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Il Manifesto 14.01.

2010 L'ESTETICA DEL TRANSITO NELLE CREPE DEL MONDO


Immagini DELL'ALTROVE di Iain Chambers Al posto dell'occhio sapiente dell'umanesimo occidentale, da cui ogni conoscenza muove per ritornare e chiudersi, sarebbe il caso di adoperare figure artigianali pi umili e immediate. Come quella del disc jockey che, senza pretendere di inventare nuovi linguaggi, si limita a rimaneggiarli, cercando di individuare percorsi incerti, di trovare ritmi inediti. Un'anticipazione dall'ultimo numero della rivista Parol L'arte, come insegna Maurice Blanchot, l'opposto del potere: una alterit che resta irriducibile al potere. In questo senso, l'arte d voce a un mondo che una razionalit disincantata cerca di sradicare dalla conoscenza. Nel proporre il rifiuto incessante di concludere e con ci accettare lo stato attuale delle cose, l'arte propone uno spaesamento. Nel respingere l'ancoraggio dell'oggettivit fissa, l'opera sempre in partenza verso un altrove sconosciuto. L'arte non conquista la razionalit, ma l'attraversa, proponendo un altro spazio dove l'interrogazione della volont sulla finalit viene deviata, piegata, dispiegata. Da qui emergono sia l'autonomia sia la politica dell'arte. Forse questa prospettiva ci aiuta a capire perch le distinzioni di genere tra i fatti e le finzioni, tra il documentario e la rappresentazione immaginaria, tra l'arte e l'antropologia, tra la poetica e la prosa del quotidiano, scivolano verso uno stato pi fluido che rivela, racchiusa nella condizione precedente di distinzione, l'autorit non incline a considerare le pulsioni estetiche ed etiche che eccedono il suo dominio. Con questa prospettiva in mente posso trovarmi in navigazione per il Mediterraneo e la modernit, approdando alla questione dell'arte, spingendomi in viaggio sotto il vento inquisitorio della memoria. A questo punto emerge dall'arte stessa la tempesta turbolenta del sublime, dove la bellezza di linguaggio, suono e immagine, elaborata in una vita crudele, ferita dall'oblio, dall'ingiustizia e dall'esercizio brutale di poteri arbitrari. Si delinea qui una poetica scomoda e inquietante che promette di disturbare e deviare la configurazione sedimentata nel senso scontato, per spingerla verso i territori moribondi di una topologia pronta a essere abbandonata. In questa ottica, l'opera d'arte, nel richiamare l'altrove, l'alterit, propone e promuove qualcosa che eccede l'atto dell'essere appropriato. Era la seconda giornata, verso sera, quando abbiamo incontrato il poeta. Alto, abbronzato e con un codino, lui ci ferm sul sentiero per chiederci da dove venivamo. Santa Cruz: aah, il paese di quella gran poetessa Adrienne Rich. I nomi - Robert Duncan, Gary Snyder - cadevano sui prati delle montagne. Italia... Parlando di Fellini, il poeta del cinema, ci siamo ritrovati nell'atrio dell'Hilton di Beverly Hills nel 1952 per raccontarci come l'arrivo di Anita Ekberg faceva fermare tutto. (...) Quella sera, passando lungo il sentiero vicino alla sua tenda, abbiamo sentito il ritmo misurato della poesia che arrivava da un mangianastri. Sotto le stelle, i nostri sacchetti appesi agli alberi lontani dagli orsi, le parole restavano sospese nell'aria dell'alta montagna: il ritorno... la ripetizione... la replica... (Appunti da un viaggio nel Kaiser Wilderness, Sierra Nevada, California, giugno 1994). Come scheggia del tempo che apre uno squarcio sull'altrove, l'arte interrompe e interroga qualsiasi inquadratura che cerchi di radicare il mondo nel senso fisso o assoluto di s. L'arte - quella che entra ed esce dall'inquadratura - dunque l'interrogazione dell'atto di inquadrare il mondo, l'intervallo che evita la riduzione di una rappresentazione razionalistica, ossia trasparente