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Il puntino rosso

« Hai visto? » disse Emma mentre l’auto svoltava bruscamente a destra, prendendo lo svincolo
verso Trieste ed emettendo un lugubre stridio di gomme sull’asfalto.
« Che cosa dovrei vedere?» Andrea non capiva di cosa Emma parlasse perché i suoi occhi pesti,
truccati come avessero ricevuto un pungo la sera prima, non guardavano mai l’oggetto a cui le sue
parole si indirizzavano. Uno sguardo senza referente, così l’aveva sempre definito.
« Lo schermo, guarda lo schermo: sei sicuro di voler prendere questa strada?»
I riflessi bluastri del display del navigatore le illuminavano il volto donandole un aspetto freddo,
glaciale, pallido, marmoreo.
« Non vedi che c’è una cazzo di coda più avanti? »
In effetti la linea blu che, come in un videogioco degli anni ’80, stavano seguendo senza porsi
troppe domande e senza guardarsi in giro … e d’altronde che cosa avrebbero dovuto guardare,
attraversando la città infinita dell’hinterland veneto? I condomini a sei piani progettati da un
povero architetto che sognava di diventare Le Corbusier e che era finito a realizzare un altro
pezzo di periferia di un’anonima cittadina della pianura padana, tra pozze di piscio, umidità e
zanzare? La linea blu, è vero.
La linea blu virava poco più avanti sul giallo, per poi divenire rossa, segno inequivocabile che altri
centinaia di telefoni, collegati alla medesima app, erano fermi, assieme ai loro proprietari, dentro
a un’autovettura sull’autostrada A4, in direzione di Trieste.
« Merda » sbottò Andrea « ormai è tardi, mica posso fare inversione a U »
Nessuno, lanciato nella corsa folle della propria vita, può mai fare inversione a U.
Questo Andrea non lo sapeva, chiuso nel suo golfino primaverile color cachi, mentre stringeva il
volante dell’Audi bianca del padre, con quelle mani da studente di medicina che non riuscirà mai
a tenere saldamente un bisturi.
« Eh, allora vorrà dire che ci ciucceremo la coda » continuò Emma stizzita, come se ci fossero
delle reali alternativa che Andrea aveva volutamente ignorato.
Il sole era appena stato risucchiato dietro l’orizzonte, una luce rosata languiva nel cielo ed Emma
la guardava ammirata, come se fosse possibile resistere lasciando dietro a sé una traccia
riconoscibile anche quando il proprio corpo ha preso congedo dal mondo fenomenico.
Le venne in mente una frase di Marco Aurelio, letta anni addietro quando il padre l’aveva
persuasa - prima di iscriversi a medicina dove aveva conosciuto Andrea - a frequentare il liceo
classico di Treviso.
Marco Aurelio, aforista ante-litteram, reggente illuminato e filosofo di tradizione stoica, nei suoi
Colloqui con se stesso, aveva abbozzato questa sentenza : “Presto avrai dimenticato tutto, presto
ti avranno dimenticato tutti”.
Emma non sapeva perché, ma quelle parole, vergate da un imperatore romano in greco, le erano
risultate sin da subito consolatorie, come se esercitassero su di lei una funzione apotropaica e
salvifica.
Non era quello il momento, ma presto tutto il peso dell’esistere le sarebbe stato tolto e, assieme a
esso, anche la responsabilità di dover essere qualcuno, in un mondo in cui i criteri di successo e
fallimento erano stabiliti da valori e disvalori che lei, senza saper bene il perché, non sentiva
propri.
Non era quello il momento, ma l’idea che tra venti, trenta o quarant’anni sarebbe scomparsa dalla
storia, ingurgitata dall’anonimato come miliardi di persone prima di lei, la faceva sentire quasi
serena, come se la responsabilità di esistere (e di coesistere con l’altro da sé) se ne andasse
nell’esatto momento in cui quelle parole le venivano alla mente.
Ovviamente tutto questo Emma non poteva confessarlo a nessuno, nemmeno a quel ragazzo che
guidava al suo fianco e che lei, inghiottita dalla propria normalità, si era convinta a frequentare da
qualche mese.
