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Camillo Trapani

Un Modulo di Analisi Due


Equazioni differenziali ordinarie
Campi vettoriali, forme differenziali e superfici
Funzioni di variabile complessa

ARACNE
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ISBN: 88–7999–642–8

I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica,


di riproduzione e di adattamento anche parziale,
con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi.

Non sono assolutamente consentite le fotocopie


senza il permesso scritto dell’Editore.

I edizione: gennaio 2004


I ristampa: luglio 2004
Questo piccolo volume trae origine dal corso di Calcolo differenziale ed integrale III
da me tenuto per gli studenti del corso di laurea in Fisica (nuovo ordinamento, 4 cfu)
nell’ anno accademico 2002-2003.
Mi pare questa la sede opportuna per ringraziare gli studenti in corso in quel-
l’anno, ed in particolare il Sig. Riccardo Messina, per la rilettura critica degli appunti
che avevo distribuito durante le lezioni e per avermi segnalato le numerose sviste
contenute nella prima versione di queste note.
I consigli dell’amico e collega Gianni Riela hanno decisamente contribuito a mi-
gliorare alcuni capitoli. Le osservazioni di Francesco Tschinke mi hanno indotto a
riconsiderare alcuni punti e ad apportare diverse modifiche. Ad entrambi un vivo
ringraziamento.
Un doveroso riconoscimento va agli autori dei molti testi consultati durante la
redazione di queste note e che sarebbe troppo lungo citare tutti. Mi limito a consigliare
al lettore un uso frequente delle seguenti opere in cui troverà trattazioni ben più
complete ed approndite di quelle che ho avuto modo di esporre qui:

• T. Apostol, Calcolo, vol.3, Boringhieri, Torino, 1978


• N.Fusco, P.Marcellini e C. Sbordone, Analisi matematica due, Liguori, Napoli,
1996
• E. Giusti, Analisi Matematica 2, 2.a edizione , Boringhieri, Torino 1989
• C.D. Pagani e S.Salsa, Analisi Matematica, vol.2, Masson, Milano, 1997.

Infine, desidero dedicare questo lavoro a mia moglie Adriana e a mio figlio
Jacopo.

I diritti d’autore provenienti dalla vendita di questo testo saranno devoluti a Medici senza
frontiere, associazione internazionale che offre soccorso sanitario alle popolazioni in pericolo.
Indice

iii

Introduzione ix

1 Equazioni differenziali ordinarie 1


1.1 Introduzione ed esempi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1
1.2 Definizioni di base . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3
1.3 Problema di Cauchy . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5
1.3.1 Esistenza ed unicità locale . . . . . . . . . . . . . . . . . 6
1.3.2 Prolungamento delle soluzioni . . . . . . . . . . . . . . . 10
1.4 Esistenza ed unicità globale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 14
1.5 Alcuni semplici problemi di Cauchy . . . . . . . . . . . . . . . . 17
1.5.1 Equazioni a variabili separabili . . . . . . . . . . . . . . 17
1.5.2 Valutazione qualitativa della soluzione . . . . . . . . . . 19
1.6 Equazioni e sistemi lineari . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 22
1.6.1 Caso omogeneo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 23
1.6.2 Caso non omogeneo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 25
1.6.3 Equazioni lineari d’ordine n . . . . . . . . . . . . . . . . 28
1.6.4 Equazioni lineari a coefficienti costanti . . . . . . . . . . 29
1.7 Soluzione di alcuni sistemi lineari . . . . . . . . . . . . . . . . . 36
vi INDICE

Foglio di lavoro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 42

2 Funzioni vettoriali, campi vettoriali e forme differenziali linea-


ri 43
2.1 Funzioni vettoriali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 43
2.1.1 Definizioni ed esempi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 43
2.1.2 Derivabilità e differenziabilità di funzioni vettoriali . . . 44
2.2 Campi vettoriali: definizioni ed esempi . . . . . . . . . . . . . . 46
2.2.1 Divergenza e rotore di un campo vettoriale . . . . . . . 49
2.3 Forme differenziali lineari . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 51
2.4 Integrale di una fdl . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 52
2.5 Forme differenziali esatte . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 54
2.6 Condizioni sufficienti per l’esattezza di una fdl . . . . . . . . . 56
2.6.1 Caso bidimensionale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 56
2.6.2 Caso tridimensionale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 58
2.6.3 Costruzione di primitive di fdl in R2 ed R3 . . . . . . . 60
2.7 Problemi di Cauchy e forme differenziali . . . . . . . . . . . . . 62
Foglio di lavoro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 64

3 Superfici ed integrali superficiali 67


3.1 Superfici regolari e piano tangente . . . . . . . . . . . . . . . . 67
3.1.1 Alcuni esempi di superfici parametrizzate . . . . . . . . 73
3.2 Proprietà delle superfici parametrizzate . . . . . . . . . . . . . 75
3.2.1 Linee coordinate . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 75
3.2.2 Cambiamenti di variabili . . . . . . . . . . . . . . . . . . 76
3.2.3 Superfici orientabili; Nastro di Möbius . . . . . . . . . . 77
3.2.4 Bordo di una superficie; superfici chiuse . . . . . . . . . 79
3.3 Area di una superficie ed integrali di superficie . . . . . . . . . 81
3.3.1 Area di una superficie . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 81
INDICE vii

3.3.2 Integrali di superficie . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 83


3.4 Flusso, teoremi di Stokes e della divergenza . . . . . . . . . . . 84
3.5 Campi solenoidali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 87
3.6 Massimi e minimi vincolati . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 90
3.6.1 Caso bidimensionale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 90
3.6.2 Funzioni di n variabili con m vincoli . . . . . . . . . . . 94
Foglio di lavoro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 97

4 Introduzione alle funzioni di variabile complessa 99


4.1 Funzioni di variabile complessa . . . . . . . . . . . . . . . . . . 99
4.2 Funzioni olomorfe . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 102
4.3 Aspetti elementari della teoria delle serie di potenze . . . . . . 105
4.4 Definizioni di alcune funzioni elementari . . . . . . . . . . . . . 110
4.5 Integrazione di una funzione di variabile complessa . . . . . . . 112
4.6 Serie di Taylor e funzioni analitiche . . . . . . . . . . . . . . . . 117
4.7 Serie di Laurent . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 118
4.7.1 Singolarità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 121
4.7.2 Residui . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 123
4.7.3 Alcune semplici applicazioni . . . . . . . . . . . . . . . . 125
Foglio di lavoro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 128

Ancora qualche esercizio . . . 131


Introduzione

Fui anche nella scuola di matematica, ove un maestro insegnava agli allievi
secondo un metodo che noi in Europa non riusciremmo neppure ad immaginare.
Il problema e la dimostrazione matematica venivano scritti in bella grafia su
un’ostia, con un inchiostro fatto di tintura cefalica. Lo studente doveva ingoiare
l’ostia a stomaco vuoto, e nei tre giorni seguenti non nutrirsi che di pane e
acqua. Una volta digerita l’ostia, la tintura saliva al cervello, portando seco
il teorema matematico. Tuttavia il successo di questo metodo non era ancor
garantito: in parte a causa di quanche errore nel quantum ovvero dosaggio, e
in parte per la mala creanza dei ragazzi, a cui quel bolo dava una tal nausea
che solitamente fuggivano via a sputarlo prima che potesse avere effetto. Né
del resto s’erano ancora persuasi a sopportare una lunga astinenza dal cibo,
quale la ricetta chiedeva.
J.Swift, I viaggi di Gulliver, Parte III, Cap.5

