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«Se c’è un modo per tornare indietro, io lo troverò», disse Harry Houdini in punto di morte.

L’illusionista
ungherese era, tra l’altro, anche un appassionato di spiritismo.

GLI INIZI

Erik Weisz era un illusionista, ma non è che riscuotesse tanto successo. La tecnica c’era, la passione anche,
ma mancava qualcosa. Forse un pizzico d’esperienza. Accantonò allora la nobile arte dell’illusionismo e
prese a esibirsi come escapologo. Lucchetti e catene, camicie di forza, botti ermeticamente chiuse (almeno
in apparenza). Houdini progettava fughe spettacolari che lasciavano il pubblico pagante col fiato sospeso. La
carriera da escapologo cominciò con un incontro. Martin Beck, uno showman rinomato ai tempi in cui
Houdini muoveva i primi passi, intravide il potenziale del giovane mago e lo inserì in un circuito di
spettacoli. Houdini prese a esibirsi nei teatri di mezza America ed in alcune location europee.

Quando tornò in patria, quattro anni dopo, era una leggenda vivente.

Dopo il praticantato, Houdini iniziò ad esibirsi negli Stati Uniti. Il nome stampato sulle locandine richiamava
il pubblico pagante. I teatri si riempivano con sorprendente facilità. E il prezzo del biglietto valeva lo
spettacolo. Harry si liberava da grappoli di catene, da coppie di manette che gli intrappolavano polsi e
caviglie e da lucchetti grossi come teste di neonato. Il numero che lo rese celebre si chiamava “la cella della
tortura cinese dell’acqua”, e comprendeva una cassa di vetro piena d’acqua. Houdini si lasciava legare
come un salame. Un assistente lo legava per le caviglie ad una corda e lo calava lentamente nella vasca. A
testa in giù, legato dal collo alle caviglie, Houdini riusciva a liberarsi in un lasso di tempo irrisorio. Il numero
strappava sempre esclamazioni di stupore, applausi e sospiri liberatori quando il mago scostava il sipario e
appariva gocciolante sul proscenio.

SPIRITISMO

Dopo la morte della madre, Houdini si dedicò ad una particolare attività. In giro c’erano molti ciarlatani.
Alcuni di questi asserivano di avere abilità soprannaturali, tra cui quella di parlare con i morti. Houdini, che
conosceva l’arte della prestidigitazione, decise di metterla al servizio della verità e degli ingenui clienti
spellati da medium e parapsicologi. Harry usava partecipare alle sedute spiritiche, portandosi dietro ufficiali
di polizia in incognito. La sua carriera di acchiappafantasmi andò avanti per un pezzo e con risultati più che
buoni (Houdini riusciva a riprodurre la levitazione dei tavolini e altri trucchi che i medium usavano), ma finì
per procurargli un’inimicizia illustre. Arthur Conan Doyle, padre di Sherlock Holmes e spiritista convinto, si
scagliò a più riprese sui resoconti di Houdini. Il rigore con cui Conan Doyle difendeva le ragioni degli spiritisti
era legato probabilmente ad un evento che segnò la vita dello scrittore: la morte del figlio. È difficile
riparare certe crepe dell’anima. Forse Doyle covava la segreta speranza di rivedere il figlio morto in guerra e
di parlare con lui un’ultima volta. La verità che Houdini gli sbatteva in faccia quando smascherava una
nuova truffa doveva mandarlo ai pazzi. Pensare che persino Conan Doyle non fosse immune al fascino di
certi desideri morbosi è una cosa che fa riflettere. E pensare che il vecchio Holmes, un tizio tutto d’un pezzo
e prosaico come pochi, non l’avrebbe appoggiato, fa riflettere due volte di più.

La missione di Houdini si basava su un semplice assunto: le credenze legate allo spiritismo rappresentavano
un pericolo per l’uomo medio. Se certe bugie ti si incollavano addosso, finivi inevitabilmente per crederci. E
certi tarli finivano per consumarti il cervello. Harry ci si mise di impegno e fino a che l’ultimo respiro non lo
abbandonò, continuò la sua caccia serrata.

MORTE

Un giorno Houdini era nel camerino del teatro dove avrebbe dovuto esibirsi. Mentre ripassava la scaletta,
qualcuno bussò alla porta. Harry si alzò e andò a vedere. Un gruppo di studenti si accalcava sulla soglia. Uno
di loro gli chiese se davvero sapesse reggere i colpi all’addome come aveva raccontato nel corso di
un’intervista e, senza aspettare una risposta, gli scatenò addosso una gragnuola di cazzotti. Impreparato a
riceverli, Harry incassò i colpi e stette male per tutto il pomeriggio. La sera si esibì e il giorno dopo chiese di
essere ricoverato perché il dolore non scemava. Morì per la rottura dell’appendicite. L’infezione si propagò
in fretta e non esistevano antibiotici in grado di curarla. Prima di morire concordò con sua moglie una sorta
di messaggio in codice. Se un medium avesse provato a mettersi in contatto con l’anima dell’illusionista, la
donna avrebbe potuto smascherarlo chiedendogli cosa si erano detti in quegli ultimi momenti.

Molti medium affermarono di aver evocato lo spirito di Houdini, ma solo Arthur Ford diede prova
dell’avvenuto contatto. Lo spiritista mise in piedi uno spettacolo che culminò con la trasmissione del
messaggio cifrato che Harry e sua moglie Bess s’erano scambiati. Bess confermò l’esattezza del messaggio
ma subito dopo ritrattò. Come avesse fatto Ford a carpire l’informazione è ancora materia da dibattito. I
fatti dicono che Ford era un ottimo investigatore. Raccoglieva informazioni dai giornali e da altre fonti
attendibili, li metteva insieme e creava una sorta di biografia. Poi organizzava le sedute e metteva in piazza
tutto il materiale raccolto. Secondo alcuni investigatori che si interessarono alla sua attività, era un abile
artista della frode.

Per quanto riguardo Houdini, la teoria della milza spappolata dai pugni non è tra quelle accettate. Forse
perché una leggenda non può morire in modo tanto banale. Che gli spiritisti l’abbiano avvelenato, quello è
materiale per una grande uscita di scena: l’ultimo numero di uno che a modo suo barava, rendendo tutto
spettacolare.

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