Più di così, tuttavia, non sapeva razionalizzare quelle parole, lette quasi un decennio prima.
E poi, diciamocela tutta, chi se ne frega. Scostò il ciuffo castano di capelli dagli occhi e se lo mise
dietro l’orecchio con un gesto che sapeva di resa.
« Cos’è quel bollino rosso?» disse, continuando a riempire il silenzio.
« Non lo capisci? Mi prendi per il culo?»
« No, non l’avevo mai notato prima, nella mappe di Google »
« Nemmeno io, ma è chiaro. Indica che c’è stato un incidente, più avanti, e ti segnala esattamente
dove. Ecco la ragione della coda, credo »
« Uh, quindi è nuovo? » disse Emma con una punta di ingenuità.
« A quanto pare » replicò Andrea.
Emma tirò fuori dalla borsetta una HEETS e la caricò nel suo IQOS, aspirando a pieni polmoni il
tabacco vaporizzato. Come lei, milioni di ragazzi avevano barattato la bellezza del gesto del
fumatore con quel grottesco inalare da un dispositivo elettronico, illudendosi di guadagnare in
salute e longevità.
Ormai si era abituata: in sei dei suoi tiri la ricarica si sarebbe esaurita.
« Sarà lunga, io prendo l’IQOS ». Prima boccata.
« Non lo so, stiamo andando più veloce del previsto » disse Andrea guardando per un secondo il
contachilometri che segnava i 40kmh.
Davanti a loro le macchine acceleravano e rallentavano, a volte si fermavano del tutto, mentre
una nebbiolina biancastra e umida aveva ricoperto il panorama circostante, cancellando
definitivamente gli sforzi del sole di farsi ricordare.
« Hey, lo sai che sono curioso di vedere cos’è successo? Magari un’auto è stata tamponata da un
TIR e il corpo del guidatore è stato sbalzato fuori dall’abitacolo. » disse Andrea toccando con
complicità Emma con il gomito destro.
« Ma che cazzo di fantasie macabre hai, oggi?» Disse Emma con noncuranza, emettendo una
nube di fumo denso.
« Dai, Emma, questo puntino rosso mi ha messo curiosità. Per la prima volta so quanto spazio
fisico c’è tra me e la morte altrui »
« Sei morboso, cazzo. E poi chi ti dice che l’incidente è mortale? Magari è un semplice
tamponamento, un’avaria, uno pneumatico scoppiato».
« Che palle Emma, non lo so. Diciamo che me lo sento o, forse, che vorrei fosse così. Tu l’hai mai
visto un morto? Uno reale, dico. Non un simulacro in un film su Netflix ».
« Quando ero piccola mia madre mi portò all’obitorio. Avevo insistito per vedere un cadavere e
lei mi accontentò. Entrammo nella camera ardente e non c’era nessuno. La bara, aperta,
conteneva il corpo di un uomo ben vestito, i capelli bianchi perfettamente pettinati all’indietro,
gli occhi chiusi. Non era la morte che mi aspettavo: il volto era disteso, le mani intrecciate poco
sotto al petto, le unghie limate; l’avevano agghindato come se dormisse e sembrava che, da un
momento all’altro, potesse risvegliarsi, ristorato.
L’unica cosa che mi aveva colpito era il blocchetto di polistirolo che, come un puntello, collegava
il petto al mento del dormiente. Chiesi a mia madre cosa fosse e lei mi rispose che serviva a
impedire che la bocca si aprisse.
In quel momento preciso tutto cambiò: il parallelepipedo di polistirolo cadde, le labbra fini e
secche si spalancarono rivelando dei denti che viravano sul marrone e un afrore verdognolo, un
odore di muffa e marciume, profuse da quel meato oscuro, da quel gorgo dentro cui stavo
guardando. La lingua, scollandosi dalla densa saliva che la tratteneva, si mosse e quella gola
orrenda parlò.
