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Rodolfo Tortario è vissuto tra XI-XII secolo è autore di una serie di opere in versi che ci

sono pervenute in unico testimone manoscritto che è il manoscritto Vaticano Reginense latino
1357. Fino a pochi anni fa si riteneva che questo autore avesse avuto una vita non lunga e che fosse
vissuto non oltre il 1113-1114 essendo nato nel 1063-1064, tuttavia recentemente uno studioso
francese Franz Dolveck ha eseguito un’indagine capillare sul manoscritto ed ha formulato che
Rodolfo abbia avuto una vita molto più lunga rispetto a ciò che si credeva e che sia morto non
prima del 1142 dopo aver trascorso un soggiorno nell’abbazia di Cluny anzi proprio a Cluny Rodolfo
avrebbe commissionato l’allestimento del codice Vaticano in cui sarebbero confluite le opere da lui
scritte in precedenza a Flerì. Dolveck fissa la data di morte di Rodolfo non prima del 1142 perché
pare che Rodolfo abbia scritto un epitaffio a Pietro Abelardo, Pietro il venerabile di Cluny, che è
morto appunto proprio il 21 aprile del 1142, il che vuol dire che Rodolfo è morto certamente non
prima del 1142.

DE MEMORABILIBUS = è un’opera ispirata ai Facta et Dicta


Memorabilia di Valerio Massimo, anche se quest’ultimo non viene mai citato come modello ;
Tortario racconta eventi memorabili rielaborando appunto i Facta et Dicta Memorabilia, anche se
in realtà abbiamo prova del fatto che sì Valerio Massimo è sicuramente il modello base, ma l’opera
di Tortario non segue pedissequamente Valerio Massimo, bensì sceglie quali episodi di Valerio
Massimo presentare nella sua opera e in che ordine presentarli, e inoltre inserisce anche degli
episodi che Valerio Massimo non presenta nella sua opera, come ad esempio il racconto dei 4 diluvi
che apre il primo libro dopo il prologo; ma sono tante in realtà le fonti di Rodolfo Tortario,
possiamo citare Virgilio, Tito Livio, ma anche Fulgenzio e i suoi Mitologiarium, libri
soprattutto in relazioni alle muse perché tutti i miti si aprono con un prologo dedicato a una musa.
L’opera è tramandata da un codex unicus che è il Vaticano Reginense latino 1357 eseguito
nel XII secolo che riporta anche altre opere che Franz Dolveck ha attribuito con certezza a
Rodolfo Tortario; è un’opera in 9 libri proprio come è in 9 libri quella di Valerio Massimo; l’opera
è in distici elegiaci e in rima leonina; la particolarità è che ogni libro è preceduto da un prologo di
5 distici in cui c’è l’INVOCAZIONE A UNA MUSA, L’invocazione alle muse è un topos perché le
muse sono protettrici della poesia e questa costituisce una tappa obbligata nel proemio classico
diviene marginale nelle opere medievali e completamente rifiutata nella letteratura cristiana, ma
ritorna in auge con Marziano Capella, questa invocazione diviene uno strumento indispensabile al
poeta per raggiungere la fama eterna.
Il De Memorabilibus di Rodolfo Tortario è un’opera completamente trascurata dagli
studiosi e ciò si deve al fatto che l’opera è stata più che altro considerata come un esercizio di
scuola e in massima parte come una pedissequa riscrittura in versi.
EDITORI E PIETRO ABELARDO = Delle opere di Rodolfo Tortario
possediamo un’edizione critica effettuata nel 1933 a Roma da due editori Ogle e Shulliann,
questi testi stampati risultano inseriti secondo l’ordine in cui compaiono nel codice, il De
memorabilibus, le Epistulae ad diversus, si tratta di 11 lettere in distici elegiaci indirizzate a
diversi destinatari, la Passio beati mauri, l’Imnus in onore beati mauri in cui si tratta del
martire Mauro, i Miracula Sancti Bendicti e oltre a questi che appunto i due editori
attribuiscono con certezza a Rodolfo, il codice contiene in realtà anche quattro composizioni che gli
editori hanno ritenuto di autore incerto e sono indicati come poemata incerti auctoris e le
hanno inserite nella parte finale dell’edizione. In realtà poi Dolveck ha attribuito a Rodolfo Tortario
anche l’Epitaffius Petri Abalairdi, l’Elogium Petri, quindi il primo un breve epitaffio di PIETRO
ABELARDO e l’elogio di un tale Pietro, personaggio che è da identificare con Pietro il venerabile o
Pietro di Cluny, l’Elogium cliunaci appunto l’elogio di Cluny e poi un poemetto intitolato De ovo,
un componimento di 30 esametri il cui tema è la deposizione delle uova. Tutti questi poemetti
tranne il De ovo presentano un legame con Cluny perché Pietro Abelardo, nella sua travagliata
esistenza ebbe negli ultimi anni di vita ebbe un contatto con Cluny e proprio qui morì il 21 aprile
1142 e proprio al 1142 Franz Dolveck fa riferimento e sostiene che Rodolfo è vissuto almeno fino al
1142.
Quindi siamo di fronte a un ms., che riporta completamente il corpus delle opere di Rodolfo
Tortario, come poi è testimoniato anche dal secondo epitaffio che si trova all’inizio dell’opera in cui
appunto c’è scritto che l’intero corpus delle opere di Rodolfo Tortario lo si può trovare all’interno di
questo ms., che sicuramente non è autografo ma forse idiografo, e quindi è stato composto da un
suo collaboratore quando Rodolfo era anziano ma pur sempre sotto la sua sorveglianza.

