Sei sulla pagina 1di 18

REGISTRI AKASHICI: COSA SONO,

SIGNIFICATO E COME ACCEDERVI


di Michele Truppi

Accolgo con grande piacere la possibilità di parlare dei Re g ist ri


Aka sh ici, di cosa siano per la tradizione, di cosa non siano e di
come vengano declinati (purtroppo) ai nostri giorni.

In questo articolo parlerò anche di quale possa essere una loro


visione più “al passo coi tempi”, ovvero informata dell’idea che oggi
abbiamo sulla vera natura dello spazio e della materia.

Mi corre tuttavia l’obbligo di un avviso preliminare: attorno ai


registri akashici, oltre a un po’ di legittima confusione, aleggia un
certo m ist e ro, fomentato da chi li sfrutta a fini tutt’altro che
spirituali e meramente venali.
Ciò ha portato non soltanto a un dilagare di testi e scritti su come
accedere (e su quanto costi!) ai registri akashici, ma anche una certa
disinformazione sull’argomento – argomento su cui, va osservato,
le fonti dirette sono assai esigue.

Bene, cominciamo dall’inizio e partiamo dalle origini ovvero cosa


significhi il termine Akasha.

Origini e significato dei Registri


Akashici

Akasha è il termine sanscrito per indicare l’e t e re . Nell’Induismo il


termine è utilizzato per indicare l’e sse n za b a se d i t ut t e le cose d e l
m on d o m a t e ria le , l’elemento più piccolo creato dal mondo astrale.
La qualità dell’Etere o Spazio è la capacità di far esistere tutte le
cose al suo interno e in hindi il significato di Akasha è “cielo”.
È con l’avvento della Teosofia che il termine, anche grazie a Rud olf
St e in e r (massone, esoterista e fondatore dell’Antroposofia), iniziò a
circolare in occidente. Esso è strettamente legato alla nozione
karmica dell’universo.

Secondo Steiner l’essenza di akasha, cioè la sua capacità di


contenere tutto al proprio interno, faceva sì che si potesse
immaginare la presenza di una sorta di in ve n t a rio cosm ico e
universale, denominato “cronache di Akasha”, ove consultare tutto
ciò che e ra già successo.

Da qui l’idea che a cce d e re a lle cron a ch e d i Aka sh a significa poter


aver accesso alle informazioni su passato, presente e futuro di
qualsiasi cosa o persona.

Accedere ai Registri Akashici:


sfatiamo il mito
Accedere alle cronache (più tardi definite “registri akashici”) non è
tuttavia una pratica tradizionale induista. L’idea stessa di consultare
un’enorme biblioteca – come spesso viene rappresentata – ove
cercare letteralmente il lib ro d e lla n ost ra e sist e n za , è
intrinsecamente occidentale, pragmatista e molto lontana dalla
visione spirituale originaria.

Personalmente i primi dubbi sulla questione mi sono venuti quando


alcuni operatori olistici – certamente in buona fede – riferivano di
affidarsi ad esseri luminosi per avere l’autorizzazione ad accedervi.
Altri parlano di angeli, altri ancora di “antichi maestri” e chi più ne
ha più ne metta.
Come dirò in conclusione, a mio modestissimo parere, qualunque
strumento si impieghi per raggiungere il giusto stato
di con ce n t ra zion e e con sa p e vole zza può essere corretto in quanto
efficace. Per contro, affermare la correttezza di una tecnica a
discapito di un’altra non può essere condivisibile, e vedremo
perché.

La nozione di un patrimonio informativo universale è stata poi


ripresa da altri. In effetti, a conti fatti, l’ipotesi di una coscie n za
un ive rsa le non è tanto lontana dall’idea dell’akasha. Tuttavia ciò
che spesso attira sull’argomento è la possibilità di “leggere” ciò che
di noi è già stato, così riferendosi alle e sp e rie n ze d i vit e p a ssa t e .

Ebbene, nell’ambito della visione spirituale delle origini, l’idea che


akasha possa contenere tutte le informazioni sulle vite trascorse
non è incompatibile con il resto della dottrina induista, seppur mai
esplicitato in questi termini.

