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Diritto Amministrativo Manuale Riassunto
Diritto Amministrativo Manuale Riassunto
ELEMENTI DI
AMMINISTRATIVO
I.
IL DIRITTO AMMINISTRATIVO E IL RUOLO DELLE FONTI DEL DIRITTO SOVRANA-
ZIONALE ED INTERNAZIONALE
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II.
LE FONTI DELL’ORDINAMENTO NAZIONALE
1. Classificazioni.
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TESTI UNICI E CODICI: Vi sono, poi, due peculiari tipologie di atti regola-
mentari: i testi unici e i codici che rispondono ad un’esigenza di semplifi-
cazione normativa, cui si è cercato di dare avvio con la prima Legge Bassa-
nini (art. 20, l. 59/1997), la quale prevedeva che il Governo presentasse ogni
anno un disegno di legge relativo ai procedimenti da semplificare (c.d. legge
annuale di semplificazione) tramite regolamenti di delegificazione.
Successivamente, con la l. 8 marzo 1999, n. 50, si è tentato di coniugare l’esi-
genza di delegificazione con quella di riordino normativo tramite l’introdu-
zione dello strumento del testo unico (art. 7). Occorre distinguere tra:
- testi unici normativi (innovativi, delegati o di coordinamento) che
modificano o abrogano le disposizioni legislative esistenti;
- testi unici compilativi (non innovativi o di mera compilazione), che
si limitano al raccoglimento in un unico atto delle norme già esistenti,
non incidendo sulla legislazione esistente.
Vi sono, poi, i testi unici misti che raccolgono e coordinano disposizioni di
fonti primarie e secondarie. Tale strumento è considerato in dottrina un
atto di natura mista, adottato contestualmente nell’esercizio di potestà le-
gislativa delegata (laddove coordina disposizioni contenute in fonti prima-
rie) e di potestà governativa delegificante (ove invece interviene su fonti
secondarie). L’istituto è stato abrogato dalla l. 29 luglio 2003, n. 229 (c.d.
legge di semplificazione per il 2001), che ha introdotto uno schema fondato
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III.
LA FUNZIONE AMMINISTRATIVA
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4. Le leggi provvedimento.
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IV.
I SOGGETTI DEL DIRITTO AMMINISTRATIVO
La nozione di P.A. non è più quella che fa unicamente perno attorno allo
Stato-apparato, essendo stato accolto nella Costituzione ed invalso nella
prassi il principio del pluralismo istituzionale. Accanto allo Stato, che è
l’ente pubblico per eccellenza, operano infatti altri soggetti dotati di capa-
cità giuridica di diritto pubblico, volti al perseguimento di finalità di pub-
blico interesse. L’organizzazione della P.A. è retta da una serie di ineludibili
principi costituzionali. L’art. 8, comma 1, l. 7 agosto 2015, n. 124 meglio
nota come Legge Madia, aveva delegato il Governo ad adottare uno o più
decreti legislativi per la riforma dell’Amministrazione centrale dello Stato. La
delega non ha trovato attuazione.
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3. Lo Stato.
Gli enti pubblici nazionali fanno parte del concetto di amministrazione pub-
blica, ma non rientrano nell’amministrazione dello Stato, tanto che sono
stati anche denominati ‘amministrazioni parallele’ o ‘amministrazione indi-
retta’. Hanno strutture eterogenee, sono dotati di personalità giuridica di di-
ritto pubblico o di diritto privato ed esercitano funzioni amministrative. Pos-
siedono organi propri (di regola, presidente e consiglio di amministrazione),
nominati dal governo, che dettano gli obiettivi e le direttive ai loro uffici. I
poteri di vigilanza spettano, in genere, all’autorità di governo che, talora, è
titolare di poteri di direttiva. Una maggiore autonomia organizzativa e fun-
zionale è riconosciuta agli enti pubblici che sono espressione di comunità di
settore, come le camere di commercio, o svolgono attività assistite da garan-
zie costituzionali, come le università e le istituzioni scolastiche. Si tratta di
categoria complessa, il cui tratto comune può essere individuato nel pos-
sesso della personalità giuridica che li rende titolari di poteri amministrativi.
I criteri per la classificazione degli enti pubblici si rinvengono nella l. 20
marzo 1975, n. 70, recante il cd. statuto del parastato ossia di quegli enti
necessari, attratti nell’area di influenza dello Stato, cui sono legati da rap-
porti di ausiliarietà e strumentalità. Particolare rilievo va ascritto all’art. 4 di
tale legge. Ne consegue che sono pubbliche le persone giuridiche che un
atto legislativo qualifica come tali. Il criterio della qualificazione legislativa
non sempre è decisivo, infatti, il principio di cui all’art. 4, l. n. 70 del 1975
opera solo rispetto agli enti c.d. “parastatali” e non assume rilievo rispetto
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agli enti costituiti prima della sua entrata in vigore. In dottrina e in giurispru-
denza ci si è a lungo impegnati nel tentativo di elaborare alcuni indici di
riconoscimento della natura pubblica dell’ente (cfr. da ultimo Cons. St.,
sez. VI, 1 giugno 2016, n. 2326), rappresentati:
- dalla titolarità di poteri di imperio;
- dall’istituzione da parte dello Stato o di altro ente pubblico (cd. costi-
tuzione ad iniziativa pubblica);
- dall’assoggettamento ad un sistema di controlli pubblici;
- dall’ingerenza dello Stato o di altra P.A. nella nomina e nella revoca
dei dirigenti dell’ente e/o nella sua amministrazione;
- dalla partecipazione dello Stato o della diversa P.A. alle spese di ge-
stione dell’ente;
- dall’esercizio, da parte dello Stato o della diversa P.A., di un potere di
direttiva sugli organi dell’ente, ai fini del perseguimento di determi-
nati obiettivi;
- dalla corresponsione di finanziamenti pubblici (fruizione di agevola-
zioni o di privilegi tipici delle amministrazioni statali);
- dal riconoscimento della cd. operatività necessaria (impossibilità che
i compiti attribuiti siano espletati da altro soggetto ovvero impossibi-
lità di fallimento o di estinzione volontaria).
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Come tutte le persone giuridiche, anche lo Stato e gli enti pubblici possie-
dono una propria struttura organizzativa interna, composta di beni e persone
fisiche che agiscono per conto dell’ente. Si distinguono, a tal fine, gli organi
e gli uffici. In sostanza i poteri di attribuzione vengono conferiti dall’ordina-
mento solo all’ente munito di personalità giuridica; mentre gli organi di cui
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esso si avvale esercitano una porzione di quei poteri nota come competenza
che consente di riferire all’ente atti ed attività. Elementi essenziali dell’organo
sono dunque:
- il titolare dell’organo (c.d. funzionario), di norma una persona fisica
legata all’ente da un particolare rapporto giuridico, detto rapporto di
servizio.
- l’esercizio di una pubblica potestà. Si definisce competenza l’in-
sieme dei poteri e delle funzioni che ciascun organo può esercitare.
Per organo deve, quindi, intendersi la partizione organizzativa della per-
sona giuridica che, in virtù di una norma, è idonea ed esprimerne la vo-
lontà, consentendone l’imputazione dell’atto e degli effetti. Per una più com-
piuta definizione della natura dell’organo è necessario soffermarsi sulla rela-
zione che lega l’organo all’ente, il c.d. rapporto organico. Nei primi tentativi
teorici, si è fatto ricorso all’istituto della rappresentanza.
Nell’ambito dell’organo si distingue tra:
- il titolare che è la persona fisica che manifesta la volontà dell’organo
all’esterno;
- i preposti collocati, invece, in posizione subordinata.
Il rapporto organico è ipotizzabile solo per il titolare e comporta l’imputa-
zione degli atti compiuti direttamente all’ente. A lungo dibattuta è stata
la possibilità di imputare alla persona giuridica anche meri fatti, in parti-
colare i fatti illeciti. Ad una prima impostazione negativa, se ne contrappone
un’altra più accreditata secondo la quale all’ente vanno imputati tutti i com-
portamenti giuridicamente rilevanti.
Quando il titolare dell’organo resta nell’esercizio delle funzioni anche dopo
la cessazione dalla carica, finché non subentri il successore, si parla di pro-
rogatio.
Molteplici le classificazioni tra organi amministrativi. Si distingue tra: or-
gani individuali e collegiali; organi rappresentativi e non rappresenta-
tivi, a seconda che siano eletti o meno dai cittadini; organi attivi ovvero
di amministrazione attiva, consultivi o di controllo; organi permanenti e
organi temporanei; organi ordinari e straordinari: i primi fanno parte in
modo stabile della struttura, i secondi sono nominati solo in casi eccezio-
nali (es. commissario ad acta). Quanto agli organi collegiali, per il loro
funzionamento è necessario che vi sia:
- un quorum strutturale (numero minimo di partecipanti necessario
per l’attività);
- un quorum funzionale (numero minimo di voti favorevoli per l’ap-
provazione della delibera).
Il rapporto organico va, poi, distinto (come visto supra) dalla legale rap-
presentanza, intesa quale legittimazione ad esprimere la volontà
dell’ente nei rapporti di diritto comune con i terzi, a rappresentare l’ente
nei rapporti processuali, etc. Anche se di solito la rappresentanza è attri-
buita al titolare dell’organo, la stessa consiste solo nella legittimazione a
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9. Il funzionario di fatto.
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V.
GLI ENTI PUBBLICI ECONOMICI E I SOGGETTI DI ISPIRAZIONE EUROPEA
1. Premessa.
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3. Le fondazioni.
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effetto della ritenuta riconduzione delle stesse nella nozione, di fonte comuni-
taria, di organismo di diritto pubblico. Proprio con riguardo a tale aspetto,
in giurisprudenza si è sostenuto che la fondazione di diritto privato non può
ritenersi - per il sol fatto di svolgere, sulla base di intese ed accordi attuativi
con la Regione e l'ASL competente, attività riconducibili al SSN un ‘ente’ del
SSN, poiché a tal fine è necessaria una previsione di legge che qualifichi l’ente
nel quadro del S.S.N. sottoponendolo alle regole pubblicistiche (v. Cons. St.,
Sez. III, 16 settembre 2016, n. 3892).
Come rilevato, la natura pubblica di una struttura societaria può anche con-
seguire alla riconduzione della stessa in talune figure soggettive pubbliche
di derivazione comunitaria, ormai da tempo entrate a far parte della disci-
plina nazionale, nonostante manchi una definizione a livello europeo della
figura di soggetto pubblico, si tratta: dell’organismo di diritto pubblico;
dell’impresa pubblica; dei soggetti in house.
Riproducendo il contenuto delle direttive 2014/23/UE, 2014/24/UE,
2014/25/UE del 26 febbraio 2014 l’art. 3, comma 1, lett. d) del d.lgs. n. 50
del 2016 individua le caratteristiche del c.d. “organismo di diritto pubblico”,
quale soggetto incluso nella categoria delle c.d. “Amministrazioni aggiudica-
trici”. In particolare, gli organismi di diritto pubblico:
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6. L’impresa pubblica.
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7. Le società in house.
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VI.
