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ARACNE
Copyright © MMIV, ARACNE EDITRICE S.R.L.
ISBN: 88–7999–642–8
Infine, desidero dedicare questo lavoro a mia moglie Adriana e a mio figlio
Jacopo.
I diritti d’autore provenienti dalla vendita di questo testo saranno devoluti a Medici senza
frontiere, associazione internazionale che offre soccorso sanitario alle popolazioni in pericolo.
Indice
iii
Introduzione ix
Foglio di lavoro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 42
Fui anche nella scuola di matematica, ove un maestro insegnava agli allievi
secondo un metodo che noi in Europa non riusciremmo neppure ad immaginare.
Il problema e la dimostrazione matematica venivano scritti in bella grafia su
un’ostia, con un inchiostro fatto di tintura cefalica. Lo studente doveva ingoiare
l’ostia a stomaco vuoto, e nei tre giorni seguenti non nutrirsi che di pane e
acqua. Una volta digerita l’ostia, la tintura saliva al cervello, portando seco
il teorema matematico. Tuttavia il successo di questo metodo non era ancor
garantito: in parte a causa di quanche errore nel quantum ovvero dosaggio, e
in parte per la mala creanza dei ragazzi, a cui quel bolo dava una tal nausea
che solitamente fuggivano via a sputarlo prima che potesse avere effetto. Né
del resto s’erano ancora persuasi a sopportare una lunga astinenza dal cibo,
quale la ricetta chiedeva.
J.Swift, I viaggi di Gulliver, Parte III, Cap.5
Questo piccolo brano di uno dei miei autori preferiti rende piuttosto bene dei
timori che i docenti di analisi matematica hanno nutrito, spesso a ragione, nei
confronti del nuovo ordinamento dei corsi di laurea. L’idea che la matematica
dovesse essere insegnata in pillole, trascurandone la grande valenza formativa e
privilegiando gli aspetti puramente applicativi è corsa in lungo e in largo nelle
nostre Università ed ha prodotto, in alcuni casi, un’eccessiva compressione
degli studi di matematica in diversi corsi di studio.
Il problema principale che si pone per l’insegnamento della matematica
nel nuovo ordinamento consiste nella necessità di conciliare due aspetti essen-
ziali: da un lato, lo studente deve acquisire un linguaggio e degli strumenti
matematici che egli possa, con una certa agilità, applicare in situazioni diverse,
a secondo dei vari indirizzi a cui i suoi studi sono rivolti; dall’altro, lo studio
della matematica, pur senza indulgere ad eccessivi formalismi, deve abituare
lo studente a comprendere la struttura matematica di un problema e ad es-
x Introduzione
sere capace di scegliere gli strumenti matematici che meglio si adattano alla
situazione che sta esaminando e che può anche essere ben diversa da quelle in-
contrate nei suoi studi. Quest’ultimo obiettivo è stato quello che ha finito con
l’essere più spesso sacrificato per i tempi, sovente ristrettissimi, in cui ci si è
trovati ad operare. Questa stessa ristrettezza di tempi obbliga anche i Docenti
a non confidare troppo sulla possibilità di elaborazioni o di approfondimenti
personali da parte degli studenti che, volenti o no, sono costretti a studiare la
lezione e a fare un certo numero di esercizi, per quel tanto che basta a supera-
re in modo ragionevole l’esame. Ora, più di prima, perciò, gli studenti vanno
condotti per mano ad alcune di quelle riflessioni e di quei collegamenti che un
tempo si lasciavano alla rielaborazione dei singoli.
Questo volumetto, con tutti i suoi limiti, intende essere un contributo in
questa direzione. Le lezioni qui raccolte erano rivolte a studenti di Fisica e,
per questa ragione, sono stati maggiormente curati gli aspetti ed approfonditi
gli esempi che più si legano a quel campo di applicazioni. Per i motivi discussi
sopra, si è cercato di presentare gli argomenti in modo il più possibile discorsi-
vo ed esplicativo senza rinunciare, almeno in ampia parte, alla formalizzazione
delle definizioni ed alla dimostrazione delle proposizioni e facendo ampio ri-
corso ad esemplificazioni. Al termine di ogni capitolo, è proposto un foglio di
lavoro con il quale lo studente è chiamato a misurare subito l’acquisizione dei
concetti e dei metodi in esso presentati.
Per una buona comprensione dei contenuti proposti, lo studente dovrà
avere familiarità con il calcolo differenziale ed integrale per funzioni di più
variabili. Si riterranno anche noti il concetto di curva, l’integrale di linea e le
formule di Green.
