Sei sulla pagina 1di 890

AtlAntide

collana diretta da Franco Forte

DELOS BOOKS

ISBN xxxxxxxxxxxxxxx

Prima edizione giugno 2010

©2010 Delos Books srl, Milano

email: staff@delosbooks.it

www.delosbooks.it

365

racconti erotici

per un anno

a cura di
Franco Forte

Un’iniziativa del a

Writers Magazine Italia

www.writersmagazine.it

La rivista per chi scrive

INTRODUZIONE

di Franco Forte

Come tutti i progetti importanti, anche questo è partito un po’ gioco.

L’idea era cercare di coinvolgere 365 autori attraverso il forum del a Writers

Magazine Italia, la nostra rivista dedicata al a scrittura, ma pensavamo che

sarebbe stato difficile, se non impossibile, selezionare 365 racconti scritti da

365 autori diversi, uno per ogni giorno del ’anno, anche perché di solito
appli-

chiamo criteri di valutazione molto rigorosi. Per di più, per dare vita a un
libro

che accogliesse un solo racconto per pagina, siamo stati costretti a imporre
un

limite invalicabile per la lunghezza delle opere: 2500 battute, non una di
più; e

questo si è dimostrato un altro difficile scoglio da superare.

Eppure, nonostante le difficoltà, il popolo degli scrittori si è mobilitato più


di quanto credevamo possibile, il tam tam di questa iniziativa si è diffuso
nel a

Rete e nel vastissimo mondo degli autori in cerca di opportunità di


pubblica-

zione, e la redazione è stata invasa da migliaia di racconti. Le selezioni sono

state serrate, molto impegnative (anche perché il fatto di sfruttare il web co-

me punto d’incontro per lo scambio di pareri e per il resoconto sullo stato di

avanzamento dei lavori, ci ha imposto ritmi vertiginosi), ma al a fine hanno

dimostrato che esistono moltissimi scrittori capaci di produrre opere di


gran-

de valore, con sufficiente professionalità e “mestiere” da riuscire a riempire

un’antologia come questa. Abbiamo dato vita a una vera e propria “fabbrica

delle idee”, a una fucina di ottime penne impegnate a scrivere buona


narrativa

anche al di fuori dei canali istituzionali del ’editoria.

Il fenomeno che abbiamo innescato, però, è andato al di là del a semplice

comunità degli autori emergenti, coinvolgendo anche molti scrittori profes-

sionisti, che grazie al passaparola sono venuti a sapere del ’iniziativa e si


so-

no proposti per dare il loro prezioso contributo. Indispensabile, per ottenere

i risultati a cui siamo arrivati, è stato l’aiuto di uno dei massimi autori
italiani,
Alan D. Altieri, che si è dimostrato un vero trascinatore di folle, e grazie al
qua-

le moltissime penne di valore sono approdate fra queste pagine,


contribuendo

a fare del ’antologia non solo un libro unico nel panorama editoriale, ma
anche

una raccolta di estremo valore dal punto di vista letterario.

Avete un piccolo gioiello di narrativa erotica fra le mani, da leggere con cal-

ma e da diluire lungo tutto l’anno (se ci riuscite), mesi bisestili compresi,


quin-

di inutile perdere tempo con noiose introduzioni. Divertitevi, almeno quanto

lo abbiamo fatto noi nel momento di valutare questi racconti.

Vedrete quante sorprese. Ce n’è per tutti i gusti...

365 racconti erotici per un anno

NElla sTaNZa DOvE DORmI

1 gennaio

di Sergio Donato

Ho visto qualcosa nel tuo letto, l’ultima volta che sono venuta da te. Il
materasso

era morbido. Mi sono lasciata cadere sul bordo rimbalzando due volte.
Quando

ho incrociato le gambe, il lenzuolo si è tirato sul tuo corpo aderendovi come


una seconda pelle.

Ti ho chiesto una cosa stupida, mi sembra. Tipo, come stai?

Non ricordo bene. Avevo detto che non ti avrei parlato se tu non potevi, ma

ho dovuto farlo per non pensare a quello che c’era nel tuo letto; e poi questo

gioco del silenzio credo sia durato abbastanza: ti fa sembrare più distante
dal

mondo.

Poi mi sono accorta che dormivi. Ti ho guardato a lungo. La luce verticale

degli scuri accostati si stendeva sui lombi, al ungando le ombre del lenzuolo

che ti fasciava il ventre.Era lì, sotto la stoffa. Non so, mi piace pensare che
al

suono del a mia voce sia successo qualcosa.

I medici hanno detto tante cose sul a lesione, sui recuperi, sullo shock

spinale, e l’ultima cosa a cui ho pensato quando tua madre mi ha raccontato

del ’incidente e delle conseguenze (cavolo! Stavo anche piangendo) è che lì

sotto potesse muoversi qualcosa, dato che la paralisi era perlopiù totale. E
c’è la

storia del a nostra amicizia. Dieci anni.

Non so cosa mi sia successo, l’ultima volta. Forse la luce del pomeriggio e
il

lenzuolo sono diventati complici involontari. C’era un buon odore nel a


stanza:
di bucato, di pulito. E tu eri così indifeso, innocente. Quel a stoffa bianca
sul a

tua muscolatura da scalatore. Hai sempre avuto un bellissimo corpo. E lì


sotto

era grosso ogni secondo di più. Se ne stava da un lato, in attesa, accarezzato

dalle ombre e dal cotone.

Poi la mano è scivolata, invidiosa. Ti ho toccato senza pensarci. Nemmeno

ora me ne sorprendo, perché è stato tutto così naturale. Ho solo control ato
che

continuassi a dormire. Ho pensato che potessi avere caldo e in quel


momento

mi è sembrata una buona idea control are che non fossi sudato.

La mano si è infilata sotto il lenzuolo, ha scalato l’osso del ’anca ed è


tornata

giù, lungo il ventre. Per un attimo ti ho immaginato di nuovo lungo le pareti


di

roccia, i tendini tesi, il torso nudo lucido di sudore. Le dita di sono fatte
strada

fra i riccioli, e il palmo si è riempito del a tua carne appena umida, calda,
dura.

Ho stretto più forte, sentendomi più sicura sul a tua roccia, e ho creduto di

sapere cosa si prova lassù, tra le cime che amavi tanto.

Oggi sono di nuovo qui, e tu hai di nuovo gli occhi chiusi.

6
365 racconti erotici per un anno

POcO m’ImPORTa DEll’aNIma

2 gennaio

di Irene Vanni

Una volta nutriti, gli zombie sono creature innocue e puoi farci quello che
vuoi.

C’è chi li fredda con una pallottola e chi li chiude in gabbia per col audare
la

vita eterna. Io il mio lo nutro e ci faccio quello che voglio. Lo ammansisco

imboccandolo con la forchetta. Carne viva. Umana. Apre le labbra bluastre

fissandomi con sguardo spento di neonato, mentre la mia mano gli scorre

sul a coscia per accertarsi del a vitalità che tende la stoffa. Si chiama Scemo
o

Amore, dipende dalle circostanze.

L’ho scelto con cura. È alto, ben fatto e ha solo un’ammaccatura sul a
calotta

cranica dovuta a chissà quale incidente. Poco m’importa del suo passato.

Ogni volta che facciamo la doccia cerco di lavargli via il sangue dal a
tempia.

Ma resta lì come un tatuaggio. Lui mi guarda con occhi trasparenti e porta

avanti i palmi delle mani, per anticipare ciò che voglio. Sa solo questo.
Credo
gli piaccia. E a me piace guardarlo nudo, steso fra le lenzuola bianche meno
di

lui. Come impanato nel gesso. Le vene indicano i percorsi da seguire, là


dove il

sangue sembra pulsare ancora.

E in un istante pulsa davvero. Lo sento fremere, palpitare. Le strade blu

convergono sul ventre, dove mi siedo, lenta, e mi chino per cercare il volto,

le labbra, lo spirito. Ma non respira. Il cuore non batte. Il sangue gli scorre

nelle vene come il cibo, senza scaldarlo. Le sue dita scivolano gelide lungo
le

mie braccia, e i brividi di piacere si mischiano a quelli di freddo, mentre la

scorza dei polpastrelli raggiunge i capezzoli. Lo sento ondeggiare sotto di


me,

grosso animale da compagnia, e aspetto che si decida a intrufolarsi in ogni

mio anfratto. Con le dita, con la lingua, col corpo intero. Mi fa aspettare. Ha

imparato bene. Mi eccita sentirlo ansimare, ma non so se è un automatismo


o

imitazione.

E quasi mi spaventa quando mi rivolta. Le pupille restano fisse, sul mio


seno,

lungo il grembo, fra le cosce, mentre la notte gli scolpisce le spalle


d’azzurro.

Poi il torace risale, sotto l’impulso esanime che mi fa avvinghiare ai suoi


fianchi.
Con mosse decise ed energiche finisce per dominarmi e mi perdo sotto la
sua

spinta, mi perdo in lui. Il flusso di vita mi scioglie, fra vagiti rochi. Divento

tomba e cul a.

È in quel momento che lo chiamo Amore. Ma la sua espressione non


cambia.

Le sue carezze sono aride come quando è Scemo. Mi chiedo come sarebbe

poterlo conoscere, capire cosa prova. Ma è morto. E in questo mondo di

cannibali, poco deve importarmi del ’anima che non ha più.

365 racconti erotici per un anno

ODORE DI fEmmINa

3 gennaio

di Gabriel a Saracco

– Tutto a cinque euro! – Nel mercato, l’uomo grasso urlava agitando pizzi,
tul e

e strass dai colori allegri.

Lisa era lì come ogni lunedì: – Anche questo a cinque euro? – sventolò un

perizoma guarnito da piume di marabù.

– Certo, signuri’, ma ne ho altri, più speciali, dentro il furgone. – Aprì il

portellone e ammiccò un invito.


Lisa sorrise esplorando la cesta: uno slippino con la scritta “porcel a”, un
tanga

di perline, un perizoma con una banconota finta infilata nel a tasca davanti.
Non

male… Afferrò un corsetto nero: – E questo cos’è?

– Il pezzo forte, signuri’: si chiama body ouvert e ha pure i copri braccia


come

accessori. Bellissimo, come a voi – sorrise viscido. – Lo volete provare?


Sopra vi

potete vedere allo specchio…

Lisa gli mostrò la punta del a lingua e salì sul veicolo accostando lo
sportello

dietro di sé. Si spogliò e con movimenti lenti infilò il body: il tul e


trasparente

le copriva lo stomaco e la pancia piatta, le fasciava la schiena ma lasciava


liberi i

seni prepotenti che si affacciavano dal balconcino di pizzo. Il cespuglio


riccio era

in bel a mostra.

– È troppo buio… – Aprì di poco il portel one: l’uomo era lì, come si
aspettava.

Lo ignorò e si girò sul a schiena per ammirarsi dietro: anche il culo era
scoperto.

Dallo specchio vide che lui la guardava. Si tolse il body e al ungò un


braccio per
passarglielo: – Lo tenga da parte. – Si rimirò ruotando i fianchi e continuò:

Proverei anche il perizoma con i pon pon e il due pezzi in vinile. Posso?

– Siete la padrona. – La voce era strozzata.

Lisa si chinò in avanti per indossare il tanga e rimase piegata fingendo di

sistemare il cinturino del sandalo dal tacco vertiginoso. Sentiva gli occhi

del ’ambulante che la esploravano, divaricò le gambe per mettere in


evidenza la

pussy rasata nel a parte inferiore. Poi si rialzò.

– Carino – commentò, – ora provo il resto.

– Come volete – ansimò lui.

La mutandina lucida lasciava scoperta la sua parte migliore. Dal e coppe del

reggiseno sporgevano i capezzoli: si bagnò un dito e prese a titil arne uno a


occhi

chiusi. Le orecchie erano attente al fiato pesante del mantice appena fuori.
Infine

si rivestì e, scendendo, porse anche l’ultimo completo al ’ambulante: –


Grazie,

ritornerò.

– Vi aspetto, signuri’ – sospirò lui.

Lisa non comprava mai niente. Ma era la sua cliente migliore...

8
365 racconti erotici per un anno

NO sTOP

4 gennaio

di Diego Lama

Nel centro commerciale al e soglie del deserto c’è un bordel o. Tutte le


ragazze del

bordel o sono sbalorditivi robot. La mia preferita si chiama Lula. Fare


l’amore con

lei è un’esperienza inumana. Qualsiasi richiesta le faccia – anche la più


complessa

– viene esaudita al di là del a mia più perversa immaginazione. È


appassionata. È

perseverante. È disinvolta. È flessuosa. È vigorosa. È gioconda. Quando


scade il

tempo prestabilito, bip, bip, bip, il ronzio del campanello ci sorprende


inappagati,

al colmo del desiderio. – Non può finire sempre così – mormora Lula.

Lavoro anch’io al centro commerciale, al primo piano, al ’ufficio incendi e


furti.

La mia finestra affaccia sul deserto. Il tramonto è rosso. Lo guardo e penso


a lei.

Non le ho mai confessato di essere un robot (un ottimo modello anch’io).


Lavoro

23 ore su 24. Nel ’ora libera corro da Lula. Quando mi vede sul a soglia del
’alcova
mi accoglie con un sorriso senza malizia, come se mi stesse aspettando.

Un giorno, mentre facevamo l’amore, le ho detto tutto. Lei ha sciolto il


groviglio

di gambe e di braccia che ci legava, si è messa a sedere al centro del letto e


ha

mormorato: – Troppo perfetto per essere umano.

– Fuggiamo – le ho proposto. – Nel deserto, oltre le grandi dune, non ci

troveranno mai.

Non ha risposto, ma ha chiuso gli occhi e ha sorriso.

Siamo scappati al ’alba. Per dodici ore abbiamo corso tra le dune del
deserto

bruciate dal sole. Di notte ci siamo nascosti in una piccola grotta stretta e

profonda, tra spini e lucertole bianche. Abbiamo control ato lo stato del e
batterie

atomiche nei nostri corpi: ancora mezzo secolo d’autonomia a testa, e


nient’altro

da fare che fare l’amore.

Ci siamo guardati negli occhi per qualche secondo, poi ci siamo baciati,

finalmente senza l’ansia del cronometro. Lula ha staccato le labbra dal e


mie e

ha chiesto.

– Tu l’hai mai provato?

– No, certo che no.


– Ma come sarà?

– Sarà come uno sbadiglio, uno starnuto, un brivido, una cosa così, una cosa

umana…

– Riusciremo a sentirlo?

Non le ho risposto, l’ho baciata. Poi abbiamo cominciato a fare al ’amore.


Non

ci saremmo fermati mai più, per tutto il tempo concesso, fino al ’ultima
scintil a

di energia. Solo al ora, forse, solo al a fine, avremmo provato quel a cosa
che

sentono gli umani. L’orgasmo.

365 racconti erotici per un anno

PaZZa DI TE

5 gennaio

di Isabel a Braggion

Non lo aveva cercato lei, questo amore, non si era lasciata invaghire dal
potere

del ’uomo di successo. Anzi, in un primo momento l’aveva disprezzato. Ma


poi

il gioco si era fatto intenso, la frequentazione continua e la sorpresa


l’avevano

scossa fino alle viscere... Una droga a cui non avrebbe più rinunciato.
Una semplice telefonata: – Tra noi è finita! – Punto.

La sorpresa l’aveva lasciata senza fiato. Era sopraggiunta la rabbia seguita


dal

bisogno di vendetta... poi si era arresa al ’amore, accompagnato dal


desiderio

di riconquista.

Entra furtiva nel a stanza. – Ciao, sapevo di trovarti qui.

Lui le volta le spalle, seduto sul a imponente poltrona in pelle. Rimane

immobile, con lo sguardo perso tra grattacieli e cemento armato. Un


elicottero

sta atterrando sul palazzo adiacente.

Le trema la voce. – Ti amo. – Due parole che non aveva mai trovato il
coraggio

di dire.

Le dita scorrono sui bottoni del a camicetta trasparente. Sotto, un top nero

di seta le accarezza le linee perfette del seno, i capezzoli turgidi giocano sul
a

stoffa liscia.

– Non dovresti essere qui. – La voce secca di lui la taglia come mille pezzi
di

vetro strisciati sul cuore. Gli occhi diventano luci, il dolore le avvampa la
pelle

mentre il panico gioca con i suoi ormoni impazziti. La gonna scivola a terra,
i sandali si perdono nei pochi passi che la separano da lui. Gli si siede
sopra,

imprigionandolo. Lo bacia con passione, accarezzandolo confusa dal


dolore.

Lui l’allontana in un tentativo invano. Lei lo accarezza con le dita tra i


capelli.

Gli prende la mano e se l’appoggia al seno. Il cuore batte così forte da


pulsare

sul a pelle. Lui l’accarezza con un gesto istintivo, contrario al suo volere.

Le labbra di lei si piegano soddisfatte, baciandolo sul a bocca. La lingua lo

invita ad abbandonarsi, cercando di penetrare quel muro di indifferenza irto


a

blindare chissà quale oscuro segreto. Lui risponde controvoglia. – Stai


fermo.

– Un consiglio che suona come una promessa. Lo libera dal suo desiderio,
le

dita si intrecciano, i corpi dondolano al a ricerca di traiettorie sconosciute,


gli

ansimi si accompagnano ai gemiti e l’esplosione di luce li coglie


impreparati.

Poi lui si alza, ricomponendosi, freddo. Apre una cartel a e le porge una
foto.

– Chi è, lui?

Lei scoppia a ridere... la sua era solo gelosia.

10
365 racconti erotici per un anno

NOsTalgIa

6 gennaio

di Mirel a Esse

Va pure avanti così, fa’ finta che io non esista (ennesimo sms senza
risposta). Apre il

primo casset o del a cucina, esamina i coltel i, ne sceglie uno: non il più
lungo, non il

più grosso, ma il più affilato.

Scende in strada, sale in auto, lo nasconde sot o il sedile. Guida


sgommando. I freni

stridono davanti a un bar.

Osserva chi entra e chi esce: è un’ora morta, c’è solo lei nel locale.

Niente polizia! Energumeni in divisa lo tengono d’occhio ma, dopo


settimane di

inutili pedinamenti, non c’è nessuno a spiarlo. Non vuole niente di


particolare da lei, si

racconta. Quel o che fa con tutti.

Un’altra serata a lume di candela. I suoi fianchi che ondeggiano al suono di


rumba,

le cosce imperlate di sudore, il seno che dondola, le labbra invitanti. Solo


guardarla

bal are un’ultima volta, nuda, sul tavolo. Sbirciando fra le gambe aperte,
toccando le
fessure umide. Quel e che ha immaginato nel e not i afose, masturbandosi.
Quel e che

da troppo tempo non gli permette nemmeno di sfiorare.

Entra nel bar. Lei lo vede e grida. In un balzo, scavalcato il bancone, le è


sopra e le

stringe la gola.

– Gustavo – gorgoglia, – possibile che debba sempre finire così?

Non le dà retta, strappa, palpa, spoglia, tocca.

– Eh, no! – Gustavo scoppia in lacrime, poi mol a la presa.

– Eddai, cosa ti ha detto il dot ore?

– Perché mai?

– Per la memoria, cretino! Sono stata a Casablanca… ti ricordi? Non sono


più

Rosetta, ma Carlito!

– Carlito? – Gustavo piange a dirot o. – E le tet e? Perché ce le hai ancora?


Più grosse

di prima, per giunta!

– Già che c’ero, mi sono fat a una sesta, caro il mio zuccone! Tu eri
disoccupato,

non potevi darmi niente, e io nel night guadagnavo pochino. Ora sai cosa
posso

permet ermi, con i film porno? Lasciami in pace!

Gustavo continua a disperarsi: – Rosetta, la mia Rosetta!


– Ancora? Ma io ti faccio ricoverare!

La memoria gli difetta, è vero, ma non tanto da dimenticare il coltello.

–– Perdonami, Carlito… Fai un giro con me. Come ai vecchi tempi, quando
eri la

mia sensuale ballerina!

Il trans sbadiglia: – Ma sì, non mi costa niente. Per quieto vivere…

Abbassa la saracinesca, sale in auto.

Gustavo è eccitato. Di Carlito non gli importa nul a: vuole la donna dei suoi
sogni e

sa come possederla di nuovo... a costo di dissanguarlo.

365 racconti erotici per un anno

11

Il DEsIDERIO

7 gennaio

di Lina Anielli

Niente partner, recitava il regolamento. Con le mani strette dietro la


schiena, Anna

guardò il ragazzo alto e magro.

– Lo farai con Luca – le avevano detto.

Si perse negli occhi di ghiaccio fermi nei suoi e fra le lentiggini che dal
naso si

spargevano sulle guance pallide.


Lo farò con Luca, si disse.

Un calore improvviso le risalì le gambe. Gocce di sudore le rotolarono


lungo la

schiena e fra le cosce.

– Via!

Accostò la bocca aperta nello stesso istante in cui Luca le spinse la mela fra
i denti.

Sot o il suo sguardo impudente, staccò il primo morso. I volti vicini, seguì il
rivolo di

liquido rotolargli lungo il mento. Si leccò le labbra. Lui le spinse ancora la


mela fra i

denti. Fino a quando le bocche si toccarono, avide e appiccicose, una contro


l’altra, a

contendersi il torsolo.

Lo farò con Luca.

Avrebbe dovuto staccarsi, invece restò incol ata al a sensazione di fresco,


alle labbra

che mordevano le sue. I capezzoli spinsero con prepotenza la stoffa leggera


del vestitino

appiccicato per il sudore. Le cosce umide e calde sfregarono l’una contro


l’altra. Nel a

confusione, per un at imo colse lo sguardo di Andrea che mordeva la sua


mela.

– Vieni – le sussurrò Luca. La prese per mano e la tirò via.


– La gara! Ci squalificheranno – protestò lei invano.

Al ’interno era fresco. Lui le afferrò i capelli. Con il fiato corto, lo lasciò
cercare,

esplorare. Le mani frugarono sot o l’orlo del vestito, s’intrufolarono fra le


gambe.

– Non dovremmo... poi qui dentro...

– Qui non ci cercheranno. – La voce roca. Lo sguardo annebbiato. Le tirò


via il

vestito e la spinse a terra. Lei gli sfilò la t–shirt. Insieme rotolarono al a


ricerca di elastici

e bot oni di cui liberarsi.

I corpi liquidi e tremanti si persero fra baci inesperti e avidi. Si cercarono


con rabbia

e si trovarono, muovendosi l’uno contro l’altra, come l’acqua che lambisce


la riva e si

model a al a sabbia.

Anna affondò le dita nel ’acquasantiera. Lo sguardo di Luca accanto al


’altare, la

seguì. Si segnò veloce e uscì prima che potesse fermarla.

– Ma dov’eri finita? – le disse Andrea. – Avete perso, tu e Luca

Anna fece spal ucce. – Ho sentito il desiderio di pregare... – rispose.

12

365 racconti erotici per un anno


INDIETRO NEl TEmPO

8 gennaio

di Antonino Alessandro

Ho perso la verginità a tredici anni, un pomeriggio di luglio, con mio


cugino.

Non è stata una vera scopata. Lui aveva sedici anni e un uccello che non
aveva

visto niente di diverso dalle dita del a sua mano destra e io volevo togliermi

un peso: avere qualcosa da raccontare alle mie compagne al ritorno a


scuola.

Si era messo sopra di me e aveva spinto. Un piccolo strappo, il tempo di


dire

“ahi” e tutto si era concluso nel sudore, in un letto singolo dietro le persiane

socchiuse.

– Signorina, può mettersi sul lettino?

– Certo. Quanto durerà? – chiedo io.

– Una ventina di minuti. Avrà qualche fastidio per dodici ore – mi risponde

il dottor Tommasi.

Ottimo, ho tutto il tempo di prepararmi per domani.

La seconda volta che ho fatto sesso è andata meglio. Avevo quindici anni

e Michele era un tipo interessante: giocava a calcio e aveva un fisico da


impazzire. L’abbiamo fatto in auto: è stato fantastico. Mi ha tolto le
mutandine

con dolcezza e mi ha fatto godere. Altro che una decina di colpeti, un po’ di

mugugni e qualche coccola. Michele il calciatore era un dono di dio.

– Le devo fare qualche domanda di routine – dice il dottor Tommasi.

Poi dopo un po’ mi chiede: – Ha una vita sessuale normale?

– Certo! – rispondo io, toccandomi la bocca con la punta delle dita.

Vedo Tommasi che si toglie gli occhiali e fa finta di pulirli per poi
riprendere

col questionario. Ho una bel a bocca, o almeno questo è quello che mi ha


detto

Manfredi una sera, dopo averlo fatto divertire. In certi frangenti gli uomini

sono pronti a dire e fare qualsiasi cosa, lo so.

Sono proprio stupidi! Vogliono donne porche, ma devono essere quelle


degli

altri e mai le proprie. Alcuni vogliono addirittura il sigillo di qualità: come


il

bollino sulle banane.

Quando ho detto a Marisa il guaio in cui mi trovavo, ha subito trovato la

soluzione: “Fatti l’imenoplastica”. Dicendomelo aveva civettato come una

diciottenne: “Vedrai, sarà come tornare indietro nel tempo, così non dovrai

fargli scoprire che non sei vergine la prima notte di nozze!”


– No di certo! – dico, le gambe sulle staffe.

– Come?

Ho parlato ad alta voce. – Nul a, dottore.

– Adesso sentirà una piccola puntura – dice Tommasi brandendo una siringa

e agitandola come la bacchetta di un direttore d’orchestra.

Trattengo il respiro. L’ago mi morde. Auguri al a sposa.

365 racconti erotici per un anno

13

TI bEvO cON la fEbbRE

9 gennaio

di Gianluca Lucchese

Quel a donna presa di forza e il “poeta” erano davanti al portone quando,


per

caso, irruppe il marescial o Sepe. Il pingue carabiniere era in affanno per


l’arsura

e per aver colto in flagrante quel pericoloso molestatore.

Domenica d’agosto. Pisa tornava a respirare dopo il fumo dei


bombardamenti.

I fatti del giorno erano “il caro pane”, “la borsa nera” e le presunte violenze

sessuali del “Poeta”.

– Dimmelo… ancora, ti… supplico! Sussurramelo… dai!


– Ti amo come se mangiassi il pane spruzzandolo di sale.

– Oh, sì, più forte, più… forteee!

– Come se alzandomi la notte bruciante di febbre, bevessi l’acqua con le


labbra

sul rubinetto.

Lei, eccitata, capel i neri, lunghi, ricci, ansimava nel a richiesta di quei
versi. Le

cosce lisce e dorate cavalcavano l’uomo. Pericolosamente bel a. Le dita,


lunghe e

decise, afferravano la camicia bianca. Solo quel a fede al ’anulare pareva


incerta:

cadde.

– Spingiii! Dimmi di quel… di quel sacco, sììì!

– Ti amo come guardo il pesante sacco del a posta, pieno di gioia, pieno di

sospetto agitato.

Una soubrette. Un’attrice americana. La Mangano di “Riso amaro”. Una

ballerina. Il maresciallo le vedeva tutte lì. Nude. Eccitate. Ansimanti.


Gementi.

Un profumo di sugo di maccheroni giungeva da lontano. Nessuno intorno.


Sepe

si nascose dietro l’angolo. Quel membro la possedeva con forza, ma non gli

pareva affatto una violenza… Era sempre stato incerto sui modi con cui
quel e
avvenenti donne avevano redatto il verbale in caserma. Da quel ’angolo
apparvero

anche i capezzoli rigidi, i pantaloni sbottonati, la gonna macchiata, una


scarpa a

terra. Poi la schiena nuda, bagnata, le slip, i glutei di marmo e quel e mani
che

tastavano l’uomo sul petto, sulle braccia, tra le gambe, come per tenerselo
tutto

a memoria…

– Aahh godo! Mordimi!

–Ti amo come se sorvolassi il mare per la prima volta in aereo.

– Mhhh... ancora...

– Sei la mia carne che brucia, come la nuda carne delle notti d’estate. Sei la
mia

patria, tu. Alta e vittoriosa!

A “patria”, Sepe s’asciugò il sudore. Diede un’altra sbirciata al e cosce e al


a

schiena di quel a magnifica femmina. Poi, ricordando un libro di Hikmet,

fece dietro front sussurrando: – Ti mangio e ti spruzzo di sale… ti bevo con


la

febbre… Sei la mia patria che brucia, ti amo, ti amo.

14

365 racconti erotici per un anno


lIbERTà

10 gennaio

di Karim Mangino

Il primo piercing mi costò un ceffone. Mio padre vide l’anellino che mi ero

fatta mettere al sopracciglio e mi colpì in pieno viso. Avevo quindici anni.


Non

abbassai lo sguardo, lo fissai negli occhi anche se sentivo la guancia che mi

pulsava di dolore. Anche se sapevo che guardarlo così era la cosa che lo
faceva

andare più in bestia. Ricordo che in quel momento ho pensato: toccami


ancora

e giuro che non mi vedrai mai più.

– Vatti a lavare la faccia. Togliti quegli stracci di dosso.

Lui urla e stringe i pugni e io penso ancora, come una preghiera, colpiscimi

e vado via per sempre.

Non so perché ripenso a queste cose proprio stasera mentre me ne sto


distesa

accanto a Sara. Sono passati due anni e mi sembra una vita. Sara dorme,

nonostante il frastuono continuo del a metropolitana che fa tremare i vetri

del a finestra. Punto il gomito sul materasso e mi tiro su per guardarla. Mi

piace come tiene il braccio piegato dietro la testa, le labbra leggermente


aperte,
il seno piccolo che si muove col suo respiro. Ha ventidue anni e sembra lei
la

più piccola tra noi due, le mani delicate, le caviglie sottili, i piedi piccoli.
Ha un

viso da bambina con le lentiggini sul naso. Non ha i piercing che mi sono
fatta

io: ne ho uno sul a lingua che a lei piace tanto e uno al ’ombelico; lei ha
solo un

minuscolo tatuaggio sul a spal a destra, un ideogramma cinese che significa

libertà.

Libertà. Dio, quanto ti ho cercata. Fisso il soffitto macchiato di muffa e


sento

ancora lo schiaffo di mio padre che mi brucia il viso. Non ti sono mai
piaciuta,

vero papà? I capelli troppo corti, il giubbotto di pelle. Non ero la bambina
con

le treccine che volevi tu, non è così? Be’, i tuoi schiaffi non cambiavano
proprio

niente. Io sono così e tu credevi che urlando mi avresti cambiata.

Senza accorgermene chiudo gli occhi e sento le lacrime che mi rigano il

viso.

Libertà. Questo monolocale in periferia è la mia libertà? Il palazzo puzza di

urina, la metro non mi lascia dormire. Faccio la cameriera e sono in


arretrato
con l’affitto.

Accarezzo il tatuaggio di Sara e lei si sveglia. Mi guarda e sorride, poi mi

dà un bacio come solo lei sa fare. Mi prende il viso tra le mani e gioca con

la lingua intorno al piercing che ho in bocca. Io le sfioro il seno con la punta

delle dita e la sento tremare mentre la tocco. Chiudo gli occhi. Sara, sono la
tua

piccola. Sento le sue dita che mi cercano. Mi desiderano. Io la stringo forte


e,

come sempre, sparisce ogni ombra da questo appartamento mentre mi perdo

in lei.

365 racconti erotici per un anno

15

absIDI

11 gennaio

di Paolo Veroni

Era arrivata solo da un paio d’ore con la navetta dei rifornimenti che già
non

riuscivo più a prestare attenzione alle sue parole, tanto ero distratto dai seni

perfetti che le aderivano al ’uniforme.

L’avevano inviata come supporto al a missione: così era indicato nel


messaggio
del giorno precedente. Il progetto doveva proseguire come programmato e
io

non volevo perdere tempo. Avremmo condiviso gli stessi spazi, la stessa
aria,

gli stessi alloggi e l’intimità di questo bidone volante fatto di carta stagnola.

Cercavo di seguire il monologo sulle nuove procedure che il comando le

aveva fatto imparare a memoria, ma i movimenti e le note provenienti dalle

sue labbra mi ipnotizzavano, rendendo ogni altra cosa più ovattata di quanto

non fosse stato nel ’ultimo mese. Da troppo tempo galleggiavo fra pannelli

luminosi e monitor monocromatici: il silenzio stava diventando il mio


peggior

nemico, la solitudine una compagna indesiderata.

Impaziente lasciai che terminasse di descrivere le attività straordinarie che

le avevano imposto di compiere, poi con decisione e senza dire una parola
le

afferrai un polso, mi diedi una leggera spinta e, con delicatezza,


l’accompagnai

nel modulo d’osservazione. Dovevo attenermi alle procedure.

L’oblò rettangolare, grande almeno un paio di metri quadrati, lasciava


filtrare

la debole luce proveniente dal a Terra. Una penombra ideale.

Mi tolsi la camicia del ’uniforme, indossata per accogliere gli astronauti


del a navetta, e rimasi a torso nudo di fronte a lei, che immobile fissava i
miei

pettorali, senza timore. Le sfilai la polo facendo scorrere le mani sui fianchi

e poi sulle braccia. Non ricordavo più quanto fosse morbida la pelle di una

donna.

Continuai abbassandole gli short, facendo scivolare l’angolo del a bocca

dal ’inguine al ginocchio. Lei chiuse gli occhi e abbandonò la testa al


’indietro,

sospirando e irrigidendo il ventre. Così la strinsi al petto e la baciai


prepotente,

mentre i capezzoli premevano sui miei muscoli.

Ci allontanammo al ’improvviso per gettare ciò che ancora restava a coprire

le nostre nudità, quando la stazione ruotò in direzione del riflesso lunare.


Una

luce violentissima invase il modulo d’osservazione creando sul a pelle,


lucida

di un leggero strato di sudore, una bril ante aura dorata.

Eravamo semplici cavie da laboratorio nascoste nel a più lontana orbita

lunare.

Ma ci sentivamo Dei.

16

365 racconti erotici per un anno


saRa NEll’aPPaRTamENTO DI vIa DIaZ

12 gennaio

di Massimiliano Maestrello

I miei non ci sono più e io vivo con mio fratello in un piccolo appartamento
dalle parti

di Via Diaz. Tut e le regole sono saltate: non è un granché, mio fratello,
come figura

autoritaria. Se ha un talento, è quello di fidanzarsi di continuo con ragazze


carine.

Tut e storie che durano poco, comunque: forse mio fratello non è granché
nemmeno

come compagno fisso. Sara comincia a frequentare il nostro appartamento


durante

quel ’estate. Ha una faccia da ragazzina e un guardaroba pieno di gonne


cortissime.

– Ciao, piccolino – mi saluta entrando. Ha sempre una gomma da masticare


in

bocca. Io le guardo le gambe mentre soffia una bol a rosa e la fa scoppiare


con uno

schiocco di lingua. Mi piace il modo in cui lo fa.

Sara e mio fratello finiscono sempre per chiudersi in camera da letto, a un


certo

punto. Le pareti del ’appartamento di Via Diaz sono fini come carta velina e
io sento
tut o. So bene cosa fanno, chiusi lì dentro, l’ho visto in certi film che danno
in piena

not e sui canali privati.

Chiudo gli occhi e immagino di esserci io, al posto di mio fratello.

Un pomeriggio li sento litigare. Mio fratel o esce di casa sbat endo la porta
e

bestemmiando. Io sono sul divano davanti al a televisione. Sara esce dal a


camera e

si siede accanto a me. È nuda. Chiudo gli occhi, sento le guance andare a
fuoco. Sara

ride, anche se ha gli occhi tristi.

– Che c’è, piccolino? – mi chiede. – Non ti piaccio?

Faccio per alzarmi, ma lei mi trat iene.

– Guardami – dice. – Apri gli occhi.

Prende ad accarezzarmi in mezzo alle gambe. Sono spaventato, non so cosa


fare.

Resto immobile.

– A tuo fratel o non piaccio più – dice lei. Mi abbassa la cerniera dei jeans.
Mi tocca

e mi dà la scossa. – A te piaccio, vero piccolino?

Annuisco, la mente annebbiata, i brividi lungo il corpo.

Si abbassa a prendermelo in bocca.

è sbagliato, penso. è la ragazza di mio fratel o.


Poi non penso più a niente. C’è solo la sua testa che si muove su e giù, la
sua lingua,

io che inarco la schiena e mi lascio andare, senza controllo.

Sara e mio fratel o si vedono ancora un paio di volte. Un’altra del e sue
storie a breve

termine. – Ciao, piccolino – mi saluta lei l’ultimo pomeriggio. Sul a porta si


ferma a

sorridermi. Fa una bol a e schiocca la lingua contro il palato nel modo che
mi piace.

È un messaggio per me, forse. O forse è solo il suo modo di dire addio al
’appartamento

di Via Diaz.

365 racconti erotici per un anno

17

QUalUNQUE EssO sIa

13 gennaio

di Andrea Franco

Osserva la moglie, Antonio, in silenzio. è uno scherzo, pensa. Mi sta


mettendo al a

prova. Se dico che l’idea mi piace, s’incazza. Ma se non sta scherzando…

– Allora? – incalza Silvia. – Non ti sto prendendo in giro. – Mentre lo


guarda drit o

negli occhi lascia scivolare la mano lungo la coscia, verso l’erezione


impossibile da
nascondere. – Lui ha già risposto – lo stuzzica, slacciando un bot one del a
camicia,

scoprendo il seno, una panoramica su quel a quarta abbondante e morbida.

– Ci devo pensare – replica Antonio a mezza bocca, il fiato rot o da una


carezza

sfuggente.

– Prima a modo tuo – riprende Silvia – poi a modo mio. Pensavo che
almeno una

volta nel a vita…

– E quale sarebbe questo “modo”?

Silvia sorride, mentre la mano ormai lo stringe con decisione. Si china su di


lui, lo

sfiora con le labbra, con un movimento languido del a lingua. Poi dice: –
Dev’essere

una sorpresa.

Un bacio lungo, quanto mai sperimentato prima. Quando Daniela le libera


la bocca

dal a sua lingua calda, Silvia si scopre eccitata. Sta per portare una mano
tra le cosce,

ma si blocca.

– Anch’io sono bagnata. – Un sorriso malizioso. – Ora facciamo giocare


anche loro,

che ne dici?
Silvia non ha bisogno di voltarsi. Sa chi c’è al e sue spal e. Ha accettato di
accontentare

la sua amica senza sapere il perché, ma adesso che è lì, nonostante


l’eccitazione, non è

proprio sicura di quel o che sta facendo.

Loro si muovono e Silvia per un momento chiude gli occhi. Sente la mano
di Daniela

che le sfiora il seno, poi un morso sul capezzolo duro e sensibile. Senza
rendersene conto,

due dei quattro ragazzi sono intorno a lei in un intreccio di braccia, lingue,
desiderio.

Poi l’incertezza scivola via e rimane la fol e sensazione di trasgressione. –


è

un’esperienza unica – le aveva detto Daniela.

– Avevi ragione – avrebbe voluto rispondere. Ma in quel momento, non può


proprio

parlare.

– Iniziamo a modo mio? – sussurra Antonio, senza allontanare la mente dai


baci

profondi di Silvia.

– Poi a modo mio – replica lei, fermandosi solo un momento.

– E posso proporre qualunque cosa? – Silvia annuisce, proprio quando lui


inarca la

schiena e la bocca le si riempie di caldo piacere.


– Qualunque cosa – risponde. – Poi faremo a modo mio...

18

365 racconti erotici per un anno

almENO NEl mIO casO

14 gennaio

di Giuseppe D’Emilio e Stefano Marcelli

Se devo essere sincero, diciassette anni per una scopata mi sembrano troppi.

Diciassette anni di carcere, dico.

Almeno nel mio caso.

Sì, sì, è stato giusto inasprire le pene per i pedofili, non lo metto in dubbio,

il fenomeno aveva assunto dimensioni impressionanti. Ma, almeno nel mio

caso...

Mi aveva fatto l’occhiolino, la cameriera; l’occhiolino! E il giorno dopo


aveva

scritto il numero del videofonino sul conto.

Ed era stata lei, dopo aver cenato insieme a lume di olocandela, a chiedermi

se le offrivo una gomma di poromollgricks, e poi la seconda e la terza. “È

suggerito l’abuso”, sta scritto sul a scatola, ma lo sanno tutti che succede
già

con la prima. E io sto per compiere sessant’anni, cazzo! Era il 31 ottobre


del
2023, come dimenticarlo?

Si sa, con queste ragazzine che sembrano delle donne fatte non puoi mai

stare tranquillo; ma la card d’identità mi tranquillizzava; data di nascita:

01/11/2005.

E io ho guardato l’orologio, le 11.01: meno di un’ora al a disattivazione del

chip, il suo chip, quello che dice: adesso puoi aprire le cosce, farne un
passaggio

segreto che solo una lingua può aprire, una voragine per tutti gli
appassionati.

Ecco, io sono un appassionato.

Così, a mezzanotte e uno (non si sa mai, nemmeno con gli orologi atomici)

la sfioro.

L’urlo del a sirena mi rattrappisce timpani e cazzo.

Ed è col cazzo ancora ciondolante che vengo portato su ’sto cesso di Titano,

mentre la radio ricorda ai poliziotti di control are gli orologi per il passaggio

al ’ora legale.

365 racconti erotici per un anno

19

REwIND

15 gennaio

di Alter W.
Mi sto radendo e immagino lei che fa frusciare le lenzuola mentre mi
aspetta

e si tocca.

L’ultima volta con te è stato meraviglioso, oltre ogni immaginazione.

Complice una cena sul a terrazza vista mare e la solerzia con cui il
cameriere

riempiva i calici di prosecco ghiacciato; ogni inibizione era finalmente

caduta fra noi e avevi accettato l’invito a casa mia. Tempo dieci minuti e

ci eravamo trovati immersi in una condizione nuova, di gioco, al a ricerca

del a gratificazione del ’altro. E così la mia camicia diventava una guepière,

la cintura un frustino e niente poteva assumere più il termine di proibito. La

finestra lasciata socchiusa faceva filtrare una penombra perfetta, dove il


profilo

o il dettaglio si mostravano a seconda del passaggio delle nuvole sul a luna


o

del a smania di scoprire i nostri corpi, dove ogni piega, ogni muscolo,
labbra

e voce vibravano sul a stessa frequenza di struggimento. Arrivare


finalmente

al ’appagamento ci aveva stordito, tanta era stata prima l’estasi del darsi e
del

piacersi, e quel senso di mancamento giungeva come necessario per suggel


are
un’intesa divenuta assoluta; pure non mi stancavo di accarezzare le tue
curve,

spiare le tue movenze, cogliere quel lampo negli occhi nel momento in cui

provavi piacere.

La vita scorre prepotente, ma io vorrei poterti dedicare più tempo e trovare

occasioni per possederti e farti godere, e ogni volta morire con te e


rinascere,

come la fenice.

A cosa giocheremo la prossima volta, amore mio? Quali saranno le parole

che accenderanno ancora il desiderio, quale fantasia ci aprirà la porta di una

stanza, l’amore in piedi in uno stanzino oppure lo scomodo sedile posteriore

di un’automobile? Mille e più maschere possiamo indossare, uno solo è


l’abito

degli amanti che, nudi, si abbandonano alle licenziose pratiche del a


lussuria.

Ho guardato altre donne, ho amato altre donne, ma in nessuna ho trovato

l’arcano richiamo del tuo afrore, al quale ritorno ogni volta ebbro e schiavo.

Tu mi accogli sempre con rinnovato ardore, pure talvolta mi coglie la paura

del ’abbandono, che tutto finisca e io mi possa ritrovare solo a ricamare sui

ricordi.

Già, i ricordi. Solo quelli sono sufficienti per eccitarmi e scatenare sciami

adrenalinici di piacere, nel ’attesa di averti di nuovo.


Spengo il rasoio, sospiro. Lei capisce che sto arrivando e spegne la luce.

Metto la fede.

Per ricordarmi che non sei tu, amore mio.

20

365 racconti erotici per un anno

la chaT

16 gennaio

di Mariarita Cupersito

Presto arriverà la not e. At endo paziente che questo inutile giorno scivoli
nel ’oblio

assieme a tut i gli altri che lo hanno preceduto.

Io vivo di not e. Io sono la not e. Sono una predatrice.

Immagino che molte studentesse del campus abbiano una movimentata vita

not urna, ma io non sono come le altre.

Sono diversa. Sono speciale.

Ogni not e porta con sé una nuova storia, un nuovo ragazzo da amare
selvaggiamente

fino al ’alba, per poi dimenticarne il viso subito dopo.

Sono fat a così, zero complicazioni. Sesso e via. È tut o ciò che voglio.

Le ore diurne servono solo a riprendermi tra una not e e l’altra; vado a
lezione, in
palestra, a fare shopping, ma in realtà dormo: at endo fiduciosa e paziente
l’arrivo

del ’oscurità.

Ogni sera chat o con altri studenti del campus di cui non so assolutamente
nul a,

tranne il nickname. Scelgo il fortunato che mi terrà compagnia e mi faccio


dire qual è

il numero del a stanza in cui alloggia nel ’immenso dormitorio del


’università. Poi lo

raggiungo, e resto lì tut a la not e. Ogni volta è un ragazzo diverso.

Sono io a det are le regole, ho il control o totale del gioco. Niente nomi,
niente

informazioni personali, tantomeno il mio numero di stanza. Nessuno di loro


mi

rivedrà una seconda volta. Appena arriva l’alba il mio interesse per ognuno
di essi

svanisce, veloce come era arrivato.

Stasera sono su di giri. Sarà a causa del temporale che infuria ormai da
diverse ore e

che amplifica l’intensità del mio desiderio.

La corrente è andata via. Sono in camera al buio, seduta sul letto, davanti
allo schermo

abbagliante del portatile appoggiato sulle cosce. Fortunatamente ha


un’autonomia di

diverse ore, ma a me bastano pochi minuti per trovare ciò di cui ho bisogno.
Entro nel a chat. Per un at imo mi sembra di udire un suono at utito
proveniente

dal ’oscurità, ma dev’essere uno scherzo del a mia immaginazione. Questa


sera il mio

nome è Scarlett Rose. C’è molta gente online, ma un utente in particolare


cat ura la

mia at enzione: Cobra.

Inizio subito a chat are in privato con lui. È sicuro di sé, mi piace. Il suo
nickname

trasmette una sensazione di pericolo, il che mi piace ancora di più.


Chiacchierando

riesce a stuzzicarmi.

Ho deciso. Stasera è lui il prescelto.

Voglio vederti.

Ne sei sicura? Sono un predatore anch’io. Sono pericoloso.

Più che sicura. Vengo da te, dimmi dove ti trovi.

Nel a tua stanza.

365 racconti erotici per un anno

21

UP aND DOwN

17 gennaio

di Massimiliano Cacciotti
Up and down on my body / make me feel your size daddy / move it on shake
it on

/ are you ready?

È un tranquillo week–end da paura di questo strano inizio secolo. È una


notte

giusta per venirci da soli in questa vil a–disco–sexy, come un Tom Cruise
da

ultimo Kubrick. Ci sta bene pure la musica al a radio e io che faccio il coro,

lungo una strada tutta curve.

Due euro per il parcheggio: ladri, come al solito! Però lo sapevo. Ci sono
già

stato qui, in questo discoinferno dove si bal a, si beve e se ci scappa la


scopata

nessuno si tira indietro.

Perché ci sia tornato non l’ho ancora capito. Però ci sto. Ci sto “per
dimenticare”,

mi verrebbe da dire, ma per dimenticare cosa l’ho dimenticato.

Intanto mi guardo intorno, mi godo il belvedere di culi, di coppie, di tette,


di

tipe, dituttodipiù; mi perdo nel regno del ’ oltre–i–limiti, del a techno a


manetta,

sparata da un dj fatto a bestia.

Meno male che c’è anche lei, la cubista del ’altra volta, quel a che ci
eravamo
solo scambiati due chiacchiere, ma che io, a casa, ho già usato per farmi le

seghe. Meno male che c’è lei, sì, anzi tu “Ci davamo del tu, vero?” “Certo,
che

sei scemo?” “Come ti chiami che non ricordo?” “Simo” “Ah Simo, sì.
Sarebbe

Simona, no? Io Marco” “Lo so, lo so!” e mi sorride con uno di quegli
sguardi che...

mmh! Meno male che le sorrido anch’io, contento perché mi ha


riconosciuto

(sta a vedere che mi ha usato anche lei per i suoi ditalini!). Meno male,
perché

questo è un locale in cui si bal a, si beve e se ci scappa la scopata nessuno si


tira

indietro. Meno male, perché al piano di sopra, su nel privé, è già scattata
l’orgia

e ci buttiamo anche noi, che qui usa così. Meno male, perché poi lì, dentro
di lei,

posso rimirarmi le facce al upate dei tipi intorno: “Stronzi! Io Simo me la


scopo,

mica come voi che vi ci potete solo riempire di seghe!” Meno male perché
poi c’è

quel a saletta dietro, che Simona conosce, quel a con la scritta “Riservato”,
dove

andare soli io e lei. E Simo, che in fondo è una romanticona ingenua dipinta

da baldracca, poi mi dirà roba del tipo: “Sono stata benissimo”. Peccato
solo
che, un attimo prima di dirlo, se ne vada in bagno a darsi una rinfrescata…
La

aspetto inutilmente per venti minuti. La rivedo un’ora dopo: è nel privé, con
un

tipo tatuato che se la fotte da dietro. Perché qui usa così.

Dài, no, non devo piangere. Meglio andare a bal are, su, che giù in
discoteca

è partito un bel revival. .

What is love / baby don’t hurt me / don’t hurt me / no more...

22

365 racconti erotici per un anno

TaNgO sUlla Rambla E vINO fRaNcEsE

18 gennaio

di Cristina Cardone

Le Rambla si aprivano davanti a lei, la fol a le veniva incontro. Riconobbe


il venditore

di palloncini, le voliere degli uccelli, i volti di cera dei mimi.

Si fermò mentre una risata argentina e familiare piovve su di lei.

– Vous voulait un portrait?

Conosceva Barcellona, le piazze erano sempre una festa e poi lì trovava gli
artisti più

interessanti, portoghesi o catalani, ma anche slavi e africani.


Passava spesso per la Rambla, via di ambulanti e di pit ori, di mimi e di
ladri. E lui

l’agganciò sul a Rambla.

– Vous voulait un portrait? – Lei si era avvicinata curiosa.

– Come fa a sapere che sono francese?

– Sono francesi il vino, le ostriche e le belle donne.

– Come a dire che il flamenco è spagnolo. Quindi la sorprenderei molto se


avessi

due ali tatuate sul fondoschiena? – lo provocò lei.

– Davvero ha due ali sulle chiappe?

– No.

Lui alzò lo sguardo dal a tela. – Fai l’amore con me.

– Qui? In mezzo al a strada? Dovrei spogliarmi? – chiese lei.

– Si può fare sesso anche senza spogliarsi – aggiunse lui.

Parlavano francese. – Fai l’amore con me – ripeté con voce calda. – Le mie
labbra

sussurrano il tuo nome dietro l’orecchio, cherie.

Lei divaricò appena le gambe. – Mi aggrappo ai tuoi capelli tirando e


avvicinando la

tua bocca al a mia – rispose.

Lui sembrava quasi distrat o dal suo lavoro. Al ora lei slacciò un bot one del

cappotto.
– No! – la bloccò. – Parlami. Io ti ho già spogliata.

– La voglia lacrima tra le mie gambe, dove si insinuano le tue dita. Stringo
appena per

sentire il contat o con la tua pelle. La mano scivola dentro al ritmo del mio
desiderio.

– Continua.

– Voglio sentire la tua pelle sot o la mia, voglio sentire in bocca il tuo sesso.

Una coppia guardò la tela e poi alzò lo sguardo su di lei.

– Posso vedere il mio ritrat o?

Lui annuì.

Arrossì vedendosi nuda su un lenzuolo chiaro.

– Voglio fare l’amore con te – disse lei.

– L’hai fat o, vieni un altro giorno.

Lui fermò una coppia. – Un ritrat o, volete un ritrat o?

Viola tornò il giorno dopo. E quello dopo ancora.

365 racconti erotici per un anno

23

sEDUZIONE

19 gennaio

di Carlo Battaglini
Il mio libro. La gente at ende che firmi la loro copia. È la mia serata. Cosa
potrei

volere di più? Al ’improvviso sento il suo profumo. Fremo. Mi giro


timoroso e me la

vedo davanti.

– Così sei riuscito a soddisfare i tuoi desideri… – mi dice con ironia


suadente.

Le guardo gli occhi dove sto per precipitare, poi la profonda scol atura. E il
suo

odore, dio mio, il desiderio di lei, come allora, più di allora…

Era arrivata da chissà dove e aveva messo in agitazione il paese; troia per le
donne

e dea per gli uomini, su di lei giravano storie di peccato o d’estasi;


dipendeva da chi

le raccontava.

Un giorno caldo, nel ’ombra dei portici silenziosi, intesi i suoi tacchi che si

avvicinavano. Smisi di scrivere e la vidi. La gonna vaporosa ondeggiava


sugli alti

sandali. I capelli le accarezzavano il seno appena nascosto da un corpetto al


acciato

sul davanti.

– Sei sempre a scrivere – mi disse, – non desideri altro dal a vita?

E al ontanandosi mi get ò uno sguardo malizioso. Troppo malizioso. Un


invito.
La seguii fino a una casa che aveva conosciuto tempi migliori. Entrando
trovai una

stanza pervasa da un odore che mi stordiva, con al centro un let o in ferro


bat uto.

Lei era seduta, le gambe accaval ate, su una poltrona di vimini.

– Spogliati! – mi ordinò.

Il suo tono deciso mi sorprese, ma quando la vidi slacciarsi il corpetto non


ebbi

più remore. Con frenesia mi tolsi la camicia e mi sfilai i pantaloni,


trascinando con

essi anche le scarpe. Il pene mi urlava di liberarlo, ma esitai. Lei si aprì il


corpetto

rivelando i capezzoli scuri; uno forato da un anello. – Levati tut o e sdraiati


sul letto!

Ero ipnotizzato dal ’anello. Obbedii. Mi accorsi delle manette solo quando
mi

ritrovai con i polsi fissati al a testata del let o. Mi agitai, ma lei mi posò
l’indice sul e

labbra e sussurrò: – Puoi avermi solo così.

Mi abbandonai. La sua vagina mi accarezzava il corpo. Cominciò a salire,


lenta,

verso il mio viso. Mi coprì la testa con la gonna. Tut o divenne buio; il suo
aroma

mi soffocava, non capivo più nul a. Tentai di baciare quel sesso che si
avvicinava, ma
svenni.

Quando ripresi i sensi ero solo, senza manette. Mi vestii con rabbia, ancora
eccitato

dal desiderio insoddisfat o che mi piegava, e che sarebbe rimasto tale anche
negli

anni a venire.

E adesso lei è qui che mi guarda, con il suo odore che mi fa impazzire, e mi
chiede

se ho soddisfat o tut i i miei desideri… La seguo, incurante del mondo at


orno, senza

farmi il usioni, sedot o dal a mancanza.

Potrò averla solo così.

24

365 racconti erotici per un anno

PRONTa a mORIRE?

20 gennaio

di Sara Gatto

Le sue mani sono ferme sui miei fianchi, ma per me è come se fosse
ovunque. La

pel e è calda anche se bagnata dal a pioggia.

Mi accarezza la schiena, sollevando appena la camicetta bagnata.

Sono così eccitata che vorrei fosse già dentro di me a muoversi


velocemente
e con ferocia, per farmi godere. Ma a lui piace andare lentamente. Adora

esplorarmi, gustarmi come un vino buono.

Mi stringo addosso a lui. Lo sento inspirare velocemente mentre una mano

mi passa sul seno, e subito un capezzolo tende la stoffa bagnata del a


camicetta.

Sotto non porto il reggiseno, so che lo ha capito. Lo stuzzica tra pollice e


indice,

proprio come piace a me, e io non so fare altro che lasciar cadere la testa
indietro

ed esporre il collo al a sua bocca, che rapida scende a baciarmi la giugulare.


I

suoi fianchi stanno danzando contro i miei, ritmicamente, premendosi per


poi

scappare rapidi, per non concedermi troppo. Sa che sta giocando con il
fuoco

e questo gli piace da morire, lo eccita quasi dolorosamente. Vorrei che fosse

veloce, che mi possedesse qui, ora, contro questo muro fuori dal ristorante
dove

abbiamo appena mangiato, ma vorrei anche che fosse lento e dolce.

I nostri corpi hanno preso a strusciarsi di loro iniziativa. Sanno cosa


vogliono

e come lo vogliono. La mente non può interferire.

– Pronta a morire? – mi chiede con voce roca, prima di baciarmi.


È un bacio così intenso che la mia mente viene annul ata e rimane solo il
corpo

a recepire tutto questo piacere.

Le mie mani corrono ad accarezzare, a vezzeggiare le forme del mio


compagno,

al a ricerca del supremo godimento. Sanno dove e come cercarlo.

So che è in balia dei sensi, esattamente come lo sono io.

Perché le nostre unioni sono sempre così. Non si uniscono solo i corpi,
anche

le menti si fondono in un piacere indicibile, quasi etereo.

Sento il piacere scemare con molta lentezza, mentre la pioggia continua a

cadere, costante.

Mi riappoggia con i piedi a terra. Non mi ero nemmeno accorta che mi


avesse

sollevato.

Stiamo ancora ansimando. Il battito dei nostri cuori è in perfetta sintonia.

– Siamo morti… – riesce a dirmi dopo qualche minuto in cui cerca di

riprendere fiato.

– Sì – riesco a rispondere mentre i fari di un’auto che passa nel a strada

principale a pochi metri da noi ci superano senza notarci.

Mi sorride con quel sorriso colmo di piacere che io adoro vedere, e l’unica
cosa
che riesco a pensare è che morirei sempre con lui.

365 racconti erotici per un anno

25

NEw YEaR TREND PaRTY

21 gennaio

alTRI DODIcI mEsI cON NOI!

di Francesca Violi

Parcheggio del Trend: piedi in aria, gonna alzata sui fianchi, la tua schiena
sbat-

te contro il muro a intervalli regolari. Troppo regolari! La lingua sul a tua


gola è

di Rob, uno dei cubisti ( dodici, come i mesi del ’anno: lui è Dicembre).

Da quando hai fondato l’Agenzia non avevi mai... ma che ti è preso proprio

stasera? Quando ti ha scostato le mutandine rosse e ti ha... te l’ha messo


dentro,

la cosa ti è proprio sfuggita di mano. Per fortuna hai guardato l’ora. Solo
che

intanto lui era già entrato. Così ora fai del tuo meglio per velocizzare la
cosa: sti-

moli, palpeggi, strofini, mordicchi. Come far durare il meno possibile gli
affondi

poderosi di un ventenne scultoreo pieno di energia: certo che la vita a volte.


.
È che a mezzanotte i dodici mesi devono stare sui cubi a brindare coi
clienti.

Lo dice il contratto.

Tasti, aliti, premi, stuzzichi, strusci. Gli infili persino il dito nel... in-

somma, sì, nel sedere, ma con le unghie finte, non sarà...? No, no, gli piace!

23:54. Non sai più cosa fare: ti vengono in mente solo cose tipo... No, no.

(L’assenza di Dicembre si noterà di brutto)

Non puoi dire quelle cose.

(Il padrone del Trend è uno stronzo pignolo. La penale...)

Gliele dici. La voce ti esce strana.

Ora il ritmo è molto più veloce. Dài, un ultimo sforzo! Tanto cos’hai da
perdere?

Ti succhi un dito e inizi a toccarti (e sì che persino al tuo ex storico l’avevi


sem-

pre negato. Quanto te l’ha chiesto!), su e giù, su e giù, ecco, così...

Lui ansima, accelera

(così – ehi, ma cosa ti sta...)

più forte

(Oh.)

si inarca

(Ooh)
trema

(No! Aspet...)

sembra che muoia

(... ta)

È corso dentro giusto in tempo. Un fischio, uno scoppio, un altro, sempre di

più, finché è un unico boato che si alza dalle case sparse nel a pianura, dal
nuo-

vo quartiere residenziale, dalle luci del a città lontana.

Ah, ecco lì le tue mutandine.

26

365 racconti erotici per un anno

UN lavORO sPORcO ma faTTO bENE

22 gennaio

di Matteo Ciccone

Il marito gli ha detto che la moglie è un osso duro. – E quindi – ha aggiunto


c’è bisogno di uno bravo. – Lui allora ha fissato negli occhi il nuovo
fornitore

di lavoro sporco, senza un’incrinatura, fermo e forse un po’ offeso dal a


nota

inutile; e ha risposto: – Sono un professionista. – Ed è così.

Un marito che vuole liberarsi da una moglie scomoda, ormai una ciabatta
troppo stretta per un piede ingrassato da un’avara ricchezza. – Quel a strega

deve sparire. In modo pulito e senza strascichi. Per anni l’ho sopportata. Di

divorziare non se ne parla: chiederebbe e otterrebbe troppo. Deve sparire. –

Vecchio porco e spilorcio, pensa lui mentre afferra un anticipo di 10.000


euro.

Lei ha cinquant’anni, si mantiene bene ma è frigida; la menopausa poi la fa

stizzosa, antipatica. Per questo è un osso duro. Avvicinarla sarà difficile.


Ma lui

ci sa fare: è il più richiesto, in casi come questo di marciume morale.

L’avvicina un giorno al mercato, gentile e imbranato. Finge. Lei, tutto

sommato, è una madre. Inutile dire che vuole subito aiutarlo a trovare una

certa via del a città, perché lui viene da Roma e non conosce.

Il secondo incontro l’organizza al ’uscita di un cinema. Le sbatte addosso.

– Ma... incredibile! – esclama mentre le porge la borsetta caduta. Lei


perdona

l’incomodo quasi subito, riconoscendolo. Camminano un po’.

Per giorni se la lavora così. Escono, si vedono. La fa aprire un centimetro

al a volta, scrostando il carattere odioso del a vecchia, spolverando quello


del a

donna che vuole vivere ancora.

Il primo bacio arriva a sorpresa da lei, segno che il momento mortale è


maturo al punto giusto. Come al solito lui è stato bravo: l’ha conquistata.
Ora

può portarsela dove vuole, e sa che di lui non ha parlato a nessuno.

Fanno l’amore la prima e unica volta in un motel che ha scelto lui giorni

prima. Prendere una vagina secca è tosto, ma crede di averla fatta godere. In

ogni caso, non ha sentito i clic segreti che hanno immortalato la carne che

geme.

La lascia svenuta di piacere, sudata. La guarda nuda, e prova schifo, ma non

capisce per cosa. Raccoglie in silenzio le fotocamere automatiche nascoste.

Domani lei comincerà a morire, scoprendosi sola e violata. Continuerà a

morire quando il marito, foto al a mano, chiederà un divorzio per adulterio.

Lui non vorrà nessun rimborso, farà il santino che né perdona né cova
rancore.

Lei non farà storie; si suiciderà poi per il dispiacere di tutto.

Un lavoro durato settimane. Ottimamente riuscito.

365 racconti erotici per un anno

27

aNN

23 gennaio

di Luca Roncoletti
Addio al celibato, destinazione Lap Dance, sfruculiose intenzioni! Ci
troviamo

al parcheggio.

A Nico ci si abitua. Si muove ambiguo che non gli daresti due lire, poi ti

sforna libido well oriented ( well perché è oriented come la mia). Si metterà
in

politica, lo sento. È lui che conosce il posto.

Appena entrati ci rimango di sale: roba buona dappertutto! Poi appare.

Un’amazzone. È lei, c’è niente da fare. A Luca gliela indico subito. Me


l’appoggia .

Poteva essere diversamente?

Alta, atletica, gambe che mi scende la lacrima tanto son belle. I miei amici

sono inebetiti. Io ancora riesco a giudicare con occhio da esteta, però non è

giusto nei miei confronti che questa Giunone non sia innamorata di me.

Poi si gira.

Che lato B! L’esteta in me si sbriciola. Mi sento vulnerabile. Unanimità: la

prenotiamo per un privè.

Il camerino è a forte impatto erotico: separé di compensato (stasera troverei

erotica anche una chiavetta USB). Poltrone agli angoli. Quattro, noi. Lei
quindi

svolazzerà al centro. Sul pavimento è disegnata la rosa dei venti. Mi siedo a

Ovest. Il Pier ce l’ho a Sud. C’è eccitazione.


Giunone si chiama Ann, texana. Parla solo inglese. Tacchi a spillo,
perizoma

e col anina che impreziosisce il collo (comincio a capire i vampiri!). La luce

soffusa disegna sul corpo oliato orgiastici riflessi (va be’, orgiastici è un po’

forte). Con l’indice le faccio freccia verso il Pier e maltratto un Just


married.

Leggo in lui riconoscenza di gran qualità. Ann sembra dirmi Peccato che
non

sia tu (e peccato sì, orca malora!). Lo incalza a mosse di pantera. La sua


coscia

mi è così vicina che… mamma! Insinua le dita fra gli elastici del perizoma.

Sgancia l’intimo. L’altra mano ne ferma la caduta. Gli danza fra le


ginocchia.

Un balzo e si mette in piedi sui braccioli. Lascia sfilare il perizoma e…

Gli avvicina la testa alle grazie!

(Pier, che ti ritrovi occhi, naso e bocca dove li avresti sperati casomai una

dea fosse salita sui braccioli del a tua poltrona, finirai mai di ringraziarci?)

Invidia! Le tocco la caviglia. Lei si gira. Balbetto un Me too just married.


Scende

e vira su di me. Come prima, sale. Potrei essere meno felice? Mi massaggia
i lobi.

Poi, il gesto. Si piega ad angolo retto e mi dà un bacio sul a fronte (il bacio
sul a
fronte schizza dritto ai vertici del a mia classifica di fantasie erotiche).
Indugia un

po’ (per la gioia di Luca, che si trova a est!) e lo rende speciale.

Quando mi riprendo lei non c’è più. Dentro il privè noi moschettieri. E il

compensato.

28

365 racconti erotici per un anno

la lEZIONE

24 gennaio

di Aldo Cirri

Carmelo era quasi arrivato al a sua fungaia segreta. Nessuno la conosceva,


era

in una zona del bosco lontano dai sentieri battuti. Aveva appena aggirato un

grande abete, quando sentì un bisbigliare nel folto del a boscaglia. Chi
diavolo

era? Cercò di orientarsi finché riuscì a individuarne la provenienza: da un

cespuglio una voce maschile e una femminile erano impegnate in una strana

discussione. Si avvicinò con cautela e drizzò le orecchie.

– Dai, su, prova… appoggialo al a bocca, mica ti mangia.

– Sì… un attimo, accidenti è grande!

– Vedrai che ti piacerà.


Carmelo sibilò un’imprecazione tra i denti: proprio lì dovevano venire a

fare i loro porci comodi, quei due!

– Così, brava, appoggia delicatamente le labbra…

– Così?

– Sì… ora aprile leggermente.

Carmelo sudava freddo.

– Attenta con la lingua a non chiudere il buchetto… sì, così… aspetta a

spingere e tirare… così… ora!

Dal cespuglio esplose una specie di ruggito misto a un boato profondo.

Carmelo, terrorizzato, balzò in piedi e fuggì via come una lepre.

I due ragazzi, sentendo il rumore, balzarono fuori dal cespuglio, spaventati.

– Che cos’era? – piagnucolò lei.

– Forse un tasso.

– Maledizione, ma non potevamo farlo a casa tua?

– Stai scherzando? Mia madre mi ammazzerebbe!

– E proprio qui dovevamo venire a farlo? Io ho paura!

– Ma dai, rilassati, qui non ci vede né ci sente nessuno…

La ragazza sospirò, piegò la testa e appoggiò di nuovo le labbra nel a stessa

posizione di prima.

– Appoggia bene le labbra… sì… così… ecco, su, prova!


Dal trombone a coulisse uscì lo stesso ruggito di prima. Lei staccò la bocca

dallo strumento. – È l’ultima volta che prendo lezioni da te! Ma guarda se

dobbiamo farlo in questo posto!

– Te l’ho detto, mia madre mi ammazza, se ti faccio suonare a casa mia!

– Uff!

Lei appoggiò le labbra sul ’imboccatura del trombone che, questa volta,
emise

un barrito da elefante capobranco. Lui sospirò, la giornata sarebbe stata


lunga.

365 racconti erotici per un anno

29

bOca chIca

25 gennaio

di Tommaso Chimenti

Non ci siamo mai parlati. Non ci siamo mai visti di persona. Ti ho visto

soltanto in fotografia. Facciamo il gioco del silenzio. Il gioco del buio. Tu

arrivi, ti togli i tacchi salendo le scale. La porta è socchiusa. Non accendere

la luce. Entra piano. Richiuditi la porta alle spalle. Togliti il cappotto,


lascialo

sul divano. È al a tua sinistra appena dopo la soglia. Appoggia le scarpe per

terra. Non parlare. Ti ho lasciato una sciarpa sul divano. Bendati. Prendila
e legala bene. Stretta. Comincia a salire le scale. Io sono al piano superiore,

al a scrivania. Sono al computer. È accesa la piccola abatjour sul tavolo.


Non

ti guardo. Gli occhi dritti avanti a me, sullo schermo i colori rimbalzano, si

rincorrono. Mi inonda il blu, mi abbaglia il giallo, mi il umina il rosso.


Metti

una mano sul a ringhiera. Ti porta su, da me. Sono ad aspettarti, ad


attenderti.

Si sente soltanto il fruscio delle tue calze sulle scale di legno. Sento un
misto

di timore, di eccitazione, di paura, di brivido. Ho la tentazione di guardare


la

tua figura che avanza nera e cieca. Ho voglia di control are se ti sei messa
una

gonna ampia come ti ho chiesto. Resisto, so che avrai seguito tutte le


regole.

Arrivi a tentoni, barcol ando leggermente. Un passo dopo l’altro. Non parlo.
Ti

prendo la mano. Ti metti in ginocchio, come a pregarmi, come un gattino


che

miagola. Accanto a me. Le mani ti tremano un po’. Ti accarezzo una


guancia.

Piano. Dolcemente. Sono un uomo. Il tuo uomo. Almeno per stasera. Ci


sono

i ruoli. Vanno rispettati. È questo il gioco. Il gioco delle parti. Sono qui per
te,
mi dirai. Sei qui perché hai bisogno di un padrone. Una notte ogni tanto. Ti

piace sentirti in balia, non riuscire a control are tutto, come invece fai di
solito.

Sei una donna forte, di solito. Mi hai scelto per sentirti preda. Non ci sono

più gli uomini di una volta, mi hai scritto. Eccomi, mi volevi. Apri la bocca.

Sento il tuo respiro. Ansimi. Fammi sentire. Ti passo un dito sulle labbra.
Sono

umide. Muovi in avanti la testa. Con i denti tenti di prendermi una falange.

Tiro indietro il dito. Ti prendo il viso con una mano. I tuoi capelli
sobbalzano

al ’indietro. Sento un gemito. Ti dico di stare zitta. Tu obbedisci, sei venuta

qui per questo. Dimmi che sono la tua piccola, mi chiedi. Certo, ti rispondo.

Poi, vai giù a quattro zampe. Sali al ginocchio. L’affanno aumenta. La


bocca

spalancata. Ti carezzo la testa. Prima di tirarti i capelli. Mi piace, mi dici.

30

365 racconti erotici per un anno

PlUg–IN

26 gennaio

di Riccardo Restelli

Nei pressi del a stazione orbitale X–69. Data astrale 6502.


Luke diede un’occhiata veloce al monitor di navigazione: la rotta di
avvicinamento

sembrava perfetta. Con gesti automatici premette un paio di pulsanti sul a

plancia, poi alzò lo sguardo verso la vetrata di prua, riempita quasi per
intero

dal ’enorme massa incombente del a base orbitale. – Astronave cisterna


Fellarus

richiede permesso d’attracco per rifornire la stazione – disse nel microfono.

– Tra cinque secondi sarà attivato il collegamento visuale con l’ufficiale


pilota

di turno al a base – declamò con tono metallico il computer di bordo.

Speriamo ci sia lei…

Sul monitor apparve il viso di una donna: un caschetto di capelli neri


attorno

a un volto bianchissimo, gli occhi scuri truccati in modo pesante e la bocca


rosso

fuoco. Luke sussultò sul a poltroncina mentre le labbra di lei si aprirono


appena

per lasciar uscire una voce roca e sensuale.

– Permesso accordato. Base orbitale X–69 pronta al ’aggancio.

Devo restare concentrato…

Luke abbassò la leva. Il grosso perno d’attracco s’al ungò fluttuante nello
spazio
davanti al a prua del ’astronave per poi irrigidirsi nel a posizione
d’inserimento.

Luke guardò solo per un attimo il monitor: gli occhi del a donna si erano
chiusi

per metà, mentre la lingua spuntava sottile e invitante tra le labbra. Il suo
sguardo

era inequivocabile.

Ma che sta facendo? Adesso mi schianto e perdo astronave e carburante…

Il perno cominciò a indugiare nel a sede d’attracco, che si era aperta e si

esponeva al ’innesto seguendo i comandi esperti del a donna. Luke


manovrava

l’astronave con delicatezza, cercando il momento giusto per affondare il


colpo.

Ecco, adesso!

L’aggancio riuscì perfettamente. Solo a quel punto Luke abbassò lo sguardo

verso il monitor, dove la donna aveva gli occhi chiusi e la lingua che
correva sul e

labbra. Il perno ora scorreva avanti e indietro nel a sede, seguendo la


procedura

automatica di caricamento del a pompa idraulica che avrebbe trasferito il

carburante. Il corpo di Luke fremeva e si tendeva come un arco.

Non ce la faccio più!

Premette il pulsante rosso. Il flusso di liquido caldo e denso inondò con un


getto prorompente il serbatoio. Luke era troppo impegnato con la manovra
per

guardare ancora la donna, ma sentì come un gemito provenire dal monitor.

– Procedura di rifornimento completata – sentenziò il computer di bordo,

con un tono appagato che Luke non poté fare a meno di notare.

365 racconti erotici per un anno

31

la vOglIa

27 gennaio

di Stefano Conti

Scrivo. Un lavoro come un altro, ma almeno posso stare a casa e non sono

costretta a incontrare nessuno, se si esclude Carlo, il mio editor. Certo, lui


non

vuole far sapere in giro che sono io l’autrice dei miei romanzi, ma in fondo
è

meglio così. Che importa se la firma su quelle indecenze non è la mia?

Non sono telegenica, ha detto. Sarà perché non sono più una ragazzina. O

forse per questa terribile voglia rosso fuoco che mi attraversa il volto dal
collo

al a tempia. Passo le sere davanti al a luce azzurra del monitor, a mettere in


fila

le parole e a dare forma al e mie fantasie. Oggi ho scritto di Lara che si


concede
con entusiasmo al suo insegnante di matematica per evitare un’espulsione.
Ho

usato espressioni disgustose come “fessura umida” e “membro turgido”. Mi


sento

sempre sporca, quando descrivo la carne e il sudore.

Scrivo sempre in prima persona, perché Carlo vuole così. Dice che è

più credibile quando Lara appare in TV per le interviste. Quel a puttanel a

diciottenne con la sua voce da gatta in calore spergiura che è tutto vero. E
tutti

si eccitano di più quando leggono le sue porcate. Li ho visti in TV, cosa


credete?

Sono lupi famelici in abiti firmati. Li avete sentiti? – Ma non sei troppo
giovane

per certe cose? – E Lara si limita a fare spal ucce, a sorridere con le sue
labbra

rosse e lucide come caramel e e a guardarli con quegli occhi enormi. Pare
una

risposta soddisfacente, da come si leccano i baffi.

Sento dei passi, ma faccio finta di niente. Trattengo appena il fiato. Una
mano

sul a spal a e un sussurro al ’orecchio: – Non ti sembra di avere lavorato


troppo?

– La voce è calda e umida. Sorrido: – Se lo dice la mia protagonista


preferita,

dev’essere vero.
Sono tre mesi che Lara sta da me, da quando si è presentata in lacrime con i

seni che spuntavano dal a maglietta strappata e profondi graffi sul volto.
Davanti

a un bicchiere di latte mi ha raccontato dei due uomini che l’hanno


riconosciuta

e che volevano farle capire a loro modo quanto apprezzassero i suoi diari.

Continuo a digitare mentre mi bacia sul collo, proprio dove la mia voglia

inizia ad accendersi.

Questa notte non riuscivo a prendere sonno. Mi sono messa a scrivere a


mano

sui fogli che ho trovato nel cassetto del a stampante. Le parole sono esplose
dal a

matita come se fossero state sempre lì, pronte a uscire: raccontano di come
la

fata bianca Larandel, al a guida di un pugno di nani ed elfi, libera


Dolcevalle dai

malvagi uomini–lupo.

Ho voglia di cambiare genere.

32

365 racconti erotici per un anno

maRcO ROssI

28 gennaio

di Marco Negri
– Laura – esclamo mentre innesto il telefono tra spal a e orecchio. – Con chi
sei,

oggi? – continuo ironico.

– Indovina? – dice tutta pimpante. – Te lo passo.

E me lo passa: – Pronto? – balbetta lui. – Sono Marco.

– Lo so. Anch’io.

– Ah. – È tutto quello che riesce a dire, confuso dal a situazione.

Distinguo il rumore di una zip che si abbassa e poi in sottofondo ricompare

la voce di Laura che suggerisce al suo amico di parlarmi. E il tipo esegue.


Prende

fiato e inizia a raccontarmi i cazzi suoi. Come un aspirante attore a un


provino

per beoni: – Ho ventisette anni e abito qui a Torinooo – la o si flette,


deformata da

una forza antica e primitiva. Lui non mol a, però, e riprende cercando di
apparire

rilassato: mi riferisce che lavora come meccanico in un’officina ma sogna


di

aprirne una tutta sua; poi mi aggiorna sui suoi hobby e altro ancora.

Mi sconnetto con la mente. Guardo l’orologio: il Marco del a situazione è a


tre

minuti. Contro ogni pronostico raggiunge i quat ro, e sta per superarli
quando si
ferma, forse indeciso se è o meno il caso di raccontarmi altro del a sua
infanzia;

allora sento Laura che lo incita a proseguire con dei versi soffocati. E me la
immagino

anche, in ginocchio con la testa che va avanti e indietro dal ’inguine del suo
amichetto

momentaneo, mentre fa ruotare la mano a mezz’aria come per dire: “Vai


avanti!”

E quello obbedisce, perché è chiaro che farebbe di tutto pur di non farla

smettere, ma il suo equilibrio biologico cede, e lui si lascia, come dire…


andare.

Laura riprende il telefono e congeda il nuovo Marco con un “Grazie”.

– Quand’è che la finirai? – le chiedo.

– Quando lascerai la troia.

– Ah, lei è la troia? E tu che stai scopando con tutti i Marco Rossi presenti

nel ’elenco telefonico di Torino?

– La mia è una missione e una questione di principio. Ho giurato che l’avrei

fatto e lo sto facendo. Inoltre è più divertente di quel che credi. E tra tutti i
Marco

Rossi per ora sei quello messo peggio.

– Oddio, quest’ultimo non mi sembrava granché.

– Questo era uno sfigato, ma il prossimo del a lista li batterà tutti, credimi.

– Chissà come si chiamerà? – chiedo sarcastico, quasi divertito.


– Marco Rossi…

– Ma dai?

– … senior – prosegue lei, e il fiato scompare dai miei polmoni.

– Lo conosci? È un arzillo sessantenne con la mania per le americanate. Ci

crederesti che quello stronzo di suo figlio l’ha chiamato junior?

365 racconti erotici per un anno

33

TOwTON 16

29 gennaio

di Cecicilia Scerbanenco

Era sicura di conoscerlo. L’uomo era alto e massiccio, i capelli rasati, i


lineamenti

del viso duri. La guancia sinistra era deturpata da una cicatrice livida, larga
quasi

un dito. Non si formalizzò neppure per gli abiti tardo–medievali. D’altra


parte, si

occupava di Medioevo per vivere, no?

L’uomo al ungò una mano e le sfiorò una guancia. Lei rabbrividì. Con un

coraggio che non credeva di avere, giocherel ò con i lacci che gli
chiudevano la

camicia e gli appoggiò la mano sul petto.

Lui ridacchiò, un suono roco ed erotico che vibrò nel torace.


Adesso erano nudi. Lui era accosciato tra le sue gambe. La luce soffusa dei

paralumi disegnava chiaroscuri sui loro corpi.

Lei, che era sempre stata troppo pudica e timida per avere una vita sessuale

degna di questo nome, si sol evò, ipnotizzata dai muscoli del e cosce del
’uomo: le

fasce muscolari si sovrapponevano l’una al ’altra, come gli intagli di una


colonna

preistorica.

Al ungò la mano per toccarli e lui rise di nuovo. Continuò ad accarezzargli


la

pelle spessa e ruvida, maschile. Le fibre muscolari percepibili, il membro


nodoso

che vibrava con un movimento aggraziato.

Poi era su di lei. Il corpo pesante le spalancava le gambe, le gravava


addosso.

Ebbe quasi paura.

Invece lui rivelò un’inaspettata gentilezza. Le tracciò un sentiero di baci


sulle

labbra, il col o, il petto, fino ai seni. Lei guardò, affascinata e un po’


professorale, ma

poi si inarcò, si artigliò a quelle spalle larghe e gridò con tutto il fiato che
aveva.

L’uomo le bloccava le mani sul cuscino e si muoveva in lei. Sentiva il


membro
nodoso accarezzarle la base del clitoride, il pube appoggiarsi, sempre meno

gentilmente, al a vulva. Si inarcò, divisa. Da una parte, la sua carne voleva


soltanto

saziarsi, essere posseduta. D’altra, la sua anima razionale trovava la cosa un


po’

troppo animalesca. Proprio allora lui le liberò le mani e la baciò, nul a di


tenero, una

lingua padrona che mimava la copula. Lei si avvinghiò a lui e si arrese al


padrone.

La svegliò la luce del sole che il uminava la mansarda. Troppo medioevo,

decise.

Si alzò. Sul grande tavolo, il saggio su una fossa comune del a guerra delle
due

rose era aperto al a pagina dedicata allo scheletro numero 16. Il suo volto,
sfigurato

da una cicatrice, era stato ricostruito dagli scienziati forensi: un viso duro,
quasi

rozzo, ma con occhi gentili.

C’era una cosa rossa sul libro. Si avvicinò. La riconobbe: era una rosa gal
ica

officinalis, la rosa dei Lancaster.

34

365 racconti erotici per un anno

Il PROvINO
30 gennaio

di Simone Togneri

La prima volta che lessi del provino risi immaginando una fila di tapini con

chiappe e attributi al ’aria: selezioniamo attori per film hard. Astenersi


perditempo e

normodotati.

La seconda no. La frase che era stata aggiunta sostituì la voglia di ridere
con

un altro tipo di voglia: ti mettiamo al a prova con vere pornostar. A seguire,


un

numero di cel ulare che mi sbrigai a comporre. Rispose un certo Salvatore.


Disse di

presentarmi agli studi in via Pisa 23. Nessuna richiesta di foto esplicite e la
cosa mi

piacque. Non sopportavo l’idea che il mio uccello e il mio viso apparissero
insieme

nel a stessa foto.

Gli studi: una casa privata in mezzo ad altre, immersa in un giardino mal
tenuto.

Mi aspettavo di trovarci il mondo e invece ero da solo. Meglio. Avevo visto


qualche

film hard basato sul concetto del provino: donne dalle gambe chilometriche

mettevano mani e bocca a disposizione dei candidati a due o tre al a volta.


Mi aspettavo che ad aprire fosse una bambolona in stile, invece apparve un
tizio

pallido. – Sì?

– È per il provino… – balbettai.

– Ah. – L’uomo sorrise e mi invitò a entrare. Attraversammo un soggiorno

misero e ci infilammo giù per una rampa di scale. Lo studio era in garage.
Monitor,

telecamere e luci al neon lo facevano somigliare a un bunker. L’uomo si


presentò:

Salvatore, director manager del a Sal Production. Si fece lasciare il mio


telefono e mi

fece firmare la liberatoria per l’utilizzo del video, poi volle vedere l’alato. –
L’annuncio

parlava di pornostar – gli ricordai sfilandomi pantaloni e mutande.

– Certo – rispose. – Farai il provino con Monica.

Monica: un metro e ottanta di pelle bianca e curve da perdere la testa. Si


avvicinò e

mi guardò a lungo negli occhi prima di bendarmi. – Non muoverti – sibilò.


Con un

dito cominciò a toccare e carezzare il mio arnese nel punto più sensibile e
un brivido

salì verso l’alto, facendomi contrarre di piacere.

– Non sei male – commentò.


Le sue mani andavano su e giù lentamente ma inesorabilmente. Senza pietà.
Io

mi sforzavo di non arrivare subito al dunque. – Oh, Monica…

Tolsi la benda poco prima di venire e troppo tardi per fermarmi. Sal si pulì
le

mani con un fazzolettino, compiaciuto. Disse che ero okkey. Io ansimavo e


fissavo

Monica, in piedi dietro la telecamera a fumare una sigaretta.

– Ci rivedremo – disse Sal accompagnandomi al a porta.

E così è stato. Posso rivederlo tutte le volte che voglio su


ilcircolodelleseghepuntoit,

chino davanti a un ragazzo bendato che continua a chiamarlo Monica.

365 racconti erotici per un anno

35

allORa è QUEsTO

31 gennaio

di Silvia

Aveva un non so che di consolante quel movimento incerto, quasi spezzato.

Aveva il sapore del a perdita, l’odore del ’anticipazione, il sentore di un


ritro-

varsi, in quel ’inquietudine di fondo.

Terribilmente conscia, come mai era stata prima, del a mano che si insinua-
va sotto di lei, che dal a nuca discendeva lenta ma ferma, fino al a base del a

spina dorsale, premendola con dolcezza e decisione contro quel corpo


caldo.

Fiera, forte, feroce, sbocciava come un fiore scuro ai margini del buio dietro

le palpebre socchiuse, un colore rosso cupo che andava a increspare il


respiro,

il battito del cuore, il sangue che accelerava e affiorava con violenza in


luoghi

mai pensati prima.

Paura, era quel a l’emozione di base, paura per quelle sensazioni fuori con-

trollo che al a paura stessa si mescolavano, paura per l’aver paura e il non
riu-

scire a rinunciarvi; paura per la perdita e la scoperta, e quel che sarebbe


deriva-

to da quel completo distacco dal mondo che fino ad allora aveva


conosciuto.

Lentamente, goffamente, continuò a seguire quel movimento ignoto che,

però, le sembrava di aver celato sempre, da qualche parte dentro di sé;


seguitò

a delineare e ricreare con le labbra la linea del a sua mandibola, senza


riuscire

a pensare a cosa dover fare, come aveva programmato tante volte in


passato.

Continuando a ritenere consolante quel non perdere e quel non guadagnare


una vecchia e nuova parte di sé tutto d’un colpo, quei sospiri rotti, quel a
voce

così estranea al a sua, che continuava a mormorare parole sconosciute, quel

cozzare involontario e forse troppo irruento delle loro anche.

Nel ’accentuarsi di quel ’oscil azione, nel ’accelerare di quei movimenti,


nel-

la progressiva sincronia di quel gesto inesplorato, sfiorò con le ciglia la


fronte

di lui, e sollevò le palpebre, tremanti, al a ricerca del suo sguardo.

Quel che vide in lui fu conferma ancor più certa dei segni che i baci timidi

e i morsi involontari avrebbero lasciato sui loro corpi, da scoprire in un


river-

bero cupo e languido del ’oblio di quel nuovo inizio, il mattino successivo.

Occhi vibranti, macchie livide e violente su quel viso conosciuto, pozzi

troppo profondi perché non vi si sentisse annegare – una morsa al a gola, in-

candescente, soffocante, e la folle voglia di non uscirne mai più.

Al ora è questo, pensò, la mente annebbiata, i muscoli tesi allo spasimo, e

negli occhi solo quelli di lui, scuri, avvolgenti, al centro di quel fiore rosso
cu-

po. è questo quel che chiamano morire.

36

365 racconti erotici per un anno


al PROssImO mERcOlEDì

1 febbraio

di Valentina D’Amico

Per prima cosa mi fa sedere, poi sdraiare.

– Stai tranquil a, rilassati – mi dice, e io cerco di abbandonare le braccia

lungo la linea dei fianchi.

Si avvicina, si prepara, i suoi gesti sono lenti e precisi. La sua pelle sa di

sandalo e spezie, gli occhi scuri e grandi sono puntati su di me.


Meravigliosi

cinquant’anni, penso di lui.

Adesso è più vicino, contro il braccio sento premere le sue gambe. Il calore

del suo corpo sembra lasciare una cicatrice sul a pelle.

Tutto è bianco attorno a noi. Nel a stanza si sente un sottofondo di musica

brasiliana lenta, calda e morbida: la sento scorrere nel sangue

Lui mi sfiora il viso, appoggia le dita sulle mie labbra. Ho paura. Nel sentire

il contatto con la sua pelle ho un involontario sussulto.

– Fai la brava, stai ferma – mi dice. Ci provo: mi concentro sul suono caldo

del a sua voce, sul suo profumo.

È adesso che arriva la ragazza. Pelle abbronzata, tesa e lucida, labbra


morbi-
de e mobili. Si avvicina a me dal ’altra parte, anche lei è sul mio viso ed è
vicina,

sempre più vicina. Il suo seno è schiacciato contro la mia testa, la sua bocca

vicinissima al mio volto.

– Non ti muovere. – E io non mi muovo, chiudo gli occhi, la mia pelle è

fatta di un milione di terminazioni nervose. Sento il contatto con i loro


corpi,

il calore, i loro movimenti lenti.

La mia mente preme invece l’acceleratore. E allora immagino che quelle

mani, quelle quattro mani che adesso sostano sulle mie labbra e sul mio
viso,

scivolino lentamente lungo il collo e poi sotto la camicia a sentire la pelle.


Le

sento avvolgere e trattenere il seno, per poi scorrere giù impazienti lungo il

ventre fino a conquistare il mio sesso umido. Immagino che mi spoglino,


insie-

me, avide. Desidero labbra che percorrano il mio corpo, lingue che ne
ridise-

gnino i contorni. Voglio sentire il sapore di quel a pelle che profuma


d’oriente

ed essere esplorata da quelle mani setose e abbronzate. Sento il desiderio


tirar-

mi dentro a un vortice sempre più stretto, da togliere il respiro.

È la voce di lui a richiamarmi: – Va bene, abbiamo finito – mi dice. – Mer-


coledì prossimo ci vediamo per l’otturazione.

365 racconti erotici per un anno

37

cUORI a RENDERE

2 febbraio

di Luca Artioli

Diego non disse nul a, si limitò soltanto a emettere un flebile sospiro poco

prima di sentire la lingua del a ragazza farsi spazio tra le sue labbra.

Era la prima volta che faceva l’amore con una sconosciuta. Di lei conosceva

soltanto il suo profumo di pesca e quegli occhi, che apparivano di un colore

lunare, quasi d’amianto.

Si erano incontrati poco prima, giù al ’angolo fra via dei Tigli e vicolo

Sant’Anna, di fronte al distributore automatico di sigarette e preservativi,


sotto

la luce fioca di un lampione.

Era bel a, di una bellezza distruttiva e sconvolgente e lui, in un suicidio di

coraggio, le aveva confidato di non avere alcuna intenzione di passare


un’altra

serata al a ringhiera del balcone, a fumare noiosamente da solo.

Per sedurla era servito poco altro. Soltanto un sorriso e una battuta un po’
maliziosa sul pericolo di premere il pulsante sbagliato del distributore.
Nello

sguardo di lei era scoppiata come una stel a, pareva quasi entusiasta del loro

incontro nato per caso e, di lì a poco aveva accettato di raggiungere il suo


ap-

partamento, senza farsi troppe domande. Pareva sicura di sé, al contrario di

Diego, benché ostentasse sempre una sorta di empatia, nei modi e nei gesti,

che la rendevano aggraziata e comprensiva.

Fu così anche quando, abbracciati sul divano, lei decise di fare sul serio.

Salì su di lui e, districandosi dal a t–shirt, sforbiciò le braccia per tutta la


lun-

ghezza sopra la testa. Lui distolse per un istante lo sguardo. Era come se
quei

seni e quei capelli ondeggianti gli facessero provare la violenza di vedere


qual-

cosa nel a sua pienezza, lasciandolo come perso davanti al a forza del ’atto,

facendogli dimenticare ogni cosa.

Si baciarono con voglia, poi Diego l’afferrò per le cosce, sollevandola con

lo scopo di guadagnare il tappeto. Non c’era nul a di imposto in quel


reciproco

donarsi, avevano soltanto deciso che sarebbe stato il luogo e l’attimo giusto

per farlo.

Gli ultimi vestiti caddero formando un semicerchio ai loro piedi.


Si distesero in una figura armoniosa.

La ragazza inarcò il bacino, accogliendo il ritmo delle prime spinte, strin-

gendo con forza i lombi di Diego ai propri. I movimenti divennero sempre


più

coordinati e non appena lei provò a respirare profondamente per rilassarsi,

avvertì l’interezza del a sua penetrazione. E pianse in silenzio, insieme a lui.

Come fossero la lama e la ferita che sutura, come fossero un’unica anima in

pochi grammi. Due solitudini disciolte negli occhi del a notte.

Fino al piacere del gemito.

38

365 racconti erotici per un anno

la RUgIaDa

3 febbraio

di Elena Kuznecova

Mi svegliai con i primi raggi del ’alba. Lei stava dormendo accanto a me,
com-

pletamente nuda, coi capelli che si perdevano in mezzo al ’erba. Eravamo


sdra-

iati sui nostri vestiti sotto un albero adiacente al prato. Dopo qualche
momen-

to di esitazione le immagini del a notte passata e il desiderio di lei mi


invasero
la mente e il corpo.

Alzai la mano e l’avvicinai a lei per poterla svegliare, ma mi fermai a un


cen-

timetro dal suo viso, che mostrava un’espressione beata e per questo ancora
più

eccitante. Decisi di osservarla in quel momento così intimo e


completamente

disarmante. Era sdraiata sul a schiena a braccia scoperte, con la testa legger-

mente girata verso di me. Faceva un po’ fresco, i capezzoli divennero


raccolti e

piccoli come due chicchi d’uva passa e il suo ventre si raggricciò di pelle
d’oca.

Scendendo sotto l’ombelico trovai una piccola ombra triangolare. Il sole


fece

un ulteriore passo dal ’orizzonte, il uminando il suo corpo così appetitoso e


le

poche gocce di rugiada sul ’erba, dando un’aurea romantica e surreale a


quel

momento.

Non potendo più sopportare la pressione del desiderio, che ormai aveva

riempito tutto il mio corpo, usai la stessa mano con la quale volevo
svegliarla,

per liberarmi. Chiusi gli occhi nel momento del piacere, cercando di farlo
du-
rare il più a lungo possibile, di fotografarlo per immortalarlo per sempre nel
a

mia mente…

Dopo qualche secondo riaprii gli occhi e vidi subito il suo sorriso.

Chissà da quando tempo mi stava osservando.

Pensai che sarei stato travolto dal a sensazione di vergogna per averlo fatto

davanti a lei ma, sorprendentemente, ebbi un effetto contrario. Lei aveva


capi-

to tutto e si strinse a me, aderendo con il suo corpo. Fresca com’èra


sembrava

quasi che volesse rubarmi tutto il calore.

Pensai che non poteva esserci modo migliore per scaldarla…

365 racconti erotici per un anno

39

sENZa PROTEZIONE

4 febbraio

di Ornel a Prina

Anna terminò la telefonata mentre le prime lacrime iniziavano a rigarle il

viso.– Sì, certo, capisco… no, sto bene, grazie, buonasera.

Si sedette sul divano e iniziò a piangere. L’investigatore privato, che

aveva incaricato di seguire suo marito, le aveva appena confermato che


ogni
mercoledì lui andava a puttane. Il calcetto con gli amici era una scusa, come

lei sospettava da tempo. Si sentiva svuotata di ogni energia, impotente,


tradita.

Solo i singhiozzi muovevano il suo corpo.

Il pendolo del a sala suonò le sette di sera; Anna cerco di calmarsi e si

domandò se avesse delle colpe. Tra lei e Giorgio non c’era mai stato sesso

bollente, i loro amplessi del venerdì sera erano brevi, monotoni, non
riusciva

mai a concentrarsi in una fantasia erotica che riuscisse a eccitarla. Molto


meglio

quando da sola, toccandosi, si immaginava di essere legata, nuda, davanti a


dei

giovani soldati che non vedevano una donna da mesi.

Si asciugò le lacrime. – Brutto maiale – disse ad alta voce. – Te la faccio

vedere io, questa volta.

Entrò in camera da letto, si vide riflessa nel grande specchio del ’armadio;

iniziò a spogliarsi, indugiando nel gesto, guardandosi come non si era mai

vista, osservandosi e immaginando come potesse vederla un uomo. I seni

maturi, ampi, materni, avevano conservato una loro bellezza; trovò i fianchi

rotondi molto sensuali.

– Cosa provano le puttane quando un uomo le paga? – Chiuse gli occhi

e cominciò a immaginare di essere sul a strada con quei vestiti che non
difendono da nul a, senza mutande, con un crampo allo stomaco ogni volta

che una macchina rallentava; sentì il desiderio animale del maschio senza

nessuna finzione di amore, il fiato corto addosso insieme al peso del corpo
che

la schiacciava. – Cosa proverà lui a infilarsi in un buco lercio dove sono


passati

tutti? E lei, godrà sentendo il potere di quello che ha tra le gambe, o subirà

l’umiliazione di dover accogliere dentro di sé quel doloroso sfregamento?

Si riscosse, aprì l’armadio e prese un vecchio abito molto aderente;


l’indossò

senza biancheria intima né calze, infilò gli stivali coi tacchi alti e si truccò

pesantemente. Si rimirò al o specchio, soddisfatta: sembrava un’altra. Prese


la

borsetta e uscì.

Alle otto di sera il marito, non trovandola al suo rientro, iniziò a telefonare

ad amici e conoscenti. Uscì anche a cercarla, senza sapere bene dove. La


mattina

dopo ne denunciò la scomparsa; di Anna nessuno seppe più nul a.

40

365 racconti erotici per un anno

haREm

5 febbraio
di Oriana Ramunno

– Ricordati di me, domani notte…

Aliya la cinse da dietro e le sussurrò queste parole nel ’orecchio. Parole che

avevano l’amaro sapore del ’addio. Maisa sentì un senso di dolore e


dolcezza

insieme attanagliarle lo stomaco. Chiuse gli occhi e tremò. L’odore degli


incensi

del ’hammam la stordì, le guance avvamparono.

– Non voglio andare via… – disse a bassa voce.

Aliya sorrise. Le sciolse i capelli, neri d’ebano, e le fece scivolare un dito

sul a schiena ambrata.

– Tu andrai. Domani sarai sposa del tuo uomo.

– Ma io non voglio… – Maisa si coprì il volto con le mani.

Aliya la fece voltare delicatamente. Le fece scostare i palmi dalle gote

e si avvicinò, per asciugare con le labbra le lacrime di perla. Maisa la cercò.

Cercò la sua bocca, e quando l’ebbe trovata la baciò, la divorò con un senso
di

disperazione che mai aveva provato.

Aliya le sfilò le vesti, lasciando nudo il suo corpo di bambina che stava

per diventare donna. La pelle tremava al a luce delle candele. La vezzeggiò,

facendo scivolare l’olio caldo sul corpo. L’odore di mirra e incensi stordì
ancora
la fanciul a, mentre la mano di Aliya le massaggiava i seni turgidi.

Maisa tremò nel a penombra. Sentì la mano di Aliya scendere lungo il

ventre. Il ventre che l’indomani avrebbe accolto il seme di un uomo che non

conosceva. Alyia fece scorrere le dita verso il suo pube e schiuse quel frutto

misterioso, quel santuario a cui solo lei avrebbe voluto accedere. Maisa
sentì

le sue carezze ardenti farsi varco tra le cosce, con movimenti lenti e
profondi,

ritmati dal suo respiro. L’aveva amata fin da piccola. Erano cresciute
insieme

nel gineceo, confidandosi sogni e paure, nelle calde serate nel giardino,
vicino

al a fontana. Il cielo, visto dal gineceo, era un rettangolo azzurro racchiuso

dalle mura. Ma oltre quelle mura, doveva essere immenso.

Il respiro di Maisa si fece affannato. Le labbra di Aliya le divoravano il


collo

e il viso. La sua mano le scivolava sul sesso, accogliendo gli umidi umori. I
seni

gonfi premevano contro i suoi.

Maisa sentì le belle dita di Aliya scivolarle dentro, per portarla fin sul ’orlo

del piacere, e poi condurla prepotentemente in esso fino a farla esplodere di

gioia e dolore, di pianto e di riso. Un forte brivido le percorse la schiena e


una
lacrima le scivolò sul a guancia.

– Ricordati di me, domani notte… – sussurrò Aliya, stringendola a sé.

– Ti ricorderò ogni notte – rispose Maisa.

E furono parole che ebbero l’amaro sapore del ’addio.

365 racconti erotici per un anno

41

gIUlIa

6 febbraio

di Luigi De Pascalis

Il treno vago, evasivo, dimentico, sonnecchiava nel a notte avanzando a

piccole tappe verso Milano. Dal buio di una stazione sconosciuta sbucò
Giulia,

cappotto nero con il bavero rialzato, sciarpa blu, occhi innocenti e ambigui.

Mi chiamo Lorenzo...

Io Giulia…

Parole dette o non dette? Chi lo sa, adesso.

Lo scompartimento era vuoto, il suo corpo una calamita. Impossibile non

accostare la bocca al a sua. La lingua s’avventurò da sola fra denti lisci e


uguali

e s’irrigidì come un pene in fondo al a sua gola. Non ne fu sorpresa, anzi il


re spiro le si fece affannoso. L’abbracciai. Il seno sotto il cappotto era sodo.
La

mano s’azzardò fra cosce asciutte e snelle. Appena fu sul sesso, lei ebbe un

sobbalzo leggero ma non si ritrasse né smise di baciarmi. Le mutandine


erano

tiepide e umide. La feci alzare e la trascinai in corridoio, verso il bagno


vuoto.

Quando capì, puntò i piedi. Ma voleva che ce la portassi senza permetterle

di opporsi. Lo capivo da come mi stringeva la mano, da com’era debole la


sua

resistenza. Entrammo e feci scattare l’ occupato. Poi mi accoccolai dinanzi


a lei,

le sollevai la gonna, abbassai le mutandine e cominciai a carezzarle il


clitoride

con la punta del naso: mi piaceva il profumo del suo piccolo cuore segreto,

così liscio, setoso e tenero. E mi piacevano i suoi sospiri rauchi a ogni tocco
di

lingua. Erano tutte promesse. Tutte dolcezze a credito.

Venne con un grido di uccello, le braccia abbandonate lungo i fianchi, una

perla liquida su un ciuffetto di peli.

– Girati, adesso!

– No...

Le schiacciai i polsi contro la parete. – Allora ti lego.


Chinò il capo e i capel i le nascosero il viso. Poi cominciò a divincolarsi
come se

fosse stata davvero legata, la schiena un ar co teso verso il mio ventre. Si


schiuse con

un sospiro. Poi mi si abbandonò addosso, la nuca sul ’incavo del collo.

– Povera Giulia, in che situazione ti trovi – le sussurrai al ’orecchio, fermo

dentro di lei. – Ma non puoi farci niente, sai? Ti ho legata troppo bene.

Abbandonati, tanto sei quel a di sempre. La colpa è mia, solo mia.

Cominciai a muovermi prima piano, poi forte. E lei sussultò, pianse,

si divincolò. Ma quando venne di nuovo lo fece in silenzio, con un sorriso

appagato. Perso in lei, l’abbracciai. Oh Giulia, Giulia! Qualcuno, nel a


notte, urlò

un nome di città. Mi strappò via dal suo corpo con un misto d’ira smarrita.

– Lasciami, scendo qui!

Rimasi solo. Gli occhi bruciavano per lei.

42

365 racconti erotici per un anno

sE la PIaZZa va IN calORE

7 febbraio

di Trap

La sua immagine mi deflagra negli occhi come una rivoluzione d’ottobre.


Lei è
nuda, senza un velo di umidità a celarne la sensualità strafottente.

È di una bellezza devastante, che a renderla fruibile a menti umane non

basterebbe la tastiera tutta di un Moccia. Con la conturbante flessuosità del

peccato originale, incede verso di me. Una bel a donna non cammina,
incede.

Sempre. Fluttua sul pavimento di piazza Navona – e la piazza al


’ancheggiare

dei suoi fianchi sussulta come il ventre di un maschio percorso dalle prime

onde di piacere.

La Luna, tramortita dal a sua al upante carica erotica, impallidisce a poco

più di una lampada da cento candele: niente più di un glabro friccico de


luna. È

così turbata da quel a visione peccaminosa che si distrae, incespica, finisce


con

l’intruppare nel Cupolone. Per la prima volta dopo milioni d’anni, i suoi
Mari

tornano a bagnarsi.

Sorpreso dal ’armoniosa cavalcata delle mammelle di quel a femmina

lussureggiante (colli che non sfigurerebbero fra Palatino e Aventino), il mio

sguardo succhia i suoi capezzoli: hanno la fragorosa consistenza di un


Brunello

di buona annata. Le sue bocce hanno un tale impatto sul ’aria circostante

che ci lasciano il calco. Sono vinto da questa atmosfera ammaliatrice, dal a


sensualità ribollente che sbrodola da tutta la piazza: la fontana del Bernini

al tintinnio delle sue chiappe zittisce i getti d’acqua; le statue di marmo,


folli

d’ebbrezza, si gettano ululando sulle turiste più procaci, combattute al a


vista

di quei marmorei turgori; l’obelisco, prima s’inchina come Cesare di fronte


a

Cleopatra, poi si rizza con tale veemenza erettile che le sue fibre granitiche

rischiano un effetto big bang; i sanpietrini bal ano una samba sfrenata,
mentre

i cavalli delle carrozzelle si sfrenano in lascive lambade. La facciata del a


Chiesa

di Sant’Agnese in Agone si tinge di porpora, non sai se per virgineo pudore


o

sanguigna costipazione.

Avverto un prurito sotto il mento, una lieve ma crescente pressione. Mi

sorprende constatare che la mia erezione sta tentando di doppiare la


mandibola.

La donna–Brunello già tinge le mie cornee di granato vivace. Vorrei


inebriarmi

di quel nettare degli...

“Buongiorno agli ascoltatori di ‘Stampa e regime’, la rassegna stampa di

Radio Radicale.”

La voce rocamente flautata di Massimo Bordin mi riporta al a mia realtà


da Tavernello. La radiosveglia mi comunica glaciale che era solo un sogno

erotico.

Nemmeno coronato da uno spumeggiante cin–cin.

365 racconti erotici per un anno

43

NINPhOmaTIc hORROROTIc

8 febbraio

di Domenico Nigro

Non senti la pioggia battente che fuori percuote sferzante l’asfalto, le tue

palpebre in tinta viola shocking abbassate su occhi azzurri elettrici ora


spenti

in attesa. Stand by come calma prima di una tempesta neurale ormonale,


una

tigre assopita nel a sua gabbia dorata riposi mentre il tuo cervello di plasma
e

silicone è surriscaldato da interminabili download, aggiornamenti in tempo

reale dei tuoi raffinatissimi software di supplizio ed estasi erotica.

Sei la regina del sesso deviato ultratecnologico, dominatrice del ’arte porno

neogotica morfodigitale, regista e primadonna di efferatezze snuff ad alta

definizione.

Impulsi bluetooth ti svegliano in un microsecondo e tu sei pronta ad agire,


tu avvolta nel latex nero, tu gambe scoperte fino al ’inguine, tu tacchi a
spillo

minacciosi, tu seni voluminosi e perfetti e silicone puro ricoperto da calda

similpelle umana, tu bocca dal a lingua sinuosa serpiforme, bocca


conformata

esclusivamente per il cazzo, labbra vermiglie ricoperte da vernice non


scalfibile

che sa di ciliegia amara.

E culo perfetto armonico cosmico e sodo e lussurioso tu ancheggi lenta

e decisa su gambe perfette dallo scheletro adamantino sculetti satanica

tentatrice, tu mantide che dopo il coito uccidi il maschio e lo fai a pezzi per

suo volere condizionato dal ’ipnosi elettronica del a musica trance che
emetti,

ultrasuoni folli che solo il tuo maschio vittima può percepire e tu riprendi

tutto, l’estasi, l’agonia, l’attimo del ’orgasmo e quello del a morte, i tuoi
occhi

azzurri videocamere precisissime, il potente editor instal ato nel a tua


amigdala

artificiale che rielabora e trasmette bluetooth e la visione in tempo reale di

quel a atroce neogotica morte è lo spettacolo che offri a pochi eletti molto
ben

paganti.

Sei sublime nel a scena finale dove ti lecchi gli artigli retrattili di
affilatissimo
acciaio, lecchi tutto il sangue e lasciva sciogli l’abbraccio delle tue gambe

constrictor dal torace schiacciato non più simmetrico del a tua vittima
amante

del tempo di un video in diretta via cavo.

E sublime svanisci in dissolvenza, quando le palpebre viola shocking si

abbassano e tu torni tigre a riposare nel a gabbia dorata e vaporizzatori


atomici

dissolvono il maschio vittima sacrificale mediatica per pochi eletti ben


paganti,

e potenti idropulitrici fuoriescono dalle pareti e sterilizzano tutto. E la voce


nel

tuo cervello/micro HD che scandisce lasciva: – Ninphomatic Horrorotic


Mod.

667A: disconnessione in corso...

44

365 racconti erotici per un anno

Il fOTOgRafO DI maX

9 febbraio

di Marilù Oliva

– Vivi solo?

– No, con altri ragazzi. Ora loro sono via. Entra pure.

Appoggiò la macchina fotografica sul tavolo e invitò la ragazza a togliersi il


pellicciotto finto. L’aveva conquistata proprio con quel a, una Reflex di
ultima

generazione. L’aveva adocchiata tre ore prima in mezzo al a calca del a


discoteca

e l’aveva subito inquadrata come una caramellina da scartare: vestitino


aderente

color argento, scarpe coi tacchi. Le aveva raccontato di essere un fotografo

di moda e l’aveva invitata nel suo appartamento per un servizio che sarebbe

finito su Max. Lei ci era cascata, complici le quattro Ceres che si era scolata

spensierata. Fece per sedersi, ma lui le prese la mano e la condusse lungo


un

corridoio buio.

– Ma... dove andiamo?

– Non ti preoccupare, vieni...

Le sembrò di sentire delle voci maschili dietro una porta chiusa ma la birra

non la rendeva sicura delle percezioni, quindi si fece trascinare in fondo al

corridoio, nel ’ultima stanza. Lui lasciò la porta aperta, accese una lampada,
la

puntò sul letto e glielo indicò.

– Ma... vuoi farle qui le foto?

– Certo, lo sfondo delle lenzuola rosse è perfetto. Spogliati.

Lei esitò, lui le si accostò: – Vuoi che ti aiuti? Sei imbarazzata? Io col mio
lavoro, sai quante ne ho viste di ragazze nude... – Non aspettò una risposta,

afferrò il vestitino al ’altezza delle cosce e glielo sfilò. Un profumo di cocco

invase la stanza. La caramellina che lui stava pregustando da qualche ora


era

appena stata scartata. Aveva i seni gonfi e turgidi, cercò di coprirseli con le

braccia. Ma lui gliele aprì, la appoggiò al bordo del letto e cominciò a farle

scendere le mutandine, guardando con smania il triangolo nero e folto che


era

appena stato scoperto. Lei non protestò e si consolò pensando che i nudi
sono

pur sempre una forma d’arte.


– Ora troviamo una bel a posa... – disse lui divaricandole le gambe – ... stai

ferma così... anzi, aspetta... chiudi gli occhi. – Lei obbedì e cominciò a
capire

cosa lui voleva quando riaprì gli occhi e lo trovò coi pantaloni abbassati.
Esitò

un istante quindi pensò che forse anche a lei piaceva quel a situazione, nuda

e offerta al letto di uno sconosciuto. Poi ne valeva la pena, in palio c’era il

servizio su Max. Si abbandonò docile, dimenticandosi il pudore e il


vestitino

d’argento sgualcito a terra. Non appena lui le fu dentro, alzò gli occhi al a
porta

e sentì qualcuno nascosto che parlava sottovoce: – Ragazzi, avete visto


come

rimorchia, da quando gli hanno regalato quel a macchina fotografica?

365 racconti erotici per un anno

45

EscORT la bElla

10 febbraio

di Patrizia Debicke van der Noot

Yukon, martel ando implacabilmente il corridoio del ’astronave con gli

stivali rinforzati, piombò nel a cabina e, liberatosi degli abiti luridi, li ficcò

nel ’inceneritore.
Prima di andare sotto la doccia, ripassò mentalmente gli avvenimenti degli

ultimi giorni: la fretta del ’ufficiale Zatox nel ’eliminare la guarnigione su


Faro è

stato un errore. Maledetta presunzione di rettile che ci ha posti davanti al


segreto

del trasmettitore.

I dati del messaggio video automatico, catturati prima che il blocco

protettivo cancel asse la registrazione, indicavano un nome: Pan Ser. Chi


era? E

una parola: indagine. Cos’è trapelato? C’era il destinatario, il Dom Lord


O’Leary.

Un colpo di fortuna e, senza perdere tempo, infiltrando le sue trasmissioni,

aveva sentito abbastanza. Il Dom aveva chiamato il vice maresciallo del a

flotta terrestre, Hanro Voet. Gli aveva detto: – I sospetti sembrano


confermati.

Dobbiamo vederci! – Sapeva del a progettata invasione?

Bisognava appurarlo e... Aveva tentato e l’esca aveva funzionato. Il falso

messaggio, firmato Pan Ser, l’aveva condotto al ’appuntamento. Le raffiche


degli

Zatox scelti al suo fianco avevano eliminato i robot di scorta. Ma Lord O’


Leary

aveva colpito quattro dei suoi e, mentre la morte li ritrasformava in rettili,


per
non farsi catturare vivo si era puntato il fulminatore al a testa. Sangue e
cervello

erano schizzati fino a Yukon.

Non ti servirà più. Ma Voet? Veniva da O’Leary. Sta per arrivare. Niente

errori, stavolta.

Entrò sotto la doccia, lasciando che gli ultrasuoni gli purificassero il corpo,

poi attraversò nudo la cabina e, sdraiandosi sul ’enorme letto ovale,


s’ingiunse:

devi convincerlo, portarlo dal a nostra parte. Come? si chiese.

Escort la bel a, nel a sua orgogliosa forma Zatox di lucente rettile nero e

oro, ne approfittò per avvicinarsi. Strisciando sinuosamente si arrampicò, lo

raggiunse sul a coperta di seta e, tentatrice, accarezzandogli il pube con le

sue spire, modulò un sibilo seducente che invitava al piacere. La sua


continua

metamorfosi da donna a serpente riusciva a eccitarlo sempre, ma stavolta si

sforzò di ignorarla, ingiungendo: – No, Escort! Dopo!

Lei si ritrasse irata, acciambel andosi, ma reagì e, drizzando la piccola testa

triangolare, gli invase la mente, lanciando l’immagine intensa,


tridimensionale,

del torrido amplesso che pregustava. Il membro del generale umano degli
Zatox

reagì, inturgidendosi. Escort fece per scivolare via, ma Yukon la trattenne: –


Resta! Devo riflettere.

46

365 racconti erotici per un anno

ROsaRIO DI caRNE

11 febbraio

di Ombra83

Rossetto sul a pel e, rossetto sul petto, rossetto sul ’addome.

Rossetto.

è l’unico colore acceso in quest’oscurità di gemiti e piacere.

Un corpetto nero ti avvolge il ventre, i seni scoperti incontrano labbra


ingorde,

le tue mani coprono i miei occhi.

è la vergogna che comanda i tuoi gesti, è la passione che assolve i tuoi


peccati.

Io sono il tuo rosario di carne, dondolo come durante una preghiera. E


prego per

averti, per sentirti venire, per sprofondare tra le tue cosce rosee, per
incontrare di

nuovo l’origine del a vita.

Stringo forte queste natiche, le dita sono schiave del ’ossessione. Ti ho

desiderato per giorni, cercandoti per vie senza nome, incontrando altre
puttane
che potessero assomigliare a quel corpo senza imperfezioni.

Non hai difetti. Tu che succhi gustandoti ogni centimetro del a mia pel e,
che

lecchi ingorda il mio seme, pur sapendo che dovrà morire.

Non smettere, ti prego, divorami ancora, sei la mia Venere e io il tuo

sacrificio.

Qui il sogno s’interrompe e rimango io, seduto con gli occhi chiusi, su una

sedia sporca di me.

Le mani mi stringono il pene, penso ancora per un attimo che tu sia lì a

leccarlo e a nutrirti di me come fai con altri sudici uomini, che succhiano le

tue labbra vermiglie, entrando nel piccolo antro del a loro perversione. Un

continuo su e giù senza interruzioni, un dondolio frenetico, un balletto


senza

pubblico. Soli in quel a stanza a godere e tingervi di voi, a mormorarvi


oscenità

alle orecchie, a prolungare il piacere inebriandovi del vostro odore.


Vorranno

donarti il loro ardore e tu lo berrai come a una fonte, senza pudore.

La luce si spegne, qualcun altro attende il tuo corpo, sordo a ogni mio

lamento.

365 racconti erotici per un anno

47
la sTRaTEgIa DEll’IsTRIcE

12 febbraio

di Enrico Luceri

L’uomo al ungò un braccio e afferrò la spal a del a giovane donna sdraiata


accanto

a lui. Scalciò via il lenzuolo e socchiuse gli occhi, fissando il corpo nudo
del a

ragazza. Lei si lasciò scivolare fra le gambe del ’uomo e gli accarezzò la
peluria

bianca del ventre. Bastò quel contatto per procurargli una modesta erezione.
La

donna guardò soddisfatta il volto gonfio e pallido del ’uomo di mezza età
che si

mordeva un labbro per reprimere un desiderio divenuto insopportabile.

– Adesso ti prendo – gorgogliò.

– Non sono ancora pronta – sussurrò lei, dopo avergli mordicchiato un lobo

del ’orecchio.

– Cazzo, non ce la faccio più. – L’uomo sputò le parole con violenza. –

Proviamo così.

Si alzò e subito ricadde pesantemente sul a donna. Cominciò a succhiarle i

capezzoli, strappandole un gemito soffocato, poi si abbassò fra le sue


gambe e
infilò una lingua secca e rasposa nel a fica morbida e umida. La leccò a
lungo e

quando finalmente si sollevò a fissarla lei respirava affannosamente ma non


era

ancora pronta. Lui stava per bestemmiare quando la donna bisbigliò: –


Dimmi

qualcosa che mi ecciti.

Lui la guardò sconcertato. La donna lo attirò a sé e gli soffiò in un orecchio:

– Racconta come hai fatto a diventare il più potente boss del a zona.
Sbrigati,

anch’io voglio godere quando mi scopi.

L’uomo socchiuse gli occhi e le raccontò senza alcuna emozione di come

tanti anni prima era diventato il capo indiscusso del a banda. Spiegò come
aveva

ammazzato il vecchio boss e i suoi familiari, per prevenire le inevitabili


vendette.

Solo un bimbo scampò a quel massacro: aveva pochi mesi e qualcuno lo


mise

in salvo. La donna sospirò, al argò le gambe e lui la penetrò furiosamente,


poi

giacque supino, stremato.

Lei afferrò il laccio che aveva posato sul comodino e legò le mani del
’uomo

al a testata del letto, poi sfilò un fazzoletto che sembrava spuntato dal nul a,
come il trucco di un prestigiatore, e lo imbavagliò. Lui la fissava con gli
occhietti

iniettati di sangue, divincolandosi.

– L’istrice è un animale vegetariano e solitario – disse la donna, – ma se


viene

aggredito si difende con le armi che la natura gli ha messo a disposizione.


Aculei.

Come questo. – Con una risatina che agghiacciò l’uomo, gli fece dondolare

davanti al viso uno spillone. – Adesso ti farò vedere come l’istrice ammazza
una

carogna – sibilò.

Prima di affondare lo spillone in un occhio dell’uomo aggiunse: – Sai, quel

bimbo che non sei riuscito a far massacrare era una femminuccia.

48

365 racconti erotici per un anno

TI amO ma hO scElTO l’OscURITà

13 febbraio

di Emiliano Maramonte

Un bacio gelido lo sveglia.

Poi qualcosa di morbido e umido gli percorre il petto, giù fino al pene.

Brividi pungenti lacerano il torpore del sonno.

Arriva il piacere.
Mani vogliose lo esplorano, ma il tocco è disperato, dispostico. Unghie

come artigli gli graffiano la pelle. La lingua di lei è avida e assapora ogni
ruga,

ogni rilievo, quasi a voler scovare un punto adatto a un morso.

Lei non è mai stata così accesa.

Negli ultimi giorni, piuttosto ombrosa. Cupa, assente. Forse troppo.

Lui solleva la testa e strizza le palpebre. Scorge una sagoma oscura dietro di

lei, in fondo al a stanza. Cos’è?

Due pupille rosse lo osservano.

Intanto sente schioccare le labbra sul glande e freme al ciclico lavorio delle

dita, e sussulta quando le unghie accarezzano e poi pungono i testicoli. Un

gesto amorevole e prepotente.

Dolore. Piacere. Paura. Desiderio.

Infine lo cavalca, lo accoglie in sé con veemenza, come se dal ’amplesso

dipendesse la sua vita. Come se fosse l’ultimo.

Pochi minuti, e lui è già esploso. Stordito dal ’estasi, non capisce: perché

tutto questo?

Un’assurda verità lo atterrisce.

L’ultimo bacio.

Un addio.

– Ti amo – gli sussurra lei.


La presenza in fondo al a stanza si dilata e la offusca.

La avvolge e la consuma.

Scompare.

Ha scelto l’oscurità.

365 racconti erotici per un anno

49

caRNEvalE a sORPREsa

14 febbraio

dI Virgilio Tuzzi

– Miniver, quello sarebbe il modo di vestirsi? Impara da Helora.

Miniver ricordò l’odiosa voce del a governante mentre chiudeva la lampo


del ve-

stito, in stile anni venti, di sua sorel a.

– Ahi! – trillò lei quando la pizzicò. – Fai at enzione, ho la pelle delicata.

Miniver sbuffò. Helora adorava vedere gli uomini fare a gara per un suo sì.

– E tu? Non festeggi il carnevale? – le chiese la sorel a con una punta di cat
iveria.

– Non m’interessa quel tipo d’at enzione – al use seccamente Miniver.

Il citofono squillò.

– Sarà Jerry. Ciao! – squit ì Helora infilando la porta.

Miniver sorrise sorniona. Finalmente pensò.


Entrò in camera e, dal ’armadio, prese un impeccabile smoking. Raccolse i
capelli

in una corta coda, indossò abito e maschera e, in uno svolazzo di mantello,


uscì.

Helora era at orniata da tre corteggiatori; l’abito bril ava e ben si adat ava al
’ac-

conciatura a caschetto. Con il flute nel a destra e una sigaretta nel a sinistra,
si diver-

tiva nel ’arte di favorire ora l’uno ora l’altro. L’alcool fece il suo effetto. La
musica e le

danze divennero solo un preambolo a promesse di contat i corporei più


intimi.

Poi notò un elegante uomo in smoking, dal fisico esile, per la verità, che la
fissava

dietro una misteriosa maschera. Quel ’aria così nostalgica la conquistò.


Mise il bic-

chiere nelle mani del primo venuto e, tra lo stupore dei suoi corteggiatori, si
avviò

verso lo sconosciuto ancheggiando. L’uomo portò l’indice al a bocca


bloccando ogni

sua parola, le tolse la sigaretta e, cingendole la vita, la condusse nel a danza.


Helora si

lasciò portare, anzi cercò un contat o diretto con i fianchi, ma lui la evitò.

La coppia ondeggiò per la sala, come se fosse unica, infine l’uomo la spinse
in
un angolo appartato. Helora, estremamente eccitata dal a situazione, inclinò
la testa

offrendo le labbra dischiuse. Lui la baciò con dolcezza e passione.

La spallina del vestito di lei cadde, scoprendo un seno dal capezzolo


turgido.

L’uomo l’accolse tra le labbra, solleticandolo con la lingua. Helora mugolò


e lo tirò

a sé, per baciarlo di nuovo. Lo sconosciuto le infilò la mano sot o la gonna,


la fece

scorrere lungo il reggicalze, fin dentro le mutandine. Con abile tocco fece
mugolare

di nuovo Helora, che tentò blandamente di divincolarsi. La mano si mosse


sempre

più insistente, frugando in profondità, finché Helora sussultò e al argò le


gambe, ar-

rendendosi al piacere.

Quando tut o fu finito, lo sconosciuto si allontanò senza dire una parola,


senza

lanciarle neppure un ultimo sguardo.

Helora sorrise. – Grazie, Miniver – esalò con un sospiro.

50

365 racconti erotici per un anno

Il cOllaRE

15 febbraio
di Data

Puntuali, ieri sono arrivati gli ordini. Ho indossato ciò che hai chiesto e
sono

qui; osservo la fol a, cercando il tuo volto ancora sconosciuto. Sono nuda
sotto

la gonna e sento il freddo che si insinua tra le gambe. Il mio cuore corre, più

veloce del respiro, ma più lento del desiderio che mi inonda. Sono bagnata,

eccitata e infreddolita. Compari e io abbasso lo sguardo.

So che sei tu, lo capisco da come mi guardi. Ti avvicini e combatto la

voglia di incrociare i tuoi occhi, eseguendo rigidamente il tuo ordine finché

mi autorizzi. Saliamo in auto e, lungo il tragitto, parli tranquil amente, come

se nul a stesse per accadere. La tua mano scivola sotto la gonna e mi sfiora.

Sobbalzo ma al argo le gambe perché tu possa toccare dove e quando vuoi.


Non

riesco a parlare, a pensare, l’intero mio essere è concentrato sul a tua mano
che

sta entrando in me. Non ero ancora pronta, non me lo aspettavo.

Prendo le chiavi del a stanza e apro la porta. Non entro, so di dover eseguire

un ulteriore ordine: lego i capelli affinché il collo sia nudo per il col are che
mi

donerai. Oltrepasso la soglia sapendo che ciò che sta per succedere mi
cambierà

completamente. So quello che devo fare, me lo avevi anticipato per mail.