I PROFILI ORGANIZZATIVI DELL’AMMINISTRAZIONE
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VII.
LE AUTORITÀ AMMINISTRATIVE INDIPENDENTI
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VIII.
LA DISCIPLINA DEL RAPPORTO DI LAVORO ALLE DIPENDENZE DELLA P.A.
2. Gli effetti della privatizzazione sulla disciplina degli atti adottati dalla
P.A.
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L’art. 35, co. 1, d.lgs. n. 165/2001, prevede che l’assunzione nelle PP.AA. possa
avvenire mediante procedure selettive. In particolare, il co. 3 dell’articolo
citato elenca specificamente i principi cui devono conformarsi le procedure
di reclutamento del personale:
1. adeguata pubblicità della selezione;
2. adozione di meccanismi oggettivi e trasparenti;
3. rispetto delle pari opportunità tra lavoratrici e lavoratori;
4. decentramento delle procedure di reclutamento;
5. composizione delle commissioni esclusivamente con esperti di
provata esperienza.
Il legislatore ha affidato alla disciplina del diritto pubblico la scelta del
contraente e a quella di diritto privato il momento genetico della costitu-
zione del rapporto in ossequio all’art. 97 Cost. Tradizionalmente il concorso,
oltre a possedere i caratteri della neutralità, è caratterizzato dal ricorso al
metodo comparativo, cui fa da corollario il fatto che il candidato selezionato
dimostri in ogni caso una sufficiente attitudine professionale rispetto al posto
messo a concorso
4. Tipologie di concorsi.
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5. La tutela risarcitoria.
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8. La dirigenza.
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IX.
I PRINCIPI DELL’AZIONE AMMINISTRATIVA
L’attività amministrativa può essere definita come l’attività con cui la P.A.
provvede in concreto alla cura degli interessi ad essa affidati. Si distingue tra:
amministrazione attiva, la quale comprende tutte le attività attraverso le
quali la P.A. mira a realizzare i propri fini, in fase sia deliberativa che esecutiva;
attività di amministrazione consultiva, che consiste, invece, nell’emana-
zione di pareri, di consigli, direttive, in favore di organi o autorità chiamati a
provvedere in ordine ad un determinato oggetto; attività di controllo effet-
tuata secondo diritto (controllo di legittimità) o in applicazione delle regole
della buona amministrazione (controllo di merito). L’azione amministrativa è
assoggettata a limiti che si distinguono in:
- negativi, volti a garantire il rispetto della liceità dell’azione;
- positivi, diretti invece a mantenere tale attività nell’ambito dei fini
pubblicistici che l’amministrazione è chiamata a realizzare. Questi ul-
timi, a loro volta, possono essere fissati in modo rigoroso e puntuale
o in modo elastico, lasciando alla P.A. un ambito di valutazione più
o meno vasto: nel primo caso l’attività amministrativa è vincolata, nel
secondo è discrezionale.
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L’azione della P.A. si sostanzia nella cura concreta degli interessi pubblici,
previsti dalla legge ed affidati da questa ad un prefissato centro di potere
pubblico, tenuto ad agire nel rispetto dei contenuti e dei confini stabiliti
dalla legge (c.d. principio di legalità), osservando i criteri di adeguatezza,
convenienza ed opportunità (c.d. merito amministrativo). Il potere, che
nella norma di legge deve avere la sua base giuridica deve essere esercitato
nel rispetto di taluni limiti, di tipo negativo, tendenti ad assicurare che l’at-
tività si mantenga nei confini della liceità e di tipo positivo, diretti, invece, a
garantire che l’agere della P.A. persegua i fini pubblici. Al diverso tasso di
intensità dei limiti positivi si ricollega la distinzione tra attività vincolata e
attività discrezionale:
- l’attività è vincolata quando tutti gli elementi da acquisire nell’ado-
zione della decisione amministrativa sono prefigurati dalla legge;
- diversamente, quando la legge lascia all’autorità amministrativa un
certo margine di apprezzamento in ordine a taluni aspetti della deci-
sione da assumere, la P.A. dispone di discrezionalità amministrativa
che presuppone l’attribuzione di uno spazio decisionale, nel rispetto
dei confini fissati dalla legge e dei criteri di buona amministrazione;
- infine, dalla discrezionalità amministrativa va nettamente distinta la
c.d. discrezionalità tecnica, non implicante un potere di scelta
dell’amministrazione, solo chiamata a verificare che ricorrano i pre-
supposti di legge per l’adozione di una determinazione già definita in
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una volta rispettati tutti i parametri legali che sovrintendono all’esercizio della
discrezionalità. È l’area nella quale la P.A. è sottratta ad un sindacato
esterno del giudice amministrativo, che non può sostituirsi alla P.A. Invero,
il sindacato del giudice amministrativo non è di norma esteso al merito, salve
le tassative ed eccezionali ipotesi determinate dalla legge (es. il giudizio di
ottemperanza). Merito e legittimità sono entrambi predicati della discrezio-
nalità (MORTATI): il merito costituisce, infatti, la parte libera della discreziona-
lità, in cui nel rispetto delle regole di legittimità, la P.A. effettua la scelta di
opportunità amministrativa, normalmente non sindacabile in sede giurisdi-
zionale, ma solo in via giustiziale, in specie in sede di definizione del ricorso
gerarchico.
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X. IL PROCEDIMENTO AMMINISTRATIVO
X.
IL PROCEDIMENTO AMMINISTRATIVO
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X. IL PROCEDIMENTO AMMINISTRATIVO
5. Il preavviso di rigetto.
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La conferenza di servizi è stata concepita dal legislatore del 1990 quale ge-
nerale strumento di concentrazione, in un unico contesto logico e tempo-
rale, delle valutazioni e delle posizioni delle diverse amministrazioni portatrici
degli interessi pubblici rilevanti in un dato procedimento amministrativo. La
conferenza di servizi, dunque, risponde al canone costituzionale del buon
andamento dell’amministrazione pubblica. La disciplina della conferenza
di servizi contenuta nella l. n. 241/1990 è stata oggetto, nel corso degli anni,
di numerose e sostanziali modifiche. Da ultimo si segnala che l’art. 2, co. 1,
della l. 7 agosto 2015, n. 124.
Tradizionalmente si distinguono, anche a seguito della recente novella, di-
verse tipologie di conferenza di servizi. A) La conferenza di servizi istrutto-
ria, disciplinata dal comma 1 dell’art. 14, l. n. 241/ 1990, può essere indetta
dall’Amministrazione procedente, anche su richiesta di altra Amministrazione
coinvolta nel procedimento o del privato interessato, quando lo ritenga op-
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X. IL PROCEDIMENTO AMMINISTRATIVO
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A) ATTIVI: L’art. 22, l. n. 241/90 designa quali soggetti titolari del diritto di
accesso tutti i soggetti privati, compresi quelli portatori di interessi pub-
blici o diffusi, che abbiano un interesse diretto, concreto e attuale, cor-
rispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al docu-
mento di cui è chiesta l’ostensione. Risulta confermata l’impostazione tra-
dizionale volta ad escludere la possibilità che l’accesso si tramuti in
un’azione popolare diretta al controllo generalizzato dell’attività della P.A.
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X. IL PROCEDIMENTO AMMINISTRATIVO
La tutela in oggetto, di cui agli artt. 22 ss., l. n. 241/90, riguarda il c.d. “ac-
cesso esoprocedimentale”, consentendo al soggetto estraneo al proce-
dimento amministrativo di chiedere l’esibizione di documenti ove dimostri
specificamente la titolarità di un interesse giuridicamente rilevante. Diverso
è il caso del soggetto partecipante al procedimento amministrativo, il
quale per ottenere l’accesso non deve dimostrare nient’altro che la veste di
parte del procedimento. Si parla, in tal caso, di c.d. “accesso endoprocedi-
mentale”, disciplinato dall’art. 10 l. n. 241/90. La norma fa esplicito riferi-
mento ai soggetti privati e con ciò sembra escludere che il procedimento
di accesso possa essere attivato da una P.A. Pare confermare l’assunto l’art.
22, co. 5, alla stregua del quale l’acquisizione di documenti amministrativi
da parte di soggetti pubblici si informa al principio di leale cooperazione
istituzionale. Il diritto d’accesso va sempre collegato ad una specifica situa-
zione soggettiva giuridicamente rilevante. È quanto ora esplicitamente chia-
rito dal co. 3 dell’art. 24, l. n. 241/90, secondo cui non sono ammissibili
istanze di accesso preordinate ad un controllo generalizzato dell’operato
delle Pubbliche amministrazioni. Pertanto, l’interesse che legittima ad
esercitare l’accesso è, innanzitutto, un interesse differenziato; di tipo per-
sonale e concreto, ricollegabile al soggetto da uno specifico nesso. Circa
le differenze tra accesso civico ed accesso ordinario, le nuove disposi-
zioni, dettate con d.lgs. n. 33 del 2013, in materia di pubblicità, trasparenza
e diffusione di informazioni da parte delle Pubbliche amministrazioni, di-
sciplinano situazioni non ampliative né sovrapponibili a quelle che con-
sentono l’accesso ai documenti amministrativi, ai sensi degli artt. 22 ss., l.
n. 241 del 1990. Con il citato d.lgs. n. 33 del 2013, infatti, si è inteso pro-
cedere al riordino della disciplina, volta ad assicurare a tutti i cittadini la
più ampia accessibilità alle informazioni, concernenti l’organizzazione e
l’attività delle Pubbliche amministrazioni.
B) PASSIVI: L’art. 23, l. n. 241/90, nell’indicare i soggetti assoggettati al ri-
spetto della disciplina in tema di accesso, ha riguardo: alle Pubbliche am-
ministrazioni (comprensiva delle categorie dell’organismo di diritto pub-
blico e dell’in house providing limitatamente all’attività pubblicistica eser-
citata);alle aziende autonome e speciali; agli enti pubblici; ai gestori di
pubblici servizi; l’amministrazione europea in base al Regolamento n.
1049/2001/CE; le imprese di assicurazione (art. 146 del d.lgs., n. 209 del
2005). Riconosciuto è anche il diritto di accesso nei confronti delle Auto-
rità amministrative indipendenti che, tuttavia, si esercita nell’ambito dei
rispettivi ordinamenti, secondo quanto previsto dall’art. 24, l. n. 241/1990.
L’art. 22, co. 1, lett. d), l. n. 241/90 nel fornire la nozione di documento acces-
sibile, fa riferimento ad ogni rappresentazione di atti “concernenti attività di
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X. IL PROCEDIMENTO AMMINISTRATIVO
L’art. 25, co. 4, l. n. 241/90, prevede che, decorsi inutilmente 30 giorni dalla
richiesta, questa si intende respinta. La norma delinea un’ipotesi di silenzio
significativo con un effetto equipollente a quello proprio di un provvedi-
mento espresso di diniego. Ciò è confermato dal successivo periodo dello
stesso co. 4, che pone sullo stesso piano il diniego di accesso, sia esso
espresso o tacito. Avverso il diniego (o differimento) di accesso è possibile
sperimentare:
1. una tutela giurisdizionale : Il ricorso avverso il diniego espresso o
tacito di ostensione documentale è disciplinato dall’art. 116 c.p.a., in-
serito nel Libro IV sui riti speciali la cui applicazione è estesa dal d.lgs.
n. 33/2013, novellato dal d.lgs. 97/2016, anche alla tutela del diritto
di accesso civico.