C’è però una intrigante possibilità, offerta dalla visione


dell’universo introdotta, parecchio tempo dopo, da un certo Da vid
Boh m .
La teoria dell’universo olografico

Bohm, scienziato davvero illuminato, è stato tra i primissimi ad


avvicinarsi allo studio della materia e del cosmo con un a p p roccio
olist ico, intravedendo alcune grandi verità della natura delle cose.

Tra queste l'”ordine implicito” o “implicato” e, per quello che ora ci


interessa più da vicino, la teoria dell’un ive rso olog ra fico. Cosa
intendeva per universo olografico?

Per comprenderlo dobbiamo prima di tutto chiarirci su cosa sia


un ologramma . Tutti li abbiamo visti, dal vivo o in tv, ma spesso non
ne cogliamo l’esatta portata, confondendoli con semplici effetti
grafici o giochi di luci.
La vera essenza di un ologramma
Ologramma deriva dal termine generale “olografia”, che ricorda da
vicino la simile fotografia.

Entrambi sono termini composti da due parole greche, una delle


quali è in comune, ovvero graphos , scrivere. Ma, mentre fotografia
può essere traducibile come “scrivere con la luce”, olografia è
composta, oltre che da graphos, dalla parola greca olos , termine
che a tutti gli operatori olistici dovrebbe essere ben noto.

Olos è traducibile con “tutto, intero, completo in ogni sua parte”.


Ecco che olografia, parallelamente alla fotografia, è la tecnica
per d e scrive re q ua lcosa n e lla sua in t e re zza .

Ciò significa, banalmente, che mentre una fotografia può


rappresentare solo ciò che si trova davanti all’obiettivo, un
ologramma descrive un oggetto in ogni sua parte. Questo è ciò che
gli consente di essere osse rva b ile d a og n i p rosp e t t iva ,
mantenendo sempre le giuste proporzioni.

Questo perché l’ologramma riproduce un oggetto nella sua


globalità, non per come i raggi di luce si sono riflessi sulla superficie
colta da un obiettivo fotografico. Ci sembra di aver capito appieno?
La differenza tra ologramma e fotografia

Bene, facciamo un esempio: immaginiamo di poter stringere in una


mano la fotografia di una bellissima rosa rossa e, nell’altra,
l’ologramma della medesima rosa.

Immaginiamo di tagliuzzare la fotografia in mille frammenti della


dimensione di un coriandolo. Poi mescoliamo i coriandoli ottenuti e
prendiamone uno a caso: cosa ci racconta quel coriandolo, ovvero,
che tipo di informazioni ci dà sull’immagine nella sua interezza?

Purtroppo osservando il coriandolo vedremo a malapena uno o due


colori, senza poter scorgere nulla dell’immagine complessiva e
quindi senza comprendere che si tratta di un frammento di una
rosa.
E se potessimo fare la stessa cosa con l’ologramma? Cosa
succederebbe?

Ebbene, se fosse tecnicamente possibile ridurre l’ologramma in


tanti coriandoli di luce scopriremmo che ciascun mini-ologramma è
una ra p p re se n t a zion e in t e g ra le della rosa che componeva.

Spieghiamoci meglio: ogni porzione dell’ologramma, per quanto


minuscola, ha la capacità di d e scrive re l’in t e ra
im m a g in e rappresentata. È una caratteristica intrinseca della
tecnica di acquisizione delle informazioni impiegata nell’olografia e
i mini-ologrammi, per quanto possano perdere di dettaglio,
riescono comunque a fornire una sua rappresentazione
complessiva.

Bene, ma tutto questo cosa c’entra con Bohm, con l’universo


olografico e, soprattutto, con gli akasha?

Ripensare il concetto di universo


Secondo la nozione di “universo olografico”, introdotta tra i primi
da Bohm e poi sempre più diffusa, tutto l’universo non sarebbe altro
che la ra p p re se n t a zion e d i sé st e sso in form a olog ra fica ; una
sorta di enorme disco colmo di informazioni.