Dicembre 2003 L’Autore
Capitolo 1
Equazioni differenziali
ordinarie
La teoria delle equazioni differenziali (sia ordinarie sia alle derivate parziali) occupa
un posto di rilievo nell’Analisi, sia per le sue innumerevoli applicazioni sia per i suoi
profondi contenuti teorici che hanno dato luogo a molti sviluppi della matematica.
In quel che segue cercheremo di dare i tratti di base della teoria delle equazioni
differenziali ordinarie, soffermandoci in modo particolare su alcuni tipi di particolare
rilievo per le applicazioni.
c si deve far uso di altre informazioni sul sistema. Noi, ad esempio, sappiamo
che all’istante iniziale, t = 0, il numero di batteri era N0 . Fra tutte le solu-
zioni dell’equazione, solo y(t) = N0 ekt soddisfa questa condizione iniziale. La
costante k che fornisce il tasso relativo di crescita della popolazione di batteri
(ed è detta potenziale biologico) può essere positiva o negativa: è positiva se
il numero di individui capaci di riprodursi supera quello degli individui che,
per morte o per altri motivi, non lo sono più ed è negativo nel caso contrario.
Nel primo caso il numero di batteri cresce esponenzialmente, nel secondo va a
zero esponenzialmente. Questo modello, dovuto a Malthus, è, in pratica, trop-
po grossolano per descrivere la dinamica delle popolazioni (anche di batteri!)
perché non tiene conto del fatto che gli individui dissipano risorse e ciò fa
inevitabilmente diminuire il tasso di crescita. Un modello più realistico, di Ve-
rhulst, suppone una diminuzione di k col crescere di y, cioè, k = k0 (1 − αy(t)),
con k0 , α costanti positive. Si ottiene, in questo caso, l’equazione
y (t) = k0 (1 − αy(t))y(t)
che è ancora un’equazione differenziale ordinaria ma non è lineare.
La funzione y(t) che compare nell’equazione precedente, insieme alle sue de-
rivate fino all’ordine n, tutte calcolate nello stesso punto t, è l’incognita
dell’equazione. L’equazione è detta
L’equazione (1.2) può non avere alcuna soluzione, può ammetterne più di una
o può anche avere infinite soluzioni distinte. Per comprenderlo è sufficiente
considerare l’equazione differenziale ordinaria: y (t) = g(t) . Se g è definita
su un intervallo I, ma ha, in I, una discontinuità di I specie, allora non vi
sono soluzioni dell’equazione data. Se, invece, g è una funzione continua su un
intervallo I della retta reale, una qualunque delle infinite primitive di g è so-
luzione dell’equazione. È ben noto che, nel caso di questa semplice equazione
differenziale ordinaria, se si impone la condizione che il grafico della primitiva
cercata passi per un punto P0 ≡ (t0 , y0 ), si determina un’unica funzione G(t)
che ha g come derivata e tale che G(t0 ) = y0 . Il punto (t0 , y0 ) rappresenta la
condizione iniziale della soluzione cercata. Si può pensare che questo sia un
fatto generale: ovvero, che una condizione iniziale sia sufficiente a determi-
nare univocamente la soluzione, ammesso che ne esista una, di un’equazione
differenziale del primo ordine. Come vedremo, è effettivamente cosı̀.
Esempio 1.3.1 Uno dei più semplici problemi di Cauchy è quello relativo
ad un’equazione differenziale del I ordine lineare, che scriviamo nella forma:
y + p(t)y = q(t)
(1.7)
y(t0 ) = y 0 .
con p, q funzioni continue su un certo intervallo I. In questo caso si ha, quindi,
f (t, y) = −p(t)y + q(t) che è una funzione continua nella striscia I × R.
t
Posto P (t) = t0 p(τ )dτ , moltiplichiamo ambo i membri dell’equazione in
(1.7) per eP (t) . Otteniamo
y eP (t) + p(t)eP (t) y = q(t)eP (t) ,
che può anche scriversi come
d P (t)
ye = q(t)eP (t) .
dt
Integrando ambo i membri tra t0 e t e tenendo conto della condizione y(t0 ) =
y 0 , deduciamo che t
yeP (t) − y0 = q(τ )eP (τ ) dτ.
t0
In conclusione
t
−P (t) −P (t)
y(t) = y0 e +e q(τ )eP (τ ) dτ. (1.8)
t0
La costruzione stessa della soluzione (1.8) mostra che essa è unica. Notiamo
infine che, benché la (1.8) dia esplicitamente la soluzione, nella pratica la
determinazione dell’integrale a secondo membro è, spesso, piuttosto difficile.
allora F ammette un unico punto fisso; cioè, esiste un unico x ∈ E tale che
F (x) = x.
