossa, in cerca dei miei punti deboli, per poterli colpire con tutta la forza possibile.
Sento quel “mmm” di nuovo e non capisco bene se sia Eric o la mia immaginazione, ma so che devo convincerlo che lei è
solo un’iniziata qualunque per me, e devo farlo subito. Faccio un respiro profondo e prendo in fretta una decisione, mentre
fisso la punta del suo orecchio… la cartilagine guarisce rapidamente.
La paura non esiste. Il battito impazzito del mio cuore, la morsa attorno al mio petto, il sudore sulle mie mani… non esistono.
Tiro un’ultima volta e distolgo lo sguardo quando lei sussulta, troppo sollevato per sentirmi in colpa per averla ferita. Ce l’ho
fatta.
«Mi piacerebbe fermarmi e vedere se voi altri siete coraggiosi quanto lei, ma penso sia abbastanza per oggi» dice Eric. Poi
mormora, rivolto a me: «Bene. Questo dovrebbe averli spaventati».
Io penso – spero – che questo significhi che non sospetta più di me.
Lui le mette una mano sulla spalla e le rivolge un sorriso incorniciato di metallo. «Dovrei tenerti d’occhio.»
Guardo il sangue gocciolarle dall’orecchio lungo il collo, e mi sento male.
La stanza si svuota, la porta si chiude e io aspetto che l’eco dei passi si allontani prima di avvicinarmi a lei. «Il tuo...»
Allungo la mano verso il suo viso.
Lei mi guarda furiosa. «L’hai fatto apposta!»
«Sì. E dovresti ringraziarmi per averti aiutata...» Vorrei spiegarle di Eric e di quanto intensamente desideri farmi male e fare
male a tutti quelli di cui minimamente m’importa, o di come so da dove provenga la sua forza e di come abbia cercato di
ricordarglielo, ma lei non me ne dà la possibilità.
«Ringraziarti? Mi hai quasi mozzato l’orecchio e hai passato tutto il tempo a provocarmi. Di cosa dovrei ringraziarti?»
Provocarla? La fisso esasperato. «Lo sai, mi sto un po’ stancando di aspettare che tu capisca!»
«Capire? Capire cosa? Che volevi dimostrare a Eric che sei un duro? Che sei sadico, proprio come lui?»
Un brivido di freddo mi attraversa. Lei pensa che sia come Eric? Pensa che volessi fare colpo su di lui?
«Non sono un sadico.» Mi avvicino a lei e, improvvisamente, mi sento nervoso, come se qualcosa mi pizzicasse dentro il
petto. «Se avessi voluto farti male, non credi che l’avrei già fatto?»
È abbastanza vicina da poterla toccare, ma se mi considera uguale a Eric, non accadrà mai. Del resto, perché non dovrebbe
paragonarmi a lui? Le ho appena lanciato dei coltelli addosso! Ho rovinato tutto. Per sempre.
Devo andarmene. Attraverso la palestra e, appena prima di sbattere la porta, pianto il coltello nel tavolo.
Sento il suo grido di frustrazione da dietro l’angolo e mi fermo. Poi mi lascio cadere, accovacciandomi con la schiena contro
il muro. Prima di conoscere lei, ero completamente in stallo: mi svegliavo ogni mattina solo per trascinarmi fino alla sera.
Avevo pensato di andarmene – avevo deciso di farlo – di diventare un Escluso, alla fine di questo corso di addestramento. Ma
poi è arrivata lei… ed era proprio uguale a me, nel suo mettere da parte i vestiti grigi ma senza rinunciarci del tutto, senza
abbandonarli davvero, perché conosce il segreto, sa che sono l’armatura più forte che possiamo indossare.
E ora lei mi odia e non posso neanche più andarmene dagli Intrepidi e unirmi agli Esclusi, come avevo intenzione di fare,
perché Eric le ha puntato gli occhi addosso come aveva fatto con Amar, prima che lo trovassero morto. Tutti i Divergenti
finiscono morti – tranne me, grazie al fortunato risultato del mio test attitudinale – e se Eric la sta tenendo d’occhio significa
che, probabilmente, è una Divergente anche lei.
I miei pensieri tornano a ieri notte, al calore che il contatto con la sua pelle mi ha trasmesso, alla mano e a tutto il corpo,
nonostante fossi paralizzato dalla paura. Mi prendo la testa tra le mani per scacciare via il ricordo.
Non posso andarmene, adesso. Lei mi piace troppo. Ecco, l’ho detto. Ma non lo ripeterò mai più.
Indice

TOBIAS RACCONTA
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