PASSO 1 = è tratto dal prologo. Nel prologo del 1 libro Rodolfo dice subito,
rivolgendosi al lettore ma più nello specifico riferendosi al suo amico Guarniero Burdone “noster
amice”, che il suo intento è quello di decerpere flores cioè di creare un florilegio, però è
interessante il fatto che utilizzi proprio questa iunctura, decerpere flores, che è una iunctura
classica che affonda le sue radici nell’epistola 84 di Seneca a Lucilio, è l’immagine degli autori
paragonati alle api, così come le api vanno di fiore in fiore a cogliere il polline così gli autori
rielaborano l’opera in un’opera originale, ed è quello che fa Rodolfo nel De Memorabilibus.
Abbiamo detto che si rivolge a un “noster amice” e noi sappiamo che si tratta di Guarniero
Burdone a cui Rodolfo indirizza l’epistola prima (la prima delle undici epistole indirizzate a
diversi destinatari). Proprio in chiusura dell’epistola prima Rodolfo preannuncia al suo amico
l’invio del De memorabilibus, infatti, è una dichiarazione di poetica in cui Rodolfo si diffonde
sul valore della poesia e recupera una serie di esempi tratti dal passato e anche qui si rivolge al suo
amico e dichiara di aver deciso di comporre un florilegio in versi.

Importante in questo passo è la lezione LENTIS, lentis che forse sarebbe da correggere in
MENTIS e questo perché la iunctura, il collegamento fra lentus e fluctus in realtà è poco attestato
nella letteratura, non c’è nessuna attestazione e quindi è meno probabile che sia lentis; l’aggettivo
lentis qui potrebbe essere tollerato se inteso nel senso di tenace oppure con valore causativo
ovvero che rallenta il pensiero, però non si può escludere che lentis sia una corruttela proprio per
impulso del successivo fluctibus; mentre la lezione mentis forse è più corretta perché innanzitutto
la iunctura mens con fluctus è più attestata, ad esempio in Seneca, in Boezio, in Apollinare, e sta
per perturbazione dell’animo, inoltre a favore di mentis c’è il fatto che Rodolfo Tortario utilizza
molto spesso l’anafora e il poliptoto, ovvero la ripetizione di due parole coniugati in casi diversi:
quindi in questo caso troviamo mens nel primo verso ed è allora probabile che ci sia mentis.
Questo è l’usus scribendi di Rodolfo Tortario, utilizza molto spesso l’anafora, il poliptoto,
l’allitterazione, l’omoteleuto quindi la ripetizione, e ad esempio proprio in questo brano abbiamo
dum – dum, scripsi – scripsi, tibi – tibi, hic – hic.

La iunctura “flores decerpere” significa cogliere fiori e indica l’operazione di raccogliere solo
alcuni passi da una o più opere mentre “metrico pollice” è un sintagma che designa la forma
metrica che intende dare alla propria opera.
Nella letteratura classica e medievale occorrono solo tre casi in cui l’espressione flores decerpere
ricorre insieme al sostantivo pollice, tuttavia, il nesso metrico pollice sembra essere una creazione
originale di Rodolfo non essendo documentato in altri contesti. Nei due distici successivi Rodolfo
dapprima enuncia brevemente la materia e poi ribadisce il contenuto dell’intera opera tratta di
argomenti memorabili, di cose dette e fatte in modo retto, malvagio e astuto. L’espressione
“decerpere flores” è ben attestata in autori classici come Lucrezio, Lucano e autori di età medievale
con il topos del processo di mellificazione delle api che colgono il polline da fiori diversi e poi
lo combinano per dare vita a qualcosa di originale.