Con calma e lentezza mi spoglio davanti a te, ordinando i vestiti in

modo da darmi ancora un po’ di tempo... Sono di fronte a te. Vorrei

coprirmi, mi vergogno, ma non lo faccio. Mi osservi attentamente e sento di

nuovo quel fiume caldo che mi dà al a testa. So cosa sta per succedere e lo

attendo con ansia. Il col are sul collo, che mi stringe la gola, mi rende tua.

Rimango immobile mentre mi leghi le mani dietro la schiena, bloccandomi.

La benda per ultima. Sono nuda, a parte il col are, la benda e le manette.

E sono eccitata, un fiume in piena, ma ho anche paura e temo di

sembrarti impacciata, non so niente di tutto questo e del sesso in generale.

Le tue mani mi toccano, delicatamente a volte, con crudeltà altre.

Entri in me, in fica e culo, e io mi contorco, gemo, mi mordo il labbro.

Prendi la frusta e mi accarezzi con essa e io... oh, io vorrei morire lì, in

quel ’istante.

La prima staffilata è inaspettata e mi lascio scappare un gemito di dolore.

Brucia. Trattengo il respiro e arriva la seconda, poi la terza. Il tempo dei


colpi

è diverso perché tu non vuoi che mi abitui.

Sono sempre più eccitata, i capezzoli turgidi ne sono la prova, la mia fica

bagnata lo dimostra. E tu mi prendi, come si prende una cagna,


riempiendomi

di te.
365 racconti erotici per un anno

51

ROssO

16 febbraio

di Barbara Baraldi

Il viale al tramonto. Foglie secche e alberi scarni. Il cielo rosso mi scivola


addosso

fino a macchiarmi la pel e. Indelebile. Cammino e guardo in basso.


Ripercorro la

via a ritroso per trovare quello che ho perso. La mia sciarpa rossa. Il mio
amuleto.

Quando la indosso mi sento bene. Da solo questo oggetto mi trasforma.

Sono agitata, dentro di me un fiume in piena di sensazioni che non riesco a

decifrare. Disattenta, inciampo e cado a terra. Mi accorgo che sotto la gonna


c’è

un taglio. Un taglio come un apostrofo rosso. Sul a carne. Il sangue è


fresco. Ci

immergo il dito e succhio il nettare vitale che fuoriesce dal a mia anima.
Sono

scossa e non so perché.

Mi alzo e ricomincio a camminare, persa nei pensieri. Più veloce. Devo

ritrovare la sciarpa rossa e troverò un capo al a matassa intricata che si agita

dentro di me.
Sbatto contro un ragazzo.

Occhi azzurri di ghiaccio. Gli stessi occhi di Marco, il mio fidanzato.

Un attimo. Una scossa. Dentro i suoi occhi ritrovo i ricordi. Dentro i suoi

occhi vedo le tracce perdute del a sciarpa rossa. Marco questa mattina mi
voleva

lasciare. Gli occhi impassibili. Nessuna pietà per il mio amore ferito.

– Facciamo l’amore per l’ultima volta – ho detto.

È bastato sussurrare queste parole. Ho cominciato a spogliarmi lentamente.

Prima la camicetta, bottone dopo bottone, poi la gonna e le mutandine.


Sono

rimasta vestita soltanto del a mia sciarpa rossa e di un sorriso umido. Ha

cominciato a baciarmi il collo e a toccarmi avidamente.

– L’ultima volta – ripeteva.

– Lascia fare a me – ho bisbigliato. Le labbra turgide, spettinata dal


desiderio.

L’ho legato. I polsi al a testata del letto. Con la mia sciarpa rossa.

Ho cavalcato il suo sesso, regina del suo piacere. Per l’ultima volta.

È ancora lì. Gli occhi di ghiaccio, fermi, fissano il soffitto. Il coltello


piantato

in mezzo al petto. Lo stesso coltel o che ha ferito la mia pel e.

L’ultima volta può durare per l’eternità.

Ti amerò per sempre, Marco. Per questo ti ho regalato la mia sciarpa rossa.
Lo sconosciuto mi sorride. – Tutto bene? – chiede con i suoi occhi di
ghiaccio.

Gli stessi occhi di Marco.

– Sì – dico e rispondo al sorriso socchiudendo le labbra.

– Posso offrirti un caffè?

Accetto con un cenno del capo. Mi chiedo come faccia a non vedere la

macchia rossa che mi tinge la pelle. Indelebile. Come il ricordo di questo

tramonto.

52

365 racconti erotici per un anno

Il TOccO aUDacE

17 febbraio

di Sara Amadei

Sdraiata in giardino a prendere il sole, lasciavo che i raggi mi scaldassero la

pelle. Gli occhi chiusi, il viso appoggiato alle mani incrociate, una
piacevole

sonnolenza mi invase. Quel momento di dormiveglia, in cui la mente è


sospesa

dal corpo e i sogni prendono forma, diventando veri. La fantasia prese così

il sopravvento e i confini del a realtà sfumarono, perdendosi in un mondo

onirico. In quel ’istante una carezza mi sfiorò dolcemente le dita di un


piede. Le
mossi per la sensazione di solletico provata. Il lento tocco risalì lungo la
gamba,

seguendo a tratti un’immaginaria linea di piacere. Passò lungo il polpaccio,

carezzò l’interno del ginocchio e si intrufolò piano fra le cosce, lasciandomi

per un istante senza fiato. Con una delicatezza inusuale, si mosse sul mio
sesso

coperto da un leggero costume, per poi allontanarsi.

Emisi un gemito di protesta, risvegliandomi solo per un breve istante. Il

sonno tornò, e con esso anche la carezza sensuale, che giocò lenta sul a mia

natica destra, quasi danzando sulle mie curve generose. Risalì nel ’incavo
del a

schiena, facendomi inarcare un poco. Avevo tutti i sensi in subbuglio,


respiravo

a fondo i profumi del giardino mentre i fiori mi confondevano con i loro


odori

intensi. Mi voltai, esponendo così al sole i seni nudi. Abbandonai al


’indietro le

braccia, senza poter aprire gli occhi per la luce intensa. Restai in attesa, ma
la

carezza non tornò e io sprofondai di nuovo nel torpore.

Qualche istante dopo qualcosa si mosse sui miei capezzoli. Si inturgidirono,

ergendosi superbi. La pelle candida rabbrividì nonostante il calore del

sole. Sospirai quasi di piacere, dietro gli occhi chiusi. Sul a clavicola passò
delicatamente, soffermandosi sul a spal a.

Piano la mia mente si stava risvegliando, cogliendo ogni più piccola

sfumatura di quel a carezza audace. Riuscii a formare dei pensieri coerenti


con

la situazione: chi poteva essere quello sfacciato ammiratore? Forse il


ragazzo

del secondo piano, in fondo ci eravamo scambiati lunghe occhiate… oppure

poteva essere l’amico di mia sorel a, quello biondo… o forse ancora… non

riuscendo più a frenare il flusso di domande, mi decisi ad aprire gli occhi,

interrompendo a malincuore quel magico momento.

Colpita dal a luce pomeridiana, sollevai una mano per proteggere gli occhi

e finalmente vidi il mio ammiratore: una piccola farfal a color pervinca


ancora

appoggiata al a mia spal a.

365 racconti erotici per un anno

53

la lEZIONE DEl PROfEssOR OTTO OfsTETTER

18 febbraio

di Marco Fosca

– Prima di entrare, per favore, legga il nostro regolamento.

Lessi quanto c’era scritto: “La lezione dura un’ora. Potete interagire
esclusivamente con la lady che vi verrà assegnata. È vietato parlare e
quando

sentirete il rintocco del a campana siete pregati di uscire dal a stanza senza
fare

commenti e senza rivolgere la parola a nessuno.”

Mentre mi interrogavo su quanto letto, mi ritrovai in un ampio salone scuro,

senza finestre e con il soffitto molto alto. A circa sei passi da dove mi
trovavo

c’era una decina di poltrone disposte a cerchio e rivolte tutte verso l’interno.

Riuscivo a malapena a intravedere i volti degli altri presenti. Dal ’oscurità

spuntò una ragazza bellissima vestita di bianco e con i capelli scuri.

– Venga con me, la nostra poltrona è la numero sei.

Ci accomodammo entrambi sul ’ampia poltrona.

Dei faretti posti sul soffitto il uminarono al ’improvviso un uomo al centro

del cerchio. Doveva essere il professor Otto Ofstetter.

Nonostante l’età e il distacco professionale tipico di ogni specialista, quel

vecchio non aveva di certo cessato di essere un uomo. Lo si intuiva dallo

sguardo che aveva. Iniziò la lezione.

– Rilassiamoci, tocchiamoci teneramente ma senza avere fretta.

Concentriamoci sulle carezze, carezze delicate e profonde. Ricordiamo che

i preliminari sono soprattutto il lavoro delle mani. La prova che i nostri


preliminari stanno funzionando è che le lady si inumidiscono e i gentleman

hanno un’erezione. Facciamo lavorare anche le labbra. Bene cosi, labbra e


lingua,

sentiamo il partner con le labbra e con la lingua. Le nostre erezioni e le


nostre

secrezioni ci hanno preparato per la prossima fase. La lady decide quando

è pronta per la penetrazione, la lady decide la velocità e la profondità del a

penetrazione. La penetrazione è l’inizio di un dialogo. Adesso mi rivolgo a


voi,

lady. Mostrate ai gentleman cosa riuscite a fare con le vostre vagine.


Mostrate

loro cosa riuscite a fare con le vostre contrazioni e pressioni. Avvolgiamoli,

diamo forma ai gentleman, dolcemente li stringiamo e dolcemente li


lasciamo.

Riesco a sentire i gentleman crescere e ingrossarsi. Prepariamoci al


’orgasmo.

Ci dobbiamo aprire al ’orgasmo, l’orgasmo è un’eruzione di energia!

Non potete immaginare cosa il professor Ofstetter fosse riuscito a

generare in noi. Durante l’orgasmo alcuni hanno addirittura pianto, ma


erano

certamente lacrime di felicità e di pienezza.

54

365 racconti erotici per un anno


XXX

19 febbraio

di Eliselle

C’è l’attesa. C’è quel ’esaltazione strana che ti pervade. C’è quel a morsa
che ti

tiene stretto lo stomaco e non vuole liberarti. C’è un lembo del a gonna che

rimane incastrato nel a portiera chiusa. E ci sei tu, che con un movimento

veloce apri la portiera, lo togli e la richiudi dietro di te.

Ci hai pensato tutto il giorno, da quando hai ricevuto quel a telefonata. Ci

pensavi da quando hai incontrato per la prima volta la sua lingua. L’hai
sentita

calda e l’hai accolta. Ti ha preso una febbre che non sentivi da tempo. Ci
pensavi

da quando ti è rimasto sul viso il suo odore. Un odore pulsante, al ritmo del

tuo cuore accelerato.

Ti chiedevi se sarebbe successo. Cosa sarebbe successo. In che modo.

Ora hai una risposta al a prima delle tue domande. Sai che qualcosa
succederà

perché sei qui, insieme a lui. Le premesse ci sono tutte.

Rimane il cosa. Rimane in che modo.

La luce non se n’è andata del tutto, il parcheggio non è ancora deserto, ma
la
morsa allo stomaco si stringe e ti spinge verso di lui, seduto accanto a te sul

seggiolino posteriore.

Perché c’è il desiderio, e tu lo baci. Perché c’è l’eccitazione, e tu lo


cavalchi.

Perché c’è il suo collo, e tu lo afferri. Perché c’è la sua saliva, e tu la succhi.

Perché c’è il suo cazzo che preme, sotto di te, e tu lo vorresti dentro di te.
Perché

c’è troppa stoffa che vi divide.

E c’è la sua mano che si infila sotto la tua gonna, percorre la pelle,
raggiunge gli

slip, li scosta, ti tocca. Avevi fantasticato sulle sue mani, sei bagnata, ti
penetra

con due dita, ti rovescia di lato per arrivare più a fondo. Ti fa impazzire,

continui a baciarlo, i finestrini aperti, gli occhi chiusi, le mani intrecciate ai

suoi capelli per trattenerlo a te. Le sue dita si muovono in un lago, spingono

con forza, escono, arrivano al clitoride, gemi. Non vorresti finisse. Non
vorresti

finisse mai. Vorresti qualche ora in più. Vorresti una notte intera. Sai già che

non basterebbe.

Ora che si è staccato da te e cerchi di scrol arti di dosso quel languore, quei

brividi che scottano, quei lividi in profondità, ti accorgi che hai le risposte
alle

tue domande. Lo lasci fumare la sua sigaretta, lo osservi mentre ti parla. Lo


ascolti. Godi ancora delle sue dita che ti cercano di nuovo, ti accarezzano la

gamba. Ti rilassi.

Vorresti osare. Abbassarti su di lui. Abbassargli la lampo dei pantaloni.

Assaggiare il suo sapore.

Ma non è il momento. La morsa allo stomaco si allenta, ti lascia respirare.

Lo sai: sarà un intervallo breve. Sai già che stanotte non dormirai.

365 racconti erotici per un anno

55

sINDROmE DI sTOccOlma

20 febbraio

di Cristina Falzolgher

Mio caro,

(il tono non ti sorprenda, è tanto che siamo uniti nel ’ombra)

il pacco postale che recava il noto marchio Click-and-Gift non mi ha ingan-

nato nemmeno per un istante. Qualsiasi evento inatteso ormai rimanda a te.

La prima irruzione nel mio placido adattamento, subito dopo il trasloco,

quel a sì che mi aveva sconvolta. Ricordo come fosse ieri il dopocena


trascorso

a scartare servizi da caffè e scatole di libri. Ero del tutto impreparata al tuo

regalo. Poi ho aperto un cassetto del a mia nuova cucina, in cerca delle
forbici.
E’ inspiegabile come tu sia riuscito a recapitarmelo, in un appartamento di
cui

avevo appena fatto cambiare le chiavi.

Con le tempie che pulsavano, in cerca di risposte, ho fatto il giro delle fi-

nestre e ho trascinato una pesante sedia di ferro battuto contro la porta d’en-

trata.

Ora mi sono abituata alle piccole sorprese: la foto dei tuoi genitali in corni-

ce d’argento, con quel a dedica liquida che mi ha procurato il vomito, le


riprese

mentre faccio shopping inframmezzate da scene atroci mutuate da qualche

snuff. Lasciamelo dire, hai toccato il fondo con quel a bambola bionda,
petti-

nata a modo mio e infilzata da un vibratore, che ho trovato sulle scale.

Volevi spaventarmi e per qualche tempo ci sei riuscito. In sei mesi ho cam-

biato cinque volte numero di cel ulare. Come riesca a intrufolarti e a


spedirmi

quei torbidi SMS senza mittente non riesco a capirlo. Tu però sei un essere

carnale e l’elettronica non è che un ripiego. Entri nel mio computer per
depo-

sitarvi minacce, ma non godi nel farlo.

Tu miri al a pelle. A questa pelle lunare che reca traccia di ogni minimo

graffio e su cui il dolore permane.


Hai bisogno del a mia voce per eccitarti, così chiami da numeri irrintrac-

ciabili e ascolti la mia agitazione. Al ’inizio il tuo sfondo sonoro, con quel
clan-

gore di utensili metallici, m’inorridiva…

Adesso devo farti una confessione.

Di recente ho usato quel tuo vibratore. Ho comprato calze a rete e scarpe

con i tacchi contando sul tuo sguardo. E stanotte ho aperto la finestra e ho

lasciato che entrasse aria dal cortile.

Vivo nel ’attesa di un tuo gesto. Forse è la sindrome che crea un attacca-

mento inspiegabile per i propri aguzzini, o la diagnosi è un’altra. Sono sola


al

mondo. Non ho nul a da perdere, nessuno mi reclama, non c’è nessuno per
cui

continuare a respirare. Eccetto tu. Oggi indosserò il tuo ultimo regalo


perver-

so. Ho preparato anche i miei giochi. Ti aspetto. Non avere paura.

56

365 racconti erotici per un anno

Il PIaNTO DEglI aNgElI

21 febbraio

di Claudia Salvatori
Lui si volta su un fianco ansimando. Durante il sesso con lei pensava a
un’altra,

a molte altre, a qualcos’altro: l’eroina di un fumetto anni ‘60, le cui linee a


chi-

na, voluttuose e rabbiose, hanno tracciato graffi indelebili nel a sua anima.
Su

quel a prima traccia si sono innestate visioni frammentate di preziosi


dettagli

anatomici: rotondità di seni, sforbiciare di gambe, lembi di pelle, capelli,


fian-

chi, glutei, orecchie, unghie smaltate, labbra. Tiene gli occhi chiusi per
paura

di essere scoperto. Non sa che lei a sua volta pensa a due dozzine di uomini

diversi, a tre attori americani, a un compagno di scuola morto, a un


romantico

pirata protagonista di un ciclo di romanzi: tutti fusi insieme in un fantasma


di

cui, nel sesso, riveste lui.

Nel a casa di fronte un’altra coppia. Lei immagina che un secondo uomo sia

presente nel a stanza; lui che una fol a intera lo guardi. Non trovano piacere

che nel ’immaginarsi guardati.

Sopra di loro, nel ’attico, due uomini avvinghiati. Ciascuno dei due sogna

il padre del ’altro.

Più avanti, nel a stessa strada, una donna vorrebbe un’altra donna, ma nes-
suna riesce a calzare con sufficiente esattezza l’immagine luminosa che ha
cre-

ato nel a sua mente. Si masturba timidamente. L’immagine esplode di


troppa

luce e sprofonda nel nul a, lasciando un disagio incolmabile.

In un altro quartiere ancora una coppia. Lei desidera un transessuale; lui

vorrebbe essere una donna. Al a televisione un transessuale sta parlando. In-

carna la voglia di entrambi, ma il suo desiderio è un altro. Non ama né


uomini

né donne: insegue la forma ideale del suo corpo, e si sfinisce in un vagare


ap-

pena libidinoso da sé al proprio specchio.

Nelle altre case, per le strade, nei locali. Erezioni, tensioni, umori del ’ecci-

tazione, fantasticherie. Sospiri segreti. Proiezioni che non trovano


esaudimen-

to. Spettri che vorticano gemendo negli incidenti sessuali.

Si addensano in un vapore, una nube erotica che sale verso l’alto. Verso le

nuvole, e oltre. Nello spazio rarefatto, puro.

Ancora più in alto.

Fra le ciglia degli angeli, dove formano lacrime.

365 racconti erotici per un anno

57
malIaRDa al fasT fOOD

22 febbraio

di Francesca Galleano

– Mario, il prossimo mese non contare su di me. Lascio il fast food – mi


dice

Elena, una qualunque in questo mare di cameriere che vanno e vengono con
i

loro umori e i loro segreti.

Oggi le sue forme prorompono da sotto il lungo grembiule unisex; porta

una polo blu sbottonata e un ciondolo di corallo a forma di cuore si tuffa nel

seno. Se Elena sbatacchia il sacco delle patatine, quelle tette vibrano


invitanti

come un dessert al cucchiaio e io lo noto adesso per la prima volta.

Elena se ne andrà dalle esalazioni di frittura, dal caldo del a cucina, dal a

ressa di impiegati in pausa pranzo. Mi mancherà. Al mattino mi fa trovare


un

caffè americano e intuisce sempre quando mi fermo a pranzo: senza che io


lo

chieda mi porta un hamburger. Gli altri ce l’hanno con lei perché è sbadata,

brucia il pane e semina crocchette sul pavimento; è lenta, dicono che fare il

turno con lei è un tormento e io mi ritrovo sempre ad appianare liti.

Ora vedo attraverso la porta aperta del bagno Elena allo specchio. La curva
delle sue labbra pronuncia un umido invito imprigionato nel rossetto color

mattone. Una donna che si trucca davanti al suo capo esibisce una provoca-

zione rotonda.

– Elena, che fai? Al bancone c’è la fila. Ricordati che lavori ancora qui!

– Ancora per poco… Presto perderai potere su di me e questo ti rode – ri-

sponde ridendo, e lentamente porta il suo culo sfacciato al bancone.

La raggiungo mentre riempie un bicchiere di birra al a spina, le indico una

coppia di fighetti che mangia a un tavolo e le sussurro nel ’orecchio le


porche-

rie che, secondo me, faranno quei due stasera. Elena sorride maliziosa, mi
in-

cita a continuare. Allora immagino noi due a letto e scendo in dettagli


sempre

più scottanti. Sono tutto un fuoco, ormai. Le sue guance si arrossano, gli
occhi

sembrano due crateri, sussulta sentendo cosa le farei.

I due se ne vanno; Elena ha finito il turno.

– Continueremo la conversazione stasera, a casa mia – le dico mentre si

allontana. Lei sorride senza voltarsi e senza rispondere. Non dice che verrà.

Ho preparato una cena fredda. Lei verrà; non verrà, chi lo sa. Metto un

disco e aspetto.

Sono già le nove. Suonano al a porta.


La faccio entrare; ha un soprabito lungo e leggero, in vinile rosso. Se lo

toglie e sotto è nuda, prospera di glitter che mi ricordano la salsa tartara, e


che

subito comincio a leccare.

58

365 racconti erotici per un anno

faN NUmERO UNO

23 febbraio

di Gianfranco Staltari

Manuela è sdraiata nuda davanti a me.

I seni il uminati sono grossi e sodi. Mani e piedi sono legati con strisce di

cuoio al ’intelaiatura del letto.

Un bavaglio in lattice la obbliga a tenere la bocca chiusa. Così non mi può

mordere.

Mi spoglio lentamente, sfilo la giacca militare, camicia, pantaloni con i ta-

sconi e boxer neri.

Mi fermo a fissarla un istante, un piacevole calore mi percorre il ventre.

Ho un’erezione.

Mi avvicino a lei. Le stringo i seni tra le mani, gioco con i capezzoli.


Manue-

la freme e mugola sotto le mie carezze.


È bel a, bruna, gli occhi scuri e labbra carnose e invitanti.

Sono pazzo di Manuela, il suo fan numero uno.

Tutto di lei mi piace. Non esiste una parte del suo corpo che non mi faccia

eccitare. Non riesco a resistere.

Manuela Arcuri, la mia attrice preferita, che fortuna averla incontrata!

L’accarezzo tra le gambe, lucide e sode e ancora ben conservate.

Uso un dito con perizia e faccio quello che c’è da fare.

La penetro dapprima lentamente, poi accelero i colpi.

Manuela ansima sotto il bavaglio e si agita tendendo le corde legate al let-

to. L’orgasmo mi strema. Provo un senso di estraniamento, come sospeso


tra la

vita e la morte. Piacere e dolore.

Mi capita sempre così quando mi accoppio con uno zombie.

Da quando l’epidemia ha trasformato la maggior parte del a gente in morti

viventi è difficile trovare delle donne vive con le quali farlo.

Donne belle e famose.

Prendo la Beretta che ho appoggiato sul comodino accanto al letto. La pun-

to al a testa di Manuela, che si agita più forte e sbava da sotto il bavaglio


come

se avesse intuito la fine.

Poi sparo e un fiore rosso le si apre sul a fronte spargendo materia cerebrale
sul cuscino. Mi rivesto con calma e già sto pensando al a mia prossima
meta:

la Francia. Ho sentito che lì dovrei trovare Monica Bel ucci.

Sono pazzo di Monica, il suo fan numero uno. Tutto di lei mi piace.

Non esiste una parte del suo corpo che non mi faccia eccitare.

Non riesco a resistere...

365 racconti erotici per un anno

59

IN vENTI mINUTI

24 febbraio

di Claudio Cassone

Arrivai a casa di corsa: avevamo a disposizione venti minuti, poi lei sarebbe

dovuta andare a lavoro. Aprii la porta e iniziai a spogliarmi velocemente,


mi

sfilai pantaloni e mutande contemporaneamente e per poco non caddi. Nudo

entrai in camera: lei era sul letto e indossava solo la sua bellezza devastante.

Avevo il fiatone, il cuore mi batteva senza tregua e il sudore mi riscaldava e

preparava il corpo al ’amplesso. Non parlavo, non parlava. Saltai sul letto e

cominciai a leccarla eccitato fino a sfiorare la vergogna, stordito dai gemiti


che

intanto avevano preso ad accarezzarle le labbra.


Scalai il suo corpo fino a raggiungere la vetta; ci unimmo.

Intanto il suo godere diventava sempre più arrogante e sfacciato, i suoi

gemiti ora sembravano picchiare e violentarle la bocca.

Fu allora che sentii qualcosa scendermi dal naso, poi vidi gocce di sangue

posarsi sul a pelle contratta del a mia amante. Lei se ne accorse e mi guardò

con un’espressione minacciosa che non avrebbe concesso pause per nessun

motivo.

Le gocce si unirono e divennero un fiume rosso che le inondò il collo e

sfociò sul suo ventre dopo essere passato tra i seni duri e assetati; poi il
fiume si

trasformò in un lago e questo in un mare, che superò i confini dei nostri


corpi,

invadendo il letto e poi il pavimento.

Vedevo rosso, rosso dappertutto. Urlavamo, spingevamo, il letto si piegava

e muoveva quasi fosse posseduto da un demone.

Un oceano di sangue riempì la stanza, mentre noi galleggiavamo sopra il

materasso che nuotava sbattendo da una parete al ’altra.

Non c’era emozione, non c’era passione, ma solo libertà e volo, libertà e

volo e voglia di premere e stringere, voglia di perdersi e scomparire da ogni

teorema.

Arrivammo insieme al traguardo, mano nel a mano, con una tale violenza
da sfondare il letto, ritrovandoci immersi nel rosso caldo del a mia vita.
Senza

respirare, morendo un poco, diventammo un unico cuore che pompava forte


e

felice il suo amore incontaminato.

La luce del mio sesso scivolò dentro di lei, il uminandoci.

Poi andammo a farci una doccia; i nostri corpi distrutti.

60

365 racconti erotici per un anno

NOTTE DI NOZZE

25 febbraio

di Elena e Michela Martignoni

Da Cesare Borgia, duca di Valentinois, a suo padre Papa Alessandro VI


Borgia

Castel o di Blois, 10 maggio 1499

“... Santità, ora che Vi ho riferito nel particolare le mie impressioni politiche

sul a corte di Luigi XII, come Vostro figlio devoto Vi narrerò la mia notte di

nozze con la duchessa Charlotte D’Albret.

Immaginate una stanza il uminata da una ventina di candele, un letto

regale e la verginel a francese che indossa solo una camiciola bianca. Ha gli

occhi umidi, le chiome bionde, la pelle chiara... ma questo non mi interessa.


Mi avvicino a lei e con un colpo secco le lacero la camicia. Lancia un grido
e

indietreggia, ma io la stringo per la vita perché non cada. Ha due poppe


belle

sode e capezzoli piccoli. Li prendo in bocca e succhio forte, glieli mordo


così

si rizzano e sono più buoni. Intanto il mio uccello s’ingrossa, un marchio di

famiglia, questa fulminea lievitazione, che caratterizza noi Borgia! La


rovescio

sul letto. Il suo sguardo impaurito mi eccita e accarezzando la peluria chiara

e dolce come il grano di Provenza infilo le mie dita nel a nobile figa. È
umida,

non quanto vorrei, ma la piccina è al a prima volta. Le al argo bene le cosce,

sento che trattiene il respiro, e glielo infilo. Piano, piano, ma è così


imponente la

mia bestia che se non uso la forza non riuscirò a entrare. Spingo e sono
dentro.

Lei geme, sente male, io invece mi sento bene, spingo, spingo e la inondo.
Il

mio pene gronda sperma e sangue. Era vergine, la petite, non ci hanno
truffato,

i francesi! E ora? mi chiede con quegli occhi slavati… ora aspettiamo un


po’

e poi ti farò conoscere la vita… altre sette volte, padre mio santo, in quel a
notte: diverse posizioni, stesso trionfo. Mi è sembrato che godesse
soprattutto

a prenderlo standomi sopra, mentre ha piagnucolato quando le sono entrato

nel didietro, e questo mi ha infiammato tanto che l’ho ripetuto due volte.
L’ho

anche leccata, ha un buon sapore, si sente che è giovane…”

Il cortigiano posò la lettera che aveva letto di soppiatto. Le sparava grosse

il bastardo del Papa! Lui sapeva dove il Borgia aveva passato la notte di
nozze:

altro che otto scopate! Al a ritirata, sul a comoda, a cagare tutto quello che

aveva in corpo! Le pillole del farmacista, che dovevano mantenere dura la


sua

verga spagnola, non avevano sortito l’effetto sperato: il Valentino invece di

onorare la sposa aveva intasato la latrina!

365 racconti erotici per un anno

61

scambIO DI cOPPIa

26 febbraio

di Nicola Verde

La voglia di scopare l’aveva preso a 70 anni! Una foia ormai dimenticata.


Era nato

quando tut o pareva dovesse risolversi in una bol a virtuale. Ma non era
stato così. Fu
al matrimonio del figlio di un suo caro amico: un ragazzone di 35 anni. Non
lo aveva

mai pensato intelligente.

– Un caval o da tiro – disse a sua moglie Lina.

Lei assentì vagamente: – Uuhh – mugugnò. – Un asino!

La ragazza, la sposa, aveva un che di selvatico. – Dovrebbe metterle la


museruola!

– disse. Poi puntualizzò: – Al a fica. Potrebbe sbranarglielo – e rise. Sua


moglie Lina,

invece, non lo fece.

Nel raccogliere la forchet a, lui aveva visto le cosce del a sposina al argarsi
e

mettere in mostra mutandine e peluria. S’era toccato l’uccello tastando un


malloppo

inerte. Nel ’altra tasca aveva il trasformer. Un aggeggio capace di plasmare


il corpo a

piacimento, bastava introdurre la matrice.

Nel rialzarsi fece per dire qualcosa, ma poi ci ripensò: sua moglie non lo
degnava

di uno sguardo, persa chissà dove, aveva la faccia incastrata tra le mani
messe a V. Così

seguì la ragazza quando la vide alzarsi e dirigersi verso il piano di sot o,


dove stavano

le toilette. L’aveva vista mandare un bacio al marito- cavallo con la punta


del e dita. Ma
quello l’aveva ignorata e si era alzato, scrol andosi come un cane bagnato.

– Che bestia! – pensò. Notò appena che pure sua moglie Lina s’era alzata.

Di sot o, in uno sgabuzzino, si applicò la macchinetta. Quando uscì aveva la


faccia

e la mole dello sposo- cavallo e ne era soddisfat o. Da uno stanzino uscì la


sposina,

era scarmigliata e la tutina la fasciava come una seconda pel e. Braccia e


gambe nude.

L’uccello prese a tirargli come ormai aveva dimenticato.

Lei lo guardò. – Qui?

– Qui! – rispose lui. E la scopò da dietro, facendosi spazio tra le cosce e


tirandole

su la tutina. Dentro si mosse in senso rotatorio, per riempirla meglio.

Deve avertela già lavorata per benino, pensò.

Pompò in fretta, poi si rilassò sul a schiena di lei. Per tut a la scopata
l’aveva

accompagnato l’odore forte di vecchio: a quello non c’erano rimedi.

Dopo l’aveva mandata avanti.

– Vai – le aveva detto. Voleva semplicemente prendere tempo.

Quando pure lui risalì, sua moglie era al suo posto, mentre gli sposi stavano

scambiandosi effusioni come se non ne fossero sazi.

– Andiamo via – disse.


– Va bene – rispose inaspettatamente la moglie. Quando si allontanarono

parevano molto stanchi. Ma entrambi avevano l’aria soddisfat a e, soprat ut


o, un

odore di vecchi.

62

365 racconti erotici per un anno

OmbRE

27 febbraio

di Michele Matteucci

Sapevo tutto di loro. Avevo imparato a riconoscerli dalle ombre. Ogni sera,

le sagome disegnate sul a finestra mi parlavano. Le loro voci mi arrivavano

al ’orecchio attraverso l’aria calda di agosto e mi raccontavano storie di


carnale

desiderio. Io ero seduto sul a mia poltrona e in silenzio osservavo quelle


ombre

muoversi al ritmo del a passione. Le ombre sussultavano, vibravano,


saltavano

e potevi vederlo da quelle sagome stagliate su una tenda bianca quanto

godevano. Si amavano e facevano l’amore, mentre io mi masturbavo al solo

pensiero. Si attorcigliavano come edere a un palo. Le ombre in alcuni


momenti

diventavano tutt’una e sparivano per poi ritornare coi capelli in disordine.


E io intanto mi masturbavo freneticamente. Sentivo l’orgasmo avvicinarsi

sempre di più. Andavo su e giù con la mano come l’ombra di lei su di lui.

Me li immaginavo seduti sul a punta del letto. La donna che si raccoglieva i

capelli mentre ondeggiava sul suo pene. Il sudore del ’uomo, quasi le
vedevo

le goccioline d’ombra scendere rapide lungo la schiena muscolosa. Potevo

addirittura immaginarmi i loro mugolii, proprio nel ’istante in cui lei


piegava

leggermente la testa al ’indietro e le punte dei capelli lisci sfioravano le


cosce

del suo compagno. E godevano insieme. Il ritmo aumentava. Le ombre

diventavano di nuovo una sola. Si stavano abbracciando, avvinghiati in una

bol a di piacere. Le bocche aperte e gli occhi chiusi, esattamente come me.

Sentivo lo sperma salire al ’interno del ’asta. Mi trattenevo ancora un po’,

un solo istante in più. Aprivo gli occhi e osservavo le ombre. Le mani del a

donna a spazzolare i capelli di lui in quel breve momento in cui, tutti e due,
si

abbandonavano al ’orgasmo. E io insieme a loro.

365 racconti erotici per un anno

63

Il RamO

28 febbraio
di Valeria Montaldi

La ragazza era giovanissima, poco più che una bambina.

In piedi davanti al a porta che il valletto aveva appena richiuso dietro di lei,

scrutava nel a penombra del a stanza: sul fondo, i baluginii rossastri di un

braciere il uminavano un grande giaciglio intorno a cui era drappeggiata

una cortina di lino.

Abbandonato scompostamente sul saccone di piume, c’era un uomo. Era

nudo e la fissava.

– Vieni qui.

Il tono del a voce era imperioso.

La ragazza si staccò dal a soglia e si avvicinò. Girò cauta intorno al braciere

e si fermò a pochi passi dal letto.

L’uomo la guardò: la tunica di seta che le avevano fatto indossare si

increspava sui capezzoli eretti, accarezzava la rotondità dei fianchi e


scendeva

fluida fino al e caviglie sottili.

L’uomo sorrise.

– Vieni – ripeté.

La ragazza si avvicinò ancora, fino a sfiorare il saccone. L’uomo si alzò e

le sciolse i lacci del a veste: il tessuto di seta scivolò dal e spal e e ricadde a

terra con un fruscio. La ragazza rabbrividì.


L’uomo afferrò il sottile ramo di nocciolo posato sul giaciglio e glielo fece

scorrere sul corpo. La punta, che conservava ancora qualche foglia,


percorse

il collo, i seni, il ventre, le gambe. Poi risalì, solleticò, e scomparve nel


’incavo

che separava le cosce dal ventre. La ragazza si irrigidì, ma restò immobile.

L’uomo la sospinse sul saccone e la fece sdraiare.

– Come ti chiami? – le chiese, posando la fronda accanto a sé.

– Colette.

– E lo sai chi sono io? Te lo hanno detto prima di mandarti qui?

– Sì, mio signore, siete il duca di Montargis.

– E ti hanno anche spiegato cosa devi fare con il duca di Montargis?

– Sì, mio signore.

L’uomo sorrise di nuovo. In silenzio, si inginocchiò sul saccone, al argò

le gambe del a ragazza, si chinò in avanti e affondò la testa fra le sue cosce.

Mentre la lingua lappava lentamente la vulva, le sue dita scomparvero nel a

cavità del a vagina, frugando, ruotando, spingendo sempre più a fondo.

La ragazza gemette, suo malgrado. L’uomo sollevò la testa a guardarla poi,

fatte scivolar fuori le dita dal suo corpo, gliele infilò in bocca.

– Succhia – ordinò.

64
365 racconti erotici per un anno

29 febbraio, mesi bisestili

Colette obbedì. Le dita entravano e uscivano, descrivevano cerchi di bava

intorno al e sue labbra, ritornavano a esplorare la lingua e l’interno del e

guance.

Il duca si ritrasse, afferrò di nuovo il ramo e scese dal letto. Con un

cenno, invitò la giovane a seguirlo fino a uno scanno: non aveva braccioli

ed era coperto da un cuscino di seta. Le porse la fronda, sollevò l’orlo del a

camiciola, si prese in mano il membro e cominciò a strofinarlo.

Colette aspettò. In piedi a occhi chiusi, il duca continuò a masturbarsi

fino a quando, con il respiro rotto dal ’affanno, si inginocchiò sullo scanno,

esponendo i glutei nudi.

Il braccio del a ragazza si mosse rapido. Il ramo di nocciolo si sollevò

nel ’aria, vibrò e calò con violenza sul e natiche.

L’uomo mugolò e riprese ad agitarsi il pene.

Colette colpì di nuovo, una, due, tre volte. A ogni frustata, la testa del

duca scattava verso l’alto mentre il corpo, piegato in avanti, era attraversato

da spasimi sempre più frequenti.

La ragazza esitò per un istante, poi fece scivolare la punta del ramo verso il

basso e la strofinò sul a pelle delicata fra i testicoli e l’ano. Il mugolio che
stava
uscendo dal a bocca del duca si trasformò in un gemito. Colette continuò a

spostare avanti e indietro quel o strumento di piacere fino a quando le parve

che la resistenza del ’uomo fosse al limite. Al ora, afferrata saldamente la

fronda, alzò il braccio e colpì di nuovo.

Il duca urlò.

Fu un grido disumano, quasi un latrato, che si concluse con una nota di

pianto. Il duca si afflosciò sul o scanno con la testa riversa sul cuscino: le

braccia ricaddero a terra.

Colette depose la verga di nocciolo, raccolse la veste e la indossò.

Il duca si rialzò e, senza curarsi di coprire il membro ancora eretto, prese

due monete dallo scrittoio e gliele mise in mano. Colette le strinse nel
pugno

e uscì.

Fuori dal a porta, il valletto la ricoprì con un mantello di lana fine e glielo

drappeggiò con cura sulle spalle.

– Venite, duchessa – le disse, – vi accompagno alle vostre stanze.

365 racconti erotici per un anno

65

sOTTO sgUaRDI INDIscRETI

1 marzo

di Alessio Schiavone
Entrai nel a sala; era buia. Solo pochi faretti a il uminare il pavimento a
scacchi.

Una persona distinta e gentile mi fece accomodare.

– Piacere di conoscerla, mi chiamo Mascetti – mi disse.

– Piacere mio – risposi.

Non mi sentivo del tutto a mio agio; c’erano anche altre persone nel a sala.

Mi misi subito a osservare ciò che mi circondava.

Vidi una donna messa carponi, su gomiti e ginocchia; un uomo la montava

da dietro come un toro. Lui con una mano le carezzava la schiena, con
l’altra le

stringeva il seno, mentre la nuca era protesa nel piacere. Avanzai di un paio
di

metri e scorsi un uomo seduto a terra, con le gambe distese e le mani


poggiate

ai lati del corpo. La sua partner, appoggiata sulle braccia tese, stava di
fronte

a lui, sopra le sue cosce, con le gambe piegate e divaricate. Lui, passivo, si

abbandonava al piacere e la fissava in viso; si lanciavano sguardi languidi.


Io ero

eccitato; tra le gambe il membro cominciava a svegliarsi, e me ne


vergognavo.

Proseguendo a camminare, scrutai un altro uomo; questo era disteso con le

gambe unite. Una ragazza era sdraiata sul a schiena sopra di lui, con le
gambe
piegate e i piedi poggiati sulle sue ginocchia. Lui le teneva i fianchi, mentre
lei

alzava il bacino e compieva movimenti oscil atori. I loro corpi riflettevano


una

luce intensa e folgorante.

Feci ancora un passo e davanti a me, incuranti degli sguardi indiscreti

rivolti verso di loro, due amanti stavano in piedi, fronteggiandosi; la donna,

arrampicata sul corpo del ’uomo come una scalatrice, gli posava i piedi
sulle

cosce e le braccia intorno al collo. Lui la reggeva trattenendole le natiche, e

avvicinava le mammelle al proprio viso.

Riuscivo a percepire il loro piacere, così ardente. Ero in estasi; godevo

del a sensualità delle movenze e del ’unione, coglievo gli odori nel a mia

immaginazione.

Sullo sfondo si intravedevano due donne. Una era sdraiata sopra l’altra, nel

verso opposto, e avvinghiava le braccia intorno alle cosce del a partner.


L’altra

sprofondava le dita nel sedere del a compagna di giochi. Le bocche


sfioravano

le vagine; le labbra si schiudevano appena e le lingue spennel avano le


sommità

dei clitoride.

Al ’improvviso la voce di Mascetti mi raggiunse, interrompendo la mia


eccitazione: – Mi scusi, signore, ma stiamo per chiudere. L’orario di visita
del a

mostra è terminato. Spero che i quadri le siano piaciuti.

66

365 racconti erotici per un anno

sENZa TRaccIa DI PEccaTO

2 marzo

di Niki Borea

Silenzio.

Tu davanti a me. Cominci a baciarmi lentamente.

Di colpo mi blocchi, prendi la fune, mi leghi i polsi.

Cos’è l’eros? domandi a bruciapelo.

Ti guardo.

Niente ricordi, niente memoria.

Solo il presente.

L’eros appartiene al ’anima. Una passione del ’anima.

Andare con te anche al ’inferno.

Senza traccia di peccato.

Quando il tuo desiderio si confonde con il mio, diventa il mio, e non

riusciamo più a distinguerli o separarli.

Quando annienti spietato ogni mia volontà. Tranne quel a di suscitarti un


lampo di piacere.

Quando mi annodi per prenderti la mia anima, mentre io, impotente fra le

tue mani, ti stringo il cuore con anelli d’acciaio.

Il resto è una pallida, vana ombra.

Mi liberi.

Riprendi a baciarmi, lentamente.

365 racconti erotici per un anno

67

al RINTOccaR DEl gIORNO

3 marzo

di Paolo Campana

Una mattina di marzo, le sei e trenta

I capelli corvini a caschetto e gli occhi color cenere, la giovane percorre

lenta il viale alberato ondeggiando sui tacchi, mentre la gonna mostra gran

parte delle cosce nude e traccia il dolce incavo dei glutei. Un giovane dai
boccoli

biondi la incrocia e le offre uno sguardo blu intenso; lei sorride complice e

l’uomo ammicca di rimando, poi guarda l’orologio.

La palazzina ha un giardino con il prato al ’inglese, quattro appartamenti

e una bel a vista su un viale alberato. La postina è già vestita e prepara il


caffè,
il fornaio esce dal a doccia ristoratrice dopo una notte di lavoro e due
giovani

sposi si svegliano, nudi, al a luce del ’alba, mentre al piano terra la custode

cinquantenne apre la porta a un’amica

Ora la donna appoggia le mani allo schienale di una panchina e guarda la

palazzina di fronte. L’unico bottone di un giacchino blu contiene a stento il

reggiseno: con gesto rapido il giovane lo slaccia e tira fuori le mammelle,


dalle

quali pendono due catenelle con un campanellino d’argento. Poi le solleva

la gonna. Accarezza le natiche morbide e nude, insinua le dita al ’interno

stuzzicandone le sinuosità, quindi appoggia appena il membro turgido al


suo

umido piacere, salvo fermarsi di colpo.

Pochi istanti alle sette, s’apre l’accappatoio del fornaio mentre calano i

pantaloni del a postina e gli sposini, abbracciati, guardano dal a finestra. La

custode e l’amica si spogliano a vicenda.

Ed ecco, il primo rintocco.

Il biondo si muove deciso e il grosso seno danza avanti e indietro con i

capezzoli duri e tesi che fanno tintinnare i campanellini al ritmo dei


rintocchi

delle sette e del pene che finalmente le riempie il sesso. E al ’unisono… la


postina riceve il marito da dietro affacciata al a finestra del a cucina, la
sposina

rinnova con la bocca il vigore del suo uomo, l’amante del fornaio ne
cavalca

dominante il membro e le due donne si esplorano con vigore l’una con


l’altra.

Sullo scorrere dei rintocchi le quattro coppie raggiungono l’apice del

godimento e riservano uno sguardo al a giovane bruna che finalmente,

irrigidita nel ’ultimo colpo, urla al giorno il suo piacere.

Sono le otto, il rappresentante di latticini è sveglio dalle quattro e ora sente

il bisogno di un caffè. Mentre entra in paese dal a strada principale si chiede

incuriosito il motivo di quello strano motto scritto sotto il nome: il borgo


del

buon risveglio.

68

365 racconti erotici per un anno

fIaba sEXY

4 marzo

di Mauro Simeone

È sempre una questione di punti di vista. A un metro dal pavimento si vede


la

mamma nuda di spalle che gioca al caval uccio sul letto ed è felice.
Da fuori si vede un bambino che entra felino nel a camera da letto dove

mamma e papà stanno facendo caval uccio. Dentro, invece, il panico.

– Ma... Matteo, che ci fai qui?

– Mamma, anch’io caval uccio!

Lei è scioccata, i capelli arruffati; caval uccio al contrario resta in silenzio,

nessun senso di colpa in lui e quindi nessun bisogno di parlare e


giustificarsi.

Il silenzio degli innocenti.

– Vieni con la mamma, Matteo, andiamo in cucina a bere un po’ d’acqua.

Una sigaretta ci sta tutta, pensa lui; afferra il pacchetto sul comodino, sfila

l’ultima che è rimasta e, supino, tira una lunga boccata.

Non fa in tempo a gustarsela che Marina e il piccolo sono già lì. Di nuovo.

– Pure la sigaretta? Quante volte t’ho chiesto di non fumare davanti al


bambino?

– Ma è solo una tirata! – L’urlo del colpevole.

L’imbarazzo stavolta è evidente; il sesso non va giustificato, la sigaretta


dopo sì.

– Papà, come nascono i bambini?

La domanda di Matteo squarcia l’azzurro del a carta da parati con magnitu-

do sei punto tre. Marina, come ogni donna, si rilassa quando non dovrebbe
e

parte al ’attacco: – Non gli racconterai mica le solite storielle, vero?


– Noo?!

– Certo che no! Sei uno scrittore, si aspetta molto di più da te. E bada; devi

raccontarglielo in modo che capisca che io e te ci vogliamo bene e che


quello che

stavamo facendo è del tutto naturale, come l’alternarsi del giorno e del a
notte.

Lui è confuso, poi improvvisa una fiaba sexy come se fosse l’incipit di uno

dei suoi romanzi noir: – Ascolta, Matteo: il sole e la luna sono amici e il
loro

gioco preferito, sai qual è? Nascondino. Ti sei accorto che quando vedi il
sole la

luna non c’è e quando vedi la luna è il sole a mancare? È perché si


nascondono.

Di giorno conta lui e di notte lei, fanno a turno. Hai capito?

– Ma allora non stanno mai insieme?

– Sì, stanno insieme un po’, giusto il tempo di fare tana libera tutto: pianti,

bue, sogni brutti, verdure nel piatto. Quando si fa tana, tutto diventa bello.

Matteo andò a dormire soddisfatto, ma fu davvero felice solo il mattino

dopo quando, dal a finestra del a cameretta, vide il sole affacciarsi timido su

Milano e notò che anche lui, come papà, si stava fumando una grossa
nuvola

dopo essersi nascosto per qualche ora sotto sua moglie: la luna.

365 racconti erotici per un anno


69

fasT sEXY fOOD

5 marzo

di Franco Pesce

Per tutta la mattina non ho fatto altro che sognare a occhi aperti, ricordando
i

fianchi di Erika e il suo odore di maionese e ketchup. Era incredibile con


quale

nitidezza rammentavo ogni dettaglio del suo corpo, ogni increspatura del a

sua pelle lattiginosa, il luccichio del a mia saliva sul seno, l’abbondante
salsa

cosparsa lungo il ventre. Ricordo di come lei, distesa sul tavolo dei
condimenti,

mi fissava con lo sguardo capriccioso, quasi sfrontato. Il tremore che


provavo

nello sganciarle i bottoni dei pantaloni, l’incantesimo di ogni bacio. Le


decine

di cetrioli addossati al suo corpo madido di intingoli. Rividi le punta delle


mie

dita accarezzarle i glutei, mentre le sue labbra vibravano di piacere. I nostri

abbracci incol ati dal ’intruglio melmoso e pestilenziale. Le esalazioni noci-

ve provenienti dai nostri respiri affaticati. Ricordo il modo in cui, con l’al
uce
e l’indice, m’infilava in bocca le crocchette di pollo, facendomi quasi
svenire

dal ’eccitazione. Di come, strato dopo strato, mi ricopriva il petto di


formaggio

e insalata. L’immagine di lei con le labbra impiastricciate di curry e gli


occhi

carichi di desiderio, che mi sussurrava: – Ho voglia di hotdog!

Ricordo il momento in cui scivolammo a terra tra le risate e lo spavento.

Il suo collo teso, mentre le stuzzicavo i capezzoli con un morbido muffin al

cioccolato. L’istante in cui mi afferrò le mani e se le posò sulle cosce


variopinte.

Il mulinare del a sua lingua nel mio orecchio colmo di senape e tabasco. I
miei

virtuosismi pittorici sul a sua schiena sfumata di rosso, giallo e arancio. E


poi,

l’estasi, quando, seduta con le spalle al muro, lentamente dischiuse le


gambe e

disse: – Dai, prendine una porzione!

Purtroppo, ricordo anche il momento in cui suonò l’al arme e noi due, presi

dal panico, grondanti di schifezze, fuggimmo sbandando pericolosamente


ver-

so l’uscita di sicurezza. La polizia, le immagini delle videocamere, le


offese, la

vergogna, l’indignazione e infine il licenziamento posero fine al nostro


legame,
di cui, purtroppo, mi resta solo questo indimenticabile ricordo.

70

365 racconti erotici per un anno

la schERmaglIa

6 marzo

di Francesco Stefanacci

I due schieramenti si puntavano a vicenda, control ando ogni più


insignificante

movimento del nemico. Qualcuno aveva già messo gli occhi sul a propria
preda,

altri ripassavano mentalmente lo schema di azione, altri ancora tremavano

piano, agitati.

Tutti sapevano che quando il momento sarebbe arrivato, la ragione avrebbe

ceduto al ’istinto e sarebbe successo ciò che doveva.

Le forze in gioco erano ben più grandi di tutti loro.

I soldati più nervosi ricontrol avano il loro equipaggiamento. Gli uomini si

aggiustavano il cavallo, le donne il seno.

Un odore indefinibile riempiva l’aria. Testosterone ed estrogeni


prevalicavano

su una base di adrenalina, ma il retrogusto di paura era lì, innegabile nel a


sua

fredda schiettezza.
I nervi potevano saltare in ogni momento: sarebbe bastato un movimento

troppo brusco, un gesto ambiguo mal interpretato.

La tensione saturò e raggiunse il punto critico. Gli equilibri col assarono.


Un

uomo urlò e partì al a carica. Lo seguirono i suoi compagni; poi lo


schieramento

avverso scattò di rimando.

Le leggere vesti candide cominciarono a fioccare sopra le teste dei soldati,

tante margherite dischiuse su un prato di carne.

Le tette bal arono, tratteggiando ovali nel ’aria; i peni si ingrossarono, erti

come baionette. La battaglia ebbe inizio.

I corpi si scontrarono e cominciarono ad avvinghiarsi, dapprima con

violenza, poi sempre più languidamente. Si formarono continenti di corpi

stretti in ogni tipo di abbraccio; versanti di montagne tenuti insieme da baci

appassionati; qua e là isole di coppie unite in un amplesso così passionale


da

farle sembrare un’unica creatura androgina.

Il mare di sudore e liquidi sessuali innaffiò la campagna erbosa. Sciacquettii

e placidi ansimi eccitati furono gli unici suoni udibili per diversi minuti.

L’aroma di paura evaporò dai corpi caldi dei soldati.

D’un tratto delle nuvole coprirono il sole, facendo correre un intenso


brivido
lungo le migliaia di schiene nude. Ci fu un immenso, irrefrenabile orgasmo

collettivo. La sua onda psichica si propagò ben oltre la zona di guerra: scalò

montagne, guadò fiumi e percorse tutti i chilometri che la terra fornisce.

In quei brevi secondi, l’umanità intera si sentì pervasa da una calda,

rassicurante sensazione di piacere.

In quel a battaglia tutti vinsero e nessuno morì.

365 racconti erotici per un anno

71

PRIgIONIERO

7 marzo

di Daniela Barisone

Prigioniero di un sorriso che, ogni volta, mi sorprende. Serpeggia sul a mia

pelle, abbastanza insistente perché io possa sentirlo.

Mi accarezza lentamente, solo un leggero sfiorare di dita, quel che basta per

risvegliare i miei sensi addormentati. Il mio respiro si fa corto al ’audacia


dei

suoi baci, la sua lingua è benvenuta, nel tracciare misteriose mappe sul mio

petto.

James sa sempre come destare il mio interesse, in ogni ambito del a nostra

vita. Mi stringo addosso al suo corpo muscoloso, incurante di quello che le


leggi del nostro tempo dicono. Non m’interessa nul a, se le mie braccia
sono

tese intorno al suo collo. Mi tocca, mi manipola come se fossi cera fusa da

model are a suo piacimento. In un certo senso è davvero così.

Si fa strada in me, non mi lascia il tempo di oppormi, ma io non voglio

farlo. Desidero solo James qui, tra le lenzuola aggrovigliate di questo


vecchio

baldacchino tarlato, in questa stanza vecchia di secoli.

Sono un uomo, forse, e mi aggrappo a lui graffiandogli la schiena, mentre

mi ama con tutta la passione che può riversare nei suoi gesti. Lo supplico,
lo

chiamo.

E lui mi sorride, facendomi suo prigioniero.

Sentirlo muoversi, come se un domani non esistesse, come se ci fossimo

solamente io e lui e nient’altro a circondarci. E quando il piacere è troppo


forte,

socchiudo gli occhi e sorrido anch’io.

James mi usa a suo piacimento, dicono alcuni. Sfoga in me il suo bisogno,

ma io so che il suo è amore. Quando crol a su di me è davvero felice, ne


sono

più che certo, perché nessuno avrebbe un così meraviglioso sorriso dopo
aver

fatto l’amore, se non lo fosse.


– Buongiorno – mi bisbiglia al ’orecchio, facendo ronzare di piacere le

ghiere e i bulloni nel a mia testa, e io sono sicuro che lo sarà fintanto che gli

ingranaggi che mi tengono in vita funzioneranno.

So che lo faranno per molto tempo, perché io non sono un robot come gli

altri. Sono Abel e sono speciale.

Sono il prigioniero del mio amato creatore.

72

365 racconti erotici per un anno

UN bREvE DIaRIO

8 marzo

di Valentino Peyrano

(trovato in ospedale tra le cose del defunto Armando Belinel i)

Ci sono voluti due anni, da quando mi hanno dato l’incarico, ma al a fine

ci sono riuscito. La selezione per la festa è stata dura. Ieri mi hanno


sottoposto

al ’ultima prova: una perquisizione corporea e una serie di radiografie. Sono

risultato pulito e mi hanno subito portato al luogo del ’incontro.

Il locale era immerso nel a penombra. Sono entrato, completamente nudo,

nel a stanza del ’orgia. Era una sala ampia. La musica invadeva lo spazio.
Mi
sono avvicinato al centro, dove c’era un divano circolare. Alcune luci
permet-

tevano d’intravedere le figure in piedi. Erano tutti uomini, per lo più di


spalle.

Mugolii e gemiti s’insinuavano nel a musica.

Quando è arrivato il mio turno, finalmente l’ho vista. Stava sdraiata sul a

schiena, le gambe aperte permettevano l’intrusione a turno dei suoi stalloni.

Con le mani e la bocca cercava e dava piacere a coloro che in quel


momento

erano a portata. Lei non era più giovane, però si manteneva attraente. I seni

turgidi e le cosce lisce sarebbero bastate anche senza il viagra che mi


avevano

fatto assumere.

Sono entrato dentro di lei. Poi mi sono avvicinato al suo viso. Teneva gli

occhi chiusi ed ero contento che non mi guardasse. Le ho preso la testa da


die-

tro e lei ha seguito immediatamente l’invito. Le ho riempito la bocca del


mio

piacere. Il cuore mi batteva al ’impazzata, e non per l’eccitazione sessuale.


Ho

temuto che lo espellesse. Invece, ho visto chiaramente che ha deglutito,


prima

di afferrare il membro successivo.

Mi sono spostato più indietro. L’ho sentita arrivare al culmine. Non potevo
ancora allontanarmi, ma ormai avevo raggiunto il mio scopo.

Quando mi hanno lasciato uscire, mi hanno accompagnato con un pulmi-

no fino a Parigi. Ho preso un taxi e mi sono diretto al ’ospedale più vicino.

Ora ho capito che la conclusione non sarà quel a che speravo. La testa mi

scoppia, lo stomaco è un vulcano attivo. Nessuno è venuto a trovarmi. Ho


qua-

si perso l’uso degli arti, comunque riesco ancora a scrivere.

Ho sentito il medico dire che il mio corpo è pieno di veleno. Proveranno

con un’altra trasfusione.

Nel delirio, ho percepito una voce, al a radio, che annunciava la morte per

avvelenamento di Madame Blessy. Non hanno capito come sia successo, e


pre-

sto le faranno l’autopsia. Dicevano che era impossibile, ma io l’ho uccisa. Il

veleno inserito nel mio sperma ha raggiunto l’obiettivo.

Non riesco più a muovere la mano destra…

365 racconti erotici per un anno

73

lE cOsE vaNNO cOsì

9 marzo

di Paolo Grugni
Le mie ex mi passano a trovare una volta al mese. Non un giorno
prestabilito,

ma un giorno che va a loro. Il pomeriggio, di solito, verso le cinque. Il


mattino

scrivo degli Harmony sotto il nome di Joanna Blackwood, una ricca e


matura

signora di Nashville che si è fatta tutti i cantanti country del Tennessee e


sente

il bisogno di raccontare in che modo.

Le mie ex passano anche se ci siamo lasciati da anni e stanno con un altro.

Si svestono, spalancano le gambe e mi dicono scopami o fammi godere. E


io,

che sto guardando un film per vecchi con del a gente che bal a in saloni con

lampadari enormi o che sta uccidendo degli indiani ubriachi, le scopo senza

fare troppe domande. Veniamo, ci diamo un bacio stile stazione un mattino


di

nebbia e mentre loro si rivestono io guardo come va a finire tra due pettinati
e

truccati come bambole che hanno deciso di mettere su famiglia nel a


savana.

Un posto che non sceglierei mai.

Le mia ex di oggi è bionda, mentre quel a di settimana scorsa tende al

rossiccio. Questa è piuttosto alta, oltre un metro e settanta, quel a di


settimana
scorsa non arriva a uno e sessantacinque. Con questa capita che mi annoio,

mentre con quel a di settimana scorsa non accade mai.

Quel a bionda, non so come cazzo sia possibile, ha la figa che sa di Aperol
e

questa è la cosa che mi piace di più di lei. Starei ore a leccargliela, è come
stare

al bar senza tutta la gente intorno che guarda cos’hai preso.

Il fatto è che ho un cane che sta male da anni e andrebbe soppresso. Ma non

mi decido mai e al a fine, visto che sto quasi sempre chiuso in casa a
curarlo,

mi lasciano tutte. Prima di lasciarmi fanno un ultimo tentativo per salvare

il rapporto e mi dicono che sarebbe ora di porre fine alle sue sofferenze. Io

rispondo che se muore il cane, mi ammazzo così pongo fine anche alle mie
di

scrittore fallito. Allora lasciano perdere.

Non è vero, non mi ammazzerei mai, mi cago addosso per molto meno,

ma mi piace farglielo credere. Ed è per questo che tornano, per vedere se il

cane, che puzza sempre più di acetone, è ancora vivo. E se è vivo lui, sono
vivo

anch’io. E se sono vivo anch’io non c’è motivo per non farsi una scopata. Il

giorno che muore devo trovarne uno uguale da mettere al suo posto.
Potrebbe

anche funzionare.
74

365 racconti erotici per un anno

TORTURa

10 marzo

di Giorgia Anzalone

Si lascia sfuggire un mugolio più forte degli altri, quando lui le chiude le
braccia

forti attorno al a vita sottile e le sfiora il collo con le labbra, avvicinandosi

abbastanza da obbligarla a prendere atto del ’erezione prepotente che tende


i

jeans, e che lei non può proprio fare a meno di sentire, nonostante i
pantaloni

lunghi e larghi e pesanti che aveva indossato apposta per non sembrare così

attraente, per evitare che quel a serata finisse come finiscono sempre tutte le
loro

serate, fra le lenzuola, umidi di sudore, caldi di desiderio, avidi di carezze.

– Non allontanarti – le chiede lui, la voce roca e bassa, mentre scioglie un

braccio dai suoi fianchi per sbottonarle i jeans e scendere con due sole dita
fra le

sue cosce, sfiorando dal ’esterno le mutandine già bagnate di desiderio,


mentre

lei si morde un labbro con forza e getta indietro il capo, i ricci che si
spargono
ovunque sul suo petto e sulle sue spalle e gli pizzicano il collo,
costringendolo

a un ghigno metà infastidito e metà divertito. – Non puoi scappare.

Lei non risponde, non subito, almeno, e lascia che lui superi la lieve
barriera

di cotone umido che ancora tiene lontane le sue dita, per poi perdersi del
tutto -

occhi chiusi e respiro pesante - quando quelle stesse dita si fanno strada
dentro

di lei in una carezza sensuale e un po’ ruvida che le toglie le forze.

Si aggrappa al braccio che ancora la stringe, sperando che lui non intenda

lasciarla cadere, e non si stupisce davvero quando la sua presa si fa più

salda e il movimento delle dita meno concitato, proprio in corrispondenza

del ’aumentare di intensità dei suoi gemiti.

Si volta appena, cerca le sue labbra e lui le nega il bacio con un sorriso

presuntuoso.

– Mi stai torturando – ansima lei, sfiorandogli il profilo con la punta del

naso. – Ti odio.

Lui sorride ancora, tornando ad accarezzarla più velocemente.

– Non è vero.

365 racconti erotici per un anno

75
lE TRE DOmaNDE

11 marzo

di Cristina Angela Carisdeo

Le cose che non riuscivo a capire erano tre: come fanno a incastrarsi i nasi?
Da

che parte si gira la lingua? I denti si sarebbero scontrati?

Però avevo deciso: non volevo morire vergine. Per provvedere a queste
lacune

sfogliavo tutti i giorni le riviste a mia disposizione: Grazia, Cioè e anche


Famiglia

Cristiana. In un articolo avevo letto che era come mordere una mela.

Altre tre domande: ma non sarà doloroso? Anche lui mi morderà? Se mi

rimangono i segni mia madre se ne accorgerà?

Facevo le stesse domande al e mie amiche. Loro si mettevano a ridere. Ma


dai,

Marty, è una cosa naturale!

Sarà stato naturale, ma queste domande mi tormentavano.

Un giorno mi faccio coraggio e tutto d’un fiato chiedo a mia madre:


Mamma,

come si fa a baciare un ragazzo? Lei mi accarezza la testa e dice: Quando


sarà il

momento lo saprai.
Cominciavo a pensare che fosse una specie di segreto di stato. Perché
nessuno

voleva dirlo? E le altre come lo avevano scoperto? Forse su Sky c’erano dei

documentari. Ecco perché mio padre non aveva voluto Sky!

Al a fine mi sono detta basta. Ho comprato una Sim nuova, ho respirato a


fondo

e ho scritto il numero di telefono sul muro del bagno del a scuola. Sopra,
bene in

vista: Ragazza farebbe esperienza di baci. Roba da non crederci! La mattina


stessa

arriva il primo SMS: Sn pronto ankio. Doma in qst bagno h. 11.20.

Finalmente il primo bacio! Il momento che sognavo.

Lui è alto con i brufoli e quando mi vede, dice: Ah, sei tu? Speravo meglio.

Vorrei dire: Anch’io speravo meglio, ma invece, dico: Cominciamo?

Mentre lo chiedo penso: ecco un altro problema: l’altezza. Come ci arrivo


lassù?

Problema risolto. Lui mi fa: Mettiti in ginocchio! Forse perché è alto, penso
io.

Poi si slaccia i pantaloni e senza tante cerimonie lo tira fuori: Ora bacia
pure.

Se avessi a disposizione la macchina del tempo tornerei subito indietro di


un

giorno, ma ormai che posso fare?


Almeno il problema “scontro nasi” è risolto. Rimane la questione
“rotazione”.

In senso orario o no? Anche il problema denti non è secondario.

Ci penso un attimo e poi decido per il senso orario. Lenta o veloce? Mentre

ruoto la lingua penso: adesso lo dovrò baciare in bocca? Gli farò male?

E in quel momento un liquido tiepido mi riempie la bocca.

Deve essere sperma, penso.

Ed ecco le altre tre domande: Va ingerito o sputato? Se lo ingerisco

rimarrò incinta? Se lo sputo si offenderà?

76

365 racconti erotici per un anno

ROUlETTE

12 marzo

di Valentina Capaldi

– Spara, spara, spara! – scandiscono tutti.

Grey tiene il revolver sulle gambe e non riesce a smettere di guardarlo.

Merda, che situazione. Eppure fino a dieci minuti prima tutto era perfetto:

stava giù al casinò insieme ai suoi clienti e a diverse accompagnatrici


ingaggiate

per la serata. La sua era bellissima: una rossa con un abito talmente
essenziale
che quando si appoggiava addosso a Grey lui poteva sentire la pelle nuda
dei

seni attraverso la stoffa del a giacca. Poi a Brown era venuta l’idea di fare
un gio-

co più eccitante e aveva condotto tutti nel a sua suite, promettendo due
milioni

a chi avesse avuto il coraggio di spararsi con quel a pistola che aveva un
unico

proiettile nel tamburo: una possibilità di morte minuscola, ma concreta.

Nessuno aveva preso il revolver fino a che la rossa non lo aveva infilato tra

le mani di Grey.

– Prova – gli aveva detto; e Grey non era riuscito a rifiutare. Quella ragazza

aveva un’erre vibrante, piena e sensuale, e ogni volta che la pronunciava


Grey

era colto dal desiderio di saltarle addosso e strappare i pochi centimetri di


stoffa

che lo separavano dal piacere.

Quindi adesso avrebbe dovuto puntarsi l’arma al a tempia e premere il gril-

letto; solo che si è immobilizzato nella contemplazione di quell’oggetto


bello e

terribile; ed è talmente preso che quando la rossa gli si siede sulle gambe ha
un

piccolo sussulto.
Lei gli mette le braccia al collo e gli si stringe contro. Di nuovo, Grey
avverte

la pressione dei seni, morbidi e rotondi.

– Hai paura? – gli sussurra la rossa nel ’orecchio; poi, in maniera discreta,
gli

stuzzica il lobo con la punta del a lingua.

Grey deglutisce. Il profumo del a ragazza lo sta stordendo. La pistola che

tiene tra le mani trema; quel a che ha nei pantaloni si raddrizza con
decisione.

La rossa se ne accorge, e Grey la sente sospirare, languida.

– Spara, e io sarò il tuo premio – promette la ragazza. – In fondo hai cinque

possibilità per il piacere, e una sola, piccolissima, di morire.

Grey vorrebbe rifiutarsi, obiettare che la vita è più importante di una


scopata

con una puttana, ma il braccio gli sale da solo, e si ritrova la canna del a
pistola

attaccata al a tempia. Trema, e senza accorgersene comincia a piangere. La


rossa

allora gli lecca le lacrime, e Grey freme di piacere e di terrore.

È una follia premere il grilletto. Perché non spinge via quel a pazza che gli

sta attaccata addosso e non si sbarazza del a pistola? Potrebbe farlo, sì,
adesso

lo farà…
E poi, nel a suite, risuona lo sparo.

365 racconti erotici per un anno

77

clIO

13 marzo

di Fabio Lastrucci

Entrando nel locale per soli uomini, Saro sembrò restringersi dentro il
gessato preso in

prestito dal padre. La vista de “L’ultima Sirena” non somigliava a quel che
gli avevano

promesso per i suoi diciot o anni.

– Questa era la sorpresa, Leà? Nà fimmena che canta ‘u gè?!

– Abbassa la voce, cretino – fece il cugino dandogli una gomitata nel e


costole. -

Siediti e ascolta. Altro che jazz, siediti e ascolta.

Saro obbedì. Nel a squal ida sala in penombra, gli avventori fissavano
avidamente

l’at razione, una grassona compressa in un abito pieno di pajettes. Che


bidone.

– Leà… ma almeno si spoglia?

Leandro lo guardò divertito. Con un cenno, chiese un Campari per sé e una


spuma
per Saro. Del e note lente e sciat e, una melodia suonata troppe volte,
salivano dal

pianoforte di un greco barbuto.

Il ventilatore a pale ronzava. Il pubblico aspettava trat enendo il fiato. Poi,


la donna

sgranò i grandi occhi sporgenti per tril are la prima strofa.

Non era altro che un verso. Un profondissimo, primigenio, roco vocalizzo


che

sorgeva da un punto anatomicamente indefinito, più intimo e osceno di un


banale

apparato vocale. Saro si tese, la vista appannata dal ’eccitazione.

Le parole seguirono in un fiot o di suoni incomprensibili. Sensuali


agglomerati,

vibrazioni che evocavano mondi fat i di onde, pelle salata, profumo di


iodio.

Quel a canzone prendeva dominio dello spazio imponendovi il suo.

Bedda Matri, mi sta affatturando… pensò Saro. Percepiva a malapena il


dondolarsi

lascivo di Leo, i suoi mugolii. Il corpo non rispondeva più, mandandogli


assurde

informazioni da galleggiamento. Gli pareva di “nuotare” nel corpo di una


donna, una

sensazione più forte, più spiraliforme, più intensa di qualunque fantasia


sessuale. Era
stupendo. Annaspando in quel a musica, strinse il bordo del tavolino. Le
dita sudate

perdevano presa. Era l’ultimo ancoraggio in quel a che riconosceva come


realtà.

Sentì i fianchi farsi languidi. Sot o la cintola, qualcosa stava giungendo al


punto di

non ritorno.

Senza resistere, si lasciò andare al piacere, come tut i gli altri.

Allo scrosciare degli applausi, il pianista si cavò dalle orecchie i tappi di


cera

nascondendoli in tasca. Clio, intanto, si era allontanata in fretta per correre


nel a vasca

da bagno che l’aspettava sul retro.

La sirena aveva le sue esigenze.

Anche stavolta sarebbe toccato al greco inchinarsi a salutare. Poco male.


Dal

pubblico un ubriaco gridò: – Clio, mitica sei!

Lui sorrise. In effetti, come dargli torto?

78

365 racconti erotici per un anno

QUEl chE NON è DaTO saPERE

14 marzo

di Gianluca D’Aquino
La sera non tardò ad arrivare. Darcy rassettò il bavero e i ca pel i
scarmigliati. Un

filo di luce scivolava sotto la porta al agando il pavimento. Entrò. Lei era
adagiata

sul divano di pelle scarlatta, corpo candido e sinuoso, seno florido, lisci
capelli

cremisi, lascivi occhi verdi e bocca socchiusa in un conturbante sorriso. Le


calze

calate sui polpacci rivelavano piedi bel i ed eleganti. Reggeva un sandalo


nero con

unghie laccate del rosso del sofà. Le gambe aperte svelavano il sesso sottile
e rasato,

inumidito dal desiderio.

Passione, alcool e oppio mostrarono i loro effetti. Ernest, al e prese con due

ragazze, pensò di imbavagliarle e legarle e Darcy eseguì, seguitando a bere


e

fumare. Ebbro di piacere, Ernest cantava vecchie liriche plebee. Danae


gemeva

sotto i colpi di Darcy, che aumentò il ritmo del a penetrazione fino a godere.

Ernest continuò finché fu esausto.

Nel ’estasi del ’orgasmo si assopirono tutti.

Darcy si destò, infreddolito. Anche Danae, legata e con un foulard stretto

su naso e bocca, lo era. Un urlo scosse Ernest, che balzò in piedi: la ragazza
era
plumbea, gli occhi sbarrati, non respirava. Darcy cercò invano di rianimarla

– È morta! Darcy… morta!

Inorridito, indietreggiò fissando il corpo esanime

– L’ho uccisa… – sentenziò con voce rotta dal a disperazione.

Ernest affrontò la situa zione. Rivestì le ragazze, diede loro del denaro, le
mise

sul primo omnibus e le invitò a dimenticare, quindi avvolse il ca davere in


un telo.

– L’ho uccisa…

– Non hai ucciso nessuno, idiota! È morta da sola, anzi non lo è aff atto,
non è

mai stata qui! Dobbiamo portarla via!

Issarono il greve peso e lo misero nel baule del cocchio che scivolò fuori
città,

dai poderi nel fitto bosco fino al lago. La notte cedeva spazio al ’alba ma
avrebbe

ancora taciuto il misfatto. La nebbia fece il resto.

Il fiato condensava davanti alle narici dei cavalli.

Ernest aprì il baule e per un interminabile istante ne contemplò il macabro

contenuto. Lungo il tragitto aveva deciso come disfarsene.

Il fardel o fu legato a due grossi sassi e trascinato in acqua. Neppure il


timore

di essere scoperto spronò Darcy, oppure la consapevolezza doveva ancora


raggiungerlo. Quando il mesto involto fluttuò distante dal a riva, toccò ai
massi:

il primo lo inclinò, il secondo, con uno strattone, lo fece svanire


definitivamente.

Attesero che nul a riaffiorasse. L’acqua paludosa avrebbe celato il corpo per
il

tempo sufficiente, affinché nul a potesse ricondurre a loro.

Forse…

365 racconti erotici per un anno

79

a mE glI OcchI

15 marzo

di Simone Valeri

Non aveva saputo dirgli di no. Non poteva resistere a quegli occhi: azzurri,

intensi, predatori, l’avevano turbato fin dal primo momento. Forse non
erano

solo gli occhi, forse anche il tratto deciso e marcato del a mascel a, così
diverso

da quello di Sara... Chissà. Sta di fatto che non aveva potuto sottrarsi al suo

bacio, non aveva saputo dire di no al suo odore. Inspiegabilmente si era

ritrovato sdraiato, con la testa gettata al ’indietro da un incontrol abile


brivido
di piacere, mentre arcuava la schiena per esporre il corpo a quel tocco
sapiente.

Aveva compreso solo allora che non poteva dirgli di no perché non voleva.

Un gemito si liberò involontario dal a sua gola, mentre mani esperte

tracciavano il loro sentiero su di lui. Erano mani dal sapore forte, deciso,

maschile. Gli avevano massaggiato le spalle dolcemente, palpato il petto


con

bramosia, torturato i capezzoli con forza brutale. Poi, accompagnate da quel


a

bocca insaziabile, erano scese lungo l’addome, seguendo la linea dei


muscoli,

fino al suo ventre.

Con gli occhi appannati dal piacere, abbassò lo sguardo per poterlo

osservare, ma non gli vide il volto. Solo una testa piegata, inarrestabile, che

percorreva il suo sesso saggiandone l’asta con la lingua.

Chiuse gli occhi, ormai in balìa di quelle sensazioni. Gettò di nuovo la testa

al ’indietro e quando sentì i lombi contrarsi, incapaci di trattenersi oltre,


tornò

a cercare con lo sguardo il volto di chi gli regalava quel momento


d’edonismo

tangibile. Trovò i propri occhi schiavi di un paio di specchi azzurri, che lo

fissavano carichi di desiderio, proprio mentre l’orgasmo esplodeva


prepotente
e incontrol ato in quel a bocca straniera.

Leo lo fissò soddisfatto, accennando un timido sorriso, ma lui percepì

comunque un’ansia malcelata in quello sguardo che conosceva ormai

bene. Cosa doveva fare? Dirgli di sì significava buttare nel cesso una vita

di convinzioni, significava ammettere qualcosa di sé che non aveva avuto il

coraggio di sospettare. Significava dire addio a Sara. Per sempre.

Dirgli di no, invece, significava sperare inutilmente di dimenticarlo,

il udersi di aver vissuto solo un’avventura.

L’incertezza sembrò durare eoni.

Furono gli occhi a dargli la risposta: la forza di quel ’orgasmo era lì dentro,

era in quel ’uomo che gli stava di fronte, nudo ed esposto in tutto il suo

splendore. Quegli occhi lo avevano ucciso e ora gli offrivano la possibilità


di

ritornare al mondo.

– Fabio… – tentò Leo.

Lo zittì. Lo trasse a sé e lo baciò convinto.

80

365 racconti erotici per un anno

vUOTa DENTRO

16 marzo

di Michela Arnese
I nostri corpi sono ormai degli sconosciuti. Mi guardi e dici che sono
l’unica nel a

tua vita. Sono confusa da queste tue parole. Ti ho affrontato esigendo


sincerità.

Se tu mi avessi detto che era tutto finito, io l’avrei accettato.

Ma non questo! È l’inferno in terra, che mi lacera, mi annienta senza


lasciare

ferite. Vivo nel continuare a desiderarti e sentirti a me straniero. Sono


tormentata

dal pensiero che tu sia di un’altra donna. E ogni volta che scorgi il dubbio
nei

miei occhi, mi ripeti che sono la sola. Mi hai torturato piano fino a oggi.
Sono

morta e risorta più volte e sempre credevo fosse l’ultima.

Fino a quel a festa.

Fra la gente che bal ava era impossibile non vederla: rosse le scarpe, rosso

l’abito che la fasciava stretta, rosse le labbra che ti sorridevano sfacciate


tradendo

la vostra complicità. Ho visto il tuo sguardo infiammarsi mentre lei passava

altera davanti a noi. Il tuo corpo fremeva spudorato davanti a me.

Mi hai dato la verità in modo disonesto.

In un secondo sono stata travolta da tutte le angosce che un umano può

sopportare. Mi sono scoperta arida. Non provavo più nul a. Ero vuota
dentro.
A dispetto di tutto, ora ero più forte.

Ora so di cosa sono capace. Un biglietto che t’invita in una camera


d’albergo.

Ad aspettarti ci sono io, vestita come lei quel a sera, stessa capigliatura e
una

maschera in pizzo nero che mi copre il volto. Quando entri non ti sfiora
nessun

dubbio: ero lei. Ti spogli con urgenza.

Mi ritrovo con le tue mani sul mio corpo, mi alzi l’abito, mi sfili le scarpe,
il

perizoma. Con forza mi apri le gambe. Il tuo viso tra le mie cosce. Con la
lingua

cominci a giocare col clitoride, fino a farmi godere.

Entri in me con violenza. Presa dal a pura eccitazione inarco la schiena. I

nostri corpi sono di nuovo uniti in quest’atto brutale. Sono piacevolmente

sottomessa al a sua furia. D’un tratto ti fermi, ansante: sento il tuo sesso
pulsare

nel mio. Stai per finire. Mi sfilo dal a sua stretta e te lo prendo in bocca. Le
mie

labbra e la mia lingua si muovono frenetiche. Ti fai sfuggire gemiti di


piacere

sempre più forti mentre lo muovo ritmicamente.

Mi prendi il viso tra le mani facendomi cadere la maschera. Ti irrigidisci, il

volto atterrito dal a scoperta. Ti ricomponi, sperando di ingannarmi ancora.


Sperando che continui.

Rido di te, del a situazione in cui ti ho portato. Rido del tuo membro ancora

eretto che implora soddisfazione.

Mi abbasso il vestito e, infilate le scarpe, me ne vado.

365 racconti erotici per un anno

81

YOkaI (l’aPPaRIZIONE)

17 marzo

di Valentina Tesio

Lo premetti con energia: ARRESTO. Volevo che l’ascensore si bloccasse in

quel ’istante. Chi era quel a donna vicino a me? In fin dei conti la palazzina

in cui vivevo contava pochi volti noti. Strette in un jeans e una canotta nera

sembrava che le sue forme audaci stessero per esplodermi addosso. Nel
’aria

si percepiva una lieve essenza di loto sprigionata dal a sua pelle chiara, e io

ansimavo.

La presi per un polso e la gettai violentemente contro lo specchio;

probabilmente le feci male, ma la mia bocca ormai premuta contro la sua

sussurrava solo: – Geisha.

Lei, che prima rimase impietrita, portò la mia mano sul suo seno sodo, i
cui capezzoli inturgiditi mi invitarono a premere il corpo contro il suo;
l’avevo

immobilizzata e la sua figura enigmatica si era piacevolmente arresa. I suoi

lunghi capelli neri e corposi, adagiandosi sul mio volto, mi donarono il suo

piacere in gocce di sudore.

Annusavo la sua pelle sempre più nuda, le sfilai la canotta e il passo per

slacciare il reggiseno fu rapido: in mano stringevo quel seno liscio come


una

pesca, non era di grossa taglia ma la tentazione di morderlo fu talmente


forte

che per me fu impossibile bloccarmi; nel mio orecchio la sua fievole voce,
in

alcuni istanti più roca, ansimava. Era troppo tardi per fermarci; i suoi occhi

obliqui si diressero verso la mia cinta, e così le sue mani. Mi toccava e io la

toccavo. – Geisha. Toccami.

Lei, muta, sembrava obbedire a taciti desideri, creando in me un piacere

recondito. Nel ’ascensore si gustava il bruciore che si prova dopo un


assaggio

di Wasabi… solo che io non l’avevo solo assaggiato, lo stavo divorando;


non

ero cosciente di tutte le sensazioni che invadevano gli involucri dei miei
resti

esausti.
Lei, instancabile nel provocare piacere in un uomo, fu in grado di non far

cadere l’erotismo creato con semplici preliminari; non ci fu mai bisogno di

spogliarsi del tutto.

Senza accorgermene l’ascensore riprese la sua salita verso il quarto piano.

Cercai di ricompormi. Uscii dal a cabina e la porta si chiuse. Riaprii,


l’interno

era vuoto, guardai lo specchio con solo le mie impronte. Mi guardai i


pantaloni

al ’altezza dei genitali, mi coprii con la valigetta da lavoro: non potevo


entrare

in casa mostrando la macchia del a mia virilità. Infilai la chiave nel a toppa
e

trovai mia moglie in cucina; la monotonia aveva preso di nuovo possesso


del a

mia mente, ma quanto avevo goduto in quel ’ascensore… mia moglie,


stupida

donna, non poteva neanche immaginarlo.

82

365 racconti erotici per un anno

l’INcONTRO

18 marzo

di Jundra Pinelli
Desiderava da tempo incontrarla, non gli bastava più ammirarla sulle
riviste.

Pochi minuti e sarebbe stato sicuramente soddisfatto per il resto dei suoi
giorni.

Era pronto ad affrontare la concorrenza di mille altre persone che erano ai


suoi

piedi; molti si accontentano di vederla al a luce del mattino, altri, come lui,

fanno di tutto per estasiarsi in un momento serale.

È di notte che lei dà il meglio di sé. Sempre al solito posto, ma da


qualunque

parte la si guardi è sempre bel a e affascinante. Le sue gambe lunghe e


sinuose

le danno la forza di stare sempre eretta e di guardare avanti, senza curarsi

dei commenti del a gente. Sono gambe forti, sode e lucide. Dal ’alto del suo

sguardo, vede i suoi tanti ammiratori e forse si prende anche un po’ gioco di

loro.

Con la telecamera risaliva dai piedi verso la testa, fermandosi al ’altezza

del a vita, per riprendere il suo ventre: voleva essere in quel ventre. Voleva

entrare in lei. Non sentiva i rumori intorno, non gli importava più niente,
ormai

gli mancava poco per essere il suo amante. Aveva pagato, era il suo turno,
gli

batteva forte il cuore. Continuava a filmare in modo maniacale quel ’atto


quasi
d’amore, incantato dal a sua fermezza e bellezza. Aveva qualcosa di
magico.

Era entrato in lei. Risaliva il suo corpo con tutto il fiato che aveva. Le sue

mani sudavano ma continuavano a toccare ogni centimetro del a sua pelle.


Lei

era lì per lui, per farsi fotografare e toccare.

Non gli bastava, adess,o essere giunto nel ventre di lei. Voleva un rapporto

completo, prendere la sua mente e vedere con i suoi occhi. Risalì


velocemente

fino a unirsi pienamente a lei.

Era perfetta con il suo corpo statuario che luccicava. La notte rendeva

l’atmosfera ancora più eccitante. Anche lui, come lei, era elettrizzato. La

prima volta per lui con lei. Forse l’unico loro incontro, anche se lei è
sempre

là, per lui, per tutti quelli come lui. Si godeva appieno l’immagine di lei
nuda,

il uminata dai flash. Era riuscito a farla sua. La stava possedendo, non
voleva

uscire dal suo corpo, si era rilassato ed era in uno stato di trance,
l’abbracciava

e l’ammirava.

Ma come tutte le sere a mezzanotte lei rimane là per tutti e non si concede

più a nessuno.
Non voleva abbandonare quel piacere che lei gli dava ma una divisa grigia

lo richiamò al a realtà: – Monsieur, descendez, s’il vous plaît. L’horaire de


visite

de La Tour Eiffel est terminé.

365 racconti erotici per un anno

83

la PasTIccERa

19 marzo

di Elifucci

Fermati anche questa domenica. Le tue scarpe non reggeranno l’ennesimo


ac-

quazzone. Somigli a un calzolaio, mani collose tra tacchi ciondolanti e


ciabatte

storte. Oscilli paurosamente.

Eccoti davanti la mia pasticceria. Osservi la vetrina.

Sorrido, chissà da dove, al ricordo del primo giorno, quando non riuscivi a

scegliere. Avevo troppo da offrirti, come se conoscessi già i tuoi gusti.

Ti ho trasformato in un ragazzino malizioso. Mi guardavi da dietro la vetri-

na. Mi sono divertita a far crescere il tuo lentissimo piacere. Rapida


premevo il

bacino contro il vassoio. Eri eccitato se toccavo lo zucchero.

Ci siamo amati in una settimana di pioggia, mischiandoci al a crema di


ricotta. Lingue sciolte in bocche sconosciute.

Apri il mio ricordo ancora una volta, spiegalo come nitida fotografia.

Nuda donna, frivola pasticcera, sono questo per te?

Donna nuda, artista pasticciata, George Vernon mi avrebbe sicuramente

amata. Toccami. Impazzisci. L’odore dei cannoli è di nuovo forte dietro il


vetro.

Ecco la mia schiena nuda, le tue ginocchia sulle maioliche azzurre. Il mio
seno

strisciato di canditi succhialo, ti offro effimero piacere.

Scendi di nuovo gli scalini del a mia pasticceria. Sei scalini di bottega, pre-

meditati, sei scalini culo a terra. Sei scalini scivolati in chicchi bianchi, ciao

oggi è domenica!

Letto damascato le mie palpebre socchiuse, cielo rosso spina, nero ambrato,

unghie cerase, affilate come coltelli; bocche umide e ritorte, mani al acciate
in

pochissime smorfie. Le tue note nelle mie curve. Amplesso consumato sotto

un grembiule, come candido sudario.

La pioggia batte forte sul ’asfalto anche questa sera. Non te la senti di torna-

re a casa? Guardi la mia bottega. È già di qualcun altro?

Gatta nera ti graffio, rosa secca ti cerco, pomice grigia finemente spiegata,

sono di nuovo in te. Il tuo alito è caldo, accovacciato. Viene su da questa


terra
bagnata. Respiri la mia lingua che succhia, mordi i lacci che strappo.

Nel a farina d’avorio lucente, sparsa sui gradini del a bottega, cerchi le mie

piccole gocce di cioccolato, le bucce d’albicocca.

Nel a nuova vetrina sistemo anche oggi i cannoli del a domenica. Ciascuno

prenderà il suo, linea finissima d’acqua e terra.

Scivola, scivola nel mio pube bianco damascato.

Le mie dita, ora, al tuo pensiero, più forte stringono l’oro lucente di questo

nastro. Sotto ci sono io, chissà dove, disciolta in questo vassoio di


pasticceria.

84

365 racconti erotici per un anno

RIsvEglIO

20 marzo

di Fiorenza Flamigni

Lunedì. Ho cerchiato il giorno sul calendario del a cucina.

– Cosa devi fare, mamma? – mi ha chiesto Chiara, a colazione.

– Ricordarmi di pagare una bolletta – ho risposto e lei mi ha guardato con


gli

occhi strizzati; sembrava poco convinta, sa che di solito quelle incombenze


spettano

a suo padre, ma non ha replicato.


È per giovedì, quando Chiara e Nicola iniziano le lezioni. La casa sarà
vuota

senza i ragazzi, ci sarà solo odore di cibo.

Mi frul a la solita idea per la testa, e intanto in moviola si snocciola la storia


del a

mia vita. I primi tempi con Gabriele, quando le cose andavano bene, i figli
piccoli e

la gioia di vederli crescere, i miei genitori ancora giovani e belli.

Manca poco, ormai, penso al a fine del flash back.

Giovedì. L’auto è rimasta fuori tutta la notte e ci ha messo un po’ a partire.


Non c’è

molto traffico e arrivo in dieci minuti. Accosto e spengo il motore, poi mi


accendo

una sigaretta e aspiro chiudendo gli occhi, con la nuca incol ata al
poggiatesta.

Non ho il coraggio di farlo. Ma sì, invece, e scendo decisa. Getto la


sigaretta e la

schiaccio con la punta del a decolté rossa. Mi sono vestita bene, le gambe
sembrano

più lunghe, inguainate nelle calze scure con la cucitura dietro, e la gonna
stretta mi

assottiglia e mi slancia. Entro senza bussare, ho il badge.

– Salve! – Un sorriso, poi lo sguardo insostenibile di quel ragazzo si sposta


sul
mio seno. Mi porge una maschera nera, di seta, che applico al viso. È la
regola, den-

tro i salotti si è solo carne, corpi senza volti, muscoli e pel e, sensazioni
d’immagini.

L’atrio è circolare, pareti bianchissime e mobili argentei. Sette porte, di


colori diversi,

interrompono il cerchio del a parete.

Scelgo la porta rossa. L’uomo è seduto di spalle, ma sente il mio odore e si


volta di

scatto. Rido sommessamente, in preda a un’eccitazione profonda.


Finalmente!

Ha una maschera di cuoio e uno strano costume di pel e che lascia scoperte
le

natiche. Mi afferra e mi gira, poi mi fa scivolare sui polsi manette di stoffa e


sento il

suo organo teso che preme da dietro. Un brivido che parte dal basso, uno
squarcio

che apre il mio fiore imperlato di rugiada.

Venerdì.

– Sei di buon umore – dice Gabriele con aria sospesa. – Non ti sentivo
cantic-

chiare da un sacco di tempo.

– Sarà la primavera – rispondo. – Il risveglio del a natura.

Ho gli occhi che bril ano e li tengo abbassati, piegando appena le labbra in
un
compiaciuto sorriso. Domani... la porta viola, penso.

365 racconti erotici per un anno

85

lO scambIO

21 marzo

di Simone Carabba

– Scambio – ordinò una voce metallica.

La luce al ’interno del a bol a divenne fucsia e alcuni profumi esotici ne

invasero l’interno. I lampi aumentarono a dismisura, ricoprendo per intero

il corpo dei ragazzi, e la forza di gravità scomparve. Era la prima volta per

entrambi. Lui cominciò a toccarle i capezzoli e a sfiorarne il sapore con la

lingua, leccandone l’essenza di rosa. Sentiva il vel uto del a sua pelle liscia.

Osava ogni tanto sconfinare fra le sue gambe, carezzando l’interno coscia

per poi arrivare al a vagina. Lei si lasciava pervadere da quelle attenzioni

carnali, cominciando a godere dietro gli occhi. Cambiarono ancora


posizione,

trovandosi fluttuanti in un sessantanove volante. La lingua rossa di Erika

cominciò a stuzzicare il glande con la sua ruvida voglia. Il pene di Adam

divenne definitivamente duro e turgido, pronto a essere imboccato da labbra

fameliche di piacere. Lui la leccò dal ’ombelico al ’inguine. Cambiarono di


nuovo. Adam le al argò le gambe e la penetrò, perpendicolare alle sue
voglie.

Lei sentì il pene entrare lentamente, toccando le piccole labbra fino alle
grandi,

per il bacio di un doloroso istante. Il piacere si spostò nel ventre, toccando

lidi caldi. Le dita si strinsero sul a pelle dei fianchi. Un su e giù prima lieve
e

poi veloce accompagnò il godimento del a ragazza, conquistando i nervi


fino

al cervello. Odori di frutta, colori d’arcobaleno. Il pene entrava e usciva


dalle

profondità del grembo, spingendo fuori lamenti di piacere. Vennero


insieme.

Lo sperma scivolò come seta su un letto di carne. La bol a si accese di una


luce

bianca e intensa. I lampi scemarono lentamente, staccandosi dal a pelle. Gli

odori svanirono e la gravità ritornò lenta. Un rumore secco di ingranaggi fu

preludio al ’apertura del a bol a. Adam ed Erika uscirono, ancora frastornati

da quel ’esperienza afrodisiaca, mistica.

– Scambio avvenuto correttamente – disse la stessa voce robotica. – Fra


poco

tornerete definitivamente uomo in uomo e donna in donna. L’effetto


potrebbe

perdurare per circa dieci minuti. La SeXperience vi invita a tornare per


provare
le altre decine di esperienze di scambio mentale (sensoriale, emozionale)
proposte

dal a nostra azienda. Arrivederci.

– Ho voglia di coccole – disse lui.

– Adesso capisci perché mi dà fastidio quando finisci e te ne vai a guardare

la televisione? – replicò lei.

– Già.

86

365 racconti erotici per un anno

hIsTOIRE N. 3

22 marzo

di Ramona Corrado

R. uguale O. Non è questione di alfabeto o di equazioni. R. vuole diventare

come O. in Histoire d’O n. 2. Sorvolando sul ’esistenza di un volume


precedente

in cui O. scopriva di poter diventare, godendone, oggetto di raffinate


violenze

sadomaso (fruste, sodomie, col ari e catene), R. adora la O. fredda


dominatrice

a cui nessun uomo, donna o animale, può resistere.

Si esercita da mesi. Niente biancheria: gonne, calze velate, giarrettiere e


tacco 14. Depilate a zero le parti intime. Imparare a sedurre con lo sguardo
pur

senza i celebri occhi verdi di O.

Ora è arrivato il momento: comincia la Histoire n. 3. Oppure, volendo,

la Histoire de R n. 1. R. ha in mente la scena iniziale del romanzo, quel a

del ’ascensore. L’avvocato del quinto piano entra ignaro nel ’ascensore a
piano

terra. Mentre la porta si richiude una mano inguantata la blocca. R., in


tailleur

Armani e tacco stiletto, entra nel a cabina come se entrasse al Ritz di Parigi.

Senza interpel are l’uomo, schiaccia il pulsante del ’attico. Si volta verso di
lui,

ma è un errore. O. conquista la sua vittima in pochi secondi, e al ’inizio


neppure

la guarda. R. invece incontra lo sguardo del ’uomo e di colpo le manca il


fiato.

Una fiamma gli brucia negli occhi neri e un sorriso diabolico storce appena

un labbro che più sexy non si può. Un liquido denso le scende caldo dal
sesso

lungo le cosce nude, bagnandola tutta. È eccitata già al primo piano.

O. porta l’uomo al piacere con un sapiente gioco di mano nello spazio di

una salita di 40 piani. Qui i piani sono10, ed è l’uomo che si avvicina,


mentre

lei si ritrova con le spalle al muro.


Terzo piano.

Se si seguisse il copione, R. ora dovrebbe iniziare a masturbarlo con


maestria,

inchiodandolo con lo sguardo. Invece è lui che la inchioda al a parete, le


infila

con decisione la mano sotto la gonna, trovando un sesso aperto, bagnato,

pronto a tutto. Gli basta sfiorarlo. R. precipita in una violentissima


contrazione

di piacere che non può nascondere. Lui le intima il silenzio.

Quinto piano.

L’uomo ora la volta, la fa piegare in avanti con le mani al a parete; le alza la

gonna, la penetra deciso e rapido.

Settimo piano.

Al nono, lui viola anche l’ultimo orifizio e la inonda col suo seme, mentre

lei si contorce in silenzio tra dolore e piacere.

Attico.

L’avvocato scende, elegante e composto. R. resta nel ’ascensore, seminuda,

soddisfatta: dopotutto, forse la prima parte di Histoire d’O è la migliore...

365 racconti erotici per un anno

87

RITUalI PER UN aDDIO


23 marzo

di Alessandro M. Colombo

Quanto mi piaci, amore.

I tuoi occhi, cristalli di smeraldo, fissi nei miei. Posso leggervi la risposta
che

mi taci. I tuoi capelli color liquirizia, dal profumo di mela verde, delimitano
il

tuo viso ovale e disteso. La pelle come neve caduta in una valle disabitata.
Le

labbra di un carminio appena stinto, così sincere. La bocca dischiusa come


se mi

avessi mormorato una parola d’amore, o avessi emesso un gemito di


piacere.

Shhh. Non dire niente.

Le mia dita scorrono sul a tua pelle dolce come un panno di vel uto.
Sfiorano

i piccoli seni e si soffermano a giocare con i capezzoli.

Non è forse un sorriso quello che vedo scintil are nei tuoi occhi estasiati?

Tu sai quanto mi piaci.

Avvio lo stereo. “Sonata in C Minore” di Pescetti. Note dolci e


malinconiche

svolazzano come farfalle multicolori intorno ai nostri corpi così vicini.

Ti accarezzo il viso e i capelli. Oh, non fissarmi così! Sei irresistibile; e


io non posso fermarmi. Mi chino. Ti sfioro con le labbra la fronte liscia. Ti

bacio, socchiudendo gli occhi, assaporando i tuoi profumi e il tuo sapore.


Un

secondo bacio, poi un terzo. Scendo, sfiorando la curva delicata del naso;
fino

a incontrare le tue labbra con le mie. Allora mi fermo. Sospeso su di te,


lascio

la memoria rievocare la tua voce, i tuoi sospiri, le tue risate. Suoni


carezzevoli,

che si rincorrono dentro le mie orecchie, ombre di nostalgia che gravano sul

mio cuore. Sento le lacrime prendere forma tra le mie palpebre. Una,
solitaria,

scivola fuori e ti cade sul a guancia.

No! Non muoverti, non dire nul a. L’asciugherò io, suggendola con infiniti

baci. Il tuo sapore sul mio palato e il tuo profumo nelle mie narici. Ti apro

la bocca, con delicata fermezza. Lascio che la mia lingua s’incunei tra i tuoi

denti, al a ricerca del a tua. Quando la sfioro, fredda e immobile, una scintil
a di

eccitazione mi infiamma i lombi e il membro.

Le mie mani scorrono sul marmo freddo del tuo corpo. Affrontano le

asperità dei tuoi seni e percorrono la vastità del tuo ventre, fino a scivolare
tra
le pieghe gelide e asciutte del tuo sesso. Non posso resistere oltre. Lascia
che ti

possieda un’ultima volta.

Un adagio di Vivaldi giunge a scandire questo conclusivo convegno

d’amore.

Chiudo gli occhi e affondo con tutta la mia virilità nel ’algido mare del tuo

ventre. Non posso fare a meno di mormorarti se sai quanto ho amato il


calore

del tuo sangue.

Se sai quanto mi piaci così, raggelata nel ’abbraccio del a morte.

88

365 racconti erotici per un anno

Il salE DElla vITa

24 marzo

di Marzio Biancolino

– Ciao nonnina! – salutò Letizia sporgendo una mano festante. Con l’altra
regalò un

morbido tocco al pube di Antonio, che stava arrestando l’auto davanti al a


villetta.

– Sozmel! Proprio puntuali siete! – notò compiaciuta la vecchietta,


strappando

un’ultima foglia avvizzita da un vaso di violette.


– Un vero fiore tra i fiori, la mia nonnina! – dichiarò Letizia nel cingerla in
un

grande abbraccio.

Antonio si fece avanti con una sporta del a spesa. – La trovo in splendida
forma.

– Avete portato anche i miei dolcetti speciali?

– Ma ti pare che proprio oggi me ne sarei dimenticata? – insorse Letizia con


arte-

fat o rimprovero. – Dài, che mentre Antonio sistema tut o nel frigo, io e la
mia nonni-

na andiamo a contarcela in veranda.

– Ma c’ho ben il risot o da curare! – protestò lei.

– Ci penserà Antonio. Anzi, con una giornata così, perché intanto non
preparia-

mo fuori?

E così fecero. E quando Antonio chiamò la cot ura ultimata, la nonnina


volle che

si scambiassero le parti: adesso si sarebbe accomodato lui a tavola e


avrebbero servito

loro, non prima di aver dato in cucina il tocco finale al risot ino.

– Quanti cubetti me ne hai portato? – si informò subito la nonna.

– Cinque. E per un mesetto ne hai abbastanza – disse Letizia nel passarle


dal free-

zer un dado bianchiccio.


Posandolo sul tagliere, la vecchietta si apprestò a tagliarlo in scaglie fini. –
Sozmel! E

pensare che fino a un po’ di tempo fa riuscivo ancora a cavarmela da sola…


– accennò

con un velo di rimpianto. – Te però, non te ne dimenticare, Letizia! Con la


tua povera

mamma ci avevo provato di nascosto, ma mica ha funzionato. È proprio un


bel miste-

ro che questo fat o capita solo a una generazione sì e una no: la mia nonna è
morta che

aveva centoset e anni, e anche prima era sempre così tra le primogenite del
a nostra

famiglia. È come una medicina, un bel cucchiaio di sborrina al a set imana,


con tut e

quelle belle vitamine che ci sono dentro e con tut a la vita che ci frul a
insieme…

– Ma cosa fai? – la interruppe Letizia. – A tutto il risot o lo aggiungi?

– Mo va là, che fa mica male! – e si avviò al a veranda con la pentola


fumante. E

at accarono a mangiare di gusto.

– Un sapore davvero speciale – commentò Antonio dopo qualche


forchettata di

studio. – Ma qual è il suo segreto?

– Be’… – indugiò la vecchietta fissando la nipote – diciamo che è il sale del


a vita!
– E allora tanti auguri al a nonna. Cin cin e cento di questi giorni!

– Ma sicuro! – esclamò la vegliarda levando il bicchiere. – Che così ne


faremo

duecento. Sozmel!

365 racconti erotici per un anno

89

PaROla D’ORDINE

25 marzo

di Nunzio Donato

– Va bene così?

Lei mi guarda. Ha una faccia strana, a metà fra l’arrabbiato e il divertito.

Forse le sto facendo il solletico.

– A dire il vero, no. Non va bene per niente – mi risponde, sempre con

quello sguardo ambiguo.

Ah, be’, io non so che altro inventarmi. Prima si sbottona la camicetta, si

toglie il reggiseno e poi mi piazza una tetta in mano e dice: Divertiti!

Al ’inizio l’ho palpata senza convinzione. È piuttosto grande, nel a mano

non ci sta tutta, però poi l’ho trovata molto morbida. Più di quello che pen-

sassi. No, be’, in effetti non ho mai pensato a come poteva essere, ma dopo
un
po’ che ero lì a pastrugnare, mi è venuta in mente quel a pallina che sta sul
a

scrivania del dottor Pivani. Quel a che lui schiaccia e trita mentre mi fa
delle

domande. Una volta me l’ha fatta usare, ed era proprio morbida come la
tetta.

Lei mi sta ancora guardando, solo che ora non sembra più arrabbiata. Ha

gli occhi che ridono.

– Aha, ho capito! – mi fa, avvicinandosi. – Sei vergine!

Mollo la tetta e le mostro il pendente che porto al collo.

– No, ariete! – dico con una punta di orgoglio. Lo so perché la Donatel a mi

ha fatto l’oroscopo. E mi ha anche detto che il mio è un segno di fuoco.


Passio-

nale, energico, magnetico. Uno di quelli più tosti.

– Ariete? – Lei ha lo sguardo confuso. Non sembra capirne molto, di oro-

scopi. Ma perché ha tirato fuori l’argomento, allora?

– Ma ci sei o ci fai? – Si alza di scatto e si allontana. Caspita, viste da lon-

tano, le tette sono davvero enormi e si muovono come se fossero vive. E ora

sembra che siano loro a guardare me, con quegli occhietti rossi e puntuti.

– Perché sei qui? – Solo rabbia, sul volto.

Io alzo le spalle. – Per il latte – dico. Per che altro?

– Latte?
Annuisco. – Ghigo mi ha chiesto se volevo qualcosa da bere, e io ho detto

sì, ho voglia di latte. Allora lui e Fede si sono guardati e poi sono scoppiati
a

ridere. A me il latte piace molto, ma non mi fa ridere, però ho riso anch’io.


Così

siamo venuti qui e Ghigo mi ha detto: vai su, e quando lei ti apre, dì con
voce

chiara: Ho voglia di latte! E poi le dai subito 50 euro.

– Oh, Signùr… – fa lei, coprendosi con la camicetta.

– Io ci ho provato, davvero, ma di latte non ne è uscito neppure una goccia.

Mi dispiace. – Mi alzo e la guardo, speranzoso. – Non è che ce l’ha in


bicchiere?

Sa, come quello al bar?

90

365 racconti erotici per un anno

laURa

26 marzo

di Gianluca Merola

Appoggia i gomiti al tavolo di legno e unisce le mani davanti al viso,

poggiandoci la fronte sopra. Ha le gambe unite e ben tese, le caviglie sono

flessuose e perfette. Il bianco del a pelle contrasta con la vernice lucida


delle
ballerine rosse. Mi offre il culo agitandolo lentamente. In questa posizione è

troppo alta per me, le natiche mi arrivano al petto, nonostante sia piegata sul

tavolo e io sia in piedi. Mi dice di cominciare, mi dice che ha voglia. Sento


le

guance e le orecchie andare a fuoco. Mi metto dietro di lei e aspetto che mi


dica

cosa fare. Questi sono i patti: io non posso prendere iniziative, rovinerei
tutto.

Lei impartisce ordini, io eseguo. La sua pelle profuma di dolci, di sicuro ha

messo la crema al a vaniglia. Stacca un gomito dal tavolo e al unga una


mano

al a ricerca del a mia, portandola a sé. Gliele metto entrambe sul sedere,
sodo

come quello di una ragazzina, e comincio a muoverle come mi ha


insegnato,

esercitando una discreta pressione. Niente carezze, non le piacciono. Devo

affondarci energicamente le dita e le unghie. A lei piace così. C’è silenzio,

intorno a noi. Dalle pareti sottili filtrano rumori di vita domestica: posate,

bambini che giocano, televisori accessi. Laura mi dice di tirarmi giù i


pantaloni

e io lo faccio, li abbasso fino alle caviglie senza toglierli. Comincia a


toccarsi

con il medio e l’anulare. Da dietro riesco a vederli fare su e giù


ritmicamente, le
vedo la fede comparire e sparire. Non riesco a non concentrarmi sul a
bellezza

delle sue unghie lucide. Sul a punta hanno una virgola di smalto bianco

perlato, dal tratto preciso. Senza voltarsi al unga il braccio fin dietro la mia

schiena, attirandomi a lei. Il suo corpo disegna un angolo sensuale dai


contorni

regolari e flessuosi, come una lesione in un vetro spesso. La sua pelle scotta
così

tanto che, quando la tocco, vengo scosso da un brivido. Flette le ginocchia

per abassarsi un po’, solo così riesco a entrarle dentro. Mi piace, prima non
lo

avevamo mai fatto così. Il tavolo prende a battere contro la parete. Un po’
al a

volta, i colpi si avvicinano tra di loro. Le pareti sono così sottili che mi
sembra

di poter sentire addosso gli sguardi maliziosi dei vicini di casa. Laura
emette

un grido strozzato che le spezza la frenesia del respiro, dispensando silenzio

tutt’intorno. Adesso sono io a bruciare dentro.

– Oggi sei stato davvero bravo. Meriti un bel regalo.

– Sul serio?

– Tesoro, mamma dice sempre sul serio.

365 racconti erotici per un anno


91

cOsE IN cOmUNE

27 marzo

di Effetto Neve

L’ho trovato fra i tuoi amici di Facebook, l’ho contattato e ho provato a


sedurlo. Devi

imparare a essere più discreta! Due ore fa, a casa sua, ho provato per la
prima volta la

sensazione di un cazzo che entrava nel buco del culo come un coltello nel
burro.

– Dimmi che sei una troia.

Sì, in effetti ho fatto la troia, gliel’ho detto. Poi gliel’ho urlato, per incitarlo
ad

andare più veloce. È venuto in fretta, ma altrettanto in fretta ha


ricominciato. Voleva

il bis, si vede che ho un bel sedere.

Avrà fatto così anche con te, piccola mia?

L’hai cercato perché non eri più felice col tuo uomo, quello che al ’inizio
volevi

sposare. Quello con cui volevi passare la vita assieme, al ’improvviso non ti
bastava

più. Hai guardato un po’ di annunci, te lo sei scelto come piaceva a te. Una
mail, poi

Facebook per vedere le rispettive fotografie, quindi le telefonate notturne.


Ti sei sentita eccitata quanto me quando ti ha fatta sdraiare sul suo letto? Ti
avrà

usata così? Ti sarà piaciuto?

Con me ti piaceva?

Mi chiedo come si faccia a non morire quando si perde la cosa più


preziosa…

no, tanto poi scopri che così preziosa non era.

Ripercorro tutta la scena: la seconda volta, il “bis”, come lo chiama lui.


Dopo aver

iniziato mettendosi le mie gambe sulle spalle, mi chiede una pecorina. È già
venuto

sul a mia pancia, ora manca il battesimo del a schiena.

– Dai, chiamami per nome mentre vengo… dimmi che sei la mia puttana.

– Oh sì Daniele, vieni… godo… sono la tua puttanel a che vuole farsi


inculare.

Un’eiaculazione abbondante, non avrei saputo fare di meglio.

Mi pulisco dal suo sperma e rimetto camicia, pantaloni, giacca e cravatta.

Una stretta di mano, come si usa fra uomini. Non sa che sono il tuo ex.

Piccola mia, quand’è che hai smesso di amarmi? Non mi sono accorto di
nul a

finché non ho letto i messaggi di Daniele su Internet. Speravo che tu fossi


l’eccezione.

Abbiamo condiviso tanto assieme, prima di lasciarci: gioie, desideri, sogni,


speranze.
Volevo condividere anche il tuo amante, il pretesto che hai usato per
lasciarmi e

ricominciare una nuova vita.

È l’ultima cosa che abbiamo in comune e non riesco a trattenere un sorriso,

mentre la prima di una serie di lacrime, adesso, fa capolino fra le ciglia.

L’ultima cosa in comune. Ora torno a vivere.

92

365 racconti erotici per un anno

sORPREsE

28 marzo

di Noemi Bardel a

Cecilia era in piedi davanti al a doccia. Slacciò il nodo del ’accappatoio,


prima di entra-

re sot o l’acqua calda. Pensava al regalo che stava per fare a Filippo.

Filippo entrò in casa. Cecilia non si vedeva da nessuna parte. Sentì il


leggero scro-

sciare del ’acqua e capì che era sot o la doccia. Un’idea si fece strada nel a
sua mente.

Cecilia era convinta di avere sentito un rumore, ma lo catalogò come


insignifican-

te, continuando a lavarsi e pensando a quando sarebbe rientrato Filippo.

Filippo scivolò di soppiat o nel a stanza da bagno, riuscendo a non farsi


sentire. Si
spogliò in silenzio, constatando che la stanchezza di una giornata di lavoro
non influ-

iva per nul a sul a capacità di Cecilia di eccitarlo.

Quando sentì la tenda del a doccia muoversi, Cecilia fu sul punto di urlare.
Si ac-

corse quasi subito, però, che si trat ava di Filippo. Lui adorava farle certe
sorprese.

Sorrise mentre il compagno entrava nel a doccia.

Cecilia sorrise, guardando Filippo da sopra le ciglia: – Bentornato.

Filippo non resistette e la strinse a sé. Una mano, lenta e calcolatrice, scese
lungo

il fianco di Cecilia, mentre l’altra andava a posarle sul viso una leggera
carezza, antici-

patrice del bacio che stava per arrivare. Le labbra si unirono, mentre l’acqua
scorreva

lungo i loro corpi. Il bacio durò a lungo, trasformandosi in un desiderio


impel ente

che entrambi sentivano sot o la pelle.

Questa volta fu Cecilia a prendere l’iniziativa, staccandosi dal bacio e


appoggian-

dosi al a parete del a doccia. Filippo capì subito il messaggio che gli veniva
lanciato e

prese il control o del a situazione.

Un at imo ed era dentro di lei, in profondità: l’acqua rendeva i movimenti


più sci-
volosi, ma non più difficili. Era fantastico. La sua Cecy era quasi
aggrappata a lui, men-

tre rivendicava il luogo a cui apparteneva da sempre.

Terminò come aveva previsto. Poi Cecilia lo guardò drit o negli occhi e gli
prese

le mani, portandosele al ventre. Filippo sgranò gli occhi, come a chiedere


una tacita

conferma, che lei diede ammiccando. Un bacio, poi un altro e un altro


ancora, per

ringraziarla del più bel regalo di compleanno che avesse mai potuto fargli.

365 racconti erotici per un anno

93

fINE chIamaTa

29 marzo

di Stefano Di Marino

– Lo sai chi sono?

– Riconosco la tua voce. Cosa fai?

– Chiudo gli occhi e sei lì, come sempre.

– Oggi dove sono?

– Seduta sul davanzale. Fuori si vede il mare, una falce di sabbia, qualche
scoglio e

poi una parete di vegetazione. Umida. Ha appena piovuto, fa caldo.


– Sì... ma io...?

– Hai i capelli raccolti da un lungo spillone affilato. È stata una not e


agitata.

– Sì, sempre... quando ti aspetto. Sono bagnata di sudore e d’acqua di rose.

– Lo immagino. Perle scivolano lungo il collo, s’infilano nel kimono.

– Di che colore?

– Importa? Nero con fenici ricamante in argento. Scivola sul a spallina...


adoro il

sapore del a tua pelle.

– Ma non verrai mai a posarci le labbra, neanche stasera, vigliacco.

– Sai che non posso.

– Ma io lo desidero, lo voglio... ne ho bisogno... le tue dita...

– Sì, anch’io sento il tuo calore mentre ti sfiorano il seno. Hai i capezzoli
già duri.

– Lo so, sto pensando a cosa potresti farmi... se fossi qui... ma non ci sei.

– Se chiudi gli occhi anche tu sarò lì con te.

– Bastardo. . sì, qui vicino, adesso il tuo odore mi arriva al e narici. Le tue
mani. .

Ho indosso solo il mio tatuaggio nuovo. Proprio sul ventre. Un polpo che
possiede

una concubina. Accarezzalo... non avere paura...

– Credi che abbia paura?


– Al a fine sì... Aahh, ora sei qui, qui...

– Il sole ti sfiora. Il polpo e la concubina fanno le Nuvole e la Pioggia.

– Maledetto... lo sai che ti voglio...

– Fine chiamata... il tempo è scaduto. Inserire la carta di credito per


prolungare.

– Aspetta...

– Non posso.

– Fine chiamata... il tempo è scaduto. Inserire la carta di credito per


prolungare.

– Un giorno verrò a prenderti.

– Io sarò qui.

– Fine chiamata... il tempo è scaduto. Inserire la carta di credito per


prolungare.

L’uomo chiuse la comunicazione. Sì, un giorno sarebbe andato a cercarla.


Ma in

un tempo senza necessità di riti. Le avrebbe detto il suo nome e l’avrebbe


vista in viso.

Sul ripiano la pistola scintil ava al sole. Ne accarezzò la canna, inserì il


caricatore e

spinse il primo colpo in camera di sparo. Era pronto per uccidere.

94

365 racconti erotici per un anno

cOmE UNa DaNZa


30 marzo

di Stateira

Non bal ava più come prima, da quando l’aveva visto fare a lui. Lui che,
maledet-

to, danzava. Rob, che stava per Robert, ma Rob suonava mil e volte meglio.

Era stato facile odiare il suo corpo, e tutto quel fastidioso talento. Banale
fini-

re con l’idolatrarlo incondizionatamente. Un po’ meno svegliarsi nel cuore


del a

notte con le gambe intirizzite, il col o madido di sudore e un fotogramma di


Rob

radicato nel e pupil e, che torceva il suo corpo, gloriosamente nudo, con
grazia

lupesca. Quel a bocca socchiusa, quelle mani, la sua spina dorsale come un
lungo

marchio ombroso sul a schiena flessuosa, e quel a vita, solida e asciutta,


fasciata

da pantaloni aderentissimi che avrebbe voluto squarciare per scoprire,


brandello

dopo brandel o, le meraviglie che nascondevano. Per fare suoi il suo odore e
il

suo sapore, oh, quello soprattutto.

Presto il gioco di sguardi che doveva servire solo ad assicurarsi un altro


sogno
memorabile, docce o poltroncine di platea che fossero, finì per soffocarlo, e
la

colpa era quasi esclusivamente di Rob.

Non propriamente augurabile, per un solista del a Royal Ballet. Non


propria-

mente augurabile, se il lavoro che fai ti incatena in un limbo in cui ogni


gesto è

potenziale, uno sfiorarsi control atissimo che è l’assaggio rubato di un vero


con-

tatto. Ma, proprio quando fu certo di aver toccato il fondo con la punta dei
piedi,

con la dignità di un vero ballerino, ecco che ricominciò la risalita verso


l’aria.

E la colpa fu quasi esclusivamente di Rob.

– Vuoi sposarmi? – gli chiese quello stupido, con il suo accento del a
Corno-

vaglia. Così, a casaccio, con il palese intento di provocarlo.

Si ritrovarono, non sapeva come, avvinghiati dietro le quinte, fra carrucole

in disuso e un mantello dimenticato da chissà chi. Ansiosi e famelici, con


gli

applausi scroscianti del pubblico ancora nelle orecchie. Lo toccò,


finalmente.

Raccolse le gocce di sudore sfuggite al ’asciugamano appena prima che


raggiun-
gessero quel suo delizioso ombelico contratto. E poi, più sotto. Lo succhiò
con

devozione, il volto immerso nel pube soffice che disperdeva il suo respiro
gonfio

di euforia e di Prokof’ev, e la mano di Rob che lo guidava con sempre


maggiore

impazienza e, al a fine, lo strattonò. Si guardarono per un attimo. Lui


impiastric-

ciato, l’altro perso in un sorriso sorprendentemente molle.

– Al ora ci tieni proprio a sposarmi.

Quel ’accento, per la miseria. Era sfacciato e provocante, tutto da godere.

Era come una danza...

365 racconti erotici per un anno

95

ImPaTTO vIsIvO

31 marzo

di Maria Teresa Valle

Entro furtiva nel a stanza in penombra. Tu sei sdraiato sul letto. Sembri ad-

dormentato. Il torace nudo si solleva regolare nel respiro. Una sciarpa di


seta ti

copre gli occhi. La faccio scivolare via e mi siedo a cavalcioni su di te.

– Apri gli occhi – ti ordino. Certo, aperti gli occhi, la visione impatta decisa
sul a retina scoppiando di colore e forma e non lasciando spazio al ’immagi-

nazione. E allora che film proiettare su quegli occhi dischiusi? Ho preparato


la

scena slacciando i bottoni. Ho scelto pensando bene a quello che avrei


indossa-

to. Ė una camicetta di pizzo nero, leggera, e l’ho messa direttamente sul a
pelle

nuda. Aperti i bottoni, senza toglierla, la camicetta lascia intravedere la


pelle,

e quel a è la prima cosa che hai davanti mentre apri gli occhi. Dal tuo punto
di

osservazione privilegiato nel a penombra intuisci subito il tesoro nascosto e,


in

un attimo, al unghi le mani a spalancare quelle leggere cortine che ti


separano

dal mio seno. Immediatamente ti viene voglia di tuffare la faccia dentro la


mia

pelle. Vieni, c’è tanto posto qui, tra i miei piccoli seni. Ci sta la tua bocca, ci

stanno le tue mani, la tua fronte sudata. Ti abbraccio la testa mentre ti


appoggi

a me. La tua bocca ha già trovato un capezzolo e divora la sua freschezza.


Le

tue mani sotto la stoffa mi stringono la schiena. L’accarezzano, la


percorrono. E

di nuovo chiudi gli occhi, perché io te li baci, prima di impossessarti del a


mia
lingua, del mio respiro, del a mia saliva, delle mia labbra.

Ė facile lasciare che le mani cerchino, frughino, dentro quel poco di vestiti

che ancora indossiamo. Neppure ci diamo la pena di toglierli, vinti da


un’ur-

genza di possederci che non ci dà tregua. Non ci lascia respirare. La tua


mano

nel ’umido del mio sesso. La mia bocca a cercare il tuo. Le parole. Prima
sus-

surrate. Con timore.

– Più forte, dillo più forte. – Poi gridate. Sfacciate, senza pudore. Le mani

trattenute, i miei polsi chiusi dal a tua mano prepotente e forte. Che non mi
la-

scia scampo. Mi dibatto, ma non riesco a liberarmi. E questa dolce,


dolcissima

violenza mi anima il respiro di un ansimare che spinge il desiderio e il


piacere,

lo incalza e lo strugge, lo esaspera, lo rincorre, lo fa prigioniero e al a fine


lo

libera, lo svuota. Come una coppa che si rovescia. Come un urlo trattenuto
che

esplode. Una pioggia che scroscia improvvisa.

– Va bene, ragazzi, buona la prima! Questa era l’ultima scena. Il film è fi-

nito.

96
365 racconti erotici per un anno

UN amORE ORTOREssIcO

1 aprile

di Stefano Mascel a

– Così sono andato verso il frigo… Hai presente quei giochini erotici con la
frut a?

− Nooo. Le hai chiesto di fare le porcate?

− Io? Lei, piut osto!

− Lei? Hai capito ‘sta top model. Ma tu, quelle robe… le avevi mai fat e
prima?

− I giochini? Ma se per sfilare il reggiseno a Maria è una lot a!

− E dal frigo cos’hai preso? Dimmi, dimmi…

− Be’… fragole, mezzo limone, la panna spray… e poi il barat olo del a
Nutel a. Ah,

a proposito, devo ricomprarla. Ho anche pensato a carote, bot iglia di


Martini, una

grossa melanzana... Ecco, le melanzane: quasi mi dimenticavo di


comprarle!

− Una melanzana? Ma sei pazzo?

− Pazzo? Dovevi vederla: aveva certi occhi, quando m’ha proposto i


giochini! Le

ho spremuto il mezzo limone tra i seni, e poi ho leccato tut i i rivoli…

− Che storia, che storia! E poi?


− Poi con la panna le ho ricoperto i capezzoli. Assaporavo e lei mugolava.
Al a fine

ho infilato tre dita nel barat olo e ho cominciato a spalmarle la Nutel a


proprio lì…

− Proprio lì?

− Sì. L’ho leccata fino a far svanire il sapore di cioccolata.

− Mitico!

− Ha avuto un paio di orgasmi, mi pare. Poi le ho detto: “Adesso tocca a


te.”

− E lei?

− Lei mi ha fat o: “Cos’altro hai in frigo? Io seguo una dieta.”

− Una dieta?

− Già. Figurati a me cosa me ne importava del a sua dieta!

− Be’, è pur sempre una top model…

− Oh, ma che, la giustifichi? Hai idea in quel momento io come mi sentivo?


Mi ha

chiesto: “Hai del grano saraceno decorticato?”

− Grano saraceno decorticato?

− Già… “No, non ne ho” le ho detto. “Allora del a farina integrale di


farro?”

− Ma che robaccia mangia?

− Capisci ora il mio dramma? Non avevo niente di quelle robe biologiche lì.
− Pazzesco… e com’è finita?

− Se n’è andata, pure incazzata, insultandomi perché mangio come un


bifolco.

− Ma pensa… E tu?

− Io sono dovuto andare in bagno… e cavarmela da me, capito?

− Eh, eh, eh…

− Sì, ridi ridi… Oh, guarda qua: confettura di cranberry! Ne prendo un barat
olo,

va’. Dovesse diffondersi l’ortoressia…

365 racconti erotici per un anno

97

bURNINg PassION

2 aprile

di Lavinia Vitali

– Sono contento che tu sia finalmente arrivata. È stato lungo il viaggio? –


chiese

al a splendida donna che lo osservava dal letto. – Che ne dici di un po’ di


musi-

ca? – aggiunse, rovistando con sguardo esperto fra i vinili e tirando fuori il
suo

disco da primo appuntamento: “Que reste–t–il de nos amours?”.

– Champagne?
La donna, come annoiata, continuava a guardarlo dal a sponda del letto e

non accennava ad afferrare il calice che lui le porgeva.

– Sei di poche parole – sospirò lui, posando il bicchiere e ammiccando ver-

so di lei, che ancora lo osservava.

– Tu mi tenti... – Si avvicinò ondeggiando, leggermente ebbro. La donna

non oppose resistenza quando lui l’afferrò per le spalle. – Oh, non
guardarmi

così, tesoro. – Quando la baciò, i pantaloni già gli andavano stretti al


cavallo.

Se ne liberò.

– Sei un sogno che si avvera – le sussurrò mentre con le mani si faceva

strada verso le mutandine di lei. La donna lo lasciò fare: come


imbambolata,

lasciava a lui ogni iniziativa.

Una volta tolti gli slip, lui esplorò la fessura fra le sue gambe, che non lo

respinse, ma anzi si adattò subito al a forma delle sue dita, presto sostituite
da

qualcosa di più grosso e vivace.

Spinta da tanta frenesia, lei non poté che seguire il suo ritmo mentre teneva

le gambe tese contro il materasso e il suo corpo assorbiva ogni colpo.


Mugu-

gnando per lo sforzo e il piacere, lui cercava di tenerla ferma con il proprio
peso mentre un po’ le strizzava i seni e un po’ le sfiorava il punto umido fra

le gambe, dove il suo pene entrava e usciva, chiazzando di bianco la seta


delle

lenzuola.

Le fiamme delle candele si muovevano sinuose, scosse dal vento provocato

dai loro movimenti frenetici, forse un po’ troppo vicine.

– Sei calda, mia cara... – ansimò lui accarezzandole piano la coscia mentre

dal a fronte gli cadevano piccole goccioline di sudore. Stava per terminare

l’atto sessuale, quando al ’improvviso lei cedette sotto il suo peso.

BAM! La bambola gli scoppiò attorno al pene creando un frastuono che

fece tremare le pareti.

– Fabio, che succede là dentro?

– Niente, mamma!