ai nostri sensi. I detriti della metropoli Forse questa immagine del mondo, che secondo Heidegger nasceva per la prima volta con la modernit, forse questo modo di inquadrare tutto secondo il punto di vista singolo, astratto e universale del soggetto umanistico che l'insistenza dell'arte fa incrinare. Qui il mondo oscilla sulla soglia di un archivio poroso e un'eredit misconosciuta, da cui emerge la continua minaccia critica dell'opacit. Qui, come ci suggerisce Benjamin, l'analisi che orbita attorno alla continua conferma dell'occhio perde di senso in confronto al linguaggio, che pone perpetuamente il transito di una traduzione che sfugge a qualsiasi arresto soggettivo. nell'estetica del transito, nell'insistere del mondo stesso, che l'opera d'arte svela la precariet della verit e la storicit radicale del suo accadere (Beatrice Hanssen, Walter's Benjamin's Other History. Of Stones, Animals, Human Beings, and Angels, University of California Press, 2000). Nel rendere sospetta la metafisica dell'Arte, l'opera annuncia la morte di qualsiasi umanesimo. Tra i limiti del linguaggio, i confini della rappresentazione e la promessa del non-detto, e la storia del silenzio che avvolge ogni linguaggio e la sua rappresentazione del mondo, l'arte fa emergere la tensione tra il conscio e l'inconscio, tra la chiusura della certezza e la vulnerabilit dello sconosciuto. L'arte propone un percorso destinato a rendere tutto incerto. Incamminandosi nelle ombre gettate dall'opera d'arte, la presunta omogeneit discorsiva della politica, dell'identit, della storia stessa, si annuncia invece come luogo del

raddoppiamento, del perturbante e della dispersione. L'unicit desiderata dal soggetto umanistico si scontrata con altri desideri, altre ragioni, altri... Il suo punto di vista universale dislocato e disperso in un corpo, in una formazione storico-culturale... in transito. Il mondo si frantumato in diverse geografie, ognuna il luogo di sensi e direzioni diversi. William Blake pretendeva di raccogliere il mondo in un granello di sabbia, Walter Benjamin cercava nel frammento urbano, nei detriti della metropoli, il sintomo di una costellazione che illuminava il senso del tempo della modernit. Tolta dalla sua astrazione metafisica, l'arte si ritrova nel viavai del mondo, i suoi linguaggi promuovono un tragitto tra l'ordinario e lo straordinario, aprendo una spaccatura nel tessuto del quotidiano. Come interrogazione l'arte vera, non quella superficiale dell'abbellimento, fa vacillare le cose domestiche con l'annuncio dell'estraneo, della presenza inquietante di qualcosa che non si riesce a vedere o mettere a fuoco. L'arte rivela in s la sollecitazione dell'alterit e la fuga del senso nell'altrove; con ci essa si offre come il cancello sul futuro ed annuncia il futuro prossimo nell'accadere ora: il Jetz. Qui, per esempio, nel contesto del festival Sintesi della musica elettronica che si svolge a Napoli, si vive l'esperienza di salire lo scalone massiccio di un edificio barocco mal illuminato, per poi uscire dalla luce gialla, crepuscolare, e ritrovarsi bagnati dalle onde di suoni elettronici nell'istante in cui il futuro investe il passato. Citare il tempo in cui accade la fusione transitoria tra il passato e il presente nella configurazione del futuro significa insistere sul tempo come limite della mortalit dove ci si ritira dal compito violento di inquadrare, e perci disciplinare, il mondo secondo le esigenze idealistiche del soggetto onnipotente. Indagare sui linguaggi e nei linguaggi - visivi, musicali, letterari, critici - che tale rappresentazione impiega (e, allo stesso tempo, nega) offre a tali linguaggi la possibilit di prendere un altro cammino. Insistere sulla valenza ontologica dell'arte significa non solamente