Questo piccolo brano di uno dei miei autori preferiti rende piuttosto bene dei
timori che i docenti di analisi matematica hanno nutrito, spesso a ragione, nei
confronti del nuovo ordinamento dei corsi di laurea. L’idea che la matematica
dovesse essere insegnata in pillole, trascurandone la grande valenza formativa e
privilegiando gli aspetti puramente applicativi è corsa in lungo e in largo nelle
nostre Università ed ha prodotto, in alcuni casi, un’eccessiva compressione
degli studi di matematica in diversi corsi di studio.
Il problema principale che si pone per l’insegnamento della matematica
nel nuovo ordinamento consiste nella necessità di conciliare due aspetti essen-
ziali: da un lato, lo studente deve acquisire un linguaggio e degli strumenti
matematici che egli possa, con una certa agilità, applicare in situazioni diverse,
a secondo dei vari indirizzi a cui i suoi studi sono rivolti; dall’altro, lo studio
della matematica, pur senza indulgere ad eccessivi formalismi, deve abituare
lo studente a comprendere la struttura matematica di un problema e ad es-
x Introduzione

sere capace di scegliere gli strumenti matematici che meglio si adattano alla
situazione che sta esaminando e che può anche essere ben diversa da quelle in-
contrate nei suoi studi. Quest’ultimo obiettivo è stato quello che ha finito con
l’essere più spesso sacrificato per i tempi, sovente ristrettissimi, in cui ci si è
trovati ad operare. Questa stessa ristrettezza di tempi obbliga anche i Docenti
a non confidare troppo sulla possibilità di elaborazioni o di approfondimenti
personali da parte degli studenti che, volenti o no, sono costretti a studiare la
lezione e a fare un certo numero di esercizi, per quel tanto che basta a supera-
re in modo ragionevole l’esame. Ora, più di prima, perciò, gli studenti vanno
condotti per mano ad alcune di quelle riflessioni e di quei collegamenti che un
tempo si lasciavano alla rielaborazione dei singoli.
Questo volumetto, con tutti i suoi limiti, intende essere un contributo in
questa direzione. Le lezioni qui raccolte erano rivolte a studenti di Fisica e,
per questa ragione, sono stati maggiormente curati gli aspetti ed approfonditi
gli esempi che più si legano a quel campo di applicazioni. Per i motivi discussi
sopra, si è cercato di presentare gli argomenti in modo il più possibile discorsi-
vo ed esplicativo senza rinunciare, almeno in ampia parte, alla formalizzazione
delle definizioni ed alla dimostrazione delle proposizioni e facendo ampio ri-
corso ad esemplificazioni. Al termine di ogni capitolo, è proposto un foglio di
lavoro con il quale lo studente è chiamato a misurare subito l’acquisizione dei
concetti e dei metodi in esso presentati.
Per una buona comprensione dei contenuti proposti, lo studente dovrà
avere familiarità con il calcolo differenziale ed integrale per funzioni di più
variabili. Si riterranno anche noti il concetto di curva, l’integrale di linea e le
formule di Green.
Dicembre 2003 L’Autore
Capitolo 1

Equazioni differenziali
ordinarie

La teoria delle equazioni differenziali (sia ordinarie sia alle derivate parziali) occupa
un posto di rilievo nell’Analisi, sia per le sue innumerevoli applicazioni sia per i suoi
profondi contenuti teorici che hanno dato luogo a molti sviluppi della matematica.
In quel che segue cercheremo di dare i tratti di base della teoria delle equazioni
differenziali ordinarie, soffermandoci in modo particolare su alcuni tipi di particolare
rilievo per le applicazioni.

1.1 Introduzione ed esempi

Prima di affrontare lo studio delle equazioni differenziali ordinarie, diamo


alcuni esempi di modelli applicativi che si descrivono mediante il loro uso.

 Esempio 1.1.1 In una coltura batterica, inizialmente con N0 individui, la


velocità di riproduzione è (almeno in prima approssimazione) proporzionale,
in ogni istante, al numero y d’individui. La variabile y è, per sua stessa
natura una variabile discreta (essa prende, infatti, valori nei numeri naturali).
Tuttavia, il pensarla continua ci permette di scrivere facilmente l’equazione
d’evoluzione:
y  = ky.
Non è difficile trovare un’espressione esplicita di y(t): ogni funzione y(t) del
tipo y(t) = cekt , con c ∈ R è soluzione dell’equazione data. Per determinare
2 1. Equazioni differenziali ordinarie

c si deve far uso di altre informazioni sul sistema. Noi, ad esempio, sappiamo
che all’istante iniziale, t = 0, il numero di batteri era N0 . Fra tutte le solu-
zioni dell’equazione, solo y(t) = N0 ekt soddisfa questa condizione iniziale. La
costante k che fornisce il tasso relativo di crescita della popolazione di batteri
(ed è detta potenziale biologico) può essere positiva o negativa: è positiva se
il numero di individui capaci di riprodursi supera quello degli individui che,
per morte o per altri motivi, non lo sono più ed è negativo nel caso contrario.
Nel primo caso il numero di batteri cresce esponenzialmente, nel secondo va a
zero esponenzialmente. Questo modello, dovuto a Malthus, è, in pratica, trop-
po grossolano per descrivere la dinamica delle popolazioni (anche di batteri!)
perché non tiene conto del fatto che gli individui dissipano risorse e ciò fa
inevitabilmente diminuire il tasso di crescita. Un modello più realistico, di Ve-
rhulst, suppone una diminuzione di k col crescere di y, cioè, k = k0 (1 − αy(t)),
con k0 , α costanti positive. Si ottiene, in questo caso, l’equazione
y  (t) = k0 (1 − αy(t))y(t)
che è ancora un’equazione differenziale ordinaria ma non è lineare.

 Esempio 1.1.2 (Equazione di Newton) Come si sa dalla Meccanica, il


moto unidimensionale di un punto materiale, soggetto ad una forza F , nella
direzione del moto, è descritto dall’equazione di Newton
y  = F (t, y, y  ).
L’equazione precedente tiene conto della possibile dipendenza di F dal tempo,
dalla posizione y e dalla sua velocità y  . L’equazione di Newton è un’equa-
zione differenziale ordinaria del II ordine, in generale, non lineare. A parte il
semplice caso in cui F è costante, saranno noti al lettore:

• il caso dell’oscillatore armonico, F = −ω 2 y, la cui soluzione è del tipo:


y(t) = A sin(ωt) + B cos(ωt);

• il caso dell’oscillatore armonico smorzato (attrito proporzionale alla ve-


locità), in cui F = −ω 2 y − 2αy  , con α > 0 sufficientemente piccolo. La
soluzione è del tipo:
y(t) = Ae−αt sin(ω1 t) + Be−αt cos(ω1 t).

In entrambi i casi si nota la presenza di due costanti che restano indetermi-


nate fino a quando non si conoscono le condizioni iniziali del sistema (che, a
differenza del precedente esempio, devono essere due).
1.2. Definizioni di base 3

 Esempio 1.1.3 Molti sistemi biologici possono essere schematizzati tra-


mite il modello preda - predatore di Volterra. Si tratta di sistemi nei quali due
popolazioni concorrenti, le prede ed i predatori, convivono in uno stesso am-
biente. Si suppone che il tasso d’incremento x (t)/x(t) della popolazione x(t)
di prede diminuisca con il crescere della popolazione y(t) di predatori, mentre
il tasso d’incremento di questi ultimi cresca con il crescere della popolazione
delle prede. Queste (ed altre) ipotesi portano al seguente sistema di equazioni
differenziali:  
x (t) = kx − ax2 − bxy
y  (t) = hy − cy 2 + dxy,

dove h, k e a, b, c, d sono costanti positive. I termini in x2 ed y 2 hanno lo stesso


genere di motivazioni viste nell’esempio 1.1.1. Di questo tipo di sistemi (non
lineari) non è possibile dare esplicitamente la soluzione. Un certo numero di
informazioni sulla soluzione si può, però, trarre direttamente dal sistema di
equazioni, con tecniche che lo studente avrà modo di apprendere in corsi più
avanzati sui sistemi di equazioni differenziali.

1.2 Definizioni di base

Definizione 1.2.1 Si chiama equazione differenziale ordinaria un’equazione


della forma

F (t, y(t), y  (t), . . . , y (n) (t)) = 0 (1.1)

dove F ≡ F (t, z0 , z1 , . . . zn ) è definita in un certo insieme A ⊆ Rn+2 a valori


in R.

La funzione y(t) che compare nell’equazione precedente, insieme alle sue de-
rivate fino all’ordine n, tutte calcolate nello stesso punto t, è l’incognita
dell’equazione. L’equazione è detta

• d’ordine n, se n è il massimo ordine di derivazione con cui la y compare


nell’equazione;

• lineare se F (t, z0 , z1 , . . . zn ) = b(t) + a0 (t)z0 + a1 (t)z1 + . . . + an (t)zn ,


ovvero se F è un polinomio di primo grado nelle variabili (z0 , z1 , . . . zn )
a coefficienti, eventualmente, dipendenti da t.
4 1. Equazioni differenziali ordinarie

L’aggettivo ordinaria che compare nella denominazione, sta ad indicare che


l’incognita y è funzione soltanto della variabile t. Se è possibile esplicitare
(globalmente) la (1.1) rispetto ad y (n) , cioè, alla derivata d’ordine massimo di
y:

y (n) (t) = f (t, y(t), y  (t), . . . , y (n−1) (t)) (1.2)

dove f è una funzione definita in un sottoinsieme D di Rn+1 , l’equazione


differenziale ordinaria è detta di forma normale. D’ora in poi, considereremo
solo equazioni in forma normale.