98

365 racconti erotici per un anno

sEssO ROmaNTIcO ITINERaNTE

3 aprile

di Aldo Ardetti

Ci siamo amati in luoghi improvvisi, inattesi. Ci siamo amati nei luoghi la-

gunari, sotto un sole che fondeva la sabbia di una spiaggia deserta nei giorni
feriali fino a sera, quando l’umidità del crepuscolo ci coglieva di sorpresa
nel

silenzio di una pineta, quando la voce del cuore e del respiro accompagnava
il

nostro ritmo del piacere col profumo del a nostra pelle insieme al latice
delle

aghiformi, balsamo di rinnovata, perpetua eccitazione. Dentro di te


diventavo

naufrago nel tuo mare, felice perché appagato nel vento che avvolgeva e ac-

carezzava e che conosceva i nostri più reconditi desideri, le nostre


desiderate

passioni, le volute e amate trasgressioni.

Cadde ogni innocenza su quei treni che raggiungevano, nel buio del a not-

te, mete oltre frontiera: chiglie sul a Senna, il Tejo o la Moscòva, la


Moldàva di

Smetana. Fiumi di parole, degli abbracci e dei baci, degli sguardi complici
che

ispiravano una sottintesa, implicita libidine.

Fosti vita negli itinerari che percorremmo e mentre ti sussurravo d’amore

tu, trasfigurata, rispondevi: – Sì, prendimi senza chiedere e aprimi l’anima.


Fai

uscire tutto il bene, tutto il male, tutto il meglio e tutto il peggio di me –


mentre

il fiato diventava più forte e veloce. Allora i corpi diventavano un’unica


figu-
ra, corpi avvinghiati con arti come rami che s’intrecciavano: scultura che
non

avrebbe sfigurato al Museo del Sesso di Pigalle.

Laghi, mari e monti sono stati testimoni dei nostri sentimenti e del nostro

piacere: tetti di glicine, siepi di pampini, oasi di palmeti, isole d’erba sulle
quali

abbiamo lasciato sagome di noi, macchia mediterranea che ci proteggeva


dagli

uomini e dalle stagioni.

– Amore, quanto di noi su quegli accumuli sabbiosi sovrastati da un pro-

montorio di onice e alabastro!

I bagni di sesso non ci fecero conoscere tristezze o melanconie perché i

nostri gemiti cancel avano il mondo mentre baciavo le tue labbra vermiglie
per

assaporarne ogni piega, prima di prenderti, prima di averti tutta perché nul a

era rubato. Mai sazio del tuo corpo anche tra le lenzuola usate dove
ascoltava-

mo musica che scatenava ritmi per poi (s)venire in coro al vicino corpo
caldo

e sazio, volti, poi, al riposo dopo l’estasi.

E pensare che la storia iniziò col primo bacio in un portone.

365 racconti erotici per un anno

99
fINO all’UlTIma gOccIa

4 aprile

di Roberto Fogliardi

Sdraiata sul a panca dei pesi la ragazza attendeva, circondata da una trentina
di

uomini sudati: giovani e vecchi, glabri e pelosi. Alcuni indossavano un


accap-

patoio, simili a pugili prima del ’incontro. Altri erano nudi, salvo che per
una

maschera nera sul viso.

La ragazza era piccola e flessuosa, con grossi seni pesanti. Perfetti,


sembravano

veri. Il volto ovale circondato da capelli neri a caschetto. Gli occhi verdi. Le

gambe inguainate in calze bianche. Dal a trama delle calze occhieggiava un

tatuaggio, dal ’anca al a caviglia destra: una rosa rossa rampicante


circondata

da farfalle.

Languida, Nadia si carezzò la coscia, scostò le mutandine di pizzo e


cominciò

a stimolarsi, circondata dal desiderio degli uomini. Come un meccanismo

perfetto, la vagina si schiuse, umida, sotto la luce intensa dei riflettori.

Un inserviente le assicurò sul collo l’apparecchio: un piccolo catino


collegato
a una cannuccia.

Poi lo spettacolo iniziò.

– Numero uno e numero due! – disse una voce fuori campo. – Azione!

I due primi membri del a gangbang si accostarono al a donna. Uno dei

due, un grosso nero coloro ebano, scostò la mano del a ragazza e la penetrò,

mugolando. L’altro, un adolescente brufoloso, le accostò il pene alle labbra.

Nadia prese a oscil are il bacino mentre la lingua correva su e giù per l’asta

del ragazzo. Bastarono pochi colpi, e l’adolescente le eiaculò sul viso.


Nadia si

affrettò a leccare tutto quel che poteva, poi bevve avidamente dal a
cannuccia

quel che si era depositato nel catino.

– Numero tre e numero quattro!

Altri due arrivarono a sostituire il ragazzo, poi altri due, e altri ancora.

Passarono i minuti: il trucco ormai le colava dal volto, mescolandosi con gli

umori degli uomini, che lei continuava a bere, senza perderne una goccia.

Continuò così, finché tutti non si furono svuotati su di lei.

Poi Nadia si alzò e andò in bagno.

Aprì la finestra e guardò nel buio.

Al argò le braccia e la pelle sulle spalle si squarciò, rivelando due grosse

elitre trasparenti. Il viso si squagliò, trasformandosi in una rete di tentacoli;


gambe e braccia si rattrappirono in zampe d’insetto.

Poi la creatura prese il volo. Flijek 3 era il pianeta del settore stel are dove il

lavoro si era rivelato più semplice e veloce: ora il raccolto era completo e
poteva

tornare soddisfatta con il suo carico genetico alle fabbriche di schiavi.

100

365 racconti erotici per un anno

gEmms

5 aprile

di Luigi Pagano

Napoli, molo Beverello.

Una sera qualsiasi del ‘45. Fredda e uggiosa, ma nel a piccola utilitaria con

i vetri appannati l’aria è rovente.

Lucia cavalca l’uomo sotto di lei con forza. Lui, con gli occhi chiusi, anna-

spa con le mani cercando di afferrare i grandi seni che ciondolano nel ’aria,

ritmati da un ansimare greve.

Dopo lunghi sussulti e gemiti, i ruoli si ribaltano; adesso è lui sopra di lei e

la penetra con decisione, come le navi americane entrano ed escono dal


porto

di questa splendida città piena di sole e belle donne.

Al a fine, esausto e svuotato, si stende sul sedile del guidatore. Lei l’abbrac-
cia e gli accarezza il petto rigido e glabro. Poi la mano scende lentamente,
pas-

sando per il piatto addome e giù fino al membro. Avvicina le labbra al


’orecchio

del bel moro e gli sussurra: – Gemms, ma tu me vuò ‘bbene?

L’americano non capisce nul a di ciò che gli ha chiesto la giovane ragazza,

ma forse ne afferra il senso, e risponde: – Yes, of course.

In quel preciso momento lei, ragazza dei quartieri di Napoli, capisce che

non l’avrebbe mai più rivisto. Le lacrime gli scendono sul viso ancora
sudato di

passione, si accascia accanto a lui, chiude gli occhi e assapora gli ultimi
attimi

di questa storia d’amore tra una ragazza semplice, figlia di marinai, e un


solda-

to straniero dai denti troppo bianchi per essere veri. Una storia
contrabbanda-

ta e vissuta con ansia, posseduta con la forza di un sogno di un futuro


diverso,

forse migliore, in una terra straniera piena di opportunità e di luce. Così


tanta

luce che anche quando qui c’è il buio, lì c’è luce.

Ma Rosa ha aperto gli occhi, e resta nuda e immobile a guardare il suo so-

gno scivolare via come le gocce di pioggia scivolano sul parabrezza.

365 racconti erotici per un anno


101

NOTE DI NOTTE

6 aprile

di Daniela Basilico

Il silenzio si rompe. Come un bicchiere di cristal o che diretto al suolo


compie

la sua corsa per infrangersi, così le note spaziano lente nel a hal del ’Hotel
De

Paris. Le dita accarezzano la tastiera di un pianoforte a coda. Bianco. Come


la

neve che scende lenta dietro le vetrate. Il ritmo si fa più intenso. Energia
che

scorre sotto i polpastrelli. Rabbia che scivola tra le dita. Lunghi capelli
biondi

le cadono morbidi sulle spalle. Incontrano il pizzo del a sottoveste. Una


ciocca

ribelle le sfiora il capezzolo. Oggi compie trentacinque anni e la dolcezza


del suo

volto è sporcata dal e lacrime. Gocce salate che cadono sul a tastiera.
Dolore che

tra breve evaporerà lasciando spazio al male.

Arrivo prima di mezzanotte. Fatti trovare pronta, le aveva detto.

I minuti scorrevano veloci, le ore passavano lente. Sentiva il suo profumo.


Lo
cercava nel buio del a notte. Lo ascoltava in ogni rumore.

Lo aveva aspettato fino al ’alba. Poi aveva aperto il computer. Tra le e-mail
ne

aveva trovata una che l’imbecille si era dimenticato di cancel are. Un


appunta-

mento. Per quel a stessa sera. Con un’altra donna. E una frase:
Chissenefrega del

compleanno di Matilde. Stanotte è solo per noi due. Julian.

Quel a che sta suonando non assomiglia più a nessuna melodia. È un rincor-

rersi di suoni strappati a una musica che non ha pentagramma. A un cuore


che

ha perso il battito regolare. A delle gambe che non smettono di tremare.

È un tocco lieve, quello che le sfiora il collo. Una piuma, un soffio di vento.

Una mano. Morbida e delicata. Dita lunghe e unghie curate. La musica si


inter-

rompe. Si volta di scatto.

E tu chi sei?

Non una parola esce da quelle labbra appena socchiuse. Un accenno di


sorri-

so, su un volto dove le ombre giocano a rincorrersi per non svelarne i


lineamenti.

Lui si inginocchia al suo fianco. Abbassa la testa. Le mani sol evano la


sottoveste.
I capelli corti e sottili le solleticano le cosce. Matilde inarca la schiena. Si
ap-

poggia al pianoforte. Gocce di sudore le scivolano lungo la colonna


vertebrale.

Chiude gli occhi, ferma la mente, ascolta una musica che non c’è e lo lascia
fare.

Le sue dita riemergono da sotto la stoffa e lui fa scorrere l’unghia del


pollice sul a

carne tremula del suo seno.

Chi sei?

È in quel momento che lui solleva la testa. Una lama di luce gli il umina lo

sguardo. Gli occhi si incontrano senza essersi mai visti prima. Matilde
sbatte le

palpebre e gli occhi del o sconosciuto diventano quel i di Julian. Ed è al ora


che

stringe, stringe, stringe forte le dita attorno al suo collo.

102

365 racconti erotici per un anno

DI sETa E caNNElla

7 aprile

di Sonia Pampuri

Consistenza di seta. Profumo di cannel a. Liscia. Avvolgente. Calda nel a


tua
fluida essenza. E profumata. Sì, profumata di vita e cucina. Odorosa di
frutti

maturi e di vini preziosi. Nuda. Sporca di farina e risate. Danzante su tacchi

affilati come coltelli. Armonica nei gesti. Dosa. Mescola. Frul a. Impasta.
La

trama sottile del a pelle accesa dal calore del forno e del mio sguardo.
Riflessi

di rubino prezioso guizzanti tra i capelli. Silenziosa nel tuo affaccendarti


armo-

nico sulle note di Cohen. Non posso più ascoltarle. Ora. Non più. Viva.
Can-

giante nel ’umore mutevole degli sguardi. Felice, forse. Questo non mi
verrà

più dato di saperlo. Lo so. Sorridente, in un baluginare di denti


bianchissimi,

mentre mordi, con fame sincera, una mela.

Magica, nel a sapiente arte delle tue mani, che miscelano farina, zucche-

ro e uova con antica sapienza di femmina. Femmina, già. Nessuna più di te.

Nessuna come te. Dopo. Canticchiante su note basse, le tue preferite, quei

versi struggenti: And you want to travel with him, and you want to travel
blind,

snd you think maybe you’ll trust him, For he’s touched your perfect body
with

his mind. Un po’ Susanne. Anche tu. Poetica puttana. Madre e amica.
Ritmi-
co guizzare del a braccia nello scorrere ipnotico del mattarello sul a sfoglia.

Sottile velo ad accogliere mele caramel ate e ricordi. Dita intrise di


zucchero.

Leccavo. Concentrato in quel gesto familiare. Fanciullesco. Piacere a


scorrere

come acqua sul a mia pelle. Attenta nel disporre nel nido caldo del a sfoglia

in perfetta simmetria quelle sottili fette di croccante mela zuccherosa. E poi


il

profumo. Ancora e ancora. Inebriante. Indimenticabile. Perfetto. Il rompersi

di bastoncini nel mortaio. Il tuo pestare allegro. Quasi rumore di nacchere.


E

l’aroma a spandersi. Avvolto intorno al tuo corpo di seta dorata. Fuso con la

fragranza speziata del a tua pelle. Spargevi quel a polvere rosseggiante con
ge-

nerosa abbondanza. Cromatico gioco del a memoria. Non so più ora se le


tue

labbra fossero dello stesso rosso. Chinata. Torri perfette le tue gambe,
coronate

dal quel trofeo rotondo, morbido, lievitato come sfoglia burrosa. Un colpo
del

fianco e inizia il conto al a rovescia. Allora mi guardavi. Uno sguardo


limpido,

diretto ad avvolgere me. Il tuo carnefice.

365 racconti erotici per un anno


103

l’amORE DENTRO UN sOgNO

8 aprile

di Maria Lidia Petrulli

Elis era turbata; il desiderio di giacere con Glendar la travolgeva, il bisogno


di senti-

re il corpo di lui contro e dentro il proprio era insopportabile, quasi


doloroso.

Perché? si domandò mentre, nelle vesti del vecchio bardo in cui si era
trasfor-

mata, lo osservava dormire. Forse per la somiglianza fra le loro anime


tormentate,

forse perché Glendar non era elfo ma umano; forse per la forza che sentiva
ribollire

dentro di lui e che gli apparteneva come una seconda pel e che profumava
di guerra

e di sentimenti a stento trattenuti, di qualcosa che faceva parte anche di lei.

Amore? pensò Elis. Molte cose uomini ed elfi fanno per amore, anche
uccidere, ma

questo desiderio che mi fa contrarre il ventre non ha il sapore del a


contesa, bensì del a

brama di piacere per un amore che disconosce i confini fra le razze.

Elis si alzò; era se stessa eppure non lo era, in lei una forza incontrol abile
esigeva
che la seguisse. Senza condizioni.

L’elfa abbandonò le sembianze del bardo Ivrin per riprendere le proprie.

I lunghi capelli corvini sciolti sulle spalle danzavano come se un vento li


muo-

vesse, mani e labbra si mossero in un incantesimo che fece sprofondare il


dormien-

te in un torpore ancora più profondo: Quando si sveglierà penserà a un


sogno, quel o

che non potrà mai dimenticare.

Elis entrò nel sogno di Glendar.

Il guerriero aprì gli occhi, disorientato, non ricordando dove fosse né chi
fosse,

ma non fu che un attimo, perché il suo sguardo fu catturato dal a creatura a


cui il

suo cuore si legò senza condizioni. Lo sguardo corse lungo il corpo nudo di
lei, sul

col o slanciato, sui seni sodi e i capezzoli turgidi di desiderio, sul e spal e
forti e le

lunghe gambe che sbocciavano nel folto vel o del pube. E gli occhi, quegli
occhi che

parlavano da soli, senza alcun bisogno di suoni o di parole.

– Chi sei? – le domandò; ma non gli importava perché, da quel momento, il


suo

cuore avrebbe voluto solo lei.


Elis si chinò su di lui: la pelle ambrata vibrava come le corde di un’arpa. Si
uniro-

no in una cosa sola, come la notte al giorno nel momento del ’aurora. Lui
dentro di

lei come un gioiel o nel o scrigno, lei avvolgente col tepore del a vita che le
pulsava

in ogni fibra.

Era ormai quasi l’alba, il cielo non prometteva pioggia per quel giorno;
l’elfa

fissò a lungo quel ’amore desiderato ardentemente, e seppe che il sapore del
a vita

non sarebbe stato più lo stesso, finché non l’avesse ritrovato. Ma aveva un
dovere da

portare a termine. Abbandonò la capanna e riprese la sua strada.

104

365 racconti erotici per un anno

gOccE

9 aprile

di TiVedo

Gocce d’acqua che scendono a lavare il mio corpo ancora addormentato,


calde

e battenti sul a pelle nuda.

Gocce di sapone liquido che si scioglie nel palmo, mentre scende ad acca-
rezzare le parti più delicate del mio essere.

Gocce di profumo, poche, delicate, dietro al collo, sotto le ascelle, dietro le

ginocchia, dove so che farai scorrere il tuo viso mentre accarezzi ogni
millime-

tro del mio corpo…

Gocce di gelato, che fai scivolare sui miei capezzoli e massaggi sui miei
seni,

sul mio ventre, sul mio pube, e poi lecchi pazientemente via.

Gocce di liquore che passano dal a tua al a mia lingua, scendendo a infuo-

care la bocca dello stomaco, e poi più giù.

Gocce che si sciolgono dai cubetti di ghiaccio che le tue mani attente fanno

scorrere nelle mie pieghe sensibili e che alleviano le gocce di cera, che mi
lasci

addosso quanto basta per sentirle ma non per lasciare dei segni.

Gocce dorate, quelle con cui giochiamo passando dal letto al a vasca al let-

to, e aumentano a dismisura la nostra passione.

Gocce di desiderio ammiccano dal mio sesso che ti vuole e fuori dal quale

tergiversi prima di prendermi finalmente con decisione.

Gocce di sudore affiorano su nostri corpi avvinghiati, mentre rotoliamo e

sussultiamo e ci fondiamo in un unico essere.

Gocce di sangue che stil ano dalle mezzelune delle mie unghie mentre ti
arpiono a me, per farti arrivare ancora più in fondo e finalmente…

Gocce del tuo seme che sprizzano mentre dal a tua bocca che mi sovrasta

gocce del a tua saliva cadono sul mio viso fondendosi alle gocce salate che
stil-

lano dai miei occhi pieni di amore per noi.

365 racconti erotici per un anno

105

sPEZIE

10 aprile

di Lidia Parazzoli

Fu davvero imprevedibile, quasi mistica, la sensazione che provai quel a


sera.

In questa ragazza, così semplice, così introversa, si percepiva una sensualità

ancora tutta da scoprire. Come una serratura che schiude a meraviglie


ignote,

eppure senza una chiave giusta per entrare.

Nul a in Olivia mi aveva permesso di capire cosa in quel corpo sproporzio-

nato, lunghissimo e impacciato, mi attraesse, mi eccitasse.

Fino a questo istante.

Nel ’aria del piccolo ristorante indiano dove l’avevo portata fluiva un odore

di curry che riempiva il naso, che titil ava la gola. Così notai l’armonia dei
suoi
lineamenti, che nel bel mezzo del a masticazione si trasfiguravano,
indugiando

sui diversi bocconi, al a scoperta di sapori nuovi.

C’era una tensione che si propagava dalle narici alle labbra, appena lucide

d’olio, diventava turgida e piena. Ogni tanto interrompeva il movimento


delle

mandibole solo per spalancare gli occhi. Ed ecco apparire cosa veramente
mi

piaceva in lei, quel a golosità implacabile davanti a un piatto di doh piaza


tan-

doori, delle polpettine di carne d’agnello di un colore rosso intenso.

Tutto il mio desiderio non più represso. Riuscivo a comunicare attraverso

i sapori, suoi e miei al tempo stesso. Un’armonia di temperamenti: il sapore

forte delle spezie, zenzero a cutney, le salse preparate con la frutta e


insaporite

col peperoncino.

Mi sarei avvicinato piano a questa creatura sensibile, meravigliosamente in

grado di godere delle cose del a vita, come il cibo. Ma avrei saputo essere
anche

misterioso, spogliandola lentamente e mordendole la pelle olivastra, prolun-

gando l’attesa del piacere fino allo spasimo, dando un retrogusto piccante
alle

sue voglie?
Non mi interessava più il suo sorriso, ma il modo di mordere e sminuzzare,

deciso e veloce. Immaginai come ai miei morsi avrebbero risposto i suoi, e

trasalii.

Sentii i miei occhi adddirittura inumidirsi. La prelibatezza del sabzi bhaji

kabi del boccone. Olivia decise di rispondere al a dolcezza del piatto con la

dolcezza di una carezza. La curcuma e il garam masala, dal sapore


ancestrale,

terroso, mi fecero immaginare il suo corpo di creatura primigenia, che si


offri-

va a me nel a sua nudità totale, dischiudendo il segreto del a sua libidine.

Non potevo più nascondere di volerla in quel momento esatto.

Ma poi preferii osservare mentre gustava la frutta, mentre il mango le rin-

frescava le papille e preparava quel a bocca splendida al a notte, in una


purezza

finalmente ritrovata.

106

365 racconti erotici per un anno

TENTacOlI E sQUamE

11 aprile

di Valeria Molina

Le tue mani bruciano su di me. Sei come il fuoco e io sono semplice cera,
mal-
leabile sotto le tue dita.

Mi apro per te, schiudo le gambe per mostrarti un bocciolo di rosa appena

fiorito. Tu sorridi e mi posi un bacio sul a spal a. I tuoi tentacoli si infilano

dentro di me, facendosi spazio senza troppe cautele. Mi sussurri al


’orecchio

frasi che mi fanno arrossire, mentre le tue ventose mi frugano.

Gemo, consapevole di essere in tuo potere. Tu ridi, sprezzante, padrone del

gioco che io stessa ho voluto iniziare.

Scendi a baciarmi l’addome, dove sai che sono più sensibile. Arrivi fino al a

mia femminilità e la lambisci, facendomi gridare. Voglio di più, ma il


bavaglio

che ho sul a bocca m’impedisce di chiedertelo. Ormai faccio fatica a


respirare,

sento il corpo che vibra per la tensione, sul ’orlo di qualcosa di grande. Tu
lo

capisci - sai leggermi come nessun altro - e ti tiri indietro.

Se potessi ti picchierei, ma in realtà mi eccito di più quando mi stuzzichi

fino a farmi impazzire.

Sto ferma, nuda sotto il tuo sguardo. So che non devo muovermi, altrimenti

mi punirai. I tuoi occhi percorrono ogni centimetro del mio corpo e mi


fanno

rizzare le scaglie. La mia coda, intrappolata sotto la schiena, si conficca nel


materasso.

Finalmente decidi di darmi soddisfazione. Ti alzi dal letto e ti avvicini al

comodino. Frughi un po’ nei cassetti, primi di trovare il preservativo. Lo


infili

sul pene e vieni di nuovo verso di me. Ti aspetto immobile, lascio che tu mi

metta nel a posizione e finalmente mi penetri.

Spingi, poderoso e brutale. Non c’è dolcezza in quello che facciamo, solo

puro istinto animale. Ci muoviamo con foga, desiderosi di terminare


l’amples-

so. Inarco la schiena sulle coperte, sentendo il piacere impossessarsi di me.


I

tuoi movimenti si fanno sempre più irregolari, le spinte più decise e io


godo.

L’urlo mi rimane in gola, lasciandomi muta e tremante.

Tu ti muovi ancora e i tuoi tentacoli sembrano impazziti. Strisciano, strin-

gono, palpeggiano, possiedono. Un’ultima spinta e poi vi fermate, tu e loro.


Ti

accasci sopra di me, esausto.

Prima di addormentarti mi sussurri un “Buon anniversario” sul a guancia.

Non capita tutti i giorni di festeggiare vent’anni di matrimonio il giorno di

Carnevale.

365 racconti erotici per un anno


107

RIccI E caPRIccI

12 aprile

di Laura Castel ani

Era nuda davanti allo specchio. Si studiò in basso, indecisa sul da farsi. Il
folto

cespuglio era riccio e nero. Nero come i capelli setosi e le sopracciglia ad


ala

di gabbiano.

Le era sempre piaciuta bel a fitta e pensava che il marito impazzisse per

lei.Si mise a toccarla, morbida e cedevole sotto le dita. Si guardò: gli occhi
ver-

di dilatati, la bocca carnosa leggermente aperta e invitante. Chiuse gli occhi,


e

Luca comparve lì con lei. La toccava, la baciava, la accarezzava. Si sentì


creta

sotto le sue mani. Poi la sua bocca scese giù, nel profondo, cominciò a farla

fremere di piacere, sempre di più… Una tosse stizzosa lo fece fermare: si


stava

soffocando con un pelo, uno dei suoi amati pelucchi.

Ritornò in sé. Si scrutò intorno. Ma perché quel a promozione le era rima-

sta così in testa? Andò al comodino. Prese il voucher che le aveva al


ungato,
con un sorriso malandrino, la sua estetista. Promozione “Patatina Pulita”:
tutta

l’estate solo 10 euro per far impazzire il tuo uomo!

Quando l’aveva visto si era messa a ridere. E pensava che lo avrebbe fatto

anche Luca; invece le aveva detto: – Be’ potresti provare! – sorridendole


mel-

lifluo.

Un chiodo la tormentava da quel momento: non sapeva cosa decidere.

Ritornò nuda davanti allo specchio. Gli occhi chiusi. Luca la stava bacian-

do, con ardore, la virilità protesa. Gli accarezzò languida la schiena, i glutei

tesi, vogliosi. Affannosamente lo spinse in basso, sempre più giù. Cominciò

ad apprezzarla. Le labbra fameliche sul a pelle setosa. Nessun pelo


intralciava

la lingua che si muoveva sinuosa. Leila ebbe un sussulto. Si sentì


scoppiettare

le farfalle al ’interno. Luca stava impazzendo: lo sentì eccitato, pronto, teso.


Lo

chiamò a sé, pronta e fragile. Un orgasmo li sconquassò entrambi.

Leila riaprì gli occhi. Madida di sudore. Si guardò allo specchio, convinta e

lucida. Prese il cel ulare.

– Pronto, Matilda? Hai tempo oggi per “L’operazione Patatina Pulita”?


Sìììì?

Grande, a dopo.
Andò in bagno: era il momento di farsi una doccia e di dire addio al suo

cespuglio. Prese una forbice, tagliò un piccolo ciuffo e lo mise in un


sacchetto

ricolmo di pout pourri. Lo annusò: sapeva di buono. Lo infilò sotto gli


asciu-

gamani e se ne dimenticò. Una nuova vita la stava aspettando: Luca avrebbe

gradito. Sorrise mentre cominciava a lavarsi piano piano, accarezzando e


tor-

mentando gli ultimi riccioli del a stagione.

108

365 racconti erotici per un anno

Il TERZO cERchIO

13 aprile

di Doralice De Roux

Qualcosa l’afferra. Due mani vigorose e decise. La giacca nera di


Dolce&Gabbana

viene strappata con forza. Rimane con il corsetto di seta trattenuto da


stecche

flessibili e resistenti. Morbido sul a sua pelle bianca e levigata. Qualcuno le

fa indossare stivali al ginocchio. Sistema con cura le autoreggenti. Un col


are

borchiato s’aggancia al collo, inatteso.

I dettagli sono la differenza.


Una grande sala, tre divisori concentrici. Il cerchio più esterno è un peep-

show. Fessure strappate attraverso il muro scuro e impreciso. Al di là, occhi

impazienti, vogliosi.

Secondo cerchio, intermedio.

Doralice semisdraiata, piano inclinato coperto di cuoio. Corde stringono le

caviglie. Morbide le ginocchia. Alle sue spalle altre mani. Qualcuno le


afferra

il seno, turgido, suo malgrado. Sente il membro del ’uomo scivolare sul a
nuca.

Poi scende lento vertebra dopo vertebra. Si sofferma sul ’incavo delle
natiche.

Entra, rapido, ed esce. Aspettare. L’attesa rimanda e amplifica. Si riempie di

altro. Ricordi di orgasmi innocenti nei giochi bambini. Giochi di seduzione.

Nostalgie.

Rapide, altre mani scivolano sul corpetto. Stringono i lacci. Qualcosa tra le

grandi labbra. Anfratti umidi. Lingua sapiente. La clitoride tumida trattiene.

Un membro penetra, deciso, il solco bagnato, trattenendosi con le mani


robuste

aggrappate alle corde delle caviglie. Le sue labbra schiuse gemono,


invogliate

dal gioco. Qualcosa s’incunea tra il rossetto cangiante. Moto ondoso,


scandito
dal ’orgasmo maschile. Denso liquido cola, fluisce sul collo. Altro sperma
sul

seno florido, pieno...

Un suono improvviso. Stonato. Di cel ulare.

– Doralice, ti porto in un nuovo locale. Stasera c’è l’inaugurazione. Techno-

gothic. Ti piacerà, vedrai. Lo chiamano...

Doralice si stiracchia sul divano, al unga le gambe affusolate nelle

autoreggenti nere.

– ... il Terzo Cerchio.

365 racconti erotici per un anno

109

cOsì

14 aprile

di Monica Ferretti

Sono la sconosciuta che conosci. Un sorriso esploso, che provoca, di quelli


fat i di

pel e e occhi, mescolati a quei brividi invisibili che smuovono l’aria.

Al ungo la mano per parlarti. Leggi i movimenti. Gesti che scivolano nello
sguar-

do. Ti vedo seguire le dita fin nelle tue, polpastrelli che si rubano lo spazio,
e penso
che vorrei indossarle, quel e tue mani sicure, abili, che è così bel o toccarmi
di te,

sfiorarti il calore con la mia stessa pelle.

Mi appoggio al muro inarcando la schiena e i tuoi occhi cadono dove inizia


il de-

siderio. Mi piace venirti incontro con il seno mentre abbassi le difese


guardandomi.

Poi le labbra dipinte sul collo. Un dito a morderti la bocca, il contorno. Ti


ascolto

respirare mentre ci indicano il tavolo e ci accomodiamo. I fianchi si


strusciano. La

scintil a. Mi accompagni sfiorandomi con quel ’intensità che accende. Ci


sediamo.

Esce un suono dalle labbra, di parole vicine, che trascinano dentro giochi
che i

corpi at endono. Divarico le gambe. Lentamente. Come se non ci fosse


nessuno a

guardarmi. Nessuno oltre a te. Un po’ al a volta il bordo del a gonna si


solleva per

farmi trovare umida. Liquida di te. E vorresti leccarla, questa mia bocca,
mentre le dita cercano nel ’aria la tua presenza per spingerti la testa tra le
cosce.

[assaggiami. dimmi che sapore ho, come se ogni volta lo dimenticassi]

Ritrai la mano per stordire il bisogno con il vino.

Fissa nello sguardo mi muovo sicura, socchiudo la fame delle labbra gonfie
e mi
strofino il tovagliolo fin dentro. Lo bagno di me, del mio volerti,
indescrivibile.

[apri la mano] ti dico . R egalandoti l’effetto che mi sei. Poi stringi.


Avvicini il pugno al naso assorbendo il mio essere donna. Il mio essere tua.
Mi riporti la stoffa tra

le gambe, premendo. Sposti la mano, talmente lento da farmi impazzire.

[cosa ordiniamo?] mi dici.

Durante la cena ti alzi. Silenzioso. Con quello sguardo fondo. Quasi illecito.

Ti guardo allontanarti mentre me la sfioro con le dita. Il cel ulare vibra nel a
bor-

sa, distraendo quel mio masturbarmi impossibile da domare.

Leggo [in bagno, adesso]

Succhio le dita e mi alzo dal a sedia con le gambe molli di chi sa cosa
l’aspetta, con

il fiato corto di chi già t’immagina nel a bocca.

Entro. Ti vedo di schiena. Volti il viso verso di me ed è un ordine quello che


mi

stai dando.

[inginocchiati]

ce l’hai scrit o negli occhi.

Mi chino verso quel paradiso oggetto del a passione più cruda. Apro la
bocca

senza staccarmi dal dominio del tuo sguardo e tu, liquido, mi hai. Così.
110

365 racconti erotici per un anno

Il mONDO sa DI fREscO

15 aprile

(OvvERO l’ORgIa DEl mIllENNIO)

di Marco Magurno

Ce l’aveva ancora duro quando un colpo al a testa lo fece vacil are e cadere.
Il

sapore umido del ’erba gli avvolse il muso come un guanto di saliva. Era
rovinato

di lato in una mezza capriola, cadendo a peso morto sul a faccia.

Il mondo sa di fresco, riuscì a pensare, prima che gli si rovesciassero in


testa

lamenti e urla, fruscii e tonfi, come i detriti di un assurdo scoppio di


rumore.

Ahi, che botta, mai avuto un orgasmo così, pensò la sua parte ancora
coscien-

te. Un rigagnolo di sangue caldo, intanto, gli sboccò sul a punta del a
lingua. Poi

una scossa gli percorse la spina dorsale. Perse i sensi.

Eppure, fino a un attimo prima la situazione era piuttosto diversa. Inginoc-

chiato sul prato, s’ingroppava una grassottel a riccioluta che gli s’era buttata
ad-
dosso non appena l’aveva visto. La teneva ferma coi pollici sui fianchi e
stantuffa-

va sorridendo. Tutt’intorno coppie, terzetti e quadriglie impegnati negli


incastri

più vari.

La più grande orgia del millennio, avevano detto, un’ammucchiata senza re-

gole né limiti. L’organizzazione si era basata su un discreto passaparola e il


luogo

era stato comunicato solo al ’ultimo momento.

Poco più in là due ragazze si rotolavano avvinghiate nel ’erba mentre uno

spilungone, stringendosi il membro, tentava di separarle. Uno skinhead coi


pan-

taloni a mezza gamba se lo faceva succhiare da un occhialuto in frac e papil


on.

Una piccoletta saltel ava sul a pancia di un uomo peloso, mentre un altro,
con un

caschetto biondo, la prendeva da dietro. Con gli occhi dischiusi la nana


agitava le

mani nel ’aria, invitando ad avvicinarsi.

Un pechinese con degli scaldamuscoli rosa alle zampe saettava da un punto

al ’altro del prato, annusando e schivando culi.

L’aria era pregna di odori e gemiti, e nel cielo poche nuvole galleggiavano

leggere.
Quando i reparti d’assalto del a Polizia Morale piombarono sul luogo non si

persero d’animo. L’azione repressiva fu un piccolo capolavoro di tattica e


coor-

dinamento. Con una rapida e decisa manovra a tenaglia gli agenti


circondarono

dal ’alto la valle per poi riversarsi su quel ’incastro di membra e fiati.
Nessuno

cedette al a fatica.

Fu quando il colpo lo raggiunge e lo piegò col muso a terra che ebbe la


gioia

di quel a visione beata. Il mondo sapeva di fresco. E l’amore, come sempre,


aveva

le sue regole, le sue geometrie così precarie.

365 racconti erotici per un anno

111

lE NOTTI DI saRa

16 aprile

di Vittorio Rainone

Sara, in metro, fra neon e graffiti. Gli altoparlanti gracchiano le pulsazioni


di un

pezzo mid tempo.

Sara, in piedi, segue il ritmo con il bacino, scivola verso le porte che si
aprono
a un colpo di rul ante.

Scendono in pochi, con lei: guardano altrove, tranne quando dà loro le spal-

le. Ha un abito bianco corto che si alza a ogni passo. Non indossa altro,
sotto. Ed

è come nelle notti precedenti: non le importa. È solo un sogno, dopotutto.

In stazione c’è la stessa musica cadenzata che sentiva in treno. Gli addetti
alle

pulizie sottolineano le note, in una coreografia languida. La scala del a


metro è

ripida. Sara sale piano e finge di non accorgersi che dietro di lei si è
radunata una

fila di pendolari. La contemplano, con respiri silenziosi.

Al ’esterno la voce del cantante intona la solita strofa rauca.

C’è questa strada lunga, il uminata dalle insegne dei locali, gruppi di
ubriachi

tendono bicchieri, la abbracciano, la stringono, forse più di quanto


accetterebbe,

da sveglia. Sconosciuti sudati le offrono un sorso e mormorano battute.

Un individuo magro, occhi febbricitanti, rughe profonde a scavargli la


fronte.

La punta in mezzo al a calca che si è creata, scosta gli altri, ignorando le


proteste,

si inginocchia, le solleva la gonna e la fissa con un ghigno. Si immerge.


Sente le dita di lui in mezzo alle gambe. Intorno battono le mani a tempo.
Lo

incitano. Qualcosa di umido: cresce al passare dei secondi, mentre spalanca


le

cosce. Reclina la testa, oscil a, li invita a unirsi al a festa. La canzone che le


suona

nel cranio raggiunge il ritornello.

È simile e diverso ogni notte, da una settimana: il suo sogno abitudinario,

ambientato in quartieri periferici, popolato da estranei. Con la stessa


colonna

sonora. L’apice è il riff semplice di un intermezzo rovente: le sono addosso,


la

esplorano, lenti, con locali accelerate ruvide.

I colori si fanno confusi: la musica si interrompe, sirene intagliano ombre di

uomini in fuga, una mano afferra quelli che, più vicini a lei, non
accennavano a

staccarsi. La voce di Paolo squarcia quello che resta del a notte: grida, la
scuote.

È il suo sogno, gli risponde Sara: non deve preoccuparsi e non deve intro-

mettersi.

C’è uno strano silenzio, se fosse sveglia lo definirebbe imbarazzato. Paolo

prende la coperta che gli porge un poliziotto e fa per coprirla. Sara vorrebbe

ribel arsi, ma sente le gambe improvvisamente mol i: tutto vira verso il


nero, e
mentre succede si chiede se non è strano.

Svenire in un sogno.

112

365 racconti erotici per un anno

chImERa

17 aprile

di Alice S. Tramontano

Ogni giorno lo osservo da lontano, perso in un silenzio assordante. Annego


in

un mare limpido, ma frastagliato, fatto dei suoi sorrisi, delle sue parole
gentili,

delle sue attenzioni nei miei riguardi. Del a sua amicizia.

Seguo ogni suo movimento mentre cammina sinuoso per l’appartamento

che dividiamo, come se si trovasse sempre nel suo elemento, padrone di sé;

inconsapevole, forse, del ’effetto che mi fa, del vortice di emozioni e


sentimenti

contrastanti che scatena dentro di me, e che si rincorrono frenetici in un


calei-

doscopio di colori abbaglianti. Di pulsioni incontrol abili.

È come un gatto; uno spirito libero. Fa le fusa e pretende le coccole, ma

è altrettanto capace di soffiare e graffiare chi invade il suo spazio. Così


resto
sempre un po’ a distanza, accontentandomi dei brevi attimi che mi concede,

di immaginare soltanto le mie mani percorrere il suo corpo dal a carnagione

bronzea e che sembra scolpito apposta per il peccato.

Bramo di lasciar scivolare le mie dita su di lui in una carezza lasciva, di

scoprire ogni lembo di pelle sensibile, di tracciare una mappa invisibile coi

polpastrelli e poi ripercorrerla con la lingua e i denti, lambendo,


mordendo...

marchiando.

Sogno di sentir esplodere il suo sapore in bocca, esaltando ogni mio senso,

di avvertire i suoi fremiti sotto i miei tocchi, mentre si lascia andare senza
più

remore, in modo assoluto e totalitario, inarcandosi verso di me, al a ricerca

di un contatto ancora più intimo. I nostri due corpi stretti insieme, incastrati

perfettamente l’uno nel ’altro.

Desidero perdermi nel suo sguardo ambrato come le foglie d’autunno e

smarrirmi sulle sua labbra dolci come miele, annaspare nel suo luogo più
na-

scosto e profondo e spingermi in lui fino a dimenticare chi sono e cosa sono

stato prima di incontrarlo, percepire la sua voce roca sussurrare il mio nome

in un gemito mentre lui mi cinge i fianchi tra le gambe stringendomi a sé e

incitandomi ad aumentare il ritmo. Le sue mani che lasciano un segno


indelebile
sul a mia schiena così come nel mio cuore.

Piacere, dolore, lussuria e amore si mescolerebbero, dilagando e scorrendo

nelle nostre vene come linfa vitale. Ma anche come un veleno infetto che
non

ci lascerebbe scampo.

Lui è tutto ciò che voglio, ma non sarà mai mio. Tuttavia...

Sono un uomo anch’io, malgrado l’ami. E il mio destino è di vivere anelan-

do in eterno qualcosa che non potrò avere.

365 racconti erotici per un anno

113

gENTE balORDa

18 aprile

di Miriam Cervellin

Erano una coppia non più giovane, ma nemmeno così vecchia da aver perso

interesse per le pratiche da letto. Appena sveglia, lei sbadigliò e gli disse: –
Ti

ho già detto di Bo e Lara? Pare che entrambi abbiano storie parallele da


parec-

chi mesi.

Lui annuì con poca sorpresa. – Si vede che non sono più uniti come un tem-

po – rispose, al ungando una mano sul pube di lei. Lei si al ungò tra le
lenzuola
e si sfilò il perizoma.

– Mi dispiace. E i bambini? – chiese mentre il marito giocava con i suoi peli

pubici.

– Sai come sono gli adolescenti: è possibile che abbiano intuito – rispose lui

mentre il suo pene rispondeva educatamente alle sollecitazioni del a moglie.

– Lei lo ha conosciuto in palestra e lui pare che abbia perso la testa per una

collega – aggiunse lei palpandosi voluttuosamente il seno ancora sodo.

– Quegli ambienti sono pericolosi. Meno male che noi ne siamo fuori – dis-

se lui mentre levava le mani del a moglie dai seni e se le appoggiava di


nuovo

sul membro. Abbassandosi, prese a passarle la lingua sui capezzoli.

– Già, è una fortuna che abbiamo ancora lo stesso coinvolgimento di quan-

do eravamo fidanzati! – esclamò lei mentre saliva a cavalcioni sul marito e


lo

lasciava entrare. Su e giù, su e giù, su e giù, su e giù.

– Lara dice che il loro legame si è rafforzato. Non sono più obbligati ad
ave-

re rapporti sessuali noiosi e poco coinvolgenti tra di loro e sono più


innamorati

di prima.

E su e giù, su e giù, su e giù, su e giù.

– A me sembra solo un legame fasullo e squallido. Dev’essere sempre come


al ’inizio, anche se sono passati anni – aggiunse lui mentre le appoggiava le

mani sulle natiche dando una leggera strizzatina. Era il segnale convenuto
di

cambio di ritmo. Su e giù, su e giù, su e giù, su e giù.

– Non credo proprio che siano innamorati, ci vuole rispetto in un rapporto

e loro si stanno mentendo. Perché non si separano? – Su giù, su giù, su giù,


su

giù. Lui si inarcò ed emise un sospirato “oh!”. Lei, poco dopo, emise un
sospi-

rato “ah!”.

Era sempre bello finire insieme, era il loro specchietto per le allodole e
dopo

tanti anni nul a era mutato. Rimasero abbracciati per alcuni minuti,
aspettan-

do che le loro membra si ricomponessero, poi lei disse: – Che gente


balorda!

– Sfiorò affettuosamente i testicoli del marito, quasi a voler dire loro che
erano

stati al ’altezza, e si diresse sicura e serena verso il bagno. Lei era sempre la

prima a fare la doccia la domenica mattina.

114

365 racconti erotici per un anno

la mORTE DI EROs
19 aprile

di Andrea Vil ani

Alle note di All around the world di Lionel Richie, la tenda color porpora si

spalancò ed Eraldo Porta, in arte Eros Doors, salì sul tavolo noncurante di

piatti e bicchieri.

– Questa è la sorpresa, Claudia! – urlò una delle amiche.

Con la mano destra, Eros prese un lembo del a giacca dello smoking e tirò

forte. La giacca scomparve al ’istante e alle ragazze si presentò la visione di


un

petto maschile che pareva scolpito dal Canova e una serie di addominali da

fare invidia a una statua greca. Con la mano sinistra, invece, agguantò i
panta-

loni e ripeté l’operazione.

Claudia si ritrovò davanti un uomo che indossava un filo di perizoma e che

danzava a ritmo forsennato. Sul corpo non aveva un solo pelo e le


sopracciglia

erano rade e curate. Era abbronzato e ricoperto da un olio profumato al


rabar-

baro che gli faceva luccicare i muscoli come una luminaria la vigilia di
Natale.

Claudia era a bocca aperta. Le altre battevano le mani a tempo e gridavano.

Eros scese dal tavolo con un balzo e iniziò a strofinarsi sulle ragazze. Lui si
av-
vicinava e loro fingevano timidezza. Ma nessuna resistette a toccare quel
corpo

eccezionale. Quei muscoli che ondulavano a ritmo perfetto.

Eros iniziò a strusciarsi contro Claudia, che restò pietrificata. Poi continuò

sino a raggiungere l’erezione. Il suo pene si gonfiò fino a che il glande


assunse

un colore viola scuro. E quando si tolse il perizoma, abbassandolo alle


caviglie

con un movimento rapido e conclusivo, si levò uno scettro imponente. Il


gesto

fu seguito da un urlo da stadio. La mano di Patty, la più scalmanata, afferrò


il

pene di Eros e lo strinse con forza. Si levò un grido lacerante. Eros


indietreggiò

e perse l’equilibrio. Ma non cadde perché Patty teneva ben saldo il suo stru-

mento di lavoro.

– Lasciami! – gridò Eros. Le dita allora si allentarono e lui si rovesciò sul

pavimento, tirando con sé la tovaglia con piatti, posate e bicchieri. Subito la

Fede, la Chicca, la Cicci, la Titti e la Patty gli furono addosso. Lo frugarono


tra

l’inguine e le cosce. Eros, sdraiato a terra, sembrava una trota appena


pescata e

gettata a riva. Si muoveva a scatti, attorniato dalle ragazze che gli


impedivano
di rialzarsi. Fu un vero pandemonio. In sottofondo le note martel anti di
Lionel

Richie. A Claudia fu chiaro che era il caso di raccogliere la borsetta e uscire


da

quel delirio. Appena prima che il corpo di Eros venisse addentato e poi
masti-

cato sino a tarda notte.

365 racconti erotici per un anno

115

asPaRagUs OffIcINalIs

20 aprile

di Federico Guerrini

La serata era cominciata bene, fra bicchieri di vino e risate.

Nel a pentola in ebollizione, tra fumi inebrianti, il polpo cuoceva lenta-

mente. Immaginava già la sua carne morbida e tenera squagliarsi in bocca.


Al

pensiero, roteò involontariamente la lingua e se la passò sul palato. Lui notò


il

movimento e la fissò un attimo, come in tralice. So cosa stai pensando,


disse.

Sai, il vero gourmet non mangia solo col palato, ma con tutti i sensi. Ti
propon-

go un gioco. Si mise a rovistare in cucina, prese degli oggetti e li mise sul


tavolo.
Dispose, l’uno accanto al ’altro: asparagi, albicocche, un avocado, un
cetriolo

e un uovo. Il gioco è semplice, disse lui. Io ti darò delle indicazioni e tu


dovrai

interpretarle secondo la tua fantasia, utilizzando questi alimenti. Prendi


l’aspa-

rago, per esempio. A quel punto lei aveva già preso una decisione:
trattenuto

il primo impulso di protestare, avrebbe lasciato che il gioco prendesse


forma,

si sarebbe consegnata con la mente e col corpo. Vedi, continuò lui, questo
vir-

gulto ha sempre posseduto un potere, per gli antichi un richiamo fallico.


Forse

perché, lungo e turgido, si erge con orgoglio dal a madre terra, e cambia
colore,

è bianco, poi rosso e violetto. Ora tocca al a tua immaginazione. Prendilo in

mano. Lei prese l’asparago, sentendone il gambo molle e liscio sotto le dita.
Le

fece scorrere fino al a punta, sentendo il morbido stelo piegarsi e flettersi


nel a

mano. Fu naturale portarlo al a bocca. Era un esemplare abbastanza grosso


e lei

ebbe qualche difficoltà a introdurre l’asta; iniziò a mordicchiare piano,


attenta
a che non si sfaldasse e sentendo su di sé l’occhio vigile di lui che seguiva
ogni

sua mossa. Strinse al a base, dove il gambo si al argava, e cominciò a


introdurre

l’ortaggio dentro e fuori la cavità orale. Sentì l’occhio vigile di lui, percepì
senza

vedere l’eccitazione che gli gonfiava i pantaloni e si lasciò andare,


immaginan-

do di avere in mano l’originale di carne. Succhiò e leccò l’asta avanti e


indietro,

poi slacciò la camicetta e la introdusse fra i seni, quindi scese più giù,
sfregando

il bastone contro la sua parte più segreta, emettendo timidi mugolii. Sentì i

suoi umori irrigare il vegetale e fece in tempo a introdurre la punta, prima di

sentire la mano di lui bloccarla dolcemente. Brava, disse lui, vedo che hai
capito

lo spirito del gioco, ma non consumiamo tutto il divertimento troppo presto.

Preferisci un cetriolo o un avocado?

116

365 racconti erotici per un anno

NERa, cOmE l’aNIma

21 aprile

di Riccardo Carlo Ballola


Il cortile è una stanzetta con alcune sedie di plastica, un pallone sgonfio e
quat-

tro mura intorno. D’estate il cielo è sempre azzurro.

Io l’aspetto lì, in mutande. Cammina sculettando, si spoglia mostrandomi il

reggiseno nuovo e, sotto il gonnellino rosso, esibisce un perizoma atomico.


Da

dietro le stringo le tette, lei miagola e scuote il culo.

Troppo bello! Non so resistere e mi sfilo gli slip.

Zulima ha gli occhi grandi ed è tutta nera, anche dentro il cuore. Mentre

la scopo, sta dritta sui tacchi a spillo. Dice che così l’amore si fa meglio.
Poi si

volta. La afferro per i capelli biondi, apre le labbrone e glielo infilo in


bocca.

Ogni volta godo da matti. Quando finisce mi dà un bacio caldo sul ’inguine

e io m’intristisco perché, senza di lei, la vita in famiglia è grigia.

Parliamo poco, però, delle rispettive vite, che quasi non ci conosciamo.

Eccola! Anche oggi è arrivata. Fa tanto caldo in casa, usciamo in cortile.

– Dai – dice – scopami. Io non so dire mai di no.

La negretta tornerà domani, e i peli mi si arricciano. Non penso ad altro

e consumo il mio tempo aspettandola. È passata nel pomeriggio e ha fatto la

pulizia del mio pisello, lucidandolo con la lingua e succhiandolo


avidamente
con la bocca. Io ce l’ho sempre duro, ma la testa non mi ragiona sempre
così,

e mi dice che dovrei smettere di farmela in casa quando moglie e figli non
ci

sono. Vivo in paese e la gente spettegola… gliel’ho detto che una di queste
volte

dovrò farla sparire!

L’inverno è stato lungo. Zulima è stata molto assente, anche per colpa mia.

Non sapevo cosa fare… Quante volte ho chiuso gli occhi desiderando che la

sua bocca si materializzasse davanti a me! Ho stretto i denti e ho sbavato.

Nelle feste di Natale Zulima è riapparsa, dimagrita e con macchie di muffa

sul a pelle. Uno schifo. Durante l’ultima visitina mi ha dato dei bacini
roman-

tici, mi ha preso la mano, l’ha stretta e mi ha chiesto addirittura se l’amo. È

pietosa. La nostra relazione è molto cambiata rispetto ai primi tempi,


quando

in un baleno mi succhiava l’uccello e poi spariva al volo dentro la


cassapanca.

In questi giorni la mia immaginazione è al minimo e non sento più l’esigen-

za di Zulima. Penso che la toglierò dal a cassapanca e la nasconderò in


cantina,

avvolta nel cellofan con cui è arrivata un anno fa. Io non sono uno che pro-

mette a una donna di amarla per tutta la vita. Che assurdità! Neanche con
mia
moglie sono stato di parola, figuriamoci con una bambola gonfiabile.

365 racconti erotici per un anno

117

NElla NOTTE

22 aprile

di Margherita Lamatrice

L’universo negli occhi liquidi di piacere, le labbra dischiuse appena ad


accom-

pagnare un lieve sospiro seguito subito da altri.

Nel a tua mente... lei.

Una mano sul seno, lo stringi con possesso, come a volerlo plasmare, im-

porre il tuo volere. Le dita sono frenetiche. Non sai cosa stai facendo, vuoi
solo

calmare il calore che ti bagna fino a perdere il respiro.

E le dita dentro di te ancora, sempre più a fondo.

Pensi a lei, immagini di sfiorare il suo corpo, un corpo simile al tuo, troppo

simile. Scariche elettriche di piacere, respiro affannato, confusione... la


volontà

di averne ancora, non ne hai mai abbastanza. Quasi invochi il suo nome
men-

tre immagini scostanti del suo sorriso ti riempiono la mente.

Aumento del ritmo, il pollice a torturare il clitoride teso, vibrante di deside-


rio, caldo. È un lampo accecante di endorfine che ti devasta, che ti fa
perdere

la ragione.

E il cuore che batte, che riempie le orecchie, che annul a gli altri suoni.

L’universo si fa sempre più vicino, quasi afferrabile, hai la sensazione che il

mondo sia tutto lì, tutto in te, non ci sia nul a oltre il suono del tuo respiro e

del tuo cuore. E lei. Ogni spasmo è una tortura lenta. È dolore mascherato
di

piacere, è masochismo, è martirio, quasi crudeltà.

Avverti il tuo corpo come se non ti appartenga più, preda solo del ’istinto

che ti grida di volerne ancora, e poi ancora fino al a fine, quasi al a morte.

Moriresti pur di venire, è un bisogno impellente, è vitale.

Le dita aumentano il ritmo e il respiro si spezza. Non t’importa di nul a.

Vuoi il piacere. Ansimi, gemi, ti mordi le labbra. Provi, in un deleterio istin-

to di sopravvivenza, a respirare ancora... inutilmente.

Vivere o morire. È una scelta che in quel momento pare impossibile da fare.

E ti senti scombussolata e folle, ma non ti importa.

Nul a importa. Siete solo tu e l’universo...

E lei, dentro di te, nel a tua mente, nel a tua anima, presente, indelebile.

Contrai i muscoli e afferri finalmente le stelle. Esplodono tutte, con una

potenza tale che ti pare impossibile essere ancora viva, e solo allora riesci a
concepire un mondo oltre al tuo corpo ormai esausto. Osservi il soffitto
ancora

intontita dal ’esperienza e ti rendi conto che tutto sommato vivere è più
impor-

tante. Sorridi di te, ritiri le dita umide e le accosti al a bocca, il sapore


pungente

di colpevolezza pizzica il palato.

Non puoi avere ciò che davvero vuoi, ma ora sei troppo stanca per pensarci.

Intanto tuo marito, accanto a te, dorme inconsapevole.

118

365 racconti erotici per un anno

gIOcO al massacRO

23 aprile

di Tiziana Ritacco

Sangue. Lo senti scivolare lento sul a pelle. Come rivoli di umori caldi,
bollen-

ti. Come quel sesso che ti avvolge e le cui spinte assecondano le tue. Le
unghie

profonde nel a schiena, violente. Lame letali. Assassina.

Sorride sagace, ti sfida. Non ti apparterrà mai. Lo sai, te l’ha detto prima
an-

cora che quel gioco avesse inizio. Gioco al massacro, a farle del male, a
subirne.
Godere di ogni attimo, ogni sensazione. È una fiamma che consuma la cera
in

fiotti bollenti. Nul ’altro resta.

È una lotta di ruoli, di posizioni. E vorresti quasi spezzarla, quel a mano

che ancora ti lacera mentre lei gode per quel lampo di dolore nel tuo
sguardo;

senti i muscoli del a sua femminilità contrarsi attorno a te quando ti sfugge


un

gemito sofferto.

Le dita nei suoi fianchi. Uno spasmo violento. Lascerai i segni. Vuoi
lasciar-

li. E scorgerle sul a pelle l’ombra del tuo passaggio.

Le labbra sul suo collo quando le spinte si fanno impetuose, quando impri-

mi il tuo peso sul a sua pancia per fermarla, braccarla contro ogni suo
deside-

rio. Poiché vuole prenderti, dominare la partita. Ma la tua posta è alta,


troppo.

Strada a senso unico, ovvio.

È solo questo. È vendetta. Perché conosci la morsa che ti bloccherà il respi-

ro quando resterà solo il profumo di donna sul a tua pelle, il piacere colato
sul-

le lenzuola. E sarai nudo, sarai solo. E l’odore di sesso stantio nel ’aria
giocherà

con i tuoi nervi come un burattinaio con la sua marionetta.


E allora giochi con lei. Ti imponi, devi. Non cederà mai, è una guerra persa.

Puoi solo strapparle di mano le redini del a situazione e imporre il tuo


ritmo.

Misurare gli affondi, il tocco delle dita sul clitoride. Violento a volte. Altre
leg-

gero, come alito di vento.

La baci. Mai sul a bocca. Sul mento, la guancia, dietro l’orecchio. La lingua

lungo la gola, una scia umida quanto i vostri corpi sudati. Ti fermi appena

sopra la clavicola quando ti graffia ancora. E mordi. Catturi lembi di pelle


tra i

denti, li succhi come se volessi bere da lei.

Poi più giù, un capezzolo tra le labbra per farle urlare tutto il suo piacere,

farla sciogliere nel ’estasi del ’orgasmo. La schiena si inarca, si offre


totalmente,

e ne approfitti per morderle una spal a mentre ti riversi in lei.

Ricadi sul letto esausto. L’occhio sui segni che le hai lasciato: ne è piena.
Ma

l’anima livida è la tua, perché ora lei sorriderà come sempre, si alzerà e
tutto

sarà finito un’altra volta. E che davvero non sia stato solo un gioco è una
spe-

ranza vana.

365 racconti erotici per un anno


119

UN mURO DI NEvE

24 aprile

di Alex Favaro

Il giorno dopo, alle prime luci del mattino, il sole, insinuandosi fra le tende

bianche come neve, avrebbe colpito il cuscino, come a ricordarmi che il


tempo

scorre e che là fuori c’è un mondo in movimento.

Quel a mattina, il mondo mi avrebbe fatto paura. Perché non sarei stato

pronto. Probabilmente non lo sarei mai stato. La finestra sarebbe stata


chiusa,

la stanza ancora carica di respiri e gemiti; l’eco di parole sussurrate non


sarebbe

fuggito e avrebbe risuonato, forte, dentro le mura. E io le avrei ascoltate


assor-

to, fino a sentire quel ’attimo di assenza tra un respiro e l’altro. Con la punta

del ’unghia e del a fantasia avrei grattato le lenzuola umide, e avrei ancora
avu-

to voglia di giocare.

Riapro gli occhi; è ancora notte, e la neve non può sciogliersi.

Era cominciata per gioco, e sarebbe finita in un fiume di piacere, che ora

mi scorre, caldo, nelle vene, mi urla in testa, mi placa e mi agita corpo e


sensi,
mentre quel ’uomo, con le sue umide labbra, assaggia goloso la mia pelle,
ed è

come se quel a lingua mi aprisse il petto in due, mostrandomi ciò che ho


avuto

timore di essere; è il mio sangue che ora bagna le sue labbra.

Mi lascio guidare dal ritmo dettato dalle sue mani e mi ritrovo girato, la

pancia e il mio piacere stretti contro le lenzuola. Lui continua lo spettacolo

cruento di cannibalismo mordendomi sul collo, e il mio respiro si fa più


forte;

vengo trascinato, come una marionetta dai fili, dal movimento del suo petto

sul a mia schiena nuda. Mi percorre la spina dorsale e lo sento fermarsi,


respi-

rare, poi un sussulto, di nuovo il mio bacino sfrega contro le lenzuola


umide;

sta posando la lingua sul confine tra la mia anima e la mia mente, tra la mia

voglia e il mio pudore, tra il mio sangue e il mio corpo.

Gioca con l’elastico dei miei slip, lo morde, lo tira, lo lascia andare.

Le sue mani varcano il confine; tremo, per ore, in quegli attimi.

Sento i passi delle sue dita sul a superficie del a mia anima. Qualcosa di

caldo sul mio viso, una lacrima, una lacrima mi scende fino alle labbra. Tiro

fuori la lingua e assaporo la mia libertà. È salata, il sapore più dolce che
abbia
mai assaggiato. E con essa dimentico l’orgoglio del mio essere uomo. E con
essa

dimentico domattina.

E la paura.

120

365 racconti erotici per un anno

scUsa Il RITaRDO

25 aprile

di Enrica Muraro

Di nuovo qui, nel tuo buco. Tempo fa, era il luogo dei miei più reconditi
desideri,

ma tu sei riuscito a rendermelo nauseante quanto la tua presenza. Oggi è


l’ultima

volta che mi vedrai, ho costruito la mia vita e sto realizzando ciò che mi ero
pro-

messa.

Mi fai entrare, mi osservi, scruti il mio sorriso e capisci che ti sto già
umiliando

con la mia vitalità fin troppo evidente, sai anche che è l’ultima volta che
sarò davan-

ti a te e leggo una certa amarezza nel tuo sguardo.

Al ’improvviso, la tua delusione scompare e noto una vena pulsare


velocemente
sul tuo collo. Ignoro il motivo per cui sono indietreggiata di qualche passo,
non

sono preparata a questo.

Ti alzi dal a scrivania, mi blocchi al a porta e maledico il mio cuore che


ancora

una volta sussulta come non dovrebbe. Non ti voglio ma ti desidero, ed è


come se

una lama si stesse adoperando per aprire di nuovo tutte le mie vecchie
cicatrici.

Sono le tue labbra a spazzare via ogni pensiero. Ancora in trappola, la mia
pic-

cola dolce gabbia dorata che tanto mi è mancata, di nuovo tu, padrone del
mio

cuore e signore del a mia anima. Perché adesso?

Il silenzio è rotto dalle nostre labbra che si uniscono e dalle mani che si
strappa-

no vicendevolmente i vestiti. Nudi senza vergogna, consapevoli che i nostri


corpi

sono fatti per essere uniti.

Le gambe cedono sotto il peso del a passione e ci ritroviamo a terra, pronti


a

consumare questa fiamma che non si era mai spenta. Ci uniamo, finalmente,
ei

nostri bacini si incontrano rapidi, le dita si intrecciano sopra la mia testa e


ancora
non servono parole. Sazia la mia fame, abbevera la mia sete e non lasciarmi
più,

non farmi sanguinare, non ho più forza. Hai fatto cadere ancora una volta le
mie

certezze; adesso diventa tu il mio mondo.

Esplodi di piacere dopo che mi sono inarcata sotto di te per l’estrema


frenesia

di questo rapporto. Ci ritroviamo a tremare e a sorridere. Non oso porti quel


a

domanda, quel dubbio che ognuno ha dopo emozioni così forti.

– Ti amo.

Sei tu, questa volta, a precedermi e a stupirmi. Sei costretto ad asciugare le


lac-

rime che mi sfuggono. Intuisci la mia risposta dalle labbra tremanti e dal
sorriso

che mi è comparso, assieme a quelle piccole stille di felicità.

– Scusa il ritardo – mormori, con sottile ironia. Ti lascio un leggero


pizzicotto

di punizione sul fianco.

– Ehi! Fa male! – esclami. – Siamo pari?

Con uno sguardo di sufficienza rispondo: – Pari. – Poi ci sono solo le nostre

labbra che si fondono di nuovo.

365 racconti erotici per un anno


121

Dk E laDY kaNT

26 aprile

di Marina Crescenti

Il fruscio delle lenzuola sul suo corpo nudo la eccitava. Faceva caldo, si
alzò. Era

sola. La seta le scivolò di dosso come acqua nera. Si accostò al a finestra,


l’aprì.

Sfiorò i seni gonfi. Socchiuse gli occhi, si passò la lingua sul labbro. Uno
sbuffo

d’aria fresca l’avvolse. La mano scivolò fino al ventre, accarezzò le labbra


umide.

D’un tratto, un rumore. Solo fronde di salice, mosse appena dal vento. Sfilò
dai

capelli biondi il lungo fermaglio, ciocche vel utate ricaddero sinuose sulle
spalle.

L’uomo era lì per vedere.

Nascosto tra i rami del salice, indossava una calzamaglia nera, un otto rove-

sciato lasciava scoperti gli occhi. Grigi, come metallo grezzo che riluce. I
contor-

ni scuri immobili, lo sguardo puntato sul suo corpo nudo e voglioso.

Lei tornò verso il letto. Non avrebbe voluto, ma accese il dispositivo. Si


distese
fra i morbidi solchi di seta. Sol evò le ginocchia, divaricò le gambe. Strinse
le dita

intorno al tubolare in ottone, ansimò piano e inarcò dolcemente la schiena.

L’uomo si mosse rapido.

Balzò in camera, rimase acquattato nel buio. Si spogliò. Raggiunse il letto.

Le fu subito sopra, una mano contro la sua bocca carnosa. Non fece in
tempo a

gridare, gli occhi sbarrati in quelli di lui, gelidi. Con uno scatto, l’uomo la
legò

per i polsi al a spalliera del letto. Portò le mani sopra i grossi seni, vi
affondò la

faccia. Li leccò. Lei si ribellò, ma l’uomo era forte, non le permise altro che
di-

battere inutilmente le gambe. Le insinuò il pene tra i seni, prese a muoverlo


con

vigore. La sfiorò in mezzo alle gambe: era ancora eccitata. Poi le scivolò
lungo i

fianchi sudati. Lei sentì la lingua calda scorrerle fra le cosce, voleva gridare,
mor-

dere, fargli male! Ma la mano di lui premeva impietosa sul suo respiro
affannato.

Mosse come impazzita la testa, i capelli biondi sparpagliati sul cuscino. Lui
la

penetrò. Sentì il membro duro entrare e uscire al ritmo dei suoi ansimi. I
glutei
del ’uomo si indurivano a ogni spinta, la lingua seguì percorsi di libidine
sfrenati,

giunse di nuovo sul seno. Succhiò i capezzoli, un sapore dolciastro.

Il dispositivo si accese. Un vagito si materializzò nel a stanza.

L’uomo si bloccò. – Maledizione! – Il fiatone contro il collo di lei.

– Nooo... – ansimò lei.

– Questa è fame, tocca a te.

Scivolò riluttante da sotto il corpo di lui. – A dopo…

L’uomo la guardò mentre si allontanava nel buio, splendida.

Lei si voltò, diede un ultimo sguardo al suo uomo, tirò fuori la lingua e la

roteò intorno alle labbra.

– Ehi, Diabolik... tienilo in caldo.

– Ti ho mai delusa, Eva?

122

365 racconti erotici per un anno

magNOlIa

27 aprile

di Scil a Bonfiglioli

Tutte le ragazze al a Casa del Tè avevano il nome di un fiore. Lei era Fiore
di
Campo: un nome dato alle ragazze che non si sapeva da dove venissero,
quali

déi venerassero, quali lari le proteggessero.

Fiori ordinari, piccole schiave nelle Case del Tè.

Fiore di Campo, in mezzo a tanti Fiori, serviva sciogliendo i capelli per i

clienti, scoprendo le braccia morbide, porgendo ceramiche.

La Casa del Tè era quasi deserta, quel giorno di pioggia. Il cielo era algido;

il temporale profumava la terra del giardino, accarezzava i giunchi e i fiori


dai

carnosi petali di latte.

Lui veniva dal porto e la condusse tra la pioggia e le magnolie. Fiore di

Campo sorrise, come le era stato insegnato. Lui le tolse la seta e le sue mani

ruvide le raccontarono una vita di mari e di ormeggi. Le afferrò i seni


bollenti:

lei profumava di cose mai toccate e le fragranze del ’acqua e dei bambù, nel

giardino, esaltavano la sua. Le soppesò un seno, valutando le forme


generose, li

premette l’uno al ’altro. Ne ghermì la carne e la fece gemere. Si piegò per


baciarne

la polpa tiepida, come se volesse divorarla: morse i capezzoli inturgiditi, li

poppò. La chiamò con voce ruvida come una vela e le palpò il ventre, che
era

come un petalo bianco e carnoso: – Sei fatta di latte, come ti chiami?


– Fiore di Campo. – Un nome flessibile come il vento.

– Fiore di Campo non vuol dire niente. Come ti chiami? – Le tastò le


natiche

sode, come si affondano i denti in un frutto maturo. Lei schiuse le cosce,


corolle

ovali, e la pioggia la vezzeggiò gelida dove lui aveva mani ardenti.

Le divorò rotondità del ventre: era d’avorio e si colorava di rosa, come la

madreperla, ma così morbido da farlo ruggire.

– Come ti chiami? – chiese ancora, sotto la pioggia e al cielo di latte, alle

magnolie odorose. Fiore di Campo gonfiò i seni, cercando il viso di lui,


cotto

dal sole degli arcipelaghi, offrendo al ’acqua i capezzoli duri.

Lui la spalancò sotto di sé e accostò il viso, come si odora un fiore: la baciò.

Quello che la ragazza aveva tra le gambe era un fiore solitario, a forma di
coppa.

Lui lo accarezzò con le labbra e lei rovesciò la testa al ’indietro.

– Come ti chiami?

Fiore di Campo gridò e lui la riempì, immergendo la lingua a cercare gli

stami, i succhi dolci del calice polposo.

– Magnolia, ti chiami. – La lasciò andare per agguantarle i fianchi, la

trasse a sé sui giunchi e la pioggia e affondò feroce tra le sue cosce di latte.

Magnolia.

Tutte le ragazze al a Casa del Tè avevano il nome di un fiore.

365 racconti erotici per un anno

123

ThE fIRsT fUck

28 aprile

di Annamaria Fassio

Atanai se n’è andato. Atanai non tornerà più. Il suo corpo giace su un
giaciglio di

paglia al ’ingresso del a grotta. Le donne del a tribù l’hanno ricoperto di


conchi-

glie e hanno posto lance e coltel i al suo fianco.

Amira giocava con l’acqua del fiume. Era accosciata sulle pietre, le gambe

spalancate, il sesso aperto a ricevere gli spruzzi ghiacciati. Piccoli gemiti le

sfuggivano di bocca ogni volta che l’acqua colpiva il roseo rigonfiamento di

carne che lei aveva imparato a riconoscere e ad apprezzare. Il padre di


Amira

prendeva le donne da dietro. E grugniva mentre si accoppiava. Grugniva


anche

sua madre. Amira era sicura di non averla mai sentita gemere, come,
invece,

faceva lei tutte le volte che si toccava.


Atanai vide Amira giocare con l’acqua ed ebbe un’erezione. Si avvicinò per

prenderla da dietro, ma lei aveva gli occhi socchiusi e dalle labbra le


sfuggiva

un lamento. Amira si toccava in mezzo alle gambe. Il rigonfiamento era


roseo

e simile a una pietra di fiume. Atanai, il maschio più potente del a tribù,
s’in-

ginocchiò incuriosito e baciò quel a pietra rosea. Amira gli strinse la testa
fra

le gambe. Gemiti soffocati le uscivano dalle labbra. La sua carne si


gonfiava e

pulsava a contatto del a lingua di Atanai, che fece risalire le mani lungo i
fian-

chi nudi di Amira e si fermò alle mammelle, piccole e sode. Le leccò a


lungo.

Stranamente non aveva voglia di prendere Amira. Almeno non subito.

Amira fece una cosa incredibile. Aprì la bocca e succhiò il sesso di Atanai.

Lui naufragò in una dolcezza senza fine. Non aveva mai provato nul a di
simile.

Si baciarono, si leccarono e si toccarono a lungo. Era la prima volta che


Atanai

prendeva una femmina in quel modo. E quando finalmente entrò in lei si


mos-

se piano per prolungare il piacere. Fu in quel momento che li scoprì


l’anziano
del a tribù. In genere le femmine erano condivise, ma non quel a volta.

– Via, via! – grugnì Atanai.

Il vecchio lo guardò senza capire. – La femmina è anche mia – disse.

– Vai via! – urlò Atanai. Il vecchio gli infilò la punta del a lancia nel fianco
e

la rigirò a lungo, ebbro del fiotto caldo di sangue che usciva dal a ferita.

Amira segue il corteo senza piangere. Lo sguardo è fiero, il portamento


quasi

regale. Ha imparato molte cose giù al fiume ed è sicura che riuscirà a


trasmetterle

al e altre femmine del a tribù.

– Questo è lo scheletro del principe – disse la maestra ai suoi allievi. –


Pren-

dete nota delle conchiglie e delle armi… Sono segni di potere. Si ipotizza
che

sia stato un valoroso guerriero, ucciso in battaglia.

124

365 racconti erotici per un anno

sPEs UlTIma DEa

29 aprile

di Gabriele Stel a

Era laureato in filosofia e non aveva nessuna cattedra, ma tutti a Roma lo


chia-
mavano il Professore. Si diceva riuscisse a capire le donne con la facilità
con la

quale leggeva un libro di Kafka. Lo incontrai una sera a Piazza Navona,


davanti

al a fontana del Nettuno. Pareva lui stesso una divinità latina, tanto erano
sferzanti

le sue parole nel ’aria mentre mi raccontava le sue imprese. Volevo una
dimostra-

zione. Concordammo che avrei scelto una bellezza romana e lui avrebbe
provato

a conquistarla. La ragazza che faceva al caso nostro era seduta a un tavolo


di un

ristorante e non solo era bel a, ma il suo corpo morbido e pieno straripava
dagli

argini del vestito, rendendolo inadatto a contenere un seno tanto procace e


delle

cosce così tornite. Lunghi capelli ricci e corvini le coprivano le spalle e


mostrò un

sorriso compiaciuto quando il Professore si presentò esclamando: – Parlami


di te,

Afrodite silenziosa!

Mi lasciai sfuggire una breve risata. Si chiamava Speranza e di certo ne


donava

a qualsiasi uomo incrociasse il suo sguardo. Il Professore la incalzava con


frasi
come – Sei un perfetto Stradivari e le mie mani, su di te, diventerebbero
melodia.

– Lei però non sembrava impressionata da quel linguaggio forbito. Io la


fissavo

con gli occhi trasognanti e la immaginavo stendere il bucato su una terrazza


di

sole, con il reggiseno che faceva capolino dal a scol atura e il profumo dei
gerani

nel ’aria. Mentre ne studiavo i lineamenti, il suo piede abbandonò il sandalo


e, sot-

to il tavolo, iniziò a sfiorarmi la gamba. Aveva piedi curati e dalle linee


sensuali. Mi

venne la tentazione di prenderli tra le mani e baciarli davanti a tutti. Mi


avvicinai

con la sedia, per darle modo di arrivare dove voleva. Il suo piede nudo
giocava tra

le mie cosce, divampando incendi in ogni punto che toccava. Avrei voluto
gridare

che stavo andando a fuoco! Le sue dita si arrampicarono sul mio sesso, fino
a ren-

derlo vivo e pedina di quel gioco. Le parole del Professore, intanto, si


modulavano

nel a sera, fino a perdersi tra le voci del a piazza. Speranza mi prese la
mano tra le

sue e mi sussurrò: – Lasciamo che il tuo amico continui a sognare, e


prendiamoci
la notte.

Quel dolce invito giunse leggero come un bacio sulle mie labbra; ci
alzammo e

il cielo si riempì dei nostri sguardi, complici e fulminei.

Il Professore smise di parlare, sorpreso. Lo salutai con una pacca sul a spal
ae

un laconico “spes ultima dea”.

365 racconti erotici per un anno

125

fIDaTI DI mE

30 aprile

di Luigi Costa

– Fidati di me. Vedrai, sarà una cosa speciale – disse lui, aiutandola a
entrare in

macchina. – Una cosa davvero speciale...

E lei era sicura che lo sarebbe stato, non a caso aveva indossato il completo

delle grandi occasioni. Con lui c’era sempre qualcosa di speciale, ma questa
volta

sarebbe stata diversa. Sarebbe stata... di più.

Aveva una benda sugli occhi, così lui aveva voluto; poteva solo ascoltare il

suono sommesso del a radio, il respiro ansioso del compagno, l’odore acre
del a
sigaretta che stava per morire schiacciata nel posacenere del ’auto. Bastava
que-

sto per farla eccitare, per farle scendere una mano lungo una coscia. Ma lui
la

fermò, con decisione. Non era il momento.

– Ti prego – implorò lei

– Fidati di me – le ordinò lui.

Arrivarono da qualche parte fuori città, ma lei non vide dove. Lui scese, la

prese per mano e l’accompagnò dentro, senza consentirle di togliersi la


benda.

La fece stendere sul grande letto che era nel centro del ’unica stanza. Un
odore

forte la inondò e la inebriò al contempo. Si sentì stordita. E poi stare così,


stesa

sul letto, nuda, senza sapere cosa le sarebbe successo, senza neanche vedere
cosa

stesse facendo il suo uomo, la faceva impazzire. D’accordo, non era nuda,
ma

così si sentiva. Nuda come non lo era mai stata. Sentì il suo uomo
accendere una,

dieci, cento candele. L’odore del a cera si mischiò al ’altro. Non poteva
resistere,

lui era troppo lento. Senza sollevarsi dal letto e senza attendere altri ordini,
si

tolse il vestito e poi il resto, quasi per provocarlo.


Lui dopo poco le fu sopra. Era anche lui nudo. Iniziarono a baciarsi. Lei fre-

meva come non mai, in attesa del a cosa speciale.

Poi lo sentì accendere ancora una volta lo Zippo d’argento, con una mano

sola, con quel gesto plateale che le piaceva tanto. Le sembrò di vederlo. E le
sem-

brò di vedere l’accendino mentre, ancora acceso, cadeva per terra. Come se
ca-

desse con lentezza esasperante.

Lui le fu di nuovo sopra, e questa volta la penetrò subito, con foga. Lei
accom-

pagnò i suoi movimenti sentendosi riempire di piacere.

Dal pavimento si sprigionarono fiamme che attaccarono le tende, poi i mo-

bili, poi il resto. Lei sentì il fumo e il calore invadere l’aria.

Ci siamo, pensò. Questa è la cosa speciale.

– Fidati di me – le disse lui di nuovo, per l’ultima volta, mentre intorno a


loro

si scatenava l’inferno. O il Paradiso.

Sul volto di lei si disegnò un sorriso.

126

365 racconti erotici per un anno

sE

1 maggio
di Alberto Sodani

Se entriamo di corsa al tramonto nel ’ultimo vagone e ci sediamo di fronte a

lei che ci guarda, sentiremo i suoi occhi percorrerci avidi. E ci accorgeremo

del a sua pelle levigata e incorniciata di capelli esotici come il suo sguardo,
e

delle labbra carnose e del a scol atura sul leggero vestito viola. E forse ci
chie-

deremo da dove venga quello sguardo esotico come i suoi capelli. Per poco,

però. Perché lei ci scaverà dentro con la sua magia d’Oriente cui
risponderemo

con la nostra miseria d’Occidente, perché vorremo sapere com’è lei, lì,
dove la

pelle levigata scompare, anzi no, appare, perché le sue gambe si aprono
men-

tre il viola si alza. E così sapremo com’è lei, lì. Perché vediamo radi fili
liquidi

su quel a nudità che ora temiamo. Per poco, però. Perché lei sorriderà e la

carrozza si svuoterà prima del capolinea. E ci ergeremo oppressi dal


rigonfio

dei pantaloni e dallo sguardo esotico e dalle labbra carnose e dal a scol
atura

sul leggero vestito viola. E una lampo scorrerà, con lentezza, e delle labbra
si

schiuderanno. Con lentezza.


365 racconti erotici per un anno

127

caccIasOgNI

2 maggio

di Claudio Tanari

– Che c’è, Mara? Siamo ancora nel quadrante di Giove!

– La Reich, Davide: tracciati prossimi al livello di psicosi. Attacchi a cicli


di

sette ore.

Venticinque anni, esobiologa; il successo del a coltivazione di batteri su


Gam-

ma dipendeva da lei: se fosse diventata una psicotica la Federazione non


l’avrebbe

presa per niente bene.

– Quando, l’ultimo?

– Sei ore e trentaquattro minuti fa.

– Giusto in tempo per il prossimo...

Davide estrasse dal ’acquario DP1 che, esposto al a luce, svolse pigramente
le

spire. Scoprì la fronte del a Reich poggiandovi un nucleo del dendripode,


che vi

aderì premendo la ventosa; poi si poggiò al a tempia l’altro nucleo di DP1


sdra-
iandosi sul a poltrona a fianco del bioguscio. La pressione sul lobo
temporale e

il vago senso di malessere accompagnarono la discesa nello spazio onirico


che

sostituì le pareti del a nave Afrodite. Una massa ameboide color carne
trascinava

flaccida i suoi pseudopodi. A poca distanza correva nuda Gugliemina, che


si so-

gnava senza caratteri sessuali: il pube piatto e liscio come il torace, le


labbra sottili

e incolori. La massa gelatinosa, più definita, incalzava: un groviglio


vibrante di

falli; ma anche la biologa mutava: il respiro affannoso diventava un gemito


di

desiderio, una vagina fendeva l’inguine, un gonfiarsi di seni colmava il


torace; la

bocca schiudeva labbra turgide e scarlatte. Gugliemina si arrendeva al ’idra


bruli-

cante che la possedeva penetrandone gli orifizi spalancati e accoglienti.

– Ci siamo! – mormorò Davide estroflettendo l’arto a forma di ascia;


aspettò

che i primi pseudopodi fossero a un passo quindi vibrò un fendente: la cosa


ritirò

le sue appendici, fino a ridursi a una pozza di denso fluido verdastro. Ma


non era
finita. Si sentì avvolgere da un abbraccio soffice e deciso: l’enorme vulva-
Gugliel-

mina lo aveva afferrato saldamente, grandi labbra tumide succhiavano con


avidi-

tà l’ectoarma: l’organismo desiderante lo inghiottiva, inesorabile e torrido.

Con gli artigli affilati del ’ectoplasma libero Davide dilaniò la carne che lo
ser-

rava, i cui brandelli tremolarono esposti al a brezza di un orgasmo


agonizzante.

– Un buon lavoro – lo gratificò Mara.

– Grazie – rispose Davide riponendo delicatamente DP1 nel a vasca di solu-

zione salina. – Nient’altro da segnalare?

– No. Puoi tornare allo stato di biopausa, quando vuoi.

Davide emise un respiro profondo, massaggiandosi la tempia. Prima di


asso-

pirsi, sbirciò il pannello di Mara: – Per fortuna gli elaboratori non


sognano…

128

365 racconti erotici per un anno

DIvORamI

3 maggio

di Claudia Minardi

Non se n’era mai resa conto, fino a quel momento.


Tante volte aveva sentito quel a cosa, quel sentimento, farsi strada in lei e

travolgerla. Era un istinto primordiale, selvaggio, proveniente dal profondo


del

suo essere. Quando le sue mani le sfioravano i fianchi, quando la sua bocca
le

premeva sui seni, il modo in cui lui la teneva stretta come se non ci fosse un

domani, aprivano ogni volta quel a porta in fondo al suo cuore, da cui quel

sentimento si era propagato come veleno.

Fame.

Aveva fame di lui. Voleva divorarlo, fagocitarlo, impossessarsene fino a


sen-

tire dentro di sé ogni fibra del suo essere.

Era un sentimento così travolgente che ne era profondamente spaventata e

allo stesso tempo non riusciva a non provare una forte eccitazione. Era
come

sentirsi onnipotenti, come se ogni sensazione fosse amplificata al massimo,

come se il suo intero corpo stesse prendendo fuoco. Le mani di lui


bruciavano

sul a sua pelle, i suoi baci lasciavano marchi incandescenti, e la sua solida
pre-

senza al ’interno del proprio corpo era avvertita come un’esperienza


familiare

e al contempo estranea.
Sentiva la sua voce profonda tremare, mentre si spingeva dentro di lei, e

non poteva fare a meno di andargli incontro, facendolo suo e donandosi


com-

pletamente. Non era un amplesso gentile. Quasi gridò, quando lui aumentò
il

ritmo delle spinte, come per sottolineare che lei era sua, che non avrebbe
mai

dovuto dimenticarlo. Gli morse la gola, sperando di placare la fame,


ottenendo

invece da lui un profondo gemito che non fece altro che incrementarla. Non

si sentiva solo desiderata, ma completamente soggiogata e allo stesso tempo

detentrice delle redini di quel gioco.

Era un sentimento indescrivibile, che sanciva un vincolo di appartenenza

marchiato con il fuoco e con il sudore dei loro corpi.

I movimenti si facevano sempre più frenetici, sempre meno gentili.

Questo era ciò che lei voleva sentire: carne contro carne, grida, gemiti e

sospiri, calore, sudore e frenesia. Il mondo appariva distorto, nul a aveva


più

importanza se non loro due, in preda al a follia più assoluta, al ’istinto, al a

fame. Fame di corpi, fame di piacere, fame di possessione. Perché lì, in quel

momento, si trattava proprio di possesso. Di indiscutibile appartenenza.

E mentre gridava in preda al piacere, un ultimo pensiero coerente le attra-


versò la mente, prima di venire catturato dal ’oblio delle sensazioni.

Vieni, vieni per me. Io sono pronta a divorarti.

365 racconti erotici per un anno

129

la sEDUTa

4 maggio

di Alberto Cecon

– Di solito inizio dal collo. Le labbra si attardano sul a nuca, giocano coi
lobi

degli orecchi, esplorano le spalle. Poi scendo, lentamente. La lingua segue


la

linea del a spina dorsale, fino in fondo, si sofferma sulle natiche. Quindi
risale

lungo il dorso, prima un fianco, poi l’altro. Quando sono stanco del a
schiena,

comincio a leccare le gambe. Prima dietro, giù lungo i polpacci, fino ai


calca-

gni, poi davanti, dandole il tempo di voltarsi. Arrivato alle ginocchia, mi


sposto

al ’interno delle cosce, che assaporo fino al limite del pube. Sfioro con la
bocca

la peluria umida e attraente, mi limito a lambire il bordo delle labbra, ma


su-
bito le lascio. Le farò aspettare per accrescere la smania. Risalgo lungo il
busto,

l’ombelico mi distrae per lunghissimi secondi. Poi il mio viso s’insinua


lungo

il solco del seno ansimante, suggo la pelle fino al a base del collo.
Finalmente

scendo ai seni, volutamente trascurati. Li circondo, li assedio dolcemente.


Dal

basso verso l’alto, dal a base al a punta, risalgo il duplice piacevole pendio.
As-

saggio i capezzoli larghi e turgidi, li stuzzico con lenti movimenti circolari


del a

lingua, li mordicchio con estrema delicatezza. Lei ansima, mentre succhio.

“Temporeggio, procrastino il piacere, aumento il desiderio suo e mio, ma

al a fine ridiscendo inevitabilmente tra le gambe divaricate, sudate, le


ginoc-

chia piegate. L’odore del suo umore m’inebria, mi confonde. Appena sono
so-

pra il solco morbido e bagnato, inizio a stimolarle il clitoride. Quando i


gemiti

si fanno insostenibili, e la sento che sta già godendo, immergo la lingua fino

in fondo nel a vulva tiepida e vogliosa. Ho voglia di venirle dentro, ma mi

trattengo...

“E qui il sogno s’interrompe, ogni volta. Cosa significa, secondo lei?


La dottoressa non risponde. Mi volto, sollevandomi sul gomito. Dietro di

me, la donna è distesa sul a poltroncina, la testa reclinata al ’indietro, gli


occhi

socchiusi. La camicetta parzialmente sbottonata lascia intravvedere il seno,


che

si alza e abbassa affannosamente. Sembrerebbe stia dormendo, se la mano


infi-

lata nel a gonna non si muovesse ritmicamente al ’altezza del ’inguine.

– Venga – l’invito in un sussurro. – Forse ha più bisogno lei, di questo let-

tino.

Come destandosi, mi guarda. Si alza, si avvicina. Si lascia spogliare docil-

mente. Si abbandona prona, come l’ho sempre sognata. Mi spoglio, mi


sdraio

su di lei.

Inizio dal collo, come al solito.

130

365 racconti erotici per un anno

schIUma

5 maggio

di Filomena

Devo lavarmi, ho bisogno di cancel are i miei ricordi, devo eliminarti


definiti-
vamente dal a mia vita. Non avremo un futuro insieme e adesso mi
domando

se abbiamo mai avuto un passato, una storia che possa dire di aver
condiviso

con te. Mentre penso a tutte le cattiverie che ti ho detto, mi tolgo i vestiti,

ogni straccio è un pezzo di ricordo che spero di riuscire a lavare via. Vorrei

poter selezionare un programma con risciacquo extra nel mio cervello,


come

faccio con questa lavatrice. L’apparecchio sta lì, a bocca aperta, quasi ad av-

vertirmi del ’imminente catastrofe, eppure è silenzioso, nemmeno si muove

mentre io mi infilo nel box doccia. L’acqua fredda mi fa rabbrividire, i miei


seni

rispondono automaticamente allo stimolo, la schiena di scatto si flette al


’in-

dietro, giro la manopola del miscelatore e senza pensarci afferro il tubo del

bagnoschiuma. La spugna gial a disegna sul mio corpo una traccia bianca e

profumata, solo adesso mi accorgo che ho sbagliato, questo non è il mio ma


il

tuo bagnoschiuma. Inspiro intensamente, il profumo inebriante del tuo


corpo

mi invade le narici, mi fa tua, il mio cuore prende a battere più forte, sento
le

tue mani su di me: hanno preso il posto del a spugna. Voluttuosamente mi

massaggiano i fianchi, si fermano sulle natiche per poi risalire fino al collo,
mi baci l’orecchio, lo mordicchi e dentro di me innumerevoli spilli
colpiscono

al ’unisono. Sto ansimando e mi piace. Il soffione lavora al massimo, io ci


sto

sotto a bocca aperta, il ticchettio del ’acqua è energico sul a mia lingua, mi

riempie la bocca, due rivoli caldi scendono ai lati delle labbra dischiuse.
Come

un fiume continua a scorrere lungo il mio corpo nudo. Le tue spalle larghe
so-

no così forti, mi sovrasti, mi sento protetta, avvolta come una bimba nel a
sua

copertina. Un calore improvviso mi travolge, con le mani cerco di


estinguere il

fuoco ma il risultato è un altro. L’acqua non spegne il rogo, lo alimenta


insieme

al frenetico movimento delle mani e del a spugna gial a. Sei dentro di me


ep-

pure non sei con me! Ti ho buttato via come si fa con le cose vecchie e
inutili e

invece servivi ancora a qualcosa. Sorrido, purtroppo è tardi, non tornerai


mai

più indietro. Con il viso in fiamme e il corpo cosparso di goccioline, esco


dal a

doccia. Guardo la lavatrice. L’oblò è completamente invaso di schiuma


rossa,
forse ho esagerato con il detersivo, spero almeno che tutto quel sangue, il
tuo

sangue, vada via dai miei adorati vestiti firmati!

365 racconti erotici per un anno

131

ROlE PlaY

6 maggio
di Alessandro Barbini

Entra. La afferra forte al a gola con le mani coperte da guanti di lattice e


subito

le chiude la bocca, la soffoca, quasi. Lei sente l’odore dolciastro del a


gomma

riempirle le narici fino a spaccarle il cervello. Si ribel a, vuole disarcionare

quel ’animale che le è piombato alle spalle. Ma lui è più forte, tanto più
forte, e

la trascina per la casa in cerca di un posto dove stenderla. È buio. È


cacciatore.

È preda. E lì sul tappeto di corda la butta a terra, la tiene giù col suo peso,
con

tutto il peso del corpo. La faccia è schiacciata, graffiata: dolore e odore; non

più dolce ma acre di polvere e sabbia, e il naso formicola e gocciola. La


mano

guantata raggiunge l’intimo finora serrato, che cede al a forza. Si apre, la


apre

ed è già dentro tanto, troppo, e fa male. La paura fa posto al dolore. La


rigidità

fa posto al ritmo incombente, violento, costante. Non ci sono parole.


Respiri,

sospiri, ansimi, ruggiti, grugniti e alito caldo. Sul collo, nelle orecchie e fino

al a bocca. Le labbra si sfiorano, con difficoltà. E la bocca morde la sua


bocca:
sente il sapore del sangue, il suo sangue. È dolce e caldo. E pensa al suo
amore

del a vita, a quando la penetra dolcemente distesa sul letto e le bocche si in-

contrano in baci d’amore. Ma ora no. Sono colpi diversi di un uomo


diverso:

un muggito, un latrato. La possiede un animale feroce dai muscoli tesi. La

sovrasta, la opprime, la tiene a bada. Ormai non reagisce. Si lascia fare. E


con-

tinua e sembra che non debba finire più. Vorrebbe che non finisse più.
Anche

lei ora è un’altra: è lasciva, spudorata, in calore. E finalmente il piacere. Poi


le

parole: – Mi sposi?

– Sì.

132

365 racconti erotici per un anno

DOREI

7 maggio

di Alessio Lazzati

Fluttuava. Bendata, percepiva il movimento. Era affondata volentieri nel a


te-

nebra. Solo respiro, pensiero e sensazioni. Le braccia legate dietro la


schiena.
Un solo piede nudo posato a terra sul tatami. Immersa in se stessa,
estendeva

i propri sensi. Olfatto e tatto rispondevano. Percepiva la fragranza delle can-

dele.

Toccava: con tutta la pelle, non con le mani. Corde robuste. Strette ma non

dolorose. Attorno agli avambracci. Al seno. Tese i muscoli del a schiena e


quel-

li del a gamba sinistra proiettata in alto, verso le spalle. Si vide nuda, il


corpo

scintil ante nel a penombra, rimodel ato dal a canapa scura.

Qualcosa le sfiorò la caviglia destra facendola sussultare: il piede fu chiuso

in una stretta sicura e sollevato accanto al ’altro. Oscillò e credette di


cadere.

Impossibile. Fiducia. Totale e incondizionata. Invece un nuovo equilibrio.


Un

ultimo nodo. Non cadde, ma la tensione sul suo torace aumentò, come quel
a

sulle spalle. La pressione attorno ai seni si acuì. Forte e salda. Sangue affluì
ai

capezzoli e al viso. Le corde seguivano i movimenti del corpo. Strinse le


cosce

attorno a un nodo adagiato sul suo sesso e le sfuggì un gemito.

Lo sentì vicino. Ruotò ancora. In maniera costante e armoniosa. Era come


lui le aveva promesso tre ore prima, quando si erano lasciati tutto alle
spalle.

Lei era diventata dorei, lui sensei. L’aveva spogliata, lavata e massaggiata,
aiu-

tandola a sciogliere i muscoli. Le aveva parlato, anticipandole ogni cosa.


Tutto

per prepararla per lo tsuri, la sospensione, per quello che sarebbe stato
immo-

bilità e piacere al tempo stesso: non dolore.

Non solo.

Lei sapeva, ma il disorientamento sensoriale e l’eccitazione le avevano fatto

dimenticare le promesse. La colse al a sprovvista. Sussultò. Lo accolse.


Inevita-

bile. Un dolore acuto e mirato. Sapeva che non avrebbe lasciato segni sul a
sua

pelle. Vibrò al ritmo delle piccole punture.

Visualizzò gocce di cera rosse, mentre altre fitte le colpivano le caviglie, i

polpacci, le cosce e le natiche in maniera metodica e calma. Contrasse


ancora

i muscoli del ventre e delle gambe. Tremò e gemette più forte. Ansimava.
La

pelle lucida di traspirazione. La benda le venne tolta. Il volto di lui a pochi


cen-

timetri dal suo. Le scostò una ciocca di capelli. Appoggiò le labbra sulle
sue.
– Non sei la mia schiava più di quanto io lo sia di te.

Lei sorrise. Sollevò la testa appena per annuire. Poi tornò a lasciarla penzo-

lare. Lui le baciò la fronte. La bendò di nuovo.

Accese un’altra candela.

365 racconti erotici per un anno

133

Il faZZOlETTO blU

8 maggio

di Dante Bernamonti

Trovai il foglio nello strappo del sellino del a bici.

“Ti scoperei subito, sono quel a che ti fissava al bar prima, tu al banco, io al

tavolino. Domani, al ’entrata del parco. Cadorna, alle nove, se mi vuoi.”

Fui incerto solo un attimo, se andare o meno. Da quando col coprifuoco

erotico era stato vietato il sesso non onanistico, praticarlo in due o più era

diventato pericoloso, e al tempo stesso così terribilmente eccitante che nem-

meno mi stupii del messaggio esplicito e voglioso di quel a puttanel a, né


ebbi

dubbi dopo un solo attimo circa il da farsi.

Alle otto scendevo dal a metro in Cairoli. Deciso ad arrivare a piedi prima

dal a sconosciuta e poterla guardare di nascosto per decidere il da farsi.


Aveva
di certo notato, lei, al bar, la vistosa erezione chimica che sfoggiavo sotto i
jeans

scoloriti sul pacco. E il fazzoletto blu che usciva dal a tasca posteriore, il
segna-

le segreto del a setta degli irriducibili che, sfidando il trattamento di de-


libido,

segnalava a chi ne conosceva il senso il loro desiderio e la loro voglia di


sesso.

La vidi subito. La gonna cortissima. Seduta sul a panchina lasciava intrave-

dere cosce ben tornite e scure oltre le calze che occhieggiavano dal a mini.

Certo che osa, pensai. La camicetta aperta fino a mostrare l’ombra del seno,

il solco tra le coppe serrate dal tessuto nero che spiccava malizioso. Certo
che

non vuole lasciarmi alcun dubbio, mi dissi.

Al ’ora in cui presi posto con lei sul a panchina non c’era quasi nessuno

al parco, l’orario di lavoro ridotto dopo la crisi del 2020 faceva sì che fino a

mezzogiorno tutti lavorassero, e solo dopo si vedesse gente in giro per le


atti-

vità sociali e culturali del Programma di Rinascita. Non disse nul a, quando
le

infilai la mano tra le cosce.

Né quando cominciai a baciarla, spingendole la lingua in fondo al a gola

come una serpe.


Né quando le mie dita scostarono il pizzo dello slip, oltre le splendide e or-

mai quasi obsolete autoreggenti. Fu quando infilai le dita nel taglio umido,
che

lei portò le mani sotto la gonna. Le manette scattarono al ’istante, sincrone.

Si ricompose alzandosi ed esibì il distintivo del a Squadra Antisesso.

Fu allora che vidi l’altra avvicinarsi. E la poliziotta baciarla golosamente

sulle labbra. La barista.

– E brava Viola, puttanel a. Ancora tre maschietti, mi promuovono e strac-

cio il tuo verbale.

Devo ammettere che mi eccitai tantissimo. Soprattutto quando si toccaro-

no i seni, davanti a me, prima che il cel ulare mi caricasse.

134

365 racconti erotici per un anno

Il “PIaNO cONfIDENZIalE”

9 maggio

di Paola Favilli

Notavo da mesi, in ascensore, la sua presenza. Saliva ai piani superiori, i


“piani

confidenziali”. Lo osservai. Anche lui lo faceva, senza nasconderlo.


Diventò un

pensiero fisso. Qualche giorno dopo lo incontrai. Una mattina mi avvicinai


al ’ascensore per scendere al 4° piano. Dopo qualche secondo si aprì, e lo
trovai

davanti a me. Sentii subito i suoi occhi addosso. Fui a disagio, ma anche
affa-

scinata: alto, capelli corti neri, occhi marroni, sguardo provocante. Il suo
corpo

atletico, nascosto da un completo grigio, stimolava la mia fantasia.

I nostri sguardi s’incrociavano furtivamente. I suoi occhi aderivano al a mia

scol atura. E i miei sul suo petto vigoroso. Mi si avvicinò, quasi per
baciarmi, e

disse: – Ti aspetto alle 18 al piano terra.

Arrivò l’ora del nostro incontro. Prendemmo l’ascensore e senza dire nul a

lui pigiò il tasto numero 20. Non mi ero mai accorta che ci fosse: l’attico,
piano

a me sconosciuto. L’adrenalina mi assalì. Per 20 piani ci stuzzicammo. Arri-

vammo e ci trovammo subito in una stanza circolare. A sinistra un minibar,

al centro un grande letto con lenzuola rosse. Sentii il suo respiro scendermi

lungo la schiena. Le sue mani mi strapparono via il vestito. Mi prese i


capelli, li

tirò e mi baciò il collo, con passione. Si strinse a me e sentii la sua


eccitazione

esplodere. Il suo pene era duro, caldo. Mi girai e lo spinsi verso il letto, mi
sfilai

il perizoma, al argai le gambe e mi feci leccare mentre gli succhiavo il pene


come se fosse una divinità a cui sottomettermi. Lo sentii urlare quando gli
sti-

molai i testicoli. Mi prese in braccio, mi appoggiò al muro, mi strinse le


gambe

attorno ai fianchi e iniziò a penetrarmi, con forza. Urlai e lo sentii indurirsi.

Mi spostò a terra; mi alzò le gambe e continuò a scoparmi: ero la sua preda,

la sua schiava. Mi misi gattoni facendomi scopare e schiaffeggiare le


natiche.

Ansimava mentre mi penetrava con violenza, e io con lui. Sentii che il suo
pene

stava per esplodere. Io venni. Dopo qualche istante mi girai, lo presi in


bocca e

lo succhiai, lo leccai. Scoppiò tra le mie labbra, gridando maestosamente.

Sono tornata al ’ascensore, il giorno dopo, ma lui non c’era. Ho cercato sul
a

tastierina il ventesimo piano, ma l’ultimo era il 19. L’attico non esiste più.
Forse

non è mai esistito.

Lo aspetto ancora ogni giorno, sperando che ricompaia, che faccia riappa-

rire quel magico pulsante per il ventesimo piano.

Ma forse è stato troppo bello per essere vero.

365 racconti erotici per un anno

135
Il gIOIEllINO

10 maggio

di Fatima Cardoso

Non so bene come iniziare questa lettera, ma se guardi al ’interno del a


busta

potrai indovinare le mie intenzioni.

Ti ricordi la nostra prima volta? Lo ammetto; è stata indimenticabile. Ed

è stato lui a renderla particolare. Lui, il nostro “gioiellino”, si è intromesso


nei

nostri destini ed è stato il tramite perché ci incontrassimo una seconda volta,

e poi una terza…

Tanti altri uomini hanno avuto il mio corpo, ma le notti si confondono

nel a mia mente, tutte uguali; sesso fatto per dimenticare, per cancel are me

stessa. Ma la prima notte in cui mi hai scopata è stata diversa. Eravamo due

sconosciuti in cerca d’emozione, di sfogo, di peccato, di liberazione. Mi


ricordo

come accarezzavi il mio corpo, come la tua lingua morbida mi sfiorava i


seni,

come il tuo sguardo languido mi ha guardata dentro, quando mi sono aperta

per te. Mi sono inondata per riceverti per intero, lungo, fino in fondo, dentro

di me, fino al ’esaurimento. Poi i nostri corpi sudati, sazi; e te ne sei andato.

Non mi hai detto niente, eppure te n’eri accorto, anzi, te ne sei approfittato;
hai preso al balzo l’opportunità di rivedermi. Sapevi che i miei erano
appunta-

menti di una sola notte, ma hai atteso il giorno seguente e sei venuto a
ripren-

derlo. Abbiamo scopato ancora e, da allora, tante altre volte.

Ma io appartengo a un solo uomo: quello che non c’è e mai ci sarà. Lo


cerco

- senza mai trovarlo - nei corpi che mi cavalcano e che mi fanno godere. Li
uso

e li getto. Una sola notte.

Però tu hai trovato il modo per rivedermi. Mi hai lasciato un tuo ricordo e

il giorno dopo sei venuto a riprenderlo. E me l’hai regalato. Come un


pegno.

Come un legame. L’ho accettato.

In queste ultime settimane ho tenuto il nostro gioiellino, ma ora non lo

voglio più. È diventato un’ossessione, un legame troppo stretto. Lui è


sempre lì,

a ricordarmi che tu ci sei nel a mia vita.

Ora te lo restituisco. Lo trovi dentro la busta. Con lui cancello il nostro le-

game. L’avevi perso dentro di me con il tuo seme, quel a prima notte. Non
me

l’avevi detto, eppure te n’eri accorto. L’hai usato come pretesto per
rivedermi.
Ti restituisco il tuo piercing, l’anellino che avevi sul prepuzio e che mi
avevi

regalato.

Ora il nostro vincolo è spezzato. Sono la donna di un uomo che non esiste,

e come tale appartengo a tutti gli altri. Non cercarmi mai più.

D.

136

365 racconti erotici per un anno

DEmONE

11 maggio

di Lucia Ferrone

L’abbandono è assoluto, non c’è una via di mezzo. Lasciarsi andare non
rende

minimamente l’idea. E lei lo sapeva bene: lo sentiva nel a morsa delle corde
che

le stringevano i polsi, che tracciavano sul suo corpo disegni intricati


stringen-

do e costringendola immobile. Lo sapeva nel buio del a benda che le


copriva

gli occhi. Poteva quasi sentirlo sorridere, gli occhi rossi sfavil anti e i denti
un

bagliore candido nel a notte, mentre la contemplava.

Non aveva chiesto di amarlo, ma lui, prepotente, si era infilato nel suo cuo-
re, nelle sue viscere, togliendole ossigeno e pace. Togliendole tutto, perché
solo

perdendo se stessa riusciva a sentire.

Non sapeva nemmeno se fosse tipico del a sua razza, quel tipo di gioco, e

nemmeno le importava: ne aveva bisogno.

Percepiva le dita che la carezzavano, seguendo il disegno delle corde e imi-

tate dal ’umida scia del a lingua, portandole via un po’ di coscienza a ogni

centimetro. Sentì le mani chiudersi sui seni e stringere i capezzoli,


facendola

gemere per quel misto inscindibile di dolore e piacere di cui non poteva fare
a

meno, e poi le sentì insinuarsi in lei. Toccarla, ma mai abbastanza;


penetrarla,

ma mai abbastanza. Un gioco feroce, una tortura sublime di cui avrebbe


chie-

sto ancora e ancora, e da cui chiedeva sollievo allo stesso tempo; che le
faceva

rombare il sangue nelle orecchie e contrarre una morsa al ’altezza del cuore.

Un desiderio cocente e feroce che ruggiva come un animale in gabbia.

Istintivamente cercò di inarcarsi contro la mano che giocava col suo pia-

cere, ma era immobilizzata, e le corde stringevano. Lo sentì ridere


sommessa-

mente al suo orecchio, e si immaginò uno dei suoi sorrisi sardonici da cui si
sentiva sempre spogliata.

Le dita cessarono per un momento, tornando a indugiare sul suo corpo

e lasciandola con un desiderio umido e pulsante, insopportabile. Chiuse gli

occhi, oltre il buio del a notte, oltre il buio del a benda, nel luogo dove
perdeva

e ritrovava se stessa, e lasciò che il corpo avesse ciò che gli spettava, fuori
dal

tempo e dallo spazio, in un posto la cui unica dimensione era il piacere.

Quando lui mise fine al a tortura delle dita, penetrandola, l’orgasmo recla-

mò la sua vittoria, violento e prepotente come lui, lasciandola stordita e


senza

fiato.

Piano piano la marea rifluì, e il mondo riapparve. Lui le sorrise, gli occhi

che bruciavano come torce e i capelli bianchi il uminati dal a luna. Ancora
una

volta era scesa al ’Inferno, ritrovando se stessa.

365 racconti erotici per un anno

137

PRIvé

12 maggio

di Andrea Viscusi
Vengo qui una volta a settimana, di solito il giovedì. Nel weekend il locale è
pieno

di ragazzetti che bevono, gridano, fischiano. Con quel a gentaglia non c’è
modo di

rilassarsi e contemplare lo spettacolo sul palco.

Le chiamano “artiste”. Ed è proprio la parola giusta. Bisogna avere un


talento

particolare per fare del proprio corpo uno strumento capace di evocare
sensazioni

così profonde, così vere. Se l’arte è tutto ciò che smuove le emozioni del
pubblico,

allora queste ragazze sono davvero delle artiste.

Sul palco c’è una bionda dai capelli a caschetto. Non la vedo spesso, ma
dovreb-

be chiamarsi Alina. È già passata al topless, anche se non ha molto da


mostrare: i

suoi tentativi di stringere il palo fra le tette risultano comici. Ma le gambe


lunghe

e lisce formano un culo che vorresti mangiare. Sto seguendo le sue


evoluzioni

quando in fondo al a sala scorgo Elettra. Lei mi riconosce e si avvicina


lentamente,

non tralasciando di ondeggiare i fianchi perfetti. Ora che c’è lei, per me
Alina non

esiste più.
Elettra si siede su di me e mi piazza un bacio sul a guancia. – Ciao! –
esclama.

– Ciao, stellina. Tutto bene?

– Non è una gran serata. – Mi accarezza un orecchio mentre parla, e io le


poso

una mano sul a coscia, assaporando con le dita la pelle morbida e tiepida. –
Ti va

un privé? – mi chiede poi.

– Certo. Adesso?

– Sì. Vieni.

Si solleva con grazia e mi prende per mano. Io mi lascio trascinare,


pregustan-

do le meraviglie che mi aspettano nel a stanzetta buia. Sono solo dieci


minuti, ma

sembra di vivere fino in fondo ogni battito del cuore.

Appena entrati mi stende sul divanetto. Chiude la tenda e mi sorride


malizio-

sa. Comincia a sfiorarmi il volto con la punta delle dita, poi le passa sul a
nuca, si

avvicina facendomi respirare il suo alito. Le mie mani si fanno voraci. Le


muovo

con l’abilità di un pianista e tasto, palpo, stringo. Tutta quel a carne, quel
soffice

universo di piacere. È arte. Il gonfiore nei miei pantaloni è evidente. Lei lo


nota e
finge sorpresa. Quando tornerò a casa dovrò farmi una sega, questo è certo.

Si mette di spal e e, chinandosi, preme il sedere contro di me. Ondeggia, su


e

giù, la schiena si flette come quel a di un gatto. L’erezione si fa dolorosa. Al


ungo

le mani ad afferrarle il seno, e sento che è la perfezione, che potrei morire


qui, e

poi… Poi i dieci minuti sono finiti.

Elettra si riveste. Sospiro. – Sei la migliore, stellina. – Sorride.

– Pago direttamente a te?

– Offro io, papà. – Un altro bacetto frettoloso. – Ciao, saluta la mamma.

138

365 racconti erotici per un anno

TEmPUs fUgIT

13 maggio

di Giulio Uggè

Finalmente lei è qui, davanti a me. In tutta la sua radiosa bellezza. Lo so, è
un

luogo comune quello che vuole che ogni donna appaia agli occhi del
proprio

amato come la più bel a del mondo, ma che volete farci, quando si è
innamorati

come lo sono io, il cuore prende il sopravvento su ogni altro organo. Occhi
compresi.

Lei è distesa, nuda e innocente come quando è venuta al mondo.

Ho quasi paura a toccarla, sembra una bambola di porcel ana.

Starei delle ore solo a guardarla, ma non c’è tempo.

Abbiamo solo pochi minuti per noi e non ci sarà un altro incontro.

Il desiderio dentro di me urla di impazienza. Non ce la faccio più.

Le sfioro con un dito la bocca, ne seguo i contorni, poi scendo lungo la gola

e verso quel petto florido, quei seni meravigliosi su cui in tanti hanno perso
la

testa.

I capezzoli sono due chicchi di caffè su cui appoggio le labbra. Li titillo, li

bacio dolcemente mentre la mia erezione cresce fino a farmi male. Vorrei li-

berare il sesso furioso ma mi devo trattenere. Non posso fare altrimenti. Ma


le

mani... oh, sì, le dita e la lingua non possono e non devono fermarsi...
esploro

ogni centimetro di quel corpo sensuale con delicatezza e passione, con tutti
i

miei sensi. La fragranza del a sua pelle quasi cancel a anche quel poco di
auto-

controllo che mi è rimasto.

Le curve del suo corpo come una mappa del piacere.


Un mondo inesplorato in cui perdersi e morire.

La lingua sta ancora guizzando avida sul suo sesso quando il mio orologio

tintinna. Il cuore mi va in frantumi sotto una serie di spietati bip bip.

Ho giusto il tempo di darle una carezza e di rubarle un ultimo bacio prima

di iniziare a ricomporci. La rivesto con quegli abiti allegri e colorati che


aveva

in quel a foto che sua madre tiene vicino al letto.

Sento bussare leggermente al a porta.

Mi avvisano che i parenti sono arrivati.

Il funerale può cominciare.

365 racconti erotici per un anno

139

UN’alTRa lUNa

14 maggio

di Paolo Costantini

Occhio alle pareti, ci aveva detto con una strizzatina d’occhi il tecnico del a

Stazione Spaziale prima di lasciarci soli in una grande cabina a vetri, con
vista

mozzafiato sul nostro pianeta: la celebre Stanza del Sesso. Non


preoccuparti,

da laggiù non ci vedono, le dissi mentre avanzavamo a forza di braccia


lungo
un corrimano. E ora, mi chiese lei, come facciamo? Come abbiamo sempre

fatto, risposi. E mi lasciai andare nel ’aria tentando di spogliarmi.

Non l’avessi mai fatto. Mi ritrovai al a deriva, imbozzolato nel a maglietta,

gli slip legati alle caviglie, e mi stampai sul a vetrata. Il tecnico sapeva il
fatto

suo. La mia compagna si era già liberata dai vestiti e se la rideva, ben salda
al

corrimano.

L’assenza di gravità è cosa ben strana. Niente letto su cui distendersi, niente

comodino su cui tenere fazzoletti e preservativi. Se sei un uomo, senti il tuo

orgoglio maschile agitarsi in tutte le direzioni come un’alga paffuta in balia


di

correnti imprevedibili. Devi ammettere che principio di inerzia, principio di

azione e reazione e via dicendo, non erano solo brutti ricordi del liceo.

Dedicammo una decina di minuti a familiarizzare con l’ambiente: evolu-

zioni, tuffi da parete a parete, abbracci in aria con movimenti da polipo im-

pacciato. A un certo punto la mia compagna parve il uminata da un lampo

di genio. Con la schiena al vetro afferrò un corrimano a braccia aperte, inca-

strando i piedi in un altro corrimano. Spensi subito le luci: mi trovai davanti

una splendida donna vitruviana il uminata dal disco terrestre, un’altra Luna

sospesa nel nero cosmico. La raggiunsi con un tuffo, senza nessun timore di
sciabordii al basso ventre.

Camminavo con le mani sul suo corpo, lo esploravo con dita e bocca, fru-

gavo ovunque. Non ricordavo di averla mai sentita gemere con quei suoni
me-

lodiosi. Ben presto mi fermai. Ero troppo eccitato, e con gli occhi
semichiusi

mi figurai il rischio: un treno di sferule traslucide e palpitanti, destinate ad

attraversare indisturbate la cabina e spiattel arsi sul a parete opposta. Non se

ne parla proprio, pensai quasi ad alta voce. Mi ancorai al corrimano e la


pene-

trai tenendomi ben aderente al suo ventre. Il piacere fu quasi istantaneo per

entrambi.

Senza uscire, la abbracciai e le dissi di staccarsi dal corrimano. Restammo

immersi a lungo in quel a piscina impalpabile, di fronte allo Sri Lanka che

pareva una goccia staccatasi dal triangolo indiano, in un silenzio irreale


rotto

solo dai ronzii di qualche macchinario.

140

365 racconti erotici per un anno

POcO ImPORTa

15 maggio

di Gaia Cremascoli
Sono unghie che graffiano il muro e vi si aggrappano come se potessero
sca-

varvi dentro e sgretolare e distruggere. E nascondercisi. Ed è anche l’aria


densa

calda e appiccicosa sul a pelle, l’afa ristagnante nel cuore e nei respiri
ansio-

si. Il peso di arti che non ti appartengono addosso, vicino, vicino, il caldo.

Il caldo.

Il rumore umido e sciabordante di bocca che si strofina su carne sudata, e il

caldo che ti comprime la gola, riempie i polmoni e schiaccia lo sterno,


stringen-

doti lo stomaco in una morsa nauseante. Sai com’è iniziata: un locale affol
ato e

sguardi insistenti, parole che non ascolti nemmeno più, sorrisi artefatti, il
tutto

in funzione di un’attesa che scorre pigra, attorno al bordo sporco di sale del

tuo Margarita, finché uno di quegli sguardi - uno qualunque, sono tutti
uguali

- non ti provoca quel a scarica elettrica necessaria a mettere in moto la


serata.

E continua con inseguimenti brevi, e altre parole che non ascolti nemmeno
più

- sono tutte uguali - piccoli rituali a te ormai completamente inutili.

Poi, finalmente, il fuoco. Che sia un muro ruvido, un sottoscala sporco, un


letto - il tuo, il suo, quello di altri - poco importa.

Quello che importa è l’infrangersi dei corpi uno sul ’altro, i brividi violenti,

gli spasmi che ti mozzano il respiro e ti spalancano al a terra, ti


restituiscono

al mondo.

Quello che importa sono i sospiri densi l’uno dentro l’altro, e quel caldo

insopportabile che è l’unica buona ragione per continuare a piantare le un-

ghie. Nei muri o nelle schiene sudate di sconosciuti bendisposti, poco


importa.

Ogni risveglio, un presagio di morte. Un presagio di morte che ti chiude la

gola e ti trasforma il sangue in ferro bollente, l’aleggiare preciso e


sgradevole di

un sussurro che non hai intenzione di ascoltare, per capriccio e


cocciutaggine.

Ogni risveglio l’idea precisa ed elegante del tuo stesso esistere da


preservare da

una corruzione che ti sembra vecchia di secoli, ma che non ha nemmeno la


for-

za di graffiare il marmo bril ante che ti circonda. Ogni risveglio la


cognizione

del proprio corpo pieno di schiuma densa, melma putrescente che ti


avvelena

lentamente e senza via di scampo. Sai com’è iniziata, sai come inizia ogni
volta.
Quello che non sai è se questo rincorrersi finirà mai. Ma forse anche questo

poco importa.

365 racconti erotici per un anno

141

Il POsTINO

16 maggio

di Danja Batista

Lo sentì entrare in ufficio come ogni giorno, così alzò la testa cercando di
non farsi

notare, in modo da poterlo osservare di nascosto. Solitamente le piaceva


soffermarsi

sui suoi pettorali, per poi passare a rimirare quel fondoschiena perfetto
quando lui

si voltava per uscire. Quel giorno, però, non riuscì a farlo, perché lui la notò
e i loro

sguardi s’incrociarono.

Fu un attimo.

Prima che se ne rendesse conto lui era già lì, le aveva girato la sedia e
l’aveva

sollevata di peso per poi baciarla con ardore. Quelle labbra così sensuali
sulle sue,

indelicate e forti, che da mesi aveva desiderato si posassero su di lei.


Riusciva a sen-
tirne il sapore: caffè. Lei adorava il caffè.

Avrebbe potuto continuare a farsi baciare in eterno, se solo non avesse


avuto

necessità di riprendere fiato.

Quando le labbra del ’uomo si separarono dalle sue si sentì persa, ma lui
riprese

a baciarla scendendo lungo il col o, togliendole la camicetta con foga,


strappandole

tutti i bottoni. Con un gesto rapido lei liberò i capelli dal ’austero chignon,
facendoli

ondeggiare sulle spalle, poi lo strinse, avvicinandolo a sé: voleva avere


sempre di più,

voleva sentire le sue mani sul a pelle. Affondò le dita nei suoi capelli,
sospirando,

mentre sentiva la sua bocca giocare con i suoi capezzoli, le sue mani che
scendevano

sempre più.

Lui la spinse sul a scrivania, facendosi spazio malamente fra i fogli e la


cancelle-

ria, rovesciando penne e plichi di carte sul pavimento, mentre riprendeva a


baciarla

e le strappava le mutandine da sotto la gonna. Lei gli tolse la canottiera e si


aggrappò

a lui, intrecciando le gambe dietro il suo culo perfetto, graffiandogli la


schiena, men-
tre le sue mani le premevano sul a pelle, ruvide, delicate e avide allo stesso
tempo.

Aveva desiderato da mesi di poter avere su di sé quel e mani, a possederla


in quel

modo...

– Federica?

... di sentirlo pronunciare il suo nome fra i gemiti...

– Federica.

... possibilmente non troppe volte. Doveva baciarla, ancora e ancora...

– Federica!

– Uh?

– Non starai fantasticando di nuovo sul postino, vero?

– Chi, io?

La collega la guardò scettica e le gettò un plico di documenti sul a


scrivania.

Lei sospirò delusa, guardando il bel fondoschiena del postino uscire dal
’ufficio,

e sperò ardentemente di poterlo toccare davvero, prima o poi...

142

365 racconti erotici per un anno

NON ERa sTaTO DIffIcIlE

17 maggio
di Paolo Guiducci

Era giovane e bello. Aveva enormi occhi nocciola, capelli rosso fuoco e si
agi-

tava sinuoso, vicino al palco.

Manuel l’aveva notato subito: la sua schiena era liscia, le gote e il collo resi

lucidi dal sudore; cosa non avrebbe dato per affondarci i denti.

Non era stato difficile. Essere il bassista di un gruppo - per quanto scalci-

nato - bastava a rendersi affascinante a sufficienza. Dopo il concerto l’aveva

puntato, seduto in un angolo del locale: una manciata di secondi e stavano


par-

lando. Era venuto da solo - gli diceva - perché ai suoi amici la musica
grunge

non piaceva. Si era fatto un viaggio al ucinante in corriera, per venire a


sentirli

suonare. Manuel sorrise come sorride il cacciatore.

Non era stato difficile.

Le sue gambe erano morbide e carnose: ci affondò il volto, appoggiandosi

al a parete ruvida del camerino da due soldi che era stato concesso a lui e ai

suoi compagni. Era tutta questione di ritmo, come nel basso. Bastava
toccare le

corde giuste nel momento giusto. Tracciò strisce di saliva, sottili come tele
di
ragno, percorrendo la lunghezza prima del a gamba, poi del sesso del
ragazzi-

no. Il sapore del suo seme era dolce come la sua carne rosata: che fosse
fatto di

zucchero? – Ehi, fammi sentire la tua voce, dai.

Per evidenziare il concetto, andò a stimolare, con movimenti concentrici

del a lingua esperta, l’apertura del ragazzo.

E lui si fece sentire, eccome.

I suoi capelli sembravano bril are, sotto la luce artificiale del a lampada;

il rossore diffuso faceva sembrare ancora più bianca la pelle del petto
glabro,

del ’addome invitante. Il bassista si alzò dal a posizione raccolta in cui si


tro-

vava, facendo rigirare il rosso verso la parete: vi si premette contro,


facendogli

sentire bene tra le natiche la consistenza del a sua erezione, non più
inguainata

nei pantaloni di pelle scura.

Gli soffiò contro un orecchio, facendolo rabbrividire: il fatto che non fosse

molto avvezzo al sesso era evidente, ma la cosa pareva stimolarlo ancora di


più.

I capelli neri gli si stavano appiccicando al a nuca e al a fronte: li scostò con


un
rapido gesto del a mano, dopodiché spinse il ragazzino verso la scrivania
da-

vanti a loro, facendolo sedere sopra. Manuel lo osservò da capo a piedi


un’altra

volta; poi, al argandogli le gambe con decisione, affondò in lui con una
fluida

spinta. Il rosso gemette di sorpresa e di piacere, tendendosi.

Non era stato difficile.

365 racconti erotici per un anno

143

alchImIa

18 maggio

di Alessio Gradogna

Quel a sera sei entrata nel a Tana con la tua consueta aria circospetta. Ti sei
sedu-

ta, guardandoti intorno un po’ imbarazzata, cercando le parole, osservando


tutto e

niente. Hai sfogliato un libro, l’hai rimesso a posto, ti ho offerto una birra. Il
silenzio

fluttuava sovrano in una nuvola ovattata, sussurrando al a notte un consiglio


di spe-

ranza e una nota di passione.

Sono andato un attimo nel ’altra stanza, lasciandoti sola. Due o tre minuti,
non
di più. Quando sono tornato ti eri già tolta le scarpe, e te ne stavi accucciata
sul di-

vano, a piedi nudi. Ti ho vista, e in quel momento, con quel ’unico gesto di
sicurezza

e intimità, mi sei entrata nel cuore. Hai invaso con prepotenza il mio cervel
o già

saturo di complicazioni, hai girato le carte e calato una scala beffarda, hai
raggirato

il sole dei nostri comandamenti per issarti oltre il semplice peccato.

Poco dopo la malattia che mi ha invaso, folgorando i miei sensi, ha deviato


verso

l’infinito. Ho visto il tuo corpo divenire infuocato, spietato, assetato. Ho


conosciuto

le tue labbra, ho gettato i tuoi vestiti nel vento, ho ammirato il tuo corpo
nudo e cal-

do. Mi hai preso la mano conducendomi verso il letto. Ho assaporato il tuo


odore,

leccato la tua pelle, toccato il tuo piacere, esplorato i tuoi segreti più
nascosti, goduto

i tuoi umidi sospiri, occupato il tuo sesso disposto ad accogliermi senza


inibizioni. .

E tu hai ricoperto di gemiti il quadro del a nostra straordinaria avventura,


hai be-

vuto fino al ’ultima goccia il frutto del mio tornado impazzito, hai
abbandonato la

ragione per perderti con me nel ’abisso del gusto salato del ’Eros.
Una volta finito ti ho accarezzato i capelli e le guance, per ore. Hai baciato
il mio

braccio sicuro, ti sei annidata al mio fianco come un pulcino in cerca di


conforto.

Hai smesso la maschera del a donna decisa e sicura di sé per tramutarti


nuovamen-

te in una semplice ragazza in cerca d’affetto.

Il mattino dopo sei andata via, in fretta, spinta da un’irrefrenabile voglia di


fuga.

Sei svanita nel nul a come nebbia polverosa. Mi hai ingiustamente


rinnegato, e hai

ucciso sul nascere ogni possibile futuro.

Non ti rivedrò più. Lo so. Ma non scorderò mai il tuo sorriso complice, il
tuo

corpo brulicante di eccitazione, i tuoi sospiri, il tuo sapore, l’immagine di te


accoc-

colata a piedi nudi sul divano, l’inondata purezza del a tua essenza intrisa di
mistero,

la nostra speciale intesa.

Perché il Sesso è un’Alchimia.

144

365 racconti erotici per un anno

sERaTa cON scRITTORE

19 maggio
di Federico Storni

Cara lettrice,

due premesse prima di iniziare. Primo: questo non è un racconto, è una


dichia-

razione d’intenti. Sto per dirti cosa farò se mi inviterai a casa tua.

Secondo: prima di leggere oltre, cerca una mia foto su Google. Se non la
trovi,

contattami: te ne manderò una. È molto importante che tu lo faccia, perché


potresti

prendere questo mio scritto per finzione, mentre io sto facendo


dannatamente sul

serio. Voglio dimostrarti che sono reale.

Dal momento che mi aprirai la porta, non parlerò. Ti vedrò per la prima
volta e

il mio cuore accelererà: sei bellissima. Avrò dei fiori con me. Sono per te.

