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"Scrivo per curarmi, per anestetizzare i pensieri e poterli osservare con calma.

Scrivo senza
tracotanza, in punta di tasti, ciò che vedo e sento. Mi arrivano prima le note, poi le parole in
ordine sparso che attendono coreografie e alla fine i miei maestri, solitamente uno alla volta. Mi
parlano di stile, di acume, di impellenza, di dedizione. La fantasia travolge i fatti che vivo,
l’ironia fa il resto. Godo di attese e rivelazioni, gestisco gli intervalli sulla pagina, governando
l’ispirazione. Gli esseri umani mi rendono creativo, i fatti di cronaca, gli amori non celebrati. La
teatralità di certe atmosfere, le ambivalenze, i giochi di ruolo. Scrivo per sottrarmi, per
nascondermi, per gettare ombre inquiete sulle certezze. Per allenare lo spirito critico, per
danzare con il cursore su piattaforme liquide, per settare i miei circuiti di decodifica. Scrivo per
non morire di noia, soprattutto, e per lasciare un clone di versi che intrattenga i miei figli
quando sarò irrimediabilmente scollegato." (C. De Rossi, Diar'Io)

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