2. una tutela di tipo giustiziale, esperibile dinanzi al difensore civico
competente per territorio (ove si tratti di atti di amministrazioni locali
e regionali) o dinanzi alla Commissione per l’accesso ai documenti
amministrativi (ove si tratti di atti di amministrazioni statali e perife-
riche dello Stato). Competono alla Commissione per l’accesso ai do-
cumenti una serie di funzioni quali: a) la vigilanza sull’attuazione del
principio di piena conoscibilità; b) la predisposizione di una relazione
annuale sulla trasparenza; c) l’invio al Governo di proposte di modifi-
che legislative finalizzate ad ampliare le possibilità di esercizio del di-
ritto di accesso; d) l’espressione di pareri nei confronti delle PP.AA.
richiedenti per coordinare l’attività organizzativa delle amministra-
zioni in materia di accesso e per garantire una uniforme applicazione
dei relativi principi.
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XI.
IL SILENZIO AMMINISTRATIVO E LE SUE FORME
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La previsione del potere del G.A. di valutare la fondatezza della pretesa del
privato e di determinare il contenuto del provvedimento, ha posto in modo
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particolarmente intenso la questione della tutela del terzo che rischia di ve-
dere compromessa la sua posizione per effetto dell’accoglimento del ricorso
contro il silenzio e del conseguente ordine rivolto dal giudice all’amministra-
zione di adottare l’atto favorevole al ricorrente. Prima dell’adozione del c.p.a.
ci si chiedeva se si trattasse di terzo controinteressato. Tecnicamente, nel
processo amministrativo, ricorre la figura del terzo controinteressato in pre-
senza di due condizioni:
- una sostanziale: deve in primo luogo trattarsi di un terzo che ha otte-
nuto, per effetto dell’atto amministrativo che altri impugna, un van-
taggio;
- l’altra formale: è necessario, affinché il terzo possa dirsi controinte-
ressato, che la sua esistenza sia facilmente desumibile dall’atto.
4. Il silenzio endoprocedimentale.
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6. Il silenzio-diniego.
Ulteriore figura di silenzio enucleata dalla dottrina è quella del c.d. silenzio-
diniego, che ricorre in ipotesi eccezionali allorquando la legge equipara
l’inerzia della P.A. al diniego sull’istanza presentata dal privato e cioè ad un
provvedimento di rigetto (si v. l’ipotesi di cui all’art. 25, co. 4, l. n. 241/1990
in materia di accesso). Nelle suddette ipotesi, dunque, non opera il mecca-
nismo del silenzio-assenso, espressamente escluso dall’art. 20, co. 4, l. n.
241/90.
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poteri:
a) un potere inibitorio dell’attività da esercitare entro sessanta giorni
(termine interrotto laddove la p.a. intimi al privato di conformare il
proprio operato a legge, con una determinazione che comporta la so-
spensione dell’attività nei soli casi di attestazioni mendaci e pericolo
per i danni sensibili);
b) un analogo potere inibitorio (in via di c.d. autotutela) esercitabile sol-
tanto in presenza dei presupposti fissati dall’art. 21-nonies, entro i 18
mesi successivi all’estinzione del potere sub a).
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XII.
GLI ATTI ED I PROVVEDIMENTI AMMINISTRATIVI
Si suole procedere alle distinzioni tra gli atti amministrativi utilizzando diffe-
renti parametri.
• In relazione alla natura dell’attività amministrativa espletata, si può
distinguere tra:
o atti di amministrazione attiva (i provvedimenti); atti di ammini-
strazione di controllo; atti di amministrazione consultiva.
Quanto a questi ultimi, si tratta dei pareri (che, a seconda dei
casi, si distinguono in pareri c.d. facoltativi e pareri c.d. obbliga-
tori).
o provvedimenti di primo grado e provvedimenti di secondo
grado, incidenti, questi ultimi, su atti precedentemente emanati
dalla PA, (ad es. i provvedimenti di autotutela).
• In relazione all’efficacia, si può distinguere tra: atti che costituiscono
un rapporto giuridico, nel senso che lo istituiscono o lo modificano
(es. la concessione); atti che estinguono un rapporto giuridico quali
i provvedimenti ablatori: reali (come l’espropriazione); personali
(come gli ordini amministrativi); obbligatori (le imposizioni tributarie,
ecc.); atti che dichiarano l’esistenza di un rapporto, preesistente agli
stessi.
• In relazione alla natura del potere esercitato, si distingue tra: atti
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Giova dar conto della tradizionale distinzione tra atto di alta amministrazione
e atto politico. L’atto politico si contraddistingue per due elementi: proviene
da un organo preposto all’indirizzo e all’attuazione del programma politico al
massimo livello (elemento soggettivo) e riguarda la costituzione, salvaguar-
dia e funzionamento dei pubblici poteri (elemento oggettivo) (si v. Cons. St.,
Sez. IV, 29 febbraio 2016, n. 808). Tale tipo di atto è sottratto al sindacato
giurisdizionale del giudice amministrativo. L’art. 7, co. 1, c.p.a. dispone in-
vero che “Non sono impugnabili gli atti o provvedimenti emanati dal Governo
nell’esercizio del potere politico”. La ratio dell’insindacabilità degli atti politici
è stata variamente spiegata nel corso del tempo. È prevalso l’orientamento se-
condo cui gli atti politici, in ragione della loro natura e della loro funzione, sono
assoggettabili al solo controllo dell’autorità politica, competente ad indivi-
duare i fini dell’attività di governo. Resta chiara la distinzione tra atto politico
ed atto amministrativo: mentre il primo è espressione di un’attività completa-
mente libera nel fine e, come tale, non sindacabile, il secondo, anche quando
ampiamente discrezionale, è soggetto al rispetto di determinate regole di de-
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2.3. I pareri.
Tra gli atti non provvedimentali che non sono manifestazioni di volontà, un
ruolo di particolare di rilievo è quello dei pareri, manifestazioni di giudi-
zio emesse da organi consultivi nell’interesse dell’amministrazione attiva. Si
suole distinguere, anzitutto, tra: pareri obbligatori, se la P.A. procedente è
obbligata a richiederli; pareri facoltativi, se tale obbligo non esiste.
Quanto all’efficacia dei pareri obbligatori, si distingue ulteriormente in:
• pareri non vincolanti quando l’organo di amministrazione attiva può
anche discostarsene con il proprio operato, motivandone le ragioni.
• pareri vincolanti, se la P.A. procedente deve decidere adeguandosi
al contenuto del parere richiesto;
• pareri parzialmente vincolanti, se la P.A. procedente può decidere
in senso diverso, osservando tuttavia una certa procedura;
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209
XIII.
LA PATOLOGIA DELL’ATTO AMMINISTRATIVO
Nella teoria generale del diritto lo studio della patologia dell’atto giuridico
ha per oggetto l’individuazione delle difformità dell’atto rispetto al para-
digma normativo, nonché gli effetti che tali difformità producono ed i ri-
medi previsti per il ripristino della legalità violata. Giova passare in rassegna
le categorie patologiche che possono riguardare il provvedimento ammini-
strativo.
• L’invalidità
L’invalidità è ritenuta la “categoria estrema” della patologia e sussiste quando
alla difformità dell’atto rispetto al paradigma legale corrisponda la lesione
dell’interesse concreto che la norma violata intende tutelare. La categoria
dell’invalidità ricomprende:
- La nullità che è ricondotta alla mancanza di un elemento costitutivo
della fattispecie o alla violazione di una norma posta a tutela di inte-
ressi generali. La nullità è connotata dall’inidoneità dell’atto a pro-
durre effetti sin dall’origine; opera di diritto; può essere accertata
in ogni tempo e, di regola, ad istanza di qualunque interessato; può
essere rilevata d’ufficio dal giudice; non può costituire oggetto di
convalida, ma al più di conversione.
- L’annullabilità che si ravvisa nel caso in cui taluno degli elementi co-
stitutivi della fattispecie sia viziato e la norma violata sia posta a tutela
di interessi particolari. La minore gravità del vizio rispetto alla nullità
giustificano: la provvisoria produzione degli effetti dell’atto sino a
quando questo non sia stato annullato ad iniziativa della parte legitti-
mata; la limitazione entro un termine temporale dell’azione d’annul-
lamento; la legittimazione relativa all’azione e l’atto annullabile è su-
scettibile di convalida.
Ulteriori stati patologici dell’atto diversi dall’invalidità sono:
• L’irregolarità del provvedimento che si riscontra quando la diffor-
mità rispetto al paradigma legale sia di tale ridotta entità da non
compromettere gli interessi che la norma violata intende tutelare. La
presenza di tale difformità, pur comportando una reazione da parte
dell’ordinamento, non incide sulla validità e sulla piena efficacia
dell’atto.
• L’inopportunità riguardante i vizi di merito che attengono al con-
tenuto del provvedimento. In tali casi la P.A. può revocare in autotu-
tela il provvedimento, o nei casi di giurisdizione estesa al merito, l’in-
teressato di può ottenerne l’annullamento ad opera del giudice.
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7. L’annullamento d’ufficio.
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potere di provvedere. Non vi rientrano, quindi: gli atti preparatori una volta
emanati e comunicati ai rispettivi destinatari; gli atti di controllo; gli atti de-
cisori. Tra i presupposti richiesti per il legittimo esercizio del potere di an-
nullamento, è in primo luogo necessario che il provvedimento sia illegittimo
ai sensi dell’art. 21 octies. Condizione essenziale è quindi quella dell’illegit-
timità del provvedimento oggetto di annullamento. Pertanto, a differenza
della revoca, l’annullamento in autotutela non può investire l’atto per motivi
di opportunità. L’illegittimità deve essere originaria, colpendo l’atto fin dalla
sua emanazione. La verifica della legittimità dell’atto, compiuta dalla P.A. ai
fini dell’annullamento, ha la stessa ampiezza del sindacato svolto dal giudice
amministrativo, ricoprendo i tre vizi classici di violazione di legge, incom-
petenza ed eccesso di potere.
Quanto alla valutazione dell’interesse alla rimozione, l’annullamento d’uffi-
cio non può essere disposto per la sola esigenza di ristabilire la legalità
dell’azione amministrativa, posto che l’interesse pubblico alla rimozione deve
essere comparato con altri interessi. In tale ottica l’autotutela è concorde-
mente ritenuta espressione di un potere discrezionale di ponderazione e
mediazione di più interessi ed esigenze tra loro confliggenti. Al fine di tute-
lare l’affidamento dei privati, già nella sua previgente formulazione, e prima
delle modifiche del 2015, l’art. 21 nonies limitava l’esercizio del potere di an-
nullamento “entro un termine ragionevole”. Si trattava però di un limite tem-
porale elastico da valutarsi in concreto. Ulteriormente rafforzato è il legit-
timo affidamento dei privati in seguito alle modifiche apportate dall’art. 6,
co.1, l. n. 124/2015. La nuova disciplina prevede infatti che il provvedimento
può essere annullato d’ufficio entro un termine ragionevole e comunque non
superiore a 18 mesi.