Mi farai entrare. Forse mi offrirai da bere, o qualcosa da mangiare. Potrai


parlar-

mi e sfogarti, raccontarmi di quanto siano stronzi e porci ed egoisti certi


uomini che

hai conosciuto, oppure non fare nul a di tutto questo. Io ti ascolterò,


annuirò, sarò

sempre dal a tua parte, e mentre parli penserò che ti amo e avrò pietà di
quelli che si

sono stufati di te e non capirò come sia stato possibile.


Avremo bevuto, e finiremo in camera da letto. Ci sarà un lieve imbarazzo
im-

pacciato, che sarà indimenticabile. Ti abbraccerò quando sarai girata e ti


bacerò sul

collo, appena sotto l’orecchio. Ti girerò e saremo vis-à-vis. Mentre ci


spoglieremo

non riusciremo a smettere di baciarci e le mie mani accarezzeranno ogni


centimetro

di pelle scoperta. Una volta nudi ti farò coricare e ti benderò. Dal a bocca
scenderò

al collo, poi al seno, poi al pube. Mi riempirò del tuo odore. Bacerò e
mordicchierò

piccole e grandi labbra per un tempo che parrà eterno: solo quando penserai
di non

farcela più passerò al clitoride. Poi prenderò un fal o. Sarò dentro di te. Poi,
un altro.

Entrerà dietro. Piano. Lentamente. Nessun dolore, solo piacere: l’infrangere


un ta-

boo aggiungerà eccitazione a eccitazione.

Mi girerò. Avrai il mio sesso in mano. Scatterà al tuo tocco. Masturbalo, se


vuoi.

Ti darò un fallo piccolo. Usalo. Si chiama prostata. È il nostro punto G.


Sapevi?

Tu ci sarai quasi.

Aggiungerò un dito.
Al a lingua.

In controtempo.

Fino.

Al ’orgasmo.

Poi, staremo abbracciati finché lo vorrai.

Infine, me ne andrò. Non ci sarà una seconda volta, non vorremo rovinare
qual-

cosa di perfetto.

Cercami, ti sto aspettando.

365 racconti erotici per un anno

145

calZE DI NYlON

20 maggio

di G. Dummy

La donna mi prese la mano e se la fece scivolare lentamente tra le cosce.


Era-

no coperte da sottili calze di nylon, che lasciavano al tatto un piacere ruvido

e sensuale. Al ’improvviso mi sentii estraneo a quel a situazione a dir poco

imbarazzante, il corpo invaso dal ’oscura fiamma del piacere. Mentre


sfioravo

la sottile pellicola che separava la sua carne dal a mia sentivo la donna
gemere
silenziosamente, al ritmo delle accelerazioni frequenti del tram sul quale
sta-

vamo viaggiando. Non avevo mai visto quel a donna. I pochi passeggeri
appesi

alle maniglie sembravano non accorgersi di nul a, tanto meno lei si curava
dei

loro sguardi. Era immobile, lo sguardo fisso sul finestrino dove le insegne
al

neon si rincorrevano lungo la strada.

Cominciai a toccarla più a fondo, creando piccole increspature nelle calze

di nylon, fino al ’interno coscia, dove trovai una piacevole sensazione di ca-

lore. Quando lei scostò leggermente le gambe, per permettermi di


muovermi

meglio, sentii un leggero profumo effondersi nello spazio circostante. Mi


sentii

scoppiare. Cercai in qualche modo di nascondere la mia erezione, accaval


an-

do le gambe.

Non riuscivo a parlare. Qualsiasi parola pronunciata in quel momento sa-

rebbe stata banale. Mi limitai a fissare il riflesso dei suoi occhi nel vetro del

finestrino, immaginando un’intensa notte di sesso con lei. Mi chinai ad


annu-

sarle il collo, con discrezione: la sua pelle odorava di pulito.

Con la mano premetti sul a fessura, che sentii bagnata attraverso le calze di
nylon. La donna gemeva con eleganza, la stessa con la quale al ’improvviso
mi

scostò la mano girandosi a guardarmi.

– Dovrei scendere – disse.

Rimasi inebetito. Si fece spazio tra le mie gambe e uscì nel corridoio, mo-

strandomi le spalle. Prenotò la fermata e scese pochi istanti dopo.

Io rimasi immobile, inchiodato al mio posto.

Il tram ripartì.

146

365 racconti erotici per un anno

INNaffIaTa

21 maggio

di Vittorio Catani

C’erano momenti in cui lei, invece di inveire contro di me, o fare i capricci,

si atteggiava a “bambina”. Si fa per dire. Credo sapesse benissimo di starmi

provocando, ne era perfettamente consapevole. Come quel a volta in


albergo,

di pomeriggio. Era piena estate. Ormai da mesi ne combinava di tutti i


colori,

certo aveva un altro amante. Stesa sul letto, abbronzatissima come sempre -
io
mi limitavo a giacerle accanto - si sfilò gli slip neri, restando
completamente

nuda, e disse qualcosa sul a peluria del suo pube, che pareva stesse
imbiancan-

do. Voleva che facessi un controllo. Guardai da vicino: forse sì, appena, qua
e

là. Non facevamo l’amore da settimane, mi rifiutava, spariva per giorni


interi.

Nelle narici mi giungeva diretto il suo odore, a me ben noto. Secondo lei,
ora

dovevo aiutarla a togliere, uno per uno, i peli del suo Monte di Venere che
ac-

cennavano a sbiadire. Chi poteva pensare che non ci fosse una


provocazione?

Ma una provocazione contorta, ambigua, perversa, perché (evidentemente)

non voleva apparire “vecchia”, non certo per me, ma per qualche altra
persona.

E io, come stregato, da masochista, da succube, stavo al gioco. Pur di averla

vicina. Pur di rivederla una volta - dopo tanto tempo - nuda, sentirne gli
odori,

toccarla, accarezzarla facendo finta di non farlo.

Ma quel a volta andò diversamente.

Dopo quasi un’ora di ricerche del a peluria candida e di inevitabili tocca-

menti dei suoi genitali - che lei accoglieva con squittii di sdegnata protesta -
le
dissi: – Ora, cara, sono al limite. Non credere di farla franca. – Ero carico
da

scoppiare e le montai sopra. Si ribellò, ma debolmente.

A ogni modo, passata la formale protesta iniziale, lei mi lasciò fare. Non

potevo avere un rapporto completo, sospettavo fosse nel periodo fertile (lo
era

continuamente). Ho sempre avuto un’eiaculazione abbondante. Me la


strapaz-

zai e gustai per lunghi, preziosi minuti, giusto per farle scontare una minima

percentuale delle sue malefatte; poi, appena avvertii che stavo per
esplodere,

mi sollevai. Mi alzai letteralmente in piedi sui materassi, e diressi il fiotto di

sperma su di lei, inondandola dal a faccia ai piedi; un getto come da pompa


di

giardiniere che non finiva mai, andava su e giù. Ebbe solo la forza di
ripararsi

il viso con le braccia e gridare in segno di protesta: – Emilio!

Poi - mi ero completamente svuotato, evviva! - si sollevò grondante, in si-

lenzio, e andò in bagno a sciacquarsi.

365 racconti erotici per un anno

147

QUaNDO PIscI IN UN cEssO bIaNcO,

22 maggio
NON gUaRDaRE IN bassO

di Marco Baldini

– Fai piano o ci sentono – sussurra tra i denti; mi preme una mano sul a
bocca, quasi

soffoco. Geme, quasi impercettibilmente, e io tremo. Il suo corpo è nel mio.


La mia

pel e, che aderisce al a sua, è una mappa di piaceri. Toglie la mano e mi


sforzo di non

ansimare troppo; mi resta sul e labbra un sapore salaticcio di sudore, sesso e


storie

da raccontare sotto le lenzuola.

– Il tuo corpo è fantastico – mi mormora mentre fa scorrere la punta delle


dita

lungo il mio torace; mi preme le unghie nelle cosce, mi fa male.

Il mio corpo è fantastico.

Il mio corpo è ciò che più desidera al mondo.

Il mio corpo - il mio corpo - gli appartiene.

E tutto si dissolve; io mi dissolvo. Di me, nul a più che trame di carne e


sperma.

Dio lo maledica perché l’amai.

Dio mi maledica perché mi fece di carne.

– Il tuo corpo è fantastico– ripete, ossessivo, mordendomi il collo; il letto


scric-
chiola. Altri morsi e i nostri sessi sfrigolano. Sento il muro freddo dietro le
spalle, le

lenzuola umide sotto le dita. Il banchetto sta per terminare. Il suo respiro si
fa più in-

calzante, m’invade i polmoni: l’orgasmo ci spezza infine ogni muscolo. E


lui mi lecca,

mi spolpa l’anima; il mio corpo è nel suo. Poi s’accascia e si addormenta


accanto a

me. Sono a pezzi, ma riesco ad alzarmi e mi dirigo in bagno a piedi nudi.

Tac, tac; cos’è questo suono? Ogni passo è un ticchettio…

Apro la porta, accendo la luce e - tac, tac - mi specchio: orrore.

Di me, solo ossa; di me, solo uno scheletro insanguinato.

Mi guardo le mani: metacarpo, falangi rosse; gocce di sangue sul


pavimento.

Trascino le dita ossute al o specchio: tracce di me che svaniranno presto. Il


seno non

c’è più. Qualcosa poi cade a terra, in un tonfo sordo: il cuore.

L’osservo. Palpita, debole, palpita. Il mio uomo s’è guardato bene dal non
man-

giarlo. Lo raccolgo, finché batte, e lo getto nel gabinetto; tiro lo scarico, ma


quello

resta a gal a. Mi volto e torno a letto: lui dorme beato, imbrattato del mio
sangue,

certo che non mi vedrà muovermi mai più. Mi stendo vicino a lui,
carezzandolo e
dannandomi per non avere più labbra con cui baciargli la fronte; resto
immobile,

per un attimo, chiedendomi cosa dirà domattina quando vedrà il cuore del a
sua

donna nel cesso bianco di casa sua… spero vivamente che non s’arrabbi, se
gliel’ho

intasato. Finalmente m’addormento anch’io, con l’odio di Dio che mi cola


lungo gli

zigomi e poi… muoio?

148

365 racconti erotici per un anno

TERaPIa

23 maggio

di Andrea Del a Bidia

Sono giorni che osservo i suoi occhi: ha paura. Avesse capito qualcosa di
me,

farebbe bene ad averne, ma così mi offende, quasi. Mi crede malato. Tutti


qui

mi credono malato; mi hanno chiuso in questo cubo bianco senza finestre,

gli stupidi. Sorrido a me stesso: non che ti sia andata troppo male, bastardo

fortunato.

In un posto dove il neon fischia di continuo si perde subito il senso del

tempo, settimane o mesi non saprei dirlo, ma è quanto basta perché venga a
cercarmi. Arriva come un odore che non sentivo da secoli e il primo
impulso è

chiedermi come abbia potuto dimenticarla. Il secondo me lo ricorda, è lei


che

mi ha portato qui. Il terzo fa male.

Giorni, forse ore, più probabilmente solo qualche minuto da che è tornata

a farmi visita, e già mi ha convinto a soddisfarla. Non che sia stato difficile,
in

ogni caso, uno come me sa di rischiare sempre il giusto.

È giovanissima per un posto così, mi concedo il lusso di sperarla pura an-

che se dal ’odore non ne sono certo. Di sicuro c’è che non si aspettava di
vedere

i miei occhi aprendo lo spioncino, un grido le muore in gola mentre la


guardo

come so fare io. Un minuto dopo è dentro, chiudo la porta. È mia.

È bel a più di quanto gli occhi avessero svelato, forme appena mature
avvol-

te da una pelle di latte, capelli di seta tuffati nel a china... solo lo sguardo è
as-

sente, come per tutte. Non la tocco finché non è completamente nuda,
rimane

immobile anche quando i nostri respiri si incontrano. Ho poco tempo prima

che arrivino, ma vivo per questi momenti e non affretterò il rito.

Il suo odore è deciso ma confortevole, il corpo salato e caldo, in un attimo


mi perdo ad assaporarne ogni angolo, rapito. La lingua passa sul a pelle
goden-

dosi lo scorrere del a vita più sotto, finché raggiungo un seno appena
sbocciato

e mi fermo ad ascoltare un cuore che sembra aver capito tutto.

Perso a contemplare una perfezione a cui non ero preparato, la sento trema-

re: non accade mai. Mi blocco. Mi sta fissando. Ha il terrore negli occhi;
non

posso biasimarla, stavolta ne ha motivo.

Mi alzo tenendola per le braccia, non finge di apprezzare i miei canini. Non

fingo mi dispiaccia e mi calo sul più bel pezzo di carne bianca del a mia
lunga

vita. Difficile capire quanto sublime sia il pizzicore dolciastro del sangue di

una giovane vergine. Le succhio la vita; non affannatevi, non saprete mai
cosa

voglia dire.

Sospiro, ogni volta rischio d’innamorarmi... che bastardo fortunato.

365 racconti erotici per un anno

149

l’EsTasI IN PUNTa DI PIEDI

24 maggio

di Ilaria Ferramosca
Era da poco domenica mattina, raggi di un sole maggese andavano e
venivano

con fare riottoso, accarezzando la schiena alle nuvole.

Ezio era un uomo strano, molti lo definivano così: lui invece si sentiva nor-

male e non capiva cosa ci fosse di così anomalo in quel modo tutto suo di

desiderare le donne.

Aveva cinquant’anni e, come di consueto, era seduto sul a poltrona nel suo

seminterrato: rassegnato al ’agorafobia le osservava passare dal a finestrel


a.

La prima che si offriva al suo sguardo era Anna, percorreva il viale per il
jog-

ging domenicale; quel passo gommato e saltel ante gli dava allegria. Forse
non

aveva l’eleganza di molte altre, eppure quei piedi fasciati nei calzini, stretti
dai

lacci delle scarpe da ginnastica, avevano un che di eccitante, qualcosa che


per

altri uomini poteva essere simile al bondage. Certo, nul a a che vedere con
la

delicatezza di quelli di Laura: lei sarebbe passata verso le nove per


comprare

i cornetti al a crema al bar al ’angolo, come ogni mattina, nessuna esclusa. I

suoi col ant di lycra nera frusciavano in calzature eleganti, e lui immaginava
spesso di sentirne il mormorio setoso mentre l’al uce si posava sul suo
volto,

lasciandolo godere di profumi e morbidezze. Il tacco sottile, appuntito come

uno stiletto, sarebbe stato sul suo petto come il fine punzecchiamento del a

freccia di Cupido.

Le riconosceva tutte dal ritmo del ’incedere, prima ancora di veder spunta-

re le loro caviglie: Mara, Carla, Sandra, Erminia. Lui le chiamava così.

Quel a mattina, però, fu spiazzato da un suono nuovo, leggerissimo, come

se giungesse in punta di piedi; il passo leggiadro e semisospeso di chi sta


per

librarsi in volo.

Fantasticò che si trattasse di una ballerina; poi di colpo, dinanzi allo sguar-

do in attesa, apparvero i piedi più belli su cui il suo desiderio si fosse mai
posa-

to. Un incavo delicato, slanciato, un collo alto e fiero; li accarezzò con la


mente

e sentì crescere voglia e bramosia. Immaginò di baciarli, di leccarne appena


le

dita, titil ando con la lingua i polpastrelli di quei mignoli torniti, sentendoli

aderire al palato. Sognò di passarvi le mani nel mezzo, con un gesto che per
lui

era una vera e propria penetrazione.

Poi lei si allontanò in dissolvenza e il cuore gli parve arrestarsi di colpo.


Aveva afferrato per pochi istanti un’estasi improvvisa, chissà se l’avrebbe
mai

riprovata. Sentì il vuoto attorno a sé, quello degli incontri fugaci.

Aveva fatto a suo modo l’amore con una bel a sconosciuta, che forse non

avrebbe più rivisto.

150

365 racconti erotici per un anno

l’ImPlOsIONE DI aRIsTOTElE

25 maggio

di Lorenzo Valle

Poi ch’innalza un poco più le ciglia... Dionigi distoglie lo sguardo dal a


Logica di

Aristotele per posarlo, con sobria curiosità, sul a figura colorata che ha
catturato

la sua attenzione. Le anziane pupille, rese miopi da numerosi anni di


appassionata

lettura nel a biblioteca comunale, osservano al ’improvviso un tripudio di


for-

me vivaci prendere possesso del a sedia situata dal ’altra parte del ’ampio
tavolo.

A Dionigi sembra di vedere, finalmente, la Lolita di Nabokov, o l’Angelica

del ’Ariosto, o forse la Locandiera di Goldoni, in persona, come se le era


im-
maginate.

La folta chioma bionda che le incornicia il volto delicato, adolescente, dai

vividi occhi azzurri; le mani aggraziate che si muovono rapide tra i libri, lo

zaino, il cel ulare; la succinta maglietta blu che evidenzia i suoi magnifici
seni,

tondi e turgidi, dal a pelle chiara, liscia.

Suo malgrado, il vedovo Dionigi si infatua. In pochi istanti, i volumi che

ha scelto quest’oggi perdono ogni rilevanza, e il suo interesse è dominato


dal a

studentessa. Le fissa la bocca, ha labbra attraenti, un leggero velo di


rossetto.

Avverte persino un vago profumo fruttato.

Al ’improvviso la ragazza si accorge di lui, lo guarda; Dionigi ha un moto

di sorpresa, urta il Faust di Marlowe con un gomito, si china a raccoglierlo.


E

lì, sotto quel tavolo, tra la polvere e le gomme appiccicate, Dionigi


intravede

il Paradiso...

Si dilunga a guardare nelle profondità del a minigonna del a studentessa,

tra quelle cosce affusolate, si dilunga troppo, vecchio e ridicolo, chinato sul

volume, per terra. La ragazza se ne accorge, serra le gambe, scatta in piedi

e raccoglie le proprie cose. Dionigi riemerge, arrossito e spiegazzato, e fa in


tempo ad accarezzare con lo sguardo quei seni così giovani e pieni,
scorgendo

sotto il tessuto degli adorabili capezzoli eretti, prima che la ragazza, rossa in

volto, scappi via con lo zainetto in spal a.

Un moto di vergogna colpisce Dionigi allo stomaco. Si è comportato da

maniaco, un uomo come lui, un anziano topo di biblioteca, conosciuto come

integerrimo erudito di paese.

Dal a quieta malinconia in stile Antologia di Spoon River alle vicissitu-

dini D’Amore e Ombra, un cambiamento sconveniente. Se la voce si sparge,

subirà un Processo kafkiano, verrà spiato e additato da tutti, come se


vivesse

nel 1984 di Orwel . Ma il giorno dopo, mentre legge Guerra e Pace,


Dionigi

vede la ragazza tornare a sedersi al suo tavolo, con una minigonna ancora
più

corta e... un’espressione eccitata.

365 racconti erotici per un anno

151

PlaY PaUsE sTOP

26 maggio

di Giovanni Zucca
Nel o sguardo del biondo pal ido con l’iguana tatuata sul ’inguine c’è
stanchezza. Spinge

avanti e indietro, un autotreno in manovra. Sul sofà gial o, la mulatta con


la crestina

bianca da cameriera si dimena e sussulta. I seni di cioccolata sobbalzano,


le gambe

chiudono le natiche smorte di lui in una X velata di lycra rossa. Lui


grugnisce. Lei ansi-

ma. Lui grugnisce. Lei geme. Lui estrae il membro luccicante e se lo mena.
Lei balza su

e si piega in avanti, occhi estatici e labbra socchiuse, lingua rosa shocking


pronta

(PaUsE)

DRIIN... Prima l’ecuadoriano del DHL, con il plico dal ’aria anonima
(superof-

ferta DVD hot). DRIIN... Poi il palestrato del a spesa a domicilio, incazzato
nero

(lui odia le ceste blu, il furgone gial o e il pomodoro rosso). DRIIN. . E la


custode

svogliata (pfff, la raccomandata del ’assemblea di condominio). DRIIN. . E


il giovane

medico del a visita fiscale. Poteva andarsene (alle ore x il sig. Y dipendente
del a dit a

Z risulta assente eccetera) e tanti saluti, no? DRIIIIIIIIIIN.

No. Raro esemplare di idealista in estinzione, il dot ore si è preoccupato e


ha con-
vinto la custode a usare la sua copia delle chiavi. Il ragioniere era in salot o.

Uno stoccafisso al confine tra due mondi, la poltrona verde e le piastrel e


grigie.

La sinistra livida sul pene raggrinzito, gli occhi sbarrati su un sogno


raggelato. E sui

kleenex rinsecchiti, le pantofole e la lat ina con un resto di birra...

La custode, sconvolta, ha chiamato ogni servizio di emergenza possibile


(no, il

Soccorso ACI no). Rimosso il corpo, svolte le formalità di rito, se ne sono


andati tut i.

Tranne il capopat uglia del a Volante del 113, che fissa lo schermo al
plasma, un’orgia

di colori in fermo immagine da ore…

e lingua rosa shocking pronta

… raccoglie il telecomando, abbandonato nel momento del ’infarto, lo


punta sul

lettore DVD…

(PlaY)

ad accogliere il fiotto denso e bianco per leccarlo voluttuosamente, le pupil


e che

roteano in un Wow esagerato, mentre l’iguana vibra al ritmo degli ultimi


sussulti del

(sTOP)

– Cazzo… è tardi! Si può sapere che stavi facendo, di sopra?


– Ma niente, vai.

La volante sgomma. Al capopat uglia sfugge un sorriso. Proteggere e


servire, giu-

sto?Un istante prima che lo schermo diventasse buio, è certo di averlo visto.
Un si-

lenzioso Grazie.

Nel o sguardo del biondo pal ido con l’iguana tatuata sul ’inguine.

152

365 racconti erotici per un anno

PRIscIllE

27 maggio

di Serena Bertogliatti

Davanti al ’armadietto degli alcolici, china con le gambe magre che


sporgono fino

al a coscia dal a gonna di finta pelle microscopica, c’è Priscille. Priscille è


una frase

rincalzante con rinculo.

La sua immagine è un susseguirsi di richiami sessuali d’impatto animale,


par-

tendo dalle scarpe da battona da strada con larghi tacchi giallo canarino, su
su per

tutte le lunghissime gambe lisce come marmo, fino al culetto perfettamente


tondo
che tiene sempre un po’ sporto al ’indietro, sempre pronta a una bel a
penetrazione

improvvisata.

Poi sali, e il pathos sale, gira attorno al ’ombelico perfettamente rotondo e


al a

vita stretta, le tette da pin-up che sembrano esplodere e ti urlano


toccamitoccami! ,

del a misura giusta, coperte e scoperte nel modo giusto, con quei top che
sembrano

svanire da un momento al ’altro per scoprire un capezzolo.

E qua, quando il tuo cazzo è già diventato abbastanza duro da mettere su un

mutuo solo per scopartela fino al a pensione, la bocca! Quelle labbra


sformate dai

pompini, che puoi dire volgari mil e volte ma la voglia non ti passerà mai,
carnose,

più che carnose, avvolgenti, la vagina in cui vorresti passare l’eternità.

Il naso piccolo, corto, dal e narici un po’ grosse che si al argano quando
sbuffa,

quel a noia seducente da creola dai capelli ingestibili. Ricci ricci ricci,
boccoli.

Priscille figa corta.

Priscille 99/100.

Priscil e che è troppo perfetta per essere una donna, e quindi è un uomo, che
per grazia di Dio si ricorda perfettamente cosa piace a un uomo, come un
uomo

si consumerebbe le tette se un giorno gli crescessero, come un uomo si


metterebbe

di tre quarti dando il culo al o specchio per vedere la stoffa tirata del
perizoma che

sbuca tra le due natiche.

Priscille si volta guardandomi, per riservarmi un largo sorriso da dentifricio


di

marca. Si sbava il rossetto sul mento con l’indice, e apre le gambe su di me.
Cosce

sode da sogno che premono sulle mie.

– Quando sarò 100/100 e smetterò di lavorare verrò a casa tua ogni settima-

na…Sfrega il pube contro la mia erezione. Sono nauseato dal sesso, e lo


voglio. Voglio

essere sfinito, svuotato del tutto, crol are inutile nel sonno.

Ma Priscille è il mio sogno infantile. È le tette del a Barbie, le gambe delle


bagni-

ne e il culo negli slip delle gigantografie.

È stretta come la tua ragazza la prima volta e muove la lingua come la


regina

indiscussa di ogni porno. Rispetto a Priscille, tutte le altre donne sono buchi
con-

tornati di carne scadente.


365 racconti erotici per un anno

153

DEsIRéE E fRaNcEsca

28 maggio

di Massimiliano Govoni

– Cosa ti piace, Teo, vuoi che mi tocchi?

Lavori dietro a questa telecamera da sei mesi, prima facevi riprese ai matri-

moni. Una domenica uno degli invitati si è avvicinato e ha detto che


cercava

un operatore in gamba per una trasmissione commerciale. Adesso sei qui e

zummi sul sedere di Desirée: lo inquadri come se fosse un viso, con le sue
co-

sce abbronzate e il solco tra le natiche che sembra voglia parlarti.

– Da dove chiami, amore? – Desirée ha il seno di una ragazzina, ma il top


lo

fa risaltare come una terza. Il giorno in cui te l’hanno presentata era già
nuda.

Ti ha al ungato la mano e tu sei riuscito a guardarla negli occhi.

Oltre a Desirée ci sono sei ragazze, otto telefoniste, due tecnici e la signora

del ’ufficio. Ormai riesci a considerarlo un lavoro vero. Da cartellino.

Una sera, dopo il turno, tu e Desirée siete andati a mangiare una pizza. Lei
si è presentata in jeans e scarpe da ginnastica, i capelli raccolti in una coda.
Il

suo vero nome è Francesca, ma hai continuato a chiamarla con quello di


scena.

Ti ha detto subito che non è mai andata a letto con qualcuno per soldi, che
ha

iniziato posando per l’intimo e poi ha scoperto il satellite e Internet. Ha un

suo sito e si esibisce per arrotondare. Ora quando va al supermercato non si

preoccupa più di quanto può spendere; anche se ne avesse l’opportunità,


non

sa se cambierebbe. Non si vergogna di ciò che fa, ma spesso le persone non

capiscono; e allora racconta di essere un’impiegata, di lavorare al computer


e

di occuparsi di contabilità. Non potrà fare questo lavoro per sempre, lo sa,
ma

ora va bene così.

Dopo il dolce ti ha chiesto: – Come, non sei curioso di sapere se davanti al a

webcam mi capita di venire sul serio per qualcuno?

Riportandola a casa, per un momento hai pensato a Desirée come al a tua

ragazza e hai immaginato le battute dei tuoi amici. Hai avuto una
sensazione

spiacevole, hai creduto che qualcuno non avrebbe capito. Davanti al a porta

del suo palazzo ti ha ringraziato e ti ha dato un bacio sul a guancia. Tu l’hai


salutata chiamandola Francesca.

In cuffia il titolare dice che mancano due minuti, e tu lo ripeti con la mano

a Desirée. Poi l’ascolti mentre saluta con voce suadente e si strizza le tette
per

l’ultima volta. La luce rossa si spegne. Francesca riacciuffa i vestiti e viene


verso

di te, ti dà un bacio veloce e dice: – Stasera dove mi porti?

154

365 racconti erotici per un anno

sONaTa PER vIOla E vIOlINO

29 maggio

di Aldo Selleri

Mentre s’insaponava, le mani che scivolavano sul ventre e il seno, Anna


indugia-

va. Le piaceva iniziare la giornata sotto la doccia, con il suono del violino.
Era

uno sconosciuto, lo studente del ’appartamento accanto, ma la sonata -


sempre

la stessa - l’aveva stregata. Il piacere del contatto del a pelle con la schiuma
pro-

fumata stava prendendo il sopravvento. Una mano si concentrò sui


capezzoli

scuri e puntuti, l’altra fra le cosce. Strofinò delicatamente la viola di carne


che si
al argò, docile, in attesa che la musica iniziasse.

Liang girava seminudo in casa: un leopardo in gabbia. Meglio di quando so-

steneva un esame al Conservatorio davanti a quelle mummie dei professori.


Era

l’ora. Non aveva mai incontrato la vicina, ma i suoi gemiti, intensi come
quelli di

una gatta in calore, passavano dal a finestra accostata del bagno al


soggiorno del

suo appartamento. Il cielo, là fuori, era denso di nuvolaglie, ostile come una
spia

che attende. Liang sapeva che lei aspettava la sua musica. Attaccò la sonata.

Quando le note la raggiunsero, un brivido la percorse. Era l’ora: penetrò


con

due dita la viola insaponata. Accelerò l’intensità del a carezza, mentre la


melodia

del violino rimbalzava nel bagno e le lambiva sesso e cuore.

Liang, accelerando i passaggi del ’archetto sulle corde del violino,


immagina-

va la schiena del a sconosciuta come un calice rovesciato su grandi natiche


dal a

pel e di seta.

Al ’incedere del a melodia, Anna rischiò di arrivare troppo in fretta al ’orga-

smo. Si trattenne.

Liang accostò il violino al ventre e al membro eretto: ne uscì una nota più
acuta. Con la stessa mano che impugnava l’archetto, riuscì a stringere anche
il

sesso e a muoverli insieme, in sincronia con il tempo del a sonata.

L’acqua scorreva, il violino incalzava, i gemiti diventarono sfrontati.

La sonata, dolce ma imperiosa, si fuse con i gridolini del a ragazza.


Trapassa-

vano la sottile parete divisoria e investivano Liang come una pioggia calda.
Poi

salivano in alto, fino alle nuvole minacciose, e là si smarrivano.

Con l’incalzare del a sonata, le dita di Liang sul violino diventarono freneti-

che e quelle di lei, nel a viola, più prodighe e veloci. A un nuovo crescendo,
Anna

non poté trattenersi e scoppiò in una catena di singhiozzi, conclusa da un


grido

strozzato che sembrò erompere, irrefrenabile e mortale, dal sesso aperto.

Poi: silenzio del violino e del ’acqua.

Anna strofinò un asciugamano bianco sul nero del a viola. Liang pulì dal
’in-

taglio destro del violino una goccia bianca ancora vibrante.

365 racconti erotici per un anno

155

faba mETROPOlITaNa

30 maggio
di Letizia Loi

Quando le prime stelle compaiono nel firmamento estivo, un doccione si


ani-

ma e prende forma umana. Si cala lungo la grondaia e s’introduce in una fi-

nestra aperta, nel a stanza in cui un giovane uomo riposa pacificamente. Il

pavimento del a camera è invaso da fogli di carta inchiostrati e


appallottolati,

solo alcuni si sono salvati e giacciono sul a scrivania, vergati da una


calligrafia

fitta e sghemba.

La mani del Gargoyle, bianche e sottili come il marmo, scivolano sul a

schiena liscia del ragazzo e scostano il lenzuolo che ne ricopre in parte il


corpo,

denudandolo del tutto. Il suo sguardo avido si sfama delle linee sinuose di
quel

fisico atletico, soffermandosi sul a curva eccitante delle natiche. Le dita


seguo-

no il medesimo percorso, insinuandosi con malizia tra il solco dei glutei.

Il dormiente si riscuote a quel tocco gelido, socchiudendo gli occhi e tro-

vandosi davanti una figura snel a e alabastrina, seducente come l’ incubus


delle

leggende. Credendo di sognare, si lascia irretire da quel a creatura,


accoglien-
dola tra le proprie braccia quando questa s’inerpica sul talamo e gli si
stende

addosso. Assapora ogni bacio vorace che piove su di lui senza concedergli
re-

spiro e si abbandona a ogni carezza impudica, mentre l’amante sconosciuto

traccia con la lingua e i denti una sottile ragnatela di segni rossi sul a sua
pelle;

infine si lascia violare con un gemito voglioso, prendendo in sé quel


membro

duro come pietra.

I loro arti frementi s’intrecciano e si fondono, saturando l’aria di sospiri,

ansiti e preghiere, annul ando la ragione e infiammando il cuore.

La gargol a si perde in lui, sfamandosi del calore che non potrà mai otte-

nere in altro modo, spingendosi in quel corpo stretto, donando e ricevendo

piacere. Amando quel giovane per tutta la notte, sino a sfinire quel corpo
caldo

e permettere che prenda nuovamente sonno, affidandolo alle braccia gentili

di Morfeo. Resta accanto a lui, accarezzandone i riccioli chiari, vegliandolo


e

vezzeggiandolo, fino a quando il cielo che va rischiarandosi lo costringe al


a

fuga.

Ripercorre la strada intrapresa in precedenza e i primi raggi del sole tra-


mutano nuovamente la creatura misteriosa in materia inanimata; solo al cre-

puscolo potrà svegliarsi e muoversi ancora. Fino ad allora osserverà


l’aspirante

scrittore, attendendo il momento in cui potrà tornare da lui e ripagare - con

tutto il piacere che è in grado di regalargli - la sua immaginazione che gli ha

dato vita.

156

365 racconti erotici per un anno

fERmaTI E gUaRDa lE sTEllE

31 maggio

di Giovanni Agozzino

L’astronauta attendeva l’apertura del portello. Le mani in gore-tex sugli


attrezzi

da manutenzione, la mente trecentocinquanta chilometri più in basso.


Pensa-

va sempre al a moglie: passeggiate spaziali? moglie; controllo sensori?


moglie;

cibo liofilizzato? moglie. Il portellone si fece da parte e l’astronauta


pensava al a

moglie. L’amava con tutto se stesso e le stelle, lo spazio, la terra e il mare


così

lontano erano per lui la chiara, semplice e pura emanazione del a bellezza
del a
moglie. Chissà cosa farà mia moglie adesso, pensava, immaginandola ai
fornelli

o rannicchiata sul sofà, coperta da un plaid a leggere un libro e ad attendere,

paziente, il suo ritorno.

La moglie affondava mani e ginocchia sul prato umido del a collinetta, e ge-

meva a ogni movimento del ’amante, conosciuto due ore prima al


’alimentari

sotto casa. Lo sguardo basso sui fili d’erba ammantati di rugiada e la testa
fissa

al pensiero di lei a quattro zampe, riempita dal membro di uno sconosciuto.

L’amante le fece colare uno sputo tiepido intorno al ’ano e le tolse una
mano dal

fianco, poggiandola sul ’osso sacro. Lei ansimò un’oscenità.

L’astronauta terminava svogliatamente la manutenzione ordinaria, caval-

cioni su un supporto di titanio, fantasticando sulle prossime vacanze.


Avrebbe

portato la moglie in un posto lontano, uno di quei luoghi esotici su cui orbi-

tavano di tanto in tanto. Cena sul a spiaggia al tramonto e poi il bagno,


nudi.

Pensava a questo e non si accorgeva che, per un capriccio del a gravità


ridotta,

il cavo che lo ancorava al a stazione spaziale s’era aggrovigliato al a


giuntura di
un pannello. Quando balzò in avanti per rientrare, il cavo non resse allo
strat-

tone e si spezzò, lasciandolo in balia del ’attrazione terrestre.

La moglie strinse un ciuffo d’erba mentre l’amante le infilava dietro due


dita:

inarcò la schiena in maniera innaturale e perse la presa sul terreno, franando

faccia in giù. L’uomo la penetrò con furia: le palle sbattevano sul a vagina
umi-

da al ritmo del ’applauso di una fol a inferocita.

L’astronauta, consumato dal ’atmosfera, ebbe il tempo per un ultimo pen-

siero. Sarai sempre nel mio cuore, sussurrò al a moglie.

– Una stel a cadente – grugnì l’amante, tirandole su la testa per i capelli. –

Esprimi un desiderio – e con un colpo secco le venne dentro, copioso.

Lei desiderò di non restare incinta.

365 racconti erotici per un anno

157

la gIOsTRa DI PaNDORa

1 giugno

di Sergio Calvaruso

Pezzi di uomini e donne si muovono sul ’electro che riga gli amplificatori.
Il dj suo-
na il suo laptop, gocce sul a fronte. Sullo schermo delle mannaie volano in
loop. So-

no due attorno a me. Ho le loro lingue addosso. Uno mi prende una mano,
la porta

in basso. L’ha tirato fuori, e lo stringo. La ragazza che ci stava guardando


spalanca le

labbra, una “o” perfetta. Poi tu.

Un bambino da solo in un negozio di dolci. Il proprietario è via, la


saracinesca giù,

sugli scaffali milioni di caramel e cantano come sirene.

Lingua contro lingua, denti che si mordono, labbra fuggono, poi si cercano,
poi

si separano.

… sei pericoloso…

… lo so...

Il bambino ha trovato il vaso più grande, sul ’etichetta c’è scritto


“Pandora”. Sul e

punte dei piedi, piccole manine si spingono a raggiungerlo.

E cadiamo sul divano. Lottiamo, sotto luci rosse e blu, su bassi cacofonici.
Tiri

via la maglietta, prendi un capezzolo tra i denti e mordi, la mia mano ti


afferra e tu

gemi, poi mi attacchi di nuovo, mi slacci la cintura e vai giù, mi trovi.


E sono duro. E mi guardi. E il mondo attorno respira allo stesso ritmo. E
l’uomo

nel a poltrona accanto si tocca. E una ragazza vomita in giardino. Ed è bel


issimo. E

tu lo prendi fuori e mi mangi.

Il vaso si inclina sul o scaffale, in bilico.

Non la notiamo subito, ma lei è lì, ci sta guardando. E sorride, segreta,


immo-

bile. Al ungo un braccio, lei prende la mano, dita sottili, fragili. È un bacio
che la

espugna, senza alcuna resistenza, la possiedo e la passo a te. In tre. Sotto la


musica,

dentro la luce. E poi me la strappi di mano, la giri di spalle, la sbatti contro


il tavolo,

le baci il collo, le tue mani le affondano dentro la maglietta e le afferrano i


capezzoli.

Ed è ipnotico.

L’orlo luccica mentre vola giù. L’impatto è sommesso. Vetro inonda il


pavimento, e

piccole gemme di zucchero. Il bambino ne afferra due pugni e se li ficca in


bocca.

Voglio esserci. Salgo sul tavolo, mi piego in ginocchio, le prendo il viso tra
le

mani. E poi ci uniamo. Senza pudori, senza limiti. Senza tempo.


Il bambino deglutisce, apre i palmi del e mani. Strisce rosse le
attraversano, lucci-

canti sul a polvere tagliente nel e ferite.

Lei apre gli occhi, sorride, si separa e scivola via come un sospiro. La
guardiamo

andare sbandando, come una farfal a ubriaca. È la prima volta che mi


succede, con

una donna. Anche a me. Provo a sorridere, disperso, e il mio viso frana nel
’incavo

del tuo petto. E mi raccogli.

E sono di nuovo io.

158

365 racconti erotici per un anno

vENTIsETTE mINUTI

2 giugno

di Corrado Sabia

Vado a centottanta sul ’autostrada e con la mano libera frugo tra le cosce di
Vera.

L’ha ordinato lo specialista. La sua diagnosi: ipersessualità compulsiva. Se


non

ha un orgasmo almeno una volta ogni ventisette minuti rischia un col asso
ner-

voso. Se ne sta sdraiata sul sedile accanto con la gonna alzata e la fica al
vento. Io
gliel’ho detto, non puoi fare da sola? Nossignore, non è lo stesso. Anche il
dottore

è d’accordo. A me ‘sta cosa pare tanto una gran cazzata. E intanto per non
farle

flippare il cervello sto rischiando di andare fuori strada. Per non ammazzare
lei

per poco mi schianto.

– Cazzo, Jim, mettimi dentro tutta la mano. Fai lo schizzinoso? Che dopo so

io come sdebitarmi…

Provo a spingere più che posso senza perdere di vista la strada.

– Certo che se solo ti facessi più vicina…

– Pezzo di stronzo, così non arrivo nemmeno tra ventisette anni! Ci devi
met-

tere impegno!

– Senti, mi hai rotto le palle, ok? Non voglio spalmarmi sul guard-rail!

– Preferiresti farmi venire un tocco, eh? Ti piacerebbe che schiattassi in


preda

alle convulsioni? – Vera rifiata un attimo e si guarda intorno, in cerca di


un’idea.

– Ho trovato! Fammi venire con il piede.

– Ma devi essere fuori, tu e la tua ipercazzo di ninfomania! Convulsioni?

Quando mai ti è capitata una roba del genere?


– Fallo e basta. Non voglio morire perché ti rifiuti di scoparmi con un
piede!

Puttana di merda, e stronzo io che me la sono caricata. Ed eccomi qua


mentre

mi tolgo la scarpa dal piede destro, sposto il sinistro sul ’acceleratore e mi


al ungo

sul sedile urlandole: – Eccoti il tuo piede. Ora avvicinati e fatti scopare!

Come volevasi dimostrare. Non funziona.

– È il calzino! Come vuoi che venga con il calzino sul piede?

Mi tolgo il calzino. Non succede niente. In lontananza mi pare di scorgere

delle luci intermittenti. Vera guarda l’orologio. – Quaranta secondi! Se non


vengo

entro quaranta secondi morirò!

Spalanco gli occhi. Ora le vedo bene. Sono luci di auto ferme al centro del a

carreggiata. Ho bisogno di entrambi i piedi per scalare e frenare. Ma il


destro è

ancora incastrato dentro di lei.

– Dieci secondi!

Al ora in un baleno le strappo via il piede dal a fica, lascio andare il volante,

la afferro con tutta la forza che ho e la sbatto di peso sul a leva del cambio.
Il suo

sorriso ebete e il silenzio che ne segue mi dicono che ho fatto centro.

L’unico problema, adesso, è: come faccio a cambiare marcia?


365 racconti erotici per un anno

159

la PRIma vOlTa NON sI scORDa maI

3 giugno

di Paolo Di Crescenzo

– Per me è la prima volta – mi sussurra con un filo di voce.

– Anche per me – le confido io.

Poi restiamo in silenzio. Lasciamo che a parlare siano i nostri occhi.

Lei mi sorride. È bellissima. La sua timidezza è tremendamente stimolante.

Fuori dal ’auto le cicale amoreggiano con il cielo stel ato. Una brezza
tiepida

mi impregna le narici del a fragranza del ’estate appena cominciata e del


suo

profumo inebriante.

Al ungo una mano, le accarezzo una guancia, il collo, una spal a. Mi fermo

sul ’elastico del a canottiera. Un dito vi si infila sotto e un attimo dopo sul
mio

palmo si adagia un seno.

Sento l’eccitazione crescere dentro di me, avvampare come se avessero ac-

ceso un fuoco sotto i miei piedi. Le esitazioni si sciolgono in quel ’ardore


bru-
ciante. Le mie labbra si fondono con le sue, le nostre bocche giocano, si
aprono,

le lingue si toccano quasi con timore, il tempo di conoscersi, di assecondare


un

ritmo ideale per entrambi e diventare un vortice di piacere.

Lei mi poggia una mano sul a coscia. Sento le sue dita piccole e delicate

muoversi rapide, salire verso il gonfiore che spinge contro i jeans.

La vorrei guardare, ma ho paura di rovinare tutto e così la immagino, vedo

le sue palpebre fremere di godimento, la mano che raggiunge il mio pene,


l’ag-

guanta con entusiasmo attraverso i pantaloni…

Mi infervoro ancora di più. Credo di scoppiare.

I nostri respiri si appesantiscono di frenesia. Attimi che scorrono a una

velocità supersonica e io sono con i jeans e le mutande calate, il pene ritto e

turgido, la sua mano che lo avvolge e lei... non so come sia successo, ma il
ve-

stito si è tirato su fino al ventre, le gambe sono divaricate, le mutandine


sono

rimaste appese a una caviglia.

Si, stiamo per farlo!

Qualcuno tossisce fuori dal ’auto. L’idillio scompare subito, il mio pene si

affloscia con la velocità di un palloncino scoppiato, lei si tira giù il vestito.


– È un terreno privato, non si può stare qui.

Non vedo il viso del ’uomo che ha parlato. È buio. Scorgo soltanto il lucci-

chio del a sigaretta che gli penzola dalle labbra. Ho voglia di mandarlo a
quel

paese. Avrebbe potuto aspettare che finissimo, no?

Borbotto delle scuse incomprensibili.

Lei vuole tornare a casa. È spaventata.

– Sarà per la prossima volta – mi dice.

Io rimango zitto. Sarà...

160

365 racconti erotici per un anno

basTaRDO

4 giugno

di Roberto Orsetti

Le chiesi di togliersi le mutandine e infilarsele in bocca.

Le ordinai di legarsi una mano al bracciolo del a poltrona con la cinghia e


lei lo

fece, senza controbattere. Non la vedevo, non la sentivo. Immaginavo il suo


respiro

diventare affannoso attraverso il cotone del suo slip, sentire la lingua


impregnarsi dei

suoi umori passati.


Poi cominciai a stimolarla, eccitarla....

Le ordinavo di toccarsi, di toccarmi, di tornare a toccarsi.

Era difficile, con una mano sola, accontentare entrambi.

A volte non ce la faceva, e io la rimproveravo.

Sentivo senza sentire che le piaceva. Vedevo senza vedere il suo volto
diventare

rosso fuoco. Capii che era in mio potere, che non avrebbe potuto mai
sfuggire al suo

piacere. Io ormai ne ero parte, anzi, artefice.

Le diedi tregua, senza che me lo chiedesse.

Potevo immaginare le sue gambe irrequiete sul a poltrona del ’ufficio,


aperte fin

dove potevano aprirsi con quel a gonna stretta e nera che le avevo ordinato
di met-

tersi. E potevo immaginare le sue ginocchia, le sue caviglie sulle scarpe


basse.

Niente calze, naturalmente. Solo la pelle morbida che la sera prima aveva
nutrito

di crema. Niente reggiseno, così che potessi immaginare i suoi capezzoli


premere

sul a canotta ancora nera, sotto la giacca.

Trascorrevano secondi come ore, percepii la sua fame e i suoi occhi che
cercava-

no nuove indicazioni. Ripresi incalzante.


La incitai nuovamente, pronunciando le parole più scurrili che conoscevo.
Pro-

vai io stesso un senso di sgomento per quelle frasi. Ero freddo, distaccato,
impegnato

a portarla al delirio. E me ne rendevo conto.

Tornai a immaginare il suo respiro, la saliva che le usciva dagli angoli delle
lab-

bra. Mi convinsi che era giusto così, che il godimento passava per quei
momenti,

quelle finte umiliazioni. Continuai quindi a ordinarle di toccarsi, di


toccarmi...

Quando il ritmo fra le due cose cominciò a farsi difficile, mi accorsi che le
era

impossibile staccarsi dal suo mondo. Ancora una volta senti senza sentire la
sua

sazietà, la sua ansimante resa. E immaginai la sua poltrona bagnarsi.

Restammo così sospesi per qualche minuto, un’eternità.

Poi lei raccolse le mutandine che aveva sputato mentre urlava di piacere e
mi

scrisse: – Mi hai fatto venire anche stavolta, bastardo.

– È quello che volevo, quello che volevi – risposi dal a mia tastiera.

– Sono sconvolta... devo andare in bagno. Ci sentiamo domani. Accendo la


chat

verso le cinque, prima di lasciare l’ufficio.


– Ok, buona serata... e non pensarmi :-)

365 racconti erotici per un anno

161

UN TUffO, TI PREgO

5 giugno

di Simone Corà

Il 5 giugno il sole ti scoperchia il cranio e ti frigge il cervello. In spiaggia


io, Luca e un

asciugamano: io assaporo il sollievo del ’acqua salata, lui ispeziona culi e


tette come

un satellite del a nasa.

– Faccio un tuffo – dico. Non resisto più.

– No, guarda quelle due.

Lo assecondo. Ha ragione. Splendide fanciulle in chiaro bisogno di virilità


ma-

schile. Peccato che io stia bruciando: – Acqua – imploro.

– No – fa lui. – Passera.

Le conosciamo. La fortuna ci fa sapere che sono sole. Che alle spalle hanno
storie

da dimenticare. Che si stanno concedendo un week end di mare.

– Ma pensa un po’, come noi – le ricopre di saliva Luca.

– Facciamo un tuffo? – dico io, ma mi bocciano la proposta.


Tempo mezz’ora di superficialità assortite, e i palpeggiamenti di Luca fanno
cen-

tro su Sara: complice il tramonto, spariscono come bambini che si perdono


nel a

fol a. Rimaniamo io, Paola e i nostri rispettivi imbarazzi. Ci guardiamo. Ci


guardia-

mo troppo. Le succhierei gli occhi e le strapperei le labbra. Non dico cosa


farei con

tutto il resto. Devo avere un principio d’incendio nei boxer.

– Un tuffo? – le chiedo. Lei scuote la testa. – Ti prego. – Niente. – Un


gelato?

Il gelato diventa una cenetta leggera, poi un passeggiata sugli scogli.


Finiamo per

baciarci come adolescenti imbranati. Appartati in un angolino, le mani e le


bocche

incontrol abili, ci mischiamo l’uno nei piaceri del ’altra. I suoi capezzoli
sono spilli

che pizzicano, la sua lingua mi aggredisce, il suo fiore mi cattura. Liscia


come una

bambina, sfioro una pelle inaspettatamente rigida. Mi ubriaco dei suoi


umori. Ri-

cordavo un nettare più dolce, pungente, ma non ci penso. Mi fa entrare, mi


accom-

pagna nei movimenti, come se bal assimo. Scivolo a fatica – sarà la


tensione, sarà la

sabbia – ma resisto pochi minuti. Esco ed esplodo.


La vedo toccarsi, ungersi con gli schizzi del a nostra passione. La sollevo,
la porto

tra le onde e la getto in acqua. Le mie risate coprono i suoi stril i. Si sta
divertendo.

Mi tuffo e rinasco ancora una volta, ma quando riemergo lei è immobile,


come

pietrificata. Forse no, non si stava divertendo. La luna è un faro che le il


umina il

corpo nudo, martoriato da lentiggini. Non c’erano, prima. Bisbiglio


qualcosa, strani-

to, ma quando la tocco sento l’asprezza del ferro. E del a ruggine che lo
corrode.

– Avevo bisogno di essere lubrificata – balbetta, prima di crol are in un


concerto

di scosse elettriche e scintille.

162

365 racconti erotici per un anno

sUcchIaRE la vITa

6 giugno

di Chiara B.

Succhiare la vita… Desideri succhiare la vita fino al midollo, assaporarla e


vi-

brare nel ’orgasmo di un istante infinito?


Succhiare la vita: dimmi che lo vuoi! Labbra che percorrono incavi e
colline

conturbanti, disegnando audacemente in punta di lingua i piccoli vil aggi di

carne calda e turgida di un corpo abbronzato, seguendo l’intrico di vene


blua-

stre, come vivaci ruscelletti di montagna.

Dita che scorrono su curve voluttuose e s’insinuano frenetiche tra i petali

carnali di quel fiore umido schiuso tra le cosce, due colonne di puro
alabastro.

Il respiro che canta la melodia furiosa del cuore e l’eccitazione ricamata


sotto

pelle che sale in larghe spirali, come il fuoco di un incendio indomabile.

C’è tutto questo da divorare. Questo è bere la vita!

Lui, ebbro – gli occhi rossi fissi sul capo reclinato di quel a madonna

dal ’espressione languida, con le labbra premute contro il suo seno


palpitante

– avverte la melodia di vita con ogni senso: c’è il frusciare ipnotico del
sangue

e il profumo d’eccitazione che s’irradia dal a donna a cui è stretto in un


gelido,

marmoreo abbraccio.

I suoi denti graffiano, mordono, penetrano nel a gola tesa in un ansito la-

scivo, si fanno strada portando dolore e un’ondata di perverso piacere, che


schiocca come una frusta e lascia un solco bruciante di gemiti.

C’è il sangue, invisibile filo scarlatto che si dipana al crescere del piacere
che

esplode, a saziare la Sete antica e pressante.

Ci sono gli umori femminei che trasudano da un succoso frutto proibito e

che lui lecca, assaggia con gusto, spremendone, come fa col sangue, fino al
’ul-

tima goccia.

Lui succhia la vita, capisci?

La beve fino in fondo, la centellina nel a gola dannata e ne gode sadicamen-

te! L’ultimo amplesso dona la morte al a tenera amante; ma l’ultimo


amplesso

al Vampiro dona la vita e lui la succhia, la succhia fino in fondo.

365 racconti erotici per un anno

163

vENERE

7 giugno

di Giovanna Astori

Dondolava i fianchi in maniera impercettibile, facendo frusciare appena il


bor-

do del vestito di raso nero. Così la vidi per la prima volta, ondeggiare felina
fra il tavolo e la finestra, col calice appoggiato fra le dita sottili. Non
riuscivo a

staccarle gli occhi dal a schiena nuda. Lungo la pelle serica oscil ava una
lunga

catenel a d’argento che tratteneva, facendolo rul are fra le scapole, un


diamante

di raro splendore. Aveva raccolto i capelli, che successivamente scoprii


lunghi

e di una lucentezza inverosimile, in un insieme di nodi armoniosi.

Non la conoscevo ancora, la sera del a festa. Certamente lei non mi notò.

Più volte mi trovai a breve distanza, aspirando l’odore leggero che emanava

naturalmente. Un aroma tiepido e accogliente, simile a nul ’altro.

Le guardavo la schiena, dunque. Come azzerando le distanze, potevo perce-

pire la stoffa carezzarle i fianchi, e immaginare i fianchi stessi, la leggera


peluria

invisibile. Vel uto. Le mie mani restavano a più di due metri da lei, eppure

riuscivano a percorrere ogni millimetro dei piccoli seni che immaginavo


sodi

e bianchi, segnati da un brivido al contatto col raso nero.

Ogni volta che la guardavo e la sfioravo col pensiero, la mia pelle era
invasa

da un fluido rovente, un sisma sotterraneo incontenibile: io ero corpo, lei


era
corpo. Quel a sera trascorse così. Rimasi nel limbo del ’immaginazione: lì
po-

tei spogliarla, percorrerla, guardarla inarcarsi, affondare le dita nei suoi


fianchi

perfetti, e stringere fra i denti quel ciondolo splendente.

Quando lasciò la sala portò con sé le parole che non avevo trovato per lei,

lasciandomi in cambio un lieve rimpianto, e una tenera spossatezza.

Mai avrei immaginato di trovarmela ancora davanti, una settimana dopo.

E in quale modo! Nel mio ufficio, vestita di un completo sobrio, con i


capelli

liberi e il profilo capriccioso che avevo già conosciuto.

Me la presentarono: Elena, la mia venere. Contratto di col aborazione.

Da quel giorno, ogni mattina avverto il suo aroma quando cammina sinuo-

sa nel corridoio.

E lei non immagina il piacere che provo se, passando davanti al a mia por-

ta aperta, torna indietro di qualche passo, si affaccia e sorridendo mi dice: –

Buongiorno, Azzurra. Caffè?

164

365 racconti erotici per un anno

sms: sEssO maI saZIO

8 giugno
di Errico Passaro

LUI era un uomo disil uso dal ’amore. LEI una moglie insoddisfatta. Era
fatale che

s’incontrassero e che, dopo un fuoco di fila di SMS al usivi, arrivassero al a


resa

dei conti. Fu questo scambio di messaggi a rompere gli argini del a


passione.

LEI: So che ti sembrerà strano, ma mandami 1 dei tuoi msg di fuoco.

LUI: Vorrei essere di fuoco lì, le mie labbra incol ate al e tue, il mio petto
con-

tro il tuo seno, la mia virilità contro il tuo pube, ansimanti. Continua tu.

LUI: Sapessi oggi quante volte ho dovuto vincere la tentazione di venire da


te,

di sentirmi finalmente viva. Voglio vivere, ridere, cantare, e non vegetare.

LUI: Vieni, vivi, ridi, canta, ora! Beffiamo la morte facendone dei ns corpi
1, al ac-

ciamoci in 1 abbraccio infinito, godiamo il momento, doniamoci l’1 l’altra.


Vieni…

LEI: No, oggi avrebbe 1 sapore amaro, quel o del dispetto e nn del a scelta.
Ho

fatto km a piedi e ora sono qui a pensare… ma che c’è da pensare?

LUI: Non c’è niente da pensare. La vita ha bisogno di avventura, brivido,


ri-

schio, rottura degli schemi. Baciarci, leccarci come bimbi, penetrarci: se


non ora
quando?

LEI: Forse mai.

LEI: Nn dirlo. Te lo chiedo ancora 1 volta: rileggi il tuo sms di prima, vivi
1 so-

gno reale con me, vinci dolore e morte, fatti felice, stringiti a me fino a
soffocarmi!

Era il momento di debolezza che il maschio cacciatore attendeva. A quel

punto, fu LEI a infilarsi docile nelle sue fauci. Come poi disse, le attenzioni
di

LUI l’avevano fatta sentire di nuovo donna dopo anni di letargo, in


compagnia

di un uomo che a letto la usava come una bambola gonfiabile e fuori dal
letto

la manovrava come una marionetta.

Venne a casa sua in un tardo pomeriggio di autunno. Entrò dal a porta,

quasi intimidita, fece due passi verso la cucina, e lì fu raggiunta alle spalle

dal ’uomo, che la cinse da dietro, le sfiorò i seni, le baciò il collo. La donna

lasciò fare, accompagnò le mani di LUI sui seni sfacciati, spinse con il
bacino

contro la sua erezione. Rimasero così per lunghi minuti, quelli che LEI
disse

poi di aver vissuto con la massima emozione. Poi, fu LUI a prendere il


soprav-

vento: la voltò, la baciò a fondo, la spogliò, la prese sul tavolo del a cucina.
LEI non raggiunse l’orgasmo, ma godette del suo godimento. Si rivestirono
in

silenzio, incapaci di dare una parola alle loro vibrazioni, e si salutarono.


Non

sapevano se sarebbe stato il capriccio di un giorno, o l’inizio di una lunga,


pe-

ricolosa relazione.

365 racconti erotici per un anno

165

ODORE D’INchIOsTRO

9 giugno

di Valentina Giacobazzi

La penna con cui fino a poco fa ho preso appunti è abbandonata sul banco,
so-

pra il blocco, lasciata cadere senza la minima cura. L’inchiostro liquido è


ancora

fresco e, mentre le mie mani febbrili e affamate percorrono il tuo corpo,


tirando

e cercando di eliminare i fastidiosi vestiti, mi sembra quasi di sentirne


l’odore.

– Niente succhiotti, Davide, mio marito…

Sì, sì, tuo marito, sempre la stessa storia.

Ti zittisco con un bacio, riuscendo finalmente a slacciare i bottoni di quel a


dannata camicetta. Le mie mani finiscono direttamente sotto il reggiseno,
spo-

standolo a rivelare la chiara e morbida pelle sottostante. Le mie labbra,


calde a

differenza delle mani, scendono a rendere omaggio al tuo seno, succhiando


e

accarezzando. Mi ha sempre eccitato il rapporto studente professoressa,


anche

se ormai è un clichè.

Ti ho desiderata dal primo momento che sei entrata in classe, con i tacchi

alti, come li porti ora, e quel a gonna strettissima.

Sorrido sornione, mentre con una mano ti accarezzo l’interno coscia, an-

dando a sfilarti il tanga ormai bagnato dal principio del tuo piacere.

Mi avvolgi le gambe intorno al a vita, sento sui fianchi il tessuto delle auto-

reggenti e, sulle natiche, la pressione dei tacchi.

La gonna si arrotola sulle tue cosce sode, mentre le tue mani mi stringono

continuamente, quasi temessi che me ne potessi andare.

Se potessi vedere la lavagna noteresti che i tuoi riccioli neri sono finiti sul

proiettore e ora danzano sul muro, ci passo una mano mentre con lentezza

esasperante ti entro dentro, solo per il divertimento di sentirti pregare.

Il tuo corpo ha uno spasmo quando, al a fine, sono dentro completamente,


e il lamento insoddisfatto che esce dalle tue labbra rosse scuro per via del
ros-

setto è la più bel a musica del mondo.

Imposto un ritmo lento, anche se non abbiamo molto tempo: tra meno di

venti minuti la prossima classe entrerà da quelle porte.

Non duro molto, però, in fondo ho solo 19 anni, quindi ti prendo veloce-

mente, tanto che la cattedra trema sotto di noi.

Quando vieni, piantandomi le unghie nel a schiena e i tacchi nelle natiche,

sembri una dea.

Ma anche le cose più belle hanno una fine.

Dopo gli ultimi tremiti del mio orgasmo suona la campanel a e tu torni a

essere la severa e sexy professoressa di economia aziendale.

– Bene, Innocenti, mi pare che non abbia problemi per l’esame, no?

166

365 racconti erotici per un anno

all’OmbRa DEl vYsEhRaD

10 giugno

di Enrico Beccari

Osservando l’imponente basilica di San Pietro e Paolo penso, non per la


prima
volta, che Praga è una città magica. Inizio a cercare, fra le mille tracce del
lettore

MP3, la Moldava di Smetana, ma prima di trovarla mi sento scuotere la


camicia

da dietro. Una ragazza bionda si sta rivolgendo a me. Mi tolgo gli auricolari
per

sentire che vuole.

– ... blowjob. I’m very good.

– What?

– You want blowjob? I’m very good. Little money.

Mi avevano detto che a Praga si facevano di questi incontri, ma così, in


pieno

giorno...

– How much?

La cifra è onesta e ce l’ho giusta nel portafoglio. La ragazza mi porta in un


vico-

lo appartato dove non ci vede nessuno e comincia ad armeggiare con la


patta dei

pantaloni. Io protesto debolmente.

– You want to see my tits?

Brava, l’hai capito che non sono un passaggio a livello. Si scopre il top a
rivelare

due seni piccoli ma ben fatti. Chiudo le dita intorno ai capezzoli. La pelle è
fredda
e soda. Potrei restare così tutta la vita.

La ragazza si mette al lavoro con sovietica operosità. Osservo dal ’alto la


cima

del a sua testa, impegnata in un meccanico oscil are. In mezzo al a spal a


sinistra

noto una puntura di zanzara. Il rosso intenso del bubbone risalta sul a pelle
chiara.

Cazzo! Mi sto ammosciando. Che mi prende? La ragazza aumenta il ritmo e


mi

massaggia lo scroto per tentare di salvare l’erezione. Mi arriva,


improvvisamente

acuto, il vociare dei bambini dal a piazza poco distante. Da quanto tempo
sto viag-

giando? Un mese? Dieci anni?

Tiro su la bel a praghese per farle capire che è inutile insistere. Senza
neanche

richiudermi la patta prendo in mano il portafoglio. Le porgo i soldi. Esita


prima di

afferrarli, poi mi guarda perplessa. Al a fine li butta in strada e si allontana


veloce.

Ripenso al ’odore penetrante del a pomata per le punture che usavo da


bambi-

no. Guardo i soldi sul selciato. Il cazzo mi ridiventa improvvisamente duro.


L’orga-

smo è questione di pochi colpi di mano. Il primo schizzo si perde su un


muro di
pietra, ma il secondo grumo, denso di seme, cade proprio al centro del a
bancono-

ta da dieci euro. Colloco il resto con perizia, sui lati. È importante, ogni
tanto, fare

un buon lavoro.

Mi ripulisco con cura, poi cerco una fontanel a pubblica per sciaquarmi le

mani. Il sole le asciuga in fretta. Mi riinfilo gli auricolari nelle orecchie.


Totò Cutu-

gno, Voglio andare a vivere in campagna. Va bene anche così.

365 racconti erotici per un anno

167

mI lascERaI UN bUON saPORE

11 giugno

di Maria Alberta Fiorino

Panoramica dal ’alto. Glutei flaccidi si muovono su e giù, sul corpo supino
di una

troia frigida. Occhi bistrati e senza mistero, capelli scarmigliati, sguardo di


dram-

ma rivolto in alto. Gemiti libidinosi risuonano come rantoli di morte, nelle


semi-

oscurità del a stanza. L’odore è greve, di umori mescolati.

Le tue natiche si dimenano. Le riconoscerei tra mille, come le tue cosce


atone,
come la tua schiena, costel ata di macchie. Le macchie del ’età. Ma tu
misuri il

tempo solo dal ’efficienza del tuo pene. Recluso in un pertugio, prigioniero
di una

vagina. Le tue femmine sono soltanto cunicoli ciechi, memorie sbiadite di


orifizi

penetrati in letti sconosciuti, tragiche abitanti di corpi scissi dal ’anima,


come il

tuo. Tra poco ti rovescerai sul a schiena e la tua pancia molle ti seguirà, i
testicoli

giaceranno, flosce sacche rugose, sulle cosce. Vuoti, come te.

Ti addormenterai, russerai, nel ’agonizzante solitudine di chi è incapace di

amare. Io ti ho amato? Sì, ho amato un copione, una parte, finché la verità


non è

sfuggita al a tua regia, con volgare irruenza. Come un rutto incontrol ato.

Siamo a Marsiglia, in balia del caso, che accende di chiarore scenari


impreve-

dibili. Ti ho visto.

Sei entrato in un hotel, con una. Il suo sguardo spento sovrastava una risata

artificiale, senza allegria. Stavo dal ’altro lato del a strada, in un cono di
penombra

profumato di Francia. Non mi hai vista.

Immobile, sopra la luna finta del cerchio di luce di un fanale, calo il sipario

sul a fantasia di te, di voi, che sa di rancido, di vino passato.


– Bentornata. – Pierre è davanti a me, le lunghe cosce sode, fasciate da
jeans

denim. Mi guarda.

– Da quanto tempo mi guardi così? – È un ritorno, da quanto, Pierre?

Si avvicina, la camicia glicine segue i gesti fluidi del suo corpo, ha le


maniche

rivoltate sui polsi, forti e sottili. Le sue mani sensuali conquistano i miei
fianchi.

– Solo da qualche anno. – Me lo soffia al ’orecchio. Il suo fiato scorre sul


mio

collo, mi scalda, come il vino sincero.

– Lasciami scivolare dentro di te. Fidati. Io non sciuperò la tua anima.

Il suo corpo vibra contro il mio, chiudo gli occhi. Mi accarezza la schiena,

riconosco quel brivido vivo sul a pelle. È un risveglio.

Il Mistral disperde il senno, penso in questa saggia notte di Provenza, senza

vento . Le sue labbra toccano le mie, e un bacio succoso, saporito come un


frutto

maturo, si scioglie lento nel a mia bocca.

Mi lascerai un buon sapore, Pierre.

168

365 racconti erotici per un anno

EROs, ONEIROs, PhIlEO


12 giugno

di Fabio Novel

– Chiudi gli occhi, amore.

Obbedisco. E aspetto. Aspetto che le sue labbra, saliva e salsedine, poggi-

no sulle mie. Che le lingue danzino, ancora una volta. Aspetto. Aspetto
tanto.

Aspetto troppo. Non avverto più il suo respiro caldo sul viso, dalle mie
narici

sparisce il suo alito velato di alcol e vagamente speziato di umori commisti.

Non percepisco più la pressione generosa dei seni, il contatto elettrizzante


dei

capezzoli sul mio torace affannato. È svanito anche l’abbraccio rovente


delle

sue mucose al a mia invadenza, provata ma pronta a nuovo orgoglio. Il mio

cuore ha un sussulto. Il sangue, l’ossigeno. L’adrenalina. Tutto sfuma in una

inaccettabile sensazione di perdita. La virilità cede, il muscolo col assa,


inap-

pagato.

Riapro gli occhi. Con difficoltà. Con paura. Li riapro sul buio di una stanza

vagamente soffocata da un luglio vigoroso, non sono più nel buio vasto e
libero

di una notte stel ata.


Nessuna spiaggia. Nessuna brezza estiva. Nessuna risacca a farci da
colonna

sonora. Invece: il finto silenzio del a notte cittadina ...

Un sogno. È stato solo un bellissimo sogno, che però è anche memoria. Un

regalo d’anniversario che qualche dio del mondo onirico ha voluto


conceder-

mi, facendomi rivivere il giorno in cui la conobbi. La notte in cui, pazzi e


gio-

vani, consumammo avidi le nostre rispettive voglie. Oggi, cinquant’anni fa.

Sono (siamo) nel mio (nostro) letto. Tra lenzuola inumidite da sudore, ma

che odorano ancora di sapone di Marsiglia. Anche troppo. La mia Marisa ha

da qualche tempo la tendenza a eccedere, con il detersivo. La guardo. Con

tenerezza, dapprima. Poi anche con desiderio. Al ungo la mano. La passo


tre-

mante tra i suoi capelli grigi, eppure forti come quelli corvini di un tempo.
La

passo sulle curve appesantite. La sua pelle è cambiata, inutile negarlo. Ma


non

abbastanza da inibirmi il piacere che ho sempre provato al contatto.

La vedo fremere. La sento fremere. A costo di farmi mandare al diavolo, la

sveglio.

– Apri gli occhi, amore – sussurro accarezzandola. Lei obbedisce, e sorride.


Non sembra affatto stupita del mio sguardo, delle mie mani che esplorano
come

se avessero scordato tutto. O meglio: come se avessero tutto da imparare.

Risponde al richiamo. Forse anche a lei è stato donato un sogno, stanot-

te. Questo è il momento del a realtà, però. Quel a che ci resta. Ce la giochia-

mo, senza pretese, ma con amore. E scopriamo che Eros può ancora
riservarci

qualche sorpresa...

365 racconti erotici per un anno

169

l’amaNTIDE

13 giugno

di Giuseppe Agnoletti

Parcheggio sotto casa e salgo le scale come un fulmine. Un’ulteriore


scadente

metafora riferirebbe che ho il cuore in gola. Ma il mio teso protagonista è


un

altro, e si trova molto più in basso. Suono il campanello, Madame apre.


Oggi è

una pantera, una gatta ricoperta di pelle scura. Sul viso una mascherina di
seta

nera ombreggia i suoi lineamenti e le dà un’aria sexy e austera.

– Buonasera – dico.
Replica con un miagolio lungo e caldo, un brivido che ha il sapore di un

rantolo. Non parla. Mi tira dentro per la cravatta, come al solito va per le
spic-

ce. Mi spoglia, soffia e agita un’immaginaria coda; è già eccitata e io


m’abban-

dono al gioco di una professionista. La conosco, so che bisogna lasciarla


fare.

A volte, come adesso, mi punisce perché sono stato cattivo. E le sue


lunghis-

sime unghie rosse s’imbizzarriscono a tracciare strade nuove e sconosciute


sul-

la mia pelle, ricamano per tutto il corpo tatuaggi immaginifici, solchi


rugginosi

carichi di suggestioni oniriche. Lei si fa dura, autoritaria, selvaggia come un

continente inesplorato, gli occhi, vaghe stelle del ’Orsa, stil ano la luce
tagliente

di un diamante grezzo. Poi il suo fiore oscuro e gonfio di desiderio mi


accoglie.

E niente ha più importanza.

È finita. È sfinita, anch’io sono svuotato, stanco e affamato.

Recupero le mie vesti sparse per tutta la stanza. Mi volto e getto in aria una

banconota verde da cento. Madame l’afferra al volo. Gli occhi le bril ano
impu-

dici mentre divarica la bocca, impertinente e maliziosa.


– Buonasera – dico.

– Miaoooo – rantola di nuovo. Mi lecca la guancia. La sua lingua è simile a

un tentacolo e scivola fino al a base del collo. È meglio che vada, ora.

Scendo con calma. Una volta fuori dal portone mi accendo una sigaretta.

La consumo con avidità e così subito un’altra. Poi apro la macchina, prendo
la

borsa e ritorno sui miei passi. Salgo le scale. Di nuovo suono il campanello.

– Ciao, tesoro. – La faccia ordinaria di mia moglie mi saluta sorridente.

– Ciao, cara. – Entro e mi affloscio sul divano.

— Giornataccia in ufficio, vero?

Faccio di sì con la testa, senza parlare.

– Fra poco è pronto! – tril a dal a cucina. È già balzata di là tra i fornelli,

simpatico leprotto domestico. Sento un profumo delizioso penetrarmi nei


pol-

moni tossici di tabacco. E mi chiedo cos’abbia preparato. Con la coda del


’oc-

chio colgo il dettaglio di una calza a rete seminascosta dietro una poltrona.

Sono un uomo baciato dal a sorte. Ma come potrà funzionare, dopo, quan-

do avremo dei bambini?

170

365 racconti erotici per un anno


lE TRE c

14 giugno

di Roberto Bisso

Si dimena sopra di me. Si agita ansimante, le sue mani sul mio petto, il viso
rivolto

verso l’alto, gli occhi chiusi come a pregare chissà che dio. Le sono dentro
ma non

sono veramente qui; non saprei dire dove… sono semplicemente altrove.

Non che non sia brava, ci sa fare con le mani, con la bocca e con tutto il
corpo;

potenti brividi di piacere mi scorrono attraverso, mi fanno mancare il fiato e


intor-

pidire le dita dei piedi, ma pochissimi giungono al cervello.

E nessuno al ’anima.

Il buio del a stanza mi aiuta a ignorarla. Non chiedetemi il colore dei suoi
ca-

pelli o la grandezza dei seni; non ricordo il sapore del a sua pelle, il taglio
dei suoi

occhi o la sua altezza.

Ho una vaga idea delle sue labbra giusto perché le ha usate (e bene).

Non saprei neanche dire se sia bel a o brutta, ma conoscendomi non penso

che avrei accettato di scoparla, se non fosse stata almeno carina. E sono
piuttosto
severo nei miei giudizi.

Sono noiosamente sdraiato sul materasso, la mano destra che le sfiora il


ginoc-

chio, il braccio sinistro disteso fuori dal letto, lo sguardo fisso verso il vuoto
sopra

di me. La voce del mio corpo sembra dirmi:

Considerala, anche se di lei non ti interessa nul a, magari ti diverti un po’.

Ma il cuore dice di no, come già tante altre volte prima di stanotte.

Il tempo scorre senza senso e, più passa, più mi scindo in tre; da un lato il
Cuore

che vaga nel tempo e nello spazio, desiderando rivivere momenti che non
torne-

ranno mai più. Dal ’altro il Corpo, concentrato sul momento, su di lei e su
se stesso.

E terzo, il Cervello, che senza successo cerca di mediare.

È certamente il secondo a trarre maggiore piacere dal a serata; vaghe


sensazio-

ni, ombre di piacere sembrano pian piano arrivare anche a me mentre lei
accelera

i movimenti. D’istinto le mie mani le stringono i fianchi mentre le vengo


dentro,

senza che nul a di piacevole passi questa barriera che ho eretto tra Cuore e
Corpo;

l’uno che anela una donna soltanto, l’altro che sembra accontentarsi di
chiunque
riesca ad attrarlo almeno un po’.

Continua a muoversi ancora qualche momento, poi si sdraia accanto a me e


mi

bacia con passione. Spero sia venuta, perché non ho la minima voglia di
dedicarmi

a lei, ma mi prende la mano e se la porta in mezzo alle gambe… speranza


vana.

Una lacrima mi scorre sul a guancia, fatta non d’acqua ma di dolore e


tristezza

per ciò che vorrei ma non avrò mai, la donna che amo e amerò sempre.

Anna.

Mi chiamo Ian Vect, e sono un perdente.

365 racconti erotici per un anno

171

chIUDO glI OcchI

15 giugno

di Serena Scuderi

La tenda sventola fuori dal a finestra, nel a penombra l’unico bagliore è la


mia

sigaretta: so che fumare fa male, ma cosa volete che importi a una ragazza

come me? Sotto l’accappatoio questo corpo a metà, che nessuno ha mai
tocca-
to, è umido e freme accarezzato dal vento. Questa è la mia vita: una vergine
in

sedia a rotelle, un pallido osso di seppia lasciato a seccare al sole.

Chi vuole conoscermi, chi?

Comincia la musica e so che per me non c’è nient’altro che un lungo, inten-

so brivido d’estasi, mentre le mie mani scendono, scoprono, sfiorano…


Nel-

la stanza di fronte lui le parla dolcemente tra i capelli, vicino al ’orecchio; la

mano segue il contorno del collo e delle spalle e ancora giù, tra i seni che
con

un gesto sicuro libera da ogni costrizione… un singulto: non lo posso


sentire

ma lo vedo, un piccolo salto nel ’incavo delicato del a gola; non lo posso
sen-

tire ma è come il mio, quando le mie dita giocano dove il mio essere donna
è

ancora un segreto, per tutti tranne che per me. Una goccia di sudore: non la

posso vedere ma la sento, è come la mia e scivola lungo la spina dorsale,


uguale

al a mia, che lui sta massaggiando con le sue mani forti, le stesse mani che
mi

hanno aperto il portone, che hanno schiacciato il tasto del ’ascensore. Le


boc-

che golose come frutti maturi si divorano l’una con l’altra; chiudo gli occhi
e
posso quasi sentire il rumore del ’amore: è un ronzio nelle orecchie, un
rombo

che cresce infiammandomi… e poi corpi, corpi che si attorcigliano, braccia


e

gambe e natiche di un’unica creatura lattea mitologica e chimerica, che


parla

una lingua di fremiti e sudori. La mia mano si muove frenetica, ormai,


seguo

il ritmo, seguo il ritmo, mi involo e poi precipito… apro gli occhi.

È tutto finito, getto via la sigaretta, è tutto già finito.

So che mi stai guardando, lo faccio anche per te, piccola. Chissà che
segreto

nascondi tra quel e gambe magre, lisce e bianche; mi piacerebbe toccarti,


toc-

carti davvero, dappertutto. Ma tu non mi guardi, non guardi mai nessuno,


sei

distante.

So cosa fai dietro quel a tenda, posso quasi sentire il tuo ansimare
sovrappor-

si al mio e qualche volta... qualche volta ho immaginato di scopare te, su


quel

letto. Chiudo gli occhi e ti vedo aprire l’accappatoio bianco, il tuo corpo
esile e

indifeso che vorrei penetrare con tutta la forza che possiedo: vorrei
spezzarti e da
te fare uscire una piccola farfal a.

Chiudo gli occhi, li riapro, sul davanzale c’è solo un mozzicone.

172

365 racconti erotici per un anno

TUTTa cOlPa DI UN caffè

16 giugno

di Andrea delle Sedie

Ci incontrammo in modo casuale, una tazzina di caffè contesa in un bar. Le

nostre mani si toccarono e solo dopo i nostri sguardi si incrociarono. Ma su-

bito ci riconoscemmo.

È stato facile portarti nel mio mondo. Forse è proprio quello che cercavi.

Le mani giunte sotto la guancia, le braccia piegate, così come le gambe. Il

letto è sfatto, bagnato del nostro sudore, ma tu sembri in un’altra


dimensione.

Di un’altra dimensione. Un angelo.

I miei occhi non si saziano di accarezzarti: le gambe, la curva del sedere

e poi su, lungo la schiena liscia e umida. Sei il mio angelo, o il mio demone,

dipende. Con te sono quello che voglio. Sono passione, sono furore, a volte
un

cucciolo, ma sempre tu mi accogli tra le braccia e accetti con amore quello


che
ti dono.

Non sembri affatto la persona che poco fa si agitava su quel letto, eppure so

che eri tu. I tuoi occhi, il tuo corpo che sfuggendo si esponeva ancora di
più, i

tuoi sospiri… tutto evidenziava il tuo piacere.

Lo so che non hai altri amori, che non hai altri amanti. Non te lo permet-

terei, solo io posso averti, solo io posso bere il tuo piacere. Eppure, a volte,
mi

piacerebbe vederti con un’altra persona, vorrei sentire se anche con altri
ansimi

in quel modo, se ti mordi il labbro inferiore mentre senti l’orgasmo


esplodere

in te, se ridi quando ti tirano con forza i capelli, come faccio io quando
vengo.

La mia curiosità è malattia, voglio e non voglio. Chissà cosa farei in quel
’at-

timo.

Ma tu continui a dormire, forse sogni un nuovo amore, o nuove avventu-

re… forse sogni soltanto me.

Ti guardo mentre dormi, vorrei trovarmi ancora accanto a te, cercando di

ricordare il sapore del piacere che mi hai dato.

Non capisco perché, non capisco come, ma ti amo. Sarà un modo strano,
sbagliato, ma ti amo. Amo far l’amore con te, amo sentire il tuo corpo che
scal-

da il mio. Amo saperti creta nelle mie mani, io a decidere del tuo destino,
dei

tuoi attimi di piacere. E ogni volta mi guardi con occhi pieni di devozione,
di

ringraziamento per quanto hai avuto, mentre le tue dita affusolate mi


accarez-

zano la guancia, lentamente, delicatamente.

Adesso devo lasciarti per tornare al a vita normale.

Ho deciso. Ti lascio un messaggio sul tavolo; so che lo leggerai tra qualche

ora, quando ti sveglierai. Sul foglio pochi graffi di inchiostro nero per darti
di

che pensare, per farti godere l’anticipazione del nuovo gioco: la prossima
volta

ti voglio vestita in modo sexy. Porterò anche mio marito.

365 racconti erotici per un anno

173

OPhElIa 2999

17 giugno

di Simona Maestrelli

Languidamente distesa su un’assolata spiaggia artificiale del pianeta Gioca-

strum, Ophelia sfiora con indolenza le onde spumose, le scaglie del a lunga
coda rilucenti di smeraldi e zaffiri. È un esemplare quasi perfetto di
sexsirena,

specie ormai in via d’estinzione, incrocio di mature donne ninfomani con


pesci

balestra e nudibranchi del tipo ballerina spagnola.

La spiaggia è deserta, in mare tre ragazzotti e due setter gordon a sei zam-

pe. Uno dei due cani, il più maestoso, le passa accanto e la riempie di sbuffi

di sabbia bagnata. Un giovanissimo esemplare di H.A.E. (Homo


Aneuronicus

Erectus) esce dal mare per scusarsi. Pronuncia con difficoltà alcune parole,

senza articoli né congiunzioni. È fisicamente attraente ma impacciato.

La sexirena sorride ai tre H.A.E. con lascivia, asseconda il rumore ritmico

delle onde muovendo il bacino, con impeto sempre maggiore. Dopo pochi

minuti gli H.A.E. sono tutti nudi, con i membri eretti. Ophelia apre la bocca
fa-

melica, li tocca con dita artiglianti. I puledri mugolano, gli ebeti volti
stravolti

dal ’eccitazione. Cominciano ad accarezzarla e a spalmarle sul corpo


mango-

cocche e bana-pesche mature, schiacciandole con mani e lingue. Leccano,


az-
zannano, succhiano, uno soffoca e rantola via.

I volti dei due H.A.E. sopravvissuti sono intrisi degli umori di lei. I giovani

stalloni imbizzarriti la penetrano dappertutto con dita e lingue: nelle


orecchie,

in bocca, nel naso. Stupiti e inesperti non trovano altri orifizi. Goffi leccano

le scaglie argentate cercando quel che resta del a vagina, una sorta di cocci-

ge anteriore nelle donne-cavalle, per la legge del contrappasso assente nelle

donne-sirene. Con lingue graffiate continuano con goffa irruenza a


pungolarla.

Ophelia ha caldo sperma appiccicato sul volto, sui capelli, che le cola
vischioso

dagli angoli del a bocca. Lo lecca via e inghiotte. È un anti-aging naturale,


an-

che gradevole con l’aggiunta di zucchero di canna.

E in quel ’abbraccio convulso Ophelia capisce che è giunto il momento di

perdersi per sempre in quelle onde fluttuanti di carne e di umori.

La bel a Ophelia muore per poi rinascere, non più donna né sirena né pesce

ma/ entità astratta, fluttuante, eterea, evanescente.

Un ologramma. Pronta per la nuova era.

Primo gennaio del ’anno 3000. Le malattie a trasmissione sessuale sono sta-

te definitivamente sconfitte. Sex is dead.


174

365 racconti erotici per un anno

lETIZIa la cOllEZIONIsTa

18 giugno

di Alda Teodorani

A Letizia piaceva accumulare. Aveva un bel corpo e aveva cominciato ad


accu-

mulare da quello. Con la sua tendenza a dimagrire, faceva di tutto per


mangiare

più del normale, fino a sentirsi scoppiare. Con il tempo aveva iniziato ad
accu-

mulare denaro, poi oggetti preziosi. E, superata l’età critica del


’innamoramen-

to, alle soglie dei quarant’anni aveva accumulato oro, gioielli, preziosi,
quadri e

oggetti per un valore incalcolabile. Se li teneva tutti in casa, con l’avidità di


chi

non vuole affidare le sue proprietà a nessuno, nemmeno per custodirle.

Un giorno, a un’asta, aveva visto esposta una coppa. Sicuramente si trattava

di un déco di gran valore, e il prezzo di partenza lo confermava. Eppure


Letizia

si era innamorata del a coppa, per le quali aveva sempre avuto un debole:
un
oggetto che raccoglie e racchiude... Comunque era convinta che pochi
sapes-

sero riconoscere il valore del ’oggetto e restò sorpresa quando scoprì che un

giovanotto giocava al rialzo. Lei lo finì per esaurimento, la coppa era sua e
ora

poteva anche accettare le moine del biondino che la blandiva, esprimendole


il

suo stupore per il fatto che una bel a donna come lei potesse riconoscere a
pri-

ma vista il valore di un pezzo tanto raffinato. E quando Letizia gli aveva


chiesto

come mai pensava che bellezza e astuzia non potessero giocare insieme,
quello

s’era stretto nelle spalle, sussurrando: – Lei comunque è eccezionale e mi


pia-

cerebbe ammirare i suoi tesori... perché sicuramente ne ha molti, nascosti


sotto

i vestiti.

Un brivido aveva percorso il bel corpo pieno di Letizia, mentre pensava

che, perché no, anche collezionare conquiste era un ottimo investimento.


Così,

tranquil a, l’aveva portato a casa sua e gli aveva fatto vedere tutti i suoi
oggetti.

Insomma, nel giro di una mezz’ora erano a letto, circondati dal luccichio di-
screto di quel tesoro. Lui l’aveva sfinita, costringendola a gridare,
scopandola

senza sosta, incol ato al suo corpo. E quando lei era arrivata al ’orgasmo,
men-

tre giaceva sfinita sul letto, immersa nel sudore e abbandonata, si era alzato
in

fretta e aveva strappato il cordone delle tende. Mentre la legava l’aveva


baciata

sulle labbra, poi le aveva detto: – Grazie di tutto, amore mio. – E aveva
raccol-

to i pezzi più preziosi che aveva trovato, cacciandoli in una borsa recuperata

dal ’armadio. Poi, uscendo, si era girato un’ultima volta. – Puoi tenere la
coppa

– aveva detto, sorridendo, – direi che te la sei guadagnata! – E l’aveva


lasciata lì,

legata e furente, dove l’avrebbe trovata la donna di servizio la mattina dopo.

365 racconti erotici per un anno

175

NEmIcI amaNTI

19 giugno

di Giusi Manuela Ducatelli

Una sala decorata a festa, per celebrare la vittoria dei malvagi e la sconfitta
dei
buoni. Poche stanze più in là, una camera in cui non esistevano più né vinti

vincitori.

Una mano salì decisa a scostare la maschera a forma di farfal a, indossata


da

una fanciul a dai lunghi capelli castani, che le celava il volto dagli occhi
dorati

fino al labbro superiore.

– Fermati, ti prego. Lasciamo che questa notte porti con sé il gusto del
miste-

ro! – disse piano la giovane.

Perché loro erano nemici che stavano per diventare amanti. Per anni
schierati

sui fronti opposti di una guerra che li vedeva martiri o assassini.

Così simili e così diversi.

Fuoco che scorreva sul ghiaccio, sciogliendolo, e ghiaccio che raffreddava


il

fuoco, riscaldandosi al passaggio.

Le dita del ’uomo sfiorarono il contorno del tessuto senza scostarlo e


scesero

più giù, seguendo la linea delicata del collo, giocando con i bottoncini che
le

chiudevano il vestito sul petto, prima di intrufolarsi sotto di esso al a ricerca


dei
seni tondi e sodi. Una vampata di calore la costrinse a gemere per l’intensità
del

contatto, mentre il respiro si cristallizzava in un ansito di piacere. Aveva


biso-

gno di toccarlo a sua volta, per sincerarsi che non fosse tutto un sogno a
lungo

negato, anche se inconsapevolmente desiderato. Tremando per l’attesa


immerse

le dita nei capel i biondi del compagno, godendo del a loro serica
consistenza.

Osservò rapita i suoi occhi grigi socchiudersi e l’immagine che le venne in


mente

fu quel a di una tigre che, soddisfatta, faceva le fusa per le carezze ricevute.
Il ru-

more di uno strappo, e il corpetto del vestito le ricadde come un fiore sui
fianchi

morbidi. Anche il resto degli abiti fece la stessa fine, vestigia di una
finzione che

aveva permesso loro d’incontrarsi per una volta senza combattersi.

Pel e contro pel e, tocchi roventi di labbra a seguire disegni immaginari sul
e

spalle, che si trasformavano in giocosi morsi al a base del a schiena e sulle


na-

tiche, sospesi sul a labile soglia di un piacere sofferto. Scie umide, che
rincor-
rendo il profilo dei seni pieni, portavano a piccole incursioni nel ’avval
amento

del ’ombelico, fino a raggiungere il tesoro nascosto al ’apice del e cosce


frementi,

scatenando una tempesta di sensazioni che si sarebbero placate solo con il


con-

giungimento completo.

Persa nel ’estasi del piacere, la ragazza quasi non si accorse del e parole
dure e

ironiche sussurrate al suo orecchio.

– Credevi che non ti avrei riconosciuta, Sephora?

176

365 racconti erotici per un anno

Il ghIaccIOlO

20 giugno

di Luigi Rinaldi

L’afa di quel ’estate ci opprimeva. Ricordi, Sara? La camicia mi si


appiccicava al a

schiena facendomi colare rivoli di sudore giù fino ai glutei.

Nel nostro ufficio l’aria era condizionata male.

Tornasti al ora dal bar di fronte con un ghiacciolo e cominciasti a


torturarmi.
Lo succhiavi lenta e, fissandomi, al udevi a piaceri raffinati. Abbassando lo
sguardo

in modo ipocritamente pudico, aspettavi sempre un po’ troppo a ripulirti del


succo

che ti colava dal mento al seno.

Cominciò così.

Ti facesti lasciare le chiavi dal principale per finire una pratica urgente. Non
mi

fu difficile trovare una scusa per restare con te oltre l’orario di lavoro: la
lussuria

ci aveva preparato il campo. Mi chiedesti allora, lasciva, di aiutarti a


prendere un

faldone dal ’archivio. Era in alto sugli scaffali e non ci arrivavi nemmeno
con lo sga-

bello. Ci provai io, ponendomi con la patta, già dura, al ’altezza del tuo
viso.

Senza indugio portasti la bocca sul mio sesso.

Ti accarezzai i capel i mentre mi tiravi giù i jeans con gesti calmi e


calcolati. L’aria

calda e immobile del luogo chiuso amplificava il suono dei tuoi movimenti
soffoca-

ti. Il sudore innescava i nostri ormoni.

Ti presi poi da dietro, con rabbia. Raggiungemmo un orgasmo sincrono,


facen-

do cadere, nel a concitazione, mucchi di scartoffie giù dagli scaffali.


Non poteva finire lì.

I nostri straordinari diventarono una consuetudine, i nostri orgasmi una


rivin-

cita, l’archivio la nostra alcova.

Una sera, però, tutto cambiò.

Fu quando ti dissi che mi stavo innamorando di te. Strabuzzasti gli occhi,


di-

ventasti di ghiaccio. Mi dicesti che tra noi, oltre al sesso, non ci sarebbe
stato al-

tro. Niente tramonti insieme, niente mani nelle mani, niente progetti sul
futuro. Mi

confessasti che non eri in grado di amare. Forse, dicesti, era giunto il
momento di

fermarci a riflettere.

Accettai la tua proposta. Non potevo sopportare l’idea di avere il tuo corpo
senza

la tua anima. Per un certo tempo la lussuria e l’orgoglio rimasero in


equilibrio.

Poi un giorno ti vidi con un altro ghiacciolo. Cedetti.

Ora, a volte, quando facciamo al ’amore in modo così disperato, ho come la


sen-

sazione di vedere delle crepe nel muro. Mentre mi cavalchi noto qualcosa di
nuovo

nel tuo volto, travolto dagli spasmi del piacere.


Forse un dubbio. Forse un rimpianto. È su questo che alimento la speranza,

Sara. Ma non c’è fretta. Lasciati andare ancora. Proveremo anche domani,
insieme,

a superare la frigidità del tuo cuore, amore.

365 racconti erotici per un anno

177

la TaglIa

21 giugno

di Barbara Gisolo

Dannazione a questo contrat o! Ho superato il terzo mese, il periodo


peggiore, dice-

vano, e invece eccomi qui, in piena crisi. Leona mi gironzola intorno, a voi
invisibile

(ovviamente). Si contorce mentre Ramon le fissa la steadycam; il


gonnellino mimetico

si solleva sul gluteo nudo. Potrei supporre che indossi un tanga, ma so che
non è così.

La mano di Ramon che scende a sistemare l’orlo, oziando più del dovuto,
mi dilania le

viscere, e i pantaloni at il ati di lino bianco non sono compassionevoli.


Cambio stanza,

per evitare l’espulsione.

Restano soli. L’at rezzatura era già montata, non ci dovrebbe volere tut o
questo
tempo prima di rivederli tra noi: occhi indiscreti, pagati per cogliere quel a
debolezza

in cui loro stessi devono indurci.

Sento il rumore sordo contro la porta socchiusa ed è come se la vedessi.

Leona. Seni turgidi maturati sot o un sole caldo. Mani veloci, da giocoliera,
che

scivolano tra le pieghe più nascoste, dandoti piacere in luoghi che tu, uomo
uomo,

non avresti mai pensato di concedere.

Leona. Quelle gonnelline corte drappeggiate sul a pelle, dove tut o è a


portata di

mano. Né una strisciolina di stoffa, né un filo di peluria a fermare le tue


intenzioni,

che stemperi sul a piega ambrata del collo, dove affondi il viso per frenare
la bramosia

più violenta.

Leona. Le piace farlo così, appoggiata alle pareti, in piedi. E ti guarda


mentre la

prendi, e tu non riesci a sostenerne lo sguardo, lo nascondi sul a sua pelle.

Tre volte mi ha guardato. E infine ha dato il voto decisivo in mio favore,


durante il

casting. Mi ha voluto qui. Perché sapeva. Del a mia passione e del a


perversione di au-

tori che, per fidelizzare un pubblico ormai saturo di freesex, hanno stravolto
le regole
del gioco. Niente più piacere di sbirciare scene che non potete concedervi
nel a vita,

cari miei rangers. Adesso il vostro piacere deve essere quel o di


smascherare chi crol a,

but ato fuori da un contrat o pseudopuritano che non concede neppure un


bacio,

neppure un’erezione. E voi, impastoiati dal GF Serie Ranger, lì incol ati,


ogni sera, per

cogliere nel nostro sguardo, nel nostro gesto, la prova del a perversione che
garantirà

La Taglia al più veloce. Io valgo molto, 50.000 €, perché ho resistito, sono


tra gli ultimi.

Restiamo in quat ro. Ebbene, guardate adesso. Ho un bel regalo per uno di
voi.

Leona esce dal a stanza. In ordine, eppure ha ancora negli occhi quel brillio
che mi

ha fat o impazzire. Tre volte. La appoggio al a parete e lei mi lascia fare.


Dentro.

Sono fuori.

178

365 racconti erotici per un anno

fRIgIDaIRE

22 giugno

di Teresa Anna Angelico


Mi ero costruito la baracca al’ombra del viadotto. Ero in Italia da pochi
mesi e

la paga del cantiere non mi permetteva nul a di meglio.

Quel a sera ero stanco, volevo solo sdraiarmi sul materasso che occupava

tutto lo spazio disponibile, scolarmi le mie birre e perdere conoscenza fino


al

giorno dopo.

Arrivato al a baracca ebbi una sorpresa: il tetto in lamiera era distrutto, vi

giaceva una donna.

Proprio dal mio viadotto doveva suicidarsi?

Raccolsi la ragazza e la sistemai sul materasso; non era morta, aveva solo

perso conoscenza. Mi sarei occupato di lei più tardi, la mia priorità era
riacco-

modare il tetto. Quando ebbi terminato, mi sentivo stranamente meno


stanco

di prima: avevo lavorato per me stesso.

Entrai nel a baracca per esaminare meglio la ragazza. Non si muoveva: se

non si era rotta la schiena, si era spezzata le gambe. Molto giovane, la pelle

bianca e i capelli nerissimi. Respirava a fatica, ogni respiro metteva in


evidenza

i seni piccoli e sodi che si indovinavano sotto la maglietta. Accostai la


mano
e ne raccolsi uno nel palmo. Un brivido mi corse lungo la schiena.
Indossava

una gonna lunga, la sollevai lentamente. Vidi le cosce e le mutandine di seta


e

la mia eccitazione fu incontrol abile. Le tolsi le mutandine e la penetrai.

Il giorno dopo era morta.

L’ho seppellita accanto al a baracca, dove vedi quel mucchio di terra smos-

sa. Quando torno la sera, le rivolgo un pensiero, e mi masturbo: la mia pre-

ghiera al a sua memoria.

365 racconti erotici per un anno

179

Il lagO caPOvOlTO

23 giugno

di Marco Caudullo

Elisa, nuda sul bordo del letto, guardava il cielo attraverso la finestra.

− Hai mai visto un azzurro tanto intenso?

− Non so − rispose l’uomo accanto a lei, cingendole il fianco con un braccio


e

carezzandole il ventre.

− Ci pensi se venissimo catapultati in un altro mondo? Se fuori da questa


stanza
non ci fosse più il corridoio del ’albergo, solo un immenso prato e
montagne piene

di alberi verdi? E nessuno ci conoscesse.

− Ne hai, di fantasia. In fondo noi siamo in un altro mondo, adesso.

− Siamo solo molto lontani dal nostro, non è la stessa cosa.

L’uomo spostò la mano sul ’anca e con l’indice seguì la linea del a coscia.

− Hai la pelle liscia e bianca. Mi piacerebbe morderti.

− Ah, sì? − rispose Elisa divertita. − E dove?

L’uomo avvicinò la bocca alle sue natiche, ma anziché affondare i denti vi


passò

le labbra, lasciandole umida di saliva.

Elisa rabbrividì. Capì quanto lui la desiderasse dal ’energia con cui la
toccava.

− Non avere fretta. Fa’ come se il tempo non stesse scorrendo… − disse lei.

− Mi piace il gioco dei se. Allora rispondimi: che faresti se il tempo si fosse
fer-

mato davvero? Resteresti qui al ’infinito?

− Se fosse così non avrebbe alcun senso la parola infinito. Avrebbero senso
solo

il qui e ora.

L’uomo le diede un bacio sul a schiena, le scostò da un lato i lunghi capelli


neri e

la baciò anche sul collo. Poi disse: − Qui e ora è stupendo, sai?
Elisa sentì la sua erezione tra le gambe, un impercettibile sorriso le si
disegnò

sul volto. Cercò la sua mano e la condusse al seno. In cielo non c’erano
nuvole. Lo

scorcio d’azzurro nel ’immaginazione di Elisa divenne la superficie di un


lago, e tra-

sportata dalle sue onde si lasciò andare al piacere del contatto con quel
’uomo, di cui

non conosceva neppure il nome. Si girò di scatto, quasi sorprendendo lo


sconosciu-

to amante, lo afferrò per il busto e lo spinse con forza dentro di sé. A ogni
affondo

inarcava la schiena e gemeva, senza soffocare l’impeto del a sua voglia: a


separarli

dal e altre stanze c’era una distanza incolmabile, e sopra le loro teste le
acque calme e

azzurre di un lago capovolto. La sua vita passata era racchiusa in un altro


mondo.

Restarono sdraiati uno di fronte al ’altra. L’aria pregna dei loro umori.

− Sei sposata o hai un uomo? − domandò lui.

− È una domanda senza senso. Quando uscirai da qui che importanza avrà?

− E se aprendo quel a porta ci fosse un prato con le montagne intorno?

Elisa scoppiò in una risata. Ne era ancora capace, dopotutto.

180
365 racconti erotici per un anno

malEDETTa maRIlYN

24 giugno

di Lita Cassisa

Torno verso casa a passi lenti, con gli occhi che strisciano sul ’asfalto e i
pensie-

ri rabbiosi. Mi chiedo cosa sta pensando lei, di me. A un centimetro dalle


sue

labbra sono scappato. È rimasta sul divano, sola.

La stanza era piena di ragazzi, musica, balli. Ovunque c’era qualcuno con

un bicchiere di vino in mano. Io non bevo. Non facevo altro che dire: – No,

grazie!– sperando che lei non sentisse e mi giudicasse noioso.

Lei beveva, invece, e mi guardava.

Avevo ripassato centinaia di volte la scena, nel a mia mente. La festa, la


mu-

sica, un divano e io che le mettevo un braccio sulle spalle e… poi tutto il


resto.

No, non è vero. Non l’avevo ripassata nel a mia mente, ma con lei, con
Marilyn.

Nel a mia stanza avevo deciso tutto a tavolino, era scritto su un foglio,
come

una sceneggiatura. Dovevo solo far muovere i personaggi. La mia parte


potevo
farla io. L’altra, invece… Mentre riflettevo, lo sguardo, vagando
distrattamente

per la stanza, si era fermato di colpo su Marilyn, che dal muro mi guardava
con

malizia. No, era qualcos’altro, ne avevo letto sui libri, era voluttà!

Mi ero seduto a terra sotto Marilyn, poi ci avevo ripensato, e staccato il

poster l’avevo appoggiato accanto a me.

– E così tu sei Marilyn – le avevo detto con nonchalance, guardandomi i

piedi. Lei non rispondeva e io mi ostinavo a fissare in basso. Sentivo il suo

odore sbattermi in faccia, come uno schiaffo.

Era la prima volta che stavo così vicino a una donna. In quel ’intimità.

Poi lei scivolò di lato, sul a mia spal a. Ebbi il colpo di genio di assecondare

il movimento e ci ritrovammo a terra, sdraiati, lei su di me.

Avevo le sue labbra appiccicate alle mie, così non potei dire: – Non l’ho
mai

fatto, Marilyn!

Avrei rovinato tutto.

E mentre pensavo che quello era il mio primo bacio sentii che dovevo go-

dermelo fino in fondo. Per questo chiusi gli occhi e mi concentrai sul tatto,

su quelle labbra che… no, non premevano più, al ’improvviso erano leggere
e
voraci come se volessero mangiare le mie e poi rinunciassero. Tocchi di
labbra

come alfabeto morse. Al argai le braccia e le richiusi sul corpo di Marilyn.


Lei

si muoveva su di me con movimenti impercettibili, che serpeggiavano nel


mio

corpo, imprendibili come lampi. E il mio corpo cominciò a rincorrere quei

lampi con il cuore in gola.

Al ungo il passo, corro a perdifiato, chi se ne frega del a festa e di quel a

sola sul divano, casa mia mi sembra l’unico luogo possibile. Non potrà
esserci

nessun’altra per un po’… non dopo te, maledetta Marilyn!

365 racconti erotici per un anno

181

hUmaN NaTURE

25 giugno

di Amanda Folcia

Ho tutta la vita da raccontarti, ma non sono ancora sicura che per noi ci sarà

un domani.

Non so se cercherai un modo per trattenermi. Aspetti da me un segnale che

non so inviarti; solo dal mio sorriso potresti indovinare ciò che vorrei.

Tutto intorno a noi è sospeso nel ’attesa. Il silenzio ci avvolge, riempie gli
spazi, impone la sua presenza. Sento l’impulso di raccogliere i capelli, di
acca-

val are le gambe, ma un gesto sbagliato potrebbe spezzare l’incanto.

Forse non c’è una via di uscita, penso; non c’è un destino comune, per noi.

Allora tu fai una cosa che non mi aspetto: ti alzi e scegli una canzone. Poi ti

avvicini, mi sfili i sandali e mi conduci sul tappeto.

Ho riconosciuto le note: quel a musica è come luce; sa di pomeriggi esti-

vi passati a sognare. Qualcosa dentro di me si scioglie; non so bal are,


vorrei

scappare ma sento un brivido quando posi le mani sui miei fianchi.

Tu ora sai cosa fare; nei tuoi movimenti percepisco una tranquil a fermezza

che mi dà coraggio senza mettermi fretta.

Le note scivolano come acqua limpida; potrei semplicemente lasciarmi gui-

dare da loro. Cedo al tuo abbraccio e posso finalmente sentire il tuo calore, i

tuoi pensieri più segreti. Gli stessi che attraversano la mia mente.

Riesci a mettere qualcosa di fresco nel gesto antico di seguire con i polpa-

strelli la curva del a mia schiena.

I nostri movimenti ora nascono direttamente dal a musica e dal battito del-

le nostre anime.

Adesso siamo allo stesso tempo materia ed emozione. Un fascio di muscoli

tesi ed elastici, la corrente che ci pervade e acuisce i nostri sensi.


Siamo esattamente ciò per cui abbiamo vissuto quegli ultimi minuti.

Mi chiedo se arriverà l’istante in cui sentiremo il desiderio di entrare l’uno

nel ’altra, di andare oltre i limiti del a fisica e approdare a quel territorio
dove

ciascuno è solo al mondo. Sgretolare la barriera che ci separa, che ci fa


sentire

ancora due estranei; la stessa che alimenta il nostro desiderio.

La brezza del a sera ci sfiora, leggera come un sospiro.

C’e un attimo in cui temo che tutto possa finire così come è cominciato. Tu

e io: nuovamente due estranei. I secondi passano veloci. Vorrei solo essere
più

disinvolta; spregiudicata, perché no?

Aderisco al tuo corpo, sperando che tu capisca. È allora che lo sento, espli-

cito come una dichiarazione d’amore, impossibile da fraintendere.

Tu ridi, ti scosti appena, mi chiedi scusa, mi dai un bacio leggero.

La musica sta sfumando, ma adesso so che non mi lascerai andare via.

182

365 racconti erotici per un anno

hENTaI

26 giugno

di Stefano Andrea Noventa


C’era questo video. Non so perché mi avesse colpito, ma sono rimasto a
guar-

dare. Disegni realistici, eppure falsi, nelle proporzioni, nei movimenti.


Insce-

navano una fantasia crudele, perversa. Ho spostato il mouse: un tocco equo,

per cancel arne la morbosità. Ma ecco che appare un altro cartone animato.

Più dolce, sensuale: scorgo il rossore sui visi, il timore negli sguardi, l’età
in-

nocente. È la prima volta: la schiena di lei si inarca, in un gemito a stento


sof-

focato. Le dita serrano le lenzuola. Osservo, travolto, e qualcosa mi annoda


la

gola, immergendomi nel panico e nel piacere di quei corpi intrecciati, in


quel

mondo intagliato di desideri.

Ancora, sposto il mouse: stavolta il disegno è quasi una fotografia e lei è...

perfetta; eppure irreale, enfatizzata da un tratto quasi crudele. Gli occhi


densi

di piacere, la linea sinuosa dei fianchi e quel a singola goccia di sudore che
in-

dugia tra i seni, scivolando poi lungo il ventre, smuovendo desideri


profondi,

scavando un solco atroce da sopportare: perché lei incarna il desiderio puro.

Attrae fino a ridurre a brandelli la realtà. Al suo confronto ogni cosa è


rozza,
schifosamente vera, una sgraziata caricatura del ’emozione. Come il corpo
di

mia moglie che ora mi sta accanto.

La guardo, incerto, ed è una bel a donna, ma non è lei. Non è quel a crea-

tura dal tratto etereo i cui gemiti mi hanno sconvolto, quel ’angelo dalle ali
di

carta il cui corpo mi ha mostrato il paradiso, per poi precipitarmi nel


’inferno

del a carne in cui annega ogni vero piacere.

Non so cosa fare: mi sta fissando. Desidera ciò che anche io un tempo desi-

deravo, quando uno sguardo era la scintil a di un fuoco che avrebbe


bruciato

a lungo, ma di cui ora restano solo ceneri. Le sorrido, ma chiudo gli occhi: e

lei è ancora davanti a me; le dita sfiorano labbra schiuse in un chiaro invito,
la

mano scivola lungo il petto e sul a morbida pelle del ventre, come se
volesse

scendere, adesso, su di me, e accogliermi...

Mi giro dal ’altra parte, ma lei non desiste: forse crede che stia scherzando,

che voglia farmi desiderare; ma io... non posso, non voglio: non è lei e in
tutto

questo non c’è purezza, non c’è passione, non c’è amore. Eppure... quei
seni che
premono sul a schiena, le labbra che mi sfiorano il collo; e le mani, calde e
deli-

cate, quelle mani che s’insinuano sotto le vesti, scivolando, indugiando.


Quelle

mani mi conoscono bene, molto bene, e sanno come... cosa...

Sospiro. Al a fine dei conti lei era solo un cartone animato.

365 racconti erotici per un anno

183

lUNa

27 giugno

di Valchiria Pagani

Quando la luna è un cerchio nero nel nero del cielo, Chiara sa che deve farsi

trovare pronta. L’ha imparato presto che il pigiama o anche solo le


mutandine

sono inutili orpelli. Lascia dischiusa la finestra e scivola nuda sotto il


lenzuolo.

I peli del pube sono soffici e li arriccia tra le dita, mentre aspetta.

Quando la luna è un cerchio luminoso nel nero del cielo, Chiara sa che

deve farsi trovare pronta. Lascia dischiusa la finestra e si stende nuda sopra

al lenzuolo. Tra il sesso e il ventre, qualcosa sembra scorrere, come un


pesce

che guizza improvviso. Spalanca le gambe e le solleva. Sente la fica gonfia,


che
pulsa quasi da far male. Guarda la pal a bianca nel cielo. Il dolore è un
cerchio,

Chiara lo conosce fin troppo bene.

Un colpo di vento caldo, la tenda si solleva appena mostrando uno spicchio

di cielo scuro. Lui è lingua, che striscia umida tra le gambe, che le scosta le
dita

bagnate e lecca, lecca e s’insinua, lecca e succhia. Lui è maschio, è mani


che le

dilatano le cosce, le sollevano le gambe aprendola al mondo. Lui è maschio


che

affonda, fin dove la carne non è più rossa, ma diventa un buco nero e
vischioso,

nero come la luna che il cielo ha inghiottito. Lui affonda fino a dove le
manca il

respiro e ancora e ancora, e il piacere esplode quando il colpo si fa più


doloro-

so. Il dolore è un cerchio nero, come la luna nuova. Chiara ormai lo sa.
Come

sa che lui scomparirà di colpo, lasciandola stremata, la fica tremante e


piena.

Fissa lo sguardo sul a luna bianchissima, mentre la prima scossa le taglia

la schiena. Le gambe, aperte e sollevate, tremano per la fatica. Lì in mezzo,


la

carne non è più rossa. È un buco largo, un cerchio lucido, opalescente. È


una
luna piena e dolorosa, quel a che spinge per uscire.

Chiara s’inarca, come quando lui le affonda dentro. S’inarca e spinge. Quasi

non respira.

La massa bianca fuoriesce lenta, strofinandosi sul suo clitoride gonfio e rit-

to. Poi sguscia al ’improvviso, insieme al suo orgasmo. È una larva, grassa
e

pulsante. Un verme lungo e largo come un braccio.

Chiara si lascia andare sul letto e lo osserva. Ormai ha smesso di avere pau-

ra. Sa che, come ogni plenilunio, lo vedrà strisciare, tuffarsi dal letto,
attraver-

sare il pavimento, risalire la parete fino a raggiungere la finestra.

Avvicina una mano al a bocca. Succhia la punta delle dita. Sa che troverà

il sapore di lui. Come sa che dovrà aspettare il novilunio perché lui ritorni a

prenderla, per farla di nuovo madre.

184

365 racconti erotici per un anno

NaRcIsO E bOccaDORO

28 giugno

di Antonio Tarlato Cipol a

Mentre scivola agli angoli del a mia mente mi aggrappo al corpo di Marta.
Marta occhiverdi, Marta da morire, portami via. Marta apre la bocca per
pren-

dersi i miei respiri e l’altra si aggrappa agli spigoli del ’anima; stalattiti su
un

soffitto di affreschi, ricordi fatti a mano. Mentre ho per le mani il mento


per-

fettamandorla di Marta la bocca del ’altra mi sussurra profumi del ’età del
’oro.

Marta lecca il collo, la sua lingua lama al a mia gola; il peccato preferito di

Marta. L’altra è già dentro il cervello. Mentre annuso le tette di Marta ho


l’altra

negli occhi, e Marta mi tiene la testa: io prigioniero libero di essere


ossessio-

nato. Mentre Marta mi protegge le orecchie dalle sirene la mia lingua fugge

sul ’ombelico del ’altra. Mentre Marta scende sotto il mio ombelico sento la

bocca del ’altra alitarmi sul cazzo. Risale Marta e i suoi occhiverdi... Marta
non

ha occhi, ha occhiverdi, occhi che non potrebbero essere di nessun altro


colore

in nessun altro mondo. Gli occhiverdi di Marta bal ano sinuosi chiudendo il

mio sguardo in un cono. Mentre Marta mi guarda l’immagine del ’altra


tarda a

riemergere dal fondo blu del a momentanea estasi. L’altra ritorna nelle
labbra

e nel palato di Marta, nei miei denti che ottusi dal desiderio urtano i denti di
Marta. Mentre le mani di Marta mi parlano, dentro sento il bianco del a car-

ta, leggo il nome del ’altra. Marta ha le gote rosse, di statua appena scolpita.

Dentro il rosso l’altra strappa pezzi di verde dagli occhiverdi di Marta.


Sento la

fredda promiscuità di corpo e anima. Si ferma il tempo.

Flebile ticchettio di attimi, frammenti minuscoli di un secondo di cristallo

colpito da diamanti di stupore. Attimi vuoti come note di un’armonia


comple-

ta. Il lento scorrere di una visione che trascende il mio cosmo interiore am-

pliandone gli orizzonti. Attimi lenti che conducono i sensi in parata


trionfale...

Al ’Attimo. Nel ’Attimo Marta è l’Amore carnificato, Angelo e Diavolo,


Serafino

e Demone. L’altra è apollinea immagine spazzata da dionisiache bolle di


san-

gue color vino. Sento bruciare Marta da dentro. Marta che scopa come se
fosse

in guerra. Marta, la figlia di Marte che combatte i miei fantasmi. Sono


l’avido

ladro del ’odore di Marta. Profuma di verde, di grano verde spezzato in una

giornata di fresco fuori stagione... Vengo. Marta sorride ricambiata dal mio
so-

sia. Non c’è più l’anima, non c’è più l’altra; la mia mente si volta e nello
specchio
sul muro cerca solo i miei occhi.

365 racconti erotici per un anno

185

INTERcITY 499

29 giugno

di Marcello Cimino

“Intercity 449 per Roma in partenza al binario 9. Ferma ad Asti,


Alessandria,

Genova Porta Principe, Santa Margherita... Carrozze di 1a classe in coda.”

– Repubblica e l’Unità, per favore.

Beatrice paga i giornali e corre verso il treno. Il giornalaio la guarda andar


via

con un po’ di rimpianto.

– Vediamo, carrozza 2, posto 78. Ecco qua... Buongiorno.

Lo scompartimento è occupato da un uomo sul a sessantina, capello bianco

lungo a coprire le orecchie, sopracciglia scure molto folte, occhiali tondi


scuris-

simi. Indossa un completo bianco di lino, camicia azzurra e papillon a fiori,


ai

polsini fanno bel a mostra due gemel i d’oro con pietra rossa, forse rubini.
Sul

sedile, accanto a lui, un panama bianco con la banda nera. Siede eretto
guardan-
do avanti a sé, le mani appoggiate a un bastone, anch’esso bianco.

– Buongiorno a lei – risponde senza voltare la testa.

Il posto di Bea sarebbe quel o accanto al corridoio, ma a lei piace guardare

fuori dal finestrino.

– Le spiace se mi siedo qui, davanti a lei?

– La prego.

Bea si siede e lo guarda. Lui non muove un muscolo.

“Cazzo, sarà mica cieco?” pensa la ragazza.

Il treno si muove, sono soli. Bea prende il giornale, l’uomo sembra fissarla
da

dietro gli occhiali scuri.

Bea lo guarda di sottecchi, lui niente. È sicura: è cieco. Una strana


eccitazione

si impadronisce del a ragazza.

– Le dispiace se chiudo la porta? Sa, c’è un bel fresco.

– Faccia pure.

Bea si siede e scopre le lunghe cosce bianche in mezzo al e quali spunta il

triangolo nero dello slip. Infilando i pollici sotto le bretelle del a canottiera
si

scopre le tette. Mentre con una mano si stringe il capezzolo sinistro, con
l’altra si
scosta le mutandine e si accarezza in mezzo alle gambe. La ragazza sente
che sta

per venire e, per non farsi scoprire, maschera l’orgasmo con dei colpi di
tosse.

è stato davvero eccitante pensa mentre si ricompone. Si accorge di aver ba-

gnato il sedile e si mette a cercare un fazzoletto nel a borsa, senza trovarlo.

Allora l’uomo si sfila la pochette dal taschino del a giacca e gliela porge.

– Tenga questo – le dice alzando gli occhiali sul a fronte e fissandola con
due

occhi vivissimi. – È di pura seta cinese, ma credo che se lo sia guadagnato.

Mentre Bea lo guarda inebetita, l’uomo si alza e, facendole un cenno di


salu-

to col cappello, le dice: – Purtroppo sono arrivato. È stato un vero piacere.

186

365 racconti erotici per un anno

aNNalbERTa

30 giugno

di Alessandra Gallo

C’è qualcosa di invasivo nello sguardo nero di Saverio. Annalberta lo


scopre spes-

so a fissarla. Il concetto delle labbra di lui, piene e rosa sui denti bianchi, è
rotondi-
tà tiepida. Dev’essere uno che sussurra nei capelli. Lo immagina dire il suo
nome

per intero an-nal-berrr-ta con la voce che viene su dal a pancia come la
fame, e

come la fame è oscura, vibrante, ostinata.

– Tagliate la carrrne in senso obliquo – dice lui che ha la erre piena, e


Annal-

berta è il suo palato, si scuote e cede ai colpi del a lingua morbida.

Saverio le si avvicina, le prende le mani e la guida. Odora di burro e foglie


di

lauro. Ha voglia di morderlo. Saverio affonda il coltel o nel ’arrosto, lo fa


scorrere

avanti e indietro e a ogni colpo al unga il gesto e irrobustisce la presa sulle


mani

di lei. Il pol ice piegato sopra il suo è un combaciare di colori di pel e e di


pieghe

di falangi.

– Brrrava, così – le appoggia la mano sul a spal a. Le passa dietro a fatica


nello

spazio ristretto per tornare al proprio posto. Nel farlo un po’ la spinge
contro il

piano di lavoro. È un’erezione? Lo guarda. La sta fissando ancora.

Annalberta abbassa la testa. Ancora sente la consistenza brusca del a pelle


di
Saverio sul dorso del a mano. Resiste al a tentazione di annusarla, di
respirarne il

passaggio. Ricomincia a tagliare. Ogni affondo del coltello è un affondo del


sesso

di lui dentro di lei, mentre il sugo del ’arrosto inonda il tagliere e le schizza
le

dita.– Il taglio obliquo rrraddoppia la resa e la carne è più morrrbida sotto i


denti.

Lei geme.

Al a fine del a lezione, Annalberta cincischia con giacca e borsa. Cerca di


ri-

manere per ultima e chiudere la fila. Spera che lui esca subito dopo di lei.
Ma la

troia bionda si avvicina a Saverio, gli chiede qualcosa con la voce un tono
sopra

la decenza. Ridono.

Annalberta scende le scale con il pacchetto del ’arrosto sottobraccio. In


strada

l’aria è fresca. Si avvia al a macchina stringendosi il colletto del a giacca sul


a gola.

Il cielo estivo prima del a pioggia, visto attraverso le foglie degli alberi, è
un pizzo

scostumato carico di umori che grida sesso senza vergogna. Annalberta sale
in

macchina e accende l’autoradio. “La voce” l’accarezza, le si infila sotto il


vestito, la
gonfia di desiderio.

I’ve got you under my skin…

Le luci di sopra sono ancora accese. Annalberta scarta il pacchetto del


’arrosto,

tira fuori il coltel o. Chiude gli occhi. Aspetta.

I’ve said to myself this affair never will go so well…

Arriverà. Prima o poi dovranno uscire.

365 racconti erotici per un anno

187

TI PREgO DI NON smETTERE DI PaRlaRE

1 luglio

di Lara Carlini e Laura Rossi

– … sai quelle belle piscine con il bar al centro…

In un pomeriggio caldo e afoso di luglio, dopo le solite frasi che un incontro

casuale impone, la sua voce iniziò un tedioso racconto delle vacanze


trascorse

in un qualche posto esotico. Il sole picchiava sul ’asfalto facendolo


tremolare in

lontananza e forse per il caldo, forse per la noia, piano piano le parole di lui
si

fecero lontane e lei venne rapita da quel a voce così profonda e calda.

In un attimo quel tono basso e sicuro le invase la mente di pensieri pecca-


minosi. I discorsi si offuscarono e lei immaginò solo il suono cremoso di
quel a

voce che sussurrava al suo orecchio tutto quello che una donna avrebbe
voluto

sentirsi dire. Una voce così penetrante da farle immaginare che avrebbe
saputo

farla godere. L’umido del giorno si mescolò al a crescente eccitazione sul a


sua

pelle, facendole provare un piacere intenso e inaspettato. La voce


continuava

a solleticare le sue fantasie facendo crescere in lei la voglia di essere presa.


Le

parole uscivano dal a bocca di lui trasformandosi in gesti sempre più audaci

nel a mente di lei. Sentiva le sue mani stringerle forte i polsi sopra la testa,
il

viso attaccato al a sua guancia, l’alito caldo sul collo. Il racconto andò
avanti,

inconsapevole del gioco erotico che agevolava.

Ogni sil aba pronunciata era il brivido di un nuovo dettaglio eccitante. Il

corpo schiacciato addosso, tanto stretto da togliere il fiato, faceva evaporare

ogni pudore tra due corpi che si stavano cercando. La voglia di lui premeva
sul

ventre di lei e le mani seguivano l’istinto di cercare i punti del piacere. Il


calore
cresceva fuori e dentro la ragazza, portando i suoi sensi al massimo del
’eccita-

zione, spingendola ai limiti del ’orgasmo.

– … allora dai, ci vediamo presto così ti faccio vedere le foto! - Brusco ri-

entro al a realtà.

Di colpo si accorse delle labbra gonfie di desiderio, degli occhi bagnati di

voglia e del suo cuore che batteva impazzito nel petto.

Con un sorriso imbarazzato e malizioso si accese una sigaretta. Si baciaro-

no per salutarsi e il profumo del a pelle di lui restò impresso nei ricordi
ancora

palpitanti di lei.

Gustandosi il piacere del fumo, andò via sorridendo soddisfatta, con la testa

e il passo leggero, guardando la strada davanti a sé e gli ignari passanti.

188

365 racconti erotici per un anno

Il bUcO NERO

2 luglio

di Marco Farè

Il colonnello Lee guardava la Terra attraverso un oblò del a Stazione


Spaziale

Internazionale: si notava un disco nero, le cui dimensioni aumentavano.


Cer-
cava di contattare via radio una delle stazioni, laggiù. Non una in
particolare,

ne voleva una qualsiasi, qualcuno che rispondesse.

Il disco, in realtà un buco nero, era vicino a Milano. Poco prima era minu-

scolo, poi si era mangiato la Lombardia e non si era fermato. Lee osservava
la

Terra svanire, insieme ai suoi dieci miliardi di abitanti. Entro poche ore
avreb-

be subito lo stesso destino.

Otto anni prima

– Non è un giocattolo, è un binocolo vero. – Paolo aveva tredici anni e suo

padre gli aveva trovato il regalo giusto.

Una sera, Paolo osservava le luci del a strada dal a finestra del a sua came-

retta. Dopo alcuni minuti puntò il binocolo sul a palazzina di fronte. Poteva

vedere dentro un bagno, attraverso una finestra priva di tende. C’era una ra-

gazza un po’ più grande di lui. La spiò mentre si spogliava. La vide senza la

maglietta, i seni... non ne aveva mai visti. Come poteva essere tanto
fortunato?

Lei era bellissima e se ne innamorò. Gli anni successivi li trascorse a


pensare a

lei, a spiarla, a toccarsi.

Ma c’era un problema: lei si toglieva le mutandine solo dopo essere entrata


in doccia. E la doccia era dietro l’angolo. Non riusciva a vederla tutta.
Aveva

provato a cambiare finestra. Per poco sua madre non l’aveva beccato, e co-

munque non era abbastanza. Aveva tentato con un binocolo più potente, con

degli specchi. Impossibile. Quel ’angolo gli impediva di vedere l’oggetto


del suo

desiderio. Amava quel corpo giovane, ne apprezzava ogni dettaglio,


desiderava

poterlo conoscere tutto, centimetro per centimetro.

Dopo la maturità si iscrisse a fisica. Lo studio del ’ottica, per quanto affa-

scinante, gli aveva chiarito soltanto che non avrebbe mai potuto vedere die-

tro quel dannato angolo. Ma le teorie sul a massa e sul a velocità del a luce
lo

spinsero verso un modo per curvare la vista. Aumentare la gravità, piegare


lo

spazio e attirare la luce da dietro l’angolo verso i suoi occhi.

Finalmente. Un modo per vederla tutta.

La sua tesi di laurea in fisica teorica ipotizzava la sintesi di un piccolo buco

nero come artificio per modificare la traiettoria dei fotoni. Chi poteva
imma-

ginare che ci lavorava per davvero, nel a sua cameretta?

Nemmeno il colonnello Lee, l’ultimo uomo esistente (ancora per poco),

seppe mai cosa aveva posto fine al a Storia.


365 racconti erotici per un anno

189

sONNO

3 luglio

di Alessandra Mirka Trento

Sono in analisi da tre anni e sposata da ben ventitrè.

Un matrimonio bello, senza figli, ma colmo di emozioni e di passione. Al

nostro secondo incontro eravamo già a letto; non al primo, perché ci ha


colto

di sorpresa trovarci.

Ma adesso non so proprio cosa dire, non capisco cosa possa essere accaduto

e anche il mio analista brancola nel buio: in tre anni non si è risolto nul a,
anzi

forse è peggiorato.

Ogni sera mi corico con timore, a volte con eccitazione, a volte con rabbia.

È iniziato tutto tre anni fa: eravamo in un albergo a Giava, una vacanza

splendida, nessun litigio e perfetta sintonia tra di noi.

A un certo punto della notte i nostri vicini di stanza hanno iniziato a fare

l’amore e noi sentivamo tutto; devo riconoscerlo, un magnifico amplesso!


An-

che Alberto aveva avuto un’idea simile poco prima, ma non ci era riuscito:
forse
la stanchezza, forse le suggestioni del ’isola, forse il mistero di quel
giardino.