Definizione 1.2.2 Una funzione u(t), definita ed n volte derivabile in un


intervallo I, è detta una soluzione dell’equazione (1.2) se

(i) (t, u(t), u (t) . . . u(n−1) (t)) ∈ D per ogni t ∈ I e

(ii) u(n) = f (t, u(t), u (t), . . . , u(n−1) (t)) per ogni t ∈ I

L’equazione (1.2) può non avere alcuna soluzione, può ammetterne più di una
o può anche avere infinite soluzioni distinte. Per comprenderlo è sufficiente
considerare l’equazione differenziale ordinaria: y  (t) = g(t) . Se g è definita
su un intervallo I, ma ha, in I, una discontinuità di I specie, allora non vi
sono soluzioni dell’equazione data. Se, invece, g è una funzione continua su un
intervallo I della retta reale, una qualunque delle infinite primitive di g è so-
luzione dell’equazione. È ben noto che, nel caso di questa semplice equazione
differenziale ordinaria, se si impone la condizione che il grafico della primitiva
cercata passi per un punto P0 ≡ (t0 , y0 ), si determina un’unica funzione G(t)
che ha g come derivata e tale che G(t0 ) = y0 . Il punto (t0 , y0 ) rappresenta la
condizione iniziale della soluzione cercata. Si può pensare che questo sia un
fatto generale: ovvero, che una condizione iniziale sia sufficiente a determi-
nare univocamente la soluzione, ammesso che ne esista una, di un’equazione
differenziale del primo ordine. Come vedremo, è effettivamente cosı̀.

Insieme alle equazioni differenziali del tipo (1.2), si possono considerare i


sistemi di equazioni differenziali, in modo analogo a come in algebra si passa
dal considerare singole equazioni algebriche a sistemi di equazioni algebriche.
Per i nostri scopi ci limiteremo a considerare solo il caso di sistemi del primo
ordine in n incognite.
Se f1 , f2 , . . . , fn sono n funzioni delle n + 1 variabili reali t, z1 , z2 , . . . , zn ,
tutte definite in un sottoinsieme A di Rn+1 , un sistema di equazioni differen-
1.3. Problema di Cauchy 5

ziali del I ordine è un sistema di n equazioni


 

 y = f1 (t, y1 , . . . yn )
 1
 y2 = f2 (t, y1 , . . . yn )
.. (1.3)

 .

 
yn = f1 (t, y1 , . . . yn )
nelle n funzioni incognite y1 (t), y2 (t), . . . yn (t), che, indicando con y (t) la fun-
zione a valori in Rn di componenti y1 (t), . . . , yn (t) e con f la funzione vettoriale
di componenti f1 , f2 , . . . fn , assume la seguente forma vettoriale:
y  = f(t, y ) (1.4)
L’importanza di considerare sistemi del I ordine sta nel fatto che ogni equazio-
ne differenziale normale (1.2) di ordine n si può sempre ricondurre ad un siste-
ma del I ordine in n variabili introducendo delle incognite ausiliarie. Conside-
riamo, infatti, l’equazione (1.2). Se si definisce w1 := y, w2 := y  , w3 = y  . . . ,
wn := y (n−1) , essa si trasforma nel sistema
 

 w1 = w2

 w = w3
2
.. (1.5)

 .

 
wn = f (t, w1 , . . . wn )
La trattazione delle equazioni differenziali di ordine n si può ricondurre, quin-
di, a quella dei sistemi di I ordine. Questo fatto è sicuramente vantaggioso
nello sviluppo della teoria. Lo è un po’ meno quando si voglia risolvere con-
cretamente un’equazione differenziale, perché non è affatto detto che passare
al sistema di I ordine semplifichi effettivamente le cose.

1.3 Problema di Cauchy per un sistema di equazioni


differenziali del I ordine

Il cosiddetto problema di Cauchy per un sistema di equazioni del I ordine ha


la forma
 
y = f(t, y )
(1.6)
y (t0 ) = y 0 .
Esso, cioè, consiste di un sistema di equazioni differenziali del I ordine e di una
condizione iniziale vettoriale (cioè, di n condizioni iniziali scalari). Per questo
motivo il problema di Cauchy è spesso detto problema ai valori iniziali.
6 1. Equazioni differenziali ordinarie

 Esempio 1.3.1 Uno dei più semplici problemi di Cauchy è quello relativo
ad un’equazione differenziale del I ordine lineare, che scriviamo nella forma:
 
y + p(t)y = q(t)
(1.7)
y(t0 ) = y 0 .
con p, q funzioni continue su un certo intervallo I. In questo caso si ha, quindi,
f (t, y) = −p(t)y + q(t) che è una funzione continua nella striscia I × R.
t
Posto P (t) = t0 p(τ )dτ , moltiplichiamo ambo i membri dell’equazione in
(1.7) per eP (t) . Otteniamo
y  eP (t) + p(t)eP (t) y = q(t)eP (t) ,
che può anche scriversi come
d  P (t) 
ye = q(t)eP (t) .
dt
Integrando ambo i membri tra t0 e t e tenendo conto della condizione y(t0 ) =
y 0 , deduciamo che t
yeP (t) − y0 = q(τ )eP (τ ) dτ.
t0
In conclusione
t
−P (t) −P (t)
y(t) = y0 e +e q(τ )eP (τ ) dτ. (1.8)
t0

La costruzione stessa della soluzione (1.8) mostra che essa è unica. Notiamo
infine che, benché la (1.8) dia esplicitamente la soluzione, nella pratica la
determinazione dell’integrale a secondo membro è, spesso, piuttosto difficile.

1.3.1 Esistenza ed unicità locale

Ritorniamo adesso al problema generale, occupandoci in primo luogo di deter-


minare sotto quali condizioni su f si può esser certi dell’esistenza e dell’unicità
della soluzione del problema (1.6).

Lemma 1.3.2 Sia I = [t0 − r, t0 + r] un intorno di t e y ∈ C 1 (I) una soluzio-


ne, in I, del problema (1.6) con f continua. Allora y (t) soddisfa l’equazione
integrale di Volterra:
t
y (t) = y 0 + f(τ, y (τ ))dτ. (1.9)
t0
1.3. Problema di Cauchy 7

Viceversa, se y (t) è una soluzione continua in I dell’equazione (1.9) allora,


y (t0 ) = y 0 , y (t) è di classe C 1 (I) e soddisfa l’equazione y  = f(t, y ).

Dimostrazione – La prima parte si dimostra con una semplice integrazione tra


t0 e t dell’equazione differenziale. Viceversa, se y (t) è una soluzione continua in I
dell’equazione (1.9), allora ciascuna componente yi è derivabile, perché è una primitiva
della funzione continua fi (t, y ). Poiché ciascuna delle fi è continua, y (t) ∈ C 1 (I) e
soddisfa l’equazione differenziale. 
Dimostreremo adesso il teorema principale (detto di Cauchy-Lipschitz)
sull’esistenza ed unicità del problema di Cauchy. Considereremo solo il caso
n = 1 (un’equazione in una incognita) giusto per evitare un appesantimen-
to di notazioni. La dimostrazione, con le necessarie modifiche, vale nel ca-
so generale. Per dimostrare il teorema faremo uso del seguente teorema di
Banach-Caccioppoli (detto anche principio di contrazione).

Lemma 1.3.3 (Teorema di Banach-Caccioppoli) Sia (E, d) uno spazio metri-


co completo ed F : E → E una contrazione di E, nel senso che esiste α ∈]0, 1[
tale che
d(F (x), F (y)) ≤ αd(x, y), ∀x, y ∈ E,

allora F ammette un unico punto fisso; cioè, esiste un unico x ∈ E tale che
F (x) = x.

Teorema 1.3.4 Sia f : A → R, con A aperto. Sia (t0 , y0 ) un punto di A e


siano I = [t0 − δ, t0 + δ] e J = [y0 − r, y0 + r], con δ, r scelti in modo che
I × J ⊂ A.
Se f è continua in A ed esiste una costante L > 0 tale che

|f (t, z1 ) − f (t, z2 )| ≤ L|z1 − z2 |, ∀t ∈ I, z1 , z2 ∈ J (1.10)

1 allora esiste r0 , con 0 < r0 < δ, tale che il problema di Cauchy



y  = f (t, y)
(1.11)
y(t0 ) = y 0 .

ammette una, ed una sola, soluzione in I0 = [t0 − r0 , t0 + r0 ].