8. La revoca.
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XIV. I CONTROLLI
XIV.
I CONTROLLI
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XV.
GLI ACCORDI
La P.A. può ricorrere a modelli di esercizio consensuale della sua potestà. Tale
modus operandi si manifesta come uno strumento di semplificazione orga-
nizzazione e di contemperamento dei potenziali conflitti che possono insor-
gere tra i soggetti coinvolti nei singoli procedimenti. Allo schema dell’ammini-
strazione c.d. concertata vanno ricondotti:
• gli accordi di cui all’art. 11, l. n. 241/90 tra P.A. e cittadini, funzionali
al contemperamento dell’interesse generale con gli interessi particolari
dei privati;
• gli accordi tra amministrazioni, di cui all’art. 15 della stessa l. n. 241/90
• gli accordi di programma, disciplinati dall’art. 34, TUEL (d.lgs. 18 agosto
2000, n. 267).
Esistono, poi, numerose altre figure di accordi tra PP.AA. All’interno del T.U.E.L.
ad esempio, gli artt. 30, 31 e 32 disciplinano: le convenzioni; i consorzi; l’eser-
cizio associato di funzioni e servizi da parte dei comuni.
219
• Per una prima impostazione tali accordi hanno natura negoziale. Sif-
fatta impostazione comporta l’applicabilità agli accordi in esame della
disciplina civilistica (in materia di obbligazioni e contratto)
• L’orientamento opposto attribuisce, invece, natura pubblicistica agli
accordi tra P.A. che, rispetto al contratto di diritto comune, si caratteriz-
zano quali strumenti di contemperamento di interessi pubblici se-
condo moduli consensuali inconiugabili con la nozione di autonomia
privata. La conseguenza à l’integrale applicazione delle norme dettate
dal Codice del processo amministrativo e, in particolare, dell’azione di
annullamento e avverso il silenzio.
L’art. 34, d.lgs. n. 267/2000, introduce una fase obbligatoria del procedimento
preordinato alla stipula di accordi di programma ai fini della realizzazione delle
grandi opere quando esse coinvolgano interessi di più enti locali. L’accordo di
programma costituisce, quindi, un importante strumento di auto-coordina-
mento. L’accordo si configura come espressione dei poteri pubblicistici fa-
centi capo ai soggetti partecipanti, la cui attività amministrativa viene così resa
più efficiente, efficace, razionale ed adeguata alla cura degli interessi a ciascuno
di essi assegnata dall’ordinamento (art. 97 Cost.). L’esigenza dell’auto-coordina-
mento di più PP.AA. impegnate nella realizzazione di interventi di particolare
complessità procedimentale avvicina l’accordo di programma alla conferenza di
servizi: entrambi gli istituti si caratterizzano per avere, quale fase di avvio, una
convocazione dei rappresentanti delle pubbliche amministrazioni interes-
sate agli interventi. L’art. 34 del T.U.E.L. è considerato norma speciale rispetto al
citato art. 15, l. n. 241/90. Gli accordi di cui al citato art. 15 assumono infatti va-
lenza generale, mentre gli accordi di programma di cui all’art. 34, TUEL rappre-
sentano una sotto-categoria che mira alla definizione e all’attuazione di opere,
di interventi o di programmi di intervento che richiedono, per la loro completa
realizzazione, l’azione integrata e coordinata di comuni, di province e re-
gioni, di amministrazioni statali e di altri soggetti pubblici.
Con l’art. 11, l. n. 241/90 (mod. dall’art. 1, co. 47, l. 6 novembre 2012, n. 190) si
assiste all’istituzionalizzazione del modello convenzionale dell’attività ammini-
strativa che, consentendo alla P.A. di ricercare il consenso del privato, permette
di raggiungere un assetto di interessi concordato, che costituirà il contenuto del
provvedimento o sostituirà il contenuto del provvedimento stesso. Si tratta di
una terza tipologia di attività dell’amministrazione (c.d. amministrazione per
accordi) destinata ad affiancarsi a quella classica, unilaterale e autoritativa, ol-
tre che a quella puramente privatistica, esercizio della generale capacità di di-
ritto privato, riconosciuta a tutti gli enti pubblici ex art. 11 c.c. Giova porre in
220
risalto la diversità intercorrente tra gli accordi di cui all’art. 11, l. n. 241/90 e i
contratti di diritto comune conclusi dalla P.A. nell’esercizio della generale ca-
pacità di diritto privato. L’art. 11, l. n. 241/90, riconoscendo dignità giuridica au-
tonoma agli accordi tra P.A. e privati, attribuisce alle parti la possibilità di con-
cludere accordi involgenti direttamente l’esercizio di poteri amministrativi, vin-
colanti per entrambe le parti, ferma la sola facoltà di recesso dell’amministra-
zione, per motivi di interesse pubblico.
Il legislatore ha scelto di positivizzare solo due tipi di accordi:
• accordi procedimentali (anche detti preliminari, preparatori, endopro-
cedimentali o integrativi), i quali sono funzionalmente collegati al pro-
cedimento. Con gli stessi il privato e la P.A. concordano il contenuto
del provvedimento che rimane l’unica fonte dell’effetto giuridico. L’ac-
cordo procedimentale ha lo scopo di realizzare una posizione mediana
fra posizioni altrimenti inconciliabili;
• accordi sostitutivi, che, invece, hanno una vera e propria autonomia
funzionale, intervenendo a definire e produrre gli effetti della fattispecie
procedimentale, sostituendo integralmente il provvedimento.
La disciplina dettata, sia prima che dopo l’intervento della l. n. 15/2005, è pres-
soché comune ad ambedue le figure. Invero, l’art. 11 prevede che gli accordi
devono essere:
- stipulati per atto scritto a pena di nullità, salvo che la legge non preveda altri-
menti;
- conclusi nel perseguimento del pubblico interesse e senza pregiudizio dei di-
ritti dei terzi;
- applicarsi, ove non sia diversamente disposto, i principi del codice civile in
materia di obbligazioni e contratti in quanto compatibili; che devono essere
motivati ex art. 3;
- che per sopravvenuti motivi di pubblico interesse, la P.A. può recedere unila-
teralmente dall’accordo, salvo l’obbligo di indennizzo dei pregiudizi subiti
dal privato e che le controversie in materia di formazione, conclusione ed ese-
cuzione degli accordi sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice
amministrativo (ora ex art. 133 c.p.a.).
Il profilo maggiormente dibattuto resta ancora quello relativo alla natura giuri-
dica, privata o pubblica, degli accordi in esame. Occorre tener conto che per la
conclusione degli accordi è necessario, da un lato la titolarità in capo all’am-
ministrazione di un potere, dall’altro, che sia stato già avviato un procedi-
mento per l’esercizio dello stesso (art. 11, co. 1, l. n. 241/90).
• Secondo un primo orientamento, gli accordi hanno natura privata vi-
sto che l’art. 11 utilizza il termine “accordo”, indicato dall’art. 1325 c.c.
quale elemento essenziale del contratto;
• Per il contrapposto e più diffuso orientamento gli accordi in esame
avrebbero viceversa carattere pubblicistico essendo funzionalizzati al
perseguimento dell’interesse pubblico.
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XVI.
I CONTRATTI DELLA P.A.
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7. La giurisdizione e la tutela.
L’art. 133 C.p.a., recependo quanto già disposto dall’art. 244, d.lgs. n. 163
/2006, prevede che rientrano nella giurisdizione esclusiva del giudice am-
ministrativo le controversie relative (lett. e) co. 1): a procedure di affida-
mento di pubblici lavori, servizi, forniture; al divieto di rinnovo tacito dei con-
tratti pubblici di lavori, servizi, forniture, relative alla clausola di revisione del
prezzo e al relativo provvedimento applicativo nei contratti ad esecuzione
continuata o periodica. Successivamente alla scelta del contraente o del so-
cio, alla fase pubblicistica segue quella avente carattere privatistico, caratte-
rizzata dallo svolgersi del rapporto contrattuale. Ancor prima di tali previ-
sioni, la giurisprudenza ha applicato il criterio tendenziale del riparto di giu-
risdizione in materia di pubblici contratti, per cui sono attribuite al G.A. le
controversie relative alla fase di scelta del contraente e al G.O. quelle inerenti
alla fase di esecuzione dell’appalto, dopo la stipulazione dello stesso.
Lo spartiacque tra le due giurisdizioni in tema di contratti di appalto è, per-
tanto, costituito dalla stipula del contratto, quale momento iniziale della
fase di esecuzione. Quanto poi alla competenza a dichiarare l’inefficacia
del contratto, la stessa è stata riconosciuta in capo al giudice amministra-
tivo che ha annullato l’aggiudicazione illegittima. In merito al riparto di giu-
risdizione in tema di appalti, con particolare riguardo al contratto concluso
all’esito della procedura, è intervenuta da ultimo la Corte di Cassazione.
a) Rimedi stragiudiziali. Il Codice dei contratti, con lo scopo di deflazione il
contenzioso, disciplina la transazione e l’accordo bonario quali strumenti
stragiudiziali di definizione delle liti.
• La transazione può avere ad oggetto solo controversie relative a diritti
soggettivi derivanti dall’esecuzione del contratto.
• L’accordo bonario può essere attivato rispetto a controversie che su-
perano un certo valore economico, in rapporto all’entità dell’appalto.
b) Rimedi giurisdizionali. In materia di appalti, è previsto un rito speciale
agli artt. 119 e 120 c.p.a. che espressamente fanno riferimento alle contro-
versie relative agli atti delle procedure di affidamento di lavori, servizi e for-
niture. Si tratta di previsioni con cui si è inteso improntare il rito dei contratti
pubblici a canoni di forte accelerazione e concentrazione. È importante sot-
tolineare che prima della entrata in vigore del d.lgs. n. 50/2016, l’art. 5, d.lgs.
n. 53/2010 prevedeva l’istituto dell’informativa che il concorrente ad una gara
pubblica era tenuto a dare alla stazione appaltante qualora intendesse pro-
porre ricorso. Tale onere era volto a ridurre il contenzioso amministrativo
consentendo all'amministrazione di agire in autotutela. Il d.lgs. n. 50/2016,
ha introdotto significative novità quanto ai termini di proposizione del ri-
corso avverso specifici atti delle procedure di affidamento, in specie le esclu-
sioni e le ammissioni inducendo a parlare di un nuovo rito “super-speciale”.
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XVII.
I BENI PUBBLICI
1. I beni pubblici.
I beni pubblici sono compresi nella categoria giuridica della “proprietà pub-
blica” menzionata dall’art. 42, co. 1, Cost. Sono tali i beni di cui si avvalgono
le PP.AA. per realizzare i propri fini istituzionali. Si distinguono: i beni pub-
blici stricto sensu, che appartengono allo Stato o ad altro ente pubblico; i
beni di interesse pubblico, che appartengono a privati ma sono sottoposti
ad uno speciale regime derogatorio in virtù della peculiare rilevanza posse-
duta. Le due tradizionali categorie nelle quali è diviso il patrimonio pubblico
sono quelle dei: beni demaniali; beni patrimoniali. La dottrina aggiunge a
queste due categorie quella dei beni patrimoniali disponibili, soggetti ad
un regime giuridico non dissimile da quello proprio dei beni appartenenti ai
privati. Parte della dottrina tende a superare questa tripartizione e a sosti-
tuirla con la distinzione tra: beni riservati; beni destinati.