Il prologo si chiude con l’invocazione alla prima delle nove muse, Clio, la musa della storia a cui il
poeta chiede assistenza, ma qui c’è già un altro elemento che ci dà idea della maniera in cui Rodolfo
compone la sua opera. Egli non solo recupera delle iuncture che si ritrovano già in autori classici e
medievali fondendole con altre espressioni, ma anche in relazione alla descrizione di Clio come
pure delle altre muse, Rodolfo si ispira ai Mitologiarum libri di Fulgenzio, il quale nel 15esimo
capitolo del libro I parla proprio delle nove muse con procedimento retorico
dell’INTERPRETATIO NOMINIS, che è un canonico procedimento retorico che consiste nella
scoperta e nell’utilizzazione del valore simbolico dei nomi dei personaggi, degli omina nei nomina
(nomen omen), perché il nome non è altro che un segno trasparente. La poetica dei nomi riflette un
processo semantico in cui si affermano le caratteristiche dei personaggi, la loro funzione e la verità
letteraria. Nel Medioevo il punto di partenza teorico che definisce la pratica dell’interpretatio
nominis si ritrova nelle Etimologie di Isidoro di Siviglia e c’è un principio che è quello delle cose
correlate ai nomi.

PASSO 2 = Questo è il passo relativo all’episodio della fiammella sul capo


di Servio Tullio fanciullo mentre dorme.
C’è questo ANTIQUE che risulta essere una corruttela, dove in realtà la lezione corretta è Anci
que, innanzitutto la rettifica sul ms., ci dice che appunto la lezione messa a testo dagli editori Ogle
e Shullian non è quella corretta, è un errore tipografico dell’edizione del 1933: questa lezione
antique è proprio insostenibile perché non ci sarebbe modo di spiegarla, questa parola non è altro
che il risultato di un’errata lettura del manoscritto da parte dei due editori, i quali durante la
trascrizione del testo non si sono preoccupati di andare a verificare la fonte e hanno letto come ti
quello che sul codice è il nesso ci e per di più hanno ritenuto erroneamente che si trattasse di una
parola unica appunto antique, parola che sintatticamente non è collegabile con nessun altro
termine; infatti abbiamo anci dal genitivo femminile e poi quel quae che è un pronome relativo che
essendo femminile è riferito ovviamente a Tanaquilla del verso precedente e che quindi antico non
ha alcun senso logico sintattico, perché appunto è un femminile, e subito invece dopo troviamo un
regis che è un maschile quindi non c’è concordanza di genere.
In più il confronto con la fonte, cioè Valerio Massimo con i Facta et Dicta Memorabilia,
notiamo appunto che Valerio Massimo ci informa che Tanaquilla fosse la moglie di Anco Marzio,
ma questo è un errore, Tanaquilla è sposata con Tarquinio Prisco, ma ovviamente Rodolfo Tortario
riprende la fonte di Valerio Massimo quindi sbagliano entrambi in questo.

Al terzo verso troviamo poi IN CUNIS, deriva dalla storia di Platone infante raccontata da
Valerio Massimo in 1,6 externa 3 in cui appunto si racconta che Platone nella culla venne
accerchiato da queste api che instillarono del miele sui labruzzi del piccolo Platone.

Del modello di Valerio Massimo riprende la storia, e cioè riprende il fatto che Servio è nato da una
serva, ma che poi Tanaquilla lo prese con sé e lo educò come un figlio, preparandolo così ad essere
re.

Per quanto riguarda la forma alcune espressioni sono tratte dal II libro dell’Eneide di Virgilio (2-
689 e seguenti), e in particolare vediamo al 4 verso questo praelambens che rende la iunctura
làmbere di Virgilio, o ancora sempre allo stesso verso quel teneras comas che corrisponde in
Virgilio in mollis comas che sarebbero le tenere chiome, poi ancora nil nocitura in Rodolfo
Tortario corrisponde al tactùque inoxia di Virgilio che sarebbe “senza procurargli danno”, e poi
ancora la iunctura flamma coronat rende la iunctura flamma emicuisse in Valerio Massimo e
circum tempora in Virgilio.
CAPACITÀ DIVINATORIE DI TANAQUILLA = Quest’informazione che
Rodolfo Tortario aggiunge su Tanaquilla che è in grado di prevedere il futuro deriva da Tito Livio,
sembra infatti essere stato proprio lo storico romano il modello in relazione alle capacità
divinatoria di Tanaquilla perché è proprio Tito che accoglie la tradizione che attribuiva alla regina
delle doti profetiche. Mentre la qualifica di sterilis che Rodolfo attribuisce a Tanaquilla trae
origine dall’idea che la regina fosse necessariamente senza figli per aver adottato Servio Tullio.