1
se è soddisfatta la condizione (1.10) si dice che ’f è lipschitziana in y uniformemente in
t su J’. Per brevità, noi scriveremo semplicemente ’lipschitziana rispetto ad y’ o ’in y’.
8 1. Equazioni differenziali ordinarie

Dimostrazione – La dimostrazione che daremo sfrutta il principio di contrazione


1.3.3. Per applicarlo si tratterà, quindi, di determinare un opportuno spazio metrico
completo B ed una contrazione di B che risulti utile ai nostri fini.
Cominciamo col ricordare che lo spazio delle funzioni continue su un intervallo
chiuso e limitato I è uno spazio metrico completo se la distanza di due funzioni φ, ψ
è definita da:
d(φ, ψ) = φ − ψ∞ := max |φ(s) − ψ(s)|.
s∈I

Ritorniamo al nostro problema ed indichiamo con M il massimo della funzione


f (t, y) in I × J. Sia adesso r0 un numero reale tale che:


r 1
0 < r0 < min δ, , (1.12)
M L
e sia I0 l’intorno chiuso di centro t0 e raggio r0 . Poniamo
B = {y ∈ C(I0 ) : y − y0 ∞ ≤ r.}
B, essendo un sottoinsieme chiuso di uno spazio completo, è esso stesso uno spazio
metrico completo. Indichiamo con F l’applicazione che ad ogni funzione z ∈ B associa
la funzione w definita da
t
w(t) = y0 + f (τ, z(τ ))dτ, t ∈ I0 .
t0

La funzione w(t) è certo continua in I0 . Vogliamo provare che w ∈ B, cosicché F è


una funzione di B in se stesso. Si ha:
t


|w(t) − y0 | = f (τ, z(τ ))dτ ≤ M |t − t0 | ≤ M r0 < r,
t0

e quindi, prendendo l’estremo superiore per t ∈ I0 , w(t) − y0 ∞ ≤ r.


Rimane da provare che F è una contrazione di B. Siano, allora, z1 e z2 elementi
di B. Si ha, supponendo, per semplicità, t > t0 :
t
|F (z1 ) − F (z2 )| ≤ |f (τ, z1 (τ )) − f (τ, z2 (τ ))|dτ
t0
t
≤ L |z1 (τ ) − z2 (τ )|dτ ≤ Lr0 z1 − z2 ∞ .
t0

Poiché Lr0 < 1, F è una contrazione di B. Esiste, allora, un unico punto fisso y(t) di
F , cioè, esiste un’unica funzione y(t) ∈ B tale che
t
y(t) = y0 + f (τ, y(τ ))dτ.
t0

Dal lemma 1.3.2, y(t) è soluzione del problema di Cauchy. Anche l’unicità segue dallo
stesso lemma: ogni altra soluzione del problema dovrebbe essere anch’essa un punto
di fisso di F . Ma questo è unico per il lemma 1.3.3. 
1.3. Problema di Cauchy 9

Nota 1.3.5 Nella dimostrazione del teorema di Banach-Caccioppoli, il punto


fisso x della contrazione F è costruito esplicitamente, a partire da un punto arbitrario
ξ0 ∈ E come limite della successione ricorrente

x0 = ξ0
xn+1 = F (xn )
Questa stessa procedura può essere usata per ottenere approssimazioni successive
della soluzione del problema di Cauchy.

Può sembrare che la condizione di lipschtzianità uniforme sia piuttosto


difficile da verificare. Ma, in molti casi d’interesse, non è cosı̀. È, infatti,
sufficiente che la funzione f abbia derivata parziale rispetto ad y continua in
A (o addirittura solo in I × J) perché essa sia automaticamente soddisfatta.
Infatti, in questo caso, se t ∈ I e z1 , z2 ∈ J, il teorema di Lagrange ci assicura
che esiste un punto ξ, che può dipendere da t, compreso tra z1 e z2 tale che
∂f
f (t, z1 ) − f (t, z2 ) = (t, ξ)(z1 − z2 ).
∂y
∂f
La funzione ∂y (t, ξ) ammette massimo sul compatto I × J. Sia esso L. Si ha,
allora:
|f (t, z1 ) − f (t, z2 )| ≤ L|z1 − z2 |, ∀t ∈ I, ∀z1 , z2 ∈ J.

 Esempio 1.3.6 Sia f (t, y) = t log y − y log t definita su A = {(t, y) :


t > 0, y > 0}. La f è continua su A insieme con la sua derivata parziale
∂f
∂y = y − log t. Quindi, se (t0 , y0 ) ∈ A, il problema di Cauchy:
t

 
y = t log y − y log t
y(t0 ) = y 0 .
ha un’unica soluzione in un intorno di t0 .

 Esempio 1.3.7 L’equazione lineare del primo ordine considerata nell’e-


sempio 1.3.1
y  = −p(t)y + q(t)
con p(t) e q(t) funzioni continue su un intervallo aperto ]a, b[ è sempre tra quelle
a cui si può applicare il teorema di Cauchy-Lipschitz. Infatti, la continuità di
p(t) e di q(t) garantisce la continuità della funzione f (t, y) = −p(t)y + q(t) in
]a, b[×R) ed anche della derivata parziale ∂f ∂f
∂y , essendo ∂y = −p(t).
Con un argomento analogo si prova che anche un sistema lineare del primo
ordine è nel campo di applicabilità del teorema di Cauchy-Lipschitz.
10 1. Equazioni differenziali ordinarie

1.3.2 Prolungamento delle soluzioni

Il teorema 1.3.4 ci dà solo un’informazione di esistenza ed unicità locale della


soluzione: nelle ipotesi del teorema, esistono un’intorno I0 := [t0 − r0 , t0 + r0 ]
ed una funzione y(t) che risolve il problema di Cauchy in quest’intorno. Ci
proponiamo adesso di stabilire se è possibile prolungare la soluzione y(t) ad
intervalli che contengono I0 . Per semplificare un po’ la trattazione supporremo
che le condizioni del teorema 1.3.4 ricorrano in ogni rettangolo chiuso I × J ⊂
A. In particolare assumeremo che f sia localmente lipschtziana nel senso che,
per ogni rettangolo chiuso I × J ⊂ A, esiste L > 0 tale che

|f (t, z1 ) − f (t, z2 )| ≤ L|z1 − z2 |, ∀t ∈ I, z1 , z2 ∈ J.

Consideriamo adesso il punto (t0 +r0 , y(t0 +r0 )) come nuovo punto iniziale
e studiamo il seguente problema di Cauchy
 
z = f (t, z)
(1.13)
z(t0 + r0 ) = y(t0 + r0 ).

Poichè (t0 + r0 , y(t0 + r0 )) non appartiene alla frontiera ∂A di A, esistono


un intorno I1 di t0 + r0 ed un intorno J1 di y(t0 + r0 ) tali che I1 × J1 ⊂ A.
Il teorema 1.3.4, ci assicura, allora, che esistono un numero r1 > 0 ed una
funzione z(t) che è soluzione di (1.13) nell’intervallo [t0 + r0 − r1 , t0 + r0 + r1 ].
L’unicità della soluzione implica che y(t) = z(t) in [t0 +r0 −r1 , t0 +r0 ]. Infatti,
se cosı̀ non fosse, il problema di Cauchy con dato iniziale z(t0 +r0 ) = y(t0 +r0 )
avrebbe nell’intorno sinistro [t0 + r0 − r1 , t0 + r0 ] due soluzioni distinte, il che
è impossibile. La funzione

y(t) t ∈ [t0 − r0 , t0 + r0 ]
w(t) =
z(t) t ∈ [t0 + r0 , t0 + r0 + r1 ]

è, dunque, un prolungamento continuo di y(t). Si ha inoltre:

lim w (t) = lim y  (t) = lim f (t, y(t)) = lim f (t, w(t)),
t→(t0 +r0 )− t→(t0 +r0 )− t→(t0 +r0 )− t→(t0 +r0 )−

lim w (t) = lim z  (t) = lim f (t, z(t)) = lim f (t, w(t)).
t→(t0 +r0 )+ t→(t0 +r0 )+ t→(t0 +r0 )+ t→(t0 +r0 )+

Poiché sia f sia w sono continue in t0 + r0 si ha:

lim f (t, w(t)) = lim f (t, w(t)).


t→(t0 +r0 )− t→(t0 +r0 )+
1.3. Problema di Cauchy 11

Quindi, w(t) è di classe C 1 in [t0 − r0 , t0 + r0 + r1 ]. In conclusione, w(t) è


soluzione del problema di Cauchy di partenza nell’intervallo [t0 −r0 , t0 +r0 +r1 ].
In questo modo abbiamo ottenuto un prolungamento a destra della soluzione.
In modo analogo si può procedere per ottenere un prolungamento a sinistra
del punto t0 − r0 .

Definizione 1.3.8 Sia y(t) una soluzione del problema di Cauchy (1.11), de-
finita nell’intervallo ]a, b[ contenente t0 . Una soluzione z(t) dell’equazione
z  = f (t, z), definita in un intervallo ]α, β[⊃]a, b[, è detta un prolungamento
della soluzione y(t) se

(i) (t, z(t)) ∈ A per ogni t ∈]α, β[;


(ii) z(t) = y(t) per ogni t ∈]a, b[.