Non so dire in che idioma si stesse esprimendo, ma i suoni gutturali che ne uscirono mi fecero un
tale orrore che distolsi lo sguardo e, premendomi le mani sulle orecchie, lo alzai verso quegli
occhi che ora, spalancati, mi fissavano. Non riesco a dimenticarlo»
« Ahahaha, che schifo, Emma! Hai una fantasia malata »
« No! Non era una fantasia, te lo assicuro. Corsi fuori e mia madre mi seguì e mi abbracciò. La
guardai in viso e non sembrava affatto stupita o impaurita. Forse per lei era tutto normale, forse
era talmente assuefatta da non vedere altro che un corpo, esangue e immobile ».
« Dai, è chiaro che ti sei fatta condizionare e che l’emotività del momento ti ha scatenato quelle
orrende fantasie. Eri piccola. E suggestionabile. »
« Sarà, però non parlarmi di morti, per favore. Io non ne voglio più vedere ». Seconda boccata.
« E hai scelto di fare medicina? Beh, mi pare tutto molto sensato »
« È stata una decisione della famiglia e io mi sono adattata. Una volta laureata, farò tutt’altro »
« Se lo dici tu… Nel frattempo, guarda, siamo sempre più vicini all’incidente. Il segnalino sullo
schermo è a pochi centimetri »
« Ancora? - terza boccata - sei ancora lì a fremere per uno spettacolino che non vedrai? Tu non
sei normale! »
« Pensa se invece trovassimo i corpi maciullati a lato, magari coperti da un telo alla bene e meglio.
Io vorrei vederla una cosa del genere. Mi sentirei più vivo »
« Sembri proprio uno di quei coglioni che creano gli ingorghi perché rallentano in prossimità di
un incidente. Coda per curiosi nel senso di marcia opposto: così l’ho sentita definire una volta alla
radio »
« Dai, pensaci, a parte quell’esperienza asettica all’obitorio, condita dalla tua fantasia infantile,
vedere un morto, uno vero, magari due, non ti incuriosirebbe? »
« No, Andrea. Mi farebbe schifo, cazzo. Mi viene l’ansia al solo pensiero ». Quarta boccata.
« Beh, dovrai rassegnarti. Tra pochi secondi ci siamo. Vedremo chi ha ragione. »
« Certo che sei proprio un idiota, non è una questione di ragione o di torto!». Quinta boccata.
« Strano, però, non c’è niente. Eppure Google Maps dice che siamo proprio nel punto esatto
dell’incidente »
« Hai visto, cretino? - sesta boccata - Probabilmente hanno già tolto tutto. Non era successo
niente! » disse Emma esalando il vapore e dando un colpo leggero con la mano sinistra sulla
spalla di Andrea.
Lui si girò e la guardò con freddezza, illuminata nel buio della sera, dai bagliori bluastri dello
schermo del navigatore.
« Non c’è niente. Nessuno. Eppure dovrebbe essere qui. È successo qui, esattamente qui! » Disse
spostando lo sguardo e picchiettando con l’indice sul display.
Fu in quel momento che non si accorse che la macchina di fronte a lui si era fermata con le
quattro frecce accese e l’Audi bianca le sbattè contro con un rumore sordo.
Dietro di loro un camionista annoiato stava tentando di sbirciare, dal suo abitacolo rialzato, le
gambe seminude della donna nella corsia a fianco e nemmeno lui, che stava accelerando per
affiancarsi e guardare meglio, si accorse di quanto stava avvenendo di fronte al suo
autoarticolato. Non fece in tempo a frenare.
L’impatto fu così violento che il corpo di Andrea fu sbalzato fuori dall’auto e finì esangue sul
selciato, mentre una bruna pozza cominciava ad allargarsi piano sotto di lui.
Emma fece la stessa fine: l’urto la lanciò fuori dalla carreggiata dentro al canale di irrigazione che
costeggiava la strada. Svenuta affondò piano nell’acqua nera e melmosa.
Fu lì che la recuperarono, ormai priva di vita, i primi soccorritori, depositandola sotto un
lenzuolo, proprio a fianco del cadavere di Andrea.
Dentro l’Audi bianca semidistrutta, nello schermo ancora acceso del navigatore, preciso e
ineffabile, un puntino rosso indicava esattamente il luogo in cui l’incidente era avvenuto.

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