Va osservato che, accedendo a questa nozione, vengono a “cadere”


tutta un’altra serie di principi che generalmente diamo per assodati,
immutabili e la cui presenza è talmente ovvia e certa da diventare
scontata. Mi riferisco al concetto di sp a zio e di t e m p o.

La fisica einsteniana ci insegna come essi siano talmente


interconnessi da costituire un unicum , il sistema spazio-temporale
appunto. Ne consegue che, laddove anche solo uno dei due venisse
a mancare, pure l’altro perderebbe di significato.
Pensiamo a questo: il tempo deriva la propria funzione
fondamentalmente per distinguere un “prima” da un “dopo”. Ciò
vale tanto nella percezione del m e cca n ism o d i ca usa -
e ffe t t o (l’azione che produce una reazione), quanto nella
misurazione della d ist a n za t ra d ue p un t i n e llo sp a zio (misurando
la distanza tra A e B il tempo impiegato definisce la velocità con cui
ci si è spostati).

Tuttavia, la fisica q ua n t ist ica ci ha già mostrato come causa ed


effetto tendano a confondersi al livello primigenio della materia.

Nel suo fondamento più profondo l’effetto pare prodursi


contemporaneamente alla causa, se non prima di essa – un po’
come avvertire dolore al piede prima che il martello ci cada dalle
mani, o arrivare in ufficio prima di essere usciti da casa. Lo so,
sembra impossibile ma è solo contro-intuitivo. A livello subatomico
tempo e spazio cessano di avere significato, o almeno ne assumono
uno molto diverso da quello cui siamo abituati.

E questo dove ci porta, nella nostra piccola esplorazione del regno


akashico? Ancora un attimo di pazienza…

Un universo di informazioni
Abbiamo detto come tutto l’universo possa essere assunto in forma
olografica, e abbiamo aggiunto come, stante la natura stessa della
materia, possa contenere in sé tutto ciò che è stato, è e sarà. Ci
troviamo insomma di fronte ad un universo fatto di in fin it i
fot og ra m m i, ognuno dei quali rappresenta un sin g olo ist a n t e di
ciascuno di noi.
L’ordine logico di questi fotogrammi dipende dalla p osizion e
d e ll’osse rva t ore , ed ecco che noi – abitudinariamente – ci
appoggiamo al “tempo”, trovando logicità e sequenzialità (ordine
esplicato di Bohm) laddove in realtà lavorano in modo sotterraneo
regole e sistemi a noi sconosciuti e plausibilmente incomprensibili.

Già sento levarsi le proteste e le domande di qualcuno: ma se tutto


è già presente allora che fine fa il mio lib e ro a rb it rio? È una
legittima osservazione, e arriveremo a parlare anche di quello,
tuttavia per il momento concentriamo la nostra attenzione sul fatto
che siamo arrivati a immaginare un universo composto da infinite
informazioni contenenti semplicemente tutto.

Se potessimo “vedere” il contenuto di quest’universo come un


osservatore distaccato, potremmo accedere ad un patrimonio
informativo pressoché infinito!

Ecco in cosa – modernamente – possono consistere le “cronache di


Akasha” di Steiner: un enorme serbatoio di informazioni alla portata
di tutti coloro che riescono ad accedervi.

Già, accedervi, e come si fa?


Rispondere a questa domanda è un po’ come rispondere a chi vi
domandi come si possa “aprire“ Ajina, il sesto chakra, cioè il nostro
terzo occhio.
La chiave per accedere ai registri

Attivare simili facoltà, analogamente al raggiungimento di una


buona padronanza delle tecniche di meditazione, richiede
fondamentalmente due elementi: costante d e d izion e al sistema
prescelto e profondissima con vin zion e in esso. Non è possibile
infatti disgiungere il raggiungimento di un obiettivo di tale portata
dalla necessità di condividere sino in fondo un m od e llo
sp irit ua le o filosofico. Ciò vale per ogni disciplina che intenda
portarci oltre quello che consideriamo il nostro limite.

Un po’ come a quello studente, giunto alla cima di un albero, a cui il


maestro chiese di salire un metro più su; certo gamba e braccia non
gli sarebbero servite…
Che quel balzo dipenda dalla fede, dall’illuminazione o dal
raggiungimento di un diverso livello di consapevolezza poco
importa. Ciò che invece è fondamentale è che tanto l’allievo quanto
il maestro condividano profondamente il sistema spirituale o
filosofico preso come riferimento.