Non si può pensare, in generale, di continuare in modo indefinito la procedura


descritta sopra, perché man mano che si avanza verso destra, la costante di
Lipschitz può cambiare sensibilmente al variare del punto iniziale e potrebbe
divergere avvicinandosi alla frontiera di A.

 Esempio 1.3.9 Consideriamo il problema


 
y = y2
y(t0 ) = y0 .
∂f
Sia f (t, y) = y 2 sia ∂y = 2y sono continue su tutto il piano.
Nel rettangolo R = [t0 − a, t0 + a] × [y0 − b, y0 + b] si ha:
|y12 − y22 | ≤ 2|y0 + b||y1 − y2 |.
La costante L = 2|y0 + b| è la migliore possibile. Si vede, allora, chiaramente
che L può rendersi arbitrariamente grande al variare di y0 . Questo corrisponde
al fatto che la soluzione del problema, che è
y0
y(t) = ,
1 − y0 (t − t0 )
non può essere prolungata, se y0 > 0, oltre il punto t0 + 1/y0 .

È naturale, quindi, chiedersi fino a che punto si può procedere nel prolun-
gamento della soluzione. Per rispondere a questa domanda, poniamo
δ = sup{δ > 0 : il problema (1.11) ha soluzione in [t0 , t0 + δ]}. (1.14)
12 1. Equazioni differenziali ordinarie

Se δ = +∞, allora la soluzione si prolunga a destra a tutta la semiretta


[t0 , +∞]. Se, invece, δ < +∞, la soluzione non si può certo prolungare all’in-
tervallo [t0 , t0 + δ] (in altre parole, δ non può essere il max nella (1.14)) perchè
in questo caso potremmo riapplicare il procedimento di prolungamento tro-
vando una soluzione in un intervallo [t0 , t0 + δ  ] con δ  > δ e contraddicendo la
definizione di δ. Un ragionamento simile può essere fatto per i prolungamenti
a sinistra considerando

γ = sup{γ > 0 : il problema (1.11) ha soluzione in [t0 − γ, t0 ]}.

Anche in questo caso può essere γ = +∞ (la soluzione si prolunga, quindi, al-
l’intervallo ]−∞, t0 ]) oppure γ < +∞ e la soluzione non può essere prolungata
a [t0 − γ, t0 ]. L’intervallo di definizione del massimo prolungamento possibile
è, dunque, in ogni caso, aperto. Abbiamo, cosı̀ dimostrato il seguente

Teorema 1.3.10 Sia f : A → R, A ⊆ R2 aperto, una funzione continua


e localmente lipschitziana in y. Sia (t0 , y0 ) un punto di A ed y(t) la corri-
spondente unica soluzione locale del problema (1.11). Allora, la soluzione y(t)
ammette un prolungamento massimale (cioè, non ulteriormente prolungabile)
y(t), definito necessariamente su un intervallo aperto ]a0 , b0 [ contenente t0 .

La seguente proposizione ci fornisce condizioni necessarie e sufficienti di


prolungabilità.

Proposizione 1.3.11 Sia A un aperto di R2 , f : A → R continua e local-


mente lipschitziana rispetto a y in A. Se y(t) è soluzione in ]a, b[ del problema
di Cauchy relativo ad f e ad un punto iniziale t0 ∈]a, b[, allora le seguenti
condizioni sono equivalenti:

(i) y(t) ammette un prolungamento a destra;

(ii) esiste finito limt→b− y(t) e, posto y = limt→b− y(t), il punto (b, y) appar-
tiene ad A;

(iii) la soluzione y(t) e la sua derivata y  (t) sono limitate in un intorno


sinistro di b.

Dimostrazione – (i)⇒(ii): Sia z(t) il prolungamento della soluzione y(t) all’interval-


lo ]a, b + [, > 0. Allora z(t) è di classe C 1 in ]a, b + [. Quindi, il limite limt→b− y(t)
1.3. Problema di Cauchy 13

esiste finito. Inoltre y = z(b) e, per definizione di prolungamento, (b, z(b)) ∈ A.


(ii)⇒(iii): Il fatto che y(t) sia limitata in un intorno sinistro di b segue dal teorema
di limitatezza locale. Si ha pure:

lim y  (t) = lim f (t, y(t)) = f (b, y),


t→b− −
t→b

per la continuità di f in A. Quindi, anche la funzione y  (t) sarà limitata in un intorno


sinistro di b.
(iii)⇒(i): Essendo y  (t) limitata in un intervallo ]t1 , b[, la y(t) è lispschtziana e, quindi,
uniformemente continua in ]t1 , b[. È ben noto che, in questo caso, la funzione y(t)
ha limite finito y per t → b− e, dunque, y(t) ammette un’estensione continua z(t)
all’intervallo ]a, b]. L’uguaglianza y  (t) = f (t, y(t)) garantisce, passando al limite per
t → b− , che esiste finito anche il limt→b− y  (t). Una semplice conseguenza del teorema
di Lagrange assicura, allora, che z(t) ammette derivata sinistra in b e che


z− (b) = lim y  (t).
t→b−

A questo punto si può costruire, come abbiamo visto in precedenza, un prolungamento


a destra della soluzione, prendendo (b, y) come punto iniziale di un nuovo problema
di Cauchy. 
Affermazioni analoghe a quelle della proposizione 1.3.11 valgono per l’estremo
sinistro a dell’intervallo.

Nota 1.3.12 Nel caso in cui A = I × R con I =]a, b[ , −∞ ≤ a < b ≤ +∞ ed


y(t) è una soluzione non prolungabile del problema di Cauchy (1.11), definita su un
intervallo ]a0 , b0 [, si può provare che deve necessariamente aversi:

(i) o b = b0 oppure b0 < b e lim |y(t)| = +∞


t→b−
0

(ii) o a = a0 oppure a0 > a e lim |y(t)| = +∞


t→a+
0

La proposizione 1.3.11 è, spesso, utile per la determinazione dell’intervallo di


definizione della soluzione massimale senza risolvere esplicitamente il proble-
ma, ammesso che questo sia possibile. Non sempre, infatti, un problema di
Cauchy si può risolvere con metodi elementari. Spesso ci si deve accontentare,
anche ai fini di una possibile risoluzione numerica del problema, di valutazioni
qualitative che talvolta possono anche condurre a tracciare un grafico appros-
simativo della soluzione. Descriveremo questi metodi, attraverso degli esempi,
nella sezione 1.5.2.
14 1. Equazioni differenziali ordinarie

1.4 Esistenza ed unicità globale

L’ultima questione a cui vogliamo dare una risposta è la seguente: in quali con-
dizioni è possibile stabilire l’esistenza e l’unicità della soluzione del problema
di Cauchy su un intervallo prefissato [α, β] contenente il punto iniziale t0 ? La
risposta, alla luce dello studio fin qui fatto, potrebbe sembrare ovvia. Infatti,
se [α, β] è contenuto nell’intervallo di definizione del prolungamento massimale
y(t), certamente la restrizione di y(t) ad [α, β] fornisce una risposta al quesito.
Tuttavia questa risposta richiede la conoscenza della soluzione massimale ed è,
quindi, in generale, di scarsa utilizzabiltà. Per dare una condizione sufficiente
di esistenza della soluzione in un intervallo prefissato utilizzeremo il seguente
lemma.

Lemma 1.4.1 (Gronwall) Sia g : I → R, con I intervallo di R, una funzione


continua e non negativa. Supponiamo che esistano t0 ∈ I e L, M ≥ 0 tali che
t
g(t) ≤ L + M g(τ )dτ, ∀t ∈ I, t ≥ t0 .
t0

Allora,
g(t) ≤ LeM (t−t0 ) , ∀t ∈ I, t ≥ t0 .

Dimostrazione – Per t ∈ I poniamo


t
h(t) = L + M g(τ )dτ.
t0

Risulta, evidentemente, h(t0 ) = L. Inoltre, la funzione h(t) è derivabile in I e si ha


h (t) = M g(t), per ogni t ∈ I. Poiché g(t) ≤ h(t) per t ≥ t0 , risulta:
h (t) ≤ M h(t), ∀t ≥ t0 , t ∈ I.
Quindi,
(h (t) − M h(t))e−M (t−t0 ) ≤ 0, ∀t ≥ t0 , t ∈ I.
Ma
d
(h (t) − M h(t))e−M (t−t0 ) = (h(t)e−M (t−t0 ) ).
dt
Quindi, la funzione h(t)e−M (t−t0 ) è decrescente nell’insieme {t ∈ I : t ≥ t0 }. Ne
concludiamo che h(t0 ) ≥ h(t)e−M (t−t0 ) per t ∈ I, t ≥ t0 o, altrimenti detto,
h(t) ≤ h(t0 )eM (t−t0 ) = LeM (t−t0 ) , ∀t ≥ t0 , t ∈ I.
Ma g(t) ≤ h(t), per t ≥ t0 , t ∈ I, e, quindi, l’affermazione è provata. 
1.4. Esistenza ed unicità globale 15

Siamo adesso in condizione di dare il cosiddetto teorema di esistenza globale.