2. I beni demaniali.
I beni demaniali sono individuati dall’art. 822 c.c. in un’elencazione che, per
dottrina e giurisprudenza, è da considerarsi tassativa, e che comprende beni
immobili e universalità di mobili.
Ai sensi dell’art. 822 c.c., infatti, appartengono allo Stato e fanno parte del
demanio pubblico: il lido del mare, la spiaggia, le rade e i porti; i fiumi, i tor-
renti, i laghi e le altre acque definite pubbliche dalle leggi in materia; le opere
destinate alla difesa nazionale. Fanno parimenti parte del demanio pubblico,
se appartengono allo Stato: le strade, le autostrade e le strade ferrate; gli
aerodromi; gli acquedotti; gli immobili riconosciuti d’interesse storico, ar-
cheologico e artistico a norma delle leggi in materia, le raccolte dei musei,
delle pinacoteche degli archivi, delle biblioteche; gli altri beni che sono dalla
legge assoggettati al regime proprio del demanio pubblico. I beni demaniali
si distinguono, a loro volta, in:
- necessari: che possono appartenere solo allo Stato o agli enti terri-
toriali;
- eventuali o accidentali: che possono essere di proprietà privata ma
che, se appartengono ad un ente territoriale, entrano a far parte del
demanio.
a) I beni del demanio necessario. I beni del demanio necessario sono
beni immobili e devono appartenere allo Stato, salvo alcuni, attribuiti alle
229
Regioni.
b) I beni del demanio eventuale. I beni del demanio eventuale, diversa-
mente da quelli del demanio necessario, possono essere sia beni immo-
bili che universalità di mobili; possono anche appartenere a privati o a
qualsiasi ente pubblico territoriale.
Passando a tratteggiare il regime giuridico dei beni demaniali sono:
- inalienabili;
- imprescrittibilità del diritto di proprietà pubblica;
- insuscettibili di espropriazione forzata.
3. Il federalismo demaniale.
L’art. 119 Cost. riconosce ai Comuni, alle Province, alle Città metropolitane e
alle Regioni “un proprio patrimonio, attribuito secondo i principi generali de-
terminati dalla legge dello Stato”. La disciplina dei beni demaniali è stata in
parte modificata per effetto della riforma introdotta dal d.lgs. 28 maggio
2010, n. 85 (modificato dai dd.ll. 6 luglio 2011, n. 98, 22 giugno 2012, n. 83 e
27 giugno 2012, n. 87, quest’ultimo poi decaduto per mancata conversione),
con cui è stato approvato il c.d. “federalismo demaniale”, in virtù del quale si
attribuisce, in attuazione di quanto previsto dall’art. 119 Cost., a Comuni, Pro-
vince, Città metropolitane e Regioni, a titolo non oneroso, un proprio pa-
trimonio, nel rispetto dei principi di territorialità, sussidiarietà, adeguatezza,
semplificazione, capacità finanziaria, correlazione con competenze e funzioni
e valorizzazione ambientale.
230
La P.A. può essere proprietaria di diritti reali su beni altrui. Tali diritti pos-
sono essere costituiti: per l’utilità di un bene demaniale (diritti demaniali su
beni altrui); per l’utilità dei beni del patrimonio indisponibile e disponibile
(diritti patrimoniali su beni altrui). Il regime giuridico di tali diritti è lo stesso
di quelli demaniali o patrimoniali, ai quali accedono. Merita un approfondi-
mento la categoria dei diritti demaniali su beni altrui, disciplinati dall’art.
825 c.c. Vi rientrano le servitù prediali pubbliche e i diritti di uso pubblico.
Le servitù prediali pubbliche sono diritti reali su beni di proprietà privata
necessariamente collegati a beni di proprietà della P.A.
231
I beni rientranti nel patrimonio pubblico, sia pubblici stricto sensu sia privati,
sono amministrati dall’amministrazione finanziaria. A seguito del riordino
intervenuto con d.lgs. 30 luglio 1999, n. 300, la gestione degli immobili pub-
blici è stata delegata alla Agenzia del Demanio, titolare di poteri di ammi-
nistrazione finalizzati al perseguimento di una gestione produttiva e alla va-
lorizzazione dei beni, dei poteri di valutazione estimativa compiute dagli uf-
fici erariali. Peraltro, a partire dai primi anni ‘90 si è realizzato il progressivo
disimpegno dello Stato dai settori economici interessati dalla presenza pub-
blica. Per ciò che concerne i beni pubblici, in particolare, le due direttrici nelle
quali si è articolato l’intervento sono quelle della valorizzazione e della di-
smissione.
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Ai sensi dell’art. 823 c.c., la tutela dei beni pubblici compete all’autorità am-
ministrativa, che può ricorrere, alternativamente:
- agli strumenti civilistici di tutela del possesso e della proprietà
(azioni giudiziali petitorie e possessorie);
- alle tecniche di autotutela amministrativa. Può, quindi, in primo
luogo annullare o revocare provvedimenti, concessori, preceden-
temente adottati (autotutela decisoria). Quanto all’autotutela ese-
cutiva, giova premettere che l’amministrazione è solita esercitare
un’attività (c.d. di polizia demaniale) finalizzata a verificare l’integrità
del bene pubblico di uso generale e la persistenza del suo utilizzo
secondo le finalità istituzionali. I provvedimenti sanzionatori, spesso
recanti ordine di riduzione in pristino dello stato dei luoghi, sono do-
tati del carattere della esecutorietà.
233
234
XVIII.
I SERVIZI PUBBLICI
Si intende per servizio pubblico quel complesso di attività prestate nei ri-
guardi degli utenti per il soddisfacimento di bisogni collettivi. La nozione di
servizio pubblico è stata caratterizzata da: una concezione soggettiva: se-
condo cui era considerato servizio pubblico quello prestato da parte di un
pubblico potere; da una concezione oggettiva che, indipendentemente
dalla natura del soggetto erogatore, riconosce il carattere di servizio pubblico
in virtù del suo regime, dettato proprio per il soddisfacimento delle esigenze
della collettività. La Costituzione disciplina i servizi pubblici denominati “essen-
ziali” (art. 43 Cost.) prevedendo la possibilità di una riserva delle relative attività
economiche in capo ai pubblici poteri. Così, in numerosi ambiti di servizio pub-
blico è stata, in passato, ampiamente legittimata la presenza di monopoli pub-
blici (c. d. Stato imprenditore) che hanno assunto diverse guise: in particolare,
si sono avute forme di gestione diretta del servizio pubblico da parte di imprese
pubbliche e casi di gestione indiretta, con l’affidamento del servizio in conces-
sione amministrativa a privati. In tal modo, si è inteso coniugare lo spirito desu-
mibile dall’art. 43 Cost. con la ratio sottesa all’art. 41 Cost., esaltando la funzio-
nalizzazione in chiave sociale dell’iniziativa economica. Il diritto comunitario di-
sciplina i servizi d’interesse generale assoggettati ad obblighi di servizio pub-
blico. Questi possono riferirsi a servizi d’interesse generale privi di rilevanza
economica (istruzione, sanità, protezione sociale) ma anche a servizi d’inte-
resse economico generale, tra cui le poste, le comunicazioni, i trasporti di
linea, l’energia elettrica e il gas. La disciplina comunitaria dei servizi pubblici
ha introdotto i principi di concorrenzialità e di regolazione, in particolare
per i servizi d’interesse economico generale.
235
Con riguardo ai profili gestori dei servizi pubblici, l’ordinamento interno rico-
nosce essenzialmente tre modalità di affidamento:
- l’esternalizzazione o outsourcing delle prestazioni o dei servizi me-
diante affidamento degli stessi a favore di soggetti selezionati con
gara;
- la produzione in proprio o insourcing, da parte della PA, delle pre-
stazioni o dei servizi necessari, anche mediante l’affidamento diretto
e senza procedura di gara a favore di strutture societarie interamente
controllate dall’Ente locale (cd. affidamenti in house);
- il ricorso a forme di partenariato pubblico-privato, anche mediante
affidamenti diretti a favore di società a capitale misto.
In verità, il panorama normativo, in materia, appare alquanto articolato ed ha
formato oggetto di numerosi interventi riformatori indotti dall’influenza
dell’ordinamento UE e dai pronunciamenti della Corte costituzionale. La dif-
ferenza tra la società in house e la società mista consiste nel fatto che la
società in house agisce come un vero e proprio organo dell’amministrazione
da un punto di vista sostanziale, mentre la società mista, nella quale il socio
privato è scelto con una procedura ad evidenza pubblica, presuppone la crea-
zione di un modello nuovo in cui interessi pubblici e privati convergono. L’af-
fidamento di servizi a società miste è stata confermata anche dalla giurispru-
denza comunitaria (CGUE 15 ottobre 2009, Acoset) a condizione che si svolga
in unico contesto una gara avente ad oggetto la scelta del socio privato e
l’affidamento del servizio (cd. gara a doppio oggetto).
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XIX.
IL GOVERNO DEL TERRITORIO E L’ESPROPRIAZIONE PER PUBBLICA UTILITÀ
237
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4. L’edilizia.
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8. La retrocessione.
L’istituto della retrocessione, previsto dagli artt. 46-48, d.P.R. n. 327 del 2001,
consente all’espropriato di ottenere la restituzione del bene nel caso in cui
la P.A. non abbia realizzato in tutto o in parte l’opera pubblica o di pubblica
utilità per la quale si era proceduto all’emanazione del provvedimento abla-
torio. Legittimati a chiedere la retrocessione sono i precedenti proprietari e
i loro successori a titolo universale. Dalla natura potestativa di detto di-
ritto si è fatto discendere che allo stesso non si contrappone alcuna obbliga-
zione giuridica di prestazione di fare o di dare a carico dell’espropriante, ma
un mero stato di soggezione alle iniziative giudiziarie dell’espropriato, cui
peraltro si accompagna l’obbligo di astenersi da atti e/o comportamenti dan-
nosi per l’espropriato, quali potrebbero essere eventuali atti di utilizzo o di
disposizione del bene nell’arco temporale compreso fra la richiesta e la rico-
stituzione ex nunc dell’originario rapporto dominicale. Con la retrocessione,
l’espropriato riacquista la proprietà del bene. Il testo unico sull’espropria-
zione prevede due forme di retrocessione.
9. La cessione volontaria.
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senso che il conflitto tra l’interesse del privato al mantenimento del diritto di
proprietà sul suolo e quello della P.A. alla conservazione dell’opera pubblica
va risolto in favore della seconda in quanto portatrice di un interesse preva-
lente. Elementi costitutivi della fattispecie dell’occupazione acquisitiva sono:
a. la dichiarazione di pubblica utilità dell’opera da realizzare;
b. la conseguente occupazione del suolo da parte della P.A. o di un suo
concessionario;
c. la trasformazione irreversibile del bene.