PASSO 3 = è il passo in cui Rodolfo descrive i quattro diluvi che si


riversarono sulla terra a cominciare dal diluvio universale a cui segue la descrizione degli altri tre
diluvi abbattutisi su zone limitate. Questi tre diluvi si verificano uno in Acaia, uno in Tessaglia e
l’altro in Italia centrale di cui ci narra Isidoro e quindi l’apprendiamo grazie a lui.
Al verso 8 la lezione TERRUGENAM è una corruttela tipografica perché in realtà è
TERRIGENAM.
E poi al verso 9 va chiarita anche la lezione CALLOSIUS: nel contesto callosius non c’entra
nulla, quindi non è collegabile a nulla, però siccome nel verso immediatamente precedente e nei
versi successivi sta parlando di esseri giganti, Titani, Tizio, questo Herculius, che hanno appunto
delle strabilianti capacità fisiche, eppure nonostante fossero dotati di un enorme corporatura non
sono riusciti a sopravvivere al diluvio, il che potrebbe far pensare che anche callosius rinvii ad un
personaggio con queste stesse caratteristiche, che abbia quindi straordinarie capacità fisiche,
ovvero Colosso, e come apprendiamo di Colosso? Abbiamo detto che non è Valerio Massimo la
fonte in questo caso perché non c’è un passo parallelo a tal proposito, allora apprendiamo di
Colosso da un liber, il Liber monstrorum in cui c’è proprio un capitolo in quest’opera dedicato
a Colosso, infatti De colosso è il titolo appunto del terzo capitolo dell’opera. Si racconta che aveva
una mole gigantesca che superava tutti quanti gli uomini in altezza e che morì nell’acqua del Tevere
dopo essere stato ferito, ma perché ci interessa questo Colosso, perché se andiamo a prendere la
tradizione manoscritta, quindi i manoscritti che tramandano questo Liber monstrorum notiamo
che nei manoscritti A, E, C, Colosso è riportato come colosio, e in tutti i ms, il nome Colossus viene
riportato come colosius; tra l’altro soprattutto il ms., C è molto importante perché questo ms.,
probabilmente è stato consultato dallo stesso Rodolfo Tortario in quanto è legato all’abbazia di
Flerì e noi sappiamo quanto Rodolfo sia legato all’abbazia di Flerì.
Quindi come siamo però arrivati a callosius? Probabilmente Rodolfo leggeva colosius e ha aggiunto
una L per ragioni prosodico-metriche ed è così diventato callosius, mentre la sostituzione di O con
A è forse da imputare ad una svista di un copista.

Un’altra informazione su questo brano riguarda il fatto che Rodolfo Tortario ci dice che Colosso
tenta di attraversare a piedi il vasto mare, questa informazione però non ci viene riportata dalla
storia di Colosso nel Liber monstrorum ma da un altro passo del Liber monstrorum che è la Storia
dei Giganti, quindi De Gigantibus, che si dice che fossero appunto in grado di valicare a piedi i
mari; quindi questa informazione su Colosso deriva sempre dal Liber monstrurum ma dal
paragrafo dei Gigantibus.

Poi c’è da fare anche riferimento ad Herculium la cui origine non è possibile chiarire con
precisione perché non ci sono degli elementi sicuri per poter chiarire effettivamente l’origine di
questo nome. Non si può stabilire se questo personaggio che nonostante la difformità del nome
Herculium sia da identificare con Eracle che è un mitico eroe che Rodolfo cita non solo nel De
memorabilibus, ma anche nelle Epistole. Non si può quindi fare chiarezza su questo punto ed è da
scartare in ogni caso l’identificazione sia con Massimianus Herculeus, che fu Cesare dal 285 oppure
ancora potrebbe essere il prefetto del pretorio Herculeo, ma anche questo non si sa; quindi quando
non si hanno degli elementi probanti su una determinata operazione è opportuno sospendere il
giudizio in attesa di ulteriori elementi utili alla soluzione del problema.

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