Teorema 1.4.2 Sia f (t, y) definita e continua nell’aperto A contenente la


striscia S := [α, β] × R e localmente lipschitziana in A rispetto a y. Supponia-
mo che esistano due costanti λ, µ ≥ 0 tali che

|f (t, y)| ≤ λ + µ|y|, ∀(t, y) ∈ S, (1.15)

allora, se (t0 , y0 ) ∈ S, il problema di Cauchy


 
y = f (t, y)
(1.16)
y(t0 ) = y 0 .

ammette una, ed una sola, soluzione definita in tutto [α, β]

Dimostrazione – Sia w(t) la soluzione massimale definita nell’ intervallo (eventual-


mente non limitato) ]a0 , b0 [. Vogliamo provare che [α, β] ⊂]a0 , b0 [.
Intanto se β = b0 , per le ipotesi su f , la soluzione si estenderebbe a destra di b0 ,
contraddicendo la massimalità.
Se fosse b0 < β, si avrebbe, per la (i) della nota 1.3.12, lim |w(t)| = +∞. Ma la
t→b−
0
(1.15) implica che, per ogni t ∈ [t0 , b0 [,
t


|w(t)| = y0 + f (τ, w(τ )dτ )
t0
t
≤ |y0 | + (λ + µ|w(τ )|)dτ
t0
t
≤ |y0 | + λ(b0 − t0 ) + µ |w(τ )|dτ
t0
t
= γ+µ |w(τ )|dτ
t0

avendo posto γ = |y0 | + λ(b0 − t0 ). Il lemma 1.4.1 implica, allora, che

|w(t)| ≤ γ eµ(t−t0 ) , ∀t ∈ [t0 , b[

e questa è una contraddizione. Quindi, b0 > β.


In modo simile si dimostra che deve essere a0 < α. 

Nota 1.4.3 La condizione (1.15) è soddisfatta se, ad esempio, f (t, y) è limitata


(basta porre µ = 0) o se f è globalmente lipschitziana rispetto a y in S. In questo
caso, infatti, esisterà L > 0 tale che:

|f (t, y) − f (t, y1 )| ≤ L|y − y1 |, ∀t ∈ [α, β], ∀y, y1 ∈ R.


16 1. Equazioni differenziali ordinarie

Quindi, scelto y1 = 0,

|f (t, y)| ≤ max |f (t, 0)| + L|y|, ∀t ∈ [α, β], ∀y ∈ R.


t∈[α,β]

 Esempio 1.4.4 Il problema di Cauchy



y  = arctan(ty)
y(0) = 0

ammette una, ed una sola, soluzione y(t) definita su tutto R. Infatti, la funzio-
ne f (t, y) = arctan(ty) che è definita su tutto R2 è localmente lipschitziana in
y avendo derivata parziale ∂f∂y continua; essa è inoltre limitata. Si può, quindi,
applicare il teorema di esistenza globale.

 Esempio 1.4.5 Consideriamo il problema di Cauchy



y  = t log y
y(1) = 12

La funzione f (t, y) = t log y è definita in A = {(t, y) ∈ R2 : y > 0} ed è


localmente lipschitziana in y. Utilizzando la nota disuguaglianza log x ≤ x−1,
per x > 0, si ha per ogni t ∈ [a, b] , y > 0:

|t log y| = |t||y − 1| ≤ |t|(1 + y) ≤ max{|a|, |b|}(1 + y).

La condizione (1.15) è, dunque, soddisfatta. Tuttavia non si può affermare


l’esistenza globale in R di una soluzione perchè il dominio di f non è una
striscia del tipo prescritto. Uno studio qualitativo del problema [cfr. sezione
1.5.2] mostra che il grafico della soluzione y(t) è interamente contenuto nella
striscia 0 < y < 1, la funzione y(t) è decrescente per t > 0 e crescente per
t < 0; ha massimo in t = 0 ed è concava in tutto il suo dominio, essendo

 t2
y = 1+ log y.
y

L’intervallo di esistenza della soluzione massimale è, dunque, necessariamente,


limitato.
1.5. Alcuni semplici problemi di Cauchy 17

1.5 Alcuni semplici problemi di Cauchy

Fin qui ci siamo occupati dei teoremi di esistenza ed unicità per il problema di
Cauchy, ma non abbiamo dato (tranne che per il caso lineare) alcun metodo
per risolverne qualcuno. In generale, la risoluzione del problema si può otte-
nere esplicitamente in un numero abbastanza ristretto di casi alcuni dei quali
saranno trattati nella sezione 1.5.1. In qualche altro caso, come accennato in
precedenza, pur non potendo risolvere esplicitamente il problema, è possibile
ottenere alcune informazioni di natura qualitativa sulla soluzione. Qualche
esempio di questa procedura è illustrato nella sezione 1.5.2

1.5.1 Equazioni a variabili separabili

Se la funzione f (t, y) ha la forma

f (t, y) = h(t)g(y)

è talvolta semplice trovare le soluzioni del relativo problema di Cauchy. In


questo caso, l’equazione è detta a variabili separabili . Dall’equazione

y  (t) = h(t)g(y)

segue, passando ai differenziali,

y  (t)dt = h(t)g(y)dt

e, se g(y) = 0,
dy
= h(t)dt.
g(y)
Integrando ambo i membri, si è in grado (in linea di principio) di determinare le
soluzioni y(t). Quanto alla condizione g(y(t)) = 0, nel risolvere un problema di
Cauchy, è sufficiente garantirla in un intorno del punto iniziale t0 , considerato
che, in genere, si è alla ricerca di soluzioni locali del problema. Vediamo come
si opera con alcuni esempi.

 Esempio 1.5.1 Risolviamo il problema di Cauchy


 
y = ty 2
y(0) = 1
18 1. Equazioni differenziali ordinarie

In un intorno del punto t = 0, la soluzione y(t) sarà diversa da 0, visto che


y(t) è continua e y(0) = 1. Operando come sopra, si perviene all’uguaglianza:

y  (t)dt
= tdt.
y 2 (t)

Il prossimo passo consiste nell’integrare da 0 a t entrambi i membri:



t
y  (s)ds t
= sds.
0 y 2 (s) 0

Quest’ operazione è certo possibile in un intorno di 0. Quindi:

1 1 t2
− + =
y(t) y(0) 2

In definitiva:
2
y(t) =
2 − t2
√ √
che è definita in ] − 2, 2[ e non è prolungabile oltre quest’intervallo.

 Esempio 1.5.2 Risolviamo il problema di Cauchy



y  y = −t
y(0) = 1

le cui variabili sono già separate. Integrando ambo i membri tra 0 e t, si ha:

y 2 (t) = 1 − t2

Ricavando y, si ottiene:

y(t) = 1 − t2 .

La scelta della determinazione negativa della radice è esclusa, perché in questo


caso, non potrebbe essere soddisfatta la condizione iniziale. È anche importan-
te osservare che, benché la soluzione sia definita in [−1, 1], essa è soluzione del
problema solo nell’intervallo ] − 1, 1[ perché non è derivabile nei punti estremi
dell’intervallo. Inoltre, y(t) non può essere ulteriormente prolungata, a causa
della (iii) della proposizione 1.3.11. Infatti, la derivata y  (t) non è limitata né
in un intorno di 1 né in un intorno di −1.
1.5. Alcuni semplici problemi di Cauchy 19

 Esempio 1.5.3 Nel problema


 
y = t(y − t)2 + 1
y(0) = 1

l’equazione da risolvere non è a variabili separabili. Tuttavia, se si pone z(t) =


y(t) − t, si ottiene  
z = tz 2
z(0) = 1
che è stata risolta nell’esempio 1.5.1. Quindi,
2
y(t) = + t.
2 − t2

Sono sempre riconducibili ad equazioni a variabili separabili:

• le equazioni del tipo y  = g(at+by). Infatti, con la sostituzione z = at+by


esse si trasformano nella z  = bg(z) + a

• le cosiddette equazioni omogenee nelle quali la funzione f (t, y) è omoge-


nea di grado 0. In questo caso si può esprimere f nella forma f (t, y) =
g(y/t). Ponendo z = y/t, si perviene ad un’equazione a variabili separa-
bili.

Un altro metodo di soluzione, legato alla nozione di forma differenziale lineare,


sarà trattato nella sezione 2.7.

1.5.2 Valutazione qualitativa della soluzione

Come si è già detto, in alcuni casi è possibile trarre alcune informazioni di


natura qualitativa sulla soluzione di un problema di Cauchy che non si è in
grado di risolvere analiticamente.