La perdita del diritto di proprietà in capo al privato configura un illecito
ex art. 2043 c.c., da risarcire nel termine prescrizionale di cinque anni.
L’occupazione appropriativa dà luogo ad un’obbligazione di valore, per
la quale la P.A. deve corrispondere, oltre al valore venale del bene (Corte
cost. 349/2007), gli interessi e la rivalutazione monetaria. L’operatività del
meccanismo espropriativo, attivato con l’istituto dell’occupazione acquisi-
tiva, è valsa all’Italia diverse pronunce di condanna da parte della Corte
europea dei diritti dell’Uomo, in applicazione dell’art. 1 del primo Proto-
collo aggiuntivo della CEDU, risultando evidente il contrasto tra la disci-
plina sovranazionale, che consente la privazione del diritto dominicale per
pubblica utilità in presenza delle condizioni previste dalla legge e dai prin-
cipi generali di diritto internazionale, e la fattispecie dell’accessione inver-
tita, che subordina il trasferimento del diritto di proprietà dal privato alla
PA unicamente alla materiale occupazione del fondo ed alla sua irreversi-
bile trasformazione, ovvero alla perpetrazione di un illecito. La Corte di
Strasburgo, in definitiva, ha censurato le forme di espropriazione “indi-
retta”
L’occupazione usurpativa è anch’essa un istituto di creazione giurispruden-
ziale, elaborato dalla Cassazione a partire dal 1997 (S.U., 4 marzo 1997, n.
1907), per differenziarla dall’occupazione acquisitiva. Si ha occupazione
usurpativa quando la P.A. procede all’occupazione di un fondo per la realiz-
zazione di un’opera pubblica: in assenza della dichiarazione di pubblica uti-
lità; quando la dichiarazione di pubblica utilità originariamente resa sia stata
poi annullata; in caso di sopravvenuta inefficacia della dichiarazione di
pubblica utilità per inutile decorso dei termini previsti per l’esecuzione
dell’opera. In tali casi, l’autorità amministrativa pone in essere un’attività ma-
teriale integrante un illecito extracontrattuale permanente. In sostanza,
l’occupazione usurpativa dà luogo ad una situazione di carenza di potere
della P.A.
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246
XX.
LA RESPONSABILITÀ DELLA P.A.: PROFILI SOSTANZIALI E PROCESSUALI
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Secondo l’impostazione seguita nella sentenza n. 500 del 1999 dalla Suprema
Corte, per affermare la responsabilità della P.A., è necessario accertare:
a) elemento oggettivo : Occorre, in primo luogo, appurare l’ingiustizia del
danno. Infatti, la Corte di Cassazione ha escluso che l’illegittimità dell’atto
sia sufficiente a giustificare la responsabilità della P.A., essendo necessa-
rio verificare che l’attività amministrativa abbia determinato la lesione
dell’interesse al bene della vita cui è collegato l’interesse legittimo.
b) nesso causale : per quanto riguarda il legame eziologico tra la condotta
della P.A. e l’evento dannoso, si tratta di verificare, in virtù di un giudizio
controfattuale, quale sarebbe stato l’esito del procedimento se il fatto
antigiuridico non si fosse prodotto e se la P.A. avesse agito correttamente.
c) elemento soggettivo : l’elemento soggettivo è costituito dal dolo o
dalla colpa della P.A. La colpa in questione si manifesterebbe nel caso in
cui l’adozione e l’esecuzione dell’atto illegittimo siano avvenute in viola-
zione delle regole di imparzialità, di correttezza e di buona ammini-
strazione, alle quali l’esercizio della funzione amministrativa deve ispi-
rarsi e che il giudice può valutare in quanto si pongono come limiti esterni
alla discrezionalità. Lo stato soggettivo del dolo è riferibile non alla P.A.,
ma al singolo agente. È tuttavia necessario considerare che, in forza del
rapporto di immedesimazione organica, gli atti posti in essere da un
dipendente nell’esercizio di poteri sono, di solito, direttamente imputati
all’ente, che risponde dei danni dagli stessi cagionati ex art. 2043 c.c.
4. Le tecniche risarcitorie.
Quanto ai criteri di quantificazione del danno, aderendo alla tesi della re-
sponsabilità aquiliana, viene in considerazione l’art. 1223 c.c., che, nell’indi-
viduare le due componenti del danno emergente e del lucro cessante, si
atteggia a norma generale in materia. Sono integralmente riparabili anche i
danni che appaiono conseguenza mediata ed indiretta del fatto illecito o,
in tema di responsabilità contrattuale, dell’inadempimento.
Non presenta una portata applicativa altrettanto estesa il successivo art.
1225 c.c., che consente la liquidazione dei danni anche non prevedibili al
tempo in cui è sorta l’obbligazione soltanto in caso di responsabilità dolosa,
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con onere della prova incombente sul creditore. Si tratta di disposizione ap-
plicabile a condizione che sia riconosciuta la natura contrattuale della re-
sponsabilità della P.A., poiché l’art. 2056 c.c., in tema di valutazione del danno
aquiliano, omette qualsiasi riferimento all’art. 1225 c.c. La difficoltà di quan-
tificazione del danno lascia, inoltre, prevedere un massiccio ricorso alla tec-
nica equitativa di liquidazione ex art. 1226 c.c. In sede di determinazione
del danno, il G.A. deve tener conto anche dei criteri valutativi contemplati
dall’art. 1227 c.c., a tenore del quale:
- se il fatto colposo del creditore ha concorso a cagionare il danno, il
risarcimento va diminuito secondo la gravità della colpa e l’entità
delle conseguenze che ne sono derivate (co. 1);
- il risarcimento non è dovuto per i danni che il creditore avrebbe po-
tuto evitare usando l’ordinaria diligenza (co. 2).
L’art. 30 C.p.a. prevede espressamente la possibilità che sia chiesto il risar-
cimento in forma specifica, che costituisce una delle modalità di ristoro
del danno ingiustamente subito. Si tratta di un meccanismo risarcitorio al-
ternativo a quello per equivalente monetario, caratterizzato dalla rimo-
zione della fonte del danno e delle sue conseguenze pregiudizievoli e fina-
lizzato a ristabilire la situazione giuridica esistente al momento in cui si
è verificato il danno, con l’attribuzione al danneggiato della medesima
utilità giuridico-economica lesa dalla condotta illecita. Ai sensi dell’art.
2058 c.c., il risarcimento in forma specifica è accordabile in quanto ricor-
rano i presupposti della possibilità e della non eccessiva onerosità per il
debitore.
Alla responsabilità diretta della P.A. si affianca la responsabilità dei suoi di-
pendenti per danni cagionati a terzi, in forza del disposto dell’art. 28 Cost.
Come già anticipato, il privato danneggiato, a fronte di un illecito civile del
pubblico dipendente, può decidere di agire in via risarcitoria sia nei con-
fronti della P.A., sia direttamente nei confronti del dipendente autore
dell’illecito. Ci si è interrogati in merito all’effettiva estensione, sul piano sog-
gettivo, del campo elettivo dell’art. 28 Cost. È infine prevalsa un’interpreta-
zione estensiva volta a ricondurre nel raggio di operatività della previsione
de qua non solo i pubblici dipendenti in senso stretto, legati alla P.A. da
un rapporto di impiego, ma anche quelle persone funzionalmente legate
all’ente da un rapporto di servizio. Possono considerarsi elementi costitu-
tivi della responsabilità amministrativa: il vincolo funzionale tra il soggetto
che ha cagionato il danno e la P.A.; l’inosservanza di obblighi di servizio; l’im-
putabilità a titolo di dolo o colpa grave; il verificarsi di un pregiudizio econo-
micamente valutabile nei confronti della P.A.; il nesso di causalità tra fatto del
dipendente e danno all’erario. Il d.lgs. 26 agosto 2016, n. 174, recante “Co-
dice di giustizia contabile”, adottato ai sensi dell’art. 20 della legge delega 7
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Nel c.d. danno da ritardo possono essere ricondotte tre ipotesi differenti:
a. adozione tardiva di un provvedimento legittimo ma sfavorevole al de-
stinatario (c.d. danno da ritardo mero);
b. adozione del provvedimento richiesto, favorevole all’interessato, ma
emesso in ritardo;
c. inerzia, e dunque mancata adozione del provvedimento richiesto.
Controversa è apparsa la questione relativa alla spettanza della tutela risarcitoria
laddove la P.A. adotti un provvedimento sfavorevole, legittimo, ma con ritardo
rispetto ai tempi ordinari del procedimento (ipotesi sub a): è questa l’ipotesi del
c.d. danno da ritardo mero, che s’identifica nella lesione dell’interesse del pri-
vato alla tempestiva conclusione del procedimento nel termine di cui all’art.
2, l. n. 241/90, a prescindere, quindi, dall’effettiva lesione del bene finale al cui
conseguimento l’istanza era rivolta. Ci si chiede se l’interesse del privato al ri-
spetto della tempistica procedimentale da parte della P.A. sia risarcibile ex
se. Il legislatore è intervenuto sul tema con la riforma del 2009, il cui art. 7, co.
1, lett. c), ha introdotto nella l. 241/90 l’art. 2 bis, che sanziona l’obbligo della P.A.
di risarcire il danno ingiusto conseguente alla violazione dolosa o colposa dei
termini del procedimento. Il G.A. non sarebbe più tenuto ad alcuna indagine
in ordine all’effettiva spettanza del bene della vita o dell’utilità finale, dovendo
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solo accertare l’illegittimità del ritardo nel provvedere e il suo carattere pregiu-
dizievole per il ricorrente. Il ‘fattore tempo’ dovrebbe così finalmente assurgere,
anche nel diritto amministrativo, alla dignità di valore o ‘bene della vita’ auto-
nomo, con la conseguente risarcibilità pure del ‘danno da mero ritardo’ . Quanto
alla giurisdizione, la l. n. 69/2009, introducendo l’art. 2 bis l. n. 241/90, ha previ-
sto espressamente la giurisdizione esclusiva del G.A. per le controversie risar-
citorie aventi ad oggetto il danno ingiusto cagionato in conseguenza
dell’inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedi-
mento (ipotesi ora confluita nell’art. 133, co. 1, lett. a, n. 1, C.p.a.). Su altro fronte
l’art. 30, co. 4, C.p.a. dispone che, per il risarcimento dell’eventuale danno che il
ricorrente comprovi di aver subito in conseguenza dell’inosservanza dolosa o
colposa del termine di conclusione del procedimento, il termine di decadenza
di 120 giorni entro cui proporre la domanda di risarcimento non decorre fin-
tanto che perdura l’inadempimento e inizia, comunque, a decorrere dopo un
anno dalla scadenza del termine per provvedere.
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XXI.