r 1
0 < r0 < min δ, , (1.12)
M L
e sia I0 l’intorno chiuso di centro t0 e raggio r0 . Poniamo
B = {y ∈ C(I0 ) : y − y0 ∞ ≤ r.}
B, essendo un sottoinsieme chiuso di uno spazio completo, è esso stesso uno spazio
metrico completo. Indichiamo con F l’applicazione che ad ogni funzione z ∈ B associa
la funzione w definita da
t
w(t) = y0 + f (τ, z(τ ))dτ, t ∈ I0 .
t0
Poiché Lr0 < 1, F è una contrazione di B. Esiste, allora, un unico punto fisso y(t) di
F , cioè, esiste un’unica funzione y(t) ∈ B tale che
t
y(t) = y0 + f (τ, y(τ ))dτ.
t0
Dal lemma 1.3.2, y(t) è soluzione del problema di Cauchy. Anche l’unicità segue dallo
stesso lemma: ogni altra soluzione del problema dovrebbe essere anch’essa un punto
di fisso di F . Ma questo è unico per il lemma 1.3.3.
1.3. Problema di Cauchy 9
y = t log y − y log t
y(t0 ) = y 0 .
ha un’unica soluzione in un intorno di t0 .
Consideriamo adesso il punto (t0 +r0 , y(t0 +r0 )) come nuovo punto iniziale
e studiamo il seguente problema di Cauchy
z = f (t, z)
(1.13)
z(t0 + r0 ) = y(t0 + r0 ).
lim w (t) = lim y (t) = lim f (t, y(t)) = lim f (t, w(t)),
t→(t0 +r0 )− t→(t0 +r0 )− t→(t0 +r0 )− t→(t0 +r0 )−
lim w (t) = lim z (t) = lim f (t, z(t)) = lim f (t, w(t)).
t→(t0 +r0 )+ t→(t0 +r0 )+ t→(t0 +r0 )+ t→(t0 +r0 )+
Definizione 1.3.8 Sia y(t) una soluzione del problema di Cauchy (1.11), de-
finita nell’intervallo ]a, b[ contenente t0 . Una soluzione z(t) dell’equazione
z = f (t, z), definita in un intervallo ]α, β[⊃]a, b[, è detta un prolungamento
della soluzione y(t) se
È naturale, quindi, chiedersi fino a che punto si può procedere nel prolun-
gamento della soluzione. Per rispondere a questa domanda, poniamo
δ = sup{δ > 0 : il problema (1.11) ha soluzione in [t0 , t0 + δ]}. (1.14)
12 1. Equazioni differenziali ordinarie
Anche in questo caso può essere γ = +∞ (la soluzione si prolunga, quindi, al-
l’intervallo ]−∞, t0 ]) oppure γ < +∞ e la soluzione non può essere prolungata
a [t0 − γ, t0 ]. L’intervallo di definizione del massimo prolungamento possibile
è, dunque, in ogni caso, aperto. Abbiamo, cosı̀ dimostrato il seguente
(ii) esiste finito limt→b− y(t) e, posto y = limt→b− y(t), il punto (b, y) appar-
tiene ad A;
z− (b) = lim y (t).
t→b−
L’ultima questione a cui vogliamo dare una risposta è la seguente: in quali con-
dizioni è possibile stabilire l’esistenza e l’unicità della soluzione del problema
di Cauchy su un intervallo prefissato [α, β] contenente il punto iniziale t0 ? La
risposta, alla luce dello studio fin qui fatto, potrebbe sembrare ovvia. Infatti,
se [α, β] è contenuto nell’intervallo di definizione del prolungamento massimale
y(t), certamente la restrizione di y(t) ad [α, β] fornisce una risposta al quesito.
Tuttavia questa risposta richiede la conoscenza della soluzione massimale ed è,
quindi, in generale, di scarsa utilizzabiltà. Per dare una condizione sufficiente
di esistenza della soluzione in un intervallo prefissato utilizzeremo il seguente
lemma.
Allora,
g(t) ≤ LeM (t−t0 ) , ∀t ∈ I, t ≥ t0 .
Quindi, scelto y1 = 0,
ammette una, ed una sola, soluzione y(t) definita su tutto R. Infatti, la funzio-
ne f (t, y) = arctan(ty) che è definita su tutto R2 è localmente lipschitziana in
y avendo derivata parziale ∂f∂y continua; essa è inoltre limitata. Si può, quindi,
applicare il teorema di esistenza globale.