 Esempio 1.5.4 Consideriamo il problema di Cauchy:


 
y = ty 2
y(0) = −1
20 1. Equazioni differenziali ordinarie

Questo problema è risolubile esattamente (come nel successivo esempio 1.5.1),


tuttavia un numero cospicuo di informazioni può essere ottenuto da conside-
razioni qualitative. Per prima cosa osserviamo che y  (t) ≥ 0 per t > 0 la
soluzione è, quindi, crescente per t > 0. Analogamente, y(t) è decrescente per
t < 0. Il punto t = 0 è di minimo assoluto e non vi sono altri punti di estremo.
D’altra parte, risulta sempre y(t) < 0. Infatti, il grafico della soluzione y(t)
non può attraversare la retta y = 0, perché se ciò accadesse in un punto (t1 , 0),
il problema di Cauchy
 
z = tz 2
z(t1 ) = 0

avrebbe due soluzioni distinte intorno a t1 : la y(t) e la funzione costantemente


uguale a zero. In conclusione, −1 ≤ y(t) < 0. In ogni intervallo limitato ]a, b[
contenente 0 la soluzione e la sua derivata sono limitate. Per la (iii) della
proposizione 1.3.11, la soluzione massimale è definita su tutto R. Ha senso,
quindi, studiare il comportamento di y(t) per t → ±∞.
La funzione y(t) per t > 0 è crescente e limitata. Quindi,

lim y(t) =  < +∞.


t→+∞

Se fosse  = 0, dall’equazione differenziale y  = ty 2 seguirebbe che

lim y  (t) = +∞.


t→+∞

Ma è noto che (teorema dell’asintoto) se

lim y(t) =  < +∞ e 


lim y  (t) = m ∈ R,
t→+∞ t→+∞

allora necessariamente m = 0. Questa contraddizione ci fa concludere che  =


0. Quindi, la soluzione y(t) ammette la retta y = 0 come asintoto orizzontale
per t → +∞. La situazione per t → −∞ è simile.
Osserviamo infine che il cambiamento di variabile t = −s lascia immutata
l’equazione e la condizione iniziale. Quindi, se y(t) è soluzione, anche y(−t) lo
è, per l’unicità della soluzione. Concludiamo, allora, che y(t) è una funzione
pari. In effetti, si può controllare facilmente che

2
y(t) = − , ∀t ∈ R.
t2 +2
1.5. Alcuni semplici problemi di Cauchy 21

 Esempio 1.5.5 Studiamo qualitativamente la soluzione y(t) del problema


di Cauchy  
y = ty(2 − y)
y(0) = 1
Per prima cosa, osserviamo che il problema ammette un’unica soluzione locale
y(t), definita in un intorno di t = 0, essendo soddisfatte le ipotesi del teorema
di Cauchy-Lipschtz. Le funzioni costanti y = 0 ed y = 2 sono, come si vede
immediatamente, soluzioni dell’equazione differenziale
y  = ty(2 − y)
(ma non del problema di Cauchy a causa del dato iniziale y(0) = 1). Il grafico
della soluzione y(t) non incontra nessuna delle due rette y = 0 ed y = 2.
Infatti, detto, ad esempio, (t0 , 0) l’ipotetico punto in cui il grafico della y(t)
incontra la y = 0, in un intorno del punto t0 , il nuovo problema di Cauchy
 
y = ty(2 − y)
y(0) = 0
avrebbe due soluzioni distinte. Il che è impossibile. In modo simile si deduce
che il grafico della y(t) non incontra la retta y = 2. La soluzione y(t) del
problema di Cauchy iniziale, visto che y(0) = 1, soddisfa, allora,
0 < y(t) < 2, ∀t ∈ I,
dove con I abbiamo indicato l’intervallo di definizione della soluzione massi-
male.
Per t = 0 la soluzione ha un minimo (assoluto). Infatti, da y  = ty(2 − y)
deduciamo che, essendo y(2 − y) sempre positivo nella striscia 0 < y < 2,
y  > 0 per t > 0 ed y  < 0 per t < 0.
Procedendo come nell’esempio precedente, si può anche provare che la
retta y = 2 è un asintoto orizzontale per il grafico della soluzione e che questa
è una funzione pari. Lasciamo la verifica al lettore.
Il problema di Cauchy proposto in quest’esempio può essere risolto con
il metodo di separazione delle variabili. Si invita lo studente a trovare la
soluzione ed a verificare che le informazioni ottenute qualitativamente sono
corrette.

 Esempio 1.5.6 Dimostriamo che il grafico della soluzione locale del pro-
blema di Cauchy  
y = 2t + 1 − (t2 − y)2
y(0) = 0
22 1. Equazioni differenziali ordinarie

è contenuto nell’insieme:

D = {(t, y) ∈ R2 : t ∈ R, t2 − 1 < y < t2 + 1}.


Osserviamo che le funzioni y = t2 − 1 ed y = t2 + 1 sono entrambe soluzioni
dell’equazione differenziale y  = 2t + 1 − (t2 − y)2 . Un ragionamento analogo
a quello fatto negli esempi precedenti ci permette, allora, di dire che il grafico
della soluzione massimale y(t) del nostro problema di Cauchy non incontra le
due parabole di equazioni y = t2 − 1 ed y = t2 + 1. Il punto iniziale (0, 0)
si trova nella regione di piano delimitata dalle due parabole. Ne concludiamo
che il grafico di y(t) è contenuto in D.

1.6 Equazioni e sistemi lineari

La definizione di sistema differenziale del I ordine è già stata data nella sezione
1.2 nella quale un sistema di questo tipo è stato scritto nella forma compatta
y  = f(t, y ), (1.17)

dove f è una funzione vettoriale definita su un sottoinsieme A di Rn+1 a valori


in Rn . In questa sezione studieremo una classe particolare di sistemi di I
ordine, detti lineari. In essi, la funzione f ha la forma
f(t, y ) = A(t) · y + b(t), (1.18)
dove A(t) · y indica il prodotto righe per colonne della matrice
 
a11 (t) a12 (t) · · · a1n (t)
 a21 (t) a22 (t) · · · a2n (t) 
 
A(t) =  .. .. .. .. 
 . . . . 
an1 (t) an2 (t) · · · ann (t)
per il vettore colonna  
y1
 
y =  ... 
yn
1.6. Equazioni e sistemi lineari 23

La matrice A è detta matrice dei coefficienti ed il vettore b(t)


 
b1
b =  . 
 .. 
bn

è detto termine noto del sistema.


Se tutti i coefficienti aij (t) della matrice A ed il termine noto b(t) sono
funzioni continue su uno stesso intervallo ]a, b[, allora la funzione f in (1.18)
è continua in ]a, b[×Rn e, dato che le sue derivate parziali rispetto alle yi ,

∂fj
= aij (t) ,
∂yi

sono continue in ogni compatto K ⊂]a, b[×Rn , essa è anche localmente lipschi-
tziana rispetto ad y . Il problema di Cauchy, in questo caso, si scrive

y  = A(t) · y + b(t)
(1.19)
y (t0 ) = y0

con t0 ∈]a, b[. Esso ammette una, ed una sola, soluzione globale in ]a, b[.
Infatti, in ogni intervallo [α, β] ⊂]a, b[ contenente t0 , vale la disuguaglianza

f(t, y ) ≤ sup b(t) + max sup |aij (t)| · y ,


t∈[α,β] i,j t∈[α,β]

che è la versione n-dimensionale della (1.15). Di conseguenza la soluzione


esiste ed è unica in tutto ]a, b[.

1.6.1 Caso omogeneo

Se b(t) = 0 per ogni t ∈]a, b[, il sistema

y  = A(t) · y (1.20)

è detto omogeneo. Indichiamo con K l’insieme di tutte le soluzioni di (1.20)


su ]a, b[. Vale il seguente

Teorema 1.6.1 K è uno spazio vettoriale di dimensione n.


24 1. Equazioni differenziali ordinarie

Dimostrazione – Lasciamo al lettore di verificare che K è uno spazio vettoriale.


Sia t0 ∈]a, b[. Se y (t) ∈ K, associamo ad essa i suoi valori iniziali nel punto t0 ,
cioè, il vettore y0 := y (t0 ). Si definisce, cosı̀ un’applicazione lineare di K in Rn che è
iniettiva. Infatti, se y0 = 0, l’unica soluzione del problema di Cauchy
 
y = A(t) · y
y (t0 ) = 0
è quella identicamente nulla.
L’applicazione è anche suriettiva. Infatti, se y0 = (y01 , . . . y0n ) è un qualunque
vettore di Rn , il problema di Cauchy
 
y = A(t) · y
y (t0 ) = y0
 in ]a, b[. L’applicazione
ammette un’unica soluzione y(t)
y (t) ∈ K → y (t0 ) ∈ Rn
è, dunque, un isomorfismo di spazi vettoriali. Quindi,
dim K = dim Rn = n.