I RICORSI AMMINISTRATIVI
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Il d.P.R. n. 1199 del 1971 prevede tre tipi di ricorsi amministrativi. In partico-
lare:
1. il ricorso in opposizione, proponibile nei soli limitatissimi casi previ-
sti dalla legge, è deciso dalla stessa Autorità che ha adottato l’atto
impugnato;
2. il ricorso gerarchico proprio, avente carattere generale, è deciso
dall’Autorità gerarchicamente superiore a quella che ha adottato il
provvedimento impugnato; il ricorso gerarchico improprio, che ha
invece carattere eccezionale, è deciso da un organo che ha un po-
tere di vigilanza, ma non di supremazia gerarchica, sull’organo che ha
emanato l’atto;
3. il ricorso straordinario è deciso dal Presidente della Repubblica ed
è consentito unicamente contro provvedimenti a carattere definitivo
che si assumano viziati per illegittimità.
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6. Il ricorso in opposizione.
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essere proposto entro cinque giorni dalla data della pubblicazione delle gra-
duatorie provvisorie al Provveditore agli studi per soli motivi attinenti alla
posizione in graduatoria dell’aspirante all’incarico. Il ricorso in opposizione
può anche essere proposto, ex art. 55, t.u. 10 gennaio 1957, n. 3, al Ministro
avverso il ruolo di anzianità del personale dipendente al fine di ottenere
la rettifica della posizione in esso assegnata. A differenza della mera istanza
di riesame, anch’essa indirizzata all’Autorità che ha adottato il provvedi-
mento, l’opposizione sospende e riapre il termine per il ricorso giurisdi-
zionale. Ai sensi dell’art. 7, co. 2, d.P.R. n. 1199/1971, la disciplina che regola
l’esperimento di detto ricorso è, per quanto compatibile, quella dettata dallo
stesso d.P.R. n. 1199 del 1971 per il ricorso gerarchico. Deve essere proposto
entro il termine decadenziale di 30 giorni dalla notifica del provvedimento
o dalla sua pubblicazione o, comunque, dalla sua piena conoscenza, salvi i
casi in cui sia la stessa legge a fissare un termine diverso. Anche il ricorso in
opposizione, come il ricorso gerarchico, è facoltativo, sicchè contro il prov-
vedimento gravabile con questo rimedio è possibile proporre direttamente
ricorso giurisdizionale.
7. Il procedimento.
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un’interpretazione estensiva della norma, che deve essere invece intesa come
riferita esclusivamente ai controinteressati in senso formale e sostanziale
(FERRARI).
È, però, ammissibile:
- l’intervento ad opponendum dei soggetti comunque interessati alla
conservazione del provvedimento;
- l’intervento ad adiuvandum di coloro che non possono agire in qua-
lità di ricorrenti principali.
È ammessa la proposizione, da parte dei controinteressati, del ricorso inci-
dentale.
Le fasi del procedimento per la decisione del ricorso comprendono:
- Una fase istruttoria che si articola nei seguenti momenti primari:
contraddittorio; raccolta delle prove; conclusione dell’istruttoria.
- Una fase decisoria che si conclude con l’adozione di un decreto
avente natura di provvedimento amministrativo, ricondotto nella ti-
pologia tradizionale delle decisioni amministrative, i cui elementi es-
senziali sono: l’indicazione dell’autorità decidente; la motivazione; il
dispositivo; la sottoscrizione e la data. La decisione può essere di rito:
di irricevibilità; di inammissibilità; di nullità. La decisione può essere
di merito: di accoglimento; di rigetto.
La decisione può avere: a) estensione oggettiva: in tali casi la decisione che
accoglie il ricorso riguarda solo l’atto impugnato, annullandolo o revocan-
dolo con effetti ex tunc; b) estensione soggettiva: in tali casi la decisione
limita i suoi effetti ai soli ricorrenti secondo le norme in tema di giudicato
(salvi i casi di annullamento di un regolamento, ovvero quando l’atto, avendo
una pluralità di destinatari, venga annullato in toto).
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La decisione del ricorso è adottata con decreto del Presidente della Repub-
blica, proposto e controfirmato dal Ministro competente per materia, e deve
contenere l’espressa menzione del parere reso dal Consiglio di Stato e
dell’eventuale delibera di dissenso del Consiglio dei ministri. La P.A. deve co-
municare al ricorrente la decisione, unitamente al parere reso dal Consiglio di
Stato, che ne costituisce parte integrante. La decisione di accoglimento pro-
duce l’effetto di annullare ex tunc il provvedimento impugnato e obbliga
l’Amministrazione al ripristino dello status quo ante. Il decreto che decide il
ricorso straordinario è impugnabile in sede giurisdizionale solo per errores in
procedendo.
L’impugnazione della decisione del ricorso straordinario è soggetta all’ordina-
rio regime dei ricorsi in sede giurisdizionale avverso atti amministrativi e,
quindi, la decisione stessa va prioritariamente gravata davanti al Tribunale am-
ministrativo, alla stregua del principio del doppio grado di giurisdizione, e
non direttamente dinanzi al Consiglio di Stato, quale giudice in unico grado,
secondo la previsione dell’art. 10, co. 3, d.P.R. n. 1199/1971. Sulla impugnabi-
lità in Cassazione, per motivi di giurisdizione, del decreto si registra un muta-
mento di giurisprudenza, influenzato evidentemente dal diverso modo di con-
cepire il procedimento e il relativo atto conclusivo.
Contro il decreto presidenziale è ammesso il ricorso per revocazione nei casi
previsti dall’art. 395 c.p.c. Il ricorso deve essere proposto alla stessa autorità
che ha adottato la decisione impugnata e, quindi, al Capo dello Stato per il
tramite del Ministero, entro il termine di sessanta giorni decorrenti dalla noti-
fica o dalla comunicazione della decisione, nei casi previsti dai nn. 4 e 5, art.
395 c.p.c., e dalla scoperta del vizio, negli altri casi.
Il ricorso straordinario al Capo dello Stato è un rimedio alternativo rispetto al
ricorso giurisdizionale. Tale regola risponde al principio del ne bis in idem.
L’esperimento di entrambi i rimedi comporta, quindi, l’inammissibilità del ri-
medio proposto per secondo. In particolare, se è stato proposto per primo il
ricorso straordinario, si determinerebbe un’ipotesi di inammissibilità del ri-
corso al G.A. per difetto di giurisdizione; se ad essere preventivamente esperito
è il ricorso in sede giurisdizionale, il ricorso straordinario è pacificamente con-
siderato inammissibile ex art. 8, co. 2, d.P.R. n. 1199 del 1971. L’art. 48 c.p.a.
prevede la possibilità per i controinteressati, entro il termine decadenziale di
60 giorni dalla notifica del ricorso straordinario, di chiedere la trasposizione
della controversia in sede giurisdizionale (c.d. opposizione) rimettendo in
termini l’originario ricorrente per l’impugnazione giurisdizionale (si v. sul
punto, Cons. St., sez. I, 14 ottobre 2015, n. 2786). Il ricorrente, qualora in-
tenda insistere nella sua impugnazione, deve depositare, entro 60 giorni dalla
notifica, presso il Tar competente, un atto di costituzione in giudizio da notifi-
care alla P.A. e ai controinteressati; il giudizio “segue” in sede giurisdizionale.
Natura giuridica : Secondo l’impostazione tradizionale, il ricorso straordina-
rio ha natura formalmente amministrativa in tutte le sue manifestazioni pro-
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XXII.
POSIZIONI GIURIDICHE SOGGETTIVE, RIPARTO DI GIURISDIZIONE E TECNICHE DI
TUTELA
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causa petendi o del petitum sostanziale) lesa dall’operato della P.A. e, in par-
ticolare, sulla dicotomia fra diritto soggettivo e interesse legittimo: lad-
dove venga in rilievo la lesione di un diritto soggettivo, la giurisdizione ap-
partiene al G.O.; nel caso in cui emerga la lesione di un interesse legittimo,
la giurisdizione spetta al G.A. Il Codice del processo amministrativo, nel
perimetrare la giurisdizione amministrativa, assegna rilievo centrale alle po-
sizioni soggettive involte nella controversia.La valenza del criterio ancorato
alla posizione giuridica soggettiva lesa, ai fini del riparto di giurisdizione, è
peraltro consacrata nell’art. 103, co. 1, Cost. Tanto premesso, giova soffer-
marsi sulla ricostruzione delle regole empiriche che consentono di indivi-
duare i casi in cui, a fronte dell’azione posta in essere dalla P.A., il privato può
ritenersi leso in una situazione di interesse legittimo o di diritto soggettivo.
1. Un primo criterio è quello che ruota attorno alla contrapposizione tra
attività discrezionale e attività vincolata. Nel dettaglio, il privato
sarebbe titolare di un interesse legittimo allorché si imbatta in un’at-
tività amministrativa discrezionale; di un diritto soggettivo a fronte
di un’attività vincolata.
2. Altro criterio (GUICCIARDI), non di rado seguito in giurisprudenza, è
quello che fa leva sulla distinzione delle norme giuridiche che rego-
lano l’operato della Pubblica amministrazione in: norme di azione, le
quali disciplinano, appunto, l’azione della P.A., occupandosi solo in
via indiretta degli interessi dei destinatari, che in tal caso assumono
la consistenza di interessi legittimi, donde la giurisdizione del G.A.;
norme di relazione, le quali regolano l’azione della P.A. nel contesto
di rapporti paritari con altri soggetti titolari di diritti soggettivi, radi-
candosi conseguentemente la giurisdizione del G.O. (criterio della
norma violata).
3. Ulteriore criterio distintivo, talvolta seguito in giurisprudenza, è quello
basato sulla contrapposizione fra atti di imperio, cui si contrappone
un interesse legittimo ed atti di gestione, cui si contrappone, invece,
un diritto soggettivo (criterio degli atti).
4. La teoria attualmente dominante è quella che distingue a seconda
che, dolendosi dell’azione amministrativa, il ricorrente lamenti il suo
esercizio in assenza di potere o soltanto il cattivo uso del potere,
senza contestarne l’esistenza (criterio del binomio cattivo uso/as-
senza di potere). L’impostazione poggia sull’assunto secondo cui un
effetto di affievolimento o degradazione della posizione di diritto
in interesse legittimo può conseguire all’azione amministrativa a con-
dizione che la stessa si materializzi in un atto amministrativo, ancor-
ché illegittimo e annullabile (cattivo uso del potere). Infatti, il prov-
vedimento amministrativo presenta comunque l’attitudine a degra-
dare la posizione del singolo ad interesse legittimo, sicché la rela-
tiva controversia rientra nella giurisdizione del G.A. Sussiste, invece,
265
la giurisdizione del G.O. nei casi in cui il privato non si limiti a conte-
stare il cattivo uso del potere da parte della P.A., ma neghi la stessa
esistenza del potere (c.d. carenza di potere). Più in generale può
dirsi che si ha carenza di potere in astratto nelle ipotesi di attività
materiale o paritetica della P.A.; in quelle nelle quali manchi del tutto
una norma attributiva del potere amministrativo (straripamento di
potere) o la norma attributiva del potere demandi la cura dell’inte-
resse pubblico ad un organo appartenente ad un altro plesso ammi-
nistrativo (incompetenza assoluta). In tal caso l’atto amministrativo,
essendo inesistente o nullo, sarà inidoneo a produrre l’effetto degra-
datorio della posizione di diritto soggettivo del singolo. La nozione di
carenza di potere in astratto va tenuta distinta dal diverso caso in cui
la norma sussiste, la P.A. essendo normativamente investita del potere
esercitato, ma difetti o sia viziato, un c.d. presupposto per il suo
esercizio (c.d. carenza in concreto).