Fin qui ci siamo occupati dei teoremi di esistenza ed unicità per il problema di
Cauchy, ma non abbiamo dato (tranne che per il caso lineare) alcun metodo
per risolverne qualcuno. In generale, la risoluzione del problema si può otte-
nere esplicitamente in un numero abbastanza ristretto di casi alcuni dei quali
saranno trattati nella sezione 1.5.1. In qualche altro caso, come accennato in
precedenza, pur non potendo risolvere esplicitamente il problema, è possibile
ottenere alcune informazioni di natura qualitativa sulla soluzione. Qualche
esempio di questa procedura è illustrato nella sezione 1.5.2
f (t, y) = h(t)g(y)
y (t) = h(t)g(y)
y (t)dt = h(t)g(y)dt
e, se g(y) = 0,
dy
= h(t)dt.
g(y)
Integrando ambo i membri, si è in grado (in linea di principio) di determinare le
soluzioni y(t). Quanto alla condizione g(y(t)) = 0, nel risolvere un problema di
Cauchy, è sufficiente garantirla in un intorno del punto iniziale t0 , considerato
che, in genere, si è alla ricerca di soluzioni locali del problema. Vediamo come
si opera con alcuni esempi.
y (t)dt
= tdt.
y 2 (t)
1 1 t2
− + =
y(t) y(0) 2
In definitiva:
2
y(t) =
2 − t2
√ √
che è definita in ] − 2, 2[ e non è prolungabile oltre quest’intervallo.
le cui variabili sono già separate. Integrando ambo i membri tra 0 e t, si ha:
y 2 (t) = 1 − t2
Ricavando y, si ottiene:
y(t) = 1 − t2 .
2
y(t) = − , ∀t ∈ R.
t2 +2
1.5. Alcuni semplici problemi di Cauchy 21
Esempio 1.5.6 Dimostriamo che il grafico della soluzione locale del pro-
blema di Cauchy
y = 2t + 1 − (t2 − y)2
y(0) = 0
22 1. Equazioni differenziali ordinarie
è contenuto nell’insieme:
La definizione di sistema differenziale del I ordine è già stata data nella sezione
1.2 nella quale un sistema di questo tipo è stato scritto nella forma compatta
y = f(t, y ), (1.17)
∂fj
= aij (t) ,
∂yi
sono continue in ogni compatto K ⊂]a, b[×Rn , essa è anche localmente lipschi-
tziana rispetto ad y . Il problema di Cauchy, in questo caso, si scrive
y = A(t) · y + b(t)
(1.19)
y (t0 ) = y0
con t0 ∈]a, b[. Esso ammette una, ed una sola, soluzione globale in ]a, b[.
Infatti, in ogni intervallo [α, β] ⊂]a, b[ contenente t0 , vale la disuguaglianza
y = A(t) · y (1.20)
La funzione
1 (t) + · · · + λn φ
y (t) = λ1 φ n (t)
è, allora, soluzione del problema di Cauchy
y = Ay
.
y (t0 ) = 0
Ma questo problema ammette come unica soluzione y (t) = 0. Quindi, deve essere:
1 (t) + · · · + λn φ
λ1 φ n (t) = 0, ∀t ∈]a, b[,
k , è non nullo in
le cui colonne sono costituite dalle componenti dei vettori φ
almeno un punto.
Consideriamo il sistema:
Il sistema omogeneo
y = A(t) · y , (1.23)
+ z) = A · w
(w + b + Az = A · (w
+ z) + b.
con (c1 , c2 , . . . , cn ) ∈ Rn .
Naturalmente, in generale, non è semplice né determinare le soluzioni del
sistema omogeneo associato, né, tanto meno, determinare un integrale par-
ticolare del sistema non omogeneo. Per quest’ ultimo punto, un aiuto, può
venire dal cosiddetto metodo di variazione delle costanti arbitrarie che si ap-
plica una volta che sia nota una soluzione fondamentale del sistema omogeneo.
Lo illustriamo con un esempio.
sono
1 (t) ≡ sin t 2 (t) ≡ − cos t
φ φ
cos t sin t
L’integrale generale del sistema omogeneo è, dunque:
sin t − cos t
y (t) ≡ c1 + c2
cos t sin t
1.6. Equazioni e sistemi lineari 27
Se, nell’equazione (1.26), i coefficienti ai (t) sono costanti, la ricerca delle solu-
zioni è più semplice. Per comodità, preferiamo scrivere l’equazione, in questo
caso, nella forma
y (n) + an−1 y (n−1) + · · · + a1 y + a0 y = b(t). (1.29)
Come già sappiamo, il primo passo da fare consiste nel cercare le soluzioni
linearmente indipendenti dell’equazione omogenea associata:
y (n) + an−1 y (n−1) + · · · + a1 y + a0 y = 0. (1.30)
Cominciamo col supporre che la soluzione sia del tipo y(t) = eλt . Sosti-
tuendo nell’equazione (1.30), si vede che λ deve, allora, essere uno zero del
polinomio caratteristico:
p(λ) = λn + an−1 λn−1 + · · · + a1 λ + a0 . (1.31)
e(α+iβ)t , e(α−iβ)t
y (t) = 5y(t)