Io mi addormento sentendo la voce ansimante di una sconosciuta. Ricordo

un sonno di una pesantezza unica, mai provato prima. Non riuscivo a


svegli-

armi.

Al mattino Alberto è raggiante e inizia a farmi domande su cosa ricordo

della notte. Cosa ricordo? Ah, sì! Quei due a letto. Poi ho sognato che
avevo un

sonno paralizzante, che non riuscivo a svegliarmi e che Alberto mi cercava


e mi

desiderava, probabilmente eccitato dai suoni dei vicini, ma fatico a


ricostruire

qualcosa.

Alberto mi dice che abbiamo fatto all’amore, ma proprio non ricordo! Non

riesco a distinguere se era un sogno o realtà, anzi pensavo di averlo sognato

invece è accaduto davvero… buio totale. Alberto sembra deluso ma avverto

anche qualcosa di misterioso, perché alle mie domande non risponde e resta

vago.

Da allora soffro di questo tipo di narcolessia, come posso chiamarla? Nar-

colessia erotica? So che faccio l’amore con mio marito, e anche più di
prima,
ma non ne sono cosciente. Glielo permetto perché anche a me piace, mi
piace

essere amata da lui in questo stato di incoscienza. Non nascondo che provo

un certo eccitante timore per tutto quello che non so, per quello che tiene
per

sé e che non mi racconta; mi piace quando poi lui mi spiega cos’è accaduto
tra

di noi, anzi, quello che lui ha fatto con me. Ora lui mi possiede più che mai
e,

soprattutto, ha lasciato tutte le sue amanti e non mi tradisce più.

O forse, ora, con questo mio totale abbandono, sono io a possedere lui?

190

365 racconti erotici per un anno

lIP glOss alla fRagOla

4 luglio

di Silvia Daveri

Fu lei a baciarmi, sporgendosi dal lato passeggero. Quelle labbra le avevo


guar-

date per anni confidarmi i suoi segreti; erano carnose e umide, le sentivo
pre-

mere sulle mie, più sottili.

Le labbra di Caterina con un velo di lip gloss al a fragola erano una provo-
cazione su un viso acqua e sapone che era sbarazzino ancora oggi; non ci
ve-

devamo dal ’ultimo anno di università. La sua bocca l’avevo sempre


invidiata

da ragazzina, perché faceva impazzire gli uomini, e me.

Cancel ai l’abitacolo dagli occhi e spinsi dentro la lingua, il mio smalto ros-

so si nascose fra i suoi capelli e le mani di Caterina corsero al a mia


maglietta,

partirono dai fianchi, leggere, mi facevano ridere e rabbrividire. Pensai alle

notti abbracciate a dividere un matrimoniale per risparmiare sul ’affitto e


per-

ché, tanto, eravamo cresciute insieme. Sentii il clitoride pulsare contro la


cuci-

tura dei jeans un attimo prima che arrivasse ai capezzoli e mi staccai da lei
per

passare l’indice sulle sue labbra bagnate, poi lo leccai: sapeva di fragola.

Guardai il nocciola lucido ed eccitato dei suoi occhi per trovare consenso e

coraggio. Ero stata io a contattarla su Facebook chiedendole di andare a


bere

qualcosa per superare i vecchi rancori, l’avevo pregata di chiamarmi


quando

rientrava da Parigi.

E Caterina, una sera di luglio, aveva telefonato.

Dal finestrino entrava una debole brezza, soffiava via il sudore dal a nostra
pelle; l’imbarazzo di ritrovarci era stato solo mio, com’ero stata io a
chiudere la

porta quando Caterina aveva trovato il coraggio di essere se stessa ogni


istante

del a giornata, non di notte, dentro camera nostra.

Io no. Io mentivo, ero una fottuta codarda.

La desideravo, ma ormai sapevo scopare solo come gli uomini, quelli che

avevo sopportato dentro di me da quando ero diventata grande e avevo


chiuso

nel cassetto i giochi da ragazze. Il sesso con Caterina non era una
competizio-

ne tra corpi, era puro piacere. I miei capezzoli turgidi premevano sotto la
stof-

fa, lei mi sfilò la maglietta e i seni rimbalzarono liberi; io infilai le mani


sotto il

suo vestitino a fiori per scostarle il tanga: era calda e bagnata.

– Cara, che fai lì fuori tutta sola? – mi chiese mio marito dal a finestra.

– Mi godo il giardino, tesoro.

– Vieni a letto, è tardi, domani devi lavorare.

365 racconti erotici per un anno

191

Il fIORE DI lOTO

5 luglio
di Subhaga Gaetano Fail a

Una linea lieve di luce germogliava dalle colline e si spandeva verso il


cielo.

Efrem, seduto sul muretto di pietra, respirava piano e attendeva il sole. Poi,

un fruscio proveniente dal giardino del casolare accanto gli fece volgere lo

sguardo. Marta aveva un annaffiatoio rosso. L’acqua cadeva come una


piogge-

rel a allegra sui tulipani e sulle ortensie, sui gerani e sulle rose, sul a terra
grassa

assetata dal a calura estiva. La ragazza vide Efrem. Alzò la mano in segno
di

saluto. Efrem scese con un piccolo balzo dal muretto e si avviò verso di lei.

– Ciao, Marta. Anche tu mattiniera.

– Sì, è bello a quest’ora. E il giardino mi stava aspettando.

– Andiamo a vedere i fiori di loto nello stagno?

– Forse non sono ancora aperti. Nello stagno la luce giunge più tardi.

– Be’, possiamo attendere lì l’arrivo del sole.

I due ragazzi percorsero in silenzio il sentiero che diventava, sul bordo

dello stagno, un’esile striscia. Nel centro delle ampie foglie verdi,
galleggianti

sul ’acqua velata d’ombre, i grandi fiori di loto erano racchiusi ancora in
una

preghiera di carne vegetale.


Marta ed Efrem si sedettero e liberarono i piedi dai sandali. La lunga ve-

ste arancione lasciò scoperte le caviglie di Marta. Rimasero muti a


osservare

l’acqua. Poi i loro occhi si incontrarono. Luce nel a luce. Ombra nel
’ombra. Le

labbra tremanti cercarono il cibo vitale. Efrem sfilò la veste di Marta.


Adagiò il

viso tra i suoi seni chiari, sul a pelle profumata che attutiva il battito del
cuore

in tumulto. Le dita del a ragazza liberarono dal ’impaccio dei vestiti il sesso

turgido di Efrem, poi strinsero le sue natiche. Marta cercò il sapore di lui af-

fondando la testa tra le sue gambe.

Spasmi d’agonia si intrecciavano nelle diverse modulazioni dei loro respiri

ansanti, nei gemiti prossimi al a morte e al a rinascita. Un ultimo


frammento,

un’ultima insistente isola gonfia di rancore urlava ancora: – Io! Io! Io!

Infine i due corpi si congiunsero, l’uno nel ’altro, abbracciati, distesi sul

fianco a comporre un unico embrione cosmico... creatura del ’universo,


oltre il

maschio e la femmina, oltre.

Nello stagno la luce aveva raggiunto le piante acquatiche. Un fiore di loto

azzurro si apriva lentamente e mostrava al cielo l’infinito vuoto pulsante.

192
365 racconti erotici per un anno

sOTTO Il sOlE

6 luglio

di Diego Tonini

Giocherello con il bicchiere seduta al bar mentre la guardo stare immobile


sul

limitare del a spiaggia, con la luce del sole che bagna le sue curve come un
vi-

schioso sciroppo d’oro. La sua linea è un distil ato di potenza ed eleganza,


agile

come un felino esotico eppure così solida e concreta. Lotto con la bramosia
di

alzarmi e andare ad accarezzarla, mentre stringo le gambe in un momento di

incontrol abile desiderio.

Mi alzo e avverto nel basso ventre una pulsazione mista di paura ed ecci-

tazione.

Gocce di sudore caldo mi scivolano tra i seni e lungo la schiena, raffreddan-

dosi in un piacevole solletico, i capezzoli sfregano sul cotone umido del a


ma-

glietta... mi guardo intorno coperta dagli occhiali da sole a maschera,


cammi-

no quasi sulle punte con lentezza deliberata, assaporando brividi di piacere.

Lei è là, a pochi metri, acquattata sotto il sole, non si muove nel a calura
immobile e sembra non fare caso a me. Nessuno mi guarda, nessuno è con
lei,

sono così vicina da sfiorarla e lei ancora non si è accorta. Mi chino come
per

togliermi un granello di sabbia dalle infradito e con la mano che trema la


sfioro

appena. Un brillio in lei è come elettricità che scorre sulle mie dita. È un
segna-

le: non mi rifiuta e mi offre il suo corpo facendo esplodere in me un brivido

e un calore umido che mi sovrasta, spingendomi ad avvicinarmi. Lei, ferma


e

tesa, mi mostra tutta la sua bellezza selvaggia. Di scatto mi metto cavalcioni


su

di lei, strusciandole le cosce sui fianchi, sfregando il pube, finché i miei


shorts

iniziano a bagnarsi. Il contatto tra la sua pelle e la mia è un calore


inebriante:

chiudo gli occhi e quasi senza accorgermene inizio a muovermi sopra di lei,

le mie grandi labbra stimolate dallo sfregamento, le mani che esplorano


ogni

sua curva.

Il mondo scompare ed esplode in un lampo bianco di piacere, non c’è più

niente oltre ai nostri corpi uniti, al mio seno gonfio, ai miei capezzoli che
spin-

gono sotto la maglietta per accarezzarla. Mi muovo cercando di porre ogni


centimetro di me a contatto con lei, tentando di estendere a tutto il corpo il

piacere che si irradia dal a vagina, dimentica del a spiaggia e di tutto il


resto.

Sento lei calda sotto di me, zitta e immobile, sento i miei gemiti sorgere alti
e

incontrol ati, sento il mondo contrarsi in un globo pulsante, sento...

– Ehi, che fai? Scendi subito dal a mia moto!

Mi allontano, sforzandomi di non notare la piccola fol a che mi guarda stra-

nita.

365 racconti erotici per un anno

193

PER ImPIccagIONE

7 luglio

di Paola Vadacchio

Le conchiglie si rincorrono rumorosamente sul filo del a col ana mentre


dan-

za, scoccando sorrisi maliziosi dagli occhi scuri e lucenti. Da sotto la curva

delle labbra mi mostra un piccolo spiraglio di quei denti dritti, bianchi come

perle in fila. Mi chiedo come possano essere così perfetti... sono cose che
fra la

sua gente non si vedono.

Stanotte, però, non voglio fare distinzioni fra la mia e la sua gente, mentre
lunghe dita inanel ate si serrano attorno al mio bacino per trascinarmi a bal
a-

re nel a fol a schiacciata attorno al falò. Le sue gonne mi si avvolgono


attorno

alle gambe quando un’orda di ballerini mi getta praticamente contro di lei.

Amira ride.

Amira ride sempre.

I suoi occhi non facevano che ridere, sotto il folto velo nero delle ciglia, il

giorno in cui mi sorprese al limitare del vil aggio e volle per forza leggermi
la

mano, tracciandone le linee con le lunghe dita scure.

Sul a sua gente raccontano tante cose.

Si dice che il profumo di una zingara si avvolga attorno al collo delle sue

vittime come un laccio, fino a strangolarle. Si dice anche che alcune delle
loro

vittime non riescano più a pensare ad altro, e io temo di appartenere a


quest’ul-

tima categoria, perché non vedo che i suoi capelli, mentre infilo il naso fra i

riccioli neri, al acciando le braccia dietro la sua schiena, sul a pelle calda
che

il vestito non copre. Le vertebre sporgono appena, e la mia mano ne segue


la

curva mentre lei scuote il bacino al ritmo dei crotali, spingendosi contro di
me
con un’ostinazione che mi toglie il fiato, dato che il suo profumo speziato
scen-

de a fiotti lungo il naso e la gola, mi scalda il sangue e i muscoli sotto lo


strato

di pelle e vestiti mentre corre lungo il bassoventre come un sorso di liquore.

Mi tiene stretta, il mio brivido crepita sotto il palmo del a sua mano.

– Quel giorno ho letto sul a tua mano che temi ciò che non conosci – soffia

lentamente nel mio orecchio, facendo scorrere i polpastrelli fra i nastri


chiari

che mi legano la treccia. Non è più la risata di prima, ma un lieve, segreto


fru-

sciare di foglie, con le conchiglie che cantano sul a sua clavicola.

Ridacchio. Mi hanno offerto un vino caldissimo e pieno di miele, prima che

lei mi scovasse, abbastanza forte da dimenticare tutto, tranne Amira


bollente

sotto i riccioli di cotone dei vestiti.

– Be’, sbagliavi al a grande.

Chissà quanto è stretto il suo laccio attorno al a mia gola.

Il respiro, sotto la carezza delle sue labbra, mi si strozza prima che possa

chiederglielo.

194

365 racconti erotici per un anno


Il RIsvEglIO

8 luglio

di Francesca Montuschi

Le dita sfiorano la lampo del a gonna, che scivola a terra. Un velo copre le
gam-

be e lambisce l’inguine, lì dove voglio godere. Non sfila le scarpe ma si


muove

lenta sui tacchi con una femminilità apparentemente imbarazzata. Gioca


con

la sua finta ingenuità guardandomi negli occhi: sorride e afferra tra i denti il

labbro inferiore. Movimenti appena accennati che lasciano intravedere la


sua

prossima mossa. In mano un rossetto Chanel. Lo passa sulle labbra schiuse:


È per te. – Si avvicina al letto e al arga quasi impercettibilmente le gambe.


La

mia eccitazione è un pugno nello stomaco che soffoca il respiro. Nudo sul
letto,

stringo il lenzuolo bianco, leggermente ruvido, del motel. Ho fame del a sua

pelle, del suo sapore, del suo piacere. Si inginocchia a terra e mi fissa
ancora.

Mi sento travolto e i miei gesti diventano quasi violenti. I suoi capelli stretti
in

un pugno. Fili di seta morbidi con cui copro la mia erezione. Decisa la sento
succhiare il mio piacere. – Non fermarti, ti prego…fino in fondo... – fino a

quando anche il mio ultimo sospiro si quieta e tace. Odore di sesso.

Mi sveglio al ’improvviso, sudato ed eccitato. La mia voglia tesa tra le gam-

be fa quasi male. Mi giro nel letto e un solo attimo è sufficiente: la realtà mi

schiaffeggia beffarda. Laura è sdraiata accanto a me. I capelli abbandonati


sul

cuscino come una rete da pesca ingrigita, stropicciata, che è stata gettata su
un

vecchio molo. Laura e la solita camicia di flanel a beige, con dei grandi
fiori

blu sbiaditi, quel a logora sul fondo. Odora ancora di cucina. La cena di ieri

sera. Ho la nausea. Mi giro su un fianco, la schiena rivolta al ’immagine lisa

del nostro rapporto mentre il mio desiderio sessuale resta in sospeso. Non

posso sfiorare la flanel a. Mi urta. Non sono eccitato da quel corpo che
dorme

accanto a me. Dio mi salva: suona la sveglia. Devo svegliare i bambini. Mi

alzo. Entro in bagno e chiudo la porta. Seduto sul water accendo il cel ulare
e,

pensando al a tensione tra le gambe, mando un messaggio a Teresa: “Ci


vedia-

mo tra un’ora solito parcheggio. Ti voglio in autoreggenti”. Tiro un sospiro


di

sollievo. Vedo già le sue gambe velate avvinghiate al mio bacino che
danzano
frenetiche, mentre il suo viso mostra labbra schiuse in uno spasmo. Sento
già

il suo piacere stridere fra i denti, trattenuto come una dolce vergogna. Esco
dal

bagno. Sveglio Laura. – Buongiorno, amore.

Canticchiando vado verso la camera dei miei figli.

Sarà una buona giornata.

365 racconti erotici per un anno

195

al casEllO

9 luglio

di Luca Ducceschi

La sera di Italia-Francia, la finale, attaccai il turno al casello verso la fine


dei tempi

regolamentari. Quel a notte non sarebbe toccata a me, ma un collega mi


aveva pa-

gato 300 euro per un cambio. E comunque avevo un televisore.

Naturalmente l’autostrada era deserta. La prima auto fu quel a Lamborghini


ca-

brio rosso fuoco, che arrivò proprio mentre una punizione di Pirlo usciva di
un sof-

fio. Guidava una donna più verso i quaranta che i trenta, con una gonna il
cui orlo
era più vicino al ’inguine che alle ginocchia. E una scol atura oscena, nel
’accezione

positiva del termine. C’era un uomo, con lei, ma a lui non feci caso. Dal a
mia posi-

zione lo spettacolo era di quelli che, tra colleghi, definivamo da quattro stel
ette.

Tornarono nel corso dei supplementari.

La mano del ’uomo era posata sul ginocchio di lei, e mentre stavo contando
il

resto ne approfittò per sol evarle la gonna fino agli slip. La donna prese le
monetine

a cosce scoperte e mi sorrise. Aveva labbra a canotto, palesemente rifatte,


ma non-

dimeno invitanti, data la situazione.

Ripartirono.

Iniziai a toccarmi da sopra i jeans, eccitatissimo. Ci volle la testata di


Zidane a

Materazzi per distrarmi. Trezeguet stava per battere il suo rigore quando la
coppia

passò di nuovo. L’uomo le abbassò la canottierina, lasciandola con le tette


al vento.

– Come va la partita? – mi chiese lei al ungandomi le monetine per il


pedaggio.

In quel momento il francese colpì la traversa.

– Siamo ai rigori. Loro ne hanno sbagliato uno.


– Posso dare un’occhiata? – mi chiese. Vacil ai. – Lui rimane in auto –
precisò.

– Metta le quattro frecce – ordinai al ’uomo.

Avevo considerato i rischi. In quel momento tutti avevano altro da fare che
non

badare al a mia infrazione. Nel frattempo De Rossi la buttò dentro.

La donna entrò nel gabbiotto e si sporse per guardare nel piccolo televisore
da

5 pol ici. Le sbirciai le tette. Erano vere quanto le labbra. Intanto eravamo
giunti al

momento topico del mondiale. Grosso stava per calciare il rigore decisivo.

La donna scomparve al ’improvviso dal mio campo visivo. Volevo cercarla,


ma

Grosso stava sistemando la pal a sul disco bianco. Qualcosa di caldo e


morbido mi

avvolse il pene. Le sue labbra.

Cazzo.

Grosso scrutava il portiere avversario. La sua bocca andava su e giù, con


tutta la

morbidezza del silicone. Grosso tirò il calcio di rigore. Io ebbi un fremito. Il


pallone

entrò, mentre un getto di fuoco usciva dal mio uccel o, direttamente in quel
a bocca

avida. Eravamo campioni del mondo.


E io avevo guadagnato le migliori 300 euro del a mia vita.

196

365 racconti erotici per un anno

l’EsamE

10 luglio

di Marcel a Testa

Se Van Gogh avesse ritratto i corvi in primo piano, avrebbero avuto lo


sguar-

do di Giulia, che dal a cattedra minacciava tristi presagi. Occhi incavati, di

un nero che mal si accordava col finto biondo-campo di grano dei capelli,

un’espressione arcigna che la rendeva simile a un avvoltoio in attesa di


gher-

mire le sue vittime.

Giulia: un nome così dolce; a Paolo ricordava Il bacio di Hayez che dal a

tesina gli urlava che era lì per sostenere l’esame. Giulia: un nome così
innocuo

per un volto di pietra, dove le rughe erano come le crepe del muro di
Monta-

le. Il bacio: come sarebbe stato baciare quelle labbra riconoscibili solo per
un

rossetto rosa ben marcato? Un velo ne era rimasto sul bordo di un bicchiere
di
plastica che lei schiacciò. Paolo si offrì di gettare il piccolo relitto e Giulia
ne

sembrò compiaciuta. Amava essere servita e riverita, un desiderio di


comando

che celava la voglia di essere domata. Paolo ne era sicuro: un’ora a letto con
lui

e da soggetto di Hieronymus Bosch la prof. sarebbe diventata la Monnalisa


di

Leonardo. A quel pensiero poggiò di nascosto le labbra sul bicchiere, prima


di

fare canestro nel cestino. Leccò il rossetto per poi pulirsi d’istinto le labbra.
Si

sedette e finse di sfogliare il manuale di matematica.

Paolo aveva assistito al ’esame di quasi tutti i compagni e aveva


memorizza-

to le movenze e la voce roca di Giulia, al punto che ora gli sembrava


naturale

fra sé e sé chiamarla per nome. Dopo il caffè era il momento del a sigaretta.

Appoggiata al balcone Giulia voleva essere spiata. Ondeggiava sui tacchi


come

per attirare l’attenzione su piedi ben curati, i sandali da ragazzina calzati


con

disinvoltura sotto un fuseaux che le evidenziava le curve ancora intatte: un

cilindro, due parabole e l’incognita x, un problema che Paolo avrebbe


saputo
risolvere, se solo avesse avuto l’opportunità di applicare la formula giusta.
Di

schiena non le avrebbe dato più di 40 anni. Gli altri 20 erano tutti
concentrati

sul viso. Se solo avesse chiuso gli occhi...

Era quasi mezzogiorno e i commissari fremevano al ’idea di fare tardi. I

candidati al martirio si succedevano come sul nastro di una catena di


montag-

gio. Giulia tamburel ava con le dita sul a cattedra e commentava con piccoli

grugniti gli errori più evidenti. Ora toccava a lui!

− … cercami il punto g(x)… − fu quel che capì del a prima domanda. Il

punto G! Paolo sorrise, un respiro profondo e cominciò l’esame.

Dal a pelle di Giulia un profumo di “Acqua di Giò”.

365 racconti erotici per un anno

197

UNDIcI lUglIO

11 luglio

di Fedra Poe

Potessi con il mio semplice pensare trasportarti nel a dimensione che


desidero da

sempre, potessi saperti di mare, giuro che correrei a piedi fin lì. Avessi mai
avuto
la certezza del a vera realtà, a oggi non sarei quel a che sono. Vederti
trascinare

cuore, amore, la tua maledetta passione, come una casa sul e spal e, il
profondo

scrutare alfa e omega del mio corpo, ti giuro: ne morirò.

Se solo tutto riuscisse a stabilizzarsi oltre note, corde e pennel i al di fuori


di

noi due, io lo so. Sarebbe amore. Quel ’infinito toccarsi e i baci, i gemiti,
l’ansima-

re, il pulsare di sangue e vene e saliva e mani.

Ho ricordato centinaia di volte il nostro matrimonio. L’ho ricordato e ne ho

colorato i bordi incol ati su un vecchio album rilegato da me anni fa.

Una traboccante cesta di Jonagold giaceva sotto un albero di ciliegio nel

giardino dietro casa. Sotto lo stesso ciliegio, i piedi nudi di Christine


sfiorava-

no l’erba del prato, mentre lei si sporgeva su un ramo alto, tirando su la


gonna,

fino alle cosce. Accaldata e incantata a osservare un’ape posatasi sul a


fronda,

scostò via un ciuffo liberatosi dal a stretta dei fermagli.

Più in là Marcel fumava. Aspettava il momento per avvicinarla, proporre

pochi gesti dal savoir faire disarmante, fissarne lo sguardo ingenuo e


sbotto-
narle piano la camicia beige, facendola scivolare fino ai polsi. Turgidi,
chiari,

profondamente rotondi, caldi i seni di Christine. Come fosse stata la


protago-

nista di un dipinto, immersa in pennel ate di impeto, gettò indietro la testa,

lasciandosi andare in una risata fragorosa.

Marcel si alzò, ponendo fine al patimento del ’attesa. Non fece nessuno dei

gesti proposti dal a sua mente, piuttosto posò il giornale, camminò lento,
get-

tò il sigaretto per terra e lo calpestò con fare studiato; poi si fermò. Le cinse
i

fianchi e, voltandola, la baciò senza prendere fiato e le accarezzò la nuca


con un

dito, mentre gli attimi strappavano via consapevolezze e pudore.

Per la prima volta tra mura di lenzuola, tetti di piume e schiocchi di baci e
an-

simi e “ti amo” da respirare, avevamo atteso che tutti gli ospiti uscissero
da quel

giardino pieno di petali di rose. Avevamo spogliato i tavoli ed era stata


magia.

Drappi di tul e posavano, stanchi, gli arti estremi sul a terra. A ricoprirci i
pen-

sieri c’era del ’ovatta morbida, di quel e che nascondono e sanano dentro.
Inutile
parlarti ancora di com’ero e di com’eri, descriverti le unghie sul a schiena,
le tue

labbra sul e mie gambe, fino in fondo al mio sesso. Lo conosci già.

198

365 racconti erotici per un anno

NO mONEY

12 luglio

di Chiara Pallotti

Sbatté gli occhi un paio di volte prima di riuscire ad abituarsi al a luce che
en-

trava dalle fessure delle veneziane.

Si sedette sul letto e prese l’orologio in mano per control are l’ora: si era

addormentata.

Non le era mai successo.

Dopo il lavoro andava diritta a casa con il taxi; quel a sera, invece, era come

se l’avesse dimenticato.

Si guardò intorno senza riconoscere il luogo in cui si trovava, poi sospiran-

do piano si mise una mano tra i capelli per ravvivarli, pensando al perché
fosse

ancora lì.

Sentì uno strano rumore accanto a lei e lo notò: era un ragazzo dai capelli
scuri e dal a pelle color bronzo. Lo aveva abbordato la notte prima in un
locale

vicino al centro del a città; e tutto le tornò al a memoria.

La mano si spostò dai capelli al volto, come se volesse nascondere il


rossore,

la vergogna e il piacere provato fino a poche ore prima.

Si ricordò delle sue mani, grandi e calde, che si erano mosse delicatamente

sulle sue spalle e sui suoi fianchi senza infastidirla; su per le cosce e poi,
piano,

con una gentilezza a lei sconosciuta, si erano avvicinate agli slip neri.

Le labbra calde le si erano posate sul collo lasciandole un piccolo segno ed

erano arrivate al a cerniera del ’abito che indossava; avevano preso fra i
denti

il tira zip e l’avevano fatto scendere fino a che l’abito non si era sfilato
pratica-

mente da solo.

Era stato tutto così strano…

Nessuno era mai riuscito a fare sesso con lei in modo così dolce e gentile; il

tocco di quelle mani ancora lo ricordava, e ancora la eccitava.

Prese una sigaretta dal a borsa e l’accese, mentre cercava di comprende-

re come un uomo avesse potuto considerarla qualcosa di diverso dal solito

“oggetto di piacere” con cui era stata battezzata; guardò verso il ragazzo
che
dormiva beato in quello che, probabilmente, era il suo letto.

Sorrise, pensando che per una volta non avrebbe chiesto il compenso del a

serata.

Perché, per una volta, il compenso era stato lei a riceverlo.

365 racconti erotici per un anno

199

NON PUOI vEDERmI

13 luglio

di Andrea Tortoreto

Sei arrivata. Finalmente.

Il locale, tavoli piccoli e grandi vetrate sul a strada, è pieno; molti uomini.

Alcuni si voltano a guardarti dimenticando il loro pasto; una come te si


sente

prima ancora di vederla.

Ti siedi accaval ando le gambe. Non possono passare inosservate. Un fles-

suoso invito che, dal ’elegante décolleté rosso sangue, sale fino al
’ammiccante

pizzo del ’autoreggente. Ti piace essere ammirata, adori gli occhi avidi sul
tuo

corpo anche se, al giorno d’oggi, potrebbe costarti caro.

Prendi lo specchietto da borsetta e passi il rossetto sulle labbra. Forse sorri-


di a te stessa. Arriva il cameriere con le rose. Quel misterioso ammiratore
non

ha tradito nemmeno oggi. È da circa un mese che vieni allietata, in ogni


pausa

pranzo, da questa sorpresa. Pur cambiando locale le rose sono sempre


arrivate.

Splendide e con un ispirato biglietto; citazioni, frasi romantiche, il tutto


condi-

to da piacevole malizia.

Gli ultimi ti sembrano forse un po’ morbosi.

Ma no, è solo un gioco. Questa volta il biglietto contiene delle istruzioni.

Ti guardi intorno con sensualità, il seno si muove per il tuo lieve ansimare.

La pelle lucida rende la generosa scol atura ancora più evidente. Dondoli
lieve-

mente il piede accaval ato, sei un po’ nervosa anche se nessuno lo direbbe.

Arriva il solito pranzo, carne rossa poco cotta e insalata. Usi il coltello con

accuratezza e mangi lenta e fluida, chiudendo le labbra morbide con la


solita,

studiata eleganza. Un velo di irrequietezza rende i tuoi gesti ancora più


attra-

enti. La lingua, muscolo invitante, appare un attimo per lambire il boccone

sanguinolento e portarlo alle labbra. Trasudi lussuria. Sei bellissima e sai di

esserlo. Sei un’ossessione. Basta averti incontrata. Anche solo una volta.
Non dovresti ma decidi di seguire le istruzioni, con una lieve angoscia che

ti prende lo stomaco ma anche con la gioia di lasciar vincere i sensi. Tiri un


po’

su la gonna, mostrando interamente il pizzo delle calze, e ti sfili le


mutandine

guardandoti intorno. Ansia e voluttà sul tuo volto. Avvolgi le mutandine nel

tovagliolo che pieghi e lasci sul tavolo. La tua sensualità ha vinto di nuovo.
Ti

alzi, ora sei compiaciuta. Paghi il conto e te ne vai.

Resto a guardarti mentre ti allontani con passo superbo. Non puoi vedermi

e io non posso seguirti. Ma riuscirò a prendere il dono che mi hai lasciato


nel

tovagliolo, la pura essenza dei tuoi umori di superba creatura.

Forse non ci sfioreremo mai. Ma ci sarò sempre. Ad ammirarti.

Seduta al tavolo più lontano. Con indosso i tuoi slip.

200

365 racconti erotici per un anno

INcENDIO E PIOggIa

14 luglio

di Mameha

Silenzio.

Non intorno a me, ma dentro.


Occhi socchiusi, bassi, fiutano le emozioni sottopelle.

Vetri bagnati, liquida dentro come fuori, gocce dei miei umori m’inumi-

discono le cosce mentre rivoli di pioggia fitta sui finestrini ci nascondono al

mondo, un tardo pomeriggio d’autunno, avvolti e protetti dal buio che rende

sollievo agli amanti.

Nel silenzio e nel a quiete solo nostra, la messa a fuoco si restringe sul tuo

mento tremante. Il mio sguardo si inscrive in pochi centimetri del a tua


pelle e

accade un sortilegio, che io strega sapevo, che tu uomo subisci.

La mia attenzione immobile brulica di vita, di oscenità taciuta e vibrante;

due sole dita appoggiate sotto la tua bocca, ferme, e la pressione dei miei
pol-

pastrelli segna e scava la strada a una penetrazione perpetrata con gli occhi.

Fino alle tue viscere. Fino al ’anima.

Sorrido ora alle tue labbra dischiuse e ai denti serrati. Divampi. Il fuoco

incendia, ottenebra la tua mente e rischiara la mia.

Non faccio che premere il mio corpo e le mie emozioni su di te, percuoto la

tua mente con i tamburi primitivi del sangue e dei battiti accelerati.

L’emozione rattrappisce le nostre dita che finalmente armeggiano per af-

francarci dai vestiti, ridicola impermanente barriera tra noi.

Tra un minuto avrai campo libero su di me e mi chiederai conto di quel


che ti ho fatto. Inizierai a spingere, a dilatare la pelle e la carne, godrai dei
miei

gemiti, dei miei sobbalzi sotto i tuoi colpi feroci. Tenterai di rifarti, di
provare

con la forza che sei tu che prendi me.

Stai per scivolarmi dentro, per affondare fino al ventre.

Ali di farfal a, apro e chiudo le gambe, ti invito e ti fermo sul ciglio.


Sospen-

do te, sospendo il tempo: inneggio così al ’istante prima del diluvio.

Queste sono le nubi nere che amo e invoco. Queste le folate sferzanti, le

onde gonfie di un mare che si prepara al a tempesta.

Nessun timore ma brama ingorda delle forze violente e inarrestabili, sfron-

tate gloriose boriose, mentre noi guardiamo le spire intrecciate di acqua e


terra

e ne pregustiamo la devastazione, sopraffatti, indistinti, ebbri, amanti.

365 racconti erotici per un anno

201

DUE al REcORD

15 luglio

di Barbara Becheroni

Il vecchio torpedone del Pio Istituto sonnecchia parcheggiato accanto ai


modelli
dal designer ultramoderno. Il sole ha da poco superato lo zenit. Cicale,
caldo, sab-

bia; una pineta adiacente la spiaggia in cui i vil eggianti trovano un po’
d’ombra

dopo pranzo. I bungalow del vil aggio nascosti da oleandri in fiore.


Nessuno osa

sfidare i raggi.

Rosa, accovacciata sotto i rami di un oleandro dalle corolle gialle,


contempla

lo spettacolo che le offre la finestra di un bungalow. È sempre stata nel Pio


Istituto.

Spalle strette, occhi scuri, sedere grosso. Una quarantina di anni prima
nessuno si

era preso la briga di crescere quel a bambina strana, difficile, con tutti quei
proble-

mi. Parla poco, fa fatica a concentrarsi, la sua mente si muove piano. Però è
buona,

non ha mai fatto del male a nessuno. Così i martedì e i mercoledì, giorni di
poco

movimento in spiaggia di quel luglio torrido, la portano al mare insieme


agli altri

come lei, per godersi un po’ di vacanza. E lei bal a, l’animazione è anche
per loro.

Lenta e goffa, segue come riesce le indicazioni degli animatori. Belli e


abbronza-
ti. Giovani e sorridenti. Maria è con lei. Anzi, è lei che ha scoperto lo
spettacolo

di quel a finestra. Più giovane, sveglia nonostante i problemi, parla quasi


bene. E

bal a, con l’entusiasmo dei suoi settantotto chili, applaude, riesce a fare
tutto quasi

come gli animatori.

La donna dentro la finestra è nuda. Sta sopra a Luca, il loro animatore


preferito.

Che è sdraiato. Tutti i martedì e i mercoledì guardano la stessa scena,


cambia solo

la donna. E provano uno strano languore tra le gambe. Si guardano e


qualcosa

passa nelle loro menti, un guizzo.

Appena finito, lei si alza, si veste ed esce. Luca prende il cel ulare. Vorrebbe
scri-

vere a Federico, in città, che ne mancano solo due per battere il record del
’estate

passata con dieci giorni d’anticipo. Sente bussare e pensa che la tipa sia
tornata, così

apre e vede Rosa e Maria. Non capisce. Loro entrano. Le conosce, le fa bal
are.

Rosa però lo sorprende: lo fissa e lo spinge sul letto. Poi si sfila il costume e
gli

si mette sopra. Lui è troppo sgomento per reagire.


– Bacio in bocca – gli sussurra Rosa.

Anche Maria si spoglia: – Booooomba! – esclama, accennando la danza più

popolare del a spiaggia. Poi stringe le palpebre: – Ieri figlia del padrone,
oggi mo-

glie. Ora noi.

Rosa stringe i denti per concentrarsi: – Padrone ha pistola.

Tutti sanno chi è don Tanino. Anche i matti. Sul suo cannone, poi, girano
miti

e leggende. Luca chiude gli occhi. Maria canta. Una mano a la cintura. Una
mano

a la cabeza. Un movimiento sexy.

202

365 racconti erotici per un anno

ERaNO lE DIcIaNNOvE E sEssaNTaNOvE

16 luglio

di Patrizio Greco

Erano le diciannove e sessantanove, quando la vide spuntare in fondo al a


strada. Lo

so, le diciannove e sessantanove non esistono, ma Alfredo è un vero maiale


e alle venti

e nove minuti pensò che quello fosse un bel ’orario per incontrare il suo
amore. La

ragazza, zuppa di pioggia, si riparò sot o l’ombrello di Alfredo.


– Ho un ritardo di nove minuti – disse senza salutare.

– Non ti preoccupare, è troppo presto per dire che sei rimasta incinta.

– E sono pure tut a bagnata!

– Lo so, ti succede sempre quando mi vedi.

– Finiscila, scemo! – esclamò lei e poi, alzando la testa verso l’ombrello: -


È bello

grande, per fortuna.

– È quello di mio fratello.

– Sì, in effetti il tuo è più piccolo. Cosa facciamo? Vengo io da te o vieni tu


da me?

– Forse sarebbe meglio che venissimo insieme da una qualsiasi parte, non ti
pare?

– Hai intenzione di andare avanti così per tut a la serata?

– Colpa tua che mi rendi elettrico e non faccio che pensare a una cosa sola.

– Bene, toglitela dal a testa perché adesso ho fame.

– Ho prenotato dal “Cappero”. Hai fat o come ti ho detto?

– Sono senza mutandine e con le autoreggenti. Il che significa che ci sei


riuscito.

– Andiamo, ci at ende una serata di fuoco!

Nel locale, il vociare babelico e solo un paio di tavoli liberi.

– Eccoli, sono loro e il tavolo vicino è libero. Ot imo – sentenziò Alfredo.


Appena
si sedettero, i vicini si scambiarono uno sguardo di soddisfazione. Sonia e
Alfredo li

guardarono sfacciatamente, esaminandoli nel ’aspetto e nelle movenze.

– Allora? – chiese Alfredo.

– Lui avrà cinquant’anni… ma è un bel ’uomo, va bene.

– Mostragliela… lo voglio vedere con la bava al a bocca!

Sonia spostò le gambe fuori dal tavolo e, quando furono in direzione del
brizzo-

lato, le divaricò lentamente, con lascivia, umettandosi le labbra con la


lingua. Il cin-

quantenne spalancò gli occhi e quasi si strafogò col boccone che gli calava
di traverso.

La compagna lo osservava divertita e, accettando la sfida, si chinò in avanti


per rac-

cogliere la forchet a che aveva lasciato cadere. Era senza reggiseno; la blusa
larga sul

davanti scoprì due seni tondi e grandi come bocce da bowling. Le


schermaglie prose-

guirono per tut a la durata del a cena e al a fine si presentarono e si


accordarono per

ritrovarsi in un anonimo appartamento di periferia. Ora non era più


necessario che

s’incontrassero di nascosto. Potevano farlo liberamente, mentre le donne si


baciavano

e accarezzavano appassionatamente.
365 racconti erotici per un anno

203

PRIma vOlTa

17 luglio

di Massimo Monticone

Al ’inizio si scoprì appena, scostando il lenzuolo di pochi centimetri dal a


pel-

le, sollevandolo soltanto lo spazio necessario perché filtrasse lo sguardo di


lui.

Un’occhiata fugace e timorosa, come di fronte a un’opera d’arte ammirata


in

stampe sfocate e poi, d’improvviso, a un passo da te, senza protezione,


senza

guardiani o al armi, tanto da poterne sentire il rilievo delle pennel ate sotto
le

dita.E lui alungò le dita; con un movimento calcolato, forzatamente casuale,

il lenzuolo fu spostato di pochi centimetri, mentre indice e medio


sfioravano

l’areola del capezzolo.

Il rilievo del a pennel ata – onda elettrica in cerchi concentrici che si al ar-

gano dal a gola al monte di Venere, liquida cascata di brividi dal a base del
a

nuca al a fossa tra le natiche è più giù, fino al…


Indice, medio, anulare, dita effeminate, non foggiate dal lavoro, dal a fatica,

risultato di inerzia e studio e pianoforte, abbandonato per mancanza di


tempo

e…La mano di lei, ghiaccio puro, ghiaccio affusolato, aguzzo, sul a base del

pene, frustate di un cilicio di neve. Il movimento del membro, pendolo


invo-

lontario aggrappato al desiderio.

Lei lo invita a farsi vicino, lo invita a dar corpo a quelle dita, a dar carne

al a tensione che attrae e respinge, e lui non è che una marionetta spinta da
un

meccanismo che è impresso nel a sua mente; sale su di lei ed è accolto da


una

sensazione di vertigine mentre le cosce si al argano, lentamente, e il sesso di


lei,

invitante e oscuro, accoglie la sua erezione con umida voluttà.

Il rilievo e il solco di pennel ate perfette, armoniosi archi a definire il mo-

vimento, sinfonia di odore e calore, poi gemito e tra le dita serrate il latte
delle

lenzuola si rapprende, poi tutto torna a farsi fluido, liquido scivoloso caos
che

li inghiotte per restituirli al a realtà delle pareti, del soffitto, delle foto
incorni-

ciate, del pomeriggio senza genitori, per restituirli al mondo in una bol a
che
risale fino alle guance arrossate e li rende per sempre complici e un po’
colpe-

voli. Una rosa cremisi sboccia dov’era il contatto. Il corpo di lui si scioglie
in

rugiada sui seni sodi e generosi di lei. Ansimare soffuso.

Una lacrima come un haiku per fermare l’istante.

204

365 racconti erotici per un anno

Il gaTTO E la sUa UmaNa UbRIaca

18 luglio

di Daniela Piegai

Da oltre cinquemila anni siamo i guardiani di questa buffa razza: molti sono

pallidi, altri più colorati, ma tutti sono senza pelliccia, e quando fa freddo si

difendono con i vestiti, detti anche “abiti”. Non si accontentano di vivere,


come

tutti noi che siamo nati, ma hanno OBIETTIVI. Cervellotici, per lo più.

E noi da oltre cinquemila anni cerchiamo di far capire loro che la cosa più

bel a è vivere la sostanza stessa del mondo: gustare il sole caldo, le cose
buo-

ne da mangiare, l’amore, giocare con i piccoli, acchiappare farfalle,


folleggiare

con un filo d’erba, sfoderare le unghie, anche, e fermarsi ogni tanto a


pensare,
quando tutto il mondo sembra specchiarsi nelle tue pupille, e
insensibilmente

diventa reale, mentre l’esterno diventa lo specchio. E poi le pupille si


restrin-

gono fino a diventare una linea verticale, e si impadroniscono del mondo, e

chiudono fuori lo specchio.

A volte invece si chiude fuori il mondo. E si può dormire.

Guardo la mia umana, che ogni tanto sembra capire: beve un liquido dora-

to, e poi ancora, e ancora, e al a fine entra nello specchio, come in una
favola

che abbiamo suggerito loro tanto tempo fa. E nel mondo al di là dello
specchio,

gioca.

Quando l’angoscia si fa più forte, cerco aiuto e non lo trovo: siamo soli nel

cuore del a terra, e nemmeno trafitti da un raggio di luce. Il gatto mi


guarda con

i suoi occhi d’ambra, e sembra capire, ma qui è subito sera, anzi è notte
fonda,

e non si riflettono stel e nel bicchiere dove cerco tepore. Mi scaldava un


uomo

diverso ogni sera, una volta, e la pel e mi ardeva come fiamme d’erba.

Cenere, questo rimane del fuoco, e per riattizzarlo l’alcol può servire.

Ecco, sento che si accende una scintil a: se ci soffio sopra, forse, diventa
una
luce decente. L’amore è amore anche solitario. In fondo, gli uomini che ho
avuto

mi davano brividi solo per come li percepivo, per come immaginavo che
fossero.

Chiudo gli occhi e danzo e rido: chi dice che solo un uomo concreto possa

dare piacere? Io ho il mio uomo di sogno, fatto di brandy, di grappa, di


profumo

di torba. Bol icine di delizia salgono al a superficie e mi danno al a testa. E


il

sangue canta, battendo caldo contro i polsi, e io danzo e rido e ci sono


mani che

mi blandiscono, dita come stel e filanti, e non importa se sono le mie,


mentre la

scintil a diventa un incendio.

Si è tolta finalmente i vestiti e si accarezza con stordita dolcezza, con lo

stesso ritmo delle onde del mare, e sembra quasi che la risacca se la porti
via,

mentre gusta l’amore e gioca, la mia umana, al di là dello specchio…

365 racconti erotici per un anno

205

maNOmORTa

19 luglio

di Federica Ramponi
I miei fianchi li ho sempre detestati, sono arrivata anche ad averne il
comples-

so. Così larghi, così importanti, così evidenti! Eppure, ora, devo dire che mi

danno anche delle soddisfazioni.

Cammino in corridoio, e il mio sontuoso sedere ondeggia al ritmo di qual-

che canzone che mi è rimasta in testa mentre venivo al lavoro. Lo so che la

gonna è un po’ tesa, ma lo mette in risalto. Lo faccio apposta: tanta attività


in

palestra per avere natiche alte e sode non deve andare sprecata!

Incrocio dei colleghi, saluto cordialmente e loro anche, tanto gentili. Strette

di mano, lievi pacche sulle spalle. Tradiscono il desiderio di posare il palmo

altrove. Infatti, guardo davanti a me e, nel riflesso del a porta a vetri, li


vedo:

si voltano, i loro sguardi scendono al ’altezza delle anche, mi accarezzano


con

leggerezza, una delicata e sfacciata manomorta. Indugiano un momento, per

guardarmi mentre mi allontano. Provo quasi un solletico in fondo al a schie-

na. Come quando mi chino per raccogliere una penna, e sento scivolare i
loro

occhi lungo la curva del a scol atura. Quando salgo o scendo le scale, le loro

occhiate penetrano nello spacco dietro la gonna, e tentano di saggiare la


fessu-

ra, se si arriva abbastanza su o se si ferma troppo presto.


Il mio capo è più volgare, i suoi apprezzamenti li esprime ad alta voce,
men-

tre sono presente, e ride sguaiato. Io sorrido, ma appena esco dal ’ufficio lo

mando a quel paese.

Mentre gli preparo il caffè passa uno, e tocca il morbido guanciale che è il

mio culo, una palpeggiata in piena regola. Che porco! Ma perché l’ha fatto?
La

mia rabbia è nul a in confronto al a mia delusione!

– Ma come si permette? – mi altero subito, e furibonda lo apostrofo: – Non

è abbastanza uomo da trattenersi? Non so cosa mi abbia impedito di tirarle


il

caffè bollente in faccia! – e quello si profonde in scuse, arrossisce, è stato


più

forte di lui. – Per questa volta non la denuncio, ma che non si ripeta! – Sono

molto teatrale, ma il danno è fatto.

Ha rotto la poesia, ha rovinato il mio gioco! È questo che mi infastidisce,

non tanto la palpata in sé. Mi piace essere guardata, ammirata, degna di


pette-

golezzo e di chiacchiere. Adoro sentire il loro desiderio, per qualcosa che


non

avranno mai, perché hanno le mani legate.

Se qualcuno ci prova, però, il divertimento finisce.

206
365 racconti erotici per un anno

casTRamORONE

20 luglio

(amore da castrato)

di Gennaro Francione

Si levò davanti ai giudici del ’aldilà, Caffarelli, il Cigno Napoletano, e


raccontò

il suo grande amore da castrato favorito dalle donne.

– La bellissima Matilde, moglie del famoso barone Leonardi, veniva a se-

guirmi ogni sera al Teatro Argentina. Io non avevo occhi e voce che per lei.

Portava un’acconciatura alta con maliziosi riccioli e graziose ondulazioni,


che

posteriormente si al ungavano formando tre o quattro cannelloni. Una


delizia

fino al a punta dei capelli...

“Un giorno Matilde venne a congratularsi con me in camerino, facendomi

scivolare in mano un messaggio d’amore con indicazioni del ’alcova


segreta. Là

mi ritrovai, la sera stessa, tra le sue braccia con le sue voglie avide di
cotanto

mutilo sesso, ma anche con un cuore davvero infranto dal a mia bellezza,
dal a

voce, oh insomma dal a mia persona.


“Una delle prime cose che lei ci tenne a mettere in mostra fu il mio ses-

so gonfio e turgido come mai prima. Al a mirifica vista volle ispezionarlo in

forma, grandezza e atrofia testicolare, facendomi stendere comodo e


rilassato,

oltre che nudo come un verme. Stavamo in un lettino con padiglioncino di

damasco giallo, guarnito con galloni di seta dello stesso colore. C’erano
quattro

bei materassi con le coltri e quattro cuscini. Provai un brivido al pensiero


che

là, sotto la mia testa, c’era il sudore emanato dal marito quando se la scopa-

va…

“Intanto, l’ispezione procedeva rigorosa. Chiusi gli occhi e immaginai le

sensazioni che lei provava. Il cigno aveva un uccello ben grosso,


sembrandolo

tanto di più di quel che era per i due ovetti rinsecchiti e graziosi.

“Quando vidi che aveva soddisfatto la sua morbosità visiva, lasciai che si

accomodasse su di me, con dentro me. Cominciò a lavorarmi di busto e di


fian-

co in un vortice solleticante oltre ogni dire; e devo ammettere che, pur


essendo

io abituato anche grazie al a mutilazione a durare quanto volevo, quel a


volta

venni subito.
“Matilde si alzò e mi preparò un bel rosolio a base di petali di rose, fiori

d’arancio e gelsomino con aggiunta di cannel a e garofano. Degustammo


insie-

me la bevanda, scambiandoci col succo bocca a bocca teneri baci d’amore.

“Al a fine il sesso mi riprese vigore e lei mi aiutò solerte a irrigidirlo


vieppiù

con le mani. Poi mi prese sul suo corpo, facendomi andare su e giù finché
non

venne in un meraviglioso orgasmo, che la lasciò tutta tenera, umida negli


occhi

e sotto, grata per averle dato tanta felicità equorea.

365 racconti erotici per un anno

207

gf 23

21 luglio

di Pierfrancesco Prosperi

La luce degli spot fasciava di colore il corpo di Marika. La ragazza si tirò su


splendente

nel a sua nudità, al centro del talamo circolare.

– Allora, c’è qualche uomo vero, qui?

Alex giaceva esausto accanto a Rico. Erano rimasti in due, da quando


Samuel era

stato portato via tra le convulsioni. Marika li fissava con aria di sfida.
– Coraggio!

– Non ce la faccio – sussurrò Rico. La sua mano scese verso gli inguini.

Una voce calò dal ’alto, potente come le trombe del Giudizio: – REGOLA
N. 3!

SAPETE CHE È PROIBITO AIUTARSI CON LE MANI!

Due braccia meccaniche scesero dal buio, sollevarono Rico e lo fecero


sparire.

Alex fissò la donna. I suoi seni gal eggiavano nel a penombra come entità
astrat e,

simbolo di perfezione. Strinse i denti e si alzò. Ci sono quasi, disse a quel


se stesso che

giaceva inerte più sot o. Non posso mol are ora.

E il miracolo iniziò. Alex avanzò mentre le telecamere zoomavano sul suo


inguine.

Una parete era tappezzata di teleschermi che mostravano da tut i gli angoli
quello che

per milioni di spettatori era ormai Alex II.

– Lo sapevo. – Marika sorrise. Al argò le braccia at orno ai fianchi del


’uomo. Le

telecamere ripresero Alex II che urtava prepotente contro i suoi seni. La


ragazza si

lasciò cadere al ’indietro. Alex si abbassò piano, calò lentamente su di lei e


dentro lei.

Le telecamere li ripresero voraci, i microfoni li registrarono finché i singulti


di lui e
i gridolini di lei non si furono spenti. Poi ancora la voce dal ’alto.

– ALEX È IL VINCITORE DI QUESTA EDIZIONE!

Un uragano di applausi preregistrati scosse le pareti. – ORA IL


VINCITORE RI-

CEVERà IL PREMIO SCELTO DAL PUBBLICO COL TELEVOTO!

Marika era scomparsa. Su una parete apparve la gigantografia di una donna


nuda.

Al centro del ventre, un foro circolare.

– ECCO IL TUO PREMIO, ALEX!

Lui si avvicinò barcol ando, con sforzo introdusse l’esausto Alex II nel
’orifizio.

Dopo un secondo una gigantesca scarica elettrica lo avvolse, disegnando in


blu i con-

torni del suo corpo. Alex si contorse convulsamente, poi scivolò a terra
come una

spoglia vuota mentre l’odore di carne bruciata si spandeva nel salone.

– Bei bastardi, però, quelli del pubblico – borbot ò una voce nel a cabina
immersa

nel buio, in alto.

– Hanno scelto l’opzione più cruenta – confermò un’altra voce. – Hai visto
però il

rilevatore di audience? Abbiamo uno share da urlo!

– Sì, sì. Però sarà difficile trovare concorrenti per il prossimo anno.
L’altro alzò le spalle. – Non pensarci. Per il GF 24 escogiteremo
qualcos’altro.

208

365 racconti erotici per un anno

valERIO

22 luglio

di Antonel a Anzalone

La prima volta mi ha chiesto di prenderglielo in bocca e di succhiarglielo.

Ho esitato un istante poi gli ho leccato il glande piano piano.


Quest’immagine

mi torna in mente con forza. Il suo cazzo duro, bagnato del a mia saliva, che

mi pulsa in bocca. Lo sento venirmi in gola. Ho la bocca piena di sperma e

deglutisco. Inghiotto il suo seme, la mia saliva, il senso di questa notte


senza

sonno, senza sogni. Ho altre immagini di lui. Sarà una notte molto lunga e

questi ricordi mi terranno compagnia, come un sogno a occhi aperti che ti

segue durante la giornata. Te lo porti in autobus, in ufficio. È con te mentre


il

controllore chiede i biglietti, mentre metti cinquanta centesimi nel a


macchi-

netta del caffè.

Sono le due e cinquantadue del mattino e lui è sdraiato accanto a me. Ac-
carezzo il suo corpo con lo sguardo: i capelli neri, sottili come seta, la pelle

diafana, i capezzoli piccole rose sul candore del petto. Avrei voglia di
scopare

con lui un’altra volta, di essere posseduta da questo corpo che riposa
accanto al

mio. Due corpi, così uguali eppure così diversi. Io sono piccolina, cicciottel
a,

ho anche un po’ di pancetta e le tette mosce. Francamente non sono mai


stata

bel a nemmeno quando ero più giovane, quando avevo ancora i miei capelli,

i miei denti. Valerio è stupendo. A volte è così bello che la sua bellezza mi
fa

stare male. Provo un senso di vertigine, una sensazione dolorosa al a bocca

dello stomaco e rimango senza fiato. Gli sfioro le labbra con un bacio. Non
lo

sveglierò, non posso svegliarlo, anche se volessi: Valerio è morto da almeno

due ore. L’ho strangolato nel sonno con queste mani, che sono ancora avide
di

accarezzarlo. Ieri pomeriggio, amore mio, ti ho seguito, ti ho visto


incontrarti

con lei al a fermata del a metro di Piazza Vittorio. Vi ho visti attraversare la

piazza e salire in quel piccolo albergo. Mi è bastato questo. Ti ho messo


cinque

compresse di sonnifero nel vino. Ho atteso il tuo sonno sul nostro letto.
Adesso
aspetto, forse la polizia mi verrà a cercare, prima o poi; semplicemente
osservo

uno spicchio di cielo nero dietro i vetri del a finestra. Tra un paio d’ore
diven-

terà azzurro. Sentirò gli uccelli e i primi tram del a mattina su viale
Trastevere.

Aspetto mentre mi accarezzo molto lentamente. Valerio, amore mio, non sei

mai stato così bello.

365 racconti erotici per un anno

209

la camERa chIUsa

23 luglio

di Fabio Lombardi

Da quando il dottor Gideon Fell era passato a miglior vita, capitava spesso
che

Scotland Yard si rivolgesse a me per consulenze in materia di casi


impossibili.

– Un delitto del a camera chiusa? – domandai.

Il sovrintendente Hadley arrossì. – Una camera chiusa c’è, in effetti, ma non

contiene cadaveri. Posso contare sul a sua riservatezza?

– Naturalmente.

– Bene, allora… Sir Charles Montague, il capo del a polizia, soffre di gelo-
sia nei confronti del a moglie, Olivia. L’altro ieri, pensando che si
preparasse

per una scappatel a, l’ha chiusa a chiave in camera da letto. La camera non

ha finestre, e non ci sono doppie chiavi per aprire da dentro. Al suo ritorno,

è andato da lei e ha trovato Olivia completamente nuda, addormentata sulle

lenzuola sfatte. Aveva sul viso quel a peculiare espressione d’appagamento


che

denota un soddisfacente rapporto sessuale. Nel a stanza non c’era nessuno,


e la

serratura non era stata scassinata. Sir Charles ci sta perdendo la testa, su
questo

mistero.

– Olivia potrebbe essersi appagata da sola.

– Dimenticavo di menzionare le macchie sulle lenzuola. Liquido seminale.

– Capisco – dissi. Era un caso interessante. – Farò un sopral uogo.

Mi ero aspettato una certa resistenza da parte di Olivia, invece lei mi fornì

la più ampia col aborazione. Ispezionai la camera al a ricerca di nascondigli


o

passaggi segreti, poi chiesi a Olivia di riprodurre la scena che si era


presentata

agli occhi di sir Charles quando aveva aperto la porta. Lei scalciò via le
scarpe,

sfilò la gonna e sbottonò la camicetta. Si accarezzò i seni, poi si distese


sulle
lenzuola. Al argò le gambe con un sorriso invitante. Mi sbarazzai dei vestiti
e

la raggiunsi. Feci scorrere la lingua sul suo addome e sul a parte interna
delle

cosce prima di affondare il volto nei suoi umori. Continuai a leccarla


mentre

lei muoveva i fianchi mandando piccoli gemiti, poi sollevai la testa e mi di-

stesi. Olivia si chinò su di me. Dopo qualche minuto, che usai per soppesare

le circostanze del caso, la feci girare da tergo, strinsi tra le mani le sue
natiche

sode e la penetrai. Ebbi l’accortezza di eiaculare nel momento esatto in cui


lei

raggiungeva l’orgasmo.

– Come si spiegano le macchie di liquido seminale sulle lenzuola? – le

chiesi più tardi.

– Mi ero imbattuta in un caro amico, poco prima che Charles mi rinchiu-

desse. Suppongo che il liquido sia sgocciolato mentre ingannavo l’attesa


ma-

sturbandomi.

Avevo risolto il caso. Il dottor Fell non avrebbe saputo fare meglio.

210

365 racconti erotici per un anno

la cONfEssIONE
24 luglio

di Gianfranco Nerozzi

L’uomo si svegliò e si guardò attorno. Si trovava in camera, seduto su una


sedia,

con le mani legate dietro la schiena. La donna di fronte a lui aveva un


sorriso

perfetto. Era bellissima.

L’uomo scosse la testa. – Perché tutto questo?

– Devi solo confessare: essere sincero.

L’uomo guardò la donna con odio. – Tu sei pazza!

Lei si fece più vicina. Gli occhi luccicanti. Calò la cerniera del a tuta del
’uo-

mo. Gli scoprì il torace e lo accarezzò sui pettorali. Sfiorò i suoi capezzoli
con la

punta delle dita. – Fai il bravo e confessa. – La voce roca, sensuale…

Sul vassoio sopra il tavolo, di fianco al a sedia dove l’uomo era legato,
c’era

una siringa già pronta. La donna la prese e la usò sul a spal a di lui. L’uomo
non

poté fare a meno di contrarsi, tirando le cinghie che lo imprigionavano. –


Cosa

mi hai fatto? – ringhiò. – Tu sei pazza!

– Non ti preoccupare. Serve per essere sicuri del a tua sincerità…


L’uomo sentì subentrare la paura. Concentrati! pensò. Se quello che gli era

stato iniettato era siero del a verità , l’unico modo per resistere era pensare
ad

altro. Lo aveva visto fare dagli agenti segreti nei film. S’immaginò una
parete

bianca e cercò di perdersi in essa.

– Confessa. – La voce di lei, suadente come una carezza, lo ammaliava.

La donna si chinò per leccargli il pene. Poi si sollevò la gonna fino ai fian-

chi: sotto non indossava gli slip e la sua figa era carnosa ed esposta. Montò
sul

prigioniero, si puntò il membro al ’imbocco del a vagina e si fece penetrare.


Lo

guardò con gli occhi pieni di luce e le labbra piegate in una smorfia di
piacere.

– Fai il bravo, confessa.

Si sollevò la maglia e liberò i seni. Gli sfregò i capezzoli sulle labbra.


L’uomo

ansimava e leccava. L’odore del sesso risaliva e lo confondeva.

La donna prese a muoversi. Lentamente. – Forza, tesoro, dimmi tutto. – La

voce insinuante come un serpente.

Opporsi, lottare, non dire nul a, pensare al a parete bianca. Lo sperma risa-

liva e fermentava.

Sempre più forte. Si sentiva bruciare. Il siero del a verità scorreva nel suo
sangue e lo invadeva. Il cuore sembrava sul punto di scoppiare. L’uomo co-

minciò a godere. Sentì lo sperma che schizzava dentro la vagina di lei.


C’erano

grida nel ’aria. Gemiti. La donna roteava il bacino con un ritmo frenetico.

L’uomo fece un ultimo tentativo di opporsi. Ma non era più possibile riu-

scirci. La parete di resistenza si sgretolò. Le sue labbra si spostarono per


fare

uscire la verità, finalmente: – Ti amo!

365 racconti erotici per un anno

211

DEsIDERIO NERO

25 luglio

di Declavia Strigi

Rosso è il colore del a passione. Sbagliato.

Il desiderio è nero, come la pece.

Nero come questo lembo di stoffa sot ile. Seta impalpabile che si tende
sopra le

mie palpebre abbassate. E cancel a ogni altro colore. L’azzurro avido dei
tuoi occhi in-

gordi, mentre si posano sulle mie spalle nude e ripercorrono febbrili la mia
schiena

inarcata, le mani legate. Il verde del mio vestito slacciato, quasi strappato,
accasciato
ai miei piedi come l’ultimo velo di un pudore ormai dimenticato.

Solo tu e io, uniti da un’oscurità che uccide i colori, cela le forme e azzera i
suoni.

Avvolge ogni curva, spezza la carezza delle tue mani sui miei seni, sui miei
fian-

chi, e si distende sul mio corpo fremente di at esa. Con un dito mi sfiori le
labbra,

ricercandone il contorno. Affondi il viso tra i miei capelli e inspiri forte, le


narici

sature del ’odore del a mia pelle e del profumo del a mia eccitazione.

Ogni suono diventa superfluo, ogni ansito è inghiot ito da questo buio che è
den-

tro e fuori, circonda le nostre figure avvinghiate, allontana il resto del


mondo dai

nostri pensieri per poi insinuarsi in uno spasmo tra le nostra membra tese.

Accentui la stret a sui miei fianchi, la pressione del tuo pet o sul e mie
vertebre

provate da questa innaturale torsione, mentre agito convulsamente i polsi


serrati da

un laccio che non vorrei mai sciogliere.

Non c’è un tempo, un piacere, un brivido definito. L’estasi non esiste, il


traguardo

è solo un vessillo nero.

Ora ti muovi, ora rallenti. Le mie ciglia tremano appena, la benda umida di
stille
salate e senza senso. Forse è solo troppo nero, un buio troppo grande da
contenere.

È una voragine senza fondo, dove smanio dal a voglia di precipitare, ma


non tro-

vo il coraggio.

Gli occhi serrati, ti vedo saltare. Trionfante sparisci, lasciandomi sola.

Mi tieni stretta tra le braccia, e intanto ti allontani.

L’oscurità si fa più grande, è quasi insopportabile. Sento la tua mano venire


in mio

soccorso.

Al unghi le dita e mi sfiori, promettendomi un passaggio verso la salvezza.

Io le afferro, mentre il mio corpo si contrae ancora. E ancora.

Mi aspetto che mille luci esplodano nel a mia testa, ma il buio permane.

Ritrovo il respiro, tu sciogli il nodo che rende le mie dita intorpidite, al enti
la

benda.

Apro gli occhi e le mie iridi riflettono figure statiche, forme fossilizzate.

Mi accascio su di te, stremata. Svuotata.

E rimpiango la fine di questo desiderio nero, che mi abbandona a un mondo


di

colori ormai opachi.

212
365 racconti erotici per un anno

la maga DEllE cREmE

26 luglio

di Alessandro Morbidelli

Da: madame_isabelle@hotsextv.com

Inviato: 28-02-2010 ore 23:44

A: <Mil y> turbospicy87@citymail.com

Oggetto: Nouvelle Cuisine!

Cara Mil y,

perdonami per essermi fatta viva soltanto adesso, ma la pressione delle re-

gistrazioni mi sfianca e quando arrivo a casa la sera sono stravolta. Ma non


mi

importa, perché è arrivato il giorno del a rivincita! Finalmente in redazione

si sono accorti del mio valore e mi hanno affidato un programma tutto mio!

In un primo momento non tutti erano convinti del a validità del format, poi

l’entusiasmo è cresciuto a poco a poco e adesso il progetto è solido e,


ancora più

importante, sul a bocca di tutte le mie colleghe invidiose e stronzette!


Siamo

già al a sesta puntata! Posso anticiparti qualcosa? Non riesco ad aspettare…


Ri-
cordi quando da ragazzine giocavamo alle cuoche del a nouvel e cuisine,
vero?

Ricorderai anche che mi chiamavano tutti la “maga delle creme”… e così,


un

mesetto fa, quasi per caso, per una cena tra colleghi organizzata in
redazione,

ho sfoderato il mio talento: et voilà, le plat est servi! Crema di pistacchio e


zaffe-

rano, fondue de tartuffe, zuppa cremosa al a carota e al porro di Bretagna e


per

dessert chantil y al cedro e mousse au chocolat: li ho conquistati tutti!


Anche se

quel a vipera di Cherry sostiene che sia piaciuto di più il servizio che la
portata

(anche lei non ha disdegnato, però!), a me non importa un fico secco: a fine

cena il format era bello che pronto e quello che vedrai sullo schermo non
sarà

altro che la naturale prosecuzione di quel a cena fantasiosa. Nel programma

siamo sempre in tre: io, che spiego la ricetta, la sviluppo e la spalmo, il


“reci-

piente”, di solito Jean o Sthepane, e l’assaggiatrice, una delle stagiste, a


rotazio-

ne, per tenere alto l’interesse… Finora, e lo dico con le dita incrociate, è
andato

tutto al a perfezione (giusto un piccolo problema, ieri, con Jean, quando ho


versato la fonduta al a valdostana… è fuggito via urlando! Devo ricordarmi
di

scegliere ricette “fredde”). Tu, cara Mil y, mi conosci meglio di chiunque


altro,

sai quante volte ho dovuto abbassare la testa, quanti carichi hanno dovuto
so-

stenere le mie spalle e quante volte mi hanno tappato la bocca: questa per
me

è una grande rivincita! Mi raccomando, dal prossimo 20 marzo, ogni


venerdì

non perderti “La maga delle creme: le fel atio culinarie di Madame
Isabelle”.

Dalle 22 alle 23 su Hot Sex Tv.

Un bacio “cremoso”,

Isabelle

365 racconti erotici per un anno

213

sINglE

27 luglio

di Simona Vassetti

Tra mura familiari, in un pomeriggio piovoso, il ricordo del a sua voce nel
’aria

mi solletica e una strana voglia invita le dita a esplorare il desiderio sopito


tra le
cosce. La musica dei Massive Attack suggerisce fondali erotici che
alimentano

la fantasia a spingersi oltre i miei col ants.

Lo sguardo si posa sullo specchio di fronte al letto: avrei bisogno di ricorda-

re le sue parole quando mi ha lasciata sotto il portone, ma oggi faccio da


me.

Bruscamente devio il viso verso quel ’altro che ho nel a parete di fronte.

Il palcoscenico è scarno, lo so, e gli spettatori latitano; quelli non graditi,

invece, sono lì fuori in vana attesa; mentre la mano regista muove la trama
del

desiderio, penso a comparse che hanno pensato di fare meglio.

Peccato di presunzione.

Sembra che il cocktail funzioni e io possa raggiungere l’estasi in attesa che


il

piacere si diffonda e raggiunga le labbra attraverso solitari mugolii.

Perverso il pensiero che tante volte ho soffocato, ma che oggi sembra


gover-

narmi, senza controllo.

Prima o poi dovevo perderlo.

Cerco di frenare il solletico, è ancora presto per lasciarsi andare, allora rive-

do il collega che ammicca invitandomi, il fidanzato del a mia migliore


amica,

l’ex che ho perduto senza rancori e quello per cui sto ancora piangendo.
Un uomo...

Mi accontento di Brando e di quel davanzale parigino dove la Schneider

sono io che spinge, preme, gode, io col cuscino.

Dopo resto sgualcita, e non serve più premere il tasto rewind: sono consape-

vole delle necessità che mi conducono a un sesso solitario a soli


quarant’anni.

214

365 racconti erotici per un anno

Il vElENO DI UN RIcORDO

28 luglio

di Graziel a Falco

Il bisogno l’aveva catturata come se fosse stato un serpente, quel caldo


pome-

riggio. Si era avvinghiato a lei risalendole la gamba, strisciando lentamente

sul a pelle, arrivando al ’addome e soffocandola fino a farle male, anche se


non

abbastanza da farla morire di piacere. Infine, il serpente l’aveva morsa sul


collo

e lei aveva lasciato che il veleno facesse il suo corso, accecandola.

Ecco, ormai il bisogno l’aveva resa cieca, quando a passo lento entrò in ca-

mera e si sbarazzò del vestito leggero, che frusciò appena.

Era un ricordo, a guidarla; un ricordo lontano, perché stava desiderando ri-


viverlo troppo intensamente, ma anche vicino. Quando era accaduto?
Appena

due giorni prima?

Si scostò i capelli dal collo, rivedendo nel a mente la mano di cui aveva vo-

glia e che, una sera, aveva fatto quello stesso gesto: con le dita le aveva
sfiorato

il mento, prima di farle scorrere lungo il solco fra i seni, e i baci sul collo
erano

diventati piccoli morsi.

Le mani di lui si erano posate sulle sue curve, in un gesto non possessivo,

ma come curioso di saggiare la sua morbidezza. Glielo aveva letto anche


nello

sguardo: fissando gli occhi nei suoi l’aveva incatenata a lui, costringendola
ta-

citamente a dimostrargli dove la propria curiosità lo stesse portando e cosa


le

stesse provocando. Ma adesso toccava a lei essere curiosa.

La sua mano sul proprio seno le sembrò troppo piccola, rispetto a quel a

del suo ricordo, ma credette di sentire la bocca di lui sul collo, quando volle

provare a stuzzicare un capezzolo. S’inoltrò in una lenta esplorazione, a


occhi

chiusi, visualizzando con attenzione tutti i fotogrammi di quel film troppo


bre-
ve in cui era stata protagonista con lui. Si prese cura di ogni piccolo punto
in

cui l’aveva toccata e baciata, con la stessa sensuale devozione con cui lui
aveva

scoperto il suo piccolo e morbido corpo.

Quanto amore e desiderio c’erano state in quelle carezze poco innocenti?

Ma ormai era intossicata a tal punto che il ricordo di lui l’avrebbe uccisa
moz-

zandole il respiro, se con la mano non fosse andata a rivivere le sue spinte,

inarcando la schiena e gemendo, vedendo lui e solo lui su di lei, anche se


non

c’era.L’orgasmo fu intenso, ma meno devastante di quanto desiderato; si


corruc-

ciò, stringendo le ginocchia al petto e mordendosi le nocche. Avrebbe


dovuto

aspettare il prossimo incontro e prendersi una rivincita: sorrise,


immaginando

e pregustando cose gli avrebbe fatto il suo, di veleno.

365 racconti erotici per un anno

215

gEIsha, sTORIa DI OlII E DI PaZIENZa

29 luglio

di Daniela Rindi
Alberi di ciliegio, un laghetto, fiori di loto galleggianti, non capisco il senso
del tut o

ma lo percepisco. Scorro il pannello shoji da una parte e realizzo quel


’intima unità

con l’eden. Osservo l’ engawa coperta da un tetto spiovente che filtra una
luce naturale

al ’interno del a casa. Incredibile, penso… incredibile.

Scorro lentamente le Fusumae, entro nel genkan e mi tolgo le scarpe,


posizionandole

con le punte verso l’uscita. Una geisha, perfettamente truccata e vestita, con
gesti rituali

ben calibrati e studiati, mi prepara un tè. Ciascuna parte del rito va gustata e
goduta.

Ma io non penso ad altro. Dopo la cerimonia del tè vengo portato nel


Tokonoma,

il contenitore delle sue passioni. Vengo disteso dolcemente sul tatami. Già
pregusto il

nettare che mi verrà infuso.

Spero.

La geisha mi spoglia lentamente, mi sbot ona la camicia, baciandomi al


’altezza di

ogni bot one; bacio dopo bacio scende, mi apre i pantaloni, me li sfila e…

M’immagino il paradiso.

Lei srotola la fascia del kimono, lentamente, strato dopo strato, lasciandomi
in
un’ansia senza fine.

La vorrei.

Avvicina le labbra al mio pet o, lo bacia e con la lingua visita tut o il mio
corpo,

invadendomi i sensi, oramai perduti. La sua lingua percorre strade che


rendono

instabile la mia mente, ma non importa.

Sto morendo.

Si avvicina al limite del mio piacere, con una lingua affilata, sot ile e
sapiente. A un

certo punto si interrompe.

– Non ti ho chiamato per questo!

Mi riprendo dal sogno del a geisha e torno al lavoro. Lei è nuda, supina;
prendo gli

oli essenziali al ’iperico e rosa e comincio a massaggiarla con at enzione,


lentamente.

I profumi degli olii mi inebriano. Con le dita aiuto questo massaggio di cui
sono

esperto, poi la mia lingua fa il resto, dilato, prendo, affondo. Lei mi


asseconda, al arga le

gambe mostrandomi quel o che avrei voluto prendere senza essere preso,
ma anche se

lavoro… È sempre un miraggio. Il suo sedere carnoso mi si offre ingenuo,


casto, non
consapevole. Io vado drit o al cuore, affondo nelle sue lacrime. È questo che
vuole, è

questo che ha pagato al ritmo del mio cuore.

Raggiungo l’obbiettivo, il suo sentire, il prezioso desiderio. E spingendo


gentilmente,

oltre le dita, lentamente, la mano; lei si perde nel piacere bramato. Io spingo
ancora.

A questo punto, desiderando il suo godere, tut o il braccio dentro di lei,


volendolo

prendere, afferrare, inghiot ire, regalandole l’estasi. È per questo che mi ha


chiamato.

E io ubbidisco.

216

365 racconti erotici per un anno

PIETRa E caRNE

30 luglio

di Erika Muscarel a
Lo vedo, dal mio terrazzo. Non sa che lo osservo silenziosa. Capelli lunghi,
lisci, oc-

chi verdi. Sembra una scultura; minuta, ma perfetta. A volte mi domando se


dentro

è fatto di pietra.

Durante il giorno non lo incontro mai. Io vado a lavorare, lui si sveglia


sempre

molto tardi; quando rincaso a pranzo lo trovo seduto a tavola, un po’


assonnato,

mentre con lo sguardo perso nel vuoto mescola lo zucchero nel caffè.

Ha un amante. Un uomo. Ma non si vedono che nel fine settimana.

Ogni venerdì sale nel suo appartamento. Cenano insieme, bevono molto
vino.

Parlano fitto fitto. L’altro per lo più ascolta. Nel buio li vedo come in un
film. Per-

cepisco la loro eccitazione mentre si avvicinano, si scaldano. È sempre


l’amante a

iniziare la danza. Gli passa un braccio intorno al collo, gli scosta i capelli
dal viso, gli

schiude le labbra con una lieve pressione del pol ice. Lo bacia piano, con
passione,

sensualità. Lo accarezza, lo esplora. Si spogliano lentamente.

Non dovrei spiarli; ma mi piace guardare il suo viso sconvolto dal piacere,
gli
occhi chiusi, le labbra vermiglie, il respiro spezzato, e intuire gemiti
soffocati.

Morirei per goderlo.

Sono sola e il calore umido estivo si confonde con la mia emozione.


Davanti al a

sua porta non ho il coraggio di bussare. Finalmente la mia mano si muove


verso il

campanello. Sento i suoi passi pacati, leggeri.

Apre la porta e, finalmente, ci guardiamo negli occhi.

Trovo una scusa, gli dico che ho finito lo zucchero. Lui ne prende un po’ e
mi in-

vita a rimanere. Sono paralizzata: ho come l’impressione che sappia il


motivo per il

quale sono venuta, che sappia quanto bramo un contatto fisico. Per errore
mi sfiora

la mano: la ritraggo spaventata. Ma lui, con un gesto deciso, mi avvicina a


sé.

Tutto segue un ritmo. Del cuore, che batte incessante. Delle sue labbra, che
si

scontrano con le mie. Del a sua lingua, delle sue mani sui miei seni
tormentati, delle

sue dita, che esplorano il mio corpo. Il ritmo del suo sesso, che mi riempie,
che mi

violenta con dolcezza. Siamo un corpo solo che esplode, sospira, respira,
implode e
torna a esplodere di nuovo, senza fiato.

L’orgasmo è devastante.

Riapro gli occhi. Sono ancora sul terrazzo, rapita da audaci fantasie; ma
esco

piano dal mio stato onirico, non voglio che finisca. Lui è in casa, sta
versando del

vino in un bicchiere. Per la prima volta, alza lo sguardo e mi vede: sono


rossa in viso,

imbarazzata. Sorride gentile, ignaro dei battiti del mio cuore.

Ma forse ora non saranno più un segreto.

365 racconti erotici per un anno

217

bIaNchERIa INTIma scOORDINaTa

31 luglio

di Cristina Origone

Acqua. Bollente e profumata. Miliardi di bollicine giocano fra loro.

Carola sente ancora sul a pelle chiara il tepore del ’acqua e i baci e le
carezze

di quel a notte. Emette un mugolio di piacere.

Il loro orgasmo era iniziato nel ’istante in cui i loro occhi si erano incrociati

in uno dei tanti locali di Milano Marittima.

Scende dal letto. È tardi e deve scappare.


Raccoglie silenziosamente i vestiti sparsi nel a stanza, indossa la biancheria

intima e si ferma a guardare il corpo disteso sul letto, il uminato dal a luce
del

mattino: la pelle leggermente abbronzata del a schiena, i capelli biondi


sparsi

sul cuscino e gli occhi azzurri che la fissano prima di parlare: – Hai l’intimo

scoordinato, lo sai?

Lei si copre indossando un vestito scol ato nero, con una decorazione sul a

schiena effetto tatuaggio. Si pettina con le mani il caschetto rosso


spettinato,

poi si avvicina al letto. Le sposta una ciocca di capelli dal viso e le bacia
dol-

cemente le labbra, lasciando la risposta in sospeso come le bolle di sapone.


Si

ricorda dei suoi gridolini di piacere nel a vasca da bagno, mentre la schiuma

profumata le ricopriva il corpo sensuale attorcigliato al suo come un’edera.

La ragazza muove le dita del piede che sbuca da sotto il lenzuolo a fiorellini

rosa, avvolto su di lei lasciando esposto solo una parte del corpo, celando il

resto. L’anellino d’argento a un dito la fa sorridere.

Le accarezza la schiena e lei si mette supina, mostrando il petto prospero-

so. Le percorre con le dita la pelle liscia fra i seni, poi con l’indice disegna
il

segno del costume: un piccolo triangolino bianco intorno al capezzolo rosa.


La ragazza sorride, mentre il capezzolo diventa sodo. Carola lascia
scivolare la

mano sotto il lenzuolo, fra le gambe.

Lei spinge i fianchi verso le sue dita, mentre arriccia le labbra vogliosa di

intime carezze. Ai suoi tocchi leggeri, ora, si unisce la mano di lei.

Carola l’assaggia per l’ultima volta: si lecca le dita e si allontana dal letto.

Afferra la borsa e un telefono cel ulare sul comodino. Esce dal a stanza,
mentre

sente la voce che la rincorre: – Ho il tuo numero, ti chiamo io, okay?

Lei fa scorrere la rubrica: Carola. Elimina. Lascia il telefonino sul tavolo in

cucina e mentre esce dal ’appartamento sussurra: – Mi piace indossare le


tue

mutandine come ricordo.

218

365 racconti erotici per un anno

ONE shOT

1 agosto

di Guergana Radeva

Spaesata nel ’oscurità, la mano indugia sul a pelle nuda e, prima di raggiun-

gere il pube, risale di nuovo, incerta, come se aspettasse indicazioni. La


bocca
umida cerca la sua, ma lei si scosta; orfano, il bacio sfiora il lobo del
’orecchio

e sul a scia del ’eccitazione il corpo di lui si rivolta supino, liscio e cieco nel
a

morsa vel utata delle ginocchia. I seni oscil ano e sfiorano le labbra mentre
le

cosce si aprono per accogliere il sesso proteso. Scivola lentamente come un

guanto bagnato, saggiandone la forma, su e giù, a spinte lunghe e calde, ma

appena lo sente scalciare dentro di sé nel tentativo di imporre un ritmo tutto

suo, pare desistere, quasi fermarsi. Lui percepisce la sua esitazione, si


acquieta

sotto di lei e si lascia in balia al ’ondeggiare, prima placido, poi sempre più
rapi-

do, risucchio vorticoso senza fondo e senza fine… per poi risalire
lentamente,

sfibrato e sazio, come una medusa portata inerte dal a corrente.

Quando si sveglia, lui non c’è. Chiarore morbido filtra attraverso le tende

leggere e languida lei si alza, apre la finestra, si siede sul davanzale, inspira.

Accende una sigaretta e inspira ancora, stavolta con piacere. One shot.
L’emo-

zione fresca e incondizionata del a notte prima e ultima. Senza speranze,


senza

aspettative e di conseguenza senza rimorsi o rancori. Amplesso fugace,


nebbia
opalescente d’alcol e solitudine, condensata nel a perla del capriccio istanta-

neo. In lontananza, dietro i filari di cipressi, il campanile violetto fende il


cielo.

Appena arrivata, si era concessa un giro del paesino e i viottoli lastricati


l’ave-

vano condotta in piazza, e nel a piazza c’era il solito circolino con le solite
seg-

giole impagliate, i vecchietti intenti nel a briscola interminabile, il


ragazzino

solitario al flipper e il grappolo di giovani attorno al tavolo da biliardo. Per


un

po’ aveva seguito le traiettorie raccapriccianti delle biglie, al secondo


bicchiere

di vino la sua attenzione si era spostata dalle macchie del panno verde alle

stecche. Si era sentita attratta da una in particolare, lucido mix policromo di

legni intrecciati. Si era avvicinata indifferente e, senza guardare lo


sconosciuto,

gli aveva infilato nel a tasca dei jeans il bigliettino del ’albergo. Stasera,
aveva

scritto, a mezzanotte. Non accendere la luce. Era stato puntuale. Silenzioso.


Di-

screto.

Accende un’altra sigaretta, schiude le gambe e lascia correre la brezza sul a

pelle nuda, maculata dei morsi rosa del ’alba.


365 racconti erotici per un anno

219

mI PIaccIONO lE sfIDE

2 agosto

di Chiara Bertazzoni

Si stavano rivestendo quando lui le fece quel a richiesta. Erano amici.


Anche.

– Eddai, è una cosa che vorrei provare – continuò Riccardo con tono per-

suasivo.

– In effetti potrebbe essere divertente – rispose Claudia con finta indifferen-

za. Tra loro c’era un rapporto speciale che li portava a stare bene insieme. E
a

divertirsi. Senza aspettative, né complicazioni.

– Coraggio, non puoi dirmi di no! – aggiunse lui. Claudia non diceva mai

di no per partito preso, lo riteneva un inutile spreco di buone occasioni. E


Ric-

cardo lo sapeva. Lei non lo fece nemmeno quel a volta. Lo guardò dritto
negli

occhi sorridendo maliziosa e rispose: – Lo sai, mi piacciono le sfide.

Quel a notte, Riccardo, visibilmente eccitato, si tuffò in mare completamen-

te nudo. Nuotarono insieme verso il largo, quel tanto che bastava per non
essere
visibili nemmeno da qualche eventuale passeggiatore solitario.

Lei sapeva di essere brava, certo, non aveva mai provato in quel contesto,
ma

l’acqua le piaceva, era il suo elemento. E, inutile negarlo, la proposta la


divertiva.

Riccardo sapeva anche questo e lo eccitava l’idea di sfidarla, di vederla


impegna-

ta in qualcosa di nuovo e di diverso.

Fu lui il primo a immergersi per solleticarla con la lingua e Claudia rispose

generosa. Quando Riccardo riemerse lei ci aveva preso gusto e cominciò ad


ac-

carezzarlo sapiente. Sentirlo gemere sotto i suoi tocchi pose fine agli indugi.

Prese un bel respiro e scese tra le sue gambe. Salato, pensò cominciando a

leccarlo. Lo sentì irrigidirsi e vibrare sotto i suoi tocchi leggeri.

Risalì per prendere fiato. – Se continui così non dovrò nemmeno impegnar-

mi molto – disse scherzando e tornò sotto, aggrappata ai glutei di lui per


non

essere trascinata via dai flutti.

Una frustata di piacere colpì Riccardo quando sentì la sua bocca accoglierlo

fino in fondo. Claudia ci sapeva fare, ma questa non era una novità. Fu
istintivo

prenderle la testa per accompagnare i suoi movimenti. Ci sono momenti in


cui
non è facile mantenere il controllo. I corpi si cercano. La mente si
abbandona. Il

contatto con la realtà si assottiglia. Essere nel a sua bocca. Fino in gola.
L’acqua

protettiva intorno. I movimenti sempre più decisi e veloci.

Claudia aveva ragione: Riccardo non ci mise molto. Ci mise troppo.

Lo trovò il bagnino la mattina seguente, sul a spiaggia. Aveva un’aria


strana,

preoccupata e quasi assente, quando, indicando il mare, gli disse: – È


annegata.

Eppure le piacevano le sfide!

220

365 racconti erotici per un anno

la bElla aDDORmENTaTa

3 agosto

di Fernando Nappo

La bel a addormentata nel bosco era sveglia ormai da tempo. Un rumore di

rami spezzati richiamò la sua attenzione: un altro principe azzurro si stava


fa-

cendo largo nel ’intrico di rovi sino al suo giaciglio. Al lavoro, pensò. Si
distese

sul letto e socchiuse gli occhi, pronta per la solita recita.


Il principe, un giovane dal ’aria smarrita tipica di chi è alle prime armi,
s’av-

vicinò imbarazzato, sfiorò le labbra del a fanciul a con un bacio di puro vel
uto,

quindi, mentre lei simulava il risveglio, iniziò a recitare il discorso


preparato

in precedenza: – Mia dolce principessa, in qualità di principe ereditario,


sono

quivi giunto al fine…

– Ragazzo mio – esclamò lei spazientita – niente parole inutili. – Lo prese

per il bavero e lo trascinò sul letto, interrompendo lo sproloquio con un


bacio

mozzafiato. Nel ’attesa che il principe si riprendesse, lei iniziò a spogliarsi:


pri-

ma il corsetto, poi la gonna, infine reggiseno e mutandine, continuando a


stuz-

zicarlo, ora sfiorandolo tra le gambe, ora agitando il seno vicino al suo
volto.

Rimasta nuda, prese il fuso, lo stesso col quale s’era punta da adolescente,

e cominciò a leccarlo, baciarlo e inumidirlo per bene. Lentamente se lo fece

scivolare lungo il corpo, tra i seni, sul ventre, in mezzo alle gambe, sotto gli

occhi del giovane. Quando questi fu al culmine del ’eccitazione, la


principessa

gli sfilò la calzamaglia e gli saltò sopra, aprendogli le porte di un mondo a


lui
del tutto sconosciuto.

I due ragazzi stavano sdraiati a letto. Lui, esausto, la osservava; lei fumava

una sigaretta con aria assente.

– Come posso ringraziarti? – chiese il giovane.

– Non ce n’é bisogno. Ha provveduto tuo padre, in anticipo.

Il principe si al ungò per baciarla. – È solo lavoro – lo fermò lei, scostando-

si. – Ma se vuoi, puoi spargere la voce fra i tuoi amici. Lavoro anche di
dome-

nica, se necessario.

La bel a addormentata guardò la posizione del sole: di lì a poco sarebbe

giunto un altro principe azzurro, desideroso di apprendere i rudimenti del


’ar-

te amatoria.

Nonostante il biasimo di parenti e amici, non aveva mai rimpianto, neppure

per un attimo, la decisione di lasciare il suo reale consorte e la noiosa vita di

corte per questa nuova esistenza, di gran lunga più dilettevole.

365 racconti erotici per un anno

221

Dalia

4 agosto

di Andrea Novelli & Gianpaolo Zarini


– Vedo che ti piace il gioco duro.

Lui era ammanettato al letto.

– Mi sembri una bambina – continuò.

– Ti sembro una bambina?

Gli montò sopra incominciando a menare la danze. Lui provò a liberarsi.

Non gli era mai piaciuto essere sottomesso, men che meno da una donna.
Tirò

con forza, riuscendo soltanto a smuovere la spalliera.

– Non è bello? – gli domandò lei, sorridendogli tra i capelli neri.

– Liberami!

– Devo smettere? – continuando a muoversi su di lui

– Piantala e liberami! Vuoi divertirti da sola?

Smontò da lui, liberandogli i polsi. L’uomo l’abbrancò con forza e la immo-

bilizzò, ammanettandola. – E adesso? – la sfidò.

Lei sorrise di nuovo. Un sorriso complice su pelle bianchissima.

– Picchiami.

– Cosa?

– Domani è il 5 agosto. È il mio compleanno. Picchiami.

– Posso farti male.

– Picchiami – ripeté lei. Lui le mollò un violento ceffone. Il labbro della

ragazza si spaccò in una bolla di sangue. – Ti piace?


– Sì, mi piace.

– Vuoi un altro regalo di compleanno? – Entrò in lei, quindi la picchiò

sull’altra guancia, aggiungendo un pugno secco al costato da lasciarla senza

fiato. – Auguri – aggiunse ridendo, fino ad arrivare all’orgasmo.

– Ti ricordi Dalia? – domandò lei all’improvviso, dopo l’amplesso.

– Cosa?

– Dalia.

Certo che ricordava Dalia. Se la voleva fare, ma lei non voleva. L’aveva

dovuta riempire di botte, allora sì che ci era stata.

– Certo che ti ricordi di Dalia. Ti aveva denunciato, ma l’hai fatta franca.

Niente giustizia. Be’, quella sera hai commesso un errore.

– Cosa stai dicendo? Come sai di lei?

– Perché ti sei appena scopato quell’errore. Io sono sua figlia. Troppo devo-

ta, Dalia. Abortire e gettare una vita nel cesso… proprio no. Domani è il
mio

quattordicesimo compleanno. Una minorenne, piena di botte e ammanettata.

Pedofilia, percosse… – Lei sorrise. – Condanna a trent’anni, paparino...

Sirene. La polizia era già sotto casa.

222

365 racconti erotici per un anno

la PORTa
5 agosto

di Massimo Alborghetti

Sono davanti a questa porta da più di cinque minuti. La osservo e ascolto se


ci

sono movimenti al ’interno. Al ungo la mano verso la maniglia. Mi fermo.


Ri-

cordo: sono entrata come una chimera nel cuore dei miei amanti. Li ho
trafitti

con il calore del corpo, con l’umido del a saliva e con il fuoco dei baci. Li
ho

lasciati con lo squarcio del mio passaggio nel cuore. Hanno chiesto,
implorato

il mio ritorno. L’ego ha detto no. Stanotte in quel cinema d’autore è


cambiato

tutto. Ho incontrato quello sconosciuto, che bramava i miei capezzoli


turgidi

e invitanti. Il caldo afoso del a stanza buia m’invitava ad abbassare le


spalline

del vestito umido. Essere scopata sotto uno dei seggiolini rossi. Quello era
il

mio desiderio. E quel capellone ingrigito se n’è accorto subito. Mi ha


guardata,

osservata, scrutata, ma soprattutto spogliata. Il mio corpo longilineo aderiva

al a sedia sinuosamente, il vestito diventava un serpente scivoloso che


faceva
spazio al a carne nuda. Sul pavimento, mentre l’omone mi apriva le gambe
e

mi infilava il suo arnese nel ventre, ho girato il volto. Contando i pop-corn


ab-

bandonati, ho visto le scarpe di un altro sconosciuto. Inconfondibili fra


cento.

Ho guardato in alto. Mi sono staccata da quel corpo che si muoveva e sono

fuggita via. Ora devo entrare in casa. Forse è già tornato. Mio marito e le
sue

maledette scarpe.

365 racconti erotici per un anno

223

sETE

6 agosto

di Roberto Paris

È notte. Una mezza falce di luna mi sorride tra le nubi.

L’ho convinto a venire al ’appuntamento, sul a collina.

A mezza costa c’è una vecchia cappel a sconsacrata, dai muri spessi costru-

iti a secco. Grigia e abbandonata da tempo.

Fa caldo, e attorno la campagna s’il umina di lucciole e risuona di grilli.

Ho sete, tanta sete.

Un paio di fari giocano a nascondino tra le pieghe tortuose del a provincia-


le, un piccolo serpente d’asfalto che si snoda tra le colline coltivate a olivi.

I lampi di luce si fanno più vicini e con essi il rumore del ’auto. Il motore

tace a ridosso del bosco di castagni vicino al a chiesa e subito dopo il


pietrisco

si lamenta sotto i passi svelti, ansiosi, di lui.

So che mi brama. So che non può più nul a, senza di me.

Mi viene vicino, tremante d’eccitazione. Io socchiudo la bocca e bagno le

labbra con la lingua. Il rossetto s’accende nel a notte.

Da fondo valle dodici rintocchi di campana giungono a suggel are il mo-

mento.

Mi aiuta a spostare le fronde con cui ho occluso la breccia nel muro a nord

ed entriamo.

L’atmosfera mi eccita, un misto di trasgressione e blasfemia. La maggior

parte del ’ambiente è vuoto, decadente, solo l’altare ricoperto di vel uto
borda-

to di merletti e i cuscini di pizzo rossi tradiscono le mie recenti visite.

Non c’è bisogno che istruisca il mio adepto. Si lascia guidare fino al blocco

di marmo. Accendiamo delle candele e diamo fuoco a essenze odorose.

Lo spoglio lentamente, baciando la pelle che a mano a mano si denuda.

Gioco con la tensione. Gli spasmi dei suoi pettorali seguono i capricci del a

mia lingua. M’inginocchio, gli sbottono i pantaloni. La sagoma del membro


eretto negli slip non lascia spazio a fantasie.

Vado avanti a stuzzicarlo e lo faccio sdraiare sul blocco di marmo, nudo fra

i cuscini.

Scivolo fuori dal a tuta aderente in pelle e mi siedo cavalcioni su di lui,

accogliendolo in me. Non riesco ad aspettare, devo averlo! Ansimiamo a


ogni

spinta e i nostri gemiti salgono a risuonare più volte al ’interno del ’abside,
fino

a che è chiaro che sta per godere.

Allora mi abbandono sul suo petto, la testa nel ’incavo del collo. Scopro i

canini aguzzi e glieli affondo nel a giugulare. Il sangue e il seme sprizzano


in

me al ’unisono.

Finalmente posso mettere a tacere la mia sete.

224

365 racconti erotici per un anno

la fOllIa DI kIkI

7 agosto

di Giada Bel uccini

Un giorno torrido d’estate l’aria tirava bollente. Il sole era così potente che
Kiki
desiderava intensamente d’essere altrove. La grande metropoli nel a quale
vive-

va non le bastava più: voleva vivere in un paese dove poter assaggiare


l’ebbrezza

accomodante del ’abitudine. Da poco aveva finito gli studi, aveva dei soldi
da

parte ed era libera di decidere. Così fu. Partì in poco tempo per le Isole
Sval-

bard, e si fermò a Longyearbyen. Tutti i giorni andava a fare colazione in un

piccolo bar, e le abitudini acquisite le davano una sensazione di leggera


follia,

e questo la divertiva.

Una mattina, come tutte le altre, Kiki sedeva al tavolo. Tra la fol a vide en-

trare un uomo: alto, barba fola, i tratti del viso marcati dal tempo e
l’abbron-

zatura che risaltava il colore verde degli occhi. Kiki, subito colpita,
cominciò

a fissarlo, tanto che l’uomo si voltò a guardarla, e fu travolta da un


pensiero:

essere la sua colazione. Non ci furono parole, né tempi di conquista. La


passio-

ne esplose immediata. Lui si avvicinò e le strusciò violentemente il suo


organo

sessuale sul braccio. Kiki fu assalita dal ’eminente desiderio di essere


spogliata
degli indumenti, proprio lì, al tavolo dove era seduta. Voleva essere toccata

nelle parti più intime e vogliose davanti a tutta quel a gente che non aveva il

permesso di avvicinarsi d’un passo, ma non riusciva a staccargli gli occhi di

dosso. Mentre le mani del ’uomo la percorrevano, sentire il calore del suo
pene

eretto non faceva che aumentare la terribile voglia di essere posseduta, tutta,

completamente.

Erano nudi, e lo spettacolo di quei corpi che fluttuavano era talmente mera-

viglioso che i clienti godevano nel guardarli. Più gli occhi di lei
s’incrociavano

con la moltitudine dei volti presenti, più sentiva affondare le mani del
’uomo

e più il suo piacere aumentava. Ora si leccavano, ora si toccavano. Il pene e


la

bocca del ’uomo le avevano sfiorato ogni singola parte del corpo. Kiki stava
per

scoppiare, così si girò di schiena e mise il culo proprio sopra a quel pene
duro

e bagnato; e quando si soffermò a realizzare che non era solo un sogno, lui

la penetrò e, sudati l’uno contro l’altra, cominciarono a muoversi


lentamente,

fino a quando delle grida di sorprendente piacere misero fine a quel


’irripeti-

bile momento.
365 racconti erotici per un anno

225

bRacI aRDENTI

8 agosto

di Ariadne Karloff

A sedici anni, per Arianna era stata una rivoluzione, una di quelle scoperte
che

cambiano, in un microscopico istante, tutta una vita.

Le danno un’impronta, un sapore, un colore, la rendono riconoscibile fra

mille altre. Era stata forse la curiosità a portarla lì, ma ora come ora non lo

ricorda o, più probabilmente, non le interessa: è seduta sul letto, le spalle


ap-

poggiate a una marea di cuscini, il capo reclinato.

Un libro, ecco dove l’aveva conosciuto! Doveva essere una storia di


omicidi

e investigazioni, ma al ’improvviso era comparso lì, una luce, una


rivelazione.

Era tutto scritto: il corpo del ’uomo nudo, mani di donna su di lui, parti sco-

nosciute dai nomi strani, al punto che aveva sfogliato il dizionario; le parole
la

legavano, impedendole di staccarsi da quel bianco un po’ sporco del a carta


da

edizioni economiche.
Nel a sua mente erano entrate parole e immagini incancel abili: mani sui

genitali, ansimare nel a notte, concedersi il piacere reciprocamente, negarlo,

concederselo senza l’aiuto di nessun altro, se non delle proprie, abili mani.
Pas-

sioni torbide che sfociavano nel ’omicidio, nel a gelosia folle per il
possesso.

Dopo quel ’incontro non era riuscita a dimenticare, aveva iniziato l’esplora-

zione. Il suo corpo, libri, immagini: tutto quello che poteva farle
comprendere

appieno cosa fosse quel a sensazione di nodo allo stomaco e calore che
l’aveva

presa sfiorando quelle parole. Era diventata quasi una droga, una ricerca co-

stante, infinita, un precipitare al ’interno di se stessi per esplorare ogni lato,

ogni angolazione di quel a sensazione inebriante.

E ora sta lì, nel letto, musica, luci smorzate, nel a mente fantasie che corro-

no, sostenute da mani veloci che accarezzano il corpo nudo, toccano,


stringo-

no, graffiano, danno piacere.

Nel seno c’è un fulcro, fra le gambe un altro, sfiorare i capezzoli per dare

lievi scosse che riverberano verso il basso, dove l’altra mano accarezza
lasciva,

stuzzica e s’immerge, sognando che le dita siano quelle del suo amante, non

le sue.
Sfiora, tocca, accarezza con rapidi affondi fino a che la schiena s’inarca, i

muscoli tesi, occhi stretti a vedere rosso, labbra morse per trattenere i
gemiti

sotto l’onda d’urto del ’orgasmo. Passato l’istante, sfiorarsi diventa


doloroso,

così s’abbandona al ’indietro sui cuscini, finalmente rilassata, il respiro


pesante

che fa sollevare ritmicamente il seno.

Il calore che l’avvolgeva l’abbandona piano, un brivido la percorre e lei si

rifugia dentro il letto, addormentandosi.

226

365 racconti erotici per un anno

DaYDREam

9 agosto

di Roberto Morano

Ogni santo giorno un’ossessione mi cammina davanti agli occhi. È pura


luce,

eterea. Eppure non distolgo lo sguardo. Spesso le parlo, in fondo la


conosco,

siamo amici. No. Come faccio a esserle amico? A parlarle, passarle accanto,
e

non poter fare nul a. Vorrei urlare. Correre. Piangere. Il mio è amore. Punto.
Non è amicizia. Può essere un’ossessione, ma amicizia mai. Piuttosto mi
toglie-

rei la vita. Lei è vita. È il frutto dei miei pensieri proibiti, platonici e
siffrediani.

Ma i suoi capelli, i suoi occhi, la sua pelle, il suo corpo, non esprimono che

gioia di vivere, un sorriso mai scalfito da lacrime e quel a luce passo così
tanto

tempo a guardarla che le lezioni mi sono ignote, così tanto tempo a pensarla

che il mattino è un risveglio senza riposo... non posso continuare così! La


mia

vita non ha un senso. Non ho amici. Non ho obiettivi. Alle volte


l’ossessione

del a sua bellezza mi fa pensare che sia lei il mio dio. Blasfemia? Forse non
da

parte di un giovane senza infamia né gloria, con voti medi, vita sociale
scarsa,

fisico e bellezza… be’, decisamente anonimi! Che speranze posso avere?


Nel a

realtà Davide non fa il culo a Golia.

Ma forse Dio mi ha capito! Devo aver mosso compassione in lui perché un

sogno così... troppe notti le ho passate a rigirarmi tra le lenzuola vuote


sognan-

dola deridermi. Non era un sogno! Era fisico! Era reale! Io, lei, soli, nessun

altro, solo noi, un prato, un campo di grano, sconfinato, interminabile, una


giornata torrida, il caldo, il sudore, il kestos d’oro... che le separava i seni
sotto

la tunica di tessuto bianco finissimo, la leggera brezza che ci accarezzava e


lei

che accarezzava me, il mio volto, la mia barba non curata. Stesi, lei su di
me,

per l’ennesima volta circondata dal a luce del sole. Mi bacia il petto, la
pancia,

mi parla sussurrando parole incomprensibili, ma capisco. Le sollevo la


tunica

e tutto ciò che avevo atteso e mai osato sperare si avvera. Il mio corpo sente
il

suo. Urla. I nostri corpi urlano. Le nostre anime si svuotano. E infine


l’esplo-

sione dei sensi fisici che subito fanno implodere i nostri corpi in un
abbraccio

marmoreo. E lì. Come mai avrei ancora potuto chiedere, mi guarda. Ancora

ansimando. Si avvicina al mio viso. Chiude gli occhi. Le nostre labbra


s’incon-

trano. Una luce accecante.

Se per un sogno del genere non troverò mai le parole, se una sensazione del

genere non sarà ripetibile, un risveglio con defibril atore in seguito a un


arresto

cardiaco non avrà mai un sapore così amaro.

365 racconti erotici per un anno


227

IN mEmORIa

10 agosto

di _eMMe_

Di quel giorno ricordava le sue mani su di sé.

Quelle mani enormi, forti e calde che le avvolgevano il corpo come quelle
di

nessun altro. Quel a pelle lucida di sudore sul a sua, quel a voce affannata
nei

suoi capelli che implorava per avere di più, più a lungo, per sempre.

Soprattutto ricordava quel perdersi totale nel piacere tormentoso, quel di-

menticare ogni cosa, tranne la sublime sofferenza che le bloccava il respiro.

Aveva avuto la notizia il giorno stesso e si aggrappava al bicchiere di cham-

pagne, fuori posto con il vestito corto e le scarpe eleganti.

Anche lui stava bevendo, la chioma scura spettinata, negli occhi la stessa

vacua incredulità che lei aveva nei suoi. L’aveva guardata per un momento
senza

riconoscerla, troppo annichilito dagli eventi per riuscire a metterla a fuoco,


poi

si era avvicinato e l’aveva abbracciata e lei si era lasciata andare contro di


lui.

Erano usciti nel giardino buio, per non mescolare il loro dolore a quello
geloso dei parenti. Lui aveva pianto. Seduto su una panchina di pietra, il
volto

nel ventre di lei.

Con le mani affondate nei suoi capelli, l’aveva colpita, con chiarezza abba-

gliante, la consapevolezza di quello che doveva succedere.

In risposta ai suoi pensieri, aveva alzato il viso e l’aveva baciata. Un bacio


che

li aveva fatti tremare entrambi per la passione repressa.

Non aveva cessato per un minuto di ripetere a lui e a se stessa quanto amava

l’altro, quello disteso nel a bara di legno scuro; eppure aveva goduto di
ognuna

delle sue carezze, trattenuto gemiti a ognuno dei suoi baci. Si era ritrovata a

scavare la sua pelle con dita predatrici, a mordergli il collo fino a fargli
sfuggire

urla insofferenti, che s’affrettava a soffocare premendogli le mani sulle


labbra.

A procuragli dolore e piacere senza sapere se voleva punirlo per il suo


senso

di colpa, se sfogava la rabbia contro quel destino incomprensibile o se


cercava

soluzione al dolore che la consumava.

Tutto si era dissolto nel a furia del ’amplesso. Esorcizzato dai denti che
aveva
affondato nelle sue spalle, dai segni rossi lasciati sul a sua schiena, dai
mormorii

deposti sul a sua bocca.

Da lui, da lui contro di lei, su di lei, dentro di lei, che la riempiva e non le

lasciava nel petto spazio per altro se non per quell’eccitazione ansiosa che
le

pulsava nelle vene, nel a testa, nel cuore e di cui lui solo era causa e
soluzione.

Del funerale non riusciva a ricordare altro che quell’estasi che sfociava nel

dolore e le sue mani su di sé.

228

365 racconti erotici per un anno

l’INfERNO PUò aTTENDERE

11 agosto

di Guido Dal ’Agnola

Mi chiedo perché sto qui a riflettere. Non si fa altro che pensare. Ma poi a
che

serve pensare. Solo a sfasciarsi il cervello. Se potessi non farlo... ma è come


un

tarlo che batte sul legno. La musica di Mahler in sottofondo mi aiuta a farlo
nel

modo meno opprimente.

Magari poi mi metto a suonare il pianoforte. Mi rilassa, così posso stempe-


rare la tensione. Anni fa passavo molto più tempo a suonare. Ricordo la
volta

in cui Michela è venuta a trovarmi. Nemmeno l’avevo sentita entrare, solo


il

suo battito di mani m’aveva destato. L’aria maliziosa non le mancava, tanto

che quel a volta mi disse che ero bravo a suonare quanto a scopare. Le
piaceva

provocarmi, peccato che quel a sia stata l’ultima volta che l’abbia vista.
Chissà

cosa starà facendo, dove starà posando il suo fantastico culetto.

Però ora la vita, dopo un periodo di piacere solitario, mi ha servito un altro

giro di giostra.

Lei si chiama Julie, conosciuta a Parigi, vent’anni, alta, con poco seno e an-

cor meno peluria. È lì distesa sul divano, senza reggiseno e con spirito
liberti-

no. Sta leggendo un libro, quando alza lo sguardo i suoi occhi molto grandi
ed

espressivi disegnano traiettorie fantasiose, per poi rituffarsi nel a lettura.

Vorrei essere il suo Marchese de Sade. Spingerla al ’estremo del piacere,

portarla al ragionevole dubbio di un orgasmo infinito, mentre la mia mente

partorisce sadici desideri, vola verso inesplorati territori, quanto disperati


ten-

tativi, complici la mancanza di coscienza.


Julie non so come la prenderebbe: quando ci siamo incontrati la prima vol-

ta a Parigi eravamo a una festa di Carnevale, lei era vestita da Catwoman.


Non

proprio un personaggio succube, a meno che non mi inventi un costume al a

Batman.

Julie nota il sorriso stampato sulle mie labbra e forse s’interroga su cosa

succede; dovrei dirle che sto pensando con brutale onestà di infliggerle un
do-

loroso piacere, annusando come una belva ogni suo minimo spasmo.

Ma non è così. Non parlo, ma mi porto vicino a lei sul divano, dove intanto

ha posato il libro, e inizio a disegnare cerchi concentrici con le dita tra le


sue

tette e l’ombelico. Mi giro e sul suo dorso modello con le mani la chiave di
vio-

lino in onore di Man Ray.

È tutto così surreale.

Mi alzo, prendo una lattina di birra, le do un bacio sulle labbra e mi appog-

gio contro la sua schiena. Tutti i miei pensieri perversi lentamente sparisco-

no.Chiudo gli occhi: in fondo è troppo opprimente fare il Marchese de


Sade.

365 racconti erotici per un anno

229
sOlO UN’IDEa

12 agosto

di Manuela Costantini

Abbiamo finito. Anche l’ultimo scatolone è stato svuotato. Ti guardo


mentre

avvolgo la corda che prima teneva insieme i pacchi ammucchiati sul


tettuccio

del a macchina e mi sorridi. Stiamo pensando la stessa cosa.

– Dai, vieni qui, siediti di fronte a me – ti dico e poi ti sussurro di stare tran-

quil a, di lasciarti andare perché a breve il tempo si fermerà.

Ci saranno le serrande appena schiuse e percepirai solo le ombre disegnate

sulle pareti. E il rumore dei respiri e dei pensieri. Ti fiderai, sarai desiderosa
di

vedere dove ti porterò, quali luoghi conosco e dedicherò al nostro piacere.

Ti spoglierò piano e sarai disarmata, in attesa. Ti prenderò i polsi, mi lasce-

rai fare, stringerò appena un po’, nemmeno te ne accorgerai e passerò sopra


il

seno sfiorandolo e sopra le mutandine, no, non le ho tolte quelle, regalando-

ti qualche piccolo tocco nei dintorni del pizzo. Invece mangerò il resto delle

gambe, legherò anche le tue caviglie e arriverò ai piedi che sanno di cuoio e
di

sudore appena accennato. Non potrò fare a meno di giocare con le dita. Sarò
“di marmo” e vorrò spogliarmi ma non oserò togliere le mani e la bocca dai

tuoi polpacci di ballerina.

E tu avrai cambiato respiro.

Non potrai muoverti. Ti sdraierò con una lieve pressione sulle spalle e an-

drai giù docile, appena impaurita. Entrerò con le dita sotto la corda che
corre

su tutto il tuo corpo e disegna strani ideogrammi, lasciandone l’impronta.


Im-

piegherò ore per seguirne tutto il percorso. Tu avrai gli occhi chiusi e un
legge-

ro tremito ti agiterà gli angoli del a bocca. Nel tuo viso entrerà
un’espressione

indecifrabile. Come il sapere che sta per succedere. Qualcosa.

Mi svestirò e mi sdraierò accanto a te. Avrò voglia di prenderti subito, con

furia, scostando appena un lembo di pizzo. Allora mi guarderai, implorando

che lo faccia, che ti prenda, ma resisterò perché proverò a fermare il tempo


ea

convincere anche te che l’estasi potrà durare per sempre. Sarai arrabbiata,
ma

dovrai aspettare ancora, solo un po’, te lo dirò piano, cercando di non


parlare

e di fartelo capire in qualche modo. Allora mi regalerai un sorriso


caldissimo,

come se volessi trafiggermi.


Avremo tutto il tempo prima che il sole vada giù e si alzi di nuovo.

Sei ancora seduta e mi guardi sorniona mentre mi avvicino a te con la corda

in mano e ci viene da ridere.

– Pronta? Basta un cenno per farmi smettere.

230

365 racconti erotici per un anno

la PaRTITa

13 agosto

di Euro Carello

Non lo so neanch’io, come mi è venuto in mente. Non è da me. Sarà perché

Piero e Gian continuavano a parlarsi addosso, un bicchiere via l’altro, tra


an-

tipasti e agnolotti, arrosto e bonet, e il mio interesse per il calcio è appena


un

filino più basso di quello per l’entomologia. Sarà quel capezzolo malizioso
che

occhieggiava sotto la garzina bianca, e anche lei aveva l’aria di annoiarsi a


mor-

te, mentre piluccava qua e là e si alzava di continuo per portare


qualcos’altro o

togliere i piatti usati. O sarà il Pelaverga che fa onore al suo nome.

Fatto sta che a metà del a rievocazione del ’ultima Champions League, tra
le immancabili certezze dei mister da salotto, mi stendo bene il tovagliolo
sulle

ginocchia e al ungo la mano.

La reazione immediata di Alda è di scostarsi. Però, con un attimo in ritar-

do. Poi, mentre Piero, il marito, conciona su un rigore mancato, riaccosta il

ginocchio come per caso, al ungandosi sul tavolo per prendere il sale. E non

lo sposta più.

Lo prendo per un incoraggiamento, e mentre la destra giocherel a con il

bicchiere, il mio mignolo sinistro e poi le altre dita si al ungano lentamente

sul a pelle nuda del suo interno coscia. Intanto, più o meno, parliamo. Forse
di

film, ma non saprei dire. Sono troppo concentrato sui miei polpastrelli.

Lei guarda i due ormai cotti, guance rosse di vino e occhi lucidi, e ogni

tanto mi lancia un’occhiata veloce ma intensa, mentre si mordicchia


l’angolo

del labbro, così sensuale da provocarmi una sontuosa reazione nelle zone
ap-

posite.

Quando la partita sta per iniziare, mi offro di aiutarla in cucina, tra gli sfot-

tò dei due tifosi che si trasferiscono sul divano senza dimenticare la


bottiglia.

Sotto la mini di cotone ha solo un perizoma color carne. Non c’è neanche
bisogno di toglierlo, basta alzare la gonna e scostarlo. Lo facciamo da
dietro,

lei appoggiata al lavello, con la testa girata per al ungare la lingua sul a mia,
io

con le mani sotto la garzina a impastarle il seno, i bicchieri che tintinnano a

ogni spinta. Di là, la telecronaca e le voci avvinazzate dei due sportivi


coprono i

nostri respiri affannati. Veniamo insieme: lei getta di scatto la testa al


’indietro,

io rischio una testata sul naso e mi morsico il labbro per non gridare.

Ho appena chiuso la zip, quando un boato mi ghiaccia. Per un attimo temo

il peggio, ma è solo un gol. Schiamazzi, urla del telecronista. Ora di là mi


re-

clamano a gran voce. Un’ultima occhiata alle natiche di Alda che


scompaiono

sotto la mini, e mi avvio.

365 racconti erotici per un anno

231

DIPINgIlO DI NERO

14 agosto

di Fabrizio Canciani

– Il tuo racconto andrebbe anche bene – disse Valerio alzandosi dal a


scrivania
– però i nostri lettori sono diventati più esigenti. La nostra col ana di
romanzetti

erotici ha retto al a crisi del ’editoria, al ’avvento dei DVD, di Internet, e sai
perché?

Perché i lettori hanno ancora voglia di far lavorare la fantasia. Ma la


descrizione

degli amplessi non può essere sommaria, dev’essere credibile e al tempo


stesso fan-

tasiosa.

– Quindi vorresti più realismo, è così? – domandò Irene.

– Meno romanticismo e più realismo.

– Ma ne “Il vizio segreto di Beatrice” c’è molto sadomasochismo, è


tutt’altro che

una storia zuccherosa.

– Mi sembra però che tu abbia una conoscenza ancora approssimativa del a

materia.

– E io che credevo di avere addirittura esagerato.

– No, mia cara. Pensa al ’immedesimazione dei lettori che sognano di


spingersi

verso l’eccesso.

– Quindi cosa dovrei fare?

– Ti fidi di me, vero?

– Certo, sei il mio editor da anni.


– Allora, prima di finire questo racconto devi sperimentare quello che
descrivi,

assumere il ruolo di Beatrice, la protagonista, affrontare quello che subisce


lei, le

umiliazioni e le sevizie.

– Stai scherzando?

Irene fece per andarsene ma Valerio la bloccò. – Non essere affrettata,


vedila

come un’occasione. Non ti costringerò a fare nul a, sarai tu a decidere.

Uscirono sul pianerottolo, l’ascensore li portò fino al sotterraneo.


Sbucarono

in un corridoio scarsamente il uminato. Irene cominciava a percepire una


strana

sensazione di timore misto a eccitazione. Dietro a una porta blindata un


vasto

campionario di strumenti di tortura si presentò ai loro occhi. Alle pareti


erano ap-

pese fruste, scudisci e altri attrezzi sconosciuti. Dal soffitto pendevano


catene con

bracciali di ferro, corde, carrucole. Una gogna faceva bel a mostra in mezzo
al a

stanza. Irene sentiva che l’eccitazione e la paura stavano prendendo il


sopravvento.

Valerio chiuse la porta e cominciò a spogliarla: lei non oppose resistenza.


Irene si
ritrovava ora a desiderare di spingersi oltre, di col audare quegli insani
attrezzi di

dolore e piacere. Valerio la accontentò, immaginando il gradimento dei


lettori. E si

spinse oltre, e poi ancora più in là, tra gemiti di piacere che lentamente si
trasfor-

marono in urla di dolore e in pianto disperato. E poi il silenzio.

Maledizione, pensò Valerio, anche questa volta toccherà a me finire il


racconto!

232

365 racconti erotici per un anno

Il PalO

15 agosto

di Luca Di Gialleonardo

La carrozza era colma di un vuoto irreale. Su quale spiaggia si stavano


rosolan-

do gli altri pendolari, mentre io, povera vittima, dovevo continuare a


lavorare

fino alle porte di Ferragosto? Pronta a scendere al a prossima stazione, ero

persa nei miei pensieri banali, appesa al palo di sostegno nel centro del
vano

tra uno scomparto e l’altro.

Mi venne da sorridere quando vidi arrivare un ragazzo, anche lui prossimo


al a discesa. Ma forse per lui la solitudine non era così avvilente,
accompagnata

dal a musica disco sparata ad alto volume dal ’iPod.

Era diverso tempo che non riuscivo ad andare in discoteca. Ma cosa mi

stava succedendo, dove stava finendo la mia giovinezza?

Mi accorsi che il mio ginocchio si stava muovendo da solo. Quanta voglia

di bal are. Strinsi la mano sul metallo, mentre i fianchi iniziavano a seguire
la

musica che superava la barriera delle cuffie. Chiusi gli occhi e il senso del
’udi-

to prese il posto del a vista. Il ritmo era ora padrone dei miei pensieri.

Afferrai il palo anche con l’altra mano, sfiorai il metallo col seno,
molleggiai

sulle gambe, sentivo l’asta accarezzare l’interno delle cosce.

Riaprii gli occhi. L’istinto mi intimò di fermarmi.

Lo mandai al diavolo.

Il ragazzo mi fissava imbarazzato, quasi rapito dal a mia danza. Sorrisi con

lo sguardo, mantenendo le labbra serrate in un broncio accattivante.

Avvinghiai l’asta con una gamba e roteai di trecentosessanta gradi.

Il ragazzo continuava a fissarmi con la bocca spalancata. Decisi di


esagerare,

volevo farlo morire di quel ’eccitazione che traspariva dal a sua tuta
leggera.
Baciai il palo, titil andolo con la lingua, persa nel a musica, persa nel a mia

pazzia di desiderio. Tornai a muovermi sensualmente, come una gatta


vogliosa

di coccole. Poi il ragazzo si mosse e mi mise una mano su un seno.

E ruppe l’incantesimo.

O la mia follia inaspettata, se vogliamo.

Una gelida cascata di imbarazzo mi affogò con irruenza e sbiancai mentre

sentivo ardere le guance. Schiaffeggiai il ragazzo, facendolo quasi cadere,


sca-

gliando lontano una delle cuffie.

Lui mi guardò più confuso che irritato.

Sentii le porte aprirsi alle mie spalle. Mi risistemai velocemente e saltai giù

dal treno. Mi voltai per un attimo a guardarlo. Era ancora sul treno, con una

mano sul a guancia. La sua eccitazione era ancora ardente di me.

Le porte si richiusero e il convoglio ripartì, trascinando il mio sfortunato

complice verso la stazione successiva.

365 racconti erotici per un anno

233

la mORTE è UNa sIgNORa

16 agosto

chE va a bRaccETTO cOl PREgIUDIZIO


di Matteo Mancini

Fu quando il sole copulò con la luna che la lussuria proliferò sul a Terra, e
la

mia vita divenne fango.

– Perché non viene a vedere l’eclisse, qui, sul promontorio? – mi chiese una

lupa travestita da pecorel a. Accettai, forse per via del ’intelligenza che la
gio-

vane mi aveva dimostrato nelle lezioni settimanali che impartivo ai


trovatelli.

Poveri disperati, privati degli affetti che ogni bambino meriterebbe di


ricevere

e che vedevano in me l’unica certezza del a loro vita.

Ho detto “intel igenza”, perché nessun altro motivo potrebbe giustificare le

mie attenzioni per quel a ragazza.

Tant’è, sono solo inutili dettagli, perché sono i fatti a parlare e non i
processi

psicologici. Rammento la lunga salita sui prati in fiore e poco altro, se non
l’av-

vento del a massa discesa sul metallico bagliore lunare.

Mi sdraiai sul ’erba e lei… sì, doveva avermi stregato, compiuto chissà
quale

sortilegio, poiché me la ritrovai sopra, nel ’attimo in cui l’eclisse raggiunse


il

suo apice.
– Ti sto liberando, amore mio – mi sussurrò, aggiustandosi i capelli dietro

le spalle. Quale peggior bestemmia avrebbe potuto proferire?

Era nuda, col corpo velato di sudore e le mammelle che spiccavano dal gra-

cile corpo da adolescente. Mi parve di vederla luccicare, quasi fosse


scaldata da

un fuoco che le ardeva nelle viscere. Strinse le cosce sul mio bacino e io…
ero

schiavo di un torpore figlio del maligno piacere offertomi da quel a lingua


che

mi scivolava sul petto, sulle labbra.

Che orrore ammetterlo: provai estasi, piacere.

Diffusi il mio seme benedetto nel ventre di quel a serpe e solo allora ri-

conquistai il senno. Le al ungai le mani sul collo e strinsi, strinsi forte, ma


era

troppo tardi!

Ora sono chiuso in queste quattro mura, a osservare la luna da una griglia

arrugginita. Il cappel ano è passato poco fa, per l’ultima volta. Mi ha


lasciato

un rosario e la sua benedizione, ma non mi saranno utili: ho tradito il voto,

capite?

Ancora qualche minuto e le fiamme trasformeranno in cenere l’unica ric-

chezza che un uomo deve custodire e che io, invece, ho lasciato bruciare
sotto
un cielo trapuntato di stelle.

La carne mi ha reso cieco.

Ormai sono perduto, per sempre, per l’eternità.

234

365 racconti erotici per un anno

Il gIOcO DEllO scambIO

17 agosto

di Melanto Battista

Le dicevano che avrebbe dovuto dimenticare in fretta, così tutto sarebbe


stato

più facile.

Le dicevano che il passato era sepolto; che, ormai, era legata a un altro.

Le dicevano che Dio l’avrebbe punita, se non avesse strappato gli sporchi

pensieri che strisciavano nel a sua testa e le portavano un diverso nome, alle

labbra, che non era quello del a persona che aveva dovuto sposare.

Le dicevano tante cose, ma quando le mani di suo marito si poggiavano

sulle spalle scoperte e poteva sentirne il ruvido del a pelle, le callosità del
trop-

po lavoro e la forza delle dita che si stringevano appena, trasmettendole il


suo

desiderio, i ricordi esplodevano in mille tentacoli insinuandosi in tutte le


porte
che le dicevano di tenere chiuse, per spalancarle senza pietà.

E non avevano fretta, non ne avevano mai, le mani di Sandro, mentre scen-

devano sul seno che lei sollevava e abbassava nel lento respirare. Nel a sua

mente le sovrapponeva ad altre mani che, un tempo, l’avevano toccata allo


stes-

so modo; così, per rendere davvero tutto più facile, chiudeva gli occhi e il
gioco

dello scambio aveva inizio.

Dietro le palpebre serrate, non erano di Sandro le dita che s’insinuavano

nel solco stringendosi poi a coppa sulle sue forme piene e morbide. Non
era-

no di Sandro le attenzioni cui il suo corpo rispondeva; il tessuto del a sotta-

na sfregava sui capezzoli turgidi e sensibili tra fastidio e piccoli brividi che
le

correvano dentro e sfociavano in un calore intenso fra le cosce. Non erano


di

Sandro le labbra che aprivano la strada ad altri ricordi, che toccavano il


collo

in quel ’umido gioco di lingua. Non era di Sandro l’ampio petto contro cui
si

abbandonava con tutta la schiena, né l’erezione che sentiva premere appena

sopra le natiche.

Non sarebbe stato lui quello che, al a fine, avrebbe accolto nel suo sesso e
da
cui avrebbe tratto infinito piacere.

Non lui, ma Luca.

Oh, sì, Luca ovunque, dentro e fuori; sul a sua pelle sudata, tra le labbra

rosse e piene, tra i seni prosperi e le gambe aperte che gli avrebbe avvinto ai

fianchi per sentirlo in lei fino in fondo, e rivivere fino al ’ultima goccia i
suoi

ricordi.

Persa in quel a girandola di emozioni, con la testa di Sandro nascosta tra

le cosce, il sorriso si tese con sottile compiacenza: diversamente da ciò che


le

invidiose megere di paese le dicevano, Dio l’aveva già punita, ma lei aveva
sco-

perto come alleggerirsi la pena.

365 racconti erotici per un anno

235

la caPREsE

18 agosto

di Giovanni Buzi

Anna e Roberto si sposarono in maggio. Passarono la luna di miele a


ridipingere l’ap-

partamento in affit o. Dopo aver lavorato per tut o il giorno, non se la


sentirono di
cucinare. Lui aprì il frigo: – Pomodori e mozzarel a. Perfetto. Sdraiati sul
pavimento.

– Cosa?

– Spogliati e mettiti spalle a terra.

Lei sorrise e scosse la testa, ma obbedì.

– Roberto, in questo momento ho solo voglia di dormire.

– Dormire la nostra prima not e?

– Prima... non esageriamo.

– La prima nel a nostra nuova casa.

Anche lui si spogliò. Le andò accanto con un vassoio: olio, sale, pepe,
basilico, po-

modori, mozzarel a, forchetta e coltello. Tagliò a fettine pomodori e


mozzarel a.

– Sei proprio mat o – rise lei, – che vuoi fare? – Poi scat ò a sedere sul
parquet. –

Hai sentito? – chiese.

– No. Cosa avrei dovuto sentire?

– Un rumore dal a porta.