Senza una compenetrazione assoluta rimarrà sempre il seme


del d ub b io e il dubbio riporterà inevitabilmente la nostra coscienza
a guardare dentro di sé, verso il proprio ego, privandoci della
possibilità di salire quel metro oltre la cima dell’albero.

È un lavoro lungo e progressivo, evidentemente, ma senza di esso a


poco può servire invocare forze oscure o esotiche…

Gli strumenti
Nell’esperienza personale, la connessione con il t e rzo occh io,
unitamente alla con ce n t ra zion e e alla capacità di d ist a cco dal
pensiero egoistico e cosciente è fondamentale. Questo perché –
per chi scrive – Ajina simboleggia il punto di contatto con il p ia n o
sp irit ua le , posto al di là dell’esperienza sensoriale.

Quindi nessuna critica può essere mossa a chi invochi qualsivoglia


entità spirituale, se ciò è necessario per raggiungere quello stadio
di consapevolezza. Se tuttavia questo percorso è
solo st rum e n t a le e non profondamente condiviso, allora ci
troviamo di fronte ad auto-suggestione, nella migliore delle ipotesi.

In questo senso, la simbologia cui vogliamo ispirarci per trovare la


giusta concentrazione per compiere tale passo e per sostenere la
nostra coscienza diventa del tutto ininfluente…
Non è un caso, d’altra parte, se da più parti è venuta la conferma
del valore intrinseco dei sim b oli, come dei numeri; essi infatti
comunicano al nostro cervello ad un livello più sofisticato di quanto
ci appaia. Basti pensare all’idea junghiana sui simboli collettivi, o
all’impiego in ogni visione spirituale a simbolismi spesso assonanti
se non sovrapponibili; ma questo è un altro discorso…

Torniamo piuttosto al discorso cui abbiamo fatto cenno poc’anzi,


ovvero al rapporto tra libero arbitrio, aksha e universo olografico.

Perché il karma? Abbiamo detto che nella nozione di universo


olografico tutto il passato, presente e futuro è compresente sullo
stesso piano. Questo parrebbe contraddire un (bel) po’ l’idea
diffusasi del karma, ovvero di una sorta di “destino” prescritto,
come un sentiero che le nostre a zion i p a ssa t e hanno segnato per
noi. Ciò, tra l’altro, trova qualche punto di caduta sull’idea di
essere lib e ri di tracciare il nostro cammino, l’idea del “libero
arbitrio”.

Per capire davvero quale sia la relazione tra il nostro libero arbitrio
e la nozione universo olografico ci torna utile riflettere qualche
istante sul concetto di karma.
Il concetto di karma

Il Karma è oggi considerato per lo più in un’accezione passiva (è il


mio karma, si dice, quasi a contrassegnare un destino già scritto), in
realtà ha una valenza del tutto opposta, essendo la
concretizzazione materiale del principio di azione e reazione (ne
abbiamo parlato approfonditamente in questo articolo).

È evidente che in una logica dominata dai cicli di reincarnazione,


i n od i ka rm ici delle vite passate, ovvero quelle situazioni interiori o
esteriorizzate che hanno arrecato dolore a noi stessi o ad altri senza
essere risolte “in vita”, si ripropongano nella quotidianità vissuta.
Come? In modo inconsapevole, come blocchi emotivi,
comportamenti ricorrenti, spesso autodistruttivi, circoli viziosi,
incapacità di cambiare, senso di inadeguatezza e inappagamento.
Ci si domanda, spesso, “perché continuo a fare questa cosa, vivere
questa situazione anche se già so che ne soffrirò?”; rile vare una
discrasia è il primo passo, fondamentale, che opera la nostra
coscienza. Il secondo passo è intraprendere una via di soluzion e .

Prima di dedicarsi alla psicoterapia, assolutamente funzionale, può


essere utile indagare il nostro Io più remoto e profondo, alla ricerca
di quei nodi in parte irrisolti e oggi ancora limitanti.