Se si scelgono, dunque, n vettori φ 1, . . . φ n linearmente indipendenti di K ,
essi formano una base di K e tutte e sole le soluzioni dell’equazione (1.20) si
otterranno mediante combinazioni lineari delle φ1 , . . . φn . Cioè, y ∈ K se, e
soltanto se, esistono n costanti reali c1 , . . . , cn tali che
y (t) = c1 φ1 + · · · + cn φn . (1.21)
L’espressione (1.21) prende il nome di integrale generale del sistema omogeneo.
1, . . . φ
Per verificare l’indipendenza lineare di una famiglia {φ  n } di n vet-
tori di K è utile la seguente

Proposizione 1.6.2 Una famiglia {φ  n } di n funzioni (vettoriali) di K


1, . . . φ
costituisce una base di K se, e soltanto se, per almeno un punto t0 ∈]a, b[ i
 1 (t0 ), . . . φ
vettori φ  n (t0 ) sono linearmente indipendenti.

Dimostrazione – Supponiamo che le funzioni della famiglia {φ 1, . . . φ  n } siano li-



nearmente indipendenti ma che, per ogni t0 ∈]a, b[, i vettori φ1 (t0 ), . . . φ  n (t0 ) siano
linearmente dipendenti. In questo caso, esistono dei numeri reali λ1 , . . . , λn , non tutti
nulli (ed eventualmente dipendenti da t0 ), tali che
 1 (t0 ) + · · · + λn φ
λ1 φ  n (t0 ) = 0.
1.6. Equazioni e sistemi lineari 25

La funzione
 1 (t) + · · · + λn φ
y (t) = λ1 φ  n (t)
è, allora, soluzione del problema di Cauchy
 
y = Ay
.
y (t0 ) = 0

Ma questo problema ammette come unica soluzione y (t) = 0. Quindi, deve essere:
 1 (t) + · · · + λn φ
λ1 φ  n (t) = 0, ∀t ∈]a, b[,

in contraddizione con l’ipotesi che questi vettori fossero linearmente indipendenti.


 1 (t0 ), . . . φ
Viceversa, supponiamo che esista un punto t0 ∈]a, b[ tale che i vettori φ  n (t0 )
siano linearmente indipendenti. Se esistessero delle costanti non tutte nulle tali che:
 1 (t) + · · · + λn φ
λ1 φ  n (t) = 0, ∀t ∈]a, b[,

questo varrebbe anche per t = t0 , dando luogo ad una contraddizione. 


L’ indipendenza lineare dei vettori φ 1, . . . , φ
 n è, equivalentemente, descritta
dal fatto che il determinante wronskiano
 
φ11 (t) φ21 (t) . . . φn1 (t)
 φ12 (t) φ22 (t) . . . φn2 (t) 
 
W(t) = det  .. .. .. .. ,
 . . . . 
φ1n (t) φ2n (t) . . . φnn (t)

 k , è non nullo in
le cui colonne sono costituite dalle componenti dei vettori φ
almeno un punto.

1.6.2 Caso non omogeneo

Consideriamo il sistema:

y  = A(t) · y + b(t). (1.22)

Il sistema omogeneo

y  = A(t) · y , (1.23)

ottenuto ponendo in (1.22) b(t) = 0, si chiama sistema omogeneo associato al


sistema dato.
È facile vedere che se w1 e w2 sono soluzioni del sistema non omogeneo, la
loro differenza è soluzione del sistema omogeneo associato. D’altra parte, se w 
26 1. Equazioni differenziali ordinarie

è soluzione del sistema (1.22), e z è soluzione del sistema omogeneo associato


(1.23), anche w + z è soluzione del sistema non omogeneo. Infatti,

 + z) = A · w
(w  + b + Az = A · (w
 + z) + b.

Quindi, una volta determinata una soluzione w(t),


 detta soluzione particolare
del sistema (1.22), tutte le altre soluzioni saranno ottenute aggiungendo a
questa una soluzione del sistema omogeneo associato.
In definitiva se {φ1 , . . . φn } è un sistema fondamentale di soluzioni del
sistema omogeneo associato (1.23) (in altri termini, una base di K) e w(t)
 è una
soluzione particolare del sistema non omogeneo (1.22), la soluzione generale
di quest’ultimo può essere scritta nella forma

y (t) = c1 φ1 (t) + · · · + cn φn (t) + w(t),




con (c1 , c2 , . . . , cn ) ∈ Rn .
Naturalmente, in generale, non è semplice né determinare le soluzioni del
sistema omogeneo associato, né, tanto meno, determinare un integrale par-
ticolare del sistema non omogeneo. Per quest’ ultimo punto, un aiuto, può
venire dal cosiddetto metodo di variazione delle costanti arbitrarie che si ap-
plica una volta che sia nota una soluzione fondamentale del sistema omogeneo.
Lo illustriamo con un esempio.

 Esempio 1.6.3 Consideriamo il sistema non omogeneo


 
y1 = y 2
y2 = −y1 − t.

Due soluzioni linearmente indipendenti del sistema omogeneo


 
y 1 = y2
y2 = −y1

sono
 1 (t) ≡ sin t  2 (t) ≡ − cos t
φ φ
cos t sin t
L’integrale generale del sistema omogeneo è, dunque:

sin t − cos t
y (t) ≡ c1 + c2
cos t sin t
1.6. Equazioni e sistemi lineari 27

con c1 , c2 ∈ R. Il metodo consiste nel considerare le costanti c1 e c2 come


funzioni di t e nel cercare, quindi, una soluzione particolare della forma

sin t − cos t
w(t)
 = c1 (t) + c2 (t) (1.24)
cos t sin t
  (t) e sostituendo nel sistema di partenza, si ottiene il nuovo
Calcolando w
sistema:
 
c1 (t) sin t − c2 (t) cos t = 0
(1.25)
c1 (t) cos t + c2 (t) sin t = −t
Questo sistema può essere posto nella forma

sin t − cos t c1 (t) 0
= ,
cos t sin t c2 (t) −t
dove la matrice 2×2 a primo membro ha per colonne i vettori che costituiscono
la base del sistema omogeneo (è, quindi, la matrice wronskiana). Questa è una
proprietà generale, che consente in pratica di eliminare alcuni calcoli e che
d’ora in poi daremo per nota. Per concludere il nostro esempio, risolviamo
il sistema (1.25). Moltiplicando la prima equazione per sin t e la seconda per
cos t e sommando membro a membro, si ottiene:
c1 (t) = −t cos t.
Analogamente, moltiplicando la prima per cos t e la seconda per sin t e sot-
traendo membro a membro:
c2 (t) = −t sin t.
Quindi, c1 (t) = −t sin t − cos t + α1 e c2 (t) = −t cos t + sin t + α2 . Le costanti
additive α1 e α2 possono essere poste entrambe uguali a 0. Se, infatti, nella
(1.24) si sostituiscono le espressioni di c1 (t) e c2 (t) trovate, i termini che deri-
vano dalla presenza di α1 e α2 sono soluzioni del sistema omogeneo e, quindi,
non recano alcuna informazione aggiuntiva. In definitiva, sostituendo nella
(1.24),
c1 (t) = −t sin t − cos t c2 (t) = −t cos t + sin t,
si ottiene:
−t
w(t)
 = .
−1
Quindi, la soluzione generale del nostro sistema è

sin t − cos t −t
y (t) = c1 + c2 + .
cos t sin t −1
28 1. Equazioni differenziali ordinarie

1.6.3 Equazioni lineari d’ordine n

Un’equazione differenziale lineare d’ordine n in forma normale è del tipo

y (n) = a0 (t)y + a1 (t)y  + · · · + an−1 (t)y (n−1) + b(t) (1.26)

dove i coefficienti ai (t) ed il termine noto b(t) sono funzioni continue su un


intervallo aperto I. Come si è visto nella sezione 1.2, ponendo w1 = y, w2 = y 
. . . wn = y (n−1) , la (1.26) si trasforma in un sistema di I ordine di n equa-
zioni differenziali. Si vede facilmente che questo sistema è lineare e, quindi,
la discussione fatta nelle sezioni precedenti si può ripetere senza sostanziali
cambiamenti.

• Per quanto riguarda il problema di Cauchy, si può senz’altro affermare


l’esistenza ed unicità di una soluzione una volta assegnata una condizione
iniziale vettoriale in un punto iniziale t0 ∈ I. Ma assegnare i valori
del vettore w  = (w1 , . . . , wn ) in t0 equivale, per come sono definite le
funzioni wi , ad assegnare n condizioni iniziali sulla funzione y e sulle sue
derivate fino all’ordine n − 