Roberto rimase in ascolto, poi disse: – Non sento niente. Sdraiati, dài...

Di nuovo, lei ubbidì. Lui le mise una rondel a di pomodoro su un capezzolo,


una

di mozzarel a sul ’ombelico, pomodoro al costato, mozzarel a al ginocchio e


così via.
Un filo d’olio dal a testa ai piedi, sale, pepe, basilico e, impugnati forchetta
e coltello, si

passò la lingua sulle labbra: – Adesso ti mangio.

– Sei da legare! – fece lei. Ora il rumore lo sentirono entrambi.

– Saranno i vicini. Che ci importa? – fece Roberto.

– C’è qualcuno! – disse Anna irrigidendosi. Si alzò, fece qualche passo


verso la por-

ta. Nuda nelle penombre, colando olio, mozzarel a e pomodori. Guardò


nello spionci-

no e restò di sasso. – C’è un diavolo, là fuori! – gridò portandosi le mani al


a bocca.

Roberto diede un’occhiata al ’orologio. – È in anticipo – fece sorpreso.

Anna restò a fissare il marito, come se avesse di fronte un extraterrestre.


Infine,

riuscì ad articolare: – Che vuoi dire?

Roberto andò ad aprire la porta. Anna fece un passo indietro a veder entrare
quel-

lo strano personaggio: aveva una caligola rosso sgargiante che incorniciava


luminosi

occhi verdi e polpose labbra prive di rossetto. Dello stesso rosso vivo, una
tuta incol-

lata al corpo, che lasciava scoperti solo i seni prosperosi e un vistoso sesso
maschile

già sul ’al egro. Una frusta in mano e stivali di coppale rosso lucente. Anna
sorrise al
marito dicendo: – Sei incorreggibile...

– Lo so che ti piace il piccante – rispose Roberto. – Al a caprese mancava


solo il

peperoncino.

236

365 racconti erotici per un anno

EclIssE

19 agosto

di Francesca Claut

Milioni e milioni di persone ci guarderanno senza sapere cosa succede


davvero,

in questo firmamento, adesso deserto. L’ultima Stel a si è congedata con un


inchi-

no, lasciandomi sola davanti al a porta chiusa. Il desiderio è quasi dolore.


Final-

mente. Sorrido, immaginando tutta quel a gente sotto di noi, che vede due
dischi

sovrapporsi e divenire uno, nero e sfolgorante; gli occhi, milioni, forse


miliardi di

occhi schermati da vetrini scuriti.

Apro la porta piano, senza bussare. E lì, disteso fra le coltri del cielo, ci sei
tu, il

mio inverso, la metà luminosa del a Luna. Il cuore mi si stringe che temo si
spezzi.
Finalmente. Cammino nel a stanza celeste verso di te, mentre ti alzi,
sorridendo.

Apri le braccia per accogliermi, e io sprofondo contro di te, pelle d’argento

contro pel e d’oro, corpo d’ombra contro corpo di luce. La tua luce mi
pervade. Mi

liberi dei veli delle vesti, mi tocchi fra le scapole, mentre io, scaglia dopo
scaglia, ti

svesto del a tua armatura di luce d’oro.

Finalmente.

Ti sento solido, stretto fra le mie mani, dopo tutti questi anni lontani nel
’eter-

na danza attorno al Mondo. Al accio le mie cosce di cristallo ai tuoi fianchi


di

topazio, e affondo la mia bocca nel a tua, respiro, ma non posso, non posso
respi-

rare… Quanti anni sono passati? Cento? Mille? Mille e mille persone ci
stanno

guardando, ma non sanno…

Mi afferri, mi stringi, mi vuoi fondere con te, mi mordi il collo bianco e la


spal-

la, passi la tua lingua fra i miei seni, e poi gemi, oh la tua voce… Come di
vento.

Mi spingi sotto di te, per accarezzare tutto il mio corpo, io ti abbraccio, mi

ancoro a te per non annegare, oh potrei annegare… Mi inarco contro di te,


devo
sentirti per non perdermi, devo sentire le tue labbra sotto la ricerca avida del
a

mia lingua, mentre la tua mano fra le mie gambe mi fa gridare, le tue dita,
così

calde di sole, mi fanno morire.

Milioni di uomini vedono i due dischi diventare un sole nero dai raggi
lunari su

cielo di ossidiana, come sul negativo di una fotografia. Ridono, e indicano


con dita

di carne quel o spettacolo raro.

Milioni di chilometri lontano da laggiù, Sole dentro di me sei


incandescente.

Una marea di lava che mi sommerge di continuo, io come oceano di petali


umidi

di fresca rugiada ti avvolgo, costringendoti a inondarmi. Sospiro, pel e


d’onice

contro pelle d’onice, la luce rossa ci cosparge come braci ardenti. Non
importa

quanto tempo dobbiamo aspettarci. Ognuno di questi attimi è di fuoco nel a


no-

stra memoria.

365 racconti erotici per un anno

237

la PRINcIPEssa E Il PIsEllO
20 agosto

di Virginia Coral

Un’antica alleanza imponeva al padre di legarla al Re del Nord, un vecchio

combattente che aveva infilzato più di mille nemici con la sua lancia
d’acciaio.

Il giorno del matrimonio era arrivato. Un corteo di cavalieri e paggi l’aveva

scortata, lungo strade assolate e polverose, fino al castello dello sposo. Lo


vide.

Il farsetto di broccato cremisi copriva appena il ventre gonfio di birra,


mentre

due gambe rinsecchite dal ’età reggevano a stento il peso di un corpo


pingue e

sgraziato.

La principessa chiese di ritirarsi presto, quel a sera. Licenziò le damigelle e

quando fu sola, vide il suo corpo sottile riflesso nello specchio, la pelle
imma-

colata, i capelli color del miele. Lacrime brucianti le solcarono il viso.

Si coricò pregando che il sonno benevolo le sfiorasse le palpebre. Si girò

e rigirò tra le lenzuola di seta impalpabile, stretta da un’ansia ostinata,


finché

cedette al a stanchezza.

La luce perlacea del a luna filtrava attraverso le tende di pizzo. Nel


dormive-
glia al ungò una mano verso il bordo del letto e sentì qualcosa che
assomigliava

a un baccello nodoso. Si ricordò del a siepe di piselli odorosi che cresceva


sotto

la sua finestra al castello del padre e la nostalgia le morse il petto. L’estate


tra-

sformava i piccoli fiori pervinca in baccelli gonfi e traslucidi, pronti a


esplode-

re. Le piaceva tenerli fra le mani e accarezzarne la superficie pelosa e


profumata

di muschio. Li strofinava finché si aprivano, lasciando uscire piccole perle


di

giada, che scricchiolavano sotto i suoi denti. Ma questo baccello era più
gran-

de, pensò, e stranamente caldo. Al ungò ancora la mano e si accorse che


accan-

to a lei era disteso un paggio. Lui le mise una mano sul a bocca,
delicatamente,

imponendole il silenzio. Poi le sue braccia la cinsero e baci umidi e ardenti


le

impedirono di gridare. La sua pelle di seta fremeva. Quando il paggio entrò

nel suo ventre acerbo, si convinse che stava sognando. Dolci carezze leniro-

no il dolore acuto che sentiva nel a parte più misteriosa del suo corpo, quel
a

nascosta tra le cosce, che pulsava come un cuore trafitto. Poi, lentamente, la
pressione diminuì, mentre il paggio ansimante le appoggiava il viso
accaldato

sui seni bianchi.

– Ti desidero da sempre – le disse, – fin da quando strappavi i piselli acer-

bi dal a siepe sotto la tua finestra. Quando lui tenterà di inerpicarsi nelle tue

viscere con la sua carruba secca, pensa a me e al ’estate, che torna ogni
anno a

ingravidare i piselli odorosi.

238

365 racconti erotici per un anno

TI sTaNNO asPETTaNDO

21 agosto

di Andrea Pistone

Cosa mi fai fare? Vieni avanti. Non posso farlo. Puoi, invece. Quanti sono?

Credo cinque in tutto. E come sono, li hai visti? In che senso come sono?
Lo

sai, le dimensioni. No, non li ho visti, ma sul a rivista dicevano enormi.


Oddio,

ma guarda cosa mi tocca fare. Senti, sei stata tu a chiedermelo. Sì ma era il

momento, la situazione, non credevo che mi prendessi in parola, stavo fan-

tasticando. Però da come ti bril ano gli occhi non mi sembri scoraggiata.
Be’,
diciamo che la cosa mi alletta. Visto? Cos’hai capito, solo pensarla, farlo è
di-

verso. Ma se non hai mai provato. E chi te lo dice? Ah, e cosa aspettavi a
dir-

melo? È successo molti anni fa, ancora non ti conoscevo. E con quanti? Tre.

I miei complimenti, cara, se le cose stanno così allora cambia tutto. Perché?

Perché sì, credevo di farti un regalo indimenticabile e ora mi hai spento la

magia. Dai, caro, non fare così, vedrai che mi comporterò bene. No, basta,
la

cosa finisce qui! Non ti arrabbiare, non adesso che mi hai fatto venire
voglia.

Hai voglia? Da morire. Li mangerai tutti? Sì, a uno a uno. E poi manderai
giù?

Tutto quanto, niente scarti. E come se li pappa la mia golosona? Oh, prima
li

assaggio lentamente, ci girò intorno con la lingua. E poi, poi? Poi, dopo che
li

ho assaporati con delicatezza, li prendo in mano e me li ficco in bocca. Ah


sì,

e mi farai guardare, vero? Certo, amore, tu starai lì e io con la bocca piena


che

mi sbrodolo tutta. Sei uno spettacolo, su entra che ti stanno aspettando. Ma


è

buio. È questo il bello, dovrai trovarli tu. Lo sai che sei proprio perverso? È
per
questo che mi ami. L’idea mi stuzzica, dove vado prima? Avanti piano, così,

ecco ci sei vicina, uno di loro è proprio vicino a te. Davvero? Certo, al unga
la

mano. Oh, lo sento, lo sento, è così gonfio. È grosso? Sembra proprio di sì,
non

mi ci sta in mano. Dai, giù la testa. E gli altri? Sono qui anche loro, tranquil
a.

Se sono tutti grossi come questo non penso di farcela. Smettila di pensare,

mettilo in bocca. Oh, amore, mi sento così colpevole. Essere golosi non è
una

colpa, dacci dentro, succhialo tutto. Così? Sì, così, brava, e quelle palle
dove le

lasci? Queste? Sì, quelle, ah che ingorda, ti piacciono? Sìì, sono


buonissime.

Meno male, con quello che costano! Con questo ho finito, guarda, sono
tutta

sporca. Sì, sporca, come piace a me. Amore, non te la prendere ma non
credo

di farcela a finirli. Tranquil a, tesoro, hai tutto il tempo vuoi.

I due si scambiarono un bacio al gusto di profitterol.

365 racconti erotici per un anno

239

faTE cOmE mE

22 agosto
(Tecnica di masturbazione)

di Alex Panigada

Adoro l’estate, adoro il mare, adoro starmene in spiaggia sdraiato sul mio
lettino

a fantasticare sul a maggior parte delle donne che sfilano davanti a me.

E in men che non si dica farle tutte mie.

Brune, rosse, bionde e castane.

Ormai nel corso degli anni ho anche affinato la mia personale tecnica.

Niente di più semplice: occhiali scuri rigorosamente da sole, un bel libro

aperto esattamente a metà e posizionato sul basso ventre per nascondere


l’ere-

zione (magari un buon vecchio Bukowski giusto per restare in tema) e


sguardo

impassibile tra il sonnecchioso e il noncurante.

Poi basta lasciar scivolare la mano al ’interno del costume, e il gioco è fatto.

Da quel preciso istante basta un po’ di concentrazione e via... si parte:


prossi-

ma fermata “il piacere assoluto”.

Supermaggiorate, seni acerbi, sederi sodi rivestiti da slip, perizoma,


brasilia-

ni... Ragazzine, giovani donne, alte e basse, magre e grasse, ognuno


naturalmen-

te è libero di scatenarsi in base ai propri gusti.


Si può immaginare ciò che si vuole senza timori di rifiuti, senza corteggia-

menti, senza inutili perdite di tempo.

E quando la biondona di turno si spalma la crema a un metro da te, ma so-

prattutto quando si piega per stendere l’asciugamano posizionando il suo


culo a

un palmo dal tuo naso... bene, quello è il momento giusto per concludere.

Adoro l’estate, adoro il mare, adoro starmene in spiaggia sdraiato sul mio

lettino e assaporarmi pienamente quegli istanti. Chiudo leggermente gli


occhi

come in estasi, con il cuore che batte ancora al ’impazzata, e che si fottano
tutti

quei dannati sensi di colpa. Mi accendo una sigaretta, ne tiro una boccata e
mi

lascio cadere sul lettino... esausto.

L’unico inconveniente è che poi te ne rimani lì tutto imbrattato e


appiccicatic-

cio. Ma ho trovato un rimedio anche per questo.

Quale?

Ma una bel a nuotata, naturalmente!

240

365 racconti erotici per un anno

vOcE sOla
23 agosto

di Marina Visentin

Solo con la voce poteva occupare lo spazio, slanciarsi verso l’alto, sentirsi
legge-

ra, abbastanza da non affondare nelle sabbie mobili del rancore.

Solo con la voce poteva essere da qualche parte e starci bene.

Essere e basta.

Essere desiderio.

Il desiderio che vibra nel a gola e fra le gambe, che cola come lava incan-

descente fra le cosce e fin nel solco delle natiche, che avvolge i seni
candidi, i

capezzoli enormi e scuri, nocciole tenere e saporite, da mordere e masticare,

fino in fondo. Senza un guscio da sputare, senza vergogna, senza ritegno.

Il suo corpo largo, coperto di ciccia spessa, massiccia, ottusa, per tanto tem-

po una perfetta corazza impermeabile a ogni voglia. La sua e quel a degli


altri.

Una prigione dove ogni tanto penetrava la luce di una fantasia più
conturbante

di altre. Talvolta un sorriso di simpatia, più spesso la smorfia inconsapevole

del a compassione.

Poi era arrivato lui, lungo e magro, le mani nervose che si avventavano fra
le sue cosce come verso un’umida terra promessa. Col respiro pesante, gli
oc-

chi chiusi, la bocca aperta in un rantolo che raschia il palato, percuote i


denti,

muore in fondo al a gola spalancata.

Con la voce lo aveva attirato a sé, come una sirena, una donna-pesce che

incanta e seduce, promette meraviglie e regala abissi. Nonostante il suo


corpo

di femmina obesa, novanta chili disposti a raggiera intorno a un cuore di


pie-

tra amara.

Hai il cuore peloso, diceva sua madre scuotendola e tirandola, le braccia

tese in avanti, come a tenerla a distanza, lontano dalle labbra raggrinzite e


pal-

lide che sputavano veleno. Bambina cattiva, sei una bambina cattiva!
Ancora ti

sei sporcata, ancora, ancora…

Anche lui lo dice: bambina cattiva! E la sculaccia piano, prendendola da

dietro e stringendole i seni in una morsa violenta.

E la colpa è sempre lì, come pelo sul cuore, che cresce e ricresce, come la

voce di sua madre che abbaia insulti al a sua ciccia precoce e ostinata,
refratta-

ria alle regole, ribelle a ogni dieta.


Ma la sua voce ha imparato a trovare la strada anche nel buio, a respirare il

desiderio di un uomo, a esplodere nel cielo. Mentre il suo corpo danza,


vibra,

impara piano piano a sognare.

365 racconti erotici per un anno

241

fORsE

24 agosto

di Azzurra Bellezzi

Lui amava il sadismo nel sesso e lei era rimasta perplessa nel momento in
cui

glielo aveva detto, mostrandole le foto sullo schermo del pc. Gli aveva
chiesto

se erano state scaricate da Internet, ma lui aveva asserito di averle scattate


con

il consenso del a partner: una donna legata su una sorta di panca in un modo

che non le permetteva nessun movimento. D’istinto si domandò cosa


avrebbe

provato in quel a posizione di totale impotenza, una sensazione sconosciuta


e

sicuramente spiacevole. La donna nelle foto non mostrava il volto: le


immagini

erano state tagliate e solo il suo corpo nudo e vulnerabile era visibile, un
folto
cespuglio di peli scuri le spuntava fra le gambe divaricate, in primo piano la
va-

gina, affondata sulle carni morbide una bottiglia di plastica di cui


s’intravedeva

solo il fondo. Loro erano in un letto in cui solo poco prima avevano
condiviso

ore d’amore, o forse era solo sesso. Lui non si era mai rivelato violento con
lei.

Amava, sì, prenderla da dietro, infilare il grosso cazzo nel a sua stretta
apertura

posteriore, ma lo faceva con forza e non con violenza, la preparava in modo

tale da non provocarle troppo dolore e lo faceva quando era abbastanza


lubri-

ficata. In quanto a lei, aveva una libido molto spigliata, una passione così
forte

che si godeva in pieno il momento mischiando dolore e piacere in un


culmine

di estasi tale che le impediva di distinguere l’uno dal ’altro. Lui le prendeva
le

natiche con le mani a coppa, sollevandole, e la penetrava; lo spasimo era


solo

un attimo mentre si faceva strada forzando un po’ la sua naturale


opposizione.

Lei cercava di rilassarsi e si sforzava di non gridare, era diventato un punto

di forza per lei non gridare, lo avrebbe fatto poi mentre il primo orgasmo la
squassava, facendole perdere il controllo di se stessa. Ora sapeva che quelle

urla trattenute erano forse bramate, anelate dal ’uomo che in quel momento
le

accarezzava i capelli con dolcezza. Si staccò da lui, guardò quegli occhi


scuri,

si perse nel a loro profondità cercando non sapeva bene cosa. Le sembrò di
in-

travedere una scintil a di malignità e si sentì gelare, un’inquietudine le


bloccò

quasi il respiro, si gettò di nuovo nel calore del ’abbraccio, cercando


sicurezza

là dove invece c’era un mare in tempesta. Chiuse gli occhi. Di nuovo


sgomento,

timore… ma sottile. Si stava insinuando un altro pensiero, una curiosità per-

versa: – Però, forse…

242

365 racconti erotici per un anno

la cURIOsITà è fEmmINa

25 agosto

di Alessandra Spagnolo

L’ho trovato per caso, facendo le pulizie di primavera: era in una scatoletta,

in mezzo al a confusione tipica delle dispense. L’ho aperta, ho guardato e


l’ho
rimessa a posto come se scottasse. Ora sono qui seduta sul divano che
penso.

Da quanto è lì? Siamo solo io e lui, quindi se non è il mio è il suo.

È passata una settimana, sono stata in dispensa più volte, ho resistito, ma è

stato più forte di me. Ho la scatoletta aperta sulle ginocchia. Lo osservo: è


rea-

listico, ha tutte le fessure, le vene rilevate, la piega del a pelle. Ma che ci fa


mio

marito con un vibratore? E di quelle dimensioni, poi? Mi viene da toccarlo,


è

quasi vel utato, diverso dal a pelle, flessibile, ha anche gli attributi, cosa che
io

trovo di cattivo gusto, in verità.

Lo rimetto via.

Oggi ci ho giocato sul divano. Ho schiacciato i tastini, l’ho passato nei miei

punti sensibili, un po’ succhiato perché scivolasse dentro. Devo confessare


che

sì, è stato piacevole, però non speciale, un po’ artificiale.

È sparita la scatoletta: questo significa che lui in qualche modo lo usa. Non

sono gelosa, ma vorrei che lo proponesse anche a me. Perché non lo fa?
Forse

non mi pensa abbastanza avventurosa….

Ho chattato, lo faccio da due settimane, e fra tre giorni conoscerò un


uomo.

È andato tutto perfettamente. Certo che, forse, presentarsi al primo appun-

tamento con un vibratore da ventidue centimetri in borsetta è stato


eccessivo,

ma devo dire che lui è stato davvero perfetto, non ha battuto ciglio. Il sesso

orale con lui è stata un’esperienza celestiale, e ha anche riempito


piacevolmente

i tempi morti.

Vedo mio marito girare inquieto per casa: so cosa mi vorrebbe chiedere,

ma lo lascerò friggere ancora per un pochino prima di rimettere il suo


“coso”

a posto.

Intanto è arrivato il mio pacco: nove funzioni, senza attributi, viola, con

delle protuberanze morbide. Lo abbiamo scelto assieme, lo chiamiamo “il


no-

stro assistente”.

So anche dove metterlo: sul pacco c’era scritto fili da ricamo...

365 racconti erotici per un anno

243

TURIsmO sEssUalE

26 agosto

di Stefano Valente
Sceso dal ’aeroporto mi faccio accompagnare in città da un taxi. Non posso

prendere subito la metro. Non ora, non così presto. Devo prima informarmi

sulle ore di punta. E voglio essere in centro, quando salirò per la prima
volta

sul a metro.

Non ci posso fare nul a, lo giuro. Sono andato da un medico per capire per-

ché sono fatto così, per farmi curare. Ma oltre ad alleggerire il mio
portafoglio

non ha portato alcun cambiamento.

A casa ho una cartel a piena di documenti di avvocati, processi e denunce

per molestie sessuali: la mia condanna, i miei trofei.

Ho viaggiato molto negli ultimi anni, mi sono fatto tutte le grandi capitali

europee, le più affol ate. Nelle ore di punta i mezzi pubblici sono quasi
imprati-

cabili, la gente sta stipata come animali nei carri bestiame. Tutti attaccati
l’uno

al ’altro. Pelle contro pelle. Il mio sudore che si mischia con quello degli
altri.

E le mani. Le mani che non sai dove metterle, a meno che non sei fatto
come

me. Quando vedo un corpo che mi interessa, che sia uomo o donna, bello o

brutto, non posso fare a meno di toccarlo. La clandestinità e l’ambiguità del

gesto mi inebriano come nient’altro al mondo.


Le reazioni, poi… Non so dire se preferisco il tipo di persona che rimane

pietrificata dal gesto molesto e inatteso o quelli che si inalberano, piantando


su

un casino assurdo che finisce sempre con l’accrescere il mio fascicolo di


cause

aperte.

Fu così che una sera, non appena vidi un filmato del a metro di Pechino,

capii che dovevo al più presto andare nel a capitale cinese. Nel video la
gente

nel a metro era così tanta che ogni stazione aveva degli addetti pagati per
spin-

gere, schiacciare e ammassare le persone nelle carrozze.

Flash di inaudita perversione mi balenarono nel a mente. Dio solo sa quan-

to e cosa avrei potuto palpeggiare e tastare su quei treni!

Ora sono qui, al a pensilina del a stazione, in attesa del prossimo treno. An-

cora due minuti, dice lo schermo. Dietro di me ci sono già gli omini
schiaccia

persone, pronti a gettarmi contro il mio piacere sessuale definitivo.

Arriva il treno. Si aprono le porte. Il cuore mi batte a mille.

Davanti a me una fiumana di gente mi travolge e comincio a scoccare le

prime palpate. Da dietro, invece, mi spingono verso le porte, e io mi lascio

spingere. La gente comincia a entrare e io, corpo contro corpo, penso che
que-
sta sarà davvero una vacanza fantastica.

244

365 racconti erotici per un anno

saRRacENIa PURPUREa

27 agosto

di Luca Rossi

Il nuovo vaso verde smaltato è colmo d’acqua, almeno due centimetri, sul
terreno

ricoperto di torba. Dev’essere esposta al a luce diretta del sole. La


Sarracenia Pur-

purea ha bisogno solo di acqua demineralizzata, molta, e di luce, molta e


diretta, il

resto se lo procura da sé, recita l’etichetta.

Il rizoma, che nelle istruzioni per il rinvaso è rappresentato come un grosso

bulbo rossiccio, riposa nel fango di terra e torba dal quale emergono diversi
ascidi

rosso incandescente.

Ecco! Il sole il umina le trappole, le vene rosse bril ano sotto la pel e verde

sottile. Sono foglie turgide, cave, con una leggera peluria al ’interno e
colme di

un liquido viscoso. Dentro, nel caldo umido di quegli stomaci, fermentano


bile e
corpi di insetti. Con gli occhi percorro la linea dei fianchi, pieni, morbidi,
perfetti.

Mi avvicino con il viso, una leggera peluria bionda mi sfiora la guancia.

Mi sto eccitando, lo sento.

La pianta vibra nel a luce del sole, muove il corpo flessuoso. Magnifica
scarlat-

ta, circondata da ronzii. Mi chiami a te.

– Che luce accecante! – Il sole scalda il pavimento di cotto del terrazzo,


sotto

i piedi nudi. – Aspetta! – Corro ad abbassare la tenda parasole, perché


nessuno

possa vederci. Mi spoglio.

Siamo nudi uno davanti al ’altra – Come sei bel a, stenditi qui, su di me,
ecco,

così. – Ci stendiamo sul e piastrel e calde.

Tra gli ascidi rossi individuo il più grosso. La bocca rossa e carnosa. Una
goccia

è ferma sul labbro, trattenuta dal a peluria sottile. L’interno è scuro e senza
fine.

Sì. Così, così. . Sono dentro di te, siamo l’uno dentro l’altra, una volta, due

volte.

Mi prendi la mano, la stringo forte. Ah no, è una foglia secca.

Vengo, gemo – ti amo – ti sussurro in una delle tue tante orecchie, ma tu sei
fredda, come se fossi altrove.

Allora faccio per uscire, infuriato. Non andava bene? Eh? Non bastava?
Non

sono stato abbastanza uomo? Mentre sto uscendo qualcosa mi punge.

– Ehi! – Mi ritraggo come un animale preso in una tagliola. Sono furioso,


sono

ferito, così ti scaglio lontano. Troppo lontano. Il vaso rimbalza con uno
sdeng me-

tallico sul a balaustra e finisce di sotto.

– Dio mio! Cos’ho fatto! – Mi affaccio.

Sette piani di sotto tu non esisti più. Il tuo vaso nuovo, smaltato di verde, è
in

frantumi e tu... i tuoi ascidi... non ci sono più, sei una macchia verderossa
sul ’asfal-

to. Ai piedi di mio padre che si pulisce le scarpe. – Chi lancia vasi dal
balcone? –

Guarda in alto. – Marco, sei tu? – gli occhi ridotti a fessure. – Ma sei nudo?

365 racconti erotici per un anno

245

casTa DIva

28 agosto

di Solange Mela

Il tempio greco e la luna bianca, appesa sullo sfondo. Atena, silenziosa e di-
stante, ascolta le note del ’orchesta e le suppliche del a donna ai suoi piedi.

Vengo ogni volta per soffrire con lei, con Norma, perché la musica è il mio

tempio e qui mi raccolgo come in preghiera.

Non importa chi mi siede al fianco, quasi mai. Tranne stasera, perché il tuo

sorriso mi ha distolto dal a dea.

Non vedo il tuo volto, ma il tuo corpo è caldo accanto al mio.

È una mano gentile, quel a che si posa dolcemente sul a pelle.

Sei troppo giovane per me, tu che approfitti del buio e risali con la mano

sul a seta del col ant.

Le tue dita leggere provocano un brivido sul a pelle. Esitano tra il pizzo, un

effimero confine del proibito.

Afferro il bracciolo del a poltrona e trattengo il respiro.

Perché ti fermi?

Prima del pensiero arriva il tuo profumo, inebriante e umido, sul collo, fra

i capelli.

Un Si? che non è domanda ma scommessa, l’istante dopo è già certezza.

Sono troppo vecchia per te che, nel ’invocazione di una Norma il uminata

da vaghe luci, divento Casta Diva, divento la luna in eclisse che non vuol
mo-

strare il proprio viso.

Nel ’ombra del palco sono ancora bel a. Sono belli i miei seni, che spremi
nel a mano come uva matura.

È bel a la mia bocca, che tormenti con una lingua ingorda, affamata, come

se non fosse mai sazia.

È una lingua di lava che traccia spire sul a pelle, affonda nel a carne per

sentirne il sapore, e succhia il miele ancora caldo del desiderio.

Canta solo per noi, Norma!

Per questa mano benedetta, che come un serpente scivola tra i pizzi, mi

lambisce e mi uccide dentro con lentezza ossessiva, e da essa rinasco


giovane

e splendida.

Canta, perché non veda il disinganno nei miei occhi e comprenda l’abisso

che ci separa. Perché sia solo mio, stanotte. E io solo sua.

246

365 racconti erotici per un anno

fRammENTI

29 agosto

di Ester Mistò

Anche sua mamma, quando era piccola, amava sedere su una panchina e
guar-

dare lontano. Solo che sua madre lo faceva nelle paludi del a Biebrza,
cercando
di avvistare le cicogne, mentre Anna sedeva sul a panchina del cimitero,
quello

semidistrutto, quello nel a Okopowa, al ’angolo con la Anielewicza.

Sua madre aveva dato i nomi agli alberi. Anna, invece, sfiorava la lapide di

Tadeusz, incontrava quel a di Cecylia, sorrideva a Bronislaw e faceva


l’occhio-

lino a Zofia. Poi si sedeva sul a panchina di fronte a Natan. Zil lat 6. Vissuto

anni 6.

Si sedeva sul a panchina e vi appoggiava sopra una pietra. Ogni giorno, una

diversa. Una piccola regalata da Tadeusz o una ruvida rubata a Bronislaw.


Per

fermare il tempo. Per proteggere Natan. Per farlo giocare.

E sotto vi nascondeva un fogliettino bianco, piegato piccolo piccolo. Zycie.

Vita, ci scriveva sopra. Jasny. Luce, scriveva. Ogien. Fuoco. Milosc.


Amore.

– Dzien dobry. Buongiorno – le diceva tutte le mattine, quando lei gli pas-

sava accanto. Si fermava, sollevava la pala, le sorrideva e la guardava


allonta-

narsi.

– Dzien dobry – rispondeva lei, abbassando lo sguardo, timidamente.

Ma non quel mattino.

Quel mattino lui le prese la mano e la condusse nel bosco fitto e buio. Cor-
rendo insieme incontro al vento, lei si sentiva gelare il collo, il fiato seccarsi

nel a gola, la mano calda di lui avvinghiata al a sua, i suoi occhi scuri pene-

trarle le pupille e il suo sorriso aperto, più sicuro, incoraggiato dal


’espressione

sorpresa di lei.

Intorno a loro una distesa di lapidi. Dentro di loro, solo crampi e fitte allo

stomaco.

Esausti per la corsa, si appoggiarono a una pietra nera, guardando nel a

stessa direzione. Avanti. Alle lapidi. Al passato. Al futuro. Lui le sfiorò la


nuca

scostandole i capelli sudati, rivelando il collo, i lobi. Le prese il viso con la

mano e mentre, voltandola, la lingua scivolava tra le labbra e i denti, le sue

mani scivolavano nel maglione, afferrandole i piccoli seni morbidi. Un


vento

caldo, tra la neve ai loro piedi, una mano avida sollevarle la gonna e: – Nie.

No … Ja mam. Io ho … – intrufolarsi sotto le calze spesse di lana,


raggiungere

l’irregolarità del ’ombelico, abbassarle l’elastico, infilarsi dentro, dentro,


oltre le

grandi labbra, nelle piccole labbra, bagnate, tremule, calde, contratte, in uno

spasimo, continuo, ripetuto, bagnato e caldo, – … ja mam… krew…


sangue...
– di gioia e di dolore. – Nie. Nie krew. No. Non sangue. Ty zycie. Moye. Tu
sei

la vita. Mia.

365 racconti erotici per un anno

247

sETTEmbRE

30 agosto

di Marco Bartoli

L’auto mi aspetta con il motore acceso, come sempre.

Lui guida sicuro, senza che una parola accompagni i suoi gesti. La strada è
la

stessa che facciamo ogni mese, e giunti al portone mi saluta con un cenno.
Non si

stupisce, né si spaventa di vederli sul a soglia, con le maschere in volto.

Loro mi accolgono, premurosi come sempre.

Mi prendono per mano e mi guidano dentro, annunciandomi agli altri.

Faccio il mio ingresso, e in un attimo sono già nuda, spogliata e bramata da

mani e da occhi che conosco, ma che non so a chi appartengano.

Mi lascio andare e vengo risucchiata, come una goccia d’acqua trascinata in


un

vortice. Ogni contatto è un brivido, ogni parola la promessa di un piacere


immenso.
Lascio che questa spirale di corpi e di maschere, questi odori acri e
dolciastri, questa

musica alta che avvolge la stanza, diventino parte di me.

Il mio seno si trasforma in un arco, teso verso il piacere più estremo, e ogni
volta

che viene toccato mi manda scosse improvvise lungo la schiena.

Le mie mani diventano i petali di un fiore che una volta non conoscevo,
sboc-

ciato al ’ombra del a mia consapevolezza. La mia bocca e le mie gambe


sono aperte

e calde, come i miei pensieri. Il piacere che provo è una coppa di ambrosia
che mi

cola sul volto, velandomi gli occhi e le labbra.

È questo il succo del frutto proibito, la marea che sale inondando il mio
corpo

di mil e punture di spil o. Abbandonarsi a quel a marea è come tornare


bambini, è

assaporare il piacere senza le conseguenze del rimorso. Mangiare quel


frutto è come

togliersi dal petto il peso del ’anima, e sentirla aleggiare libera intorno al a
stanza,

sentendone ogni battito d’ali, avvertendone ogni fruscio, percependone ogni


singo-

lo gemito. È morire, ogni volta. E, per ogni orgasmo che arriva, rinascere.
Finché, dopo aver divorato la vita con morsi voraci, mi sento ancora una
volta

confusa, sazia e incompleta. Il mare si calma, la schiuma si ritrae, le onde si


placano.

Allora mi lavano, mi fanno vestire, mi baciano la mano. Quindi mi


accompagnano

al a porta, facendomi scivolare in tasca, come ogni mese, il mio compenso.

L’auto mi aspetta con il motore acceso, come sempre. Lui guida sicuro,
senza che

una parola accompagni i suoi gesti. La strada è la stessa di sempre, e giunti


al porto-

ne mi saluta con un cenno. Poi apre il finestrino e mi chiede la solita cosa.

– Quanto?

– Il solito. Cinquecento.

Annuisce e tenta un sorriso. – Bene, tesoro. Di questo passo a settembre


potre-

mo sposarci.

248

365 racconti erotici per un anno

valZER DI salOmé

31 agosto

di Eleonora Goi
C’è silenzio nel a sala, un silenzio affilato e opprimente, di domande
sospese, di

respiri trattenuti, di sguardi di sottecchi. Fuori, oltre la porta pesante di


mogano,

oltre le scale di marmo bianco, nel mondo che vive e respira, la musica
ancora

risuona a scandire cento e cento passi di danza.

Neppure un eco, tuttavia, riesce a penetrare la stanza del e ombre, dove il

solo bagliore del fuoco tinge di sanguigno il profilo affilato di monsieur, la


linea

morbida del a bocca di madame.

Attende in piedi, la dama, la schiena che quasi sfiora la parete, il mento ap-

pena sollevato, un animale braccato che sfida superbo le fauci del predatore,
lo

sguardo impudico e deliberato che ancora indugia sul a curva pallida del
collo,

dove la pelle scompare inghiottita dal a seta azzurra.

C’è un che di famelico nel modo in cui la guarda, nel modo in cui la lingua
sa-

etta a umettare le labbra sottili. Parla di desiderio e del sapore metallico del
san-

gue, di marchi sul a pelle e di pensieri interdetti alle donne di buona


famiglia.

– Avrete il mio appoggio, mia signora – mormora, un passo per ogni parola,
fino a che non è tanto vicino da poterla toccare, fino a che, su quel mia, la
destra

si solleva.

È una carezza, dapprima, dita che sfiorano la guancia incipriata, l’incavo


de-

licato del a spal a e poi scivolano giù, repentine, voraci, a ghermire un seno,
a

strapparle un gemito. Lo sente, ora, madame, il corpo di lui premuto contro


il

proprio, solido e bollente oltre la stoffa che li separa, sente la sua mano tra
le pie-

ghe del a gonna, tra le pieghe del a carne, a violare la sua eccitazione, a
sublimare

in un rantolo quel No che le è agonizzato sulle labbra.

Sono un’unica ombra al chiarore delle braci, ombra di carne e seta che si

inarca contro il muro, ombra di mani avide che si muovono, di lingua


vorace che

lambisce, di grida trattenute a stento.

– Era il vostro prezzo, questo? – È roca la voce di madame, un sussurro


appe-

na, macchiata di piacere e di vergogna come le dita umide che lui le poggia
sul a

bocca schiusa.

– No, era la vostra voglia – e quel sorriso impertinente da ragazzino le fa


avvampare il viso e serrare le palpebre con forza, a cercare il buio per
scacciare

la follia di quel fuoco.

Rumore di passi che s’al ontanano, che la lasciano tremante a rassettarsi le

vesti, a tentare di imbrigliare l’affanno e il ricordo di quel corpo addosso.

Rumore d’una porta che si apre, le ultime note di un valzer di Strauss per un

momento, nell’aria.

Di nuovo silenzio.

365 racconti erotici per un anno

249

QUalcOsa DI ROssO

1 settembre

di Laura Poletti

Fino a qualche giorno fa avevo dei dubbi: a volte la mente ti porta a


fraintende-

re quel o che vedi. E, comunque, tutti gli indizi mi davano torto: la


dottoressa

del ’ufficio personale è giovane e agguerrita, con un fidanzato aitante che è


l’invi-

dia di tutte le donne del a ditta. Punto e basta.

Per quel che mi riguarda, sono sempre stata discreta: va bene che siamo nel
duemila, ma certi pregiudizi sono lontani da morire. E per il quieto vivere
basta-

no piccoli sforzi, come omettere i pronomi e parlare il meno possibile del a


vita

privata.

Ma c’era qualcosa di strano: il modo in cui mi sfiorava il braccio, tutte le


volte

che ci trovavamo vicine; il modo in cui si appoggiava al a mia schiena, con


la

scusa di guardare il monitor, tanto da poter sentire la forma del suo seno,
piccolo

e rotondo, attraverso la stoffa del a maglietta; il modo in cui mi sorrideva e


mi

guardava, distogliendo lo sguardo solo un attimo dopo aver incrociato il


mio,

per avere la certezza di essere vista.

Poi, quello stupido test, letto ad alta voce durante la pausa pranzo: che
colore

vi eccita di più? Era toccato a me rispondere e avevo detto la verità: il


rosso.

Da quel momento è cominciato: prima la borsa, poi le scarpe, la gonna e

la giacca. E il reggiseno, che si vedeva in modo deciso sotto la camicia


bianca.

Un’escalation, come un’escalation è stata anche quel a dei miei ormoni. Ma


non
aveva ancora trovato la chiave giusta.

Fino a questa mattina: non l’ho notato subito, la sua tenuta era quel a stan-

dard, gonna scura e camicia chiara, i capelli biondi raccolti in una coda.
L’ho

visto solo quando mi è passata accanto, sfiorandomi la mano: rosso


carminio

sulle labbra.

Capisco che lei lo sa, e non considero i rischi e le conseguenze, aspetto solo

che le gambe possano reggermi per seguirla.

Mi aspetta, e mi ritrovo spinta sul a porta, con il suo corpo contro di me e le

sue mani ovunque. Forse qualcuno bussa, mentre siamo schiacciate nel
minu-

scolo spazio fra la porta e il lavandino, ma non insiste quando si accorge del
a

serratura bloccata.

Forse non sono stata abbastanza rapida a smorzare i suoi gemiti, ma non è

importante, come non m’importa il fatto che la schiena mi farà un male


cane per

giorni, dopo averla premuta con tanta forza sul a porcel ana fredda del
lavandi-

no.Poi, si sistema la gonna ed esce, senza dire una parola. Mentre mi


rialaccio la

camicia chiara lo vedo sul colletto, riflesso nello specchio: qualcosa di


rosso.
L’impronta delle sue labbra.

250

365 racconti erotici per un anno

DUE DI NOTTE

2 settembre

di Eleonora Lo Iacono

Non accenniamo a rivestirci. Sembriamo superstiti di un festino: sono


andati via

tutti e se ci alziamo anche noi è finita la cerimonia. Quando rimetto le


mutandine,

torno donna da sedurre. Mentre aggancio il reggiseno, ricordo che non


soppor-

to chi mi telefona il giorno dopo. Le scarpe mi suggeriscono: scappa. E così


via.

Quando mi rivesto, smetto d’essere normale. Torno confusa. Mi chiama Elli


solo

quando sono nuda. Io rispondo: “Eccomi”. Dico: “Ti voglio”. Nessuno mi


aveva

chiamata Elli, e mi sembra di non essere mai stata chiamata. Dicevano il


nome

di qualcun altro e io non mi voltavo neanche. Lui è come me: riesce a


essere nor-

male solo quand’è nudo. È bello essere simili a qualcuno, mentre si è noi
stessi.
Lui mi guarda in modo diverso, quando gli sbottono la camicia.

Ammonticchio sul a sedia accanto al letto, trame di brutte esperienze, in-

sieme al a biancheria. Nudi siamo ingenui, inesperti di ragionamenti.

– Fammi l’amore – gli dico, di notte. Lui risponde con i fianchi.

Nudo è senza domande. È pelle che parla di desideri. È bocca che sorride

semplice. È baci, e tutto suona. Schiocca. Nuda sono senza mode né artifici.

Faccio pendant con le sue cosce. Sono mani che bal ano la mia musica.
Nuda

ho le risposte. Sono.

Lui mi ricorda una pioggia vecchia. Ridevo, sedicenne, per un acquazzone

di fine giugno. Le mie braccia nude e bagnate odoravano come lui. Lo


annuso

e gli dico: – Piove. – Mi risponde che ci sono trenta gradi, altro che pioggia.

Piove ogni volta che sudi – e mi viene da ridere, e lecco la sua pioggia fino
al a

sete. Mi torna la voglia di sentire il sapore di quel tempo. Quando siamo


nudi,

torno bambina. Non ho ancora sbagliato niente; e come se fosse la prima


volta

che al argo la mia voglia di fronte a occhi d’uomo, mi torna la smania di


urlar-

gli – Sì -. Ancora. Appena combaciamo, lo stringo. Mi sussurra di non


smet-
tere. Rischio di morire di nuovo, se non lo faccio. Smetterebbe di
chiamarmi

Elli. E che sarei? Mi rivestirebbe, la farsa del a donna che non sono. Così lo
lego

con le gambe, fino al dolore. Se stringo, non mi perdo. – Non smettere –


prego.

Non riesce quasi a muoversi; ondeggia, al acciato al a mia paura. – Elli,


sono

tuo. –Mi appoggia sulle labbra. Non so se lo dice perché è vero. Lo è


adesso. Lo

libero e gli permetto di farmi urlare – Sì – a morsi. Se dico sì tre volte, è


l’estasi

che mi rimbomba le parole nel a testa e dappertutto.

Notte fonda. Non accenniamo a rivestirci di quel ’età che non serve, in que-

sta cerimonia.

365 racconti erotici per un anno

251

maDamE cRUDElTà

3 settembre

di Barbara Bertucci

Vivevo dentro una favola capovolta. Iniziava laddove finiscono tutte le


altre.

Quel “vissero felici e contenti” mancante. Quel ’abominio al quale ero


costret-
ta. Un matrimonio quasi imposto. D’interessi, direbbero oggi. Del mio,
d’in-

teresse, non v’era traccia. Dopo anni mi ero ormai assuefatta. Attraversavo
le

lunghe e agonizzanti ore immersa nel tedio d’una quiete innaturale. La noia

allevava i miei piccoli mostruosi parti mentali. Ero una ricca borghese
viziata

che non aveva nul a da fare se non contemplare quel nul a dal ’alto del a sua

privilegiata posizione. I soldi di un coniuge quasi sempre assente a pagare


ogni

desiderio. Anche il più inutile. Per esempio ad assumere una giovane al mio

servizio. Che non gradii per nul a, al principio. Vent’anni più giovane di me.

Un vero supplizio. Il continuo paragonarsi con quelle acerbe forme. Con


quel a

freschezza. Urlava bellezza e giovinezza da tutti i pori. Mi faceva


impazzire.

Mi sentivo una cariatide, in confronto. Un monumento sfigurato dal tempo.

Naturalmente non ero niente di tutto questo. Ero perfetta. Magnifica. Ma


ac-

canto a quel a bimba d’incantevoli fattezze mi figuravo come una


decomposta

ottuagenaria. La odiavo. E ne ero al contempo terribilmente attratta. Volevo

insudiciarla. Rovinarle l’innocenza. Sporcarle tutto il suo candore. Diventò


prediletto passatempo. Insidiarla. Farle perdere il senno. Mutarle il pudore
in

feroce lascivia. Plasmarla a mia immagine e somiglianza. Svezzarla al


peccato.

La facevo entrare nelle mie furenti stanze. Adagiata sul a mia chaise longue

l’attendevo sgualdrina dal depilato corpo fiammante che mostravo


impudica-

mente, velato di nere trasparenze. Con un candido grembiulino orlato di


pizzo

sangallo e basta la pregavo di raggiungermi. Calze di seta nera e giarrettiere


a

completare la struggente immagine che di lei volevo. Mio strumento di


piace-

re. A stuzzicarmi le voglie. La volevo a quattro zampe. Doveva offrirmi la


vista

delle sue rotonde natiche in concupiscenti pose. Per dilettarmi, sferzavo il


fru-

stino di pelle su quel a rosea perfezione che volevo disfare. La sua saliva
calda

doveva scendere lenta su ogni mio orifizio, rendendomi omaggio. Le ricam-

biavo i favori godendo dei suoi spasimi e del suo affrettato respiro gemente.
La

trasformai in una lubrica viziosa dalle tremendi voglie a tormentarle il


sonno.

Nel a mia schiava dei piaceri proibiti.


Una dolce e sontuosa vendetta al crudele oltraggio di quel ’imposta esisten-

za mancante di slancio.

252

365 racconti erotici per un anno

l’ORgasmO DEl PIccIONE

4 settembre

di Xel

Dovevo aspettarmelo: quel a scena l’avevo vista dal balcone del mio
bilocale

mentre fumavo una sigaretta, appena il giorno prima.

Per tutta la serata lui aveva sfoderato un sorriso vincente e affascinante.

Casualmente aveva fatto in modo che leggessi le griffes dei suoi abiti e che
gli

facessi i conti in tasca. Aveva tirato fuori l’iPhone ridacchiando per qualche

SMS galante, affermando di essere molto ricercato. Aveva pagato il conto


del a

cena - il ristorante era chic e costoso - mi aveva offerto il miglior vino del a

lista, richiesto la mia canzone preferita al pianista e aveva aperto la portiera

del a Porche per farmi salire. Era tutto troppo perfetto...

L’avevo invitato a salire a casa per un drink, Martini senza ghiaccio, e anco-

ra aveva messo in mostra la sua impeccabile capacità di conversazione sui


più
disparati argomenti, dal a politica al a musica, e a dire il vero la sua danza
di

seduzione mi aveva pure convinta, al punto che quando mi baciò non


mostrai

la minima esitazione.

La sua lingua sapeva di menta e tabacco mentre si avvolgeva al a mia, le


sue

mani con grazia e delicatezza mi avevano sbottonato la camicetta al a


ricerca

dei seni. Li accarezzava con cura, strofinando appena il pollice sui


capezzoli.

Ero già bagnata, come le sue labbra mentre mi sfioravano il collo.

Anche i preliminari erano perfetti: le sue dita dentro di me avevano rag-

giunto punti che io stessa non credevo così sensibili, mentre la sua lingua
mi

portava sempre più vicina al ’orgasmo danzando attorno al clitoride. Mi


senti-

vo esplodere quando lo fermai: – Non farmi venire così. Entrami dentro –


gli

dissi. Lui sfoderò nuovamente quel sorriso vincente mentre mi accarezzava

ancora un attimo fra le gambe con il sesso duro avvolto nel preservativo,
poi

con un colpo di reni mi fu dentro.

Non troppo grosso né troppo piccolo: perfetto. Si spinse in me, una, due, tre
volte… c’ero quasi… e poi più niente. Venne con un gemito strozzato,
un’espres-

sione estatica, e dopo trenta secondi di convenevoli era già sotto la doccia.

Doveva esserci per forza la fregatura!

Mi tornò in mente la scena del giorno prima: la lunga danza di seduzione

di un piccione maschio, la resa finale del a femmina e l’accoppiamento,


velo-

cissimo, tanto che non ero riuscita neppure a contare fino a tre. Mi sorpresi
a

chiedermi se anche loro avessero l’orgasmo, mentre con le dita finivo da


sola

quello che lui aveva lasciato incompiuto.

365 racconti erotici per un anno

253

Il RIchIamO DElla fOllIa

5 settembre

di Cinzia Leo

Accadeva ogni notte. Un urlo sospirato svegliava Angelo. La donna che gli

dormiva accanto si trasformava. Clara apriva gli occhi ma quel ’azzurro era
in-

naturale: metallico. Angelo le carezzava il viso, attento a non svegliarla. Era


in-
sopportabile ignorare cosa vedesse in quei momenti; lei si agitava,
sgusciava tra

le lenzuola stiracchiando gambe e braccia come un gattino. Miagolava.


Faceva

le fusa con gridolini convulsi e spezzati. Ne desiderava ancora, di carezze.

Angelo sedeva immobile a guardarla. Stringeva il lenzuolo finché le nocche

non diventavano bianche. Sudava. Di rabbia disperata. Era ipnotizzato dalle

mani di Clara che, per aria, disegnavano archi sempre più grandi, vedeva le
sue

gambe divaricarsi e la seta del a veste scivolarle fino al ’inguine. Poteva


sentir-

ne il fruscio, respirare l’odore acre del desiderio nascosto.

Clara ululava reclinando il collo al ’indietro. I ricci biondi, alle volte, sfiora-

vano la pelle di Angelo sparpagliandosi tra i cuscini e, a quel contatto, la


virilità

del suo corpo rispondeva feroce. Angelo restava così. Paralizzato. Non
voleva

assistere ancora ma non osava allontanarsi.

Clara ansimava sollevando il petto, a ritmo crescente, mentre una mano

stringeva il cuscino. Alcune sere lo fissava pungendolo, dentro. Angelo


sapeva

che non era per lui quello sguardo, ma di fronte al a vulnerabilità di un


deside-

rio, era costretto a rispondere pulsando di passione.


La vedeva inarcare la schiena e impazziva di gelosia per quelle carezze
invi-

sibili. Poi, un urlo acuto, di quelli che liberano l’anima, metteva fine allo
strazio

di Angelo. Un incubo a occhi aperti, per lui. Eppure, lo aspettava, quel


’incubo.

Godeva solo di quel misterioso orgasmo del a moglie finché, avvilito e


strema-

to, si lasciava anche lui cadere sul letto.

Clara tornava a dormire serena, ma lui no. Sconfitto dal ’impotenza, la

guardava. Il mattino dopo sarebbe tornata la donna di sempre. Estranea a se

stessa e al mondo. Imprigionata, da cinque anni, nel a follia di una nevrosi.

Non un suono sarebbe uscito da quel a bocca; nessun gemito o parola


consa-

pevole lo avrebbero scosso. Sua moglie non esisteva che di notte, ma non a
lui

appartenevano quegli stralci di vita.

Eppure, Angelo non l’aveva mai desiderata così.

Niente lo aveva eccitato tanto, prima.

Questa, la sua tragica follia.

254

365 racconti erotici per un anno

vIbRaTORI a gRaPPOlO
6 settembre

di Marco Migliori

– Eccone uno, signore – disse la dottoressa Bel i.

Il generale prese dal a mano del a dottoressa l’oggetto e lo esaminò. Un


cilindro,

con un’estremità arrotondata e due piccoli razzi dal ’altra parte. –


Incredibile. E lei

dice che quest’arma farà finire la guerra?

– Ne sono sicura. Vede...

Un tecnico di laboratorio la interruppe: – Siamo pronti per il col audo.

Il generale seguì la dottoressa in una stanza divisa da una larga vetrata. Dal
’altra

parte, una prigioniera appesa per i polsi.

– Ha la mimetica – disse il generale. – Come fa il missile...

La dottoressa indicò una sporgenza sul a coda del cilindro: – Con questa
punta,

girando, il missile taglia la stoffa intorno al ’obiettivo.

– Ah. Adesso è chiaro. Procediamo.

Un tecnico schiacciò un pulsante. Due scie si materializzarono quasi


istantane-

amente attraverso la stanza. Un turbinio di stoffa tagliata al ’altezza dei


fianchi del a

prigioniera, e i due missili erano posizionati e operativi.


– Vede? – La dottoressa indicò dei quadranti. – I missili stanno avendo
effetto

sul a vittima. Le faccio anche notare che non l’hanno ferita nel tagliare la
stoffa.

– Benissimo. L’arma è funzionante. Quanto ci vorrà per una prova sul


campo?

– Abbiamo già pronte le rampe di lancio. Aspettavamo solo la sua


autorizzazio-

ne per l’attacco in massa.

– Procediamo senz’altro.

Dieci minuti dopo erano sul tetto a guardare le scie dei razzi in partenza.

– Dottoressa, mi stava dicendo che pensa che quest’arma farà finire la


guerra.

– Sì. Secondo i nostri studi, le amazzoni combattono perché sessualmente


re-

presse dal loro regime.

– Capisco. Spero che funzioni.

– Anch’io.

– Senta, mi è venuto in mente che le amazzoni hanno dei maschi come


servi.

– I missili identificano tutti gli obiettivi su cui possono agire. Vengono


escluse

solo le persone basse. Bambini e nani. Gli altri scopriranno la parte


omosessuale che
è in ognuno di loro.

– Capisco. Senta, non le sembra che metà dei missili stia tornando indietro?

La dottoressa si era tolta il camice e si stava slacciando la gonna.

– Ma che sta facendo?

– Anche noi combattiamo, non solo loro. Lo scopo del progetto non è
vincere,

ma far finire la guerra. Mi scusi, ma questa è l’unica gonna che mi è


rimasta. Le

consiglio di togliersi l’uniforme, se non vuole che si rovini.

365 racconti erotici per un anno

255

maREE

7 settembre

di Aurora Alicino

Nudi. Io supina, testa e spalle adagiate su morbidi cuscini, attendo.

Lui in piedi davanti a me, con un’erezione già in atto e la borsa accanto.

La apre, estrae la solita boccetta. Ne versa il contenuto in un bicchiere e me

lo porge: il liquido incolore, inodore e dal vago aroma di anice, mi scende


in

gola.Lui inizia a manipolare il mio corpo con quel tocco pesante e sfacciato
che
mi fa impazzire. Roba sua, sì, sono roba sua, un oggetto, una schiava, una
ca-

via. Le dita esplorano le mie curve e le cavità, gli angoli d’ombra, le


fossette e

le giunture. Ecco, ora ha deciso da dove partire. Si alza, estrae dal a borsa
un

bisturi. Mi guarda, come farebbe uno scultore con un blocco di marmo:


forse

vede già in me la sua opera d’arte. Fremo.

Sale sul letto, traccia due solchi leggeri sulle mie cosce, due onde. Poi, un

cerchio attorno al ’ombelico: la Luna, che governa le maree. Stringe pollice


e

indice lungo i segni lasciati dal a lama. Il sangue inizia a defluire e al suo
posto

l’eccitazione mi entra nelle vene. Divarica la ferita sul a pancia e soffia sul
a

carne viva. Ho un brivido, quasi una convulsione, grido. Onde, ancora onde

sulle mie braccia, onde che pulsano e buttano fuori vita e stress. Eppure,
non

mi sono mai sentita così viva. Vorrei che mi facesse sua, vorrei toccarmi, lui
si

limita a strusciarmi il suo sesso addosso, si impregna del mio sangue e mi


im-

pedisce ogni movimento. Due soli, ora, sul mio petto, e raggi rossi
tutt’intorno.
Gemo. Tanti piccoli tagli lungo i dolci pendii dei seni. Li spreme, ed
eruttano

linfa vitale da decine di crateri secondari.

Si alza per contemplarmi.

Languisco in una pozza vermiglia. Con le ultime forze mi giro su un fianco,

premo l’interruttore del trasmettitore olografico VR e lui scompare. A poco


a

poco le ferite si rimarginano, il sangue svanisce, le lenzuola tornano


candide.

Riprendo a respirare regolarmente, poi sospiro, e ancora, sempre più forte.

Le mie mani sfiorano l’inguine...

256

365 racconti erotici per un anno

abbIa PaZIENZa

8 settembre

di Maurizio Matrone

– Sì, pronto?

– Ciao sporcacciona, sono io.

– Ciaaaao! Ciao cazzone mio, allora?

– Ti ho chiamata perché ho voglia di scoparti.

– Lo sai che non aspetto altro, maschione. Mi eccita solo sentirti parlare,
vengo
solo con la tua voce, mi bagno solo con le tue parole e…

– Dài, smettila, lo so che ti piace, me lo fai diventare durissimo.

– Oh, non vedo l’ora di prendetelo in mano.

– Mmm. Solo in mano?

– No, cazzone, anche in bocca. E davanti, dietro, sempre, tutte le volte che
vuoi.

– Non ce la faccio più, ho bisogno.

– Anch’io, amore…

– Mi piace quando mi chiami amore.

– Anche a me piace chiamarti amore quando la tua lingua mi fa venire


come

una pazza e ho un wurstel su per il culo…

– Anche a me piace che mi chiami amore quando la mia lingua…

– Oh, cazzone mio, e allora? Quando ci vediamo?

– Alle quattro?

– Alle cinque è meglio, prima ho i bambini.

– E tuo marito?

– Torna alle otto, tranquillo.

– Bene, allora lasci i bambini dai nonni e vengo io da te?

– Be’, direi di sì, no, aspetta: è meglio che venga io da te.

– Come preferisci, basta che veniamo insieme come l’altro giorno…


– Oh, sì mi sono masturbata a ripensarci con quei wurstel dentro i nostri
culi…

– Guarda, anch’io, a ripensarci me lo sono massacrato di seghe.

– Massacrato? Guarda che…

– No, tranquil a, è bello pronto.

– Meno male, ci tengo al tuo cazzo… e ai tuoi wurstel. Allora passo io,
occhei?

– Occhei, alle sei, non vedo l’ora…

– Anch’io, Roberta, non vedo l’ora…

– Roberta? Ma… Giorgio?

– Giorgio? No, scusa, non sei Ro…

– No, e tu non sei Giorgio? Chi sei, stronzo?

– Ma, scusi, non ho fatto il 3476661…

– No, bastardo…

– Eh, ma scusi, abbia pazienza, avrò sbagliato numero, no?

365 racconti erotici per un anno

257

POsIZIONE PI gREcO mEZZI

9 settembre

di Marinel a Lombardi
Lo desiderava. L’attendeva al varco. Lui aveva scelto il giorno giusto per
rivederla.

Un anno e 73 giorni dopo, si trovava accanto a lei. Anzi, fra le sue braccia.
In un

risucchio umido di baci. Lei non l’aveva dimenticato. Gli aveva aperto la
porta e

cercava, in quel momento, di spalancargli la patta.

– Sei-uno-zero, ricordi? – esordisce lui, mentre lei si sfila la maglietta.

– Sì – risponde lei. L’aveva agganciato con un numero e lui l’aveva baciata.


Il 28

giugno. Poi era sparito.

– Sai che giorno è, oggi? Il 9 settembre 2009. In cifre: 9-9-9 – riprende lui,
mentre

lei si slaccia il reggiseno.

– Quindi? – incalza lei.

– Un numero palindromo. La più piccola somma di numeri primi di tre cifre

pandigitali – esclama lui d’un fiato.

Litia solletica i bottoni del a camicia di Otto e quelli schizzano via a uno a
uno.

Poi si arresta. – Pan… che cosa? – lo fissa.

– Pandigitali. 999 = 149 + 263 + 587. Tutte le cifre da 1 a 9 – risponde lui.

Lei scoppia a ridere, poggiando il capo sul a spal a di Otto.


Se ride, ama i numeri ed è felice, pensa lui. La scruta, le labbra convesse e
lo sguar-

do algebrico. I seni gli fanno il solletico, sono coni da leccare. Taglia terza:
3, come

l’esponente (8 = 23). E si rilassa. Un gesto, anche i pantaloni cedono e Otto


guizza

nudo sotto di lei. Pelle su pelle, una danza di superfici che si fanno
geodetiche nello

spazio. Litia l’accarezza con la lingua e le dita, si appiglia a ogni sporgenza.


Ansima,

a tratti geme. Lui avverte fitte ripetute, amplificate: è un numero decimale


periodico

e affoga di piacere in un mare infinito di cifre. Pensa al a natura dei numeri


pari, li

vede sfilare uno accanto al ’altro e poi urla: – Goldbaaachhh!

Cara Litia,

sono al a deriva, da quando sei penetrata in me. Tu, ovunque densa, hai
interpo-

lato il mio corpo, incurvandolo. Un terremoto quando lui è schizzato su un


angolo

retto. Pi greco mezzi radianti. Fiero e perpendicolare. Che volo, tesoro! Ti


sei ferma-

ta a mirarlo e poi l’hai integrato a te, in te, per parti. E una scossa ha
provocato uno

scossone. Un’eruzione vettoriale! Un calcolo si è smosso e ho urlato. La


congettura
di Goldbach! Ogni numero pari è somma di due numeri primi. L’ho
dimostrata,

ho trovato la chiave, in quel momento esplosivo! I numeri sono con noi,


Litia! Per

l’ipotesi di Riemann sui numeri primi c’è un premio da un milione di dol


ari. Do-

mani, 11, è un giorno primo e palindromo. Giochiamo ancora al a posizione


pi

greco mezzi?

Un bacio a 360 gradi, il tuo Otto

258

365 racconti erotici per un anno

la cOlONNa sONORa

10 settembre

di Samuele Nava

Non mi era mai successo, neppure quand’ero giovane e bello, di conoscere


una

ragazza e di finirci a letto la sera stessa del primo incontro. Meglio tardi che

mai.

Volevo darle una buona prima impressione quindi ho profuso un impe-

gno al limite del ’infarto. Confesso che per vincere l’ansia da prestazione
avevo

ingurgitato un paio di pasticche stimolanti, ma molto mi ha aiutato pure la


musica di sottofondo.

Eravamo in casa sua e, appena messo piede in camera da letto, lei ha


infilato

quel CD nello stereo. Musica magica, onirica, erotica. Non trovo le parole,
pos-

so solo dire che quel a ragazza sapeva come creare la giusta atmosfera.

Dopo l’amore, esausto e soddisfatto, mi sono imposto di non dormire. So

di russare, in questi frangenti. Lei mi ha detto: – Vabbé, siamo stanchi, ma

domattina ci rifaremo al a grande. Buonanotte, tesoro.

Io avevo dato fondo a tutto il repertorio: che cosa pretendeva di più, quel a

ninfomane? Partì un rombo di tuono: si era messa a russare.

A quel punto mi sono alzato dal letto per andare a pisciare. Mi sentivo

umiliato, offeso, vecchio e impotente. Anzi, no, mi sentivo un innamorato


non

corrisposto.

Sono passato accanto allo stereo e distrattamente ho preso in mano la cu-

stodia del CD, chiedendomi chi fosse l’autore di quel a musica che tanto mi

aveva affascinato.

Nessun nome era indicato in copertina, solo una scritta fatta con un penna-

rello rosso titolava il contenuto come: “musica per fare l’amore”.

Titolo azzeccato. Ne sorrisi.


C’erano altri due dischi lì accanto, uno titolato “musica per fare i mestieri”,

l’altro “musica per leggere”. Mi parve chiaro che la vita di quel a ragazza
era

immersa in una continua colonna sonora. Mi piaceva, mi piaceva davvero.

Ero cotto. Decisi che avrei fatto di tutto per non perderla: al risveglio l’avrei

sderenata!
Feci pipì e poi mi avvicinai al suo volto dormiente. Era bellissima. Ancora

russava e le sue labbra vibravano a ogni grugnito.

Poi, non so quale ispirazione mi colse: aprii il cassetto del suo comodi-

no. Cosa cercavo? Forse una fotografia, un libro, un diario segreto. Trovai
una

frusta a lingua biforcuta, un vibratore solcato da protuberanze abrasive, un

coltello di quelli per squamare il pesce e una graffettatrice con


l’impugnatura

foderata di cuoio nero. E un CD titolato “musica per coprire le urla”.

Chiamatemi fesso, ma me ne sono andato.

365 racconti erotici per un anno

259

bUcO NERO

11 settembre

di Enrico da Violemay

Erano passati due anni dal a prima volta che ci eravamo incrociati, a casa di

Agnese. Stel a era arrivata con un grosso zaino e dei pantaloni marroni, sco-

loriti, che insieme alle scarpe da ginnastica e ai capelli color cenere non la

rendevano attraente. Agnese le dava ripetizioni di greco. Mentre ero seduto

sul divano con le gambe accaval ate, Stel a si è seduta al mio fianco, serena
e
decisa, per chiedermi qualcosa di me.

Ora ero seduto al tavolo di un ristorante elegante, con mezza bottiglia di

vino in corpo; lei mi guardava con quegli occhi bril anti, la mano poggiata

sul a mia, e sapeva tutto di me: perché io e Agnese ci eravamo lasciati;


quali

fossero le mie aspirazioni e i miei limiti; cosa sapevo di quel a notte di


sesso

tra loro. La prima e unica per entrambe, non erano attratte da altre donne.

Ma qualcosa di lei, una ragazzina priva di senso del peccato con uno
sguardo

dolce e sognante, aveva fatto scattare in Agnese la voglia di assaggiare il


sapore

nascosto tra le sue gambe. E Stel a - come avrei capito presto - non sapeva
dire

di no. Ora avevo anch’io quel a voglia. L’avevo sentita crescere, in quei
mesi,

vedendo Stel a camminare verso la mia auto, dopo avere atteso che uscisse
da

scuola per portarla a casa.

Chiesi il conto e uscimmo, in silenzio, con un accenno di sorriso sulle lab-

bra. Prima di finire il vialetto, la girai verso di me e la baciai. Nel a sua


bocca

sentii il sapore dello sherry che avevamo bevuto, mischiato a quello del
’ado-
lescenza. Salimmo in auto. Nel tragitto ci baciammo ancora, e le strisciai la

mano tra le gambe, nel buio, fino a infilarle le dita tra i peli folti. Era
bagnata.

Mi chiese di salire in casa.

Al ’ingresso, sul pavimento di legno chiaro, mi disse di togliere le scarpe

e lo fece anche lei. Entrammo in camera sua. C’erano foto di lei al mare e di

saggi di danza, libri, CD e quaderni colorati, vestiti sgualciti e biancheria. Il

letto era piccolo, tra l’armadio e il muro, coperto di bambole e peluche. Mi

sdraiai su di lei guardandola negli occhi e ci strisciammo, pube contro pube,

mentre le baciavo il collo e le strizzavo i seni morbidi. Mi slacciò la camicia


e

poi i pantaloni. Me li tolsi mentre mi annusava il petto. Poi chiusi gli occhi
ed

entrai dentro di lei.

Sentii come se il suo corpo fosse centrato sul suo sesso, come se le dimen-

sioni dei suoi fianchi fossero quelle di un grande cerchio con una fessura al

centro. Il busto e gli arti erano solo un contorno inutile a quel ’apertura
calda.

Ero stato inghiottito.

260

365 racconti erotici per un anno

acQUa
12 settembre

di Juan José da Silva

Serena si spoglia senza cura. Il maglione di lana rossa scivola per terra e
mostra

il seno piccolo e sodo. I pantaloni finiscono sul ’appendino attaccato al a


porta.

Le mutandine rosa, semplici, nel cesto del a biancheria.

Regola l’acqua del a vasca e ci butta dentro il contenuto di un sacchettino di

sali da bagno: che venga una bel a schiuma. Rosa selvatica, oggi.

Serena guarda la vasca riempirsi e sente calore sul corpo. Il calore del ’ac-

qua? Forse sì. O il calore del desiderio di lui?

Da quanto è andato via? Serena si annusa le mani per sentire il suo profu-

mo, per sentirlo ancora vicino. Dopo, sarà solo rosa selvatica, dopo sarà
ancora

solitudine fino al suo ritorno.

Si guarda un attimo allo specchio, i capelli arruffati, gli occhi appiccicosi


del

risveglio. E poi i capezzoli piccoli e duri, irti, piccoli proiettili d’amore


puntati

verso il prossimo, verso il mondo. Li accarezza appena con la punta delle


dita e

un brivido la scuote. Ha i capezzoli così sensibili! A lui piace baciarli e


quante
volte lei lo ha fermato per non venire subito, per farlo durare ancora.

La mano destra scende accarezzando il ventre, e poi ancora più giù, a toc-

care il pube.

Si infila piano nel a vasca. Scotta! Lentamente, un sussulto quando il sedere

tocca l’acqua, e poi dentro, giù, tutta. Solo la testa fuori. I capelli lunghi,
sciol-

ti, stanno appoggiati sul a schiuma, una ragnatela nera su tela bianca. Lascia

andare i pensieri e la mano torna ad accarezzare quel capezzolo, mentre


l’altra

accarezza il sesso, ora, due dita premono leggermente e lui risponde,


accettan-

dole.

Serena sente la lingua di lui farsi strada dentro, penetrarla dolcemente, le

sue labbra chiudersi a mordere leggermente il clito, a succhiarlo. Sente il


sesso

di lui grosso, duro, entrare lentamente dentro di lei. Sente solo calore e
piacere

che arrivano a soddisfarla. Serena apre la bocca e geme sottovoce quando


rag-

giunge l’orgasmo.

Sorride. Addosso ora ha solo rosa selvatica, ma dentro ha imprigionato an-

cora il sapore di lui, e adesso potrà riaverlo ogni volta che ne sentirà il biso-

gno.
365 racconti erotici per un anno

261

la mUNgITURa

13 settembre

di Marco Zava

Ora vuole solo dormire. Abbandonarsi e crol are nel buio e nel niente. Basta
piacere,

eccitazione, orgasmi. Ormai non li conta più, né i suoi né quelli di lei, e non
riesce nep-

pure lui a capacitarsi del a sua resistenza. Ma così è troppo anche per lui.
Lei è troppo.

Una procace infermiera da fumetto, tale quale l’ha sognata dai dodici anni
in poi, le

autoreggenti bianche sotto il camice così corto che copre a malapena il


taglio glabro

del a fica e così stretto che le tette gonfie come palloncini minacciano di far
saltare i

bottoni. Gli è bastato vederla per dimenticarsi delle cinghie che lo tengono a
braccia

e gambe aperte disteso nudo sul lettino, e degli aghi nelle vene. Lei si è
chinata su di

lui, le grosse mammelle appoggiate al suo petto nudo, e per lui non c’è stata
più scelta.

Masturbato, succhiato, cavalcato, il suo cazzo ha prodotto in entrambi un


orgasmo
dopo l’altro, ma ora non ha più niente da dare. Quando lei, non ancora
sazia, passa la

lingua fra i solchi del suo addome muscoloso, lui implorerebbe pietà, se
solo riuscisse

a parlare, ma non gli esce che un gemito. Il suo sesso, ancora semiduro e
bagnato di

sperma, è inglobato in una bocca avida e bollente.

Lo sveglia l’intensità del calore e del a suzione. Nessuna infermiera, anche


se gli

aghi nelle braccia legate ce li ha davvero. Al suo posto, un cilindro di


plexiglas colmo

di un gel caldo e denso gli risucchia ritmicamente il sesso. Gli sfugge un


gemito, di

piacere e di sconforto insieme. Succede ogni giorno da quando l’hanno


portato lì.

Lei arriva appena si addormenta, e abusa di lui in tutti i modi possibili. Il


sensore sul

prepuzio registra il farsi ritto e duro del suo cazzo, e la mungitrice entra in
azione. Se

il cocktail di stimolanti ormonali e psicotropi che gli sgocciola nelle vene è


ben dosato,

ha almeno la fortuna di appagare in sogno le sue voglie, e venire fino al


’ultima goccia

di sperma. Altrimenti, come ora, chiude gli occhi per non vedere i tentacoli
meccanici
con cui la macchina lo violenta, ma non può fare a meno di godere a sentirli
scorrere

sul a pelle nuda come decine di lingue e di dita, stringergli le palle in un


viluppo di

piacere, e insinuarsi fra le cosce a stimolare l’ano.

Con una guaina avvolgente come una fica che gli risucchia il cazzo e un
tentacolo

fallico che gli fotte il culo, la mungitrice gli strappa gli schizzi di un ultimo
orgasmo,

ne scansiona il materiale genetico e aval a la sua sopravvivenza per un altro


giorno nei

laboratori del ’Eugenetic Biotech.

262

365 racconti erotici per un anno

chamPagNE

14 settembre

di Edda Biasia

È domenica pomeriggio, piove, Rosa è seduta da sola sul divano, le gocce


di

pioggia sono sogni infranti. Pensa a Mario. Sospira. Da anni è il suo


amante,

spesso assente; Rosa accetta da lui rassegnata poche briciole di attenzione.


Per

consolarsi si è comprata oggi una bottiglia di Champagne; ne versa un bic-


chiere, lo beve a piccoli sorsi, passa più volte la lingua sulle labbra, è
frizzante

e fresco. Sfoglia una rivista, con foto di vestiti e pubblicità varia. Sceglie
dieci

vestiti. Immagina siano regali di Mario. A centinaia riempiono già armadi e

cassetti, come corpi senza vita. Sospira ancora. Il cielo è grigio. Al ’ultima
pa-

gina, Rosa chiude la rivista imbarazzata; c’è una pubblicità irriverente.


Riempie

di nuovo il bicchiere, osserva le bollicine, una danza. Un lampo negli occhi,


la

riapre: foto di maschietti belli, muscolosi, nudi, a fianco i numeri di


telefono

con le prestazioni: dal Kamasutra, ai massaggi erotici, giochetti vari con


stru-

menti strani, fino a… lo faccio al a francese. Rosa ha un’idea vaga del


Kama-

sutra e dei giochetti, ma nessuna sul farlo al a francese. Osserva affascinata


le

foto dei maschietti . Alcuni sono biondi con capelli corti, altri mori con
chiome

lunghe, o hanno la pelle come l’ebano. Beve a grandi sorsi, le bollicine


sempre

più effervescenti. Si alza di scatto, corre al telefono e… sceglie incuriosita il

regalo per la serata!


Canticchia la “Vie en rose”, accende decine di candele, bril ano come stelle,

si spoglia, arrossisce mentre si depila il sesso, una bocca aperta a nuove


sen-

sazioni. Scioglie i capelli, indossa un négligé nero e trasparente, i seni


floridi

sembrano straripare. Si stende sul divano, accarezza i capezzoli, sono


turgidi

come chicchi d’uva, passa la mano sul sesso, è liscio e morbido come un
pe-

talo. Guarda l’orologio, ancora pochi minuti di attesa, le fiammelle vibrano


di

eccitazione.

Arriva, è bello come un modello, profuma di muschio, i capelli fino alle

spalle, la pelle liscia come il marmo. Senza parlare lui si spoglia, il pene in
ere-

zione. Rosa vorrebbe fargli alcune domande, lui le apre le gambe, è bagnata
di

piacere; le bacia il sesso, lo bagna con lo champagne, il ticchettio del a


pioggia

accompagna i movimenti veloci del a lingua sul clitoride, mentre cambia


ritmo

e intensità. Rosa geme di piacere, stringe il pene turgido, lo lecca inebriata,


le

bollicine di champagne le bal ano in testa… che sia perché lo stanno


facendo
al a francese?

365 racconti erotici per un anno

263

maI

15 settembre

di G. B. Shock

Qui nel privé la musica non è così assordante. Monica mi precede, forse per

offrirmi la vista mozzafiato di lei che si siede accaval ando le gambe, coper-

te a malapena dal vestito cortissimo. Sa che mi fa impazzire, così come sa

che mi fa impazzire il semplice gesto di raccogliersi i capelli. Lo ripete e mi

sorride maliziosa. Mi tiene in pugno. A legarmi a lei è la lunga catena com-

posta da piccoli gesti quotidiani apparentemente insignificanti, ma che ese-

guiti da lei acquistano quel fascino erotico che giorno dopo giorno ha con-

tribuito a cementare la mia ossessione. Il nodo che ho al a gola e l’ormai

doloroso gonfiore che mi impedisce di sedermi comodamente mi ricorda-

no che fra un’ora al massimo i miei desideri più perversi saranno esauditi.

Il cameriere ci porge i listini, ma prima che io possa dire alcunché, lei


prende

l’iniziativa, ordinando per tutti e due. Vista da fuori sembra una cosa
insignifi-
cante. Per me è un’altra stretta al cuore, un altro brivido fra le gambe, e lei
lo sa.

I suoi occhi trapassano i miei. Sono io a decidere per te, dice il suo sguardo.

Non so come se ne accorse. Fatto sta che una mattina, davanti al a macchi-

netta del caffè, mi rivolse la parola: – Ho visto come mi guardi.

Prima che potessi ribattere, continuò: – So esattamente quello che pensi.

Quando ti passo vicino, quando tossisco per schiarirmi la gola.. Vorresti fot-

termi, lo so. Ma sono io ad averti fottuto il cervello.

L’erezione improvvisa che mi colse fu il segno di resa che sancì la sua com-

pleta vittoria. Sorridendo, si allontanò. Le appartenevo.

Posato il bicchiere vuoto sul tavolo, si passa la lingua sulle labbra. Un’altra

frecciata. Ormai sono allo stremo. Il mio cuore quasi si ferma quando sento
il

suo piede appoggiarsi fra le mie gambe e iniziare un lento massaggio.


Porco,

dice il suo sguardo. Sei così insignificante che meriti di essere toccato solo
con i

piedi. Mi mordo le labbra per mantenere la concentrazione.

– So che ti ho ordinato di uscire con me, stasera, e che ti ho promesso che

poi avremmo scopato. – Il movimento continua. Gli occhi mi si riempiono


di

lacrime mentre a fatica soffoco un gemito. – Ma ho cambiato idea.


Il movimento cessa.

– Non potrai mai avermi.

Il mio orgasmo si infrange dolorosamente contro le sue parole.

– Ho pensato che è più divertente così. Non trovi?

Sospirando, una sola parola mi esce dalle labbra.

– Sì.

264

365 racconti erotici per un anno

amORE E cOllEZIONIsmO

16 settembre

di Giulio Leoni

Molte cose eccitano la sensualità del a carne nel ’uomo. Prendiamo per

esempio le sorpresine degli ovetti Kinder. Avete mai visto qualcosa di più

seducente delle curve rotondità di Ippopotami e Puffi? Oppure qualcosa

più intrigante del a mascolina virilità dei Piramolli? Quei piccoli mucchietti

di plastica addolcita dal tepore delle mani che li accarezzano con morbosi

andirivieni e diteggi degni di una sonata di Bach, non scatenano una subita

tempesta ormonale al loro primo occhieggiare, appena liberati dal a


prigione

degli anonimi, gial astri semigusci?

Saprebbe resistere qualcuno agli ammiccamenti sornioni di una Gallina


Pallidova, languidamente distesa su una chaise longue dietro lo schermo

scuro dei suoi occhiali da sole? Oppure esiste davvero un duro cuore
talmente

arido da restare inerte davanti al ’esplosiva sensualità di Gaia Lavandaia,


che

trabocca dal a sua tinozza come acqua incontaminata da una pol a sorgiva
nel

giardino del ’Eden?

Chi altri meglio di loro saprebbe incarnare oggi l’ idealtypus, l’essenza

stessa del a femme fatale dei nostri tempi? E fatale nel senso di destinata,

scelta per noi non dal provvidente disegno di un Dio, ma dal più benevolo

articolarsi del cieco caso, ben più giusto nel a sua imparziale distribuzione
di

bene e male.

Poche cose leniscono la nostra angoscia esistenziale come un ordinato

allineamento di tali figurette davanti ai nostri occhi: quel a ferita


sanguinosa,

quel a lacerazione che l’esser gettato nel mondo ha inferto al a nostra


anima,

strappata dal nul a sensuale di un illimitato abbandono al mondo delle Idee


e

trascinata nel a convulsione del ’essere, sembra per un momento ricomporsi

in un estatico abbandono al a contemplazione.


Talvolta il senso d’eccitazione travalica anche la misura del ’umano. C’è

qualcosa nello sguardo del a voluttuosa Sospir d’Amhur che va oltre la


carica

erotica implicita nel a sua aggraziata postura un po’ sghimbescia: qualcosa

che ricorda arcane figure delle Mille e una notte, profumate di esotici

aromi. Nuvole d’incenso e olibano si levano nel a nostra fantasia, misteriose

lampade s’accendono su lontani tavoli arabescati, accanto a molli cuscini e


un

dolce calpestio di pantofole fruscia su folti tappeti dai ricami al usivi. Tutto

l’Oriente e i suoi splendori s’apparecchia nel nostro immaginario.

Smisurate erezioni ne conseguono, occulte e silenziose manipolazioni,

ove la natura incontra se stessa. Nel grande catalogo Kinder si squaderna il

Kamasutra del a modernità.

365 racconti erotici per un anno

265

al caNTO DI UN vINIlE

17 settembre

di Davide Gasbarro

Il disco di vinile inizia a saltel are. Ripete quelle stesse, belle note. E non
c’in-

teressa.
Mario mi ha chiesto di fare compagnia al a moglie, mentre lui è fuori, per

giocare ai suoi cavalli. Non volevo tradirti, fratello. Ma questa donna,


questa

maledizione.

E non vorrei urlare, come faccio sempre dopo aver finito, per la rabbia. Il

buio di questa stanza è il buio del a mia mente, che gode e si pente, e non
riesce

a fare in altro modo.

– Ti voglio, Luca, ti voglio più di ogni altra cosa. Rifacciamolo.


Rifacciamo-

lo ancora. Prima che torni, ti prego.

Sei magra, bianca, debole, sei la morte. Ma il tuo fascino mi esplode in fac-

cia, quando saltelli su di me. Sì, dirigi questa orchestra, ti prego.

Ancora, ancora. Non vai in alto, ma sempre più rapida, senza respiro. Quel

movimento strano è una corsa al ’amplesso. Paura che sia sempre l’ultimo.

– Io non ce la faccio, senza di te. Non ce la faccio. Non ce la faccio.

Si ripetevano, si ripetevano, parole di piacere e dolore, mentre un altro giro

era finito. In quel a penombra intransigente, che sembra già giudicarmi.

– AIUTAMI, AIUTAMI A SMETTERE! NON VOGLIO!

Urlo a squarciagola ma non serve! Non c’è niente che mi salvi dal ritmo di

quel a trappola mortale, di natiche e seni che bal ano al pulsare del mio san-
gue.Finita, l’ennesima volta è finita. Le coperte ne sono piene, del mio e del

suo.– Luca, abbracciami.

Non me lo chiede mai. La nostra passione non è amore.

– Mio marito è lì, dietro la porta. Ci ha spiati. L’ha sempre fatto. Siamo noi

i suoi cavalli.

266

365 racconti erotici per un anno

REgalO DI NOZZE

18 settembre

di Laura Schirru

Mi hai perdonata, vero? Misi una mano sul a porta, spinsi ed entrai dietro di
lui.

Mi guardò, stupito. Con un colpo di tacco chiusi il battente.

– Cosa ci fai, qui?

Sorrisi, lo presi per la cintura, cominciai a scioglierla. – Secondo te?

Lui mi afferrò i polsi. – Sei diventata matta? Lo sai dove siamo?

Percorsi con un dito il duro rilievo, pietra sotto raso. – Insieme e da soli –

risposi. Mi al ontanò le mani, ma con così poca energia che seppi di averlo
in

pugno. – Vattene – protestò, rauco – prima che qualcuno ci veda.


Stupido, pensai. Di tutte le risposte che poteva darmi, quel a era in assoluto
la

meno indicata per cacciarmi via. Se la sua preoccupazione era che qualcuno
ci

vedesse, anziché l’etica di cornificare la moglie nel ristorante dove si teneva


il suo

banchetto di nozze, be’…

– Siamo in una toilette. E non ci metterò molto, prometto: devo solo conse-

gnarti il mio regalo di nozze. Dici sempre che ti serbo rancore, ma indovina
un

po’… – Gli tirai giù la lampo dei calzoni, che scivolarono intorno al e sue
caviglie

con un fruscio sommesso. Per farlo mi chinai in avanti, e non avevo


bisogno di

guardarlo per sapere che teneva gli occhi fissi sul a scol atura a balconcino
del

vestito, sul a parte del mio corpo che gli era sempre piaciuta di più: rossa
natu-

rale, sono piena di lentiggini, ne ho tantissime piccole piccole che


spariscono

dentro i vestiti, a guidare l’occhio del ’al upato di turno.

Non fece neppure il gesto di resistere, il bastardo.

Mi inginocchiai e glielo presi tra le labbra, piano, esplorando con la lingua


il
liscio glande rotondo, come gli piaceva. Gemette sottovoce e mi mise una
mano

sul a testa. Poco male. Mi ero fatta fare una piega facile da sistemare,
proprio in

previsione di quel ’evento.

– Sei… una… troia… dovevo… sposare… te…

Lo presi per un complimento. Me lo spinsi in bocca quanto più potei,


aiutan-

domi con le mani, come un bambino maleducato che fagocita tutto quel che
ha

nel piatto. Per il resto, dovetti fare ben poco: qualche spinta, un attimo di
rigidità

assoluta, poi la bocca mi si riempì di quel a schifosa pomata calda, densa


come

detersivo per piatti, mentre lui rantolava cercando di non farsi sentire.
Mandai

giù, poi mi rialzati sistemandomi i capelli.

– Tanti auguri, Giancarlo.

Uscii, lasciandolo appoggiato al a parete del a toilette, completamente svuo-

tato. Mi hai perdonata, vero? Non volevo farlo, andare a letto con lui… è
successo

e basta… mi hai perdonata, vero?

La sposa era radiosa, quel giorno. Se l’avevo perdonata? Sorrisi . Adesso sì.

365 racconti erotici per un anno


267

mETODI

19 settembre

di Massimo Muntoni

Un sorso di Baileys. E labbra umide cercarono il suo collo. Era combattuta,

ma non si oppose. La mano di lui le scivolò sul a schiena, giocò con i


capelli

impazienti. Si fermò.

Occhi, dal ’odore di caramello, si afferrarono, abbreviando lo spazio tra le

bocche… Lei scivolò e le lingue si mischiarono. Mani audaci le strinsero le

spesse natiche, divorandole.

La parte razionale di Michela era disorientata; come qualche ora prima, nel

pomeriggio, quando il suo capo l’aveva invitata a fermarsi per cena.

Le altre colleghe facevano spesso compagnia a Samuele. Il loro capo qua-

rantenne con gli occhi al a Jude Law, così lo descriveva Maria. E spesso
faceva

loro piccoli doni.

Ma a lei niente.

Mai un invito, mai un regalo.

Forse, aveva sempre pensato, veniva trascurata perché era sposata o for-

se per il suo aspetto: una taglia di troppo a model are i suoi ventotto anni, e
quegli occhiali dalle lenti troppo spesse che poggiavano su un naso troppo

ingombrante. Non sarebbe andata oltre la cena, si era detta. Ora, invece, lui
le

mordicchiava il mento, mentre mani avide liberavano angoli di pelle bianca.

Lui la spinse sul letto, le sfilò le mutandine. Passò le dita sul a fessura
bagna-

ta, baciandole le cosce con avidità. La sua testa affondò nel mezzo.

Michela gemette soddisfatta, lanciando a tratti piccole urla. Lingua e dita

stavano scolpendo il suo piacere in modo divino.

La mente di lei, colma d’estasi, rievocò l’immagine dei volti raggianti delle

colleghe le mattine successive alle loro uscite con Samuele. Quel loro
respon-

sabile dal a personalità pulsante che intimoriva e invischiava.

Esitò. La sua coscienza di moglie le disse di rivestirsi e andare via. Fu solo

un attimo, un pensiero fugace subito disciolto nel fiume in piena che la


stava

travolgendo. La sua schiena s’inarcò. Tremò e riprese fiato.

Poi, come richiamata dalle grida soffici, una lingua sottile si presentò al a

sua bocca. I suoi seni vennero stretti e due nuove lingue crearono cerchi di

saliva sui capezzoli. Tutte le dita vennero contese da bambine golose.

La danza saffica la inghiottì. E dal fondo umido del a sua libidine riconobbe

le col eghe. Fantasie?


– Sei l’ultimo tassello del a mia strategia di lavoro – disse Samuele, pene-

trandola. – Ho bisogno di un team affiatato, Michela. E io preferisco questo

metodo a tutti quegli stronzi giochi psicologici. Sei con noi?

Michela scorse i volti complici, stupita. Poi si avvinghiò al ’uomo e disse: –


Sì!

268

365 racconti erotici per un anno

la camPaNElla

20 settembre

di Fontina Boy

È un giovedì di supplenza. Ho un’ora sola, un’ora inutile prima del


’intervallo.

Diserto l’aula, tanto ai ragazzi cosa posso spiegare di ita nel a loro ora di
mate?

Al bagno dei professori una scritta mi blocca, sopra il water: “Si


raccomanda

la massima precisione”. Tzé, pensano di parlare con Tornado Joe. Test


nordeu-

ropei hanno dimostrato che gli schizzi di piscio maschile possono


raggiungere

un raggio di chilometri. Io sono l’eccezione, con me il cerchio diventa


punto.

Faccio la mia pipì, anche senza stare attento non tocco il bordo del water.
Ad-
dirittura alzo e abbasso la ciambel a, come se fosse il cerchio di fuoco per i

leoni del circo. Non una goccia fuori, come da manuale.

Esco. Chiamo una ragazza, non focalizzo se è una mia alunna oppure no.

Le voglio mostrare il cartello, quanto sono stato bravo: lei abbocca. Una
volta

dentro, è il finimondo: le dò una gomitata nel a nuca, così l’ecchimosi non


si

vedrà, usando i piedi come leva pitagorica le divarico le gambe, le si aprono

come valve di una cozza che sta per inabissarsi. La poveretta vorrebbe
urlare,

ma non ce la fa. Con il pugno chiuso, a mo’ di noce di cocco, le sferro un


destro

sul pube: la piego ma non la spezzo. È un balletto di morte: come si incurva

in avanti, la ruoto di 360°, il braccio disarticolato al ’indietro e trattenuto sul

punto di spezzarsi; ma sono pura geometria e, immobilizzandola, resto sul


filo

senza che faccia crack. Le anche le si sollevano naturalmente in quel a posi-

zione, e il suo posteriore mi si offre spavaldo. Lì mi dico che lo scherzo


deve

continuare e, come un mago che estrae il coniglio dal cilindro, sguinzaglio


il

mio, di cilindro, e la penetro come si conviene.

È vergine, là dietro, e sanguina un po’. Ma, anche quando vengo, ho calco-


lato tutto al millimetro: come mi si raccomanda a parole nere su bianco, ho

usato la massima precisione. Quasi non ci credo io stesso, tutto è ricaduto


nel a

pozza d’acqua del water, neanche le pareti di maiolica ho intaccato.


Abbagliano

ancora. Come l’attimo del prestigio, anche questa è un’epifania e la vivo


con un

sorriso compiaciuto e sbigottito. Fin dove mi sono spinto?

Tiro la cordicel a dello sciacquone, vanifico il mio miracolo, le dò un buf-

fetto tenero sul a guancia, mi abbraccia di spavento e di commozione, le


faccio

finire la ricreazione. Sono stato bravo, ma penso che lo posso essere anche
di

più. Suona la campanel a.

Tornando in classe, mi dico che oggi darò il mio primo sette, via.

365 racconti erotici per un anno

269

I sIgNORI DEglI aNEllI

21 settembre

di Massimo Costa

– A proposito – fa lei frugando nel a borsetta, – questo ce lo manda Valeria.

– La tua amica che è passata al nemico?


– Sì, perché tanto tu ti vergogni troppo, io nemmeno a parlarne e così l’ho

fatto comprare a lei. Che poi non ha voluto nemmeno i soldi, per cui è
anche

un regalo.

– Be’, in effetti lei era la persona giusta. La vergogna del gadget, vista la
sua

tendenza, deve per forza averla superata, no?

– Senti, non insultare la mia amica.

– Figurati, ma se mi è simpatica da morire. Non foss’altro perché si veste

come un ufficiale delle Panzerdivisionen.

Libero la scatolina dal a carta standard da farmacia con la circospezione

dovuta a un pacco proveniente da Kabul.

– Ehi, anche le istruzioni, ci sono, e in tutte le lingue.

Perché, anche se ha l’aria e la consistenza di un giocattolo da neonati, l’og-

getto avrà sicuramente una sua logica da rispettare. C’è un verso? E poi, il
bi-

torzolo va sopra o sotto? No, scusa, a questo bastava pensarci un attimo...

– L’unico limite – dice lei – è che ha un’autonomia di venti minuti.

– Limite? Ma se è così ci basta per venti volte!

– Già, dimenticavo, caaaro!

– No, aspetta, a quarant’anni ancora non sai come vanno queste cose? Al-
lora, l’uomo fa una battuta evidentemente riduttiva sul a sua potenza e/o do-

tazione sessuale e la donna deve (deve, capito?) contestarla apertamente.


Ok,

riproviamo.

– Venti minuti – riprova lei – ma così rimarremo a metà del a prima!

– Brava, così mi piaci.

Anzi, ora che padroneggia il recondito meccanismo del a psicologia del

maschio, va avanti da sé.

– Ma, scusa, l’anello lo fanno solamente di questo diametro?

– Cioè?

– Voglio dire, non è che ti fermerà il sangue?

È davvero una donna fantastica, anche se ora sghignazza un po’ troppo

apertamente.

270

365 racconti erotici per un anno

l’alTRO

22 settembre

di Roberta Giacomini

Nessuno era a conoscenza del motivo per cui l’aveva sposato, neanche
Elisa-
betta, la sua migliore amica; lei disprezzava Marco, lo considerava uno
stupido

e un inetto. E non aveva torto.

Lui era realmente uno smidol ato, maldestro e incapace di soddisfare una

donna. Betta aveva cercato in tutti i modi di farle cambiare idea, ma non era

riuscita a convincerla.

Le nozze avevano avuto luogo quel a mattina, così come stabilito.

Sorrise osservando l’uomo avanzare. Quando ne incrociò i penetranti occhi

neri si umettò le labbra, mentre il suo corpo, coperto solo da una corta
camicia

da notte di seta, veniva scosso da un lungo brivido di eccitazione.

– Ciao… – mormorò con un filo di voce, andandogli incontro lentamente.

– E così l’hai sposato – fu l’asciutta risposta che ricevette. Lui le posò le

mani sulle braccia, affondando le dita nel a carne morbida. La sua stretta
deci-

sa, quasi rapace, esprimeva possesso.

– Sì… ti dispiace? – chiese, quasi intimorita, socchiudendo le palpebre per

il piacere che quel semplice contatto già le stava provocando.

– Dispiacermi? Perché dovrebbe?

C’erano divertimento e una punta di disprezzo, nel a voce baritonale. Mos-

se le dita, infilandole sotto le spalline sottili. Con calma le fece scivolare


lungo
le braccia, denudandola fino al a vita.

– Tanto non sarai mai sua. – Lo disse con la tranquil a sicurezza di chi sa

il fatto suo. – Ho osservato i suoi pensieri per tutta la cerimonia, non


avrebbe

mai il coraggio di toccarti. Sei fuori del a sua portata.

Si chinò su di lei e le posò le labbra sul seno, tormentando con la lingua i

capezzoli già duri. – Ma tu questo lo sai.

Sì, lo sapeva. Voleva che fosse così. Perché, anche se erano le mani di
Marco

quelle che stavano seguendo la linea sinuosa dei suoi glutei in una
maliziosa

carezza, anche se era la sua lingua quel a che le lambiva avidamente


l’ombelico,

non era la sua anima a muoverle.

Chiuse gli occhi mentre le dita sapienti del ’uomo si insinuavano lungo il

solco tra le natiche, scendendo sempre più giù. Strinse i corti riccioli scuri

del ’amante e la sua testa si riversò al ’indietro; un roco gemito di piacere le

sfuggì dalle labbra. – Gabriel – gemette.

In quel nome risiedeva il vero motivo per cui si era sposata, il segreto che

nessuno conosceva. Gabriel era la doppia personalità di Marco, la sua


anima

nera, quel a che si manifestava nel ’oscurità del a camera da letto, l’alterego
perverso che dominava le sue notti. Lui era il suo amante nascosto.

365 racconti erotici per un anno

271

bERlINO UNDERgROUND

23 settembre

di Fiorenza Fil

Fragile d’ombra. La stanza è sfatta. Metri cubi d’aria impregnata d’umori,


sudo-

re, deodorante: il mio, il tuo, il suo. Un groviglio di arti tesi, i suoi seni di
luna

sporca che dondolano, affettati dalle lame di luce che dalle serrande cadono,

spezzandosi fra lenzuola umide, calze di seta, capelli e dita. Un gemito di


carne

e ancora lei che mi accarezza. Mani leggere che scorrono, corrono e si


ritrova-

no sul mio corpo con le tue, nelle tue, cercandosi. Ultimi accenni d’un
bacio, il

suo pube macchiato di fango e il mio di te, dolceamaro, prezioso come


questa

notte. Le sue labbra lisce e tumide come la mia vulva e il tuo sesso appeso,

frutto maturo, appiccicoso, cosi simile a un fico svuotato, ancor tiepido


d’estate

che sguscia fuori, luminoso. E la tua mano mi tira i capelli come quel a d’un
contadino mentre falcia il grano, la sua bocca riprende i miei contorni,
dolce

di fiele. Ancora mi costringi fra le tue cosce tese mentre lei mi è addosso
come

una lumaca, umida di tutte le sue piogge brasiliane. Ha la stessa consistenza

del a polpa d’un babaco maturo e nel nostro pallore si scompone in


un’unica

impronta di cioccolata sfusa, al peperoncino. Come lei mi cerca ti sento


men-

tre mi dilati, prendendomi ancora e ancora. L’ultimo orgasmo di questa


notte

in frantumi: mi penetri ovunque, i miei capezzoli sono calamite protese


verso

le stelle nello spasmo delle tue dita eppure sento lei, ora, sento quasi solo lei

fra le mie gambe. Quel succhiare che si spande fra le labbra del mio sesso
in

un’esplosione che fa male. Sfinita, sazia. Lei si riveste, lenta come le


lancette

d’un orologio esaurito. È bel a, nuda. Il suo corpo è fatto di sale integrale,
ha

metri di pelle da stendere e il suo culo sembra terra soda, spaccata in due
dal

sole. Mi eccitano i suoi capelli densi e così il suo muoversi, a tratti, da


animale

ferito. Indossa di nuovo il suo striminzito abito pink e le sue scarpette tacco
16,
di cristallo, del ’ultima cenerentola di Berlino. Le sue mani laccate si al
ungano

sulle banconote da 100 che tu le hai lasciato sul comodino e mentre mi sus-

surri nel ’orecchio “auguri amore” appoggiando il tuo sesso di nuovo


turgido

fra le mie natiche, lei si volta e trabal ando lascia la stanza. Di lei, ora,
restano

solo i lampi bianchi degli occhi e un odore di gomma riscaldata, di profumo

artificiale. Chiude la porta oltre la notte, oltre la strada. Batte l’orologio


mezza-

notte. – Auguri, amore – ripeti di nuovo. Tu sei il mio principe. Tutto il


resto

vale zero.

272

365 racconti erotici per un anno

TUO fIglIO Eva

24 settembre

di Filippo Suessli

Adamo si girò verso Eva, girò il capo, abbassò le sopracciglia sul confine
degli

occhi per salvare lo sguardo dal sole. Ossessione, vibrazione, ebollizione.

– Dio bono, ma che è? – Mio padre è entrato in camera e mi ha scoperto. –

Dio bono, Nesto, che fai?


Mi ha beccato, mi ha preso mentre giravo avvinghiato al a schiena di Ser-

gio, tenendoglielo in mano. – Cristo, Cristo, Cristo.

Forse è la volta che gli prende un infarto, forse è la volta che la smette di
as-

sil armi con il suo essere uomini, mariti, cattolici, lavoratori, sudati e
abbron-

zati e secchi e muscolosi e sciupati e sporchi. Forse è la volta buona che


capisce

che suo figlio è un dannato culattone, pederasta, pervertito, contronatura.


Non

dovrò più sentire mia madre interrompermi ogni volta che decido di dirglie-

lo; non dovrò più sentire commenti sudici su ogni gonna che incrocia l’auto

quando andiamo al supermercato il sabato mattina; non dovrò fare più finta

di ridere, non dovrò più fare finta di guardarle con i suoi stessi occhi, quegli

occhi da porco. Ebbene sì, mi ha beccato proprio mentre mi facevo portare


in

giro per la stanza al a cavallina, aggrappato a Sergio, fingendo di essere


Eva, lui

fingendosi Adamo.

Adamo, Eva e il serpente. Cacciato, io, Sergio e il serpente. Non sarà il giar-

dino del ’Eden, ma era pur sempre casa mia. Mi ha sbattuto fuori come un

bastardino a metà luglio, lui che si è sbattuto tutte le clienti, il bel muratore,
con il suo pettinino per i baffi, con la pomata per i capelli; nel
duemilaenove...

la pomata per i capelli.

Sergio ha un monolocale in periferia, se periferia si può definire quello che

sta al di là del cartello “Scoppello – 612 metri s.l.m.” (per inciso


milletrecento-

dodici abitanti).

Ernesto Antinori, padre, non ha mai più pronunciato il mio nome: (Er)

Nesto Antinori, figlio. Per i trentasette anni che è sopravvissuto, ogni volta
che

è passato davanti a quel a casa, anche quando né io né Sergio vivevamo più


lì,

ha borbottato: – Un pederasta, Dio bono.

Ora vivo con Giulio, dieci anni meno di me, tonico, scuro, secco e musco-

loso. A mio padre sarebbe parso un vero muratore. Dietro a una porta che

nessuno spalancherà al ’improvviso mi faccio portare in giro per la camera

al a cavallina, aggrappato al suo petto, con i capezzoli caldi che mi forano i

palmi delle mani. Poi, mi deposita a terra, mi inginocchio di fronte a lui.


Glielo

afferrò e lo stringo sussurrando con tutta la violenza che ho in corpo: –


Dillo,

dillo, dillo, dillo...

– Dio bono, vengo.


365 racconti erotici per un anno

273

UNa QUEsTIONE DI gUsTI

25 settembre

di Fabio Giannelli

– Lei cosa ne pensa, dottore?

– Stai tranquillo. Mi ripeti con calma quello che è accaduto?

Il ragazzo mi guardò con un mezzo sorriso. – Mi perdoni, ma sono un po’

agitato. – Due respiri profondi, tremanti. – Eravamo a casa sua. Mi ha


rassicurato

che i suoi erano via per un paio di giorni. Ero tutto eccitato, non mi sono
fermato

a pensare. Siamo saliti e abbiamo bevuto due birre seduti sul divano. Per
farla

breve, dopo cinque minuti eravamo nudi in camera da letto. Lei si è seduta
così,

sopra – mimò in maniera goffa il modo in cui i fantini salgono a cavallo –


senza

nemmeno un preliminare, e ha cominciato subito. – Si fermò, passandosi


una

mano tra i capelli.

Lo incoraggiai: – Non ti vergognare. Sapessi quante ne ho sentite in


vent’anni
di carriera. Ascoltare i pazienti fa parte del mio lavoro. Continua, per
favore.

Il ragazzo evitò di guardarmi. – Stavamo facendo l’amore e mi ha detto che


le

sarebbe piaciuto da dietro. Capisce?

– Perfettamente.

– Quando ho realizzato ciò che stava facendo sono fuggito in bagno,


tappan-

domi la bocca. Ho sentito lo stomaco contrarsi. Mentre aprivo la porta, mi


sono

voltato a guardarla. Santo Dio, dottore, ci godeva! Si rotolava in quel o


schifo,

spalmandoselo addosso, gemendo di piacere. L’ho sentita venire. Ho fatto


ap-

pena in tempo ad aprire la tazza del water prima di vomitare. Ho avuto


spasmi

a vuoto per non so quanto tempo. Mi sono gettato nel a doccia, lavandomi
tre

volte, ma l’odore non se ne andava, era tremendo. Dottore, io…

– Il termine esatto è coprofagia. Molti pensano sia una malattia, ma non è

così. È semplicemente una questione di gusti sessuali.

– Una questione di gusti? Dottore, mi ha riempito di merda! – Scattò in


piedi,

facendo cadere la sedia.


– Stai tranquillo. Dammi il numero di telefono del a tua ragazza.

Reagì come se l’avessi offeso. – Non è la mia ragazza!

– Le parlerò, vedrai che si sistemerà tutto. Basterà qualche seduta. Nel frat-

tempo, comportati come se non fosse successo nul a.

– Dottore, è sicuro?

– Te lo ripeto: stai tranquillo.

Chiusi la porta a chiave. Per fortuna la scrivania aveva nascosto la mia


esplo-

siva erezione. Mi slacciai i pantaloni e serrai la mano sul ’uccello,


desiderando la

ragazza. Mi masturbai con violenza.

Coprofagia. Non sai cosa ti perdi, ragazzo mio.

274

365 racconti erotici per un anno

Il PROTOcOllO

26 settembre

di Luciano Del ’Aglio

– Guardami! – ansimò Gabriel a per la quarta volta, mentre spasimava in


una soli-

taria corsa al ’orgasmo. Giorgio era sopra di lei con il corpo. Nient’altro.

Meglio stringerle i capezzoli… le piace provare un lieve dolore prima di


arrivare.
Un gemito di lei gliene diede conferma.

Ora la bacio sul col o e salgo a titil arle il lobo con la lingua, questo
dovrebbe

accelerare i tempi.

Subito Gabriel a gli afferrò i capelli sopra la nuca, segno che aveva
apprezzato.

L’unica maniera di rendere meno gravoso quel supplizio era chiudere gli
occhi

e seguire il protocollo. Fare le cose meccanicamente, si sa, aiuta a non


pensarci

troppo. E tuttavia, c’era un unico pensiero che Giorgio non riusciva ad


accantonare

quando faceva sesso con Lei: il pensiero di lui…

Non riusciva a comprendere se si sentisse più in colpa o più incazzato, ma

quando vedeva Gabriel a sorridere vogliosa sotto di sé, gli saliva il sangue
al a te-

sta. Invece di star lì a soddisfare lei, avrebbe desiderato sdraiarsi


abbracciato a quel

tenero corpo di ragazzo, così bello e pulsante di vita. Stringersi al suo petto,
respi-

rando il suo odore.

Con Marco si era riscoperto innamorato. Si sentiva di nuovo uomo. Aveva


ri-

trovato qualcosa di perduto.


Si erano incontrati la prima volta al ’università, nel a sua stanza. Giorgio era

chino a correggere una risma di compiti, tutto solo. Cosa avrebbe fatto,
allora, pur

di non tornarsene a casa! D’improvviso un colpo al a porta, un passo avanti


o due

e poi una voce dimessa: – Mi scusi, professore, so che oggi non riceve, ma
vorrei

solo domandarle…

Lui aveva alzato lo sguardo, senza ascoltare oltre. Si era limitato a


rispondere,

rapito: – Entra e chiudi la porta.

Da quel momento le loro vite si erano intrecciate in modo carnale e indisso-

lubile. Ma più il ricordo correva, più l’amplesso con Gabriel a perdeva


d’intensità.

Giorgio avvertì il suo fisico recalcitrare, reclamando pietà. Non riusciva più
a rima-

nere dentro quel a gelida cavità infernale. Per resistere dovette volare da lui,
che lo

attendeva disteso con una mano ad accarezzarsi il ventre e l’altra tesa a


frugare ogni

angolo del suo amato. Giorgio poteva quasi avvertirla su di sé, e fu come se
un’ener-

gia lo pervadesse. Spinse con forza dentro Gabriel a, immaginando di


lambire con

le labbra il seme del suo segreto amore e l’opera, finalmente, si compì.


Sua moglie si divincolò, malgrado tutto, paga. Lui poté accasciarsi sul
materas-

so umido.

– Buonanotte, amore – rantolò Gabriel a.

A Giorgio uscì solo una lacrima.

365 racconti erotici per un anno

275

IN TRENO

27 settembre

di Gloria Gerecht

Il treno viaggiava veloce. Era sola nello scompartimento e vagamente


inson-

nolita. Entrò il controllore che, dopo averle restituito il biglietto, la squadrò


a

lungo. Poi, gentilmente, le suggerì di mettersi comoda: il viaggio era lungo,


il

treno poco affol ato, avrebbe provveduto lui a non farla disturbare.

Lei accettò grata. Tirò le tendine, alzò i braccioli divisori, si sfilò i sandali e

si sdraiò addormentandosi quasi subito.

Fu risvegliata da una mano sul a bocca. Un’altra mano la stava frugando

tra le cosce. Su di lei torreggiava il controllore. Si era abbassato i pantaloni


e
ostentava una poderosa erezione. Accanto a lui c’erano altri due uomini in
di-

visa, erano loro che la tenevano ferma, ma non ne vedeva i volti, solo i
genitali

scoperti e minacciosi nel loro turgore.

Il controllore le sollevò la gonna leggera, le sfilò le mutandine, poi la


penetrò

con decisione. Stranamente non provò dolore. Lui la serrò a sé e,


sollevatala,

si rovesciò sul sedile opposto. Si ritrovò a cavalcarlo suo malgrado.


Qualcuno

da dietro le al argò le natiche, sentì lo sputo sullo sfintere e una immediata,

pervasiva sodomizzazione.

Era adesso in balia di due stupratori quando il terzo la afferrò per i capelli

sollevandole la testa: anche la sua bocca fu violata senza che lei riuscisse a
op-

porsi. Sentiva sul a pelle la stoffa ruvida delle loro uniformi. I tre uomini
ansi-

mavano e grugnivano mentre lei nul a poteva se non subire passivamente.

Il treno correva veloce assecondando i loro movimenti con ritmiche oscil-

lazioni. Ogni suo orifizio era occupato in attività quasi sincrone.

L’ondata di piacere la colse improvvisa e irrefrenabile, liberandola in un or-

gasmo che si prolungò in lunghi fremiti fino a lasciarla senza forze,


appagata.
Aprì gli occhi. Suo marito la guardava soddisfatto e sorpreso.

– Questa volta ti è proprio piaciuto, vero? – le chiese con malcelato orgo-

glio.Poi andò a togliersi la divisa che, rientrando dal turno di notte, non si
era

neanche sfilato, pur di coglierla nel sonno.

276

365 racconti erotici per un anno

NaDIa

28 settembre

di Matteo Carriero

Nadia vede la mano del ’infermiera stretta nel a sua. Intorno a lei alcune
per-

sone si muovono sullo sfondo di muri bianchi e verdi. Il dolore e la puzza


dei

medicinali le stanno dando al a testa: ha i muscoli del a gola contratti ma


non

sente la sua voce. Qualcosa di grosso si agita dentro di lei, aprendole pian
pia-

no l’utero per venire al a luce.

Nadia è nuda sotto un lenzuolo rosso. Ama aspettarlo così quando torna dal

lavoro: la pelle fragrante, la bocca calda, gli ormoni che escono dal a
fessura tra
le sue gambe come api da un alveare. Suo marito è morto da mesi ma
continua

a rincasare al a stessa ora. Luca non si fa la doccia, sale subito sul letto,
pallido

in volto. Si avvicina repentino, e Nadia sente la pressione delle sue dita


sulle

guance, divarica leggermente le labbra e attende che la sua lingua la


travolga. E

non ci sono più confini, perché lui le passa attraverso.

Quando scende seguendo le sue curve, le succhia i nervi sotto i capezzoli

facendola ululare, poi si tuffa in mezzo ai suoi peli ricciuti e da lì la sua


bocca

penetra nel pelo e nel a pelle, arrivando a baciare zone su cui non è stata
ancora

piantata una bandiera. Poi, d’un tratto, Nadia ritrova il respiro: vede la testa
del

marito uscirle dal grembo, mentre dal basso compare un pallido bastone.
Apre

le gambe e lo sente avvicinarsi; le sue piccole labbra si schiudono


solleticate.

Luca comincia a fare l’amore con lei come una volta, avanti e indietro, pri-

ma piano, poi sempre più forte. Sempre più forte finché lei non perde quasi
i

sensi nel parossismo delle contrazioni, mentre vede il pene del marito
entrare
come un coltello dal ’alto, dai peli pubici, dal ’ombelico, penetrando
ovunque.

Fino in fondo al ’utero.

Stringe la mano del ’infermiera finché questa non si divincola indolenzita.

– Si calmi!

Il dottore la fissa assorto in mezzo alle gambe. Le ha detto che il bambi-

no non sopravviverà. D’un tratto la morsa del dolore si allenta, il bimbo sta

uscendo. Un’altra infermiera va per afferrarlo, ma dopo un attimo Nadia la

vede fissarsi le mani vuote, inebetita. Si scosta con tutte le sue forze per
riuscire

a guardare e vede il piccolo immerso per metà nel lettino. La sua schiena sta

sparendo a poco a poco, è rimasto fuori solo un piede. È svanito.

Il dottore passa la mano sul letto, solleva le lenzuola, guarda sotto al letto.

Ma non c’è niente da fare. È svanito.

Nonostante questo Nadia è tranquil a. Sa che il piccolo è fra le braccia di

papà, e che lo rivedrà presto.

365 racconti erotici per un anno

277

facTOTUm

29 settembre

di Maria Sole
Quei dannati cinesi me lo avevano giurato.

Si fidi, signole, è anche meglio dei model i amelicani.

E per la lingua? Io non parlo il mandarino.

Signole, l’andoloide ha glande – sorte beffarda, avrei forse potuto intuire


qual-

cosa – vocabolalio in memolia, lei può comandale dilettamente in inglese.

Hmm, e fa tutto quello che dice qui, nel a brochure? Sesso sfrenato a richie-

sta, giochi perversi, posizioni ardite, insomma è davvero una tuttofare?

Celto, signole, celto. Con tanti giocattolini incolpolati, se le attilano cose


stlane.

Tre interminabili ore legato qui, supino, le mani sul a nuca. E la maledetta è

ancora dietro di me, imperturbabile persevera nel suo meccanico atto,


avanti e

indietro, emissione di lubrificante, avanti e indietro, cambio dimensione,


avanti

e indietro, vibrazione inserita…

Me l’ero portata diritto a casa, felice d’aver risparmiato ben duemila crediti
sul

prezzo di catalogo. Che si fottano, i compatrioti americani, con i loro


standard

produttivi, la carenza di materie prime e i finanziamenti al ’industria


cibernetica,

avevo pensato mentre stappavo via la confezione e lanciavo tra i rifiuti le


lunghe
appendici in lattice assemblabili, per clienti dai gusti particolari.

Che vadano a farsi fottere loro e la loro presunta supremazia tecnologica.

Pare proprio che ci sia andato pure io, con i compatrioti. Un giorno. Non
credo

di poter resistere ancora. Soffocherò, probabilmente. Vorrei sorridere del a


faccenda,

di quel ’essere robotico a comando vocale predisposto al soddisfacimento


sessuale,

prodigio del a scienza moderna, miliardi di impulsi inerziali in struttura


silicica.

Riderei di gusto, se la mia bocca non fosse già colma del a tecnologia
cinese.

Non ero riuscito a comunicare con lei.

Complende l’inglese, aveva ribadito il muso giallo, falà quel che desidela.

Un cazzo. Ingovernabile, vagabondava nuda per casa, aveva pure


imboccato

il vialetto, per la gioia dei sudici vicini guardoni. Se ne sarebbe andata, Dio
mio,

sarebbe andata via, se non l’avessi chiamata dal a soglia. Torna qui, puttanel
a, le

avevo urlato. Vieni a farti scopare, factotum!

Due giorni, e il ronzio dei relè pervade ancora la stanza. Sangue e fluidi
rico-

prono l’acciaio splendente. Spero non scrivano nul a sul a mia lapide. Solo
il mio
nome, magari. Thomas Otum.

278

365 racconti erotici per un anno

PasswORD

30 settembre

di Alan D. Altieri

– E bravo Mark... – Non abbastanza ombre, là dentro. – Prima fa il no-


global del caz-

zo, poi lascia le luci accese. – Tut o questo lo dissi a voce alta. Richiusi la
porta blin-

data alle mie spalle. Parlando al vuoto del ’appartamento. Quel ’alone
purpureo, nel a

stanza di soggiorno. Abat-jour art-deco: troppo grossa, troppo spessa,


troppo rossa.

Varcai la soglia. Puntai drit o sul a scrivania rol -top di legno d’acero e al
portatile. E

al a magnifica poltrona da barbiere tut a cuoio rosso e cromature. E bravo


Mark...

– Fermo dove sei. – Si materializzò dal ’alone purpureo.

Mi fermai dov’ero, zona oscura tra l’abat-jour e la poltrona. – Tu saresti?

– Biancaneve.

Corrugai la fronte. – Nel senso di imperatrice cosmica del ’S&M?


Tacchi alti, calze a rete, mini-abito di spandex nero incol ato su un
fenomenale la-

voro ai siliconi calibro 6, lucidalabbra nero petrolio, guanti opera neri sopra
il gomi-

to, maschera borchiata di cuoio nero. Unica nota cromatica fuori luogo, la
Beretta FS

da 9mm Parabel um. Nichelata, non nera. Autentica stecca, in quel black
wet dream.

– Che risate. – Gli occhi verdi dietro la maschera lampeggiarono. – La


password.

– Che password?

– Fai il furbo? - La Beretta si alzò minacciosa. – Del computer di Mark.

– Ma difatti. A proposito di Mark... – annuii. – Non è la sua pistola, quel a?

– E allora?

– E allora... – infilai la mano nel a tasca destra. – È una replica. – Tirò il gril
etto:

click! Sogghignai. – Oops.

Non fece nemmeno in tempo a tentare di scappare. Tirai fuori la mano di


tasca.

Le sistemai tra i denti il bal gag diametro cinque centimetri. Cinghietto


affibbiato

dietro la nuca, no prob. La trascinai sul a poltrona da barbiere. Whirr-click,


manetta

serrata al polso destro, dietro la spalliera. Whirr-click, polso sinistro. Ruotai


la pol-
trona con lei sopra. Cercò di tirarmi un calcio. Prolunga elettrica
disponibile. Le

legai le caviglie ai verticali del poggiapiedi, gambe bene aperte.

– La password è... – Feci risalire le mani lungo le sue cosce, fino al a carne
calda

oltre le calze, fino a sfiorare umori caldi. – ... lupocattivo. – Le affondai la


lingua nel

sesso.

– Hai barato. – Si tolse la maschera con un gesto secco. – Non avevi detto
niente

del a pistola finta.

Mi strinsi nelle spalle. – Ha funzionato lo stesso, no?

Si incol ò a me. – Non riprovarci. Altrimenti. . – Le labbra corsero lungo la


mia

gola. – ... Dovrai essere punito. – Mi mordicchiò un lobo. – Severamente


punito.

La piegai bocconi sul a spal iera del divano. Le serrai i polsi dietro la
schiena.

Estrassi il primo tratto di fune di nylon: – Contavo che lo dicessi.

365 racconti erotici per un anno

279

fORsE DOmaNI

1 ottobre
di Luigi Brasili

Il respiro di Marco. Scirocco, aria liquida che t’inonda e ti affoga. Ansima


su di te, una

due tre volte. Chiudi gli occhi e conti in silenzio i sussulti.

Oltre le palpebre chiuse vedi il neon del supermercato. Carrelli, volti, mani.
La sua

mano. Una due tre volte. La sua mano che sfiora la tua e ti porge il barat olo
dallo scaf-

fale troppo alto. I suoi occhi sorridono da soli, come soli nel o spazio
profondo. Stel e

luminose a scaldarti l’anima, anche quando scompaiono oltre l’angolo dei


detersivi.

Sette ot o nove.

Quel a mano che un giorno ha stretto la tua. A lungo. La voce ti giunge


lontana, i

tuoi occhi falene inchiodate nel a sua luce.

Stefano, piacere mio. Sa che abitiamo vicini? L’ho vista dal a finestra di
fronte l’altro

ieri. Che ne dice di un caffè?

No grazie, devo andare, mio marito è nel parcheggio…

Be’ sarà per la prossima volta.

Spingi il carrello di corsa, veloce come il tamburo nel tuo petto; no, non
voltarti!

Dodici tredici quat ordici, ancora un po’…


La tua mente scorre lungo giorni e settimane, nei fotogrammi delle sue
mani, dei

suoi occhi, delle sue labbra. Scorre fino al ’altro ieri. A quel a mano che ti
circonda il

polso, mentre l’altra t’infila il foglio nel a tasca dei jeans. Senza respiro.
Senza voce.

Venti ventuno ventidue, ci siamo quasi.

Ci guardano, ti prego, mio marito…

Lui è nel parcheggio, io sono qui, e ci sarò stasera. Al a finestra.

Devo andare, scusami.

Ti aspetto…

Ventinove trenta trentuno. Ecco.

Marco si solleva con un ultimo grugnito e sprofonda come un sacco sul


letto. Tu

torni a respirare, finalmente libera, leggera, mentre lo scirocco si allontana


piano e

l’aria è come nuova.

− Ti è piaciuto? − ti chiede, tu borbot i un sì e ti alzi. La porta del bagno è


una

barriera corallina intorno al ’isola lussureggiante oltre la finestra. Accendi


la luce e

rileggi il bigliet o, ancora. Fremi e tremi al pensiero di quel a mano che ti


scivola lenta

lungo i jeans, dentro la tasca, dentro. Dentro.


Ti ho vista ieri sera dietro la tenda del a tua finestra. Eri nuda, vero? Come
la sera

prima. Anch’io ero nudo. Ma questo lo sai. Ho visto che sbirciavi. Il mio
interno è il 9.

Sono di riposo ogni giovedì pomeriggio. Ti aspetto. Nudo.

Getti il foglio nel water, scosti la tenda. E lo vedi, lo senti. È dentro di te.

− Silvia, non vieni a dormire?

Un brivido al a voce di Marco, una frustata di ghiaccio e di fuoco.

Vengo, pensi smarrita. Forse domani.

280

365 racconti erotici per un anno

NOTTI

2 ottobre

di Nunzia C.

Erano anni che lo desiderava; tanti, troppi. Così tanti che aveva smesso da
un pezzo

di contare le volte in cui avrebbe voluto fare al ’amore con lui, sentirne il
tocco su di

sé. Forse perché, se avesse continuato, si sarebbe soltanto fatta del male.

Adesso invece era lì, davanti a lei, la guardava con occhi languidi e le
diceva

quel e parole che aveva sempre sognato di sentirsi dire.


– Ti amo. Ti voglio.

Aveva forse bevuto? Chissà. Erano appena tornati da una festa e lui aveva
voluto

riaccompagnarla a casa.

– Vuoi salire da me?

La domanda le era nata per caso, per effetto del ’alcol, di sicuro, e
probabilmente

anche la sua risposta affermativa.

Non le importava.

La luce del a luna piena filtrava dalle finestre, disegnando ombre e luci sul a
pel-

le, sui corpi, specchiandosi sui bicchieri di vino rosso.

– Ti amo. Ti voglio – le aveva ripetuto con voce roca, avvicinandosi, e il


suo

respiro s’era mozzato.

Pian piano le sue mani erano scese ad abbassarle le spalline esili del ’abito -
e chi

l’avrebbe mai detto che quel vestito sarebbe stato così utile? - poi ancora
più giù, sui

capezzoli già turgidi, seguite rapide dal a bocca che, ardente, li aveva
circondati e

aveva iniziato a succhiarli lentamente, troppo lentamente, pensò, ma in


modo così
dannatamente sensuale da farla morire di piacere; e ancora più giù,
sfiorando l’om-

belico e scivolando oltre.

Più veloce, ti prego! avrebbe voluto urlargli, ma si accorse che non riusciva
a fare

altro che ansimare, forte, sempre più forte; le sue dita le accarezzavano
l’interno

delle cosce e la solleticavano nei punti - ma come diavolo faceva a


conoscerli? - che

le procuravano più piacere, causandole piccoli brividi lungo la schiena; le


sue labbra

erano tornate su, sul collo, per assaporarlo lentamente, come fosse un cibo
squisito

che non voleva far terminare troppo presto.

Poi, al ’improvviso, quando si stava ormai chiedendo quando quel a dolce


tor-

tura sarebbe finita, entrò in lei. E allora non sentì più nul a, solo quel a
sensazione

di completezza, appagamento e godimento che aveva sempre sognato di


provare, e

quel corpo, il suo corpo, sopra di lei, dentro di lei. Gridò il suo nome,
ancora e anco-

ra, la voce libera di uscire.

Quando riaprì gli occhi, era già mattina. Lasciò che la mano cercasse il suo
cor-
po accanto a sé, ma non avvertì nul a.

Non c’era nessuno.

Per un istante, non poté fare a meno di chiedersi se ci fosse stato realmente;
i

bicchieri sporchi e abbandonati le uniche prove.

365 racconti erotici per un anno

281

vERENa

3 ottobre

di Shinu

Non è sicura che lesbica sia il modo giusto di porla.

Anzi, probabilmente non lo è affatto.

Ma ogni volta che vede Verena le verrebbe voglia di mangiarsela in un boc-

cone, e non è il tipo di sentimento che nasce dal ’amicizia molto profonda,
quello

che ti fa pensare “la amo così tanto che se lo volesse con lei potrei arrivare
a

farlo”. È piuttosto osservare il suo corpo rotondetto, le morbide braccia


bianche,

gli occhi nascosti da una montatura fuori moda e trovarsi a fantasticare su


come

sarebbe bel o spezzare quel ’innocenza. Lisa arde dal desiderio di stringerla
a sé
fino a lasciarle i segni, di morderla, di trattarla rudemente, ma anche di
rassicu-

rarla con un abbraccio e di guidarla quando arriverà al proprio limite e


Verena

sembrerà smarrirsi.

C’è qualcosa nel suo aspetto che la commuove, un’impronta infantile che in

lei è rimasta intatta e la fa spasimare di farle del male per poi curarla.

Si chiede se abbia mai provato a farsi scivolare una mano tra le gambe, se

le sue dita abbiano mai sfiorato il taglio netto del a vulva scoprendo cosa
cela,

quali paradisi. Retaggi puberali che per lei sono ormai una prassi, ma Lisa è

stranamente certa che per Verena non sia così. Ha un’aria troppo pulita e
timida,

il corpo eternamente cristallizzato in una goffa adolescenza, che non attira


più di

un’occhiata rapida e il pietoso commento “be’, è simpatica”.

