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Autore: De Jennaro, Pietro Jacopo

Titolo: Rime e lettere


Pubblicazione: Roma : Biblioteca Italiana, 2003
Lingua: ita
Genere: Poesia
Periodo: 400

Descrizione fonte cartacea

Titolo: Rime e lettere


Autore: De Jennaro, Pietro Jacopo
Altra resp.: Corti, Maria
Pubblicazione: Bologna : Commissione per i testi di lingua, 1956
Record SBN: IT\ICCU\MIL\0073968

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IX

Canzone prima, ove dice avere vergogna de lamentarisi, ma perché sa che 'l suo amore è
chiaro, no nde cura niente, e cossì scrive sua passione, dicendo nel fine che quel che scrive,
verso quel che pate, è come dramma verso libra.

Vergogna affrena e gran dolore sprona


la stanca lingua a dir come mi sforza
Amor, che tien quel dentro et io la scorza
di questa miserabil mia persona.
Ma perché so che in ogni parte suona
l'angosciosa mia doglia,
non curo vulgarmente lamentarmi,
mostrando altrui l'inveterata piaga,
non già però ch'al mio soccorso s'armi
nissun, perché virtù mai d'arte maga,
né qual altra si vuoglia,
saldar potrebe sua crudezza immonda,
acerba et impia insino al cor profonda,
Io non so qual fortuna, sorte o fato,
o qual malegna tempestosa stella
vuoi ch'una donna disdegnosa e bella
tenga in poder mia vita a mai mio grato.
quella dal pueril mio primo stato,
con le sue chiome d'oro
e col viso lucente più che 'l sole,
mi punse il cor di speme e di disire.
Era in costumi, in atti et in parole
benegna sì ch'io mal seppi fugire
la face, ov'ardo e moro,
senza trovar giamai nulla mersede
a la mia tanta inextimabil fede.
Lasso, che poi un aspido divenne
al mio pregare, ond'io multiplicando
l'alta speranza, ebi da sperne bando
tal che volai com'ucel senza penne.
con altrimente a me dogliuso avenne
ch'al misero Fetonte ,
che tellus disdignò per troppo ardire;
cieco chi non discerne que' ch'è chiaro,
volendo alzarsi ove non può saglire!
Sì ch'a mie spese altrui piangendo imparo,
portando scritto al fronte
come senz'alma amando vive un core
e come un corpo non morendo more.
Ben mille volte Amor tiranno et agro
promise pace a la mia cruda guerra,
nanzi ch'io fusse tanto messo in terra
e tanto dentro al fuoco, ond'io mi flagro.
Po' che fui transformato in Menelagro,
non gli calse el mio male,
anzi pensò e pensa arder mio legno;
cui pregando mai truovo mersede,
né so pensar chi mi nde può far degno,
se non colei la qual amo con fede,
Bianca, donna immortale,
sagia, legiadra, onesta, alma e severa,
che sola al mondo degnamente impera.
Lei nulla extima quel che vede e sente
della mia vita abandonata e sola,
sì che col vento invio ogni parola,
chiamando el nome ch'al mio mal consente.
Amor n'incolpo, che vie più possente
mostrossi nel mio assalto
che Jove contro a Campaneo a Tebe,
el falzo, lusinghier, malvagio e crudo,
che solo lui questa mia sorte crebe,
ond'io rimango di soccorso ignudo,
amando un cor di smalto,
selvagio, fugitivo, a me fallace,
da cui non spero in vita aver mai pace.
Canzon, tu dir porai per ogni loco,
essendo domandata,
che quel ch'io scrivo, a mia ardente fiamma,
è como a libra comparando dramma.

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