È bene comprendere che l’individuazione di simili situazioni, di per


sé, non ne causa la risoluzione. È sempre necessario l’in t e rve n t o
p e rson a le per innescare quel fondamentale meccanismo di azione
e reazione: questo è il karma vissuto. Non un destino immutabile,
anzi, una via costellata di molteplici segnali stradali che, tuttavia,
sta a noi decidere come e quando seguire!

Ed è proprio qui che entra in gioco la connessione con l’idea di


universo olografico: questa infatti ci insegna che su un diverso
piano esistenziale tutte le nostre vite (o meglio tutte le vite di tutto
ciò che è in quell’universo) coesistono in uno stato di dinamica
separazione e collegamento.

Il libero arbitrio
Ma torniamo a noi; se tutto è con-presente, a che servono le
nostre sce lt e ? È una vecchia questione, che molte religioni hanno
dovuto affrontare e riguarda il tema del libero arbitrio.

In realtà è tutto il contrario: la fisica di quanti prima, la teoria delle


stringhe poi, la concezione dell’universo olografico e dei multiversi
infine ci spingono in una direzione molto, molto più …possibilista!
La prima ci ha stupito mostrandoci come sia possibile che ogni
singola particella (di cui tutti siamo composti) si trovi in d ue d ive rsi
st a t i contemporaneamente.

La seconda che non esiste differenza tra m a t e ria ed e n e rg ia e che


tutto, alla fine, è riducibile a quest’ultima, declinata in una limitata
serie di stringhe.

Il terzo ci ha offerto la possibilità che il cosmo e l’universo stesso


siano nient’altro che la ra p p re se n t a zion e olog ra fica di sé stesso.

L’insieme di queste scoperte consegna infine nelle nostre mani una


realtà estremamente più complessa di quando potessimo
immaginare, in cui spazio e tempo non esistono, in cui tutto è già
compresente ma, al tempo stesso, in cui esistono infinite
possibilità, ovvero ove n ulla è g ià p re d e t e rm in a t o ma la nostra
coscienza può dirigere in nostri passi tanto più liberamente quanto
più elevata è la nostra consapevolezza.

La comprensione dei nostri nodi karmici, allora, ci aiuta a sostenere


le nostre scelte e a trasformare il nostro presente attuale mutando
così anche il nostro futuro. In fondo tutto è nelle nostre mani ma,
come sempre, per cambiare le cose è necessario agire!
Conclusione

Per fare tutto questo il ricorso ad una le t t ura d e i re g ist ri


a ka sh ici può essere di grande aiuto. Ad esempio, già la corretta
individuazione delle d om a n d e da porre all’operatore ci potrà dire
qualcosa di più de i nostri interessi più profondi.

Le eventuali esperienze di vite già vissute possono poi offrirci una


chiave di lettura più solida di eventuali blocchi emotivi o loop
psicologici che ripetiamo da tempo. Starà poi a noi interrompere
questi cicli e ripre ndere in mano il nostro destino.
L’idea che tutto è scritto, in fondo, è compatibile con la visione
olografica dei multiversi, ma ciò non toglie che sta a ciascuno di
noi p e rcorre re il ca m m in o ch e a b b ia m o sce lt o. Ciò che cambia è
unicamente la con sa p e vole zza con cui lo facciamo. Senza riflettere
su ciò il rischio, elevatissimo, è di vivere “col pilota automatico”, il
che va benissimo in alcune situazioni ma è estremamente poco
raccomandabile quando si tratta di determinare il nostro destino.

Col pilota automatico, infatti, siamo in mano al nostro e g o, prede


delle nostre pulsioni più profonde, vittime delle nostre paure
insuperabili.

A questo scopo ogni strumento di crescita della propria


consapevolezza è prezioso. Capire sé stessi è spesso doloroso, ma
indispensabile per crescere e superare i propri limiti.

Michele Truppi è il fondatore di Magicplaces.it. Se desiderate


ricevere maggiori informazioni sui registri akashici, visitate il suo
sito: http:/ / www.magicplaces.it/

Potrebbero piacerti anche