Forse a eccitarla è proprio il fatto di sentirsi più esperta, dominante, unito

al a tristezza di sapere che una ragazza d’oro come lei non avrà mai un
partner

degno di questo nome, se resta così com’è. Un fiore non colto,


un’opportunità

sprecata, mille perle di piacere e dolore che nessuno assaporerà mai da un


viso

tanto trasparente.
E immagina che cosa possa voler dire leccarla, quale suono stupito
emetterà,

se sarà quel a la chiave per far emergere la parte più trasgressiva e disinibita
che

deve aver murato dentro di sé ormai da anni, stroncandola sul nascere.

Come sarà il suo primo orgasmo. Quale sapore avrà, quale odore, se le
piace-

rà quando Lisa le bloccherà i polsi sopra il capo o se ne sarà spaventata.

A questo pensiero viene, mentre le due dita che si era sepolta dentro si pla-

cano, seguite da quelle sul a clitoride. Non è possibile che ogni volta che
torna

dal lavoro debba correre a chiudersi in bagno come una ragazzina, perché la
sua

col ega preferita ha un’aria ingenua e sperduta che le infonde fuoco liquido
nel e

vene.

Non è sicura che BDSM sia il modo giusto di porla, affatto.

Ma intanto il suo desiderio resta.

282

365 racconti erotici per un anno

l’amORE E lE mUsE

4 ottobre

di Alice di Mattia
– Adoro il tuo modo di scrivere! – esclamò Lisa, accoccolata sul divano
accanto a

Grazia. – Io non sarò mai in grado di creare universi e persone come fai tu.
– Con

una mano tracciò qualcosa di vago nel ’aria.

– Anche tu scrivi? – chiese Grazia sorpresa.

Lisa tentò di negare, ma la scrittrice dai capelli rossi inchiodò gli occhi nei

suoi, l’espressione ardente di curiosità e offesa. – Tu scrivi e non me l’hai


detto!

– Ti prego... non sono certo al a tua altezza! E poi... – Lisa chinò il capo. –

Non voglio apparire come una sciocca presuntuosa.

– Anch’io sono presuntuosa. Molto presuntuosa, e pure dittatoriale.

Lisa rialzò lo sguardo con una risatina. – Non è vero!

– Oh, sì invece. È così vero che ti ordino di raccontarmi ciò che scrivi.

– Perché? – mugolò lei in un’ultima difesa disperata.

– Perché voglio spogliarti l’anima... – sussurrò Grazia.

L’arte aveva bisogno di sacrifici, di cuori nuovi da imparare. Ora e per


sempre,

perché le Muse non erano più dee e non erano più vergini. Si erano fatte
mortali,

sorde alle preghiere, quasi introvabili.

Le labbra di Grazia planarono sul a sua futura Musa nel punto in cui il collo
si
congiunge con le spalle, suggendo la pelle come se fosse stata nettare
divino. Lisa

si arrese subito e si lasciò spogliare respirando in fretta. Fece appena in


tempo

a finire di sfilarle i pantaloni che Grazia si sporse verso il tavolino e afferrò


una

stilografica. – Detta – le ordinò.

E Lisa ubbidì. Le sil abe fluirono lentamente fra gemiti interrotti, mentre

Grazia le copriva la schiena di scritte. Quando terminò lo spazio, la punta


del a

penna prese ad accarezzarle i seni. Grazia le strusciava il naso contro i


fianchi e

il ventre, riscrivendole l’anima. Quando terminò le frasi, Grazia inventò


lettere

e ghirigori. Quando terminò l’inchiostro, Grazia le leccò via quei giochi,


mac-

chiandosi la lingua di blu. E quando infine rimasero senza energie, Lisa


prese fra

le braccia quel a donna troppo brava e la cullò.

– Tutto ciò che tocco si muta in parole. È un dono o una maledizione?

– Un dono – sussurrò Lisa baciandole le mani con devozione. – Un dono

meraviglioso.

– Cosa ti piace di me? – domandò Grazia con improvvisa angoscia. – La

donna o la scrittrice?
– E tu ami in me la donna o la lettrice? – Sfiorò con un dito le ginocchia di

Grazia, sorridendo dolcemente. – Perché devi dilaniarti di domande?

– Se non mi facessi tante domande, non avrei materiale su cui scrivere. E se

non scrivessi non ti avrei mai incontrata, folle sognatrice.

365 racconti erotici per un anno

283

lO scambIO

5 ottobre

di Silvia Lisi

Nel a piccola roulotte, mentre il direttore le faceva una scenata, la donna


can-

none ascoltava in religioso silenzio le termiti che sgranocchiavano la


poltrona

di vimini su cui era seduta. Dopo un mese di sesso folle, l’uomo con cui era

scappata lasciando nel a merda il circo, l’aveva abbandonata. Sola e


disoccupa-

ta aveva raggiunto di nuovo la compagnia e, quel a notte, il direttore


incazzato

continuava a blaterarle contro maledizioni.

La cicciona sciagurata rivoleva il suo posto e, dopo poche suppliche, sul a

poltrona che cigolava a ogni suo movimento, prese a sbottonarsi suadente i

primi bottoni del a camicetta attil ata, lasciando intravedere l’enorme seno.
Il direttore ammutolì. Gli occhi gli bril arono. Lui adorava quelle poppe

prosperose, che in ogni spettacolo, volteggiando in alto, avevano sfidato


tutte

le leggi del a fisica gravitazionale; la donna cannone lo aveva sorpreso più


volte

a spiarla, mentre si svestiva e rivestiva, e a masturbarsi dietro le tende del


suo

camerino. Ora quel a vista ravvicinata gli procurava intense fitte di piacere.

Cosa gli stava proponendo la donna cannone? Uno scambio?

La pressione sanguigna salì vertiginosamente, l’uomo afferrò un mazzo di

fogli e prese a sventolarsi rapido per far scemare l’improvvisa calura. La


donna

cannone scagliò il colpo di grazia: si alzo e, con un movimento deciso delle

spalle, fece esplodere il quarto bottone, lasciando spuntare a compressione


le

tette enormi.

La roulotte traballò.

Mentre lui faceva su e giù, su una brandina che sembrava dover col assare

da un momento al ’altro, la donna cannone aveva tentato di strappargli la


pro-

messa: – Giurami che riavrò lo spettacolo e sarò per sempre tua!

Il direttore non rispondeva, gli mancava poco, ma lei insisteva: – Promet-

timelo!
Finì la parola e un ululato di piacere rimbombò come un tuono fra le pareti

di legno. Gustandosi l’orgasmo, il direttore guardò ancora una volta


l’incavo fra

i seni e, con un sorriso compiaciuto e amaro, le sputò in faccia il suo “no”.

La donna cannone divenne una furia. Fece un balzo in avanti, scaraventò

l’uomo giù dal a branda e con rabbia, urlando, gli si buttò addosso.
Centoventi

chili di ciccia feroce che con le mani schiaffeggiavano l’uomo e con le tette

enormi cercavano di soffocarlo. Ci vollero tutti i domatori di elefanti e il


do-

matore di leoni per levargliela di dosso.

La donna cannone scomparve, completamente nuda, quel a sera stessa. La

cercarono lungo il perimetro del circo, in città, ma nessuno la vide più.

284

365 racconti erotici per un anno

PERchè NEssUNO l’ha sIsTEmaTa PRIma DI mE

6 ottobre

di Roberto Lisi

I corvi odiano essere scoperti mentre si baciano. Oggi li trovo nel ’orto
mentre

si masturbano con i sacchetti di plastica e, come al solito, scappano via. Si


leva-
no sopra le piante di mais. Tradiscono appena la mia presenza.

Gli uomini del a città sono sessualmente impotenti e gli unicorni vengono

sterminati senza pietà. I contadini mi hanno teso una trappola perché, man-

giando pezzi del mio corpo, si riapproprieranno del a libido.

Sento odore di foglie marce, degli ultimi pollini di Silene, odore di muffa, il

suono del vento, e finalmente, nei campi dove si alternano stagioni a


stagioni

sempre uguali, l’odore di una vergine.

La ragazza che deve fare da esca è un cesso, e viene accompagnata dai cac-

ciatori al centro di una corte. Si siede sopra una fresa. In molti dal a città si

sono avvicinati per assistere al a cattura di un unicorno.

Io non sono un essere puro, mi sono consumato da piccolo montando un

oggetto trovato negli orti (un piumone per il 50% acrilico e per il 50% di
lana

merino). Poi una cerva, un contadino, niente di più.

La verga dei liocorni risponde immediata agli stimoli olfattivi. Eccitato, me

ne sto tra le piante di mais, e ascolto gli umani.

– E se la ragazza non fosse vergine?

– Se continua così non usciranno mai allo scoperto. Non tira più vento!

– Tesoro, muovi la gonnel a. Vuoi darti da fare?

La ragazza inizia a frignare, teme che gli farò provare molto dolore. È in-
timorita dai cacciatori che, per tradizione, indossano pantaloni dalle
cerniere

sbrindel ate, mutandine di pizzo rosso che sbordano sul ventre gonfio di
birra,

e magliette al a marinara decisamente troppo corte.

– Come mai non escono ancora? Vedrai che qui ci sono solo unicorni froci

e me li sbatto tutti! – spettegola un cacciatore.

Sarà l’ultimo amplesso del a mia vita. Il sesso con una vergine significa

morte e rinascita.

Alcune donne fissano la scena dal ’alto di una collina, succhiando del gelato

al limone. Urlano incuriosite nel vedere la ramazza equina sfoderata, come

fosse il tubo di un potente aspirapolvere da strofinare negli angoli di casa.


Le

immagino dire: “Il cavallino ha raggiunto la vergine!” e poggiando la testa


sul

grembo del cesso, mi lascio finalmente andare al ’orgasmo.

Con il lazzo, i cacciatori mi soffocano lentamente. Mi lascio amputare il

corno afrodisiaco, e quando arriveranno con la mannaia al pisello, non potrò

godere del loro gesto perché sarò morto.

365 racconti erotici per un anno

285

DUbaI, Ya habIbI
7 ottobre

di Alessandro Falco

I commessi indiani si inchinano cerimoniosi, lei esce dal a penombra satura

di essenze esotiche. Altera, nel suo portamento da regina, lancia in avanti il

passo e fa volteggiare i lembi del ’ abbeya che plasma forme appena


dissimu-

late. Gli occhi bistrati affiorano dal khimar ripiegato sul a testa in una
voluta

sontuosa, le maniche arabescate con i colori del pavone s’irradiano dai polsi
al

seno morbido, al a nuca velata. Fende la fol a, s’inoltra nel a vasta galleria
sfa-

vil ante di luci, sale sul a pedana mobile diretta al ’uscita tra cascatelle
d’acqua

scrosciante.

Lui finge di osservare le perle esposte oltre il vetro blindato, scruta al ’in-

torno facendo ondeggiare le nappine del a khefia, sente il sudore scorrere


sui

fianchi stretti dal a dishdasha candida, tormenta la sebkha di grani d’avorio


con

dita impacciate. La vede, il sandalo inciampa incerto sul primo gradino


dello

scalone di vetro, la segue.

Si tuffano sui taxi che si materializzano al ’uscita, uno dopo l’altro. L’at-
mosfera rovente del ’esterno e l’ansia montante mozzano il respiro a
entrambi.

Curve e controcurve. L’ombra dei vertiginosi grattacieli di vetro nero, lo


spie-

tato biancore degli spiazzi assolati, poi l’accelerazione sul lungomare


deserto,

sottile confine tra salinità tiepida e vapore torrido, verso l’ardito profilo del
’al-

bergo teso come una vela in planata sulle acque del a baia.

Lei spalanca la porta blindata del a suite, lui sguscia dentro prima che le

molle la richiudano silenziosamente. Lei si avvicina al grande letto


circolare,

lancia un’occhiata allo specchio che lo sovrasta, vela completamente il viso


con

il lembo nero. Lui s’accosta, l’abbraccia, fa scorrere il cursore del a cerniera


sul-

la schiena inarcata, libera le spalle erette, il seno ansante, lascia cadere a


terra

il tessuto morbido che si dissolve in una nuvola nera. Ambra e gelsomino si

diffondono nel ’aria, muschio e sandalo vi si mescolano quando i bottoni


del a

veste sono slacciati, camicia e mutandoni volano attraverso la stanza.

L’amore ha il tatto di un pube liscio, di recente rasato, l’intensità del deside-

rio maschile, da lungo represso, lo sfarzo di un ambiente disegnato con


sapien-
za, al ’interno, l’impeto selvaggio del a natura spietata, al di fuori.

Carmela stiva in valigia saponi e sali sottratti al bagno sontuoso, raccoglie

la biancheria di Gennaro sparsa sui marmi policromi, racchiude in una man-

ciata serica l’ abbeya sottile. Il meriggio è rovente, a Dubai, ma il volo per


l’Italia

è prossimo a partire.

286

365 racconti erotici per un anno

vODka lIscIa

8 ottobre

di Christian Bencivenni

Ok. Ecco la situazione.

Sono in ginocchio sul pavimento di una macelleria, nudo come un verme,

con l’uccello dritto e Mel che me lo lavora di bocca al a grande.

Non suonerebbe male, se non fosse per le mani legate dietro la schiena da

una fascetta di plastica, la pistola puntata al a testa e il ciccione albanese


che ho

di fronte che non smette di ridere.

Zorro (il ciccione) ride perché mi ha detto che appena vengo mi fa saltare

la testa, e trova divertenti le mie espressioni mentre cerco di al ungarmi la


vita.
Mel invece no. Fa una pausa e con una mano mi accarezza i testicoli, poi mi

sorride con quel a sua espressione stronza e ricomincia a leccarmelo. Che ci

crediate o no, nonostante tutto mi piace rivedere quel ’espressione.

È la prima cosa di lei che ricordo.

Due mesi e una vita fa. Una serata a Rimini con gli amici, un lavoro da

impiegato precario e una vita banale. Poi dopo tre Cuba Libre quel
’espressione

che ha cancel ato tutto e nient’altro a parte la sua pelle mentre scopiamo in

macchina. Certo, ancora non lo sapevo che faceva la puttana ed era sposata

con un albanese di nome Yuri che oltre a farla prostituire trafficava in droga
e

aveva un conto in sospeso con dei russi. L’ho saputo dopo. A dire il vero
una

volta mi ha anche detto che mi amava. Eh! Amore. Che stronzata.

Comunque è andata così: Yuri ha fregato dei mafiosi russi che ora lo voglio-

no morto. Quindi ha ordinato a sua moglie di trovare qualcuno che gli


somigli

(io) e mandarlo a un appuntamento suicida al posto suo, così si tiene i soldi


dei

russi. E vissero tutti felici e contenti. Tranne me.

Mel fa quel a cosa con la lingua e le budel a mi si attorcigliano e prendono

fuoco. Cerco disperatamente di fermarmi, ma se non fosse per lei che mi


strin-
ge dolorosamente sarei morto. Non ho capito se è sadica o se ha pietà di me.

– Allora? – Yuri entra finalmente nel a stanza.

Mi viene da piangere.

– VODKA LISCIA – urlo con tutto il fiato che ho in gola.

Yuri e Zorro si guardano e scoppiano a ridere come matti.

È un attimo. La luce si spegne e l’aria si riempie di tuoni e lampi.

Nel buio, con l’aria che sa di cordite e le orecchie che fanno male, Mel fa di

nuovo quel a cosa e finalmente mi scarico urlando tutto il dolore, la rabbia e

l’eccitazione. Dopo. Yegor sogghigna e se ne va portandosi via i suoi e i


cadave-

ri. Ho impiegato sette ore a convincerlo che non ero Yuri e che potevo
farglielo

trovare, ma per usare la parola d’ordine Yuri doveva esserci, sennò erano
cazzi.

Sorrido a Mel seduta in un angolo. Lei mi sorride. Eh! Amore...

365 racconti erotici per un anno

287

IO mI chIamO vITTORIa

9 ottobre

di Piera Cherubini

Ale è buono e mi aiuta. Io da sola non so fare nul a. Ale è mio amico. Si
chia-
ma servizio civile, quello che fa lui. Ale mi accompagna a scuola, la
mattina.

Mi dice: – Sali, Vittoria. – Vittoria sono io. Ale viene con la macchina. Poi
mi

porta a scuola. Al a mezza viene a riprendermi. Il pomeriggio mi porta al


’As-

sociazione. Io sono grande, ormai. Faccio la prima media. Però quest’anno


la

scuola è difficile. Io oggi ho fatto la festa al ’Associazione. Ho sedici anni,


oggi.

Ho chiesto: – Quanti anni avrò domani? – Tutti ridevano e mi dicevano: –


Au-

guri! – Anche io ridevo. Anche Ale rideva. Forse perché sono un po’
vecchia?

Ale è anche bello. Però lui non mi guarda. Perché sono brutta. Però sono
sim-

patica. Faccio ridere, io. Sì, ridono tutti quando parlo. Anche Ale ride. È
bello

quando ride, lui. Sono tutti belli quelli del servizio civile. Ma Ale è il più
bello

di tutti. È anche gentile. Io mi vorrei sposare con Ale. Ma forse sono troppo

stupida. E lui non vuole una moglie stupida. Ieri mi ha detto che sono
carina.

Lui è gentile. Poi mi ha detto: – Fammi vedere le tette. – Ha detto che ho


delle
belle tette. Allora ieri gli ho detto se mi vuole toccare le tette. Ale se mi
tocca

le tette forse mi vuole bene. E lui me le ha toccate e ha detto che sono dure.
A

me non mi pare tanto. Io ho dura la testa, mica le tette. Quelle sono dure
solo

davanti. Ale è gentile e io vorrei sposarmi con lui. Oggi mi ha detto: –


Vittoria,

hai sedici anni, belle tette e ormai sei una donna. – Così mi ha detto Ale.
Poi ha

tirato giù i pantaloni. Mi ha detto: – Fai finta che sia un gelato. – Io ho


leccato,

ma non mi piaceva. Era salato. Poi mi ha detto: – Non leccare, ma succhia.

Come un ghiacciolo. – Però il ghiacciolo è freddo e invece lui era caldo. Io

ho succhiato forte. Poi lui spingeva e io quasi soffocavo. Gli ho detto: –


Posso

smettere per un po’? – Ma Ale s’è arrabbiato. Si vede che sono proprio
cattiva.

Così ho succhiato forte. Per farmi perdonare. Poi ho sentito un po’ di schifo

caldo. Io volevo spostare la testa. Ma Ale mi ha detto: – Stai ferma così, che
ti

sposo. – Forse scherzava, ma io non mi sono mossa. Anche se mi faceva un


po’

schifo. Un po’ tanto schifo. Poi volevo sputare, ma lui si è ancora


arrabbiato.
Io sono proprio cattiva. Fa bene Ale, se non mi sposa. Non la dico però al a

mamma questa cosa. A nessuno la dico. – È una promessa, un segreto –


come

ha detto lui. E io sono cattiva e stupida, ma non tradisco una promessa.


Adesso

vado a dormire.

288

365 racconti erotici per un anno

NON cI RIEscO

10 ottobre

di Debora Magini

Stava ancora tentando di avere la meglio su quel ’assurdo esercizio di


ingegneria quan-

do un piccolo uragano irruppe nel a stanzetta gettandoglisi fra le braccia.


Sospirò.

– Selvaggia – mormorò, cercando di scrutarne il viso stravolto.

– Non riesco – si lamentò lei, stringendolo più forte.

– Non so di che parli. Sei zuppa. – Afferrò un asciugamano e glielo passò


sul a testa.

– Scusami – mormorò lei affranta.

– Tranquil a – le sorrise Luca.

Il silenzio si diffuse nel a stanza, rot o solo dallo scrosciare del temporale,
permet-
tendo così a Luca di cogliere il respiro affannato di Selvaggia, la camicetta
abbot onata

male, il viso arrossato, le labbra gonfie. Lo stomaco gli si strinse in una


morsa.

– È andata così male? – iniziò incerto. – Avete litigato ancora?

– Stavolta non è neanche arrivato in fondo. Si è acceso una sigaretta e mi ha


cac-

ciata – bisbigliò lei umiliata.

– È uno stronzo, lo sai.

– Lo amo. E non ci riesco. È colpa mia.

Luca si afferrò la radice del naso rilasciando un tormentato sospiro. Se solo


avesse

saputo! – Il sesso si impara, come tut e le cose.

– Allora vuol dire che io sono negata! Sono mesi che proviamo! E io… A
volte

nemmeno mi bagno!

Luca le lanciò una tuta per poi voltarsi verso la finestra. Cercò di
concentrarsi sul a

pioggia, ma il pensiero di lei nuda lo scuoteva.

– Cosa posso fare? – riprese lei.

– Non sono la persona adat a a consigliarti. Sono un uomo, lo sai – disse


amaro.

– Appunto! Come si comporta una donna con te?


Luca sentì nuovamente il desiderio invaderlo. – Smettila.

– Per favore – lo implorò.

Le si avvicinò e le carezzò dolcemente la testa. – Non posso spiegarti come


eccitarti

– sussurrò mentre la mano scendeva a carezzarle piano la nuca. La sentì


rabbrividire.

Lei lo fissò stordita, ma non accennò a rompere il contat o. Luca,


sorridendo, le

fece vagare un dito intorno al collo, fino al a scapola, e lì sostituì il dito con
le labbra,

posandovi un impercettibile caldo bacio.

Selvaggia sentì il viso infuocarsi e rabbrividì ancora. Piano, lui la spinse


contro

il letto, sovrastandola. Si mosse inquieta sot o il suo sguardo, conscia del a


fame che

dimostravano i suoi occhi, e lo vide chiudere gli occhi dolente mentre quel
dito im-

punito, scivolando oltre le mutandine, arrivava al a sua femminilità,


sfiorandola con

decisione. – Vedi, sorellina? È lui che è un idiota – sussurrò Luca prima di


alzarsi e

sparire, lasciandola sola ed eccitata.

365 racconti erotici per un anno

289
Il PREZZO DEI TUOI sOgNI

11 ottobre

di Laila L. Bassi

Non sai niente di lui, nemmeno il suo nome, ma se non ti puoi beare del a
sua

attenzione, ti culli nel nebuloso mondo del ’immaginazione, dove tu non sei

l’anonima cameriera di un anonimo bar di città.

No, tu sei lì, tra le sue braccia, sulle sue ginocchia, e lui non ha occhi che
per

te, ti bacia, ti accarezza. È tuo.

Magari per il mondo tu rimani anonima, ma per lui sei tutto. È questo che

pretendi dai sogni.

Le sottili corde del a fantasia si tendono, si deformano e rimodel ano


attorno

a voi: le sue mani ti accarezzano il viso, i fianchi, le cosce. Assapori le sue


labbra,

lambisci la sua lingua, assapori il frutto proibito del a vostra eccitazione.

Un inebriante calore si diffonde per tutto il tuo corpo e inizi a sentire la


testa

pesante, in preda a una febbre incontrol abile. Non resisti e con una scusa
bo-

fonchiata frettolosamente fuggi via dal bancone, ritirandoti nel privè. Ti


chiudi
la porta alle spalle e vi appoggi contro la schiena. Chiudi gli occhi e ripensi
a lui.

Non è difficile e il tuo corpo comincia a rispondere al desiderio.

Ora che non hai più ostacoli, cominci a ricamare di fantasia.

Ti senti attirata come una falena al a luce, e non ti basta, vuoi di più, lo vuoi

completamente.

Impazienti, vi spogliate e lui accarezza parti di te che si accendono e ardono

al suo tocco. Non hanno importanza le parole e solo gli ansiti


accompagnano i

vostri corpi danzanti.

Così, mentre cavalchi la fantasia e vinci il tuo lieto fine, mentre doni a lui
l’ac-

cesso al tuo corpo dove più gli piace, nel a realtà premi la schiena contro la
porta

chiusa e ti dai piacere con una mano.

Ti muovi lentamente, come se un qualsiasi gesto brusco potesse spezzare il

tuo sogno di cristal o. Non deve accadere, non prima che tu riesca a
raggiungere

l’apice del piacere.

Ci vuole poco, perché la tua fantasia è troppo vivida e tu troppo eccitata, e

mentre raggiungi l’orgasmo ti mordi il labbro. Quel a scintil a di dolore e


quel a

nuvola di piacere ti fanno risvegliare dal tuo sogno.


Apri gli occhi di scatto, le guance arroventate, avvertendo un dolore fisico

mentre sei strappata dal tuo sogno.

È stata la tua mano a portarti al piacere, non è stato lui. Non accade che i
so-

gni si avverino e, recuperando il fiato, senti la vergogna del tuo gesto.

Perché il prezzo dei tuoi sogni è solo quello: lui non sa che esisti e tu ti
rifugi

in un mondo fittizio.

Al ’improvviso ti viene da piangere.

290

365 racconti erotici per un anno

Il gIaRDINO DEI sETTE sENsI

12 ottobre

di Leonia Rossi

Il Giardino dei sette sensi è la casa di piacere più esclusiva del pianeta.

Costosa, è vero, ma solo lì posso trovare il meglio.

Ed è quello che mi aspetto anche oggi, mentre varco la soglia e attraverso il

salone, dirigendomi al a console di prenotazione, che si il umina


brevemente

mentre digito un codice di riconoscimento.

Mi prendo il tempo che occorre per scegliere la merce.


Femmine, maschi e qualche raro ermafrodita. Razze diverse, sono presenti

quasi tutti i pianeti. Ogni articolo è corredato da foto e didascalie.

Le esamino, pregustando il piacere, lasciando che l’eccitazione si risvegli.

Scorro le immagini mentre un formicolio si insinua tra le mie dita. La vo-

glia di toccare quei corpi sale, e il calore si diffonde rapido dentro di me.

Una femmina umana. Corti capelli biondi, forme morbide. Mi immagino

succhiare quei capezzoli rosa e decido che deve essere mia.

Mi affretto a terminare l’ordine e mi lascio guidare fino al a stanza che ho

scelto.

Mi spoglio lentamente, lasciando scivolare gli abiti a terra, e mi immergo

nel a piscina al centro del a stanza.

La donna entra in silenzio e languidamente lascia cadere il velo che la rive-

ste, scivolando flessuosa nel ’acqua.

Trattiene il respiro mentre il seno s’inturgidisce e si alza a contatto con l’ac-

qua fredda. Mi avvicino con un guizzo, per colmare la distanza che ci


separa, e

la trascino giù, avvinghiando il mio corpo a quello di lei, impaziente di


sentire

il contatto del a sua pelle.

Lei solleva le braccia per afferrarsi alle mie spalle e con una leggera spinta

sale ad avvolgermi le gambe attorno ai fianchi.


Posso sentire il calore che emana dal suo sesso, appoggiato sul mio ven-

tre. La adagio nel ’acqua, percorrendole il corpo avidamente. Stringo con


forza

uno dei seni, e mi abbasso a leccarle l’ombelico, mentre con la mano libera
la

penetro. Mi muovo dentro di lei con esperienza e la vedo rovesciare la testa

al ’indietro, mentre sospira di piacere, eccitandomi. Non ha sapore, ma


l’odore

del suo sesso riempie l’acqua, acuendo il mio desiderio.

Non riesco più a trattenermi e mordo. Il sapore ferrigno del sangue mi

riempie la bocca, e vengo con un sussulto. Le sue grida mi inebriano e


mentre

scalcia per staccarsi stringo ancora più forte, trascinandola sotto e


mordendo

ancora, e ancora, finché l’acqua non è arrossata del suo sangue.

Mi prendo tempo per il pasto.

Adesso ho tutta la notte per godere del settimo senso.

365 racconti erotici per un anno

291

asPETTa

13 ottobre

di Maria Teresa Casel a


– Aspetta. . – Scivola sul pavimento mentre le al arga le gambe col
ginocchio. –

Oh porc...

Toni si puntel a, con qualche spinta vigorosa si assesta dentro di lei.


Recupera

baldanza. Va avanti da ore, ma gli torna duro. – Ti prendo, amore mio.

Petra rovescia la testa offrendogli la gola.

– Lo sapevo. – Toni lecca le vene rigonfie. – È tutto come prima.

Come quando Petra diceva sono solo tua con il morbido accento slavo. Solo
di

Toni, che la copriva di regali. Che diventava una bestia se lei parlava con un
altro.

Che tracannava vino ignorando le sue suppliche mentre la pestava a sangue.

Oltre le suppliche, Petra non andava: poliziotto batte in credibilità


cameriera

polacca dieci a zero.

Toni la guarda e si commuove.

– Quanto sei bel a... – Sfrega la faccia sui suoi seni. Seni pesanti e un culo
da

perderci la testa. Toni ce l’ha persa davvero. Una sera che Petra tardava, si
era

strappato i capelli sul balcone fissando stralunato la strada. Quel a sera


Petra ave-

va riso di lui. Poi mai più.


Toni le ficca la lingua in bocca e succhia la saliva che le cola giù per il
mento.

– Ti bevo, amore mio. – Intanto la scopa adagio, a ritmo con il respiro


alcolico.

– Dillo che ti piace!

Petra tace e acconsente. Lui quasi viene nel sentirla tanto docile. È così
eccitato

che le morde la guancia, lasciando segni troppo netti, e nemmeno se ne


accorge.

– Lo senti quant’è grosso, bambina? – Ora se la sbatte con violenza vicina


al

parossismo. Sotto di lui, il corpo sembra squassarsi. Toni si sfila e la rigira


prona,

faccia premuta sul marmo gelido. La infilza tra le natiche. A questo punto,
di so-

lito, Petra tentava una protesta, ma poi si bagnava di più. E a quel punto, di
solito,

Toni si svuotava con un grugnito. Ora non si placa. Non si placa da ore.

– Dai, tirati su. – L’agguanta ai fianchi per metterla carponi, ma lei ricade su

se stessa. Toni insiste a vuoto. Trasale quando la fronte di Petra batte il


suolo con

un tonfo sordo. Toni singhiozza e ride. Cerca di raddrizzarla e si sganascia


perché

di nuovo il corpo rovina scomposto. Allora ci crol a sopra, cede a un


orgasmo
disperato.

– Aspetta... – geme, stringendo una mano esanime. Ma Petra se n’è andata.

Toni si guarda attorno in cerca di un modo per riprenderla, che senza di lei

non vive.

– Aspetta! – bisbiglia trasognato, e vede la Beretta sul mobile. Si avvicina


stri-

sciando, tremante di malata speranza. Con la canna tra i denti: Petra, non ti
lascio.

L’ultimo pensiero prima di raggiungerla.

292

365 racconti erotici per un anno

almENO fINO a sTasERa

14 ottobre

di Paolo Azzarello

La tipa al a cassa mi lancia un’occhiata maliziosa e si sporge un po’ di più


sul banco-

ne. Ha un paio di tette niente male. Strette in quel a maglietta mimetica


sembrano

sul punto di straripare da un momento al ’altro. Deve venire da fuori: non


l’ho mai

vista prima. E, a essere sinceri, è un gran bel vedere. Batte l’articolo


mordicchiandosi
il labbro inferiore e quando al unga la mano per recuperare la carta di
credito, indu-

gia sulle mie dita un secondo di troppo. Mi sfiora la fede e sorride. Gran
maiala.

Rispondo al sorriso e le strizzo l’occhio.

– Fa un caldo, qua dentro – mi dice, sfarfal ando le ciglia e tormentandosi la

scol atura con unghie laccate di viola. È un negozio piccolo, questo. E il


venerdì

mattina non è che la gente faccia a botte per entrare.

Quindi siamo soli. Io, lei e il suo gigantesco paio di tette.

La osservo mentre gira attorno al bancone e si dirige sculettando verso la


porta.

La minigonna verde militare copre a stento due chiappe che potrebbero


spacca-

re una noce dando solo una lieve stretta.

Al ’improvviso mi è venuta voglia di frutta secca.

Scuoto la testa e inizio ad al entarmi il nodo del a cravatta, mentre la


commessa,

dopo aver chiuso a chiave e abbassato le tendine, avanza verso di me.

Lenta. Felina. Con uno sguardo da troia che già solletica le mie parti basse.

Si toglie la maglietta e la getta per terra, vicino a un espositore. Poi è la


gonna a

scivolare ai suoi piedi, in un fruscio seducente. Faccio appena in tempo ad


abbassar-
mi i calzoni che mi è addosso. Mi scaraventa sul bancone e mi monta. Le
sue mani si

mescolano al a mia pelle e la sua lingua è una piuma umida sul collo.

Sento la pressione del suo seno sul torace. Potrei soffocarci, lì dentro,
penso, e

morirei felice. Ma morire mi sembra la cosa più stupida da fare, in questo


momento.

Invio una mano in avanscoperta sotto le mutandine. È bagnata come un lago


sotto

il diluvio.

– Non sono sempre così – si schermisce. Ogni sua parola è un gemito; ogni

gemito è un inarcarsi di schiena e un dischiudersi di cosce. – È che mi hai


preso da

subito.

– Capisco – dico, anche se non me ne frega un cazzo. Le afferro i capelli e


la gui-

do in basso, dove la invito a darsi da fare. Si blocca un attimo e mi guarda.


Un po’ di

rossetto le si è sciolto agli angoli del a bocca.

– Mi eccitano gli uomini sposati. È più forte di me – confessa. – E tu lo sei,

vero?

Penso al a Smith & Wesson che mi ha appena venduto e non riesco a


trattenere

una risata.
– Lo sono – dico. Almeno fino a stasera.

365 racconti erotici per un anno

293

lE NUmEROsE aNImE DI EROs

15 ottobre

di Nicoletta Stecconi

Sofia. Mi ha baciato gli angoli di un sorriso: – Non sono del tuo stesso
sesso.

– Lo so, ma c’è qualcosa comunque, perdonami.

– Non ho paura e non c’è nul a da perdonare al piacere.

Le ho portato la mano al a scol atura, il cuore impazzava. Ha preso a


scendere.

Il mio capezzolo era lì, dispettosamente in attesa, l’ha preso in bocca


succhian-

dolo golosamente. Pensavo di avere un orgasmo lì per lì.

– Scusami, non è il posto giusto, né il momento.

È uscita, lasciandomi con un seno scoperto e il corpo ansimante.

Matteo. Se dovessi scegliere di avere un amante, sarebbe lui. È il tipo che ti


trom-

ba in ascensore e ti sussurra parole sconcie nei corridoi del ’ufficio.

Mi ha accarezzato le braccia: – È l’odore del a tua pelle che...

Intanto mi scavava dentro con gli occhi, per stanare la mia anima oscura.
Il mio uomo. È geloso del ’idea del ’amore che mi ruba l’anima. Eppure non
sa.

Una bottiglia di vino e poi abbiamo parlato e giocato. In vino veritas, si sa.

Mi ha spogliato: – Non è il fatto di scopare un altro, ma quello che ne viene.

– Perderci il sonno?

– Esatto.

– Vero, le donne non scindono il sesso dal ’amore.

– A me non è mai successo che si innamorassero di me, dopo.

E rideva. Allora o lo prendevo a schiaffi o me lo scopavo lì per lì.

Ho optato per la seconda, mordendogli il collo, scendendo lentamente sul


suo

corpo con la lingua. Gioca, il mio uomo. Ma gioca con il fuoco.

Lui. L’ho incontrato di nuovo, l’amore che mi ruba l’anima, e ho


dimenticato me

stessa, l’altra, e l’altra ancora, uscendo dal vestito e rientrando dal fondo di
una bot-

tiglia vuota. Ha giocato sul mio corpo e io ho goduto di quel a piacevole


sensazione

di pienezza che mi lascia, ogni volta, nel a bocca, nel sesso, nel ’anima.
Uno sguardo

e lui mi segue, mi abbraccia da dietro, una mano sul a bocca, non vuole che

io parli, in silenzio mi prende. E io silenziosa rivelo sempre più il mio


modo,
perché lui non ha dovuto scavarmi dentro per trovare l’anima oscura e
rubar-

mi il sonno. Se mai dovessi cercare un’emozione vergine mi farei succhiare


i

capezzoli dalle sue labbra di donna, e ricambierei il piacere. E chissà quante

altre cose imparerei.

Se mai dovessi cercare un amante per vendetta, è Matteo che sedurrei. Una

sveltina in ascensore, mani sulle natiche e qualche vuota parola porca. Se


mai

dovessi incontrare lui, recupererei il sonno dormendogli addosso e mi


gioche-

rei l’anima, per l’eternità. Lancio ancora i dadi e attendo la prossima mossa
di

Eros, chiedendomi: – Cosa sarò domani?

294

365 racconti erotici per un anno

vIvERE IN UN PORNO

16 ottobre

di Luca Merendi

Ah, come sarebbe vivere in un porno? Ti svegli la mattina intontito e la pri-

ma cosa che pensi è che non ti ricordi affatto cos’è successo la sera prima.
Ti

guardi attorno e scopri che non sei solo. Una donna seminuda giace accanto
a te. Socchiude gli occhi e in quel momento capisci che anche lei non
ricorda

cosa sia accaduto. La seconda cosa che pensi è che vorresti che oltre agli
occhi

schiudesse anche le labbra; per farti un pompino. Ti metterebbe a posto la

giornata con uno sforzo davvero minimo. E invece no, si gira dal ’altra
parte

sorridendo semi-incosciente. È qui che scatta il meccanismo e mi stacco dal


a

realtà. Si gira, ti bacia, scende e te lo prende in bocca, ma tu sei già oltre,


stai

pensando a chi conoscerai durante il giorno e a chi trasmetterai la tua voglia

di scoprire il corpo altrui. Immagini tutte le tue colleghe nude che sfilano
per

farsi giudicare e consigliare.

“Come mi muovo?”, “Bene così?”, “Dài su, sii sincero!”.

Allora riaffiorano brandelli di sogni e ti scopri davanti a una finestra su un

letto non tuo che tenti invano di inculare un amico di vecchia data, mentre il

tuo migliore amico ti incita, ben consapevole, avendo lui già provato, che la

cosa non ti dispiacerebbe. Il problema è che non ti si drizza ed ecco di


nuovo

che dal sogno sterzi brusco al a realtà.

Dal a notte si materializza una Polaroid che ti riprende sopra la tipa che
hai di fianco, meticolosamente impegnato in una penetrazione bianca e
volta.

E chi se lo sarebbe mai aspettato? Lei così pudica che dopo cinque minuti
di

avances ti ribalta come un calzino. Carnagione scura, carnagione chiara,


don-

na che muta giorno dopo giorno in un turbinio costante. Donna che desideri

incessantemente. Donna che usi, donna che getti, donna che seduci e prendi.

Ah, come sarebbe vivere in un porno? Un oblio costante e rassicurante


enfatiz-

zato da una routine pallida e deludente.

Ah, come sarebbe vivere in un porno?

E chi l’ha detto che sarebbe poi così male?

365 racconti erotici per un anno

295

cREaTURa ONIRIca

17 ottobre

di Giusy De Marco

La sua presenza aleggia palpabile nel ’oscurità del a stanza; l’avverti da


tempo,

ormai, eppure non credevi che la follia potesse assumere contorni così nitidi

e reali.
Percepisci quel profumo familiare e il suo respiro sempre più vicino, fino a

quando dita gelide ti scivolano sul a guancia, e tu chiudi gli occhi


inconsape-

volmente.

– Puoi toccarmi... – bisbigli con voce tremula.

– Non era questo che volevi?

Quel suono echeggia nel a tua memoria come un urlo improvviso e una

mano ti si posa sul collo; discende pigramente in una carezza erotica verso
il

petto nudo, raggiungendo l’ombelico, per poi insinuarsi oltre le lenzuola


che

ti coprono appena. Le labbra che hai bramato per anni si sfamano finalmen-

te del a tua pelle, disegnano la mascel a decisa, intrappolano il mento fino a

stringerlo fra i denti e poi... poi risalgono chiudendosi sul a tua bocca. Il suo

sapore è dolce e voluttuoso, in questo bacio umido che ti toglie il fiato.

Il tuo animo si frantuma, dividendosi in due. Una parte di te vuole vederlo

andar via, cancel are questo momento insieme a quei fugaci istanti in cui
senti

la sua voce sussurrarti al ’orecchio, perché sono sintomo del baratro che ti
sta

avvolgendo.

Stai perdendo il senno, lui è morto e non tornerà...


Ma c’è qualcos’altro, sepolto nel tuo cuore, che non vuole separarsi da
questa

creatura onirica; sai che non è reale, che non sei tu l’artefice di questa
pazzia,

ma non puoi lasciarlo andare. Nessuno ti ha preparato a una simile e


dolorosa

assenza, non sarai mai pronto a questo.

Così, mentre incredulo tocchi quel corpo tangibile, ti abbandoni a lui, nel

silenzio del a notte rotto solo da mormorii sommessi e ansiti lievi. Non sai
se

stai sognando, se è la tua fantasia ad avere preso il sopravvento o un


desiderio

latente che hai tenuto nascosto per troppo tempo. Tuttavia non ha alcun
valo-

re, adesso, la mente si annebbia e qualsiasi dolore svanisce; fosse anche il


uso-

rio e ingannevole, vuoi goderti fino in fondo il tocco osceno delle sue mani
e le

sue gambe forti avvinte al tuo bacino. La bocca famelica ti divora, le dita
sottili

si artigliano ai tuoi fianchi e gocce di sudore scendono lente lungo la


schiena

mentre un grido di pura lussuria si libra nel ’aria, quando il tuo essere si
fonde

totalmente col suo.


Ed eccola la perfezione. Sai che così dovrebbe essere, legati l’uno al ’altro

per l’eternità, e se questo ti porterà via la ragione non importa, senza di lui
non

sapresti comunque cosa fartene.

296

365 racconti erotici per un anno

ORchIDEa

18 ottobre

di Alecsh River

Ho un fiore bellissimo tra le mani. Forse è l’ultima volta; l’autunno sta


finendo,

con le sue nudità e il suo strascico di foglie morte e colori caldi.

Fa freddo. Il tettuccio al a mia sinistra ha un colore vacuo che si divide


curio-

so fra il grigiore e la solitudine.

Freno a mano, luci spente, umidità.

Ascoltiamo, forse senza volerlo, il gorgoglìo ansante del fiume scorrerci ac-

canto, e io, senza impegno, le sorrido come sempre.

Spina dorsale, pelle bagnata, umidità.

Con il dito scivolo su ogni vertebra, dolce, denso, lento come il miele.
Tengo
l’altra mano vagamente flessa ad addomesticarle, stuzzicarle il ventre,
giocandoci

come se fosse mio; come se, nascosto, avessi colto un minuscolo miracolo
dal e

alture celesti. E fosse mio.

È un fiore bellissimo. Mi concede ogni palmo del suo tronco, si schiude a

poco a poco, rilucendo flessuosa di bianco. È il plenilunio a giocare


davvero con

il suo corpo, non io. Io sono un insetto; un’inutile cocciniglia; un afide


misero in

preda a crepitii febbrili, gemente sotto un nudo vel uto di petali.

L’eco dei nostri desiderii ci strattona di spasimi. Lei mi bacia il collo. Io,
tacen-

do, ascolto i gemiti riecheggiarle in gola. Siamo ladri per i polmoni.

Mi eccita sentire la pressione dei palmi sul petto; scoppi di neuroni che
sbat-

tono fra loro a ogni spinta. Vederla bril are. Sempre più in fondo, fra le spire

viscide dello stelo. Sorrido se ne ho la forza. Sento il suo seno umido


premermi

il cuore. Gemo, e geme. Forse è l’ultima volta.

– Sì! Dai! – La sua bocca sparge la tortura sul mio col o, con la lingua che

passa, i denti che incidono la pelle. È un’iniezione e mi porta al ’orgasmo


prima

che al a morte.
– Mordimi ancora! – E si piega, mordendomi.

Il sangue le basta solo a tingersi di rosa - di un viola appena accennato - i

petali che vibrano di piacere. Ma continua a leccarlo. Non smette di


leccarlo. Io

sto venendo.

– Vieni vieni vieni. – Me lo ansima sul a pel e sudata, mi sbatte fra la


plastica

e il ferro, sulle imbottiture logore dei sedili, mentre dai fianchi le


accompagno il

bacino, costante, ritmato e profondo; geme di nuovo. Io vengo, lei viene -


sussur-

randolo. Ci stacchiamo. L’affanno si scompone in oblio.

E ora mi trovo... sul ’orlo spoglio del a coscienza, in un momento sporco di

beatitudine. Come se dormissi al caldo nel fango, con un fiore che mi


appassisce

accanto. Come se non ci fossero altri autunni. Come se... svanisse.

Orchidea: ricordo che il fine ultimo di un germoglio è riprodursi.

365 racconti erotici per un anno

297

cOmE UN mURO

19 ottobre

di Guido Pacitto
Era un piacere osservarla. Giulia si muoveva in tutta la sua calda
naturalezza, in-

curante degli occhi fissi su di lei, del desiderio montante che provocava
ogni suo

gesto, ogni suo sguardo.

Sorrise. Uno spicchio di sole dai raggi bianchi e seducenti.

Devo decidermi; prima o poi devo dirle tutto...

In quel momento Giulia si tolse il reggiseno e lo gettò sul letto in un gesto


di

distratta sensualità. La osservò ancora una volta, di spalle, con la schiena


nuda e i

capelli color oro che le scendevano come un fine velo. Ancora in piedi, si
sfilò gli

slip e li lasciò cadere sul pavimento freddo. Camminava scalza con passo
felino.

Tutto era perfetto in lei: sembrava una di quelle ragazze che si possono
soltanto

sognare. Eppure era lì... reale.

Giulia si girò di nuovo, mostrandosi in tutta la sua splendida femminilità: il

seno alto, sodo, il pube accuratamente depilato a parte una sottile striscia
centrale.

Dio, come avrebbe voluto immergere la testa fra quelle cosce, stringere quei
ca-

pezzoli dritti e impettiti, che si tendevano in tutto il loro splendore.


Sentì che era quello il momento per farsi sotto. Bastava trovare le parole
giuste,

le parole e i modi, sotto la spinta dal ’eccitazione che saliva da dentro. Del
resto

anche lei, con quel comportamento, non sembrava del tutto distaccata...

Giulia si sedette sul letto, frugando tra un arcobaleno di capi intimi. Al ’im-

provviso, sentì una voce ferma e forte provenire da dietro di lei: – Devo
parlarti...

Si girò, con l’aria da bambina e nel a semplicità che solo una donna
cosciente

del a propria bellezza sa sfoggiare. – Dimmi – disse, sorridendo ancora.

Quel sorriso, già... quel sorriso. Da farti mancare le parole.

Era davvero quello il momento giusto? Il momento per dichiararsi? Il mo-

mento per rompere finalmente quel muro alto e spesso?

– Io...

Giulia si fece seria. Poi: – A volte mi sembri una di quelle stupide


adolescenti

lesbiche pronte a dichiararsi al ’amica del cuore...

Laura sorrise forzatamente, diventando ancora più rossa; restò impietrita


da-

vanti a lei. In un certo senso il muro crollò, ma soltanto per lasciare posto a
uno

ancora più alto e spesso, forse indistruttibile.


– Già... - fece, tornando verso il letto dal quale ogni giorno desiderava
l’amica.

– Che cosa volevi dirmi?

– Ho conosciuto un ragazzo. . – mentì Laura. Giulia sorrise ancora. Ma


stavol-

ta quel sorriso era come un oscuro sipario che calava sopra di lei.

Come un muro.

298

365 racconti erotici per un anno

Il DEmONE DEl TamaRINDO

20 ottobre

di Emilio Daniele

Aveva occhi scuri, profondi come pozzi. Il corpo era sodo e generoso. Una

ninfa. Ma i capelli, bianchi e lunghi, si contorcevano come serpenti e le


unghie

erano artigli affilati, coltel acci persiani. Mi aveva catturato con un


sortilegio

mentre marciavo nel deserto con gli altri opliti. Adesso non potevo
sfuggirle.

Era affamata.

Nel a grotta entrava uno spiraglio di luce, il uminando forme sparse di re-

sti ossei. C’era odore di tamarindo. In me sentivo il desiderio di possedere


il sesso misterioso di quel ’essere, celato da un semplice Kitone rosso.
Rosso

come la sua lingua, che lambiva denti troppo lunghi e aguzzi. Non sapevo
chi

o cosa fosse. Una gorgone? Una sirena del deserto? Ma ero certo che la
volevo.

Le sue unghie mi sfiorarono l’addome, scendendo sempre più giù, finché la

mano affusolata non reclamò il mio membro eretto. Avvertii il calore delle

sue carezze ed esplosi al ’improvviso. Sprizzai il mio seme sul suo torso
nudo

fino al a cintola, riempiendo la gola profonda tra i seni bianchi come


l’avorio.

Se ne deterse neanche fosse stato un olio, passandosi quei tremendi artigli


sui

capezzoli turgidi. L’eccitazione crebbe in me con nuovo vigore. Lei ghignò.


I

suoi capelli si mossero, immobilizzandomi. Ero nel a rete del ragno. Lasciò

scivolare il Kitone ai suoi piedi e vidi il suo sesso: un piccolo fallo eretto tra

quelle gambe di dea, e subito sotto un’ampia fessura rossa, circondata da


una

peluria color del rame. Era una sorta di demone ermafrodita. Il mio
desiderio

impazzì. Quel ’apertura lì in mezzo, così umida da gocciolare, attendeva


solo

di essere riempita.
Avvolgendomi in un bozzolo di capelli mi violentò, graffiando e mordendo

con la foga di un’ape regina che al a fine divora il suo maschio. Il dolore fu

sublime. La penetrai anch’io e lei eruttò dal suo sesso femmineo,


bagnandomi

come l’acqua di una sorgente.

Al a fine si dileguò oltre l’apertura del ’antro, diventando tutt’uno con la

notte che riempiva il deserto. Lasciandomi, nel buio, svenuto. L’odore di


tama-

rindo che mi saturava le nari.

Mi risvegliai di soprassalto alle prime luci, con un pensiero terribile nel a

mente. Fui fuori dal ’antro in un attimo e guardai giù, a valle. Tra il
promon-

torio e il deserto c’era un passo stretto che attraversava le montagne rosse.


In

mezzo a quel a gola giaceva il mio esercito in un fiume di sangue che


bagnava

la terra. Scuoiati come capre al macello. Quale tremenda creatura del


Tartaro

avevo incontrato?

365 racconti erotici per un anno

299

la sINDROmE DI sTENDhal

21 ottobre
di Marcel a Pasquali

Ho la sindrome di Stendhal. O meglio, una specie: invece di tachicardie e


ca-

pogiri di fronte alle opere d’arte, ho degli orgasmi nelle librerie.

Non c’è niente da ridere, sapete? È una condizione invalidante: non posso

mettere piede in un negozio di libri che subito attiro l’attenzione di tutti.

Avete presente il finto orgasmo di Sal y nel a tavola calda? Be’, è la stessa

cosa, solo che il mio è vero! Immaginatevi la scena: io, fasciata da un bel
com-

pleto gessato, entro con passo sicuro in libreria. Non appena le porte si
chiudo-

no dietro di me, il ticchettio dei tacchi rallenta, quasi titubante. Al a vista


delle

nuove uscite, impilate con ordine vicino al ’entrata, i muscoli pelvici


comincia-

no a contrarsi. Con sguardo languido accarezzo gli scaffali stracolmi di libri

e la lingua, di sua iniziativa, comincia a scivolarmi sulle labbra; nello stesso

momento stringo le cosce, per attenuare la voglia che sale lungo la schiena,
ma

è inutile, devo sedermi. Se lo trovo, prendo uno sgabello, altrimenti mi


siedo

a terra con un libro in mano, uno qualsiasi. Affondo il viso al ’interno delle

pagine e aspiro il profumo del a carta. Comincio ad ansimare, stringo il


libro
al petto e incrocio le gambe: serro le cosce e indurisco i glutei per
comprimere

il clitoride. Mi muovo come se fossi un serpente che deve cambiare pelle.


Non

ci vuole molto: inarco la schiena, apro la bocca e mi abbandono al


’orgasmo.

Quando mi riprendo sono deliziosamente bagnata e spossata; mi accorgo

del capannello di persone che mi guardano, indicano e ridacchiano. A quel

punto fuggo in fretta.

Questo fino a un anno fa. E ora, vi chiederete? Ora ne ho fatto un lavoro.

Avete capito bene: mi pagano per avere orgasmi in pubblico. Le librerie mi

vogliono perché attiro clientela, le case editrici mi pagano perché abbia i


miei

orgasmi con i loro libri in mano. Inoltre, avendo bisogno del ’adeguato
physi-

que du rôle, vado ogni giorno in palestra per potenziare i miei lati migliori:
ora

ho un seno alto e sodo, un bel punto vita e un lato B da far invidia a J.Lo.

Che volete di più?

300

365 racconti erotici per un anno

cOsa PIacE vERamENTE allE DONNE

22 ottobre
di Francesca Garello

– Come va l’esperimento? – chiede lo scienziato ai ricercatori.

– Molto bene, professore. I dati raccolti attraverso il sensore sottocutaneo

sono più attendibili di quel i ottenuti in precedenza con interviste frontali e


test

attitudinali.

– Abbiamo già qualche dato significativo? – domanda il professore, non del

tutto convinto.

– Ci stiamo lavorando – risponde il ricercatore capo. – La settimana scorsa

il soggetto, una vivace trentenne da noi denominata Alfa, è uscita con un


nostro

volontario sotto copertura, Alvaro. Lui l’ha portata al derby Roma-Lazio,


dove le

ha infilato la lingua nel ’orecchio, poi in pizzeria dove le ha infilato le mani


sotto

la gonna, infine nel a sua auto, dove l’ha posseduta gagliardamente. Il


sensore ha

rimandato segnali di eccitazione con coefficiente di 5.4 e al arme sonoro


inter-

mittente a intervallo medio.

– Ah – commenta freddo il professore. – Tutto qui? La scala arriva a dieci.

– C’è del ’altro. Tre giorni fa il volontario Pier Luca l’ha portata a un
reading di
poesia erotica indiana, poi a cena da Maharaja dove le ha fatto servire
spiedini di

testicoli di toro, e infine a casa sua, dove ha interpretato in prima persona i


versi

“Assaporo la vetta del a tua abbondanza e m’inebrio del nettare del tuo
fiore”,

mordicchiandole i capezzoli e leccandole poeticamente la vulva.

– Risultato?

– 6.2 – annuncia il ricercatore. – E suono a intervallo serrato.

– È tutto?

– No. Ieri il volontario Sigfried l’ha invitata in un club privato dove l’ha
legata

supina al letto con manette di visone, l’ha frustata con una rosa Baccarat a
gambo

lungo, l’ha sodomizzata con un foulard di seta rossa e infine l’ha posseduta
al

ritmo del a Cavalcata delle Valchirie.

– E?..
– 5.7 – comunica il ricercatore. – E segnale sonoro instabile.

– Quindi ancora non avete capito cosa piace davvero alle donne… – com-

menta arcigno il professore.

– Come le ho detto, ci stiamo lavorando e…

La conversazione viene interrotta da un assordante al arme sonoro.

– È lei! – Il ricercatore corre agli strumenti. – Coefficiente 8.7. E sta


salendo!

Il professore si china sul monitor. – Attivate la telecamera di controllo.

Mentre il coefficiente sale a 9.8, un rapido zoom inquadra la bocca di Alfa

che si apre umida e fremente e si richiude attorno a un ragguardevole


oggetto di

piacere. Un Toblerone da 400 grammi “Special Edition” al doppio


cioccolato e

frutta secca.

365 racconti erotici per un anno

301

aTTEsa

23 ottobre

di Rekishi

Il fumo delle nostre sigarette ci avvolge, si mischia insieme come l’aria

che respiriamo. Sposti un po’ il PC per permettermi di leggere l’ulti-


mo capitolo di quel a storia, atteso da tempo. Ci tocchiamo poco, men-

tre leggiamo; solo i gomiti e le cosce si sfiorano, a causa di quel tavo-

lo troppo piccolo per permetterci di stare comode nel suo lato più lungo.

È tutto piccolo in questa casa che consideriamo nostra. Talmente piccolo


che

ogni movimento ci costringe a sfiorarci, rendendoci un ostacolo per l’altra.

Impacciate, quasi insicure in ogni gesto che compiamo, per paura di


disturbar-

ci nelle reciproche attività.

Come adesso, in cui studio la tua espressione assorta nel a lettura, e fremo

nel percepire i nostri corpi che si sfiorano.

È un contatto reso più distante dal a stoffa. Troppo. Eppure, per ora basta.

Non ti disturbo, limitandomi a studiare la tua espressione assorta. Non ti ac-

corgi neanche che ti sto osservando e io non so neppure se percepisci la


vici-

nanza dei nostri corpi; del a stoffa che struscia.

Il fumo delle sigarette non ci lega più. Ho freddo e ho voglia di abbracciarti

per percepire il calore del a tua pelle bollente contro la mia.

Vorrei baciarti, ma so che ricambieresti distratta, tanto sei presa dal rac-

conto. L’attesa mi distrugge. Mi avvicino un po’ di più con la sedia e lancio

un’occhiata ansiosa allo scrol bar, che per mia fortuna è sempre più vicino
al
fondo pagina.

Nel frattempo, mi godo il tuo odore. Non te l’ho mai detto, ma neanche

l’aroma del tabacco riesce a cancel are il tuo profumo di donna. Quello
stesso

odore che sento più vivo e pungente quando affondo il mio viso nelle tue
pro-

fondità; che assaggio - si può assaggiare un profumo? - e costituisce da


tempo

la mia droga preferita.

Mi nutro del tuo essere donna, del a tua femminilità, delle tue forme, del a

tua energia. Avverto i tuoi spasmi di vita ogni volta che facciamo l’amore.
Ti

sento danzare sulle mie dita, sul a mia lingua. Vivo di te ogni giorno. Faccio

l’amore con il tuo profumo. Sei mia. La mia donna, la mia dea. E come tale
ti

fai venerare e attendere; mi leghi a te con il più subdolo dei trucchi: l’attesa.
E

in questo perenne aspettare che tu ti conceda io annego, muoio e rinasco


non

appena ho la possibilità di carezzare il tuo corpo.

Naufrago in te; nei tuoi umori di donna; nel tuo ventre. E mi lacero nel a co-

munione dei nostri corpi; nello sfiorarsi dei nostri seni; nel baciare le tue
labbra.

Attendo. Ti sposti. La storia è finita.


Ti bacio e spengo la luce.

302

365 racconti erotici per un anno

IRREsIsTIbIlE

24 ottobre

di Giancarlo Marzano

Non sono mai stato bravo con le parole, quindi per farvi un’idea del a mia
don-

na dovrete accontentarvi di roba tipo “turgidi seni”, “labbra di corallo”,


“neri

capelli lucidi come la seta”, “gambe di gazzel a” e tutte quelle banali


stronzate

da scrittore di serie B. Ma ve lo giuro, lei è bellissima, e ora è qui, accanto a


me.

L’amore mio. Irresistibile.

L’ho conosciuta stamane sul posto di lavoro. Me ne sono innamorato a pri-

ma vista. “Colpo di fulmine” direte voi. Chissà, può darsi. Sta di fatto che a
me

è bastato scorgere la punta dei suoi bellissimi piedi per avere un’erezione
im-

mediata. Quello che è successo al mio uccello quando ho visto il resto del
suo

magnifico corpo ve lo lascio solo immaginare. E il mio cuore - oddio -


come
batteva forte!

L’ho presa sul posto. Tre volte ( be’, diciamo due e mezzo, perché la prima
è

andata quasi a vuoto, data la forza del mio “prorompente desiderio” come,
ap-

punto, scriverebbe uno scrittore di serie B).

Amore? Passione? Desiderio? Chimica del ’attrazione? Non lo so e non me

ne frega niente. Ciò che conta è che io e lei adesso stiamo insieme.

Sono qui nel a mia stanza, seduto sul bordo delletto che mi accendo una

sigaretta dopo avere finito di fare l’amore ( no, non è vero, in realtà io non
fumo,

ma mi sembrava una cosa figa dirlo, perché fa molto “protagonista di


roman-

zo” ). Lei è sdraiata al mio fianco, girata di spalle. Senza volerlo, mi mostra
il

suo splendido culo di marmo, appena coperto dalle lenzuola intrise dei
nostri

umori. Sento tornare in me - irresistibile - la voglia di possederla ancora. E

ancora.

Non so quanto potrà durare, tra di noi. Spero in eterno, ovviamente. Ma

sono consapevole che, più che una speranza, la mia è un’il usione. Pertanto

vedrò di godermi anche il più piccolo istante passato insieme.

Una cosa è certa, però: portarla via dal ’obitorio è stato rischioso, ma ne è
valsa la pena.

365 racconti erotici per un anno

303

lO scONOscIUTO

25 ottobre

di Francesca Panzacchi

Guardo fuori dal finestrino il rassicurante paesaggio emiliano: case dai


cami-

ni fumanti punteggiano la campagna avvolte da una nebbia non troppo fitta.

Devo percorrere soltanto poche decine di chilometri ancora e poi sarò arri-

vata. Ripenso a tutte quelle missive virtuali, al a potenza che scaturiva dalle

nostre parole. Ho la certezza che, a un certo punto, non so dire con esattezza

quando, ciò che la nostra comunicazione aveva inaspettatamente generato


ab-

bia preso il sopravvento, diventando qualcosa di più grande di noi. Devo


scen-

dere. Forse non avrei dovuto accettare questo appuntamento folle. Ho molti

dubbi. Ma la mia curiosità li uccide tutti. Si aprono le porte, scendo di corsa


e

mi abbottono nervosamente il cappotto. Respiro la nebbia d’ottobre.


Respiro

la mia incertezza. L’albergo dista poche centinaia di metri dal a stazione,


tutto
è stato pianificato nei minimi dettagli. Attraverso la piccola hall e lascio il
mio

nome, poi inizio a salire le scale. Il corridoio è ampio ma poco il uminato,

pochi passi e mi fermo davanti a un numero metallico appeso un po’ storto.

Appoggio la testa al a porta, tendendo l’orecchio. Nessun rumore. Busso


due

volte, la maniglia si muove, la porta ora è socchiusa. Aspetto qualche


secondo,

fin quando la luce del corridoio si spegne. Entro piano e chiudo la porta alle

mie spalle. Assaporo il buio con le gambe tremanti, attendo la sua voce che

quando arriva squarcia il silenzio, anche se è soltanto un sussurro: – Ho


avuto

paura che non venissi…

Mentre parla si avvicina, lentamente. Ne avverto il respiro, vicino al mio

viso.

– Se non fossi venuta, l’avrei rimpianto per tutta la vita… – riesco a dire

tutto d’un fiato. E lui intanto, con la mano sinistra, chiude a chiave la porta.
Mi

sfiora il viso con le labbra, con lentezza disarmante. Cerca le mie mani per
in-

trecciarle alle sue sopra al a mia testa e poi mi spinge contro la parete. È
dolce

ma risoluto, percorre il profilo del mio corpo con le mani, indugiando lungo
la curva dei miei fianchi, senza lasciarmi scampo. Mi accarezza, mi studia,

assapora ogni centimetro del mio collo mentre sussurra il suo desiderio al
mio

orecchio. Le parole prendono vita e calore. Un vortice di emozioni mi


investe.

Mi sciolgo in quel ’abbraccio e bacio labbra che non ho mai visto. I gesti
ora

traducono al a perfezione l’intensità che prima apparteneva soltanto alle


paro-

le e ai pensieri. Non so più se ho paura, di certo so che voglio restare.

304

365 racconti erotici per un anno

a OcchI chIUsI

26 ottobre

di Mariaelena Camposampiero

Era lì, nuda e tremante, con gli occhi chiusi. Una fanciul a spaventata in
balia di

un guerriero senza nome. Si tese non appena un pezzo di stoffa venne


poggiato

contro le sue palpebre e poi fissato saldamente dietro la nuca, ma subito un


roco

mormorio bloccò ogni suo movimento.

– Fidati di me.
Fidarsi di lui. Di un estraneo. Un mercenario che le aveva salvato la vita.
O

forse un brigante travestito da eroe. Un uomo a cui era stata tanto ingenua
da

concedersi.

In un misto di timore e perversa aspettativa, lo sentì dietro di sé, il respiro


ro-

vente, le mani al ungate al a ricerca del suo seno, la bocca che aveva
cominciato

a morderle il col o, lasciandola sospesa nel sottile confine tra piacere e


dolore.

Con gli occhi bendati l’intensità del e percezioni la stordiva, ogni fibra del

suo corpo sembrava reagire a quel tocco sconosciuto che risvegliava in lei
una

frenesia nuova, un bisogno tanto assoluto di placare il desiderio nel suo


ventre da

sopprimere qualunque dubbio o paura.

Ormai aveva smesso anche di pensare.

Le sue dita scivolavano rapide sul a tastiera, descrivendo dita ugualmen-

te agili che s’insinuavano fra cosce sottili di fanciul a, corpi nudi


avvinghiati

nel ’oscurità e labbra dischiuse che percorrevano la pelle, soffermandosi un

istante sul ’ombelico per poi scendere ancora, accompagnate da un gemito


femminile che era quasi una supplica… Con il respiro accelerato, vibrante
di

desiderio, serrò le palpebre, mentre diventava parte del a protagonista e si


la-

sciava trasportare dalle sue sensazioni.

– Hai finito? – La voce profonda del compagno, una presenza solida e re-

ale dietro di lei, la fece sussultare. Lentamente riaprì gli occhi, in preda al
più

dolce dei tormenti, divisa tra il rovente pulsare fra le cosce e un’urgenza di
tipo

diverso, che la spingeva freneticamente a scrivere le proprie fantasie, come


se

l’appagamento di terminare una storia fosse solo un’altra forma di orgasmo.

– Quasi.

Un braccio le circondò la vita, mentre una mano di cui conosceva al a per-

fezione il tocco si posava quasi per caso al a base del seno, per poi risalire
len-

tamente fino a racchiuderlo in una dolce stretta di possesso.

– Non pensi sia ora di venire a letto a dormire?

Lanciò un’ultima occhiata allo schermo, dove la pagina mezza vuota


spicca-

va incompiuta nel ’oscurità che avvolgeva la stanza. Sorrise, un istante


prima di

voltare la sedia verso di lui e attirarlo contro le proprie labbra socchiuse.


– Non a dormire.

365 racconti erotici per un anno

305

DONNa “DI POlsO”

27 ottobre

di Dario Mazzeo

La sposa si passò il bouquet dal a destra al a sinistra. Dopo un po’, come


per leggere

meglio dal libretto, si addossò allo sposo e gli appoggiò sul a gamba la
mano che

teneva i fiori. Il movimento fu naturale e nessuno lo notò.

– Carissimi Giorgio e Daniela, siete venuti nel a casa del Signore, davanti al
mi-

nistro del a Chiesa e davanti al a comunità, perché la vostra decisione di


unirvi in

matrimonio riceva il sigillo...

Lentamente infilò la mano libera sotto l’altra e, coperta dal bouquet, la


spinse

fino al a patta dello smoking, strusciando il raso con la punta del e dita.
Giorgio la

guardò sconcertato, arrossendo, ma gli venne duro al ’istante.

– ... Vi chiedo pertanto di esprimere le vostre intenzioni.


Strinse il tiretto del a lampo tra pollice e indice e aprì la zip, piano, senza
fare ru-

more. Daniela guardava il prete e sorrideva al fotografo come se niente


fosse. Infilò

la mano e abbassò l’elastico dei boxer.

– Giorgio e Daniela, siete venuti a contrarre matrimonio in piena libertà e


con-

sapevoli del significato del a vostra decisione?

– Sì – disse Daniela

– Mmm, sì – mugolò lo sposo.

Il prete restò un po’ sorpreso da quel a risposta, ma continuò: – Siete


disposti,

seguendo la via del matrimonio, ad amarvi e a onorarvi l’un l’altro per tutta
la vita?

– Sì.

– Oooh, sì!

Adesso esagerava, però. Era tutto rosso e sudava. Che sia drogato? pensò
don

Mario.

– Siete disposti ad accogliere con amore i figli che Dio vorrà donarvi e a
educarli

secondo la legge di Cristo e del a sua Chiesa?

– Sì.
– Sìiiii, aaah!

– Figliolo, vuoi che interrompiamo? – Don Mario non sapeva più se


arrabbiarsi

o preoccuparsi.

– No, non ti fermare!

Adesso gli dava anche del tu! Stava iniziando ad arrabbiarsi.

La sposa si allontanò da Giorgio, come se volesse prenderne le distanze. Si


ripas-

sò il bouquet nel a destra e piegò la testa, sorridendo al fotografo e facendo


compa-

rire delle deliziose fossette sulle guance. Il flash le il uminò gli occhi.

La cerimonia si concluse senza ulteriori intoppi. Al a fine, prima del a firma

del ’atto di Matrimonio, Daniela sussurrò a Giorgio, mentre prendeva la


penna: –

Visto? E tu che avevi paura di confonderti e non riuscire a dire “Sì”.

306

365 racconti erotici per un anno

black OUT

28 ottobre

di Florinda

– Paura del buio? – Un sibilo dietro la schiena ruppe il silenzio. L’avevo


im-
maginato? Era la voce del a notte che si prendeva gioco di me? Infilai
nervo-

samente le chiavi nel a toppa per lasciarmi quel ’incubo alle spalle. Mi
colse

al ’improvviso mentre rincasavo. Mentre lottavo contro i fili d’erba che mi


in-

catenavano le caviglie e rallentavano i miei passi. La sua mano si fece


strada

nel a mia camicia di seta bianca.

La città era come risucchiata nel vortice nero del ’assenza di luce. Il black

out aveva cancel ato ogni traccia di quello che solitamente chiamiamo
esisten-

za o gliene conferiva una nuova, molteplice forma.

Era proprio lui. Comparire al ’improvviso era nel suo stile. Scivolare nei

miei vestiti il suo saluto. Neanche il tempo di voltarmi, di intimargli di


andar-

sene via, di lasciarmi stare, che mi afferrò per i fianchi e si avventò su di me

fino quasi a togliermi il fiato.

Le chiavi tintinnarono sul ’asfalto, la borsa mi scivolò dal a spal a. Sentii il

calore del suo corpo contro il mio. Vattene, stavo per dirgli. Non feci in
tempo

a pronunciare la prima sil aba che mi tradì un gemito di piacere…

Non dovevamo più vederci. L’avevo piantato. Una notte. Neanche un


saluto.
Ero uscita prima dal suo letto, poi dal a sua casa e infine dal a sua vita, nello

stesso modo in cui ero entrata. In punta di piedi.

Lo respinsi con tutte le mie forze. No, non era il momento dei ricordi. I fari

abbaglianti di un’auto gli restituirono per un attimo fattezze umane


strappan-

dolo al nul a, poi si dissolse nuovamente.

Non se lo aspettava, perse l’equilibrio, stava per cadere riverso al ’indietro,

ma si al ungò, riuscì ad afferrarmi per il braccio e a trascinarmi contro di


lui.

Eravamo l’uno addosso al ’altra, distesi sul prato.

Il suo profumo si mescolava al muschio, i suoi spasmi al vento, la sua


voglia

al a mia. I lampioni affogavano nel buio. Non c’erano stelle né alberi né


pace né

amore, niente di niente.

Neanche la luna osava spiarci in quel mare d’inchiostro.

Ci fondemmo al buio per tutta la notte.

365 racconti erotici per un anno

307

fINché mORTE NON cI sEPaRI

29 ottobre

di Marco Maria Sorge


Sono l’ultimo Uomo del a Terra. Un’epidemia fulminante di S.i.d., il male
del

quarto millennio, o forse il tragico effetto di un esperimento bellico, non sa-

prei. Unico superstite. Volgo lo sguardo al ’empireo infinito. Partirò al a


ricerca

di nuova vita, germogliata nel e lontane Colonie di Orione. Perché accolga


con

sé l’ultima testimonianza del nostro mondo defunto.

Dieci anni di solitaria navigazione nel o spazio deserto.

La rotta è smarrita, ormai. Sovente mia madre aveva a lamentarsi delle mie

amare invocazioni alle entità celesti. Siedo ancora al desco del ’ipocrisia,
imploro

un ausilio divino. Perché possa trovare le Colonie. E incontrare una donna.

Perché, dopo quindici anni di astinenza forzata, qualche piccolo segno di di-

sagio psicofisico comincia a manifestarsi.

Eccole, accidenti. Le Colonie! Innumerevoli persone salutano lo straniero

venuto da lontano. Uomini alti e poderosi, e donne meravigliose, i corpi


sinuosi

appena celati dal e vesti cremisi. Sorridono, mostrando rosse labbra carnose
e

denti d’avorio. Evidentemente, Colui che Tutto Osserva non aveva l’agenda
trop-

po affol ata.
Immortali. Questi uomini, lontana discendenza dei primi coloni, sono di-

ventati immortali. Non nascono, non invecchiano, non muoiono.


Rimangono

uguali a se stessi, in constante equilibrio numerico, per l’eternità. E tutto ciò


per

effetto del processo evolutivo in atmosfera non terrestre.

Non importa. Quel che desidero è giacere con lei e liberare tutta la mia
libido,

i miei fluidi. Distesa sul mio letto, gli occhi turchesi spalancati. Le siedo
accanto,

mentre scruta il mio membro eretto. Faccio scivolare il tessuto sulle spalle,
tra

poco affonderò le mie dita voraci tra le sue…

Quasi perdo i sensi. Questa donna non ha seni, non ha nemmeno i


capezzoli,

dannazione, era la veste a conferirle un certo volume. Cosa…? Un brivido


fred-

do corre lungo la schiena, il pene si affloscia come colto da malore


improvviso.

Con voce atona l’essere mi chiarisce che l’immortalità è per definizione


autore-

ferenziale e autoconservativa. Non ha bisogno di riprodursi. Inutile


appendice,

gli organi genitali di questi esseri, non più umani, si sono smarriti in
qualche
recondito passaggio evolutivo. Destinati a vivere in eterno, senza riprodursi.

Le lacrime mi inondano gli occhi. E nuovamente chiamo in causa


l’Altissimo,

stavolta con epiteti poco cortesi, rammentando che qui i buon vecchi
olomovies

porno non sono mai arrivati.

308

365 racconti erotici per un anno

l’amORE DI NETTUNO

30 ottobre

di Alice Scuderi

Lo guardavo, instancabile.

Lui non smetteva di muoversi. E quel suo continuo movimento frusciava

nel ’aria, creando come un’eco di parole sussurrate, languide, serene.

Non pensavo a niente se non ai giochi di luce su di lui: ogni raggio lo ab-

bracciava, pareva fatto di acqua cristallina che anelavo bere a piene mani.
Ma

lui non si fermava, continuava a danzare e i vapori del a sua fatica mi si


attacca-

vano al a pelle, sulle labbra; il suo odore penetrante, primigenio, era un


curati-

vo per le mie ferite, mi ci lasciavo invadere, come un alito benefico,


liberatorio.
Lo desideravo più di ogni altra cosa. Lui era un mondo che mi girava
intorno,

indifferente e bellissimo. E io avrei voluto farlo mio, almeno per un minuto,

per alleviare la mia sete, per frenare il calore che mi soffocava. Forse
potevano

bastarmi quei suoi fari turchesi, puntati su di me, tentatori del mio desiderio

già debole. Sì, lo volevo. Volevo che danzasse con me, che mi cul asse in
quel

suo dondolio rassicurante. Perché lui aveva in sé l’amante e il compagno, la

dolcezza e la brutalità di chi fa sua l’essenza delle cose.

Avrei mai potuto possederlo? Lui si ritirava per poi tornare sfuggevole
come

un’il usione, la stessa che nutre gli amori impossibili. Come il nostro.

Cercavo l’unione, quel a suprema, e lui mi sfiorava soltanto, impudente.

Cominciai ad avvicinarmi piano, togliendomi a uno a uno i vestiti che spari-

vano nel a brezza. E rimasi nuda e pura, libera dalle costrizioni; non c’era

vergogna né pudore, solo desiderio sincero, amore carnale.

Allora mi buttai.

Prima mi prese i piedi, avventato e tenero. Già ridevo del a sua sfrontatezza,

avevo i brividi. Ma lui sembrava insaziabile: lo sentivo salire lentamente in


me

come una marea, divorando ogni lembo di pelle con le sue labbra fresche e
salmastre… e non finiva mai quel suo rollio che stordiva e ammaliava.

Avevo chiuso gli occhi al a luce palpitante del giorno, una lacrima raccolta

sulle ciglia mentre lui risaliva il mio seno e la mia sete cresceva insieme al
sol-

lievo. Quando arrivò al collo la sua presa si fece più stretta, trascinando con

anche la mia chioma nel suo abbraccio liquido.

Finché mi arresi, e annegai.

Finalmente il mare.

Era mio…

365 racconti erotici per un anno

309

la sTORIa E la caRNE

31 ottobre

di Matteo Poropat

La donna s’inchinò e attese sul a soglia. A un cenno del ’uomo s’infilò,


diafana

e incorporea come la nebbia, nel minuscolo locale, colorato dalle luci di


pic-

cole lampade di carta. In silenzio si volse al a finestra, facendo scivolare


con

voluttà il kimono, che finì attorcigliato ai suoi piedi come un cucciolo in


attesa.
Si sedette intrecciando le gambe, offrendo la schiena nuda al ’uomo che la
con-

templava immobile, circondato da una decina di bacinelle colme


d’inchiostro

colorato.

Per un attimo tutto rimase sospeso, nel a stanza immobile, poi l’uomo ini-

ziò a raccontare.

Il vento accarezzava la casa immersa nel silenzio e i suoi versi


accompagna-

vano i gesti del vecchio: intingere, colare l’eccesso, passare la punta


irrigidita

sul a pelle del a donna. A ogni tratto la ragazza socchiudeva gli occhi, rapita

dal ’umida carezza del pennello, a ogni pausa tratteneva inconsapevole il


re-

spiro, nel ’attesa del prossimo tocco. Le singole parole le strappavano


gemiti, i

paragrafi più lunghi erano una dolce tortura. Dal ’alto verso il basso, mentre
lui

raccontava, la ragnatela di brividi la avvolgeva, costringendola a mordersi


un

labbro per non proferire alcun suono. Sentiva le mani, appoggiate sulle
ginoc-

chia per sorreggersi, sudare e contrarsi, mentre la storia del vecchio si


spiegava

lentamente sul a sua schiena.


Quando ormai pensava di non poter reggere una frase ancora, l’uomo ripo-

se il lungo pennello e si abbassò, finché le labbra screpolate non furono a


pochi

millimetri dal a pelle dipinta.

Quindi iniziò a soffiare.

Come l’inchiostro si asciugava, assorbito dal a pelle candida, la ragazza si

sentiva avvolgere dal fiato tiepido del ’uomo. Il suo respiro la accarezzava e
si

mescolava con l’inebriante odore del ’inchiostro.

– Sei pronta. – La voce del pittore mozzò le sue sensazioni, lasciandola a

metà di un sogno umido.

Dal buio emerse un uomo alto, ricoperto da vesti rosse intessute d’oro, al

quale il vecchio s’inchinò profondamente, sussurrando: – Maestro, – mentre

con una mano indicava il risultato del suo lavoro.

L’uomo rispose con un cenno del a testa, quindi prese delicatamente la ra-

gazza per mano, portandola con sé nel buio del corridoio, accingendosi,
affa-

mato, a gustare la nuova storia.

310

365 racconti erotici per un anno

l’INsERZIONE
1 novembre

di Francesco Rago

Ormai erano più di tre anni che non aveva un rapporto sessuale completo.
Da

quando il suo fidanzato l’aveva lasciata la sera prima delle nozze e lei era
ca-

duta di colpo in una depressione che si alimentava di psicofarmaci,


solitudine

e ossessioni varie. Era ingrassata oltre venti chili e non riusciva nemmeno a

guardarsi più allo specchio. Un paio di volte aveva pure tentato il suicidio,
con

scarsi risultati, perché le mancava il coraggio di andare fino in fondo.


Eppure

quel a mattina, in un giorno uguale a tutti gli altri, aveva trovato nel a
cassetta

delle lettere uno di quei giornali gratuiti di annunci pubblicitari. E lo aveva


sfo-

gliato, più che altro per far passare il tempo. Poi l’occhio le era caduto sugli
an-

nunci personali: “Maschio 40 anni, solo, cerca donna per piacevole


serata...”

Le venne da sorridere e, senza volerlo, si trovò a fantasticare su quei puntini

di sospensione. Sentì una vampata di calore tra le gambe.

“Allora sei viva?” si chiese con sarcasmo.


D’impulso prese il telefono e compose il numero indicato. Riagganciò dopo

due squilli. Fece diversi tentativi prima di riuscire a fissare un


appuntamento

con quel ’estraneo. Quando lo vide davanti al ristorante lo trovò brutto e


ridi-

colo, con quel riporto in testa e quel fisico tracagnotto.

Ma andava bene così. Cenarono a base di pesce e vino bianco. Non era abi-

tuata a bere e dopo un paio di bicchieri sentiva che i suoi freni inibitori la
sta-

vano lasciando. Da lì a ritrovarsi nuda nel letto di quello sconosciuto il


passo fu

breve. Distesa sul fianco, sentiva la lingua umida e invadente di lui che
cercava

di insinuarsi nel a sua bocca. Un miscuglio di tabacco e alcol la


infastidirono

per alcuni secondi. Lui la toccava avidamente con quelle sue mani tozze e
desi-

derose, che si muovevano dappertutto, sui seni cadenti, sui fianchi larghi e
sul

culo sovrappeso. Fino ad arrivare nel a zona più intima.

“Ci siamo” pensò lei, che da tanto tempo aspettava un momento del genere.

In pochi secondi il minuscolo membro eretto di lui si insinuò tra le sue


pieghe,

fino a penetrarla con rapidità. Fu tutto molto breve e insignificante, il tempo


di pochi sospiri prima che l’uomo raggiunse l’orgasmo, ansimando in
maniera

goffa ed esagerata. Lei non aveva fatto nemmeno in tempo ad accorgersene,

ma non rimase delusa. Tutt’altro. L’incontro le era bastato per sentirsi di


nuovo

viva.

365 racconti erotici per un anno

311

sNUff IT!

2 novembre

di Michelangiolo Piccinali

Centotrenta chili, un sudato, volgare peloso ventre stretto verso il basso da

pantaloni di pelle troppo appiccicati per essere sfilati facilmente, in alto


segna-

to da bretelle di cinghie e borchie troppo tese per non arrossare quelle


oscene

tette di grasso.

Stava ansimando pesantemente dentro la maschera con le cerniere aperte,

una gamba avanti e il torace di traverso, la frusta ancora stretta forte nel a

mano tremante, pronta a dare un’ultima impossibile sferzata se fosse stato


ne-

cessario; le pupille dilatate nel ’umido scantinato, l’odore di sé stesso


saturava
l’ambiente alimentando ancor di più la rabbia, il senso di onnipotenza e il
do-

lore che sentiva dentro.

Diede un’ultima occhiata, chinò il capo e lentamente chiuse le spalle, quasi

come volesse piangere. Lei stava lì, inerme, senza fiato, senza vita. Caviglie

strette in nodi di ruvida canapa, i polsi legati dietro la schiena, il volto


cosparso

di sputi e sangue poggiato sul ’insano cemento, gli occhi ancora aperti,
sbar-

rati, colmi di terrore. Infine si voltò, come se fosse morto lui, aprì la pesante

porta di ferro e si incamminò verso il suo radioso presente, nel suo oscuro

futuro.

Non si mosse subito, aspettò qualche minuto, poi chiuse piano gli occhi

come se quel gesto fosse regolato dal a mol a ormai quasi senza carica di un

carillon. Curiosamente erano le smagliature delle calze a rete a darle


qualche

fastidio, non la stretta appena sotto il ginocchio delle pieghe degli alti stivali

di pelle. Si mise prima su un fianco e poi seduta, liberandosi senza fretta dei

legami che solo apparentemente la costringevano. Sentiva gli occhi più


vuoti di

quando avrebbe dovuto esser carne morta, ma era così che doveva essere.
Una
buona scena, già, un’ennesima buona scena che la lasciava come lei voleva.
Il

volto ceruleo, le labbra rosso fuoco erano il giusto contorno di chi non
aspetta

altro nel a vita se non la giusta sofferenza. Così com’era si sdraiò


rannicchiata,

e atarassica decise di dormire, con i piedi gonfi e congestionati, un col are


an-

cora troppo stretto, la coda di cavallo così tesa che i capelli quasi si
strappavano

e le lunghe unghie laccate infilzate nei palmi delle mani.

Chi soffriva per cosa? Chi esorcizzava? Chi era abietto e chi bisognoso?

Non lo sapeva, non le importava.

I graffi sul a pelle si rimarginavano e le piccole cicatrici poco al a volta non

si notavano più. Di tante altre cose aveva ormai dimenticato la ragione.

312

365 racconti erotici per un anno

sUPER maRIO

3 novembre

di Massimo Dorianj Campolucci

Sto qui a guardarmi allo specchio in attesa che mi si rizzi. Faccio saltare il
pettorale
destro e quel o sinistro, insceno un mini bal etto muovendo anche un po’ i
fianchi,

componendo cerchi astratti con il ciondolone in libertà. Al ungo la mano


destra per

prendere la crema idratante, una manata. Inizio a spalmarmi iniziando dal


’inguine.

Accompagno la spalmazza con morbide carezze del a sinistra. Attacco il


bidoncino

da 5 chili intingendo ripetutamente la mano fino a che il pigiama non è


equamente

distribuito. Non vedo neanche più i peli sul torace né quel i intorno al
pennel o.

Dietro di me la troia sta iniziando a svegliarsi. Devo sbrigarmi.

L’ultimo tocco è per la faccia. Una manata di crema ed è fatta. L’uomo


bianco sta

per andare in scena. La troia mi guarda, non crede ai suoi occhi.

– Chi? Cosa?

Risposta sbagliata. – Cara la mia pantera, stai per provare l’ebbrezza di un


rap-

porto carnale con l’uomo bianco, quello con la M maiuscola.

Strano come certe parole possano addrizzare un arnese messo male come il

mio.– Mario? Sei tu, Mario?

– Super Mario! Solo che io la chiave a pappagallo ce l’ho in mezzo alle


gambe.
– Mario, cosa mi hai fatto ? Perché sono legata?

Già, legata.

– Non ne hai voluto spere del e parole, neanche del mio soave
corteggiamento.

Non è così che è andata? Mario non piace? Meno male che c’è Super Mario
a mettere

a posto le cose.

– Sono nuda! E tu? Cosa ti sei messo?

– Tu, troia dal a pelle nera. Tutte uguali quelle del a tua razza. Cameriere,
infer-

miere, tutte nere. Mi hai visto per una vita, tutte le sere nel locale, a
mangiare. Cosa

credevi, che venissi per quel cazzo di pastone che servite al a eco solidale?

Voglio baciare quelle tettone morbide. Voglio intingere il pennello nelle


praterie

del Serengeti. Salto sul letto per sprofondare nel a foresta del Congo.
Infoiato come

lo stallone di Mugambo.

Il letto non regge. Il fracasso buca la coltre del a notte. I lamenti, le proteste.
Le

voci incazzate. La porta si spalanca. – Allora! È possibile che tutte le sere


sia sempre

la stessa storia? Per fare sesso dovete inventare ‘ste cose malate? Sono
vostra figlia
e non vi reggo più! Siete sposati da 40 anni, maledizione. Non ne voglio più
sapere

del e vostre fantasie di sesso da cronaca nera. Quand’è che vi deciderete a


crescere?

La volta scorsa era Batman, poi cappuccetto rosso e il sadomaso. Adesso


basta!

Guardo mia moglie in silenzio. – Ci sono – dico poi, il uminandomi. – Il


motel.

La prossima volta andiamo in un motel.

365 racconti erotici per un anno

313

Il magaZZINO

4 novembre

di Simona Gervasone

Era innamorata e questo era un dato di fatto. La timidezza era uno dei suoi

peggiori difetti, se si mettevano da parte gli occhiali spessi e una fastidiosa

acne. Aveva anche dei pregi, magari non troppo evidenti, ma li aveva.

Guardò l’orologio di sfuggita e si accorse che erano quasi le undici, ora in

cui lui sarebbe arrivato con il suo vassoio in bilico su una mano per portare

caffè e cornetti. Ina le si avvicinò con fare complice e le fece l’occhiolino.

Era l’unica a sapere del a sua cotta per quel barista così gentile e carino.

– Non posso più vederti così. Ora ti aiuto io! – disse risoluta.
Parlava bene, lei, con quel fisico mozzafiato e quello sguardo che promet-

teva ore di passione! Lo vide e vide lei andargli incontro. Si sentì


avvampare

mentre i due parlavano. Lei si toccava le punte dei capelli e ogni tanto le
lan-

ciava uno sguardo d’intesa.

– Vai in magazzino e appena arrivi giù togli gli occhiali. Non aprire bocca!

– le disse Ina poco dopo, sorridente e compiaciuta. Eva si sentì venir meno.

Scese con il cuore in gola. Aprì la porta cigolante e rimase nel buio del ma-

gazzino ascoltando solo il proprio respiro e poi…

Una mano scese su di lei; le sfiorò la spal a, il collo e scese veloce sul seno

senza che lei potesse opporsi. Non voleva opporsi. Allora anche lui provava

qualcosa per lei!

Doveva dirgli che per lei sarebbe stata la prima volta?

La mano destra di lui le sollevò il volto e le labbra affondarono nelle labbra.

Era profumato, morbido, umido. La mano sinistra scese seguendo il profilo


del

corpo e s’insinuò tra le sue gambe. Si fermò un momento, ridiscese a tirare


su

l’orlo del a gonna e quasi con rabbia abbassò le mutandine.

Si staccò da lei e lo sentì armeggiare con i pantaloni. Rapido e passionale


la prese in braccio e la sbatté quasi con violenza con la schiena contro il
muro.

“Mio Dio!” pensò Eva, mentre sentiva la sua mano armeggiare tra le
gambe.

Era talmente bagnata che lui non fece alcuna fatica a scivolarle dentro,
nono-

stante la verginità che oppose una debole resistenza.

Lui forse se ne accorse, forse no: era troppa l’eccitazione. Le ansimava con

il viso affondato nel ’incavo del collo mentre lei percepiva il suo pene
massag-

giarla vigorosamente con colpi secchi e precisi.

Il respiro si fece più rapido, le dita si strinsero sui capezzoli scoperti provo-

candole un dolore dolce e agognato.

– Ina – sussurrò lui mentre lasciava che il suo seme sprofondasse dentro di

lei, fra le carni calde e umide.

314

365 racconti erotici per un anno

af(RODIsIac)a

5 novembre

di Mattocheride

Umidità: acqua languida e pervasiva che abbraccia i corpi abbronzati, carni


roride di mare e curvilinee nudità stil anti afrodisiaci sudori. Umidità che
in-

trappola ormoni bolliti al sole, li trasporta di epidermide in epidermide, in-

trecciando desideri ardenti nel ’impalpabile trama di un surriscaldato eccita-

mento globale.

Ora vorresti essere vapore acqueo per posarti sul a tua vicina d’ombrellone,

sul a sua dirompente eleganza felina, gatta che non “prende” il sole ma lo
invita

a entrare in lei delicatamente, con piacevoli fusa a fare da sottofondo. Potre-

sti così accoccolarti a pochi, infinitesimi spazi dal suo labbro superiore in
un

lungo bacio, inebriarti del suo respiro al ’amarena. Oppure condensarti sulle

rotondità costrette nel mini-costume; abbracciarle come una seconda pelle,

suggere le areole e aderire ai capezzoli ritti al cielo; poi lasciarti scivolare –


pic-

cola goccia impregnata di selvaggi feromoni! – sul a superficie levigata dei


seni

impudici, posando come scia un lungo bacio sul a pelle tinta dal sole: preci-

pitare in estasi orgasmica nel a cavità ombrosa tra le due curve anatomiche
di

assoluta perfezione.

Ancora potresti essere goccioline danzanti che solcano il ventre piatto di

giovinezza, e corteggiare i suoi fianchi model ati apposta per accogliere una
presa virile – i pollici attorno al ’ombelico, i palmi a percorrere la curva del
’an-

ca – che la solleva e la adagia su un rovente letto di afrori e secrezioni.

Invisibile potresti lambire il confine degli esigui slip e prepararti a profa-

narlo. L’occasione ti sarà data non appena lei – carnale amante dei raggi
solari,

affamata di focosi baci – discosterà sfrontata le cosce roride di sudore


pastoso,

introdurrà due dita sottili tra la pelle e l’elastico e lo solleverà per


aggiustarsi

il tanga, riducendolo alle minime dimensioni consentite dal pudore. A


questo

punto ti spalmerai sulle sue falangi raffinate, inumidendole, lusingandole, e


ti

farai condurre al a sua odorosa, irresistibile femminilità. Poi abbandonerai


le

dita, impegnate in una carezza segreta, e diverrai tutt’uno con una deliziosa

secrezione vischiosa, mentre lei si morderà il labbro inferiore e con un


ultimo

miagolio inarcherà la schiena.

365 racconti erotici per un anno

315

UN cOPROTagONIsTa QUalUNQUE

6 novembre
di Massimo Jumior D’Auria

Sono qui, fermo e immobile, anche perché non potrei fare altrimenti.

Sono qui da dieci anni, faccio anche venti spettacoli al giorno, e mai nessu-

no che mi degni di un’occhiata o mi attribuisca un onore qualunque.

In più, questo lavoro non ha nemmeno retribuzione, ma d’altra parte alle

mie poche necessità ci pensa Piero, il padrone del locale: grazie a lui sono
sem-

pre tirato a lucido.

In tanti anni di onorata carriera, da coprotagonista dei loro spettacoli, ho

visto moltissime donne e di tutti i tipi, ma non so se considerarmi fortunato


o

meno. Magre e prosperose; bionde e more; con seni piccoli, a coppa di


cham-

pagne, rifatti.

Non mi sono fatto mancare nul a, anche se i nostri rapporti si sono limitati

sempre al a sfera professionale: non c’è mai stato niente di fisico al di fuori
del

nostro lavoro e la cosa non è che mi dispiaccia, a volte sono fin troppo
aggres-

sive durante i nostri “numeri”, mi usano senza ritegno.

Insomma, ho una buona conoscenza delle donne, o meglio di quelle che

praticano questo particolare mestiere.


Ora sento la musica che inizia a provenire dalle casse e so che è il turno di

Chantal. Quando entra in scena, tutto si ferma, i clienti si girano verso il


palco,

estraniandosi dal mondo circostante.

Chantal indossa un micro-bikini rosso, in realtà un costume del genere non

copre quasi nul a, poco è lasciato al ’immaginazione.

I suoi seni e i suoi glutei sono sodi. E quel tatuaggio che spunta dal a zona

pubica, a malapena coperta, suscita le fantasie più maliziose degli


avventori.

I suoi capelli sono biondi e cortissimi, ha occhi di ghiaccio che confondono

le emozioni, quasi si ha paura di sapere cosa vogliano dire.

Dopo pochi secondi è già in topless; concedendo uno sguardo a ogni singo-

lo avventore, vuole accattivarsi la loro simpatia, ma soprattutto le loro


mance.

Inizia a bal armi accanto, sfiorandomi con le sue dita sottili, mi accarezza,

sembra quasi che io, da un momento al ’altro, possa iniziare a tremare.

Poi stringe le braccia e le lunghe gambe intorno al a sommità del mio corpo

freddo, ma oltremodo solido. Scende piano piano, strusciando il suo corpo

atletico contro il mio. Ogni volta che lo fanno è un turbinio di sensazioni,


ma

quando lo fa Chantal è qualcosa di estatico, mi sembra quasi che, da lì a


poco,
io possa mettermi a gemere per il piacere, ma è solo un’il usione.

Dopotutto sono solo un palo di ferro in uno squallido locale di lap dance.

Certe cose mi sono precluse.

316

365 racconti erotici per un anno

l’UOvO DI EROs

7 novembre

di Maria Silvia Avanzato

Mi sento un uovo e foglie di basilico argento mi crescono al a base: ne


scosti

una e trovi una bacca, che è piccola, rossa e sa di veleno.

Così pensavo, la prima volta che un dito ebbe il coraggio di scendere a


dipa-

nare un gran bel gomitolo di maledizioni. Mia nonna diceva “se tocchi lì,
non

fai più i bambini” e io, che non ne volevo neanche mezzo, ci srotolavo
sopra le

dita fino a ritrovarmi viola e gonfia come il tentacolo di un polpo.

Quando le mie mani vaniglia e borotalco, fresche di lezione di pianoforte,

furono diventate un solleticante uncino con cui frugarmi sotto la gonna,


persi-

no per strada, misi gli occhi su Simone e mi dissi: “Fallo tu.”


“Fallo tu” perché era più grande delle altre ombre sui motorini, ascoltava

e vantava ben due peli sul petto.

Me lo portai dietro come un cane, fino al a vigna di Gianni, dove di notte

il fieno sembra vivo e brucia di chiari di luna; lui mi seguiva pendendo, un


po’

per la stanchezza, un po’ per guardarmi meglio sotto la gonna.

Al a vigna non ci arrivammo, ma al campo di rusticani del parroco sì.

Simone baciava come un pesce: bocca spalancata e occhi a pal a, inoltre

palpeggiava un po’ a casaccio perché s’era guardato troppi film americani.


A

volte, in atterraggi di fortuna, trovava il piccolo artiglio turgido sotto la


cucitu-

ra del reggiseno e il fiato gli si faceva grosso e arreso.

Allora giù, che i rusticani sanno tenere i segreti e l’erba, nel buio, carezza:

scese in picchiata sulle due grinze rosse che tengo incastrate fra le gambe e
mi

fanno sentire una scimmia.

Le scavò con dita di ghisa, le bagnò di finti, famelici baci, sonori di grugniti

spaventosi e, quando sperai avesse finito, ci piantò nel mezzo un triste


trofeo di

pelle tremula e vene ingrossate, breve e inavvertito, biscia selvatica.

Per me, solo grinze stirate: come tovaglie tirate per i lembi, quel tanto che
basta ad arrostire la pelle e pensare che la pancia finisca nel collo. Io ero un

uovo e il guscio raffreddava: vuota e oscil ante, mischiavo nel ventre


vischiose

euforie di gelatina, gemevo a singhiozzo.

Quel a, però, non era la vigna di Gianni, ma il campo del parroco e lui arri-

vò come un falco. Ci toccò scappare con le mutande in mano e una


vergognosa

scia di stelle giù per le cosce.

Respiro piano e cerco il mio mirtillo, tra foglie umide, nodose, non più ven-

tenni e tanto scure da far paura a tutti i Simone del mondo. Le mie sono
fauci,

le mie sono ninnoli, le mie sono vecchie falene bizzarre.

E io sono un uovo che gli uomini non possono toccare.

365 racconti erotici per un anno

317

UNa scOPERTa ImPORTaNTE

8 novembre

di Lorenzo Coltel acci

La sala era imbandita, i tavoli apparecchiati con cura. Sul leggio in fondo al
a

sala gli ospiti del convegno si alternavano sul palco. Il dottor Passeri era
emo-
zionato e nervoso: avrebbe dovuto tenere un importante discorso, che forse
gli

avrebbe spalancato le porte verso il Nobel, ma sapeva che molti gli


avrebbero

impedito di salire sul palco, perché la sua formidabile scoperta andava


contro

gli interessi delle multinazionali. Passeri sedeva a un tavolo in cui non


cono-

sceva nessuno. Davanti a lui c’era una donna magnifica: capelli biondo
platino,

occhi da cerbiatta, labbra carnose, scol atura che metteva in risalto il seno
for-

moso, vestito rosso fuoco e, per finire, sandali con tacchi vertiginosi. Nono-

stante il nervosismo, Passeri si accorse che lei lo fissava. Aveva un grissino


in

bocca, e vi faceva scorrere sopra la lingua con aria incredibilmente sexy,


come

se fosse un… Arrossendo, Passeri si guardò attorno per accertarsi che quel a

provocazione fosse rivolta solo a lui. Mentre riportava lo sguardo sul a


bionda,

avvertì qualcosa sfiorargli l’interno del a coscia, sotto il tavolo. Fingendo di

sistemarsi il tovagliolo sulle gambe diede un’occhiata, e avvampò quando


vide

che si trattava di un piede. Liscio come seta, smalto rosso e un piccolo


anello a
un dito. La donna continuava a fissarlo e ammiccava con sguardo
provocante,

al ungando il piede verso il suo inguine. Tremendamente eccitato, Passeri si

abbassò la cerniera con una mossa furtiva e lasciò che il piede gli entrasse
nelle

mutande. Aveva già un’erezione formidabile, e ormai la sua attenzione era


ri-

volta solo al piede del a donna, che si muoveva con decisione sul suo pene
eret-

to, in un massaggio dal a forza ipnotica, che quasi gli impediva di respirare.
Fu

così che non si accorse che lo stavano chiamando dal palco,


insistentemente.

Era il suo turno, e il protocollo non ammetteva ritardi.

Ma Passeri aveva altro per la testa. Anzi, fra le gambe...

Ormai stava quasi per venire sotto le carezze di quel piede morbido, quando

al ’improvviso la donna, sorridendo, gli indicò l’orologio. Lui, paonazzo e


sor-

preso, lo guardò, e solo allora ricordò quello che molti gli avevano detto
prima

del convegno: “Cercheranno in ogni modo di non farti salire sul palco… ”.

Sconvolto, Passeri provò ad alzarsi, ma un ultimo colpo deciso e imprevisto

del piede del a donna provocò il disastro: venne copiosamente, e fu


costretto a
risedersi, coprendosi con il tovagliolo.

Alle sue spalle, l’ospite successivo prese posto sul palco.

318

365 racconti erotici per un anno

(Im)PERfEcT sTRaNgER

9 novembre

di Cristiana Astori

Non so perché vado a puttane. Forse perché mi rilassa. E poi mi piace


scopare.

E detesto le chiacchiere. L’odore del bordello è sempre lo stesso: incenso,


pol-

vere e profumo scadente. Stavolta, però, la mia stanza è al buio. Tasto la


parete,

cerco l’interruttore. Una mano me lo impedisce. E chiude la porta. – Che


suc-

cede? – chiedo.

Un sospiro. Una risata. E quei braccialetti...

… tintinnavano quando l’avevo presa per mano e avevamo attraversato la

passerel a di corsa, in mezzo al e piante altissime, ed eravamo finiti al


centro del

lago, i corpi premuti contro le assi che ci portavano al a deriva...

– Chi sei?
Avvicina le labbra alle mie, senza rispondere. Sanno di caramel a al a frutta.

… caramel e scartate al lago di notte, dove le erbe acquatiche sono più alte
e

più forti e tutto il mondo intorno sembra crol are e l’acqua sospira tra le
assi che

ondeggiano sotto di noi...

– Non puoi essere tu.

Ride. È in piedi accanto a me, la sottoveste stropicciata che mi fruscia sotto

le dita, la sagoma che s’intravede appena, attraverso le veneziane abbassate


del

bordello. Forse è lei. E se è lei, glielo dico. Ora. Adesso. Non so bene che
cosa, in

realtà. O forse sì. Le chiedo perché è venuta qui a fare la puttana. – Senti,
bel a...

Un’altra risata al a frutta. Ancora quel suono, nel ’oscurità.

… i braccialetti di latta le tintinnavano intorno al polso esile mentre la sua

mano scivolava lungo la fibbia del a cintura e mi sbottonava i jeans; il suo


tocco

era lento e ipnotico e io stavo per perdere i sensi immerso in quel a


vertigine di

piacere...

Sono così eccitato che vorrei urlare. Perché anche lei mi ha preso per mano

e mi ha trascinato sul letto e quei dannati braccialetti tintinnano mentre le


sue
mani scivolano lungo la mia cintura...

Allora la prendo per i fianchi e me la tiro addosso. Si china su di me


ridendo

e mi sfiora il cazzo con le labbra e poi la sua bocca lo avvolge e brucia


brucia

brucia finché una scossa mi afferra i nervi e mi fa tremare tutto... e rivedo il

lago, le piante altissime, le assi di legno e sento i nostri cuori che battono
men-

tre una nausea sottile mi invade e l’orgasmo mi travolge in


un’incandescente

marea. – Seituseituseitu – mormoro, e tutto gira come in un vortice.

Lei sospira. Le accarezzo il viso, respiro il suo profumo. Ecco che cosa ti

volevo dire, penso, allora come adesso: che ti amo, tesoro.

Mi chiudo lo zip dei pantaloni ed esco dal a stanza, senza accendere la luce.

E senza voltarmi.

365 racconti erotici per un anno

319

NUDITé

10 novembre

di Luigi Musolino

Non sentirà nul a, non si sveglierà, come tutte le altre.

Ho raggiunto la sua camera dopo aver fatto saltare la serratura del a porta
esterna con un piede di porco. Nel tragitto mi sono mosso con passi ridicoli,
pon-

derati, strizzandomi forte il prepuzio per frenare l’erezione, trattenere


l’orgasmo.

Entro nel a sua camera. È lì. Dorme. Il sottile lenzuolo la avvolge come un

bozzolo di seta, esaltando le curve immobili del suo corpo. Il viso, un ovale

opalescente su cui indugia il biancore di una piccola luce d’emergenza, è un


ca-

polavoro di ceramica. Labbra turgide dischiuse nel sonno, splendore di


incisivi

che il uminano la notte. Immagino i capezzoli tesi e i seni marmorei puntati

contro il cielo, una beffarda sfida agli dèi. Vengo. Gocce di sperma mi
scivo-

lano lungo la coscia, un torrente vivo e vischioso, un fiume pulsante di


girini

microscopici destinati al Grande Nul a.

Estraggo dal a tasca del cappotto le forbici da cucito di mia madre, poi mi

spoglio nel a penombra, piego i vestiti e li depongo in un angolo, attento a


non

fare rumore. Dal a finestra osservo il cielo gial astro di luna, un sudario
umido

che accresce la libido e disegna assurdi arabeschi sulle pareti.

L’estasi sessuale risiede nel a svestizione assoluta, inconsapevole, nel a con-


templazione di carne e mucose, nel ’insensibile ed eterna maschera del
sonno.

Mi avvicino, scosto il lenzuolo. Buon Dio.

La forbice lavora silenziosa; via l’inutile vestiario, via le cuciture, via tutto.
è

un lavoro lungo, maniacale. Silenzio, shhh.

Contemplo la nudità del suo corpo, benedico le sue carni, i suoi muscoli,
l’adi-

pe che le fascia la vita come un cilicio lussurioso. La sua vagina è una


ferita

rosa che inghiotte il mondo. Non ho bisogno di toccarmi; gli orgasmi


esplodono

come supernove, si susseguono nei miei lombi fino a farmi ondeggiare sul
baratro

del ’incoscienza.

Poi mi rivesto, piano.

Le sfioro le labbra con la lingua, ne assaporo il gusto intenso, come quando

si inala una nota di sigaretta dicendo: da domani smetto. Sapendo che non
si

smetterà mai.

Esco in strada, l’alba occhieggia tra i palazzoni del a metropoli.

Mi al ontano con indifferenza, una sagoma nera nel a nebbia lattiginosa.

Lei dormirà ancora, poi un freddo alito di vento le carezzerà il sesso nudo,
svegliandola. Troverà il pigiama a pezzi, sporco del mio seme. Urlerà,
atterrita,

senza capire; fino al calare del buio, quando tornerò a possederla. Sarò
con un’al-

tra, ma tornerò.

Nei suoi sogni. Nei suoi incubi. Per sempre.

320

365 racconti erotici per un anno

sINfONIa

11 novembre

di Lucia Manuela M.

Tremava fra le sue braccia, terrorizzata da quel a passione che l’aveva


colpita

con forza non appena lui l’aveva guardata. Stranamente, però, quel a paura
s’era

tramutata in qualcosa di più viscerale e profondo, quando la mano si era ap-

poggiata delicatamente sul suo collo.

Le agili dita risalirono la mascel a accarezzandole la guancia, soffermandosi

vicino alle palpebre; infine seguirono il profilo del naso e, sfiorandole le


lab-

bra, scivolarono sul seno percorrendolo lentamente, compiacendosi nel


vedere
quel viso che rifletteva ogni singola emozione. La toccava in un modo
talmen-

te strano da farle sembrare d’essere diventata un’opera d’arte, maneggiata


con

cura dalle mani d’un artista. Ma lui lo era, dopotutto.

– Bianca... – le sussurrò suadente mentre i lunghi capelli biondi scivolavano

su di lei, spargendo nel ’aria quel profumo che la inebriava d’estasi. –


Abbando-

nati al a mia musica... sentila...

Dentro di sé pregava affinché quel ’eccitazione, dolorosa e terrificante allo

stesso tempo, trovasse sollievo. A un passo dal ’orgasmo, il suo corpo


tremava

tormentato dalle sensazioni; e sentiva il traditore implorarlo per avere di


più,

la mano stretta sul a sua, supplice.

Lui sollevò le labbra in un ghigno, sapendo esattamente cosa le stesse fa-

cendo, cosa lei provasse: le sue mani erano nate per creare piacere, nel bene
e

nel male.

Bianca si morse le labbra, sentendo sul a pelle il fiato caldo e smanioso


prove-

niente da quel a bocca, la cui lingua si muoveva sul suo corpo strisciando
come
un serpente, lasciando una scia umida che la fece rabbrividire e le mozzò il
fiato

a mano a mano che scendeva là dove voleva essere toccata, sfiorata, amata.

Gettò la testa indietro, sospirando di piacere quando lo sentì final-

mente in lei, bruciando famelico, e il mondo non ebbe più senso: tormen-

to e passione si mescolarono al desiderio che premeva inesorabile, tanto da

farle male. Si sentiva al a mercé del suo aguzzino, che le mostrava il luogo

del ’eterna dannazione baciandola, toccandola, tormentandola sempre di


più.

Il piacere intenso sgorgò come un fiume in piena, come un pulsare frenetico

in ogni fibra, trascinandola. Lasciandola poi in balia dei respiri affannati, di

quel a voce che le ripeteva come un mantra come lei fosse la sua musa,
come

avessero creato un’opera d’arte, una sinfonia perfetta d’amanti che si erano
ab-

bandonati al a passione, al piacere, senza vergogna o rimorsi.

365 racconti erotici per un anno

321

sUsaNNa

12 novembre

di Alessandro Del Gaudio


Mi disse che era cambiata, da quando ci eravamo visti l’ultima volta, che
era in

grado di fare cose che neanche potevo immaginare. Inizialmente pensai ai


soli-

ti giochi con le carte che mi aveva mostrato molte volte. Una prestigiatrice,
una

rarità. Eppure sapeva stupire i bambini e ipnotizzarli con i suoi trucchetti.

– Anche gli uomini – mi disse. – Con voi sono ancora più brava.

Difficile capire cosa volesse dire: lei è sempre stata così... diversa.

– Mi è successa una cosa un po’ strana, qualche giorno fa. Non ci crederai,

ma posso assicurarti che mi piace, mi fa sentire bene.

Sorrise e mi regalò uno sguardo luminoso; forse sperava che le chiedessi di

più. Bionda, sbarazzina, un corpo da favola. Aveva indossato una


minigonna

vertiginosa, così come la canottiera rossa.

– Susanna – sussurrai.

Lei mi si avvicinò e puntò i suoi occhi azzurri, ipnotici, nei miei. Ero confu-

so. Subito dopo mi baciò a lungo, la lingua che toccò la mia e la accarezzò.
Mi

sentii ardere dentro, bruciare dal ’inguine in su.

– Ma insomma – si finse offesa, dopo essersi staccata da me. – Sei davvero

noioso! Non mi chiedi niente?


– Di cosa si tratta? – rantolai con la gola secca. – In cosa consisterebbe que-

sto tuo… cambiamento? Cosa ti è successo?

– Adesso mi chiedi troppo. Ti farò vedere il mio cambiamento, ma non ti

dirò come è successo. Non c’è ancora abbastanza intimità, tra noi due.

– Devo chiudere gli occhi? – le domandai.

Non mi rispose. Si scostò e cominciò a spogliarsi, si tolse la camicetta e si

sfilò la gonna, mentre il sangue mi pulsava nelle tempie. Rimase nuda a


farsi

ammirare, lei musa, io un pittore che non sapeva da dove cominciare a


ritrarla.

Poi successe l’incredibile: alcuni secondi e il suo corpo si fece traslucido,


tanto

da mostrare il mondo fuori dal a finestra che, alle sue spalle, inondava la
stanza

di sole. Prima vidi le nuvole in un cielo limpido, poi i tetti del a città, tutto
at-

traverso di lei. Camminò verso di me e a ogni passo la sua immagine si


faceva

meno netta e definita. Era magica.

Poi scomparve.

La sua mano invisibile mi arpionò la cintura dei pantaloni. Mentre mi spo-

gliava mi prese le mani e se le portò sul petto, sulle cosce, sui glutei. Mi
accesi
di desiderio, mentre la immaginavo e la toccavo.

– Susanna – ansimai, mentre si sedeva sul mio sesso teso allo spasimo e la

sua lingua entrava nel a mia bocca a mozzarmi il fiato.

Lei rise. – Chiamami Susan...

Ho sempre sognato di poter scopare con la ragazza dei Fantastici Quattro.

322

365 racconti erotici per un anno

vEDOva Da UN aNNO

13 novembre

di Maria Gabriel a Genisi

L’autista seduto nel taxi sbirciava le sue gambe dallo specchietto.


Rincorreva

l’orlo delle autoreggenti che aveva intravisto quando lei aveva accaval ato
le

gambe per stare più comoda. Valeria se ne accorse. Aveva compiuto 40 anni
da

poco, giusto in tempo per iniziare a capire che è quel a l’età d’oro per la
donna

e che lei era un tipo che piaceva molto agli uomini. Peccato che i mesi
adesso

passassero in fretta e che presto sarebbe stata meno attraente, meno sexy.
Pec-

cato anche che era vedova già da un anno e che il suo corpo, in stand-by da
allora, sembrasse esplodere dal a voglia di fare l’amore. Se solo avesse
trovato il

coraggio di farlo ancora, di lasciarsi andare per una volta...

Ferma davanti alle porte del ’ascensore avvertì l’odore del maschio alle sue

spalle. Era un odore inconfondibile fatto di dopobarba e di sudore. Un


richia-

mo sessuale potente a cui sembrava di colpo diventata sensibile. Inspirò


pro-

fondamente e il brivido le accarezzò le reni mentre le scorrevano nel a


mente le

scene di un accoppiamento tra cani in calore che aveva visto da ragazzina.

Le porte si spalancarono e Valeria entrò senza voltarsi. Lo spazio era picco-

lissimo e la presenza del ’uomo alle sue spalle ingombrante e voluttuosa.

Sentì il suo respiro caldo sul collo, lo sguardo animale percorrerle la


schiena

sinuosa, scivolarle sui fianchi morbidi e poi scendere ancora sfiorandole i


glu-

tei, le cosce, le caviglie, le scarpe dal tacco sottile. Aveva voglia di


appoggiarsi

al ’uomo, di strofinarsi addosso a lui, di sentire il suo inguine duro premerle

contro, le sue mani cercare sotto la gonna, la sua bocca leccare la pelle.

L’ascensore giunse al piano e Valeria uscì frettolosamente. Rispose ai saluti

dei colleghi in corridoio ed entrò nel suo studio. Tolse il vestito e infilò il
cami-
ce appeso al ’attaccapanni poi andò a lavarsi le mani e citofonò al
’infermiera

perché facesse entrare il primo paziente.

Il ragazzo era giovane e molto bello, aveva i capelli lunghi e un lampo sel-

vaggio negli occhi scuri. Le bastò sentire il suo odore mentre gli poggiava
lo

stetoscopio sul petto per riconoscere l’uomo del ’ascensore e provare una
verti-

gine. Valutò il suo corpo statuario, ogni singolo muscolo, e decise di


ignorare il

fatto che avesse poco più di vent’anni. Abbassò lo sguardo velato dal
desiderio

sul ’elastico colorato dello slip che sbucava dai jeans sbiaditi, sfilò il camice
e

ripassò insieme a lui la scena perfetta dei due cani in calore.

365 racconti erotici per un anno

323

PER NON PIaNgERE

14 novembre

di Maria Chiara Tamani

Di tutto quello che era stato raccattato in fretta e furia dopo il litigio, era ri-

masta solo quel a maglietta. Giaceva abbandonata su un angolo del letto,


con
aria derelitta, come se stesse per cadere da un momento al ’altro; invece se
ne

restava lì ormeggiata, bianca, larga e intrisa del profumo di quello stronzo


del

suo padrone, attirando solo sguardi malevoli.

Quel o stronzo.

Angela l’afferrò bruscamente, la bocca e gli occhi secchi dopo la sfuriata

che aveva messo sottosopra la casa. Marco se n’era andato, e a lei rimaneva
solo

quel a stupida maglietta. Fece per gettarla via con un’imprecazione, invece
un

tremito nervoso gliela fece stringere al petto. Ansimava ancora per


l’agitazione,

e poteva sentire il proprio battito impazzito martel are contro la mano


stretta,

che premeva sui seni gonfi e scalpitanti nel respiro affannoso. Controvoglia,

rabbrividì fin tra le gambe al profumo di lui, improvviso, sgarbato, che


comin-

ciava a ferirla già con una nostalgia fuori luogo. Gemette di rabbia e di
frustra-

zione, sedendosi sul letto. Non voleva piangere ancora. Premette con rabbia

quel a maglietta bianca fra le cosce, e gemette di nuovo rabbiosa, per non
pian-

gere, mentre premendo provava piacere. Un piacere strano, bruciante e


colmo
di rabbia quanto lei. Premette di più, come per dispetto. E singhiozzò.

Per non piangere, trattenendo quel ’orrido groppo in gola, cominciò a don-

dolarsi, lentamente; senza dolcezza, come se fosse qualcosa di meccanico e


di

assolutamente necessario, in quel momento. Una, due, tre volte, a ogni


movi-

mento una scossa forte, che non si sarebbe mai aspettata in una situazione
del

genere: irrequieta, sconvolta, arrabbiata, l’adrenalina che la teneva in


tensione

le regalò delle punture brucianti di piacere, una per ogni volta che preme-

va di bacino contro il morbido che teneva serrato ostinatamente fra le cosce.

Un’ondata improvvisa di profumo maschile le fece rabbrividire i seni


turgidi,

il ventre tirato. I capezzoli le pizzicavano, tesi, contro la stoffa del vestito.


Si

accorse di tremare.

Strinse gli occhi lucidi. Un ansito. Un singulto. Per ricacciare indietro le

lacrime si morse le labbra e continuò con più forza, un movimento al a


volta,

ogni scatto di bacino più sciolto e assieme più feroce. Veloce. Più veloce.
Strap-

pando ansiti rumorosi. Senza riflettere. Senza pensare a come si sarebbe


sentita
una volta finito. Solo per non piangere.

Fulminata dal piacere, spalancò la bocca.

E, una volta finito, pianse.

324

365 racconti erotici per un anno

macchIE DI lUcE

15 novembre

di Mauro Marcialis

Ha già fatto effetto. Lia tiene le mani tra le cosce e lo sguardo basso, ma il
suo

pudore è ingannevole. Mi aggiro tra le pieghe del a notte, desidero


confeziona-

re suggestioni e fargliele indossare. Fasci di luna sembrano leccarle il corpo


e

io annoto le misure del a sua malizia. Adopero le mani come se fossero


stoffa

e scavo dove i bagliori non possono raggiungerla. Vorrei una luna


prepotente

che le lanciasse contro aghi di luce e le solcasse la pelle fino a rivelarne


l’intimi-

tà. Le nostre labbra sono vicine ma lei si volta e si distende, mentre la luna
le

si attacca al a chioma e le curve del a sua vita si al argano davanti al mio


corpo
che sussulta. Vorrei un cielo di sole nuvole che ci lacrimasse addosso e ci
rega-

lasse l’il usione di poterci far scivolare tutto addosso, proprio come una
volta.

Ma è troppo tardi, ormai...

Ci consegnamo al buio. Io le cingo le spalle col mio manto nero e le stringo

i fianchi. Le afferro i capelli e spingo il suo viso verso il mio. Immagino il


suo

collo scoprirsi e i seni, sotto, rincorrerlo danzando. La mia lingua arriva al a

sua bocca, così, e ci s’immerge dentro. Il piacere incalza il dolore, gli si


arrende

e a volte lo supera. Mi muovo al ritmo dei suoi sospiri urlando: mai più!

Mai più: sofferenza!

Arrivammo troppo tardi: la solita lagna, pensavamo. Che stupidi! Troppo

presi da noi, dal a nostra passione, lì, nel a stanza accanto.

Luca, nostro figlio, andava sempre di corsa… e non aspettò.

Non avrebbe potuto spiegarci, con le poche sil abe che biascicava, che il
dolore

che provava aveva la sola urgenza di essere stanato.

Decidemmo subito: l’avremmo raggiunto nel o stesso modo in cui


l’avevamo

prima creato e poi perso.

Abbiamo bevuto e mescolato al ucinogeni per inventarci un altro mondo


su misura e sonniferi per morirci dentro. E adesso…

Dentro di lei nascondo il mio vigore, la sua lingua striscia tra le dita e le sue

grida annunciano l’abbandono del ’ultimo orgasmo. La sua schiena scoperta

diventa il foglio che accoglierà lo sporco inchiostro del mio delirio per
l’ultima

epigrafe. Rintocchi di ventre come suoni di campane. Premo feroce, verso il

crollo. La sua pelle non la sento più! Penso: è davvero il cielo, questo? E
sono

forse le stelle, adesso, a pungermi gli occhi? Credo che il fuoco del a colpa
stia

divorando i nostri corpi umidi e che si stia spostando dove le cosce si


unisco-

no. È l’Inferno, questo?

Di questo sono certo: vedo Lia e me in una cornice di fiamme.

Urlo: Luca, perdonaci!

E poi esplodo in mille scintille di luce bianca.

365 racconti erotici per un anno

325

PassIONE Dall’INDIa

16 novembre

di Federica Iencenelli
Odore di Sandalo, varie candele accese e tendaggi dai colori caldi. Il letto
basso

con cuscini. Di fronte un grande specchio con cornice di legno. È stato un


in-

contro passionale, il nostro, fatto di sguardi intensi e di riso basmati


assaporato

con le dita. I suoi occhi con quel a linea di Kajal erano misteriosi e
tenebrosi.

Le labbra carnose e scure. Affascinante.

Lo volevo. Eccome se lo volevo. Gli indiani mi hanno sempre affascinata.

Mi ha sedotta con quegli occhi e con il labbro inferiore che ogni tanto
morde-

va. Non ho potuto resistergli. Mi baciò, quelle labbra erano così morbide e
il

leggero sapore di nicotina e dolci spezie le rendeva ancora più gustose.


Poteva

farmi di tutto, ero presa da lui, dal suo fascino, dal suo modo di toccarmi.

Mi spogliava con foga ma con dolcezza. Io non potevo fare a meno di fare
lo

stesso con lui. Nello specchio le nostre figure, lui color cioccolata e io color
del

latte. La sua pelle era morbida e profumata. Mi baciava, non smetteva di


farlo.

Il suo respiro eccitato sopra di me mi faceva sentire desiderata. Le mie mani


lo accarezzavano, accarezzavano quel corpo come se già lo conoscessero.
Ero

accesa di passione. Mi accarezzava, giocava con i miei capezzoli


stringendoli,

li leccava, li mordeva, e io morivo d’estasi. Ogni tanto guardavo la scena


dallo

specchio, eravamo bellissimi. Baciava le mie lunghe gambe affusolate e


pallide,

piano piano, lentamente, su e giù, finché non arrivò nel mezzo e lì pensavo

davvero di morire.

La sua lingua era sempre così pacata, delicata, ma sapeva bene dove andarsi

a infilare, avanti e indietro, formando cerchi immaginari perfetti. Fu lì che


ar-

rivai al primo orgasmo e mi aggrappai con le unghie al a sua schiena in


cerca

di salvezza. Ritornò alle mie labbra, mi baciò col sapore di me in bocca e fi-

nalmente mi penetrò. Al ’inizio come onde sul bagnasciuga di un mare


calmo,

poi sempre più mosso. Si muoveva dentro di me con passione ed eleganza,


e io

mi ancoravo a lui ricambiando i colpi, sempre più profondi e veloci.


Venimmo

insieme, i nostri gemiti e i respiri sempre più caldi e affannati erano solo
una
piccola rivelazione del piacere provato. Mi guardò negli occhi lucidi di
piacere

e mi disse: – Sei bellissima, rimani qui.

Ci addormentammo abbracciati, ubriachi di piacere. Quando mi svegliai

lui ancora dormiva. Decisi di andare e di non rivedere più quel ’indiano che
mi

aveva stregata. Le cose speciali si vivono una sola volta.

326

365 racconti erotici per un anno

baNQUETINg

17 novembre

di Alessio Taffarello

Dopo duecento pasti non si ha voglia di far altro che riposare. Stasera tocca
a

me e al mio commis chiudere. Una bottiglia di Bolgheri Sassicaia 2006 in


meno

in cantina non sarà un problema. I bicchieri placano la stasi.

Lavorare con una donna non è impossibile ma arduo.

Cinzia è bel a, fin troppo per una cuoca. Il suo viso, una calamita. Il suo

corpo, un’ ensamble di linee morbide. La divisa non riesce a mistificarne il


fa-

scino. Anche stasera… ti guarda con occhi non suoi, da predatrice, e non ti
mol a più.

Scherzare va bene, ma oltrepassare certi limiti è rischioso.

L’ho ripetuto spesso allo chef, di cambiarle reparto, ma inutilmente. Non mi

sento in grado di gestirla come chiunque altro. C’è che il problema sono io,
e

quel desiderio tra le gambe. Mette in ordine il garde manger quando la


chiamo

in pasticceria per aiutarmi.

– Fai la planetaria mentre finisco di qua – le dico – così finiamo prima.

Passa un minuto.

– Sai, quando la guardo tuffare le braccia nel ’impasto rimango spesso ipno-

tizzata – dice. – Mi eccito, perfino.

Faccio finta di non sentire. Mi diventa duro. Lei s’avvicina e me lo tasta. Il

viso provato dal servizio non maschera la sua bellezza.

– La manipolazione è arte culinaria – sentenzia.

D’impulso vorrei fermarla, ma mi piace come lo gestisce. È lenta ed


esperta.

Me lo succhia piano, andando in profondità. Non resisto. La spoglio. La


giacca

cade seguita dal resto del a divisa. Cinzia fa lo stesso con me. Le tolgo la
cuffia

e rimango rapito dal tuffo delle sue chiome bionde. Sono ipnotici ed
eccitanti
i suoi movimenti. Mi spinge al muro, apre il frigo e prende la catalana
rimasta.

Me la spalma e lecca avida dopo ogni passaggio. Mi piace.