La nozione di carenza di potere ha assunto un rilievo applicativo ancor più
spiccato con l’introduzione dell’art. 21-septies, l. n. 241/90, che ha espres-
samente disciplinato la figura della nullità del provvedimento ricollegandola
al “difetto assoluto di attribuzione”. Parimenti, la nozione di carenza di
potere assume oggi, dopo le storiche sentenze della Corte cost. nn. 204 del
2004 e 191 del 2006, un rilievo applicativo ancor più esteso, atteso che la
nozione di carenza di potere rileva anche nel valutare la legittimità costitu-
zionale delle singole ipotesi di giurisdizione esclusiva. La Consulta ha so-
stenuto che la giurisdizione esclusiva del G.A. e la giurisdizione di legittimità
partecipano della medesima natura, entrambe presupponendo che nella
controversia sia in discussione l’attività posta in essere dall’amministrazione
in veste di autorità; si individua, pertanto, nell’esercizio di un potere pub-
blico autoritativo l’elemento che fonda la giurisdizione amministrativa.
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conoscenza dell’atto e, per gli atti per cui non sia richiesta la notifica in-
dividuale, dal giorno in cui sia scaduto il termine della pubblicazione
dell’atto, se questa è prevista dalla legge.
B) CONDANNA AL RISARCIMENTO DEL DANNO: Si tratta di azione espe-
ribile in caso di lesione di interesse legittimo, anche autonomamente,
come ora consentito dall’art. 30 c.p.a. il termine decadenziale di cento-
venti giorni previsto dal comma 3 della suddetta norma per la domanda
risarcitoria per lesione di interessi legittimi non è applicabile ai fatti illeciti
anteriori all’entrata in vigore del codice.
C) AZIONE AVVERSO IL SILENZIO: l’art. 31 c.p.a. prevede l’azione avverso
il silenzio, volta all’accertamento dell’obbligo dell’amministrazione di
provvedere, riconoscendo il potere-dovere del G.A. di conoscere della
fondatezza sostanziale della pretesa su cui la P.A. è rimasta inerte quando
si tratti di attività vincolata o quando non residuino ulteriori margini di
esercizio della discrezionalità e non siano necessari adempimenti istrut-
tori da parte dell'amministrazione: ne consegue la possibilità che il giu-
dice pronunci una sentenza di condanna all’adozione del provvedimento
satisfattivo, anziché al solo superamento dello stallo procedimentale. L'a-
zione può essere proposta fintanto che perdura l'inadempimento e, co-
munque, non oltre un anno dalla scadenza del termine di conclusione del
procedimento.
D) AZIONE DI NULLITÀ: Occorre avere riguardo all’art. 21 septies, l. n.
241/90, da leggere in combinato all’art. 31, co. 4, c.p.a., che ha disciplinato
l’azione di nullità prevedendo che, salve le ipotesi di violazione o elusione
del giudicato, rientranti nella giurisdizione esclusiva del giudice ammini-
strativo a norma dell’art. 133, comma 1, lett. a, n. 5, negli altri casi la do-
manda volta all’accertamento delle nullità previste dalla legge si propone
entro il termine di decadenza di 180 giorni. D’altro canto, la nullità
dell’atto può sempre essere opposta dalla parte resistente e rilevata d’uf-
ficio dal giudice.
E) AZIONI ATIPICHE: Il Codice del processo amministrativo, portando a
compimento un lungo processo evolutivo, in attuazione dei principi co-
stituzionali e comunitari in materia di pienezza ed effettività della tutela
giurisdizionale, ha ampliato le tecniche di tutela dell’interesse legittimo
mediante l’introduzione del principio della pluralità delle azioni. Invero,
si sono aggiunte alla tradizionale tutela di annullamento: la tutela di con-
danna (ex art. 30); la tutela avverso il silenzio-inadempimento (ex art. 31,
co. 1-3); la tutela nei casi di nullità provvedimentale (art. 31, co. 4). A)
quanto all’ azione di accertamento: all’art. 31, co. 4, che ha esplicito
riguardo alla “domanda volta all’accertamento delle nullità previste dalla
legge”; all’art. 34, co. 3, secondo cui “quando, nel corso del giudizio, l’an-
nullamento del provvedimento impugnato non risulta più utile per il ri-
corrente, il giudice accerta l’illegittimità dell’atto se sussiste l’interesse ai
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fini risarcitori”; all’art. 34, co. 5, relativo alla pronuncia di merito dichiara-
tiva della cessazione della materia del contendere; all’art. 114, co. 4, in
base al quale il giudice dichiara nulli gli eventuali atti in violazione o elu-
sione del giudicato; agli artt. 121 e 122, concernenti la declaratoria di inef-
ficacia del contratto nei casi di “violazioni gravi” e “negli altri casi”. B)
quanto all’ azione di adempimento e condanna: all’art. 31, co. 3, nel
rito in materia di silenzio, in forza del quale “il giudice può pronunciare
sulla fondatezza della pretesa dedotta in giudizio solo quando si tratta di
attività vincolata o quando risulta che non residuano ulteriori margini di
esercizio della discrezionalità e non sono necessari adempimenti istruttori
che debbano essere compiuti dall’amministrazione”; all’art. 124, con par-
ticolare riguardo alla reintegrazione in forma specifica; all’art. 30, che,
seppure volto a disciplinare la condanna al risarcimento del danno, si con-
nota, al co. 1, per una formulazione generica idonea a consentire l’ado-
zione di ogni pronuncia di condanna necessaria ad assicurare il soddisfa-
cimento dell’interesse fatto valere; all’art. 34, co. 1, lett. c), a mente del
quale, in caso di accoglimento del ricorso, il giudice condanna “all’ado-
zione delle misure idonee a tutelare la situazione giuridica soggettiva de-
dotta in giudizio”.
Ebbene, proprio l’art. 34, co. 1, lett. c), è stato modificato significativamente
dal secondo correttivo al Codice, approvato con d.lgs. n. 160 del 2012,
che ha introdotto in modo esplicito l’azione di condanna al rilascio di un
provvedimento richiesto, ridefinendo i presupposti al ricorrere dei quali la
stessa può essere proposta, ossia “contestualmente all’azione di annulla-
mento del provvedimento di diniego o all’azione avverso il silenzio” e
“nei limiti di cui all’articolo 31, comma 3”.
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XXIII.
LA TUTELA INNANZI AL GIUDICE ORDINARIO
I limiti interni della giurisdizione del G.O. sono indicati dagli artt. 4 e 5, L.A.C.
Il citato art. 4 L.A.C. si occupa, al co. 1, dei poteri di cognizione del G.O., al
successivo co. 2 dei suoi poteri di decisione. Quanto ai poteri di cogni-
zione, la disposizione prevede che il G.O. può conoscere degli effetti
dell’atto “in relazione all’oggetto” dedotto in giudizio. Ne deriva che la
pronuncia del giudice non ha efficacia erga omnes, ma vale soltanto per il
caso deciso ed inter partes. Il giudizio di cui all’art. 4 L.A.C. ha ad oggetto non
già la legittimità dell’atto in quanto tale, ma la lesione di un diritto prodotta
da un atto amministrativo, sicchè il G.O. si disinteressa dell’atto in sé, non
avendo la sua sorte alcuna rilevanza al di fuori del processo. Quanto all’am-
piezza del sindacato del G.O. sull’atto amministrativo, lo stesso può essere di
sola legittimità, senza estendersi al merito. L’art. 4, co. 2, L.A.C. disciplina i
poteri di decisione del G.O., escludendo che lo stesso possa “revocare” o
“modificare” l’atto amministrativo illegittimo. Se ne fa discendere il divieto
per il G.O. di ordinare un facere alla P.A.; divieto, peraltro, che non trova
270
Quanto alle azioni rientranti nella giurisdizione ordinaria, sono certo am-
messe: azioni dichiarative; azioni costitutive che possono intervenire solo
quando la P.A. abbia agito in carenza di potere o iure privatorum; azioni ri-
sarcitorie sia in caso di lesione di diritti soggettivi che di interessi legittimi,
previo accertamento dell’esistenza di un’obbligazione contratta iure privato-
rum o della responsabilità extracontrattuale; azioni reintegratorie esperibili
dinanzi al G.O. quando il comportamento della P.A. si concreti in mera attività
materiale; azioni possessorie ammesse nei confronti della P.A. allorché la
stessa abbia agito iure privatorum, sine titulo, o quando il contestato impos-
sessamento si sia protratto al di là dei limiti temporali o sia stato posto in
essere in violazione dei limiti spaziali indicati nel provvedimento amministra-
tivo.
a) Provvedimenti di sequestro e di urgenza. Si ritiene che i provvedimenti
di sequestro e quelli di urgenza siano inammissibili ex art. 4, L.A.C., se fina-
lizzati a paralizzare l’efficacia di un provvedimento amministrativo. In parti-
colare, è inammissibile il sequestro qualora abbia l’effetto di mutare la desti-
nazione di beni demaniali o patrimoniali indisponibili della P.A. Dottrina e
giurisprudenza prevalenti ammettono che il G.O. possa ordinare, in danno
della P.A., la convalida di sfratto, qualora la P.A. si avvalga dello strumento
privatistico della locazione.
b) Actio negotiorum gestio. L’actio negotiorum gestio non è esperibile
nei confronti della P.A. nei casi in cui è esclusa l’ingerenza del privato nell’at-
tività della P.A.: è quanto deve ritenersi per le attività autoritative. Se, invece,
si tratta di attività di diritto privato, si riconosce che un privato possa agire
nell’interesse della P.A., alla quale, però, è rimessa la valutazione dell’utiliter
coeptum che può avvenire in via espressa o per facta concludentia
c) L’esecuzione forzata. In merito all’esecuzione forzata, in particolare nella
forma dell’espropriazione ex art. 2910 c.c., occorre distinguere le diverse ipo-
tesi con riguardo all’oggetto del procedimento. In relazione ai beni del patri-
monio dell’amministrazione debitrice, possono essere assoggettati ad espro-
priazione forzata solo quelli disponibili.
d) L’esecuzione forzata in forma specifica. Con riguardo all’esecuzione
forzata in forma specifica, si ritiene in giurisprudenza che la P.A., allor-
quando non si pone, nei confronti del privato, come autorità è assoggettata
come ogni parte privata alla giurisdizione del G.O. Ne consegue che il giudice
può non soltanto accertare gli obblighi della P.A., condannandola al risarci-
mento del danno, ma anche imporle un facere specifico. È possibile esperire
nei confronti della P.A. ogni tipo di azione esecutiva in forma specifica, com-
presa l’azione ex art. 2932 c.c., con la sola eccezione dell’ineseguibilità (in
forma specifica) degli obblighi aventi ad oggetto prestazioni infungibili.
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3. Il potere di disapplicazione.
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XXIV.
LA TUTELA INNANZI AL GIUDICE AMMINISTRATIVO
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4. Tipi di conflitto.
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