ripristinare i margini inosservati della vita quotidiana, ma soprattutto rifiutare quell'inquadramento che cerca di rendere il mondo trasparente, vuoto e perci pronto a essere gestito dalla logica unica e universale che stabilisce il suo senso, e quindi la conferma del soggetto che si impone sul vuoto che ha prodotto. L'arte propone un senso diverso, in transito, aperto, un sens, una via per cui ci si incammina senza la garanzia della comprensione piena, completa, finale, concludente. Al posto dell'occhio sapiente e universale dell'umanesimo occidentale da cui ogni comprensione parte per ritornare e concludersi, forse sarebbe il caso di adoperare la figura artigianale pi umile e immediata del Disc Jockey. una figura che non pretende di inventare le cose, che non pretende che i linguaggi partano da lui o lei, ma solo di rimaneggiare i linguaggi, cercando di farne un nuovo ritmo, una nuova figura, sforzandosi di individuare un percorso incerto che riconosce che tutti i linguaggi ci precedono e ci eccedono. Dentro un tempo piegato Qui il tempo-spazio della modernit stessa, quel tempo-spazio omogeneo e vuoto che sta aspettando l'arrivo del progresso, viene piegato e rielaborato in modo vario per permettere che emergano dalle sue ondulazioni altri tempi, altri luoghi, altre storie. Citare il passato in questa chiave ci invita ad abbandonare uno storicismo per cui la Storia intoccabile, racchiusa in s, che ci rende vittime di un destino gi deciso alle nostre spalle. Citare il passato come luogo di frammenti sospesi e rivisitati nell'operato dell'arte significa recitarlo per svelare i percorsi contingenti che ci chiamano indietro mentre ci portano in avanti. La memoria... di un'infanzia berlinese, di un giardino zoologico, di una citt dove perdersi, come ci si perde in una foresta, un'arte da conquistare (Walter Benjamin)... di un'adolescenza a Belfast, dove si sentiva il silenzio alle undici e mezzo nelle lunghe notti estive, mentre suonava Radio Luxemburg e le voci sussurravano sul fiume di Beechie... (Van Morrison). Qui la memoria come linguaggio dell'ora offre un tempo piegato per spiegarsi nelle scintille temporali, temporanee... Qui, nel canto di Van Morrison, un corpo maschile si articola e si trasmette attraverso la musica: l'insistenza della voce, la grana direbbe Roland Barthes, richiama dei limiti, mentre contemporaneamente si estende oltre, quando la voce scende nella respirazione del senso, nell'essere e nell'infinito del suono. Mi trovo ancora in California, al sud di Big Sur, osservando l'oceano attraverso i pini, nella speranza di avvistare delle balene, e nel mio orecchio intimo sento un'altra canzone: Foghorns blowing in the night/ Salt sea air in the morning breeze/ Driving cars all along the coastline/ This must be what it's all about... (Van Morrison, So Quiet in Here, Enlightenment, Polydor 1990). Il tentativo di spiegare tale musica richiede un'attivit destinata a fallire, destinata a cadere prima di arrivare all'oggetto desiderato; significa trovarsi a mormorare davanti all'indicibile. Allora, come mai si scrive di queste cose? Forse puramente per lasciare un segno, lasciare una traccia, collegarsi a un suono e al sogno che esso dissemina nella sua scia, e cercare l un passaggio nel mondo. La canzone non significa qualcosa di preciso. Essa un evento sonoro dove l'accidentale e l'intenzionale sono congiunti. Non si tratta di un'appropriazione verbale, di un tentativo di spiegare e rendere trasparente il suono come se fosse un nucleo di senso e intento stabile. Si tratta, invece, di

cercare nel passaggio del suono, nel frammento che arriva alle mie orecchie, una risposta che sollecita il mio, il nostro, senso di essere. Prospettive dislocate Tutto questo significa ancorare il proprio sapere in un modo diverso e accettare che il carattere incompleto, piegato e aperto del paesaggio offra un senso diverso del proprio posto nel mondo. Se la prosa pretende una sequenza lineare, una traduzione trasparente e la riconferma di chi parla, la poetica, l'intraducibile, ci offre il discorso frammentario, spesso opaco: un viaggio lungo uno spiraglio che tende verso l'infinito. Renderci conto di questo connubio complesso, non significa solamente radicare la storia in una maniera diversa, anche un invito a rompere la barriera tra storia e poetica. Da questo movimento emerge la dispersione e la dislocazione della prospettiva del soggetto dell'umanesimo occidentale. (...) Qui si passa dall'appropriazione del mondo sostenuta dall'insistenza grammaticale di una logica lineare, che parte dal soggetto per concludersi e chiudersi nell'oggetto, a una comprensione composita, frammentaria, sostenuta dagli elementi in cui ci muoviamo - il paesaggio, l'aria, il terreno sotto i piedi, l'acqua intorno, il vento sulla faccia, i segni nella strada, i rumori nella notte, il sangue che canta nell'orecchio: una poetica del luogo, una intensit storica che precede e eccede lo spazio astratto nominato dalla Storia. Si passa dalla verit come propriet statica, atemporale, sradicata e metafisica, dove lo spazio risulta vuoto e neutrale e l'ambiente fornisce solamente uno sfondo per gli atti della ragione, a un ambiente carico dove linguaggio e essere sono inscritti nel profilo del paesaggio, nell'insistere dei suoni, delle situazioni e dei luoghi che forniscono il piegamento e lo spiegamento del mondo che si sta attraversando. (...) Paesaggi invisibili L'immagine - visiva, acustica, letteraria - che ci si trova davanti non rappresenta una fetta della realt congelata in un fotogramma, in un quadro, in un testo, in un suono, ma promuove l'apertura sull'altrove: i luoghi fuori luogo, per prendere in prestito il titolo della manifestazione artistica che si svolge ogni anno nelle montagne del Matese. Non si tratta di un documento astratto della vita, ma del testimone delle vite vissute, negate, dimenticate; quei paesaggi invisibili ancora da venire e da vivere. In questa schisi fra l'occhio e lo sguardo del mondo che ci guarda, si registra il trauma che investe l'io completo e possedente, rivelando le crepe e le linee di fuga nell'altrove (Jacques Lacan, Il seminario. Libro XI. I quattro concetti fondamentali della psicoanalisi 1964, Einaudi, 2003). Il mondo che emerge dall'immagine fornita dall'arte precede e eccede il senso che ognuno di noi cerca nella rappresentazione. In questo eccesso possiamo riconoscere l'operato del linguaggio. il linguaggio che dissemina il desiderio per un senso che viaggia sotto un cielo troppo vasto per essere posseduto o spiegato in modo esaustivo o concludente. Da questo movimento e migrazione del linguaggio, dalle sue derive e dalle sue pieghe, affiora una poetica che riscrive il senso abituale, esponendolo all'altrove, allo spaesamento e alla deriva. In questa maniera, viaggiando con e dentro l'immagine, possiamo raccogliere l'interpellanza perpetua - quell'aperto annunciato da Rilke (e in seguito da Heidegger) - e dunque i limiti dei nostri modi di appropriarci del mondo. Nella fenditura fornita dall'immagine artistica, l'immaginario emerge bruscamente dal silenzio della memoria per interrompere e interrogare la costellazione del senso con il desiderio di qualcos'altro, qualcosa in pi che ci prometta un mondo ancora da narrare. Qui un'eredit eterogenea, complessa e sempre incompleta, si trasforma in una partenza e un divenire che ci permette di affrontare le strade inesplorate sulle pareti ripide del cielo (Ingeborg Bachmann, Salmo 2, Anterem, n. 72).

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