Prendo la pasta di mandorle cruda, la scaldo con le mani e la modello sul

suo corpo nudo, supino sul marmo gelido. La massaggio quasi a impastare

l’anima con la carne e il mio desiderio insieme. Le sue gambe mi guidano


den-

tro di lei, calda e umida. Lo facciamo egoisticamente, come a volerci cibare

l’uno del ’altra. La mia pelle sa di cannel a e limone, lei è una mandorla.
Siamo

nutrimento reciproco. Cambiamo posizione, ci intrecciamo e rilasciamo di

continuo. Dobbiamo saziarci a vicenda.

Ho voglia di sapori forti. Non me ne frega nul a del sapore reale del a sua

pelle. Prendo la riduzione al ’aceto balsamico e gliela spalmo sulle labbra,


poi

la bacio. Dal a bocca scende un rivolo di denso liquido scuro. È un


contrasto

che ben si presta al nostro rapporto di stanotte, quel sapore deciso.

Domani sarà la solita routine, mentre ora… solo istinto.

365 racconti erotici per un anno

327

vORREI
18 novembre

di Angelo Marenzana

Cara Leyla,

entro in casa senza accendere la luce, appendo il cappotto umido di neve,

gironzolo per qualche istante nel silenzio che incombe tra corridoio cucina e

sala. Tu non ci sei, e non me ne faccio una ragione. Mi dirigo verso la


camera

da letto. Quando spalanco la porta quasi con sorpresa mi rendo conto che
non

sei nemmeno qui ad aspettarmi. Ho una contrazione di fastidio. Non riesco


an-

cora ad accettare di non vederti raggomitolata nel letto con i capelli scolpiti
sul

cuscino. Ancora silenzio. Sembra ronzarmi nelle orecchie come un


fastidioso

moscone. Nel a penombra del a camera il tempo ha perso la sua


dimensione.

Quasi sono imbarazzato dal fruscio dei miei stessi movimenti. Tutto è
immo-

bile, a parte le ombre sul soffitto che tremano al ritmo del a fiammel a del a

candela che accendo con un gesto rituale, quasi automatico. È un


mozzicone

giallo che profuma di vaniglia, e stempera una luce calda colore del ’oro.
Me
l’hai lasciata tu. Dici che ha il potere di purificare l’aria dalle energie
negative.

Mi stendo sul letto con gli occhi spalancati e il braccio teso verso l’alto.
Con il

dito accarezzo i contorni delle ombre. Poi chiudo gli occhi e penso che vor-

rei baciarti, vorrei sentire il tuo calore, il tuo respiro, vorrei stringerti il
seno,

giocare con la lingua attorno ai capezzoli. Morderli piano. Perché è così che
ti

piace. Vorrei saziare le mani possedendo gli angoli più nascosti del tuo
corpo

chiudendolo nel a morsa del mio desiderio. Vorrei model arlo per
trasformar-

lo nel ’unico oggetto del mio piacere. Vorrei vedere i tuoi occhi
socchiudersi

mentre ti accarezzo le gambe, l’interno delle cosce, il profilo del a


schiena… e

in ogni istante sentire che nul a di quello che faccio serve per rendermi
soddi-

sfatto fino in fondo. Vorrei sentirti sollevare il bacino, prendermi dentro di


te

mentre aumenta il ritmo dei miei movimenti, delle parole che ti dico,
mormo-

rii che entrano nelle orecchie per arrivare al cervello e scendere liquide
verso il
cuore, fin dentro la pancia, e uscire sul a pelle per scorrere rapide sugli
umori

del nostro corpo, sul nostro sudore. Vorrei sentirti gridare mentre ti afferro

i capelli dietro la nuca. Vorrei… l’unica cosa che posso, in questo momento,

è toccare il tasto play del ’impianto sul comodino. Annie Lennox. Why… la

sua voce, il sottofondo di molte notti d’amore, e lasciarti accompagnare da


lei,

come se fosse seduta accanto a te su quel treno che corre lontano, nel
biancore

di una nevicata che ricorda la notte in cui sono nato.

328

365 racconti erotici per un anno

saNgUE…

19 novembre

di Bartolomeo Badagliacca

– Hai mai fatto l’amore con un vampiro?

La voce roca le si è insinuata dentro possedendole il cervello. Il suo ventre

annaspa nel ’improvviso arrestarsi di quel piacere intenso e ritmato che le


ha

dilaniato i freni inibitori. I suoi occhi rilucono di paura ma i suoi capezzoli

sfolgorano di desiderio. L’innaturale resistenza del ’uomo, la sua


improbabile
forza, l’assenza di un qualsivoglia odore del a pelle, a eccezione del a
fragranza

pungente del a sua erezione, così intensa nel a bocca quando…

La solleva, senza scivolare fuori da quel corpo accogliente e vibrante che si

avvinghia a lui in una congiunzione bramosa, e lei precipita nei suoi occhi
neri

come pozzi senza fondo.

A ogni passo, l’uomo spinge un po’ di più, la schiena straziata da


scudisciate

di piacere. La doccia è un sarcofago nel buio.

Abbandona la cavità umida che è il centro del ’Universo e la volta. Il fred-

do del a ceramica sotto i piedi nudi del a donna guizza disperdendosi nel
suo

corpo, strappandole un gemito.

Tenebre. Pancia contro schiena. Rigidità contro cedevolezza.

Denti sul collo pulsante.

La donna si appoggia con le mani al a parete per non accasciarsi. Un istante

di totale immobilità. Subito dopo piacere e dolore esplodono simultanei.

Liquido denso e colpi lenti ma forti, gemiti, fronte sulle piastrelle.

La gira.

Lei è totalmente inabissata nel piacere. Non sa più chi è, non ha coscienza
del mondo o del ’esistenza se non del buco nero che sembra inghiottirla dal
di

dentro, cancel ando ogni sua capacità di pensare, costringendola a


desiderare

e reclamare quel ’amorevole violenza che la squassa.

L’uomo si inarca cercando l’interruttore del a luce, pressa dentro di lei come

se volesse fondersi al a sua carne, diventare una cosa sola.

Rivoli scarlatti colano tra i seni gonfi fin sul ventre, in una pozza rubiconda

nel suo ombelico tremulo, e poi più giù, fino a lui, e da lui dentro di lei.

Per la donna non esiste più nul a, ogni parte del suo corpo è concentrata

sulle onde che iniziano a scaturire dal Tempio tra le sue gambe. Lui si
colma

la bocca del liquido rossastro e la bacia impedendole di urlare, la abbranca

godendo di quel corpo che si tende e irrigidisce senza controllo in preda alle

onde divenute un oceano in tempesta.

E si libera dentro di lei. Completamente. Bianco e rosso.

Cadono a terra, avvinghiati, uniti un po’ di più come ogni volta, il succo di

mirtillo sui loro corpi increduli. Si guardano negli occhi. Un sorriso.

365 racconti erotici per un anno

329

PEllE E ODORE
20 novembre

di Umberto Maggesi

– I soldi, sul comodino. Spegni la luce. Non parlare. – Le uniche parole che
pro-

nuncio. Tutte le volte. Fisso il muro, protetto dal a tenda.

Al ’uomo piace guardare. Uno dei tanti dogmi che il sistema ci fa ingoiare.

La pelle dice più cose. Il graduale inturgidimento, indispensabile per accor-

darci uno nel ’altra. L’umido che si fa strada poco al a volta, timido al
’inizio,

come a saggiare la consistenza del piacere. I lasciti odorosi delle regioni più
na-

scoste, prima lievi. Solo tracce dissolte dal a prepotenza dei movimenti, poi
forti

a colorare l’atmosfera del a tinta del piacere.

L’abilità di due corpi nel cercare di accordarsi per suonare la musica del
sesso

è fatta di contatti e odore.

Mi concedo tempo per capire e adattarmi. Non siamo tutti uguali.

Incedo su un seno. Oppure bacio delicatamente l’avval amento fra le


gambe.

A volte è il ventre a rispondere per primo, con un aggricciarsi del a pelle.


Altri-

menti la zona sensibile dietro il collo.


Pel e.

Siamo fatti soprattutto di questo. Portatrice di piacere, su cui le vibrazioni

corrono e s’intersecano. Forme e parole sono menzogne. Costruzioni che


na-

scondono false prospettive, doppi fondi. Allenati da chi ha deciso i canoni


di

bellezza. Il tatto e l’odorato sono primitivi, lontani da questo sistema di


ordini

precisi. L’accordo è diverso per ognuno. Perché la pelle è figlia del a vita
che ha

indossato. Le dita allenate cercano segni. La lingua curiosa scivola


lentamente.

Da collo a ventre. Scendendo sulle cosce fino al ’umido fra le gambe, per
poi

sottrarsi crudele. Ci sono corpi che preferiscono carezze periferiche. Lo


avverto

e ricerco l’accordo con braccia e spalle, oppure gambe. Come un suono che
si fa

sempre più vicino. Ci riesco tutte le volte, anche con questi corpi troppo
usati da

mani maldestre.

Il nostro piacere è fatto di sfregamenti e fruscii, odori umidi e muschiati.

Trovato l’accordo la danza si fa frenetica. La pel e si fonde nel a vibrazione


del
piacere. Senza forma. Gli odori sommergono, come un bozzo che lascia il
mon-

do fuori. Protettivo. Torpore soddisfatto, ultima gratificazione. Ci resto


immerso

qualche istante. Quando accendo la luce il mondo mi si rovescia addosso,


con le

sue forme a spigoli, le superfici lucide, colori fin troppo vivaci, specchi che
riflet-

tono infinite forme infinite volte. Anche il mio volto e il mio corpo.
Orrendo.

Strabordante le precise regole del bello, che il sistema ha fissato e che mi

escludono senza possibilità di appello.

Non importa. Tornerà il buio.

330

365 racconti erotici per un anno

PIccOlI OlImPI sENZa ImPORTaNZa

21 novembre

di Valeria Bucchignani

– Tu non ti rendi conto del a potenza che emani, adesso. Sei la mia Dea
Pagana.

Splendida, sensuale, oscena e totale. Viene voglia di adorarti, farei una


statua

di te, sai?
Mi chiedo quale deità vede in me adesso: in ginocchio sul tappeto, seduta

sui talloni, una corda che mi stringe la vita, passa tra le mie cosce e mi
assicura

i polsi dietro le reni, dovrei essere l’icona del ’impotenza.

– Sei come una terra senza nome, aspra e selvaggia, insidiosa e lussureg-

giante. Hai angoli incontaminati e panorami mozzafiato. Sei terra di


conquista,

da spargere di sale. Hai il ramarro, nascosto tra le rocce, che aspetta di


tornare

al sole. Hai il passero tra i rami e la volpe nel a chioma. Hai la lepre nel
’erba

alta e il colibrì nel fiore.

– Uno zoo, praticamente – sorrido, sotto la benda.

Non sento i passi che si avvicinano, avverto solo lo spostamento d’aria e il

gesto che mi stringe i capelli.

– Uno zoo, sì, e adesso mi faccio un bel safari, stronzetta.

– Attento alle specie protet... – non finisco la frase. Afferra la corda, la tira

fino a farmi provare l’effetto del a sega circolare che mi entra nel a carne
tene-

ra, fino a farmi spalancare gli occhi dietro la benda. Il dolore è un lampo,
mi

attraversa e mi sbriciola, mentre mi sollevo ad assecondare la trazione che


mi
divide in due. Da dove viene questa belva assetata che un attimo fa era un
cane

fedele che mi adorava? Quanti uomini è? Chi trabocca dal a sua testa, così
in-

gombrante da essere vomitato fuori? E perché non mi fa paura?

– Giù la testa e su il culo, lo voglio offerto. Giù! – ordina. Il dolore s’in-

tensifica e si espande fino a liquefarmi, caldo. La mia eccitazione


s’impenna,

s’impone sul a considerazione del ’insondabile assurdità del piacere che


ricevo

dal subire questi insensati soprusi.

M’inchino davanti al demone che lo abita, che mi abita. Appoggio le labbra

su un ginocchio e il sapore del a mia pelle basta a rassicurarmi. Ne


riconosco

il sale: sono io. E sto godendo.

– Brava, così. Perfetta. Sta’ ferma – un sussurro e una mano che percorre la

mia schiena dal a nuca al coccige. Una mano calda, materna, che dice: sono
io

e voglio farti godere.

È interminabile, l’attesa, quando aspetti qualcosa. Qualcosa che sta occu-

pando lo spazio in mezzo alle mie gambe piegate sul tappeto, che mi
solletica

l’interno delle cosce, qualcosa che riconosco quando la sua lingua si


appoggia,
piatta, contro la mia vulva. Una lingua che comincia sapientemente ad
adorar-

mi, come se fossi una dea pagana.

365 racconti erotici per un anno

331

POsT-IT

22 novembre

di Raffaele Serafini

Stanotte ti prenderò in bocca.

Glielo ha scritto in una calligrafia sottile, minuscola, su due righe, al centro

del post-it, nero su giallo. Glielo ha scritto dopo sei mesi di messaggi e lei
ha im-

piegato più di un’ora per scovarlo, appiccicato sotto una sedia del salotto.
Gliene

lascia uno al giorno, eppure non l’ha mai visto in faccia.

Un pensiero per te.

Diceva il primo. Se lo ricorda ancora, svolazzante sul sellino del a


bicicletta,

accanto al a porta d’ingresso. Non l’ha visto subito, perché prima c’era la
rosa,

rossa e umida di rugiada, in bilico sul manubrio come l’asta di un


equilibrista.

Ha scavalcato la recinzione, pensa, ma mentre lo fa sorride lusingata.


Stanotte ti sfiorerò una guancia.

Non è il primo biglietto che trova in casa, ma il primo in cui lui la toccherà.

Non ha mai capito come faccia a entrare, ma in quel momento non le inte-

ressa. Vuole solo vederlo, toccarlo, sentire com’è fatto. Rimane sveglia per
ore,

ascoltando i rumori del a notte, ma la porta del a camera resta accostata. Lo

capisce solo al ’alba, dopo un sonno brevissimo, che lui è venuto. Ha


infilato la

mano nel suo dormiveglia per accarezzarla, proprio come aveva detto. E
sarà in

quel modo che la toccherà, da lì in poi.

Ti bacerò.

È il messaggio che più ha atteso e più ha rischiato di non trovare. Ha spo-

stato libri, pentole, mobili. Vuotato cassetti e credenza, dimenticandosi


persino

di mangiare. Sa benissimo che se non legge, lui non verrà. È ormai


disperata,

quando alzando il coperchio per sedersi a fare pipì, scopre l’invito per il suo

primo bacio. S’infila a letto così, lasciando le mutandine sul pavimento,


come un

bozzolo che non è riuscito a trattenere la propria farfal a.

Stanotte mi sentirai dentro.

Sono parole che la spaccano in due. Da una parte il suo sesso, che implora
carne e calore; dal ’altra lei, che ha bisogno di un corpo, sguardi, voce,
parole,

olfatto, sapori. Si addormenta a gambe spalancate, pensando a come


ottenerli.

La trovano con l’estasi che dimora sul suo viso, deceduta per cause naturali.

Sul muro, sopra il cuscino, ha lasciato un messaggio incomprensibile.


Portami

via con te, ha scritto su un post-it, poco prima di morire.

332

365 racconti erotici per un anno

kUROI (l’INvERNO)

23 novembre

di Giorgia Rebecca Gironi

Snel a, bionda e stretta in un bustino di pizzo, guardava la via lunga sfilarsi

a est e a ovest per poi perdersi chissà dove, inghiottita dal a nebbia. Oltre la

finestra c’era un mondo chiuso, tre alberi scuri come inchiostro seccatosi su
un

foglio, un quadrato che fu d’erba, un’altalena. Il cigolio del ’altalena.

Lei guardava sempre la via lunga, quel a frazione di infinito, pettinandosi

i capelli.

Sempre uguale, la via la guardava a sua volta. E così i tre alberi scuri, quel
quadrato che fu d’erba, l’altalena, gli occhi lontani del cielo che negli occhi
di

lei si riflettevano, animando quel ’universo fermo, la notte.

Ed era di notte che si rianimava pure il ricordo, giacché lui una notte era

giunto; e aveva un impermeabile nero che strusciava al suolo mille sussurri,

stivali ai piedi, i propri capelli. La sua lancia era uno sciame di falene.

Nel vederla inarrivabile aveva dischiuso le labbra e le farfalle erano nate dal

suo respiro, bianche come la neve che cade in novembre: volando su


percorsi a

loro cari mirarono quegli occhi allora pieni di stelle, e quando si posarono
sulle

sue braccia lei al argò il respiro e sciolse la treccia. Scosse il capo. Slacciò
ogni

decenza e si lasciò sedurre senza chiedere mai chi sei?

Camminavano, le falene, sul a sua bianca pelle. Come neve caduta in no-

vembre su prati già bianchi di neve, si nascondevano le une sotto alle altre.

Negli sguardi la promessa scivolava sui suoi seni, a ogni colpo di frusta
scia-

bordava il mare del desiderio.

Allora lei guardava la via lunga sfilarsi a est e a ovest, dove lui era giunto

e dove era andato via, sparendo nel a bruma. Poi voltandosi socchiudeva gli

occhi sul suo letto di conchiglia e la testa le si riempiva di bianche falene,


come
il cielo quando nevica in novembre.

Si sfilava il bustino di pizzo.

Accarezzava il suo corpo e giù, la perla dura che mirava in alto, e le falene
le

bisbigliavano al ’orecchio, le falene succhiavano via il sale dal suo corpo, le


be-

vevano dagli occhi, le raccontavano menzogne. Rapido si faceva il tocco


come

le dita sui tasti bianchi di un pianoforte, tril ando quel a nota grave, tril ando

poi una nota alta.

Il suo ventre era un nido d’insetti, quando godeva lacrimava latte, eppu-

re lei guardava sempre la via lunga, quel a frazione d’infinito, pettinandosi i

capelli. Attendeva l’uomo dalle cui labbra nascevano falene, senza


nemmeno

sapere chi fosse.

365 racconti erotici per un anno

333

INDEcIsIONE E DEbOlEZZa

24 novembre

di Claudio Costa

Non torno. Questa volta non torno.


– Addio – pronuncio, dandole le spalle. Non voglio guardarla negli occhi.
Non

devo. Stringo il manico del a valigia. Giro la chiave nel a toppa. Movimenti
lenti:

una parte di me vuole restare. Devo sopprimere quel pensiero. È un


suicidio: la

via diretta al ’inferno. La sua mano m’accarezza il fianco. – Rimani.

– Se non mi lasci andare, t’ammazzo.

– Davvero?

– L’altra notte non rispondevi al telefono – sospiro. – Poi scopro che a


mezza-

notte hai chiamato Alessio.

– Ma è un amico! – si schernisce lei.

Sbuffo, mi volto. Quel sorriso ironico merita una punizione, ma non


l’insulto.

Biondi capelli spettinati, riccioli morbidi. Maglietta stretta con curve in evi-

denza, mutandine velate, gambe slanciate e nude. Truccata e vestita da gara


op-

porrei una maggiore resistenza. Ma così, acqua e sapone, è l’immagine del


’inno-

cenza. L’espressione e la sua intelligenza assaporano la vittoria imminente.

– Rimani. Fallo per noi – insiste.

Scruto le pupille verde mare. Mi perdo nel cercare il fondale. Sicuro: non
toc-
cherò mai la sabbia del ’abisso.

Ci fissiamo. Mi bacia. Non sono piccoli baci per un semplice ciao, come se
le

bugie profumassero di verità: è un lungo bacio per accettare la finzione.

La sua mano mi sbottona e s’intrufola nel a camicia, le dita scorrono sul


petto,

la lingua tenta di schiudermi le labbra.

È il mio turno di sorridere. – Non ci riuscirai – sussurro.

La sua gamba s’infila tra le mie, conducendo calore. Mi strizza un


capezzolo:

dolore vicino al ’estremo piacere. Con l’altra mano mi slaccia i pantaloni.


Le un-

ghie graffiano le natiche. Respiri ansimanti, brezze d’energia sul a faccia.


Palpebre

calate, bocche umide d’adrenalina.

Capitolo. La stringo: non voglio lasciarla, la schiaccio, fondendola su di


me. Le

sfilo la maglietta e lei mi spinge la testa tra le tette. Soffoco, mordo.


Mugola.

Nel a tasca mi vibra il cel ulare: un SMS. Estraggo e lo porto dietro la sua
schie-

na. Con una contorsione del braccio, mi afferra il polso. – Dai, dopo!

Il mio pollice preme rapido i tasti. S’inginocchia. – Rimani – mormora,


pren-
dendomelo in bocca e cominciando a succhiarlo, per ingoiarmi l’anima
come sa

fare lei. Leggo il messaggio. Quando arrivi, papà? Ricordati il regalo per
la mam-

ma! Il cervello è caduto con i calzoni. È forse un breve istante di vergogna


che mi

permette di abbandonare una lacrima vera dentro un oceano di falsità.

Non mi perdono. Non mi pento.

Ma non torno. Questa volta, quando esco dal a porta, non torno.

334

365 racconti erotici per un anno

l’aTTImO

25 novembre

di Raul Montanari

Mentre me ne sto qui a mollo, carico di pancia e di soldi cresciuti insieme

negli anni, azioni e titoli di stato, qui a mollo nel ’acqua tiepida del a
piscina,

cul ando la mia mezza erezione, l’acqua che mi alleggerisce e tutt’intorno i


pini,

musica idiota e felice che viene da chissà dove, la facciata del ’hotel e le
donne

in costume da bagno, qui, nel ’acqua che mi arriva al a gola e mi solleva le


brac-
cia che un tempo erano magre, forti, muscolose più di quelle del ragazzo
che

ora si tuffa senza togliersi i Ray-ban per far ridere le sceme che lo
guardano, il

ragazzo bruno tutto ricci e tatuaggi che non sa cos’è sentirsi vecchi, è
convinto

che la vecchiaia sia come avere la pelle nera o nascere senza orecchie, io lo
so,

gli leggo dentro come in un libro, è convinto che lui non sarà mai vecchio,
mai

come me, che poi non sono neanche tanto vecchio (ho cinquantatrè anni),
oh

sì!, è convinto che la giovinezza sia qualcosa che fa parte di lui per sempre,

una razza, un gene, una gabbia del tempo da cui non si esce mai, un’isola
che

vede da lontano il continente dove vivono gli altri, ragiona così lui, è come
se

sentissi il suo cervello mandargli questo segnale ininterrotto: tu sei giovane,

sei giovane, sei giovane come le ragazze che ti guardano, niente topless qui
in

piscina ma non ce n’è bisogno, bastano le gambe a rubarmi gli occhi,


bastano

i piedi abbronzati, bastano i seni sempre diversi, sempre uguali, stretti negli

splendidi bikini che mi incantano, misteriosi, gonfi di futuro, tutte intorno a


me le ragazze qui nel a piscina, i capelli bagnati, tutta questa pelle d’oro, le
pan-

ce piatte così diverse dal a mia, e gli occhi limpidi e senza borse, i colli
senza

rughe, i culi pieni e sodi che mi tengono qui a mollo, a cul armi e
coccolarmi

l’erezione a metà, poco convinta, molto tranquil a, l’orrore assopito,


consueto,

di essere maschio, programmato per il piacere e non per la felicità.

Ma mentre sto qui – è solo un attimo! – vedo la donna aprire la finestra di

una camera al primo piano del ’hotel, coperta e vestita come fosse già
settem-

bre. Scruta fuori un istante, fissa il cielo con gli occhi chiari e trasparenti,
quasi

cercasse una risposta. Poi torna dentro.

E allora io mi alzo come un brontosauro dal ’acqua, schizzando gocce e

spruzzi, senza guardare più nessuna, e lentamente esco dal a piscina,


cammino

nel ’acqua come un astronauta sul a luna, stanco, potente, consumato,


perché

adesso devo sapere chi è lei.

365 racconti erotici per un anno

335

UN PEccaTO ORIgINalE
26 novembre

di Massimo Mazzoni

Lei gli prende dolcemente una mano e se la posa sul seno. Lui osserva
smar-

rito, quasi non osasse carezzare quel a pelle fremente. Lei gli sorride con
aria

invitante, lo libera del a veste leggera, mormora qualcosa che non si


percepisce.

Lui esita ancora, ma appare in balia dello splendido corpo che gli si offre
com-

pletamente. Lei lo attira a sé, lui scivola docile fra le sue gambe. Lei si
inarca

al ’indietro, chiudendo gli occhi con un’espressione di beatitudine. Di


perfida

beatitudine...

– Orrore e abominio! Anatema su di voi, nei secoli dei secoli!

Il Giudice calò il pugno sul a cattedra svettante. Mentre il colpo rimbomba-

va sotto la vertiginosa cupola del Tribunale, le immagini inequivocabili dei


due

amanti, cristallizzate in ologrammi violacei, si dissolsero lentamente.

In ginocchio al centro del ’aula, gli imputati rimasero a capo chino. Un

mormorio scandalizzato aleggiava tra i membri del Consesso.

– Tacciano tutti! – reclamò il Gran Cerimoniere. – Ora Sua Grazia darà


lettura del a sentenza.

Tutti tacquero.

– Preso atto del ’eccezionale gravità del crimine – esordì il Giudice dal ’alto

del suo scranno – questa Corte CONDANNA in via definitiva la qui presen-

te imputata, ispiratrice del ’immondo commercio, e il di lei fratello, vittima


e

complice, al a pena del ’esilio perpetuo.

Il ragazzo balzò su gridando e ricadde in ginocchio, bloccato da catene di

luce rossa. La ragazza guardava impassibile nel vuoto.

– Inoltre – proseguì il Giudice – per la salvezza del a Comunità Celeste, la

Corte DECRETA che nessun cittadino di questo universo mai più venga a
con-

tatto con i condannati o, in un futuro prossimo o remoto, con la loro


infausta

progenie. Siano reietti per l’eternità!

Le ultime parole echeggiarono a lungo. Sorpreso dal a durezza del verdetto,

l’intero Consesso tratteneva il fiato.

– Perciò – concluse il Giudice – la Corte IMPONE quale luogo di pena il

pianeta ED.en-39.23145, disabitato, terzo di un sistema solare nel a 39a Ga-

lassia del ’Agglomerato 23145. Laggiù, su quello sperduto frammento di


terra
che sarà subito cancel ato dalle rotte, i rei siano condotti e abbandonati al
loro

destino. Forse con il tempo, scrutando invano l’irrevocabile silenzio del


cosmo,

sapranno meditare sulle proprie colpe.

Premette un pulsante. Un accordo perfetto maggiore sancì l’esito del


processo.

– In piedi, AD-2.7 e EV-2.22! – ordinò il Gran Cerimoniere. – Sua Grazia

JAHV-1.1, Supremo Giudice del Tribunale del a 1a Costel azione, sta per
la-

sciare l’aula.

336

365 racconti erotici per un anno

aRDaTh lIlI

27 novembre

di Danilo Arona

Tento di resistere... Tento!

Ieri sera Fosforo mi ha lanciato il suo guanto di sfida al ’apericena del


Palomino.

Mi ha sussurrato: Esci senza, domattina...

Senza? Nul a d’inedito: senza tanga. Finte trasgressioni da anni set anta, ma
che

vuoi dimostrarmi, Fosforo? Ma Fosforo non aveva ancora finito la frase.


… prima, mettici su questo...

Questo era un tubetto da 50 ml. Con la scrit a Pleasure Gel of Ardath Lili, e
a seguire: Intimate gel Moisturing Warming.

– Fallo per me, dammi retta. Ti ho mai delusa?

No, Fosforo a letto è un vortice. Uno sconvolgimento tel urico che, quando
ci ca-

piti in mezzo, non capisci più dove ti trovi. L’ unica certezza è il fuoco che
brucia il

perineo con fiumi umorali che tracimano dal a sponda del letto sul
pavimento. No,

non si fa chiamare Fosforo perché è intel igente. Dicendola tut a, è piut osto
scemo. Il

nickname di bat aglia gli deriva dal ’uso militare del fosforo bianco perché,
a suo dire,

“le mie vit ime, dopo il mio passaggio, così sono ridot e.” Gusto macabro e
pessimo.

In ogni caso l’ho fat o. Gonna corta e aderentissima, tacco da 15,


autoreggenti,

occhiali a specchio. Insomma, svestita per uccidere. E, prima di uscire,


leggo che ci

propina Ardath Lili...

… gel a uso topico che si applica sopra e dentro l’area genitale femminile;
agisce stimo-

lando intensamente l’area trattata, creando una sensazione di estremo


piacere con effetto
caldissimo... Un’esperienza mai provata.

( Ma figuriamoci, è solo un idratante per scopare meglio! )

In ogni caso non voglio deluderlo, il mio marine. Prendo il tubetto e ne


faccio usci-

re una generosa dose sulle dita. Al argo le gambe e prendo a strofinarmi lì


ben bene.

M’imbrat o tut a l’area: dal culo al a topina, sembra un laboratorio da


microclima.

Cazzo! Esco. La sensazione dominante è proprio quel a: la passerina si è


trasfor-

mata in un cratere e ne sbordano fiumi di lava. In strada faccio pochi metri.

Devo resistere... ma non ci riesco...

Cazzo, questa roba... sta mutando, diventa lunga, affusolata, dura. Succede,
succe-

de dentro. Nel a strada troppa gente. M’infilo in un vicolo. Mi lascio andare


sul selcia-

to. Volano i tacchi 15. M’infilo le dita. Devo venire!

DEVO! VENGO! URLO!

– Codogno, vieni in via Gluck, per favore, non ci capisco niente. C’è una
morta

senza mutande in un vicolo. Ha ustioni mostruose nel a natura. . La Murgia,


che è

stato in Iraq, spergiura che è fosforo bianco... Laggìù lo chiamano Ardath


eccheccazzo
d’altro... Presto, la Madonna, telefona ai RIS!

365 racconti erotici per un anno

337

RIflEssI

28 novembre

di Giovanni Sicuranza

Sa come fare, lo desidera. Eppure esita ancora. È la prima volta che si trova

così, nuda accanto a un uomo nudo, insieme a un’altra donna. Nuda.

– Dài – le sussurra Alba. Le parole sono un soffio che penetra l’orecchio,

si muove dentro, scende a scaldarle il corpo e a sciogliere ogni incertezza.


La

schiena di Valentina decide di inarcarsi, offrendo al ’altra gli umidi segreti


tra

le gambe. Alba si muove dietro di lei, esplora delicata con le dita, fino a
quando

sente il gemito di Valentina. Allora unisce le labbra a quelle del a sua


intimità.

E Valentina ha un brivido lungo, che scioglie il respiro. Nel ’alta marea del

piacere, si guarda intorno,

Lo specchio sul muro davanti a loro è uno schermo che trasmette l’immagi-

ne di un unico corpo che si fonde nel a penombra del a stanza. Sei braccia,
sei
gambe. Due donne e un uomo. In realtà nel gioco l’uomo ha il ruolo del
’ogget-

to passivo. Non reagisce, è solo attesa silenziosa e complice. Oltre la


penombra,

prima di affondare la bocca nel suo inguine, Valentina ne intuisce i muscoli


del

volto contratti, il rossore intenso del a pelle. Gli occhi socchiusi.

Sì, questa è la prima volta di Valentina, è desiderio concretizzato grazie ad

Alba, la sua collega di lavoro, la sua nuova amica, che ha eroso giorno dopo

giorno le ragnatele delle convenzioni sociali. Nelle luci fredde dei neon, la
sala

autoptica mostra i corpi degli uomini e delle donne senza più maschere.
Corpi

nudi, in balia delle due dottoresse.

Alba descriveva, Valentina tratteneva il respiro. I loro occhi si parlavano.

Nel luogo del a morte si è nutrito il desiderio, autopsia dopo autopsia.

Ora eccole, con la complicità silenziosa del ’uomo. L’uomo che tace e
diven-

ta rosso. E aspetta. Il suo pene svanisce nel a bocca di Valentina. Lei


risucchia,

fino a spezzarsi il fiato. Assapora e le mani diventano artigli sui fianchi di


lui.

– Ricordati che è anche mio – la voce di Alba è ovattata, calda, come se

provenisse dal a vagina e le risalisse fino al a gola.


Sì, pensa Valentina, sì. E stringe la presa sul pene.

L’uomo non reagisce. I muscoli contratti del viso sono solo scultura di un

lento soffocamento. La pelle rossa non svela pudore, è il livor del a morte
che

trasforma. Valentina solleva il viso, stracci di pene tra le labbra, sangue


come

un rossetto scuro sul sorriso soddisfatto. Alba smette di giocare con lei e
affon-

da nel ’uomo. È il turno del suo pasto.

Lo specchio riflette tutto, in un gioco sensuale di ombre.

338

365 racconti erotici per un anno

Il vUOTO

29 novembre

di Claudia Alpa

Non so da quanto tempo sono qui, immobile sul ciglio del a scogliera. La

pioggia mi sferza le braccia ormai insensibili, dentro me solo dolore.


Guardo il

mare ribollire, la furia delle onde che si infrangono contro le rocce.


Basterebbe

un passo, poi il vuoto e l’abbraccio gelido del ’acqua.

Solo un passo.
Perché l’istinto di conservazione ha il sopravvento sul mio cuore annien-

tato?Con rabbia avanzo verso il bordo.

Al ’improvviso una mano forte sul braccio mi blocca. Sobbalzo e mi volto.

Due penetranti occhi scuri mi stanno fissando. La mano del ’uomo mi tra-

scina, delicata ma decisa, lontano dal ciglio.

Sapevo che sarebbe venuto. Lo guardo. Un lunghissimo attimo sospeso.

Frammenti di voci rabbiose, le sue ultime parole si ripetono al ’infinito nel-

la mia testa: – Voglio essere libero, non ti amo, voglio solo il tuo corpo.

Lui al unga la mano e mi accarezza dolcemente i capelli, tirandomi a sé. Il

pulsare ritmico del suo cuore mi trasmette una sensazione di calore


nonostan-

te siamo entrambi fradici e gelidi.

Come al rallentatore vedo il suo viso avvicinarsi, la sua bocca sfiora la mia,

sento la sua lingua insinuarsi fra le mie labbra e il solito languore si


diffonde

fra le gambe. Brividi mi assalgono. Mi aggrappo alle sue spalle mentre il


suo

abbraccio si fa più insistente. Le sue mani si muovono vogliose sul mio


corpo

mentre con gesti ruvidi comincia a spogliarmi, il sorriso ironico sul volto.

Sa che non posso fuggire: sono prigioniera, anche senza catene.

Mi fa sdraiare a terra, è sopra di me. Il peso del suo corpo mi schiaccia con-
tro la roccia dura e bagnata. Il mio corpo brucia. Mi stringe il seno, sfiora
con

la lingua i capezzoli induriti. Ansimando ricambio le carezze e percorro con


la

lingua il torace muscoloso, giù, fin dove la mia bocca calda lo avvolge
facen-

dolo gemere. Il desiderio si fa strada nel a mia carne come un coltello


affilato.

Ogni altro pensiero si annul a, come sempre quando mi tocca.

Quando infila la mano fra le mie gambe mi sfugge un grido: l’urgenza di

appagamento dei nostri corpi si fa pressante. Lui, quasi con prepotenza, mi

al arga le gambe e mi penetra con vigore. La notte esplode e ondate di


piacere

mi travolgono. Mi lascio sommergere.

Ha smesso di piovere e la pallida luna sembra un acquerello sbiadito. Lui,

ormai sazio, mi fissa con lo sguardo indifferente. Il dolore violento mi


esplode

nel petto e annebbia la mia mente.

Mi volto verso il mare. Un passo, e scelgo il vuoto.

365 racconti erotici per un anno

339

lO ZEN, mONIca E l’aRTE DElla sPaDa

30 novembre
di Alberto Cola

A una settimana esatta dalle esequie del suo ultimo rapporto sentimentale,

Monica venne in ufficio da me.

– Ho bisogno di piangere – disse. – Spegni la luce.

Già sapevo che sarebbe finita male.

– Mo’, dai… Non mi sembra il caso…

Come sempre, mi ignorò.

Prese a spogliarsi con l’irruenza di chi vuole una rivincita e poco importa

se ciò avrebbe causato delle vittime. Il suo corpo da ventenne non lasciava

spazio a compromessi. Per esperienza sapevo che ad accarezzarlo ti restava

qualcosa di indefinito sulle dita. Zucchero, penso.

Tuttavia il mio masochismo, per abitudine, fotteva sempre ogni logica.

Sfilandosi le mutandine con raffigurato un Winnie the Pooh beato nel suo

miele, disse: – Questa volta, però, usa la spada.

Nel a penombra del a stanza al crepuscolo, con la luce esterna dei lampioni

a rischiarare quel quadro simile a una catastrofe sottomarina, soltanto le sue

cosce tese e le natiche appoggiate sul a mia scrivania sembravano la cornice

giusta per contenere certezze. Una, in particolare: questa volta tra le sue
gambe

ci avrei lasciato la pelle.

Tesi il braccio e staccai dal supporto la katana che conservavo gelosamente


dai tempi in cui mi fu regalata per il mio diciottesimo compleanno. Non era

affilata, non ne avevo mai avuto il coraggio.

Lei al argò le gambe e disse: – La fantasia non ti manca…

Un’arma come quel a trasformata in strumento al servizio del a sessualità

errante di Monica, era quanto di più prosaico riuscissi a pensare. Col pene
che

superava lo choc iniziale dando segni di vita, sfoderai la spada e immaginai

la commistione tra l’acciaio brunito e il tatuaggio sul a schiena di lei, la

congiunzione tra l’impugnatura intarsiata e lo spazio vuoto fra i seni, il filo

grezzo del a lama scorrere tra le natiche fino a minacciare il clitoride…

La spada in mano e le braccia larghe a mo’ di un novello Toshiro Mifune

in attesa del a battaglia, ingenuamente le chiesi: – Ma si può sapere cosa sei

venuta a fare?

Con un’involontaria perla di saggezza zen, rispose: – Solo del mio meglio.

Ignorai i gridolini imbronciati mentre la mettevo a novanta gradi e,

invocando il perdono di milioni di samurai e sensei di kendo, presi a


sculacciarla

col piatto del a lama, lasciando caste scie rosse su quel sedere da favola che
mi

aveva fatto passare notti insonni.

Già solo per quello meritava di essere punita.


340

365 racconti erotici per un anno

lE DIvINITà DEl lagO

1 dicembre

di Francesca Ferrara

Quel lago era davvero un incanto. Sul ’acqua la luce lunare si sdraiava
creando

un’effimera patina d’argento. Vicino al a riva emerse lenta una creatura


splendi-

da. Le gocce scivolavano su quel a pelle candida come infiniti piccoli


diamanti.

I lunghi capelli furono sollevati con gesti lenti, liberando una schiena setosa
e

morbida al a sola vista. A Iura sfuggì un piccolo sorriso: ecco finalmente la


sua

divinità personale.

Axa non si accorse del a presenza di Iura finché non sentì le sue braccia

stringerlo forte per i fianchi. Subito si abbandonò contro il suo corpo. Iura
non

aspettò neppure un momento prima di assaggiare quel a pelle fresca. Lento


e

leggero, con la punta delle dita scese lungo quel corpo, adorandolo. Poi più
giù,

fino a superare la barriera del ’acqua.


Axa sollevò un braccio circondandogli il collo, per poi spingerlo via e al-

lontanarsi. Iura non reagiva mai troppo bene a quei suoi scatti improvvisi.

Raggiunse Axa in un attimo, bloccandogli un braccio dietro la schiena. Gli

tirò i capelli per fargli sollevare il viso e lo costrinse in un bacio violento.


Poi,

con prepotenza, lo spinse verso le rocce. Non voleva aspettare ancora,


doveva

averlo subito. Ma Axa lo sorprese di nuovo, accarezzandogli con la lingua


la

pelle del petto. A Iura venne da sorridere: non avrebbe mai vinto contro
quel

ragazzo. Bruscamente lasciò andare quei pensieri.

Si perse in quel ’umido calore.

Guardò Axa che continuava a fissarlo, quasi totalmente immerso nel ’ac-

qua. I suoi occhi divertiti gli lanciavano una muta sfida, ma lui non aveva
in-

tenzione di cedere, non subito almeno. Appoggiò una mano sul a pietra
fredda

per sostenersi, le gambe non erano più una garanzia. Axa lo stava
torturando,

e di solito quello era il suo compito.

Stanco di resistergli, l’afferrò per il collo, sollevandolo facilmente. Lo


bloccò

contro la roccia penetrandolo con forza. Axa inarcò la schiena contro il suo
petto, scosso da un grido di dolore e di piacere.

Iura continuò a spingere con sempre maggior irruenza. Quel corpo lo in-

tossicava, rendendolo schiavo e impuro come un comune mortale.

Quando sentì l’orgasmo arrivare strinse a sé il compagno, per poi mordergli

avido la spal a, procurando anche in lui il piacere.

Non appena il suo respiro tornò normale, si voltò preoccupato verso l’altro.

Questa volta aveva esagerato, era stato troppo violento; ma Axa lo guardò
sod-

disfatto e a lui non restò che sospirare rassegnato.

365 racconti erotici per un anno

341

Il sEcONDO

2 dicembre

di Nicolò Petruzzelli

La stanza è impregnata del sudore delle decine di donne e di uomini intenti

a copulare brutalmente, senza interruzioni, da un tempo che nessuno di loro

ricorda più. I pori dilatati dei corpi rilasciano tossine nauseabonde, l’odore

del sudore si mischia a quello dello sperma. I membri eiaculano, gli sfinteri
si

dilatano, le bocche sbavano. Ci sono giovani, vecchi, grassi, alti, belli,


deformi.
Un’obesa sta perforando l’ano di una ragazza sui sedici anni con la gamba
di

una sedia, mentre due uomini le stanno eiaculando addosso. Uno di loro è
pe-

netrato da un ragazzo che al contempo manipola avidamente la vagina di


una

donna sui quarant’anni, impegnata a ricevere in gola il fiotto acido di


sperma

di un uomo magrolino dalle fattezze asiatiche.

Fuori dal a porta, un tappeto di carne ansimante si srotola sulle scale. Qual-

cuno scivola sullo strato di umori vaginali, sudore e sperma che ricopre gli
sca-

lini, e cade ai piedi del a scala: immediatamente si riprende e si getta sul


primo

buco disponibile, oppure è assalito a sua volta da qualcun altro.

Le strade brulicano letteralmente di corpi frementi e sfiniti. L’immenso

carnaio si distende a perdita d’occhio. I palazzi sono gremiti di esseri umani

sbavanti, infilati gli uni dentro agli altri, arrotolati tra di loro.

Molti accusano i segni degli infiniti coiti: la pelle sfrega contro altra pelle

assottigliandosi sempre di più, i peni sono arrossati e coperti di cicatrici, i


retti

talmente sfondati da non riuscire più a trattenere il contenuto degli intestini,

le labbra delle vagine sono sfinite dai membri che lottano instancabili tra di
loro per garantirsi l’effimero privilegio di affondare in quelle caverne
polpose

e pestilenziali.

Sono solo in due a essere impegnati in un’attività che non sia orizzontale.

Camminano tra i corpi, sopra i corpi, scivolano sul denso strato di umori
che

ricopre ogni cosa. Il primo osserva sgomento la scena. L’espressione del se-

condo è invece quel a di chi è consumato spettatore di una rappresentazione

raccapricciante a cui però non è ancora riuscito ad abituarsi del tutto.

L’uno dice qualcosa al ’altro, che però gli fa cenno di alzare la voce, dal

momento che il gemito degli orgasmi sembra squassare il cielo. Si piega,


avvi-

cinando l’orecchio al a bocca del compagno, che ripete la domanda più


forte:

– Vate, questa cosa qua non la racconto mica, mi sa che mi invento


qualcos’al-

tro!Il poeta, guardandosi attorno, risponde al poeta: – Mi sa che hai ragione.

342

365 racconti erotici per un anno

l’UlTImO DEsIDERIO

3 dicembre

di Gianmarco Amici
2500 secondi al ’impatto. Norma Jeane gal eggia fluida davanti a me, la tuta
elastica le

fascia il corpo come una seconda pelle.

2370 secondi al ’impatto. La voce del computer è morbida, femminile,


sensuale. La

voce di Madama Morte.

2270 secondi. La sala principale del a Eco, stazione spaziale di ultima


generazione,

è un cubo ampio e funzionale. Su ogni lato interno sono fissate postazioni e


terminali,

pare di trovarsi in un tesserat o. Le comunicazioni si sono interrot e un’ora


fa, primo

sintomo del ’avaria. Automaticamente si sono at ivate le procedure


d’emergenza previ-

ste per questi casi: occultamento e programma militare di difesa e contrat


acco.

1860 secondi. Anche ora che le nostre tute vanno al a deriva, nudi come
l’uomo ci

ha fat o, non sono le nostre vere carni quelle che si sfiorano. Sono abiti
confezionati su

misura, filamenti di DNA intrecciati sul telaio del a chimica. Un tempo ci


avrebbero

chiamato cloni. Io sono James.

1545 secondi al ’impatto. Avete mai sentito parlare di ansia da prestazione?


1470.
– Piano – mi dice, abbassando gli occhi, – è la prima volta. Abbozzo
un’espressione

sorniona e vissuta, ma è solo il mio personaggio. Le mie mani in realtà


indugiano, in-

decise su dove posarsi. Sono nuovo anch’io, d’altronde, pochi giorni di vita
e sono già

in grado di capire le stelle, anche se le vedo solo ora per la prima volta.

1135 secondi. Con le labbra le inumidisco il col o proprio dietro l’orecchio,


li dov’è

più morbido e indifeso. La pel e rilascia il suo profumo segreto. Ne inspiro


l’essenza

fino a saturarmene il cervello.

935 secondi al ’impatto. Uno scossone ci separa, flut uiamo come naufraghi
in

direzione opposte. Nuota nel ’aria come una rana, fa capriole, mi sfugge;
giochiamo

come se il tempo si dilatasse al ’infinito. Con un guizzo scomposto mi al


ungo e le

afferro un piede. Ride mentre i suoi capel i chiari le ondeggiano davanti agli
occhi, un

ruggito metallico copre le sue parole.

560. Un arco di scintille multicolore ci traghetta sfrigolando nel buio


improvviso,
pochi secondi prima che tenui luci di emergenza trasformino il nostro
piccolo mondo

in sfumature di rosso. Sudati, avvinghiati, ci aggrappiamo a provvisori


sostegni men-

tre l’abitacolo ci scuote. A breve ci vedranno e forse qualcuno esclamerà: –


Guarda,

una stel a cadente! Esprimi un desiderio.

Il bacino guida autonomamente i miei colpi, che si fanno sempre più


ravvicinati

e decisi.
100.
Sento fluire un’energia - 40 - qualcosa si fa strada dentro di me, verso la
superficie.

3,2,1.

365 racconti erotici per un anno

343

Il PassaggIO

4 dicembre

di Franco Zadra

Sto guidando da un paio d’ore, fra poco sarò a casa. Guardo la strada, ma è

come se avessi il pilota automatico. Fantastico di solite assurdità, come per

digerire la dura giornata di lavoro. M’imbatto in lei. Nera, slanciata, con la

chioma ricciuta. Tipo top model. Chiede un passaggio e la faccio salire. Le


sue

gambe salgono prima; mi ci vuole un buon attimo per arrivare al viso.


Com’è

che non l’aveva ancora caricata nessuno? Dev’essersi appena messa a fare
l’au-

tostop.

– Dove vai?

Risponde in francese e capisco che vuole arrivare al a stazione. È un po’


fuori strada, ma annuisco mentre il mio sguardo cade dentro una scol atura

che pare un boulevard. Ho studiato francese alle medie, ma riesco a


spiaccicare

solo un penoso: – Je suis Marcel o.

Lei ride: – Io Charlotte.

Sono già nel panico. Quando schiude le labbra riesco a vedere con la coda

del ’occhio quel filo di saliva che le incol a leggermente. Sono così morbide
e

carnose che mi pare di sentirle sfiorarmi il collo. Quasi le dico: “Ferma, dài!

Sto guidando”. Ma rimane composta. Tranquil a, abbandonata sul sedile. Si


sta

fidando. Fa male? Oddio, col sesso ho avuto qualche problema, attribuibile


per

lo più a timidezza, ma non sono mai andato oltre il consentito. Sono sempre

riuscito a control armi. Con lei però qualcosa lo farei. Metto in terza e con
le

nocche le sfioro leggermente il ginocchio. Un brivido mi percorre


l’avambrac-

cio e sale fino al centro del petto. Anche lei ha sentito. Un non so che si
accende

nel ’aria. La osservo di sottecchi e noto il cambiamento. Come se avessi


pigiato

il bottone di un telecomando la vedo il anguidirsi e farsi più vicina. Al unga


la mano sinistra, mi sbottona la patta e s’infila dentro con quelle unghione
da

gatta. Procedo ancora per un po’, poi devo accostare. Vengo proprio mentre

spengo il motore... Ciucciandosi con gusto il medio, lei mi prende la mano e


se

l’infila sotto la gonna: – Adesso tocca a te ricambiare – mi dice.

Come rifiutarmi? Eccitato al massimo al ungo la mano, poi sento quel a

sporgenza. Che cos’è, un assorbente? Non avrà mica le sue cose... Ma


capisco

subito che non è questo, la protuberanza è troppo grossa e... continua a cre-

scere!

– Per la miseria! – grido, quando finalmente comprendo. Cerco di ritrarre

la mano, inorridito, ma lei (o lui) non perde un attimo, m’afferra la testa,


spin-

ge in basso e me lo infila in bocca. Uno, due e tre, il gioco è fatto. Breve,


ma

intenso. Non ci credo ancora.

344

365 racconti erotici per un anno

sOlUZIONE EsTREma

5 dicembre

di Arlaune
Non ho mai smaltato le unghie per andare al mare, ma questa è una vacanza

speciale. Ammiro soddisfatta il rosso sgargiante che riconosco starmi


proprio

bene. Dopo essermi sfiorata le labbra, getto indietro la testa, in un gesto de-

liberatamente provocante, perché so di essere oggetto del tuo sguardo. Oggi

noto con piacere che ti sei seduto a poca distanza e sembri intenzionato a
fare

la mossa giusta, vedremo. Questo gioco continua ormai da una settimana, e

attendere diventa sempre più invitante.

Al ’improvviso mi alzo dal ’asciugamano e rimango immobile, giusto i se-

condi necessari perché tu possa inquadrare il mio sedere. La pelle d’oca che

adesso avverto è il sentore dei tuoi occhi. Sì, ci vedi bene: indosso un tanga

parecchio sgambato, ti piace, no? Tu adori guardarmi, anche se non


apprezzi

quando lo fa qualcun altro. Come ieri: sono arrivata in spiaggia a seno sco-

perto, la mia terza abbondante sotto lo sguardo di tutti. Non hai gradito,
vero?

Avanzo di alcuni passi verso il mare, finché sento un’onda fredda carezzar-

mi le caviglie, dando sollievo a questo corpo che ti desidera da giorni.


Faccio

un semplice respiro, prima di tuffarmi nel denso manto color smeraldo.


Appe-
na noto la tua figura seguire il mio esempio, sul a lingua avverto il sapore
del

sale impastarsi al gusto del trionfo.

Nuoto lungo la costa, raggiungendo gli scogli che ci separeranno da occhi

indiscreti. Non faccio neppure in tempo a voltarmi che avverto subito una

morsa ai polsi e sei tu. Sento il laccio del costume allentarsi e ora ho i seni

scoperti, dove stai già affondando il viso. Avventuri la mano fra le mie
cosce,

ostento resistenza, ma sembra che la cosa non ti interessi; mi sfili il tanga


sen-

za neppure chiedermi il permesso e mi spingi su un enorme masso, facendo

in modo che avvinghi le gambe al a tua schiena per favorirti l’accesso. Non

passano che pochi secondi e mi hai già penetrata, così decido di arrendermi
e

mandare al diavolo l’orgoglio.

L’irruente amplesso è finito da un pezzo e tu mi rivolgi un’occhiata infasti-

dita. – Da domani niente topless! – sbuffi.

Io sorrido di rimando. – Di che ti lamenti? È stata tua la splendida idea di

andare in vacanza facendo finta di non conoscersi. Gran bel a soluzione alla

nostra crisi di coppia!

Scrolli le spalle, rivolgendo uno sguardo al cielo, l’espressione vaga di chi


finge di non saperne nul a. – Mah, eppure sembra che questa soluzione
estrema

abbia funzionato.

Chissà…

365 racconti erotici per un anno

345

caNZONIssIma ‘69

6 dicembre

di Nicolò Tambone

Milano, 6 dicembre 1969

È sabato, ma il ristorante è quasi deserto. Entriamo. Un cameriere ci


accompa-

gna al tavolo. Niente bugie: sono sposato e gliel’ho detto. Mia moglie è a
casa,

davanti al a tele. Canzonissima con le Kessler, Johnny Dorelli e Raimondo


Via-

nello. Mia moglie adora le Kessler, gli sketch di Vianello. Ride. Raffiche
stridu-

le percorrono la penombra azzurrina del salotto. “Tino il cretino”, che


ridere!

Ridi pure, cara, divertiti. Certo, se tu sapessi dove sono e con chi... Una
donna

bellissima. Assomiglia molto a Nada, la tua cantante preferita. Sento


dilagare
l’adrenalina. “Nada” dice qualcosa, leggera e sorridente, la tensione
svanisce.

Lascio parlare, prendo tempo. Le guardo le mani, gli occhi, i riflessi lucenti

sui capelli. Mi parla di sé. Operaia, tre turni sulle ventiquattro ore.
Lavorando

è riuscita a laurearsi. La ascolto affascinato, è come un film di Eisenstein


sul a

Rivoluzione. Qualcosa non torna in quello che racconta. Ha mani morbide e

un po’ troppo curate, l’aspetto fresco. Non sembra avere sulle spalle una
set-

timana di fabbrica. Cosa importa? Ci sta. E questo mi basta. “Nada”


intuisce.

Sorride e mi dice: – Lo sai che prendo la pillola? – Non sono abituato al


’intra-

prendenza delle zoccolette emancipate. Mi manca il respiro.

– Cos’è, ti sei bloccato? Hai delle inibizioni o non ci credi? – Ride,


provoca.

– Be’, sì, certo, ci credo – rispondo.

– E se ti dico che lavoro per la CIA, ci credi?

– Ah ah ah, no, questo proprio no, mi prendi in giro!

Ridiamo insieme.

– Ti posso chiedere un favore? – Sfoggia un sorriso bellissimo.

– Sì, dimmi.
– Settimana prossima, venerdì, dovresti incontrare un mio amico. Ti passe-

rà una valigetta. Tu la prendi e la porti in banca. Entri e mi aspetti lì.


Qualche

minuto e io ti raggiungo. D’accordo?

– Sì, ma dove?

– Piazza Fontana, Banca Nazionale del ’Agricoltura. Me lo fai questo


favore?

Strana richiesta. Esito. Uno sfioramento leggero vicino al ginocchio.


Sbircio

sotto il tavolo. Una scarpina abbandonata. “Nada”, le sue gambe bellissime,

fasciate da col ant intonati al a minigonna, riprende a sfiorarmi col piede.


Mo-

vimenti delicati risalgono piano piano i pantaloni, fino a massaggiare il


rigon-

fiamento indurito del a patta.

– Allora, me lo fai il favore? – Sorride. Immagino il sapore di quel a bocca,

i mugolii da zoccoletta libera e disinibita. Vedo le mie mani scorrerle sul


corpo

come un’orda barbarica, partendo da quei piedi suadenti.

La mia voce, rauca, risponde: – Certo, tutto quello che vuoi...

346

365 racconti erotici per un anno

EvOlUZIONE
7 dicembre

di Miller

A breve sfonderanno la porta d’ingresso.

Evoluzione di merda, penso.

Al trentesimo piano del grattacielo di Cesenatico, con la canna lunga e fred-

da di un’arma da fuoco puntata sulle labbra, non riesco a sganciarmi da


queste

tre parole.

Lei che mi guarda con aria schifata.

Lei che ruota il polso e aumenta la pressione, facendosi strada nel a mia

bocca.

Lei che dice di chiamarsi Caterina.

Esploro con la lingua la cavità del a canna, al a ricerca del a profondità del

presente. Un sorriso sardonico mi trasfigura il volto. Mi inchino al destino:

e pensare che poco fa era Caterina ad avere qualcosa in bocca; e pensare


che

qualche minuto fa erano i suoi turgidi capezzoli a essere puntati contro il


mio

viso; e pensare che un attimo prima il mio pene sembrava il suo unico
collega-

mento con questo mondo. Ma il destino non pensa, agisce.

Inginocchiato, osservo il suo corpo ritto di fronte a me. Ben salda sui lunghi
tacchi sembra inchiodata al pavimento. Indossa solo gli slip. Alzo gli occhi
per

riprendere il suo sguardo, ma non riesco ad andare oltre al seno. Lo fisso,


non

riesco a farne a meno. Al momento è l’unico mio appiglio.

– Guarda pure – sibila, – perché una come me non la scoperai mai più.

Ha ragione. Quando scopi con quelle come lei puoi considerarti fottuto. Le

versioni precedenti erano riconoscibili, il loro lato oscuro era rintracciabile


ne-

gli atteggiamenti, nel a fisionomia. Ora sono invisibili. L’addestramento è


per-

fetto, così come il corpo. Carne e nanotubi fanno miracoli. L’innesto nel
’utero

analizza il liquido seminale e in pochi istanti dà la risposta: geneticamente

perfetto o portatore sano d’imperfezione; vita o morte. Penetrato fino al


’ugola

da un’arma da fuoco, non posso dire di rientrare nel primo caso.

Caterina è del Sistema Immunitario Imperiale, riconosce e blocca il nemico

per consegnarlo ai purificatori, dopo esserselo scopato.

A breve entreranno dal a porta d’ingresso.

A breve saprò dove portano quelli come me.

Con gli occhi ritorno sul suo basso ventre, nel ’increspatura degli slip, ap-
pena sotto il promontorio. Cazzo, sono stato munto come una vacca!
Scoppio

in una risata isterica. Non riesco a fermarmi. Sento la canna uscire dal a
bocca.

Lei mi tiene sotto tiro, ma non riesce a proferire parola. Mi guarda mentre
mi

trascino verso la finestra. La apro ed espello gli ultimi sussulti nel vuoto.

Espello anche il mio corpo imperfetto.

Evoluzione di merda, è il mio ultimo pensiero.

365 racconti erotici per un anno

347

cOmPlIcI

8 dicembre

di Antonio Lusci

Si capivano, loro. Si capivano benissimo. I loro sguardi comunicavano


tacita-

mente, innocenti e maliziosi allo stesso tempo. Marina amava mostrarsi a


lui,

poiché l’attenzione di Mattia era diversa dalle solite occhiate smaniose


degli

uomini. C’era sì malizia nel suo sguardo, ma si trattava di una bramosia in-

nocente; non lo avrebbe mai tramutato in una creatura aggressiva. Lei, così

confortata, godeva nel ’offrire a quegli occhi il suo corpo nudo.


La prima volta fu nel pomeriggio di una domenica estiva, una giornata sen-

za tempo in cui Mattia l’aveva scorta nel bagno. Marina, sedici anni
racchiusi

in un corpo prosperoso, stava facendo il bagno nel a tinozza, contornata da


un

alone di sanguigna vitalità come gli occhi del dodicenne Mattia non
l’avevano

mai vista. La ragazza strofinò la spugna sul a pelle abbronzata e l’acqua


scivolò

via in piccoli rivoletti sulle sue forme sode. Si accarezzò il seno e,


lentamente,

insinuò le mani nel a peluria bruna e Mattia ebbe un tuffo al cuore. Vide
quei

capezzoli indurirsi sempre di più, e le dita agitarsi frenetiche tra le cosce


ben

tornite. A quel punto Marina alzò lo sguardo e si accorse di lui, ma non


smise.

In preda al piacere sorrise ammiccante allo spiraglio del a porta semiaperta


e

continuò, rendendolo partecipe.

Il ragazzo dapprima indietreggiò impaurito, ma poi, intuendo il tacito in-

vito, si riavvicinò e continuò a guardare. Vide cose mai viste e l’emozione


fu

grande. Il viso si infiammò mentre il cuore scoppiava nel petto. La giovane


continuava a masturbarsi gettando sguardi compiaciuti a Mattia che la
osser-

vava, sospeso nel tempo e nello spazio.

Marina era a servizio da loro da quasi un anno. Era una ragazza espansiva,

sempre sorridente e, cosa che a lui piaceva tanto, cantava anche durante i
lavori

più faticosi. Ma ora cambiava tutto. Non l’aveva mai vista né immaginata
così,

e non si sentiva in colpa perché lei stava condividendo la sua intimità con
lui.

Mattia sentiva che era un po’ come se fossero fidanzati, adesso. Un modo
in-

genuo per dare un nome a quel sentimento di possesso che cresceva di


giorno

in giorno.

Mattia consumò la sua merenda in cucina e, incurante delle raccomanda-

zioni del a mamma, sparse le briciole sul pavimento. Marina si chinò ai suoi

piedi per pulire e lui guardò il seno muoversi al ’interno del vestito a fiori.

Marina alzò gli occhi e gli sorrise. Sorrise anche lui.

Si capivano benissimo, loro.

348

365 racconti erotici per un anno

INsIEmE
9 dicembre

di Valentina Abate

Sento le tue labbra percorrermi la pelle. Dio quanto ho aspettato questo mo-

mento. Tremo per l’emozione, come una bimba che ha appena scoperto
qual è

il regalo di Natale. Le tue mani mi accarezzano la schiena, mi stringi come


se

avessi paura di perdermi. Non mi perderai, amore mio.

Scivoliamo stesi sui cuscini posati sul tappeto e mi sussurri di amarmi men-

tre con mani esperte mi massaggi il seno, per poi lasciare che la tua bocca
mi

dedichi le dovute attenzioni. Ti amo, e lo urlo con gioia quando mi fai tua,
con

amore e tenerezza, come solo tu sai fare.

Il fuoco nel camino riscalda la stanza, mentre i nostri corpi si muovono as-

sieme come quelle fiamme ardenti. Continui a sussurrarmi parole dolci


men-

tre mi rendo conto di stare per toccare il cielo con un dito.

E lo faccio; anzi, lo facciamo insieme. Accarezzo il tuo capo posato sul mio

seno, te ne stai così, fermo e ansimante, ancora dentro di me, mio, per
sempre.

– È stato bellissimo – sospiro, e sento le tue labbra sul a pelle; sorrido... ti

amo tanto. Dopo pochi minuti di riposo sento che stai ricominciando a muo-
verti dentro di me.

– Amore... – Sento che non mi ci vuole molto per tornare ad ansimare.

– Sei perfetta, amore mio... così...

Ansimi anche tu, e di nuovo mi ritrovo a invocarti, mentre una lacrima mi

sfugge dagli occhi.

– T-ti amo.

Ti sento gemere nel a mia bocca, mentre la tua lingua cerca la mia, per av-

volgerla in un gioco sensuale. Il tuo corpo si muove con il mio, sei dentro di
me

ed è la sensazione più bel a del mondo. Amami e sarò tua per sempre.

L’aria è colma dei nostri sospiri, il tuo petto scolpito freme al passaggio del
a

mia lingua e, quando le mie mani ti accarezzano i fianchi, mi scosti appena,


per

guardarmi in viso e poi sussurrarmi: – Sposami.

La mia bocca si schiude in un’espressione di stupore, gli occhi mi si riem-

piono di lacrime... ti guardo e tu sorridi speranzoso, aspettando la mia rispo-

sta, senza fermare i tuoi dolci movimenti dentro di me.

– Tesoro... – Ti abbraccio forte, mentre sento il piacere sopraggiungere. –

Sì! Voglio sposarti! – Le ultime sil abe vengono calcate di più dal a forte
scossa

emotiva che prende il sopravvento su di me. Il tuo piacere mi invade nello


stesso istante in cui arrivo in paradiso.

– Stringimi...

Obbedisco, abbracciandoti stretto. – Siamo venuti insieme... – è appena un

sussurro, la mia voce, ti sorrido innamorata. Mi carezzi la schiena e poi mi


baci

la fronte. – Insieme... insieme per sempre.

365 racconti erotici per un anno

349

mORbIDE galassIE

10 dicembre

di Jacopo Fo

La vera storia di Mikaijll Kandinski,

del ’invasione del mondo

e dei mostruosi Crow

capitolo 20

Il tempo era passato. Era una giornata di agosto, faceva caldo e Mikaijll era
sce-

so in città a fare spese. Entrò in un negozio di stoffe ed ebbe un colpo


quando

la vide. Esitò, poi si avvicinò e la salutò. Era molto bel a e gentile, pareva
che il

tempo non fosse passato.


Chiacchierarono un poco e una luce morbida li avvolgeva entrambi. Poi

ridendo e scherzando salirono su da lui e si toccarono, si spogliarono, si


bacia-

rono e le loro parti più tenere si avvicinarono ed entrarono l’una nel ’altra.
E

forse solo in quel momento, veramente, la sua anima si unì a quel a di lei. E
lui

stette lì a guardarla, lei che lo guardava, e credette di essere giunto a


toccarla,

che lei veramente l’avesse lasciato entrare dentro di sé e che lui veramente
aves-

se avuto il coraggio di entrare dentro di lei.

Per poco tutto gli parve scivolare come dovrebbe scivolare la vita, senza

sforzo, e lei era così bel a che a lui parve impossibile. E la sua asta entrava e

usciva da lei e lei lo prendeva e lo lasciava dentro di sé E allora lui fu


travolto

dal desiderio di averla di più quando già aveva avuto tutto.

La bramosia di possedere lei in ogni più piccolo riflesso del a pelle lo scara-

ventò in avanti. La volle ancora, ancora di più, e le sollevò le anche per


entrare

maggiormente dentro di lei, per entrare del tutto e rompere anche l’ultimo
velo

che ancora, forse, restava tra di loro. Si sollevò un poco, arretrando,


uscendo
quasi da lei e le si buttò dentro cercando il fondo del suo sesso. E lei fece un

piccolo gemito che non era di piacere.

Lui le chiese: – Ti ha fatto male?

E lei rispose: – Sì.

350

365 racconti erotici per un anno

PENsIERI ImPURI

11 dicembre

di Yu

Probabilmente Monica aveva creduto di essere sola nello spogliatoio, a quel


’ora

del a sera. E in effetti lei non avrebbe dovuto essere lì.

Ma c’era e l’aveva vista.

Monica era sotto il getto d’acqua calda, con la porta del box doccia spa-

lancata a mostrare il corpo nudo che riluceva sotto la luce artificiale del
neon.

Aveva un bel corpo, Monica, tonico e invitante, di quelli che fanno venire
l’ac-

quolina in bocca e la voglia di toccare, esplorare, leccare.

Lara abbassò gli occhi, deviando lo sguardo su una delle pareti, arrossendo

per quegli stupidi pensieri inopportuni e molesti. Ma sussultò quando un


mu-
golio spezzò il ritmo scrosciante del ’acqua e rimbombò fino a lei. Lo
sguardo

finì sul a mano di Monica, stretta attorno a un seno candido. Vide le dita
affer-

rare il capezzolo e sfregarlo mentre sospirava e lasciava l’altra mano


scivolare

sullo stomaco e il ventre. La vide sfiorarsi tra le gambe e lasciarsi sfuggire


un

gemito sottile, e sospirò con lei, nascosta dietro il muro divisorio,


stringendosi

nel ’accappatoio mentre l’eccitazione prendeva possesso del suo corpo.

Si appoggiò al muro e sospirò silenziosamente per la sensazione di piace-

re che sentì risalirle la spina dorsale. Si aprì l’accappatoio e si appoggiò


nuda

contro le piastrelle fredde dello spogliatoio. Si sfiorò il seno, impastandosi


dol-

cemente la carne morbida, mentre si accarezzava i peli pubici e si premeva


un

dito oltre le labbra.

Si toccò sforzandosi di non fare rumore, ma tenendo gli occhi sempre fissi

su Monica, e riproducendo su se stessa ogni suo movimento, aumentando il

ritmo del dito quando lo faceva lei, divaricando le gambe quando lo faceva

Monica, ansimando quando lo faceva lei, venendo per il suo orgasmo.

Lara rimase con la fronte appoggiata alle piastrelle a riprendere fiato, con
gli occhi chiusi e i denti piantati nel labbro. Si strinse nel ’accappatoio e
aspettò

che Monica chiudesse l’acqua, prima di spostarsi e fare qualche passo verso
la

porta.

Monica le sorrise quando s’incrociarono al centro dello spogliatoio, e lei

non poté che ricambiare con un pizzico di imbarazzo, prima di chiudersi nel

box doccia e lasciare che l’acqua lavasse via i suoi pensieri impuri.

365 racconti erotici per un anno

351

lIsa

12 dicembre

di Lucia D’Aiutolo

– Why not?

Con aria maliziosa Lisa aveva risposto così a un ennesimo invito di lui nel
re-

trobottega. Una volta dietro, subito scoppiava la passione. Un abbraccio,


appena

due baci, il tempo era poco. Sospiri. Lui che apriva la lampo e lo tirava
fuori.

– Dai, spogliati.

– Non avere fretta, bijou. Sta’ tranquillo che ti faccio un servizio che non te
lo scordi più…

Si sbottonò il cappotto e lo lasciò scivolare per terra, scoprendo il suo


splen-

dido corpo vestito solo di reggiseno a balconcino e culotte.

Si inginocchiò, iniziò a leccarglielo, dal a base verso l’alto. Indugiò sul a

punta con movimenti rotatori che convergevano verso il centro. La


pressione

si fece più insistente, quasi a volerlo aprire per far strada al suo sperma. Era

già così duro, appiccicoso di saliva e liquido spermatico. Lui chiuse gli
occhi

e portò la testa al ’indietro. Glielo succhiò piano piano e poi più


avidamente.

Non era mai stata così brava.

Al ’improvviso Lisa si fermò, si alzò e… – Bene, adesso vado. Ora capirai

cosa provo io, quando te ne vai dopo una sveltina. Ciao, bijou.

Un bacio sulle labbra, raccolse il cappotto e scomparve. Il tutto durò uno

spazio di tempo così breve da permettergli solo di aprire gli occhi e seguirla

con lo sguardo perplesso mentre si richiudeva la porta alle spalle.

Questa volta Lisa l’aveva fatta grossa. Si era presa una soddisfazione,
questo

sì, ma lo aveva perso per sempre. Ormai lei non poteva più accontentarsi
dei

suoi ritagli di tempo, di quei brevissimi dieci minuti che lui le concedeva di
tanto in tanto in quello spazio angusto. Voleva di più.

Camminava a testa alta lungo il corso affol ato, ma non distingueva più le

persone, i contorni non erano nitidi. Gli occhi velati di lacrime. Si mordeva

le labbra. Un beep ovattato la scosse: un SMS. Che importanza poteva


avere?

Decise di leggere.

– Brutta stronza. – Ecco, pensò Lisa, la giusta punizione. – Dimmi quando

sei libera. Ti porto in albergo.

Non poteva credere ai suoi occhi, li spalancò e rilesse in fretta il messaggio.

Diceva proprio così. Le si stampò un largo sorriso sul volto e fece una
giravolta

su se stessa con gli occhi al cielo, prima di realizzare che si trovava nel
pieno

centro del a città, in mezzo al a gente che le camminava accanto.

Aveva vinto, non sapeva come, non era quello il risultato che si aspettava,

ma aveva vinto. Incapace ancora una volta di capire gli uomini, si avviò
verso

casa con il cuore in gola.

352

365 racconti erotici per un anno

alla lUcE DEllO schERmO

13 dicembre
di Sacha Rosel

In strada, l’ansimare del ’aria notturna brucia i pensieri con le sue dita
torride.

Sollevo la testa e una scia casuale rapisce il mio sguardo: tra i contorni
sfuocati

del buio c’è un uomo, un segno sul ’asfalto che rovescia il cuore. Decido di

seguirlo.

Le ombre delle nostre sagome in fuga sembrano osservarsi a distanza nel

nero del ’oscurità, come due silenzi che recedono e si aprono, senza mai
toc-

carsi. Pochi passi separano ormai il mio corpo dal suo, quando la bocca
rossa

di un cinema appare ferma al ’orizzonte. Prima di entrare la mandorla


sottile

dei suoi occhi s’incurva su di me, per poi scivolare evasiva oltre le scale, la

biglietteria e le poltrone del a sala. Nessuna reazione al passaggio del a mia

impronta accanto al a sua.

Si spengono le luci nel a sala deserta. Guardo lo schermo senza decifrare

veramente le forme che aggrediscono l’occhio, come se l’alito opaco del


deside-

rio mutasse già i contorni delle cose in orlo tremolante di febbre. Sento la
pelle

del ’uomo invadermi il sangue, e prima ancora che la nebbia galleggiante di


quest’attesa diventi fuoco la sua bocca si fa di colpo immensa fino a bermi
tutto

il respiro e mangiarmi la lingua, l’anima, il tempo. Poi le sue dita mi


sfiorano i

pistilli del a carne salendomi dentro e istintiva frugo anch’io la penombra


ac-

cogliendo il bel fiore galleggiante, caldo e pieno come un paesaggio in


fiamme.

La voce preme per uscire, gridare; sussultare delle mani che annegano e
strin-

gono sempre più a fondo e incolliamo le labbra vicinissime come al


cospetto

di un antro cavernoso in cui rovesciare tutto il godimento come parole fatte

di rugiada. Mi aggrappo salda a questa nuca così piccola e perfetta per


allen-

tare il continuo battito che emerge dal sesso vivo e al contempo scioglierlo,

ancora più fluido. Socchiudo gli occhi al a furia del mio mordere te che
mordi

me nel ’aria appannata dal fiato del a penombra, la stoffa quasi si lacera per
la

troppa intensità, finché il corpo ormai unito non emette più alcun suono e si

arresta.

Gli occhi si aprono di scatto, tagliati dai freddi lampi di luce che lo schermo

proietta nel ’aria. Fermi uno di fronte al ’altra, sostiamo nel ’oscurità come
due
calle immobili. Forse domani ti getterò via proprio come un fiore appassito,
o

forse tu congelerai questo silenzio in parole superflue, ma che importa


adesso.

Nessuno laverà via questo incontro dal a memoria.

365 racconti erotici per un anno

353

NEssUNO è PERfETTO

14 dicembre

di Alessandro Defilippi

La voce, da oltre lo schienale del a chaise-longue, raccontava un sogno in


cui

compariva, infine, un padre affettuoso e amabile. Bene, pensai; l’analisi


intrave-

deva il porto. Mi rilassai sul a poltrona, nello studio in penombra. Era


venerdì

sera e fantasticavo sul ’appuntamento con Marta, di lì a poche ore: al


Massimo

proiettavano A qualcuno piace caldo, con Marilyn Monroe. Sorrisi,


ricordando

Jack Lemmon vestito da donna.

Il film, la cena leggera, un po’ di sesso. Era una buona giornata. Mi accorsi

d’essermi distratto solo quando la voce cambiò tono: calda, quasi intima.
– Era tanto che non la sognavo, dottore, e mai così – disse, con un riso te-

nue. – O forse non gliel’ho mai confessato.

Qualcosa di tiepido si mosse nel mio petto. Sorrisi ancora, pensando alle

centinaia di articoli sul transfert e sul sesso tra paziente e analista. No. Quel
a

era una porta stretta che non avrei varcato Ma, mentre la voce continuava,
gen-

tile, appena rotta dal ’emozione, io mi sentii, d’un tratto, solo e senza
amore.

– C’era penombra, come adesso. Eravamo in questa stanza, e io ero in pie-

di di fronte a lei, e lei al ungava una mano e mi toccava il viso. Una


carezza.

Quanto l’ho desiderata. – La voce si spense, tacque, ritornò a salire. – Poi la


sua

mano scendeva sui miei fianchi. Sentivo il suo calore.

Mi mossi a disagio, mentre quel a sensazione nel mio petto aumentava,

come un vuoto, un desiderio di piangere, una gioia. Non fare l’isterico, mi


dissi.

Ma la voce proseguiva: – E infine, finalmente, dottore, lei mi baciava.

Tacque. Il silenzio era caldo e pieno. La voce riprese, più sicura. – Ma ades-

so la seduta è finita, vero?

Sentii un fruscio e chiusi gli occhi, per non vedere chi ora mi stava di
fronte,
sfiorando i miei ginocchi con i suoi.

– Mi guardi, dottore, mi guardi.

Stava in piedi di fronte a me, con un sorriso di speranza, slanciato e sottile,

le spalle esili, i fianchi stretti. Il volto incorniciato dal pizzo biondo e dai
baffi

appena accennati.

– Mi parli, la prego.

Lo guardai in viso. – Luca – dissi, poi mi alzai, sollevando una mano verso

il suo volto.

Oh, pensai. In fondo… Nessuno è perfetto.

354

365 racconti erotici per un anno

cENERE

15 dicembre

di M.G. Nemesi

Tutto – tutto in lei è pallido e minuto e fresco. Persino la sua bocca, quando
vi

immergi la lingua, è come un sorso d’acqua montana. Sa di brina, d’aria


frizzante,

con l’eco ferroso di quel pizzico di cenere che si è spinta tra le labbra prima
di spo-

gliarsi.
Non sai chi è. L’hai vista nelle profondità scure del locale, tra le volute di
fumo.

Un guizzo argenteo al ’angolo del ’occhio, come una perla nel ’acqua scura,
e hai

deciso di volerla – di volere sotto di te quel a pelle diafana, la sottile bocca


pallida, i

capel i così chiari da parere argentei. Lei non si è negata. E la bambola di


porcel ana

si è fatta improvvisamente viva sotto le tue dita, morbida e calda. Vibra


come la

sottile corda di un violino, modulando dal fondo del a gola un suono rauco,
lieve,

come un gatto che fa le fusa. Ti ha fatto stendere sotto la finestra, in una pol
a di

mobile luce lunare, e ora si muove su di te, i fianchi che ondeggiano lenti,
come un

fiume, e che come un fiume aumentano di velocità, il bel corpo latteo che si
torce

in preda al ’estasi, che dondola su e giù, su e giù, ritmicamente, la lingua


che guiz-

za, serpeggiando, e ti beve il sudore dal labbro e dal a fronte, mentre le sue
dita ti

stuzzicano il petto, il ventre, giù fino al punto madido e caldo dove i vostri
corpi si

fondono, e nel ’umore stil ante fra le sue cosce.


Lei si porta il liquido vischioso alle labbra, e tu senti l’inguine pulsare
dolorosa-

mente di voglia. Ti inarchi sotto di lei, ebbro; le al arghi le natiche con le


mani, le

intimi di prendere tutto di te, il tuo sesso, il tuo corpo, il tuo calore, e spingi,
forte.

Pensi di vedere i suoi occhi scintil are fiochi, e ti ergi per baciarle le
palpebre, le ca-

rezzi il viso con la bocca, affondi i denti nel tumido labbro roseo, facendola
ridere,

estatica, e sanguinare appena. La baci con ferocia, il gusto di sale e sudore e


sangue

e cenere ti esplode sul a lingua, mentre lei ti prende più in profondità dentro
di sé, ti

cavalca ruotando il bacino con colpi secchi e precisi, e grida al a luna, nel a
notte.

È calda, ora. La sua pelle, la sua bocca, perfino gli occhi; tutto di lei arde,
arde

come stel a e fuoco, e persino mentre le sue trecce candide s’imporporano,


mentre

il guizzo incolore dei suoi occhi si fa grigio e poi blu, mentre il suo respiro
si fa

fumo, e i suoi denti si chiudono sul tuo cuore, tu vieni, in un concerto di


estasi e

terrore, un piacere che brucia così forte da essere bianco, come il cuore di
una stel-
la, un bianco abbacinante, e schiudi la bocca in un grido, ma è troppo tardi,
ormai,

e non hai più bocca per gridare, né occhi per piangere.

Nel buio, lei affonda le dita nel cumulo di cenere che è stato il suo amante,
ne

ripone un pizzico in un portapil ole d’argento, dove si mescola ai resti di


centinaia

d’altri. Non c’è più traccia di gelo, nel suo corpo. Il suo respiro brucia più
del sangue

vivo, ed è al suono ritmico di quel respiro che si strofina il resto del a


cenere sul

corpo, traccia glifi e tatuaggi sul a pelle calda e fragrante di sudore e sesso,
saziata.

Almeno per ora.

365 racconti erotici per un anno

355

Il DEbITO

16 dicembre

di Paola Contarelli

Il ragazzo ha smarrito la sfrontatezza che mostrava a inizio partita. Ora nel

piatto ci sono tutti i gettoni e lui ha cambiato espressione.

Dov’è finita la tua spavalderia? gli vorrei chiedere.

Invece non dico nul a e lo scruto, algida. Penultimo indumento.


– Reggiseno – dico, e via. Il seno ballonzola come un tuffatore sul trampoli-

no. Ho quasi quarant’anni ma la natura m’ha dotata di una compattezza


tonica.

Per un attimo gli occhi del ragazzo s’il uminano. Mi sono accorta da un bel

pezzo di come m’inquadrava, proprio lì nel mezzo.

I ventimila che mi deve sono stati l’amo. Se vince la partita glieli abbuono.

Per aggiungere un po’ di pepe – oltre al ’azzeramento del debito – gli ho


detto

che se resto nuda potrà fare di me ciò che vorrà: quel a è stata l’esca.

Se vinco io, invece, mi deve ancora i ventimila e io posso godermi lo spet-

tacolo di Bart, la mia guardia del corpo, che lo sodomizza.

Chi dice che alle donne le scene omosex non piacciono? Io adoro quelle

maschili e Bart è perfetto. Fa parte del a posta, lui, con i suoi ventitrè centi-

metri marmorei. Ci osserva, con finto distacco, in piedi. I suoi boxer in


latex

nero evidenziano forme già pronte al ’uso. Ha pelle d’ebano che si


confonde col

colore del ’unico indumento che indossa. Bart è dannatamente virile ma non

sono mai riuscita a convincerlo a scoparmi perché è anche dannatamente


gay.

Così, quando posso osservarlo mentre domina un ragazzo vergine,


favoleggio

d’essere la sua preda.


– Una carta – fa il ragazzo.

– Io ne cambio due – dico gelida.

Lui stira le carte e fa un sorrisetto. Chi vuoi fregare? penso.

– I miei boxer. – Il ragazzo s’alza e se li toglie, deciso. Compare, timido

come la testa di una tartaruga, il suo sesso, ma io gli guardo il pomo


d’Adamo

che va su e giù. Bart invece gli dà un’occhiata ai glutei.

– Ecco i miei slip – sempre gelida. Mentre li sfilo lui abbassa gli occhi, non

mi guarda.

Adesso Bart lo sta sbattendo con forza e lui è paonazzo. Geme, ma non

grida. Conserva la sua dignità, mi pare. Bravo ragazzo, così sei più
eccitante…

Mi distendo sul a sedia, scosto le gambe e comincio a girel are con la punta
del

medio intorno al clitoride, che frigge come l’aglio in un padellino. Ho


l’orga-

smo. Anche Bart. Il ragazzo urla. Anch’io. Grazie, penso.

Bart si riveste. M’avvicino e il ragazzo è distrutto. Alza su di me occhi


pieni

d’odio e io gli passo il dito medio bagnato tra il labbro superiore e il naso,
for-

mandogli un baffo che profuma di me. – Mi devi ancora i ventimila – gli


dico.
356

365 racconti erotici per un anno

NEllE mENTE DI bIg JOhN

17 dicembre

di Marco Cartello

Ancora, John!

Immagino la spal a di lei che sfiora la mia e si allontana fra le ombre.


Scruto la

sua schiena nuda che scende bruna fino ai globi lattei dei glutei.

Ancora, spingi!

Le sue gambe velate dal pareo che lentamente cade e le svela, diritte, snelle,
mor-

bide. I suoi piedi nervosi si voltano e il mio sguardo risale.

Spingi, John, affonda.

Le caviglie, le cosce, il suo sesso aperto, umido. I miei occhi tra il suo folto
ciuffo

biondo.

Voltala, mostra il tuo grosso membro eretto, infilalo e spingi, ancora.

Rimango rapito dal a bassa foresta bionda, insinuo lo sguardo ed esploro.


Ciuffi

rossicci si nascondo ai bordi del e grandi labbra umide, mentre il culmine


roseo,
ziggurat del piacere, è celato da una ciocca più scura e folta.

Sbattila con forza, a fondo. Voltala ancora e continua, adesso in piedi, la


sua faccia

contro il muro, le tue mani affondate nei suoi fianchi, le tue pelvi che
sbattono contro

il suo culo.

Penso al mio sguardo che si solleva e le percorre il ventre, candido e


incavato,

l’ombelico rotondo e profondo. Più su scavalco l’ombra dei suoi seni ed


eccole lì, le

piccole punte rosa protese al ’infuori che aspettano la mia lingua. Le bacio,
appoggio

le labbra su ciascuna e subito s’inturgidiscono e crescono nel a mia bocca.

Tiralo fuori, mostralo bene al a luce dei riflettori, si deve vedere quanto è
grosso.

Arriva un’altra donna, s’inginocchia davanti a me e apre la bocca, io


spingo ancora.

Immagino le mie mani che accarezzano i seni bianchi di lei, la mia prima
ragaz-

za del liceo, la mia lingua sul a sua, la sua saliva dolce che si unisce al a
mia. I nostri

corpi nudi che si sfiorano, si accarezzano e rimangono abbracciati sul a


sabbia. Pen-

so a mia madre che quel a sera mi dice basta scuola, trovati un lavoro. Mio
padre è
scomparso, impegnato a ubriacarsi in qualche bettola e i miei sei fratel i
chiedono a

mamma almeno un panino per il pranzo.

Mostra il tuo enorme cazzo al a cinepresa.

Penso a mamma che piange, consegnando pizze, perché i soldi sono pochi.

Cambio lavoro, la paga è la stessa miseria di prima. Rifletto per mesi e poi
risol-

vo. Mamma è contenta, i miei fratelli mangiano, ma non sanno che lavoro
faccio e

come ci riesco.

Spingi, John, spingi che abbiamo quasi finito, per un attimo ti eri distratto,
un ul-

timo sforzo!

Penso al a mia prima ragazza del liceo, a quel a sera al chiaro di luna sul a
spiag-

gia, ai suoi seni bianchi, ai suoi occhi dolci, alle sue labbra rosse.

Vengo!

365 racconti erotici per un anno

357

TENTaZIONE IN amaRaNTO

18 dicembre

di Rossel a Penserini
L’avevo appoggiato lì, sul a cassettiera in camera, e tutte le volte che ci
passavo

accanto lo guardavo.

– Ci vai tu! – avevano stabilito le mie amiche e io, dopo aver provato inutil-

mente a protestare, avevo accettato l’incarico. Riuscivano sempre a


convincermi

a fare le cose più strane, imbarazzanti o proibite.

– Vedrai come ci divertiremo. Claudia morirà dal e risate. – Erano state le

ultime parole delle ragazze prima del a mia missione.

Avevo sbirciato la vetrina del negozio molte volte, prima di entrare. Ma al a

fine mi ero decisa. Una scelta veloce. Poche parole.

– Me lo può incartare? È un regalo – avevo sottolineato con enfasi.

Il pomeriggio l’avevo passato a studiare. Mi mancava solo un esame e non


vo-

levo perdere la sessione. Ma non ero riuscita a combinare molto: il mio


pensiero

andava sempre lì, a quel pacchetto color amaranto.

Sono a letto ma non riesco a prendere sonno. Il contatto con le lenzuola mi

sol etica la pel e. Quel ’oggetto è lì, a pochi metri da me. Ne sento la
presenza.

Mi giro sul fianco e provo a dormire, ma è inutile.

– E se…? – mi chiedo ad alta voce, e finisco la frase solo nei miei pensieri.
Scivolo fuori dal e lenzuola. Il contatto con il pavimento mi dà una
piacevole

sensazione. Prendo il pacchetto tra le mani e lacero la carta, lasciandola


cadere

a terra.

È la prima volta che tengo tra le mani un vibratore. Ne palpo la consistenza.

Ho un attimo di esitazione, ma solo uno, perché, in fondo, ho una gran


voglia di

provarlo. Lo infilo in bocca, per bagnarlo e farlo entrare più facilmente.


Quando

lo sento tra le gambe provo un brivido. Inizio a muoverlo dentro di me.


Scivola

con facilità: il mio sesso è morbido e zuppo di umori. Mi avvolgo su di lui,


avida,

premendolo e sfregandolo contro la radice del mio piacere. Lo spingo più in


pro-

fondità, ubriaca di sensazioni. Voglio sentire ancora di più: mi metto un dito


in

bocca, sento il contatto con la lingua. Poi, giù, lungo il collo, il dito scende
fino ai

capezzoli. Prima ne tocco uno, poi l’altro. Stringo fino al a soglia del
dolore, fino

a quando non esplode l’orgasmo: è un urlo, a piena bocca, ma non lo


trattengo.

L’estasi si propaga nel corpo come un’onda d’urto, la lascio scorrere nelle
vene.
Ogni lembo del corpo viene saziato. Mi lascio cul are da quel torpore.

Rimango lì per un tempo indefinito, in un limbo di morbido vel uto.


Sorrido.

Sto pensando che l’addio al nubilato di Claudia è tra una settimana: di


tempo ne

ho ancora parecchio…

358

365 racconti erotici per un anno

l’allUNgO DEl mEZZOfONDIsTa

19 dicembre

di Giorgio Bona

Siamo in mezzo al a stanza, uno di fronte al ’altra. Dev’essere uscita dal a


doccia

da poco. Ha ancora i capelli bagnati. M’inebria il suo profumo al


gelsomino.

Oggi vuole prendere il largo. Scioglie i drappeggi per guadagnarsi un mon-

do che non le appartiene.

Mi avvicino e lei si stringe, mi abbraccia. Incontro la sua bocca, la sua lin-

gua sembra un frullo d’ali intorno al a mia.

Ho bisogno di ossigeno. Mi sento mancare. Mi distacco, accarezzandola

lungo la schiena fino a passare con una semplice rotazione al seno sodo e
mor-
bido. Le stringo i capezzoli e lei riprende a farmi passare la lingua sul collo,

fino al lobo del ’orecchio, mordendolo appena. Le sfilo il perizoma, scivolo


sul

pelo morbido come seta. Solo lì la materia diventa più accogliente, e lei lo

sa. Il mio corpo risponde e allora mi aggancia, mi fa oltrepassare il confine.

Mi ritrovo sotto, lei sopra. Il movimento del suo bacino ha un ritmo che non

avevo mai provato prima. Forse è la passione del ’amore a farmi cogliere
certe

sfumature.

Mi prega di continuare, di coprire la carne rosa e viva del suo sesso, e io lo

faccio, nonostante la fatica che si accompagna al piacere. Sono ostaggio del


suo

impeto. Sento le pareti del a sua vagina serrarsi come una morsa e poi
tornare

elastiche come una membrana al ritmo del suo movimento. La sento gemere

più volte e l’ultimo grido sembra un gorgoglio sordo e strozzato. Poi si


rilassa,

abbandonandosi a peso morto.

– Non sei ancora venuto? – mi chiede con un filo di voce, mentre cerco

di coglierne l’espressione, guardandola attraverso la cascata di riccioli che


le

inonda il viso.

Non pensavo che quel a domanda potesse eccitarmi. La mia mente si libera
da ogni delicatezza che l’amore trasmette, in cui ti preoccupi del piacere del

partner e non del tuo. Prevalgono l’istinto, la bestialità. L’afferro per i


fianchi e,

dopo averla girata sotto di me, comincio a cavalcarla con foga. Quando
esplo-

do, emetto un vagito, un lamento roco come non avevo mai fatto. Vorrei
trat-

tenermi, ma non ci riesco. Lei ha il viso arrossato e la sento contrarsi, come


se

volesse risucchiarmi dentro di lei. La sento leggera. La sento mentre al


ungo la

falcata digrignando i denti per allontanare la crisi, mentre sollevo le


ginocchia

per richiamare il fiato che si accorcia.

È un angelo, e un angelo devi vederlo sorridere.

365 racconti erotici per un anno

359

DIETRO

20 dicembre

di Cinzia Pierangelini

La fermata è piena di gente. Lidia odia la gente e anche il sole impietoso


che le

fa colare il trucco e mille goccioline di sudore tra i seni. In effetti, da


quando
Claudio l’ha lasciata, detesta ogni cosa. Soprattutto prendere il tram al ’ora
di

punta. La verità è che l’abbandono l’ha messa in crisi: si vede brutta,


indeside-

rabile. Così, oggi, è uscita a comprare nuovi vestiti, ma ha girato per ore
senza

trovare nul a. E ha fatto tardi.

Sale sul predellino, contendendo a gomitate uno spazietto, e pian piano

riesce a intrufolarsi tra la gente. Una sardina in scatola, ecco come si sente.
Del

pesce, d’altronde, e marcio per di più, le pare di sentire anche l’odore.


Corpi,

quello di Claudio, liscio e profumato. Come le cose buone: il pane appena


sfor-

nato o un cono da leccare al ’infinito. Che buon sapore.

Spintonata a ogni fermata del mezzo, non le resta che affidarsi ai bei ricordi

per distrarsi. E quale ricordo migliore del corpo di Claudio? Quel corpo non

aveva colpa, era perfetto, si adattava a meraviglia al suo, vi si fondeva


dandole

il capogiro. Anche ora, a pensarci. Sì, le pare di sentirlo dietro di sé, come
al-

lora: quando per dormire assumevano la posizione del cucchiaio, una scusa
di

Claudio per strusciarsi e provocarla.


Oh, Claudiuzzu. Ma è vero, lo sente. Possibile? Qualcosa di duro le si in-

trufola tra le cosce. Lei non si muove. Aspetta. Eccolo! Non c’è dubbio.
Non è

certo Claudio. Eppure, la sensazione è la stessa. Le pare un secolo che


nessuno

le si poggia addosso. L’idea di un uomo che la desideri così insolentemente

da tentare un’avance sul tram comincia a eccitarla. Uno sconosciuto le sta


pi-

giando sotto il vestito il suo affare voglioso. Chiude gli occhi, godendo
quelle

manovre goffe e un po’ violente. Il peccato, sì. Al a faccia di Claudio. Con


fare

indifferente agevola la cosa, si sposta un po’, si offre meglio. Ahi. Le ha


fatto

quasi male, con l’ultima spinta. E che roba deve avere! Altro che Claudio
coi

suoi continui mal di capo.

Si vede che non resiste più, pensa leccandosi le labbra. E allora dài, faccia-

molo qui! Ma proprio adesso che è pronta, il tram si svuota d’improvviso. Il

capolinea! Si ritrova libera, ma lui le è ancora dietro. Decide di voltarsi a


guar-

darlo, in fondo possono finire anche altrove, ormai ne ha una voglia pazza.
Si

gira e…
– Chi avi, signori’? Malu stati? – L’armigero baffuto che la squadra con
ansia

è una vecchia muscolosa. Dal a sua sporta fa capolino un lungo cetriolo.

Lidia odia il tram.

360

365 racconti erotici per un anno

fUORI E DENTRO DI mE

21 dicembre

di Monica Lucciola

Alex e io ci conoscevamo da poco più di un anno; galeotta fu una cena, la


solita

a casa di amici, ma a causa dei nostri impegni, gli incontri tra me e lui
furono

appena due e sempre fugaci. Poi il mio trasferimento complicò tutto,


l’amaro

finì per aleggiare sui nostri volti, l’unico contatto soltanto il telefono. Le
sere e

spesso le notti erano nostre, noi due soli, insieme, tra racconti di lavoro,
mu-

sica, sesso e gli amori appena nati, sfuggiti e cercati. Era sempre Alex a
inco-

minciare: lui amava finire sul pesante, io quel a più tranquil a, in tanti mesi
sì e
no che gli avevo accennato di due tipi dai quali ero regolarmente scappata,
lui

invece mille conquiste, come un grillo.

L’nico che gli mancava era il mio, tanto desiderato sin dal a prima volta.

Al suono di quelle parole capii che quel a telefonata sarebbe stata diversa:
un

brivido mi pervase la schiena, sapevo che se decideva avrebbe preso ciò che

voleva. Ero diventata stranamente nervosa, questo per Alex era terreno
fertile,

conosceva come calmarmi e poi dove portarmi; dopo un po’, ecco la sua
voce

dolce e profonda che m’intimava di toccarmi, lì, sotto la sua guida. Il mio
no,

titubante, irrequieto, non fece che aumentare il suo desiderio; insistette,


deciso,

con gusto, fino a farmi crol are. Ancora prima che le mie dita scivolassero
nel a

coulotte già bagnata, ero eccitata, vogliosa; fui spaventata, perché non era
da

me, il mio battito aumentò, il mio respiro non era più regolare, non poté non

intuire.

– Ti piacerà – mi sussurrò.

Ebbe inizio così il suo viaggio, palmo a palmo fuori e dentro di me. Con la

mia mano specchio del a sua, dolce prima, frenetica poi, che portava piacere
al a piccola bocca golosa di caramelle e di zucchero a velo. Stavo cadendo,
una

sorta di estasi, confondevo sogno e realtà e in men che non si dica mi portò

su di lui, sul suo membro che quasi sentivo, che quasi cercavo, caldo,
deciso

come la sua voce. Su e giù lo cavalcavo mentre le sue mani sotto la


maglietta

mi sfioravano i seni, fluttuavano sui miei fianchi in piena agitazione. Tutto


mi

avvolgeva nel piacere, la mia mente era annebbiata, ansimavo, sentivo la


sua

presenza, ero sua in quegli attimi, come mi voleva. Fiero del a sua preda mi

conduceva in pascoli erbosi con fiori profumati, come ape intorno al suo
mie-

le, come cerbiatta al a fresca fonte. Ero tutti. Non ero nessuno. Lo ascoltavo
e

fremente lo desideravo. Alex.

365 racconti erotici per un anno

361

l’aRcO DEl PIEDE

22 dicembre

di Massimo Mongai

In una donna mi piace vedere l’arco del piede leggermente arcuato. È una di
quelle curve dolci e leggere che sono così tipiche del corpo femminile. Al a

curva del a pianta, in basso, sotto, corrisponde in alto, sopra, la curva del
dorso

del piede ed entrambe definiscono il piede e quasi sempre ne fanno risaltare

gli elementi più sottili. Il piede, in quel momento, diventa così sottile che
quasi

sembra impossibile possa sostenere la donna. Mi piace la caviglia,


soprattut-

to se è circondata da un laccio di cuoio scuro, nero, lucido. E mi piace che il

laccio, il cinturino, il segno sia sopra il malleolo. Se è sotto, la caviglia è bel


a

comunque, ma se è sopra ho l’impressione che il piede sia volontariamente


pri-

gioniero e che quel segno sia una catena e che sia io a tenere il
prolungamento

di quel vincolo, di quel limite, di quel a catena. Che quel a caviglia sia in
mio

potere, anche solo perché la sto guardando, e questo perché quel a caviglia

chiede di essere mia prigioniera. Vero o falso che sia conta poco, ma grosso

modo so che è vero che vuol essere prigioniera, non necessariamente mia;
di

chi non lo sa nemmeno lei. Mi piacciono le dita dei piedi, mi piace che
sporga-

no insieme dal ’ultimo cinturino del sandalo, liberi, sottili, lunghi, se


possibile.
E se non è così, va bene ugualmente. Se i sandali con i tacchi sono il non
plus

ultra, gli infradito non sono da meno. Danno un’idea di gioventù, di delicata

fragilità, di indifferente eleganza, cioè l’unica vera eleganza. Un infradito


da

dieci euro portato con l’eleganza chi è indifferente ai soldi, di chi non solo
non

sa di avere dei bei piedi, ma nemmeno ci pensa, è mille volte meglio di un


paio

di stilettos o pumps Dolce e Gabbana o Manolo Blanick da 1.200 euro. Del


re-

sto, onestamente, ma che ne sanno i gay delle donne o dei loro piedi?
Quello

che vedono loro non è quel che vediamo noi maschi etero. Anche se i gay si

il udono di essere i creatori del ’immagine femminile, la verità è che


l’immagi-

nario maschile è qualcosa che nessuno sa cosa e dove sia, nemmeno noi.

Ma non è per questo che taglio i piedi alle donne! Noooooo! È che è un
pec-

cato che i piedi invecchino! Calli, duroni, ispessimento del a pelle; oh,
quante

brutte cose accadono ai piedi, ai bellissimi piedi delle donne. Mentre tagliati

verso i vent’anni, subito trattati con formaldeide, dissanguati, con un


parziale
essiccamento a microonde e successivamente reidratati con glicerina,
restano

intatti per sempre! Nelle loro bellissime scarpe, lì, tutti in fila, nelle scatole
di

cristallo sulle mensole...

Oh...

362

365 racconti erotici per un anno

INcONTRI

23 dicembre

di Ippolita D’Orso

La casa è avvolta dal silenzio, l’unico rumore che sento è il ticchettio del
’orolo-

gio in salotto: sembra la quiete che precede la tempesta.

Sono molto agitata, mi sforzo di restare tranquil a, ma non ce la faccio:

Daniele sta venendo da me e so già che passeremo qualche ora in camera da

letto, è così da sempre.

Il suono del citofono mi spaventa; vado ad aprire, anche se per un attimo

sarei tentata di non farlo, potrei fingere di non esserci; una vocina mi
sussurra

“una brava moglie e mamma non fa queste cose, non ti vergogni? Lascialo
perde-
re, chiudi questa relazione prima che sia troppo tardi”… ma è già troppo
tardi,

non posso più fare a meno di lui, del suo corpo.

Apro la porta e la socchiudo. Mentre lo aspetto con il cuore in gola, mi

guardo allo specchio: quante volte abbiamo fatto sesso qui davanti? Ci
eccita

molto osservare i nostri corpi avvinghiati riflessi lì dentro… ecco un’altra


voce:

“questa è la tua vera natura, ammettilo!”

– Buongiorno, signora – mi dice, chiudendo la porta.

– Buongiorno a lei. – Lo bacio sul a bocca, cerco la sua lingua, sa di tabac-

co. Sento le sue mani appoggiarsi al sedere fasciato da una gonna stretta e
corta,

mi avvicina a sé, c’è qualcosa di duro sotto i pantaloni: glieli slaccio e


comincio

ad accarezzarlo tra le gambe, l’oggetto del mio desiderio spinge sotto gli
slip, li

faccio scivolare verso il basso.

M’inginocchio e comincio a masturbarlo, lo sento ansimare, mi dice di

prenderlo in bocca: inizio a leccarglielo, la mia bocca rossa lo succhia lenta-

mente, voglio farlo impazzire.

Mi sbottono la camicetta e con una mano comincio a toccarmi il seno. Da-

niele mi dice di fermarmi, mi fa sdraiare per terra, vuole scoparmi davanti


allo specchio. Ci spogliamo guardandoci negli occhi, divorati dal desiderio.

Chissà se con sua moglie scopa allo stesso modo, con la stessa voglia, la
stessa

passione: no, credo di no, lo faranno una volta la settimana, magari il sabato

sera, così la domenica ci si riposa, cinque minuti nel a posizione del


missiona-

rio, proprio come faccio io con mio marito, come tutte le coppie dopo
qualche

anno di matrimonio… “Finché morte non vi separi”…

Comincia a baciarmi e a leccarmi dappertutto, si sofferma a lungo tra le mie

gambe, la sua lingua mi scivola dentro, calda e desiderosa di farmi godere.

E adesso mi penetra, su e giù, inizia lentamente, ansimiamo con lo stesso

ritmo, mi sembra di essere in un’altra dimensione… c’è qualcosa di meglio,

nel a vita, che provare queste sensazioni? No, ne sono convinta.

365 racconti erotici per un anno

363

sU cOllEZIONIsTE DI TROfEI UmaNI

24 dicembre

E Il caPITalE DI maRX

di Lorenzo Arcozzi

Il termine più usato è sesso compulsivo e io ci sono dentro da più di due


anni.
Per placare il desiderio ho conosciuto molte donne, alcune con gusti molto

particolari. Però Giulia era diversa. Spogliai il suo corpo abbronzato


esitando

ad assaggiarlo, quasi temendo di rimanere scottato dal sapore. Avevo timore

di una creatura tanto perfetta ai miei occhi. Preferiva essere lei a condurre il

gioco: acconsentii. Mi abbassò i pantaloni. Era giovane e selvaggia, sentivo


la

sua gola sul mio glande mentre le sue mani erano su di me e le labbra mi
acco-

glievano calde e frementi. Sdraiato sul letto, chiusi gli occhi per godermi
fino

in fondo quel momento di piacere. Quando li riaprii lei era ancora inginoc-

chiata ai piedi del letto, ma reggeva in mano un lungo coltello da cucina che

mi appoggiò di piatto sul ’interno coscia, provocandomi una strana


sensazione

di pericolo ed eccitazione.

– Mi vuoi scopare? Va bene. Ma io ti taglio il testicolo destro, per la mia

collezione.

– Cosa?

– Stai fermo, adesso!

– Col cazzo!

Invece non riuscivo a muovermi, con i pantaloni abbassati che mi bloc-


cavano le gambe e il pericolo di una lama troppo vicina ai genitali. Sentivo
la

punta fredda fra i testicoli che mi solleticava la pelle e i peli, provocandomi


un

inaspettato piacere. Ricominciò a usare lingua e denti sul mio pene mentre
la

lama continuava a pizzicarmi leggermente fra i testicoli e si spingeva anche

verso l’ano. Il mescolarsi di sensazioni così diverse era veramente unico.


Paura

e piacere, quando stimolati da una donna tanto bel a, sanno essere un


potente

connubio. Venni presto e molto, e lei ingoiò tutto.

– Spero ti sia piaciuto, è la mia specialità – disse leccandosi le labbra. – Ora

tagliamo!

Non ne dubitai per un istante, l’avrebbe fatto. Sul comodino vidi un bel

libro voluminoso: Il Capitale di Karl Marx, lettura impegnativa per una


colle-

zionista di testicoli umani. Afferrai il libro e la colpii con quanta forza


riuscivo

a imprimere in quel a posizione. Il coltello le cadde e io saltel ai fino al


balcone,

al acciandomi i pantaloni. Chiusi la porta-finestra appena in tempo per


impe-

dirle di affondare il colpo. Era stupenda con il suo bel corpo sudato, il volto
teso dal a furia e gli occhi verdi che lanciavano vampe al di là del vetro.
Saltai

giù atterrando sul prato mentre la sentivo gridare: – Ti ho fatto venire come

nessun’altra! Ora dammi il mio testicolo! Mi appartiene!

364

365 racconti erotici per un anno

la NOvIZIa

25 dicembre

di Enzo Artale

Per fortuna non si avvicina mai abbastanza. Se riuscissi a sentire anche il


suo

odore credo che impazzirei. Non so per quanto sarò ancora capace di con-

trol armi senza dare scandalo. Mi terrorizza l’idea che i fedeli si accorgano
di

ciò che mi succede sotto i paramenti quando me la ritrovo davanti per la


Co-

munione. Eppure, da quando la vidi entrare in chiesa per la prima volta,


vivo

solo per questo momento. Le labbra le si schiudono timide come i petali di

una rosa che sboccia. Una fessura le cresce sul a bocca, grande appena
perché

ci passi l’ostia. Intravedo la piccola lingua appuntita farsi strada tra due file
di
perle. Riceve la Comunione, e insieme a quel pezzo di cialda sacra, mi
sciolgo

anch’io nel a sua saliva. Il viso incorniciato dal velo è un triangolo sensuale
di

carne innocente. I suoi grandi occhi verdi mi trafiggono per una frazione di

secondo. Estinguo a fatica l’incendio che mi divampa in quel momento tra


le

gambe. Ha capito.

– Perché non ci siamo incontrati prima?

Abbassa la testa e torna al suo posto, nel a prima panca del a fila di sinistra.

Si siede sempre lì, tra le due consorelle anziane che la accompagnano.


Cerco

di fare finta di niente, ma gli occhi mi si incol ano al a sua gonna


ondeggiante.

Intuisco la forma delle giovani gambe, sento lo sfrigolio del cotone grezzo
delle

calze bianche strusciare a ogni passo che la porta via da me.

– Il corpo di Cristo… Il corpo di Cristo…

Il suo è l’unico corpo che mi interessa, per averlo rinuncerei volentieri a

qualsiasi altro. Peccato lo abbia già promesso, con tutti gli annessi e i
connessi,

proprio a quel Cristo con cui gli ingenui che mi sfilano davanti si il udono
di
fondersi ingoiando un pezzo di pane azzimo. La messa finisce. Si alza, il
viso

sempre rivolto in basso. Esce dal a fila incastonata fra le sue custodi. La
guardo

percorrere la navata centrale fino al portone. Prima di uscire si volta, mima

una genuflessione facendosi il segno del a croce. Guardo se mi guarda. Non

riesco a vedere. Le solite vecchie pettegole di paese le si affol ano intorno.

– Quando finisci il noviziato? E poi, dove vai? Cambi convento?

Spero di sì. Spero che la portino lontano. Non sopporterei più questa messa

in scena. Ci penso mentre mi cambio, in sagrestia. So di non avere nessuna

speranza. Ho deciso di finire al ’inferno. Quando lei se ne andrà me ne


andrò

anch’io da questa chiesa, per sempre.

– Non sarà facile trovare un altro chierichetto motivato come te – mi dirà

don Oreste.

365 racconti erotici per un anno

365

NOccIOlI E cOlTEllI

26 dicembre

di Anna Cardelli

Mangiami. Voglio sentire le tue mani entrarmi dentro come se con quelle
dita
stessi cercando di ripulirmi di tutta la polvere che con gli anni ho
accumulato.

Fino in fondo, fino al cuore. Mangiami, e ti prometto che saprò essere


succosa.

Io il frutto e tu il coltello. Tagliami fino al nocciolo, fino a quando è così


du-

ro che dovrai fare forza per spezzarmi. E quando lo avrai fatto, quando sarai

riuscito ad accarezzare quel ’involucro morbido che mi rende una pesca


così

fragile, allora, senza remore, mi sbuccerò per te.

Non prendertela comoda. Non stare a guardare mentre lascio naufragare

quel ’ultimo spallino sino ai golfi tondi del seno. Osservami, sentimi,
toccami.

Non avere paura, perché non sia mai che un coltello tema la propria pesca.

Assaggiami, e non ti stupire del a mia nudità. Non te lo aspettavi, lo so. Non
c’è

un corpo di seta al di là delle mie camicette di lino. Non è di seta, e non è


uno

solo. È un denso nido di vel uto che ho costruito raccogliendo filo dopo filo,

accarezzandomi in silenzio nelle notti d’inverno più fredde, beandomi del


mio

calore e dei tuoi brividi.

Ti sento, sai. Un paio di file più indietro di me, a lezione, lasci che i tuoi

occhi mi entrino dentro, al di là del cotone sottile del mio gilet... Appoggi la
guancia sul a mia pancia, lasci scivolare le dita più in basso e ti accorgi che
oh,

non c’è nessun ricciolo con cui giocare lungo il percorso. Io sorrido, poche
file

più avanti di te, chiudo gli occhi e sobbalzo teatralmente e tu, in quel
’eterea

dimensione di sogno che abbiamo faticato tanto a creare, ti ritrai. Temi che
ti

abbia scoperto? Credi che sappia come mi sogni, la notte? Cos’altro ho


scoper-

to di te? Tutto, bambino, tutto.

Mangiami. So perfettamente che hai l’acquolina in bocca, seduto su quel a

sedia universitaria poche file più indietro di me.

Se solo tu ne avessi la possibilità… mi godresti goccia dopo goccia, tastan-

do e assaporando ogni millimetro di polpa, nutrendoti dei miei ansiti e di

quelle parole (versi) che – dolci – non posso control are. Parole d’amore,
per

te. Solo per te! E nel cuore rideresti, così forte. E mi afferreresti i fianchi,
così

piano. E io inarcherei il busto così tanto che i miei seni svetterebbero verso
il

cielo come un’isola morbida al ’orizzonte. Ammaina le vele, marinaio.


Procedi

a remi verso quel ’oasi, sii il mio coltello e il mio schiavo d’amore, la
caviglia
incatenata alle assi di legno di quel a tua nave sgangherata così colma
d’amore.

366

365 racconti erotici per un anno

camERa OscURa

27 dicembre

di Elena Barsottelli

Il buio che mi avvolge è un amico fedele, l’odore acre d’aceto che pizzica il
naso

e impregna gli abiti, il profumo di casa. Il trillo del contaminuti rompe il


silen-

zio e il mio mondo si tinge nuovamente di rosso.

Sorrido appena mentre, diafane, le tue forme si disegnano sul a carta.

Con lo sguardo carezzo senza pudore la tua pelle, scivolo dai piedini nudi,

perfetti, su lungo le gambe sottili, mollemente incrociate. Le braccia


candide

cingono le ginocchia, le mani sono studiatamente abbandonate in una posa

casualmente sensuale. Sfioro le dita, una a una, trattenendo l’impulso


irrazio-

nale di morderle.

Il chiaroscuro perfetto ha trasformato la lunga chioma liscia in un’opera

astratta che sottolinea la curva dolce delle spalle, coprendole morbida fino
ai
gomiti. L’osservo incantato, cercando il tuo volto nascosto, rifugiato in quel

morbido nascondiglio.

Riprendo il mio cammino sul tuo corpo e scendo, esplorando la linea intri-

gante del fianco, percorrendola adagio più volte, assaporandone ogni


centime-

tro, immaginando il tuo tepore tra le mie mani e sotto le mie labbra.

Immergo un dito nel ’acqua tiepida e ti accarezzo come solo io posso...

Vedo la tua pel e incresparsi sotto le mie dita che la sfiorano, intrappolate

nel a seta dei tuoi capel i.

– Sol etico? – soffio attraverso quel a morbida cortina.

– Sì! – rispondi trattenendo una risata e stringendoti appena nel e spal e,

rovinando il mio lavoro di drappeggio.

Sbuffo e il mio respiro scivola veloce sul a curva del tuo seno. – Ora devo
ri-

cominciare daccapo! – borbotto distogliendo lo sguardo che era corso


ancora più

giù. Una ciocca, poi un’altra, come materia da plasmare insieme al a luce
sul e tue

membra. Pel e sotto le mie dita che la sfiorano appena, piccoli tocchi che
diventano

carezze leggere corrono delicate dal seno al fianco, indugiano sul a


pienezza dei
glutei, risalgono lente lungo le cosce, fermandosi sul e ginocchia strette
l’una al ’al-

tra. Le al argo un poco e incontro il tuo sguardo, il tuo sorriso innocente e


malizioso

insieme. Scivolo con i polpastrel i sugli stinchi sottili, mentre gli occhi
divorano i

capezzoli turgidi, il ventre piatto che muore in quel a fessura calda tra le
tue cosce.

Ti stringo le caviglie con fermezza e, sol evandole, le incrocio, muovendoti


co-

me se fossi una bambola, avvertendo il tuo calore e toccandoti dove non


dovrei.

Percepisco il tuo sorriso, il brivido leggero che ti attraversa tutta.

– è bel o lavorare con te. – sussurri roca. – è come fare l’amore ogni volta.

365 racconti erotici per un anno

367

cOmE l’acQUa

28 dicembre

di Giuseppe Chiaia

Le gambe intrecciate, i piedi serrati l’un l’altro, le braccia protese, il


contatto

lieve degli avambracci pelle contro pelle, il danzare delle mani al a ricerca
dei
corpi, il morbido cedere al a pressione seguito dal ’incalzare del a figura
contro

la figura, le palpebre serrate, le labbra appena schiuse a esalare lentamente:


i

due praticanti volteggiavano in rapide evoluzioni, senza mai perdere il


contat-

to. L e vostre mani, i vostri piedi, questi sono i vostri veri occhi, aveva detto
loro

il maestro. Dovete fluire l’uno dentro l’altra, essere come l’acqua.

Stretti l’un l’altra in una soffice morsa, mentre lei cercava agilmente di di-

vincolarsi e contrattaccare. Lui si sorprese a saggiare con il petto il suo


piccolo

seno, i capezzoli duri. Me lo sto immaginando? si chiese.

Pensieri alieni al a disciplina marziale si facevano strada piano piano nel a

sua mente: prese a immaginare il corpo di lei sinuoso e nudo stretto contro
il

suo, il movimento ritmico e sostenuto delle reni e delle cosce e al


’improvviso

ciò che era mera pratica didattica divenne qualcosa di differente, qualcosa
di

piacevolmente fluido; i movimenti si fecero più rapidi a mano a mano che il

desiderio di essere una cosa sola si impadroniva di loro, la pelle morbida


delle

sue braccia premeva contro la sua producendo un tiepido attrito. I sensi


vola-
rono a sondare l’intera stanza mentre un fresco odore di sandalo gli
riempiva

le nari, sentì qualcosa sciogliersi tra le gambe, il suo turgore prendere forma

lento ma inesorabile; provò vergogna ed eccitamento al contempo, ma non

riusciva a fermarsi, non poteva smettere di cercare il suo corpo e i due


presero

a scivolare e a sfregarsi l’un l’altra cercando nuove vie per arrivare al


contatto

più completo. Lui infranse allora le regole: solo per un breve istante aprì gli

occhi e così li tenne giusto il tempo necessario per osservare il volto del a
sua

compagna; per un attimo vide le sua bocca schiudersi e la sua lingua


poggiarsi

lieve sul labbro inferiore. Ancora una volta la strinse a sé serrando le


braccia,

imprigionando quelle di lei, e ancora una volta lei prese a sfregarsi contro di

lui, indugiando questa volta sulle sue forme... poi fu un attimo. La bocca di
lui

fu contro la sua, in un bacio morbido, appena accennato, la sua lingua prese


a

danzargli sulle labbra ed egli si unì al a danza, scivolando sul a sua,


dolcemen-

te. Come l’acqua.

368
365 racconti erotici per un anno

l’affREscO

29 dicembre

di Ben Pastor

Sul e porte degli antichi bordel i, spesso un affresco

il ustrava la specialità del a ragazza che lavorava

in una specifica stanza, a beneficio dei gusti del suo

cliente... (Robyn Fox, Pompeii and Herculaneum)

Era l’incavo del piede, la curva del a caviglia. Non si vedeva altro di lei
sullo

sfondo di un colore sfuocato, come quello che si osserva talvolta dopo il


tra-

monto del sole, quando a oriente una nuvola rosa acceso, come una chiazza

che dilaga sul ’orizzonte, viene interrotta da una piccola nube grigio pallido.

Sembra bianca a causa del colore intenso su cui naviga, ma in realtà ha lo


stesso

tono cinerino del cielo tutt’intorno.

Non si vedeva altro di lei se non quel a piccola gamba tornita e lasciva sul

letto, quel bordo di materasso, farcitura bianca fra strati di tinta muffosa. La

gamba del ’antica cortigiana, d’un biancore d’avorio come quello delle
bambole
romane dalle piccole teste azzimate, snodate alle giunture, che si
deponevano

con una ghirlanda di fiori nelle tombe delle fanciulle morte anzitempo. E la

gamba di lui, forte, robusta; un ginocchio piegato ad angolo, così come


l’antico

cliente era stato ritratto, semidisteso con lei al fianco, o sopra. Un ginocchio

glabro e bruno, di quel bruno con cui i romani, imparando dagli egizi,
rende-

vano l’abbronzatura maschile, come se il maschio fosse esposto da sempre


alle

intemperie (tempo, vento, guerra, secoli) e la donna restasse bianca come la

spuma del latte, simile al caglio, o a una pecora mansueta nello stazzo, o al
a

faccia del a luna quando tramonta poco prima del ’alba, e pur nel chiarore
che

avanza da est, proprio per quello anzi, nel momento in cui sprofonda dietro
il

colle si accende d’argento contro il cielo del a notte sconfitta.

Quel che i corpi facessero – mani, bocche, muscoli – furiosamente o in ab-

bandono sereno, per il desiderio e la gioia di mercanti, soldati, stranieri, ma-

rinai che per quel a stanza e per quel letto erano passati, non è dato sapere.
Di

loro non resta neanche la salsedine, il sudore, né – di lei – l’ammiccamento


o il
sorriso. C’era, sul muro, quel a tinta sfuocata da cui emergeva la caviglia
color

di luna.

Così, così era quel ’agile gamba di donna, in quel letto perduto, in quel ’atto

perduto, per sempre contro il ginocchio bruno di lui, che forse gli piacque
for-

se no, forse mercanteggiò, forse pagò senza fare ritorno al bordello, ma


forse

tornò ancora e ancora, e fu l’amore stesso – al a fine – a cancel are dal muro

l’attimo mercenario.

365 racconti erotici per un anno

369

NON cOsì

30 dicembre

di Matteo Gambaro

Non era così che aveva desiderato la sua prima volta con lui.

Entrambi lo pensavano, ma lei lo disse per prima.

– Non così… – in un sussurro pieno di rimpianti.

Lui la guardò con gli occhi arrossati ormai privi di lacrime, ma non sapeva

più cosa rispondere. Lei era inginocchiata a cavalcioni su di lui, che le


affonda-

va nel a schiena dita forti e frementi d’indecisione.


Non così, facevano eco i suoi occhi, lo so, rispondevano quelli di lui, ma

insieme avevano deciso che era l’unica scelta possibile. Andarsene insieme,
al

loro primo appuntamento, senza sballi alcolici né droghe a obnubilare i


sensi;

andarsene nel pieno del a coscienza, carne nel a carne, vivendo il momento

senza scorciatoie.

L’enorme prato fiorito era costel ato di coppie seminude contorte in ogni

sorta di posizione. Alcuni piangevano, stretti in dolcissimi abbracci, ma i


più

erano impegnati in amplessi di sesso sfrenato o, talvolta, d’amore.

– Non qui… – disse ancora lei, più a se stessa che al bellissimo ragazzo che

l’aveva invitata a cena appena una settimana prima, ben sapendo che trovar-

si in altri quartieri in quel momento avrebbe significato morire per mano di

fanatici religiosi o pazzi d’ogni sorta. Quel prato era l’unica zona sicura,
quel

fazzoletto d’erba l’unica oasi dove prepararsi al a fine.

Sentì slacciare il primo bottone del a camicetta. Lasciò fare, senza voltar-

si, in conflitto fra paura e desiderio: era viva, poteva amare ancora
un’ultima

volta. Al ’ultimo bottone, la rabbia esplose in un pianto discreto; lei prese la

grande mano di lui e leccò via dal dorso le sue lacrime, poi gli morse piano
il
pollice e lo succhiò dolcemente.

Lui sembrava gradire, chiuse gli occhi e iniziò a sospirare.

Al ’improvviso il prato sparì con tutte le coppie in amore, rimasero soltanto

loro e la passione carnale che li stava lentamente pervadendo. In breve le


loro

mani scivolarono sulle zip dei pantaloni, che vennero lanciati lontano.

Scivolarono via veloci anche le mutande, restava solo l’erba umida sul a

pelle e loro stessi, pelle su pelle e, lentamente, carne nel a carne.

Lui si sdraiò, lei inginocchiata inarcò la schiena poggiando le mani sulle

sue ginocchia, accelerando il movimento senza pensare a nul a che non


fosse

sentire lui e amarlo fino in fondo prima che tutto finisse di schianto.

La passione li dominò per quei pochi eterni minuti e l’orgasmo arrivò im-

provviso, mentre tutto attorno le urla di panico iniziavano a farsi assordanti


e

una gigantesca sfera infuocata iniziava a solcare il cielo.

370

365 racconti erotici per un anno

I 365 mODI DEll’amORE

31 dicembre

di Sergio Cicconi
Con Gioia mi piace sperimentare. Mi aveva detto – Scoprimi! – un certo
nu-

mero di volte. – Scoprimi! – guardandomi con aria di sfida. Scoprire


significa:

togliere ciò che nasconde, protegge; rivelare, far capire, arrivare a


conoscere

ciò che prima era ignoto. Ogni volta ho provato ad accogliere la sua sfida
con

queste parole in mente.

L’ho scoperta con gli occhi guardandola nuda. Prima da lontano, poi da

vicino per rivelare certi dettagli. Con l’orecchio appoggiato al suo corpo ho

ascoltato i battiti del suo cuore, i misteri rumorosi del suo stomaco, il
fruscio

che produceva muovendosi tra le lenzuola. Mangiarla non potevo,


ovviamen-

te, così l’ho leccata, ricordandomi che era saporita, che certe parti di lei
erano

dolci, altre salate o aspre. Ho provato anche a toccarla con gli occhi chiusi,
così

che fossero solo le dita a dirmi di lei: la sua ruvidità, il calore. In quanto
agli

odori, be’, c’è un vocabolario intero di odori scritto su di lei; il mio


compito:

decifrarlo.

Ho anche provato a scoprirla più in profondità. Sottopelle. Con una lama,


aprendola un po’ fino a svelare i luoghi del ’incontro tra sangue e dolore, tra
pas-

sione e paura. Così sondavo anche i limiti del a sua voglia di essere
scoperta.

Oggi, però, mi ha fatto una richiesta nuova: – Coprimi!

Nei suoi occhi c’è l’idea che forse la deluderò. Sa bene che è facile coprir-

la con luoghi comuni: coprirla col mio corpo, coprirla d’amore. Di baci e di

carezze. Di ricchezza. Eccetera. O potrei coprirla di vestiti, ma anche questo

gesto, come gli altri, sarebbe solo la dichiarazione del a mia sconfitta. Da
me

Gioia si aspetta qualcosa di diverso.

Oggi è il 31 dicembre. Fuori nevica, è freddo. Dentro c’è Gioia nuda sul
letto

sfatto, in attesa di essere coperta. Rifletto a lungo su come soddisfare la sua

richiesta. Sul comodino c’è l’antologia dei “365 racconti erotici per un
anno”.

365 modi di declinare l’erotismo. Neanche il Kamasutra era arrivato a tanto.

365 storie per narrare l’infinita varietà di modi in cui ci si può amare,
toccare,

scontrare, affondare, farsi male, scoprirsi. Prendo il libro, lo apro, mi


avvicino

a Gioia e strappo la prima pagina. – Primo gennaio! – le sussurro. Appoggio

il foglio sul suo stomaco. Seni turgidi e glutei sodi e gambe spalancate fatte
di
parole incontrano la sua pelle.

– Tre gennaio! – le dico. Nuovo foglio su di lei. Altre parole sul a pelle.

Abbiamo un anno intero di parole davanti. Parole per coprirla con le


scoperte

degli altri. E Gioia sorride, e non c’è delusione nei suoi occhi.

365 racconti erotici per un anno

371

Finito di stampare nel mese di giugno 2010

per conto del a Delos Books srl – Milano

dal a Stampa Editoriale – Avel ino – Printed in Italy

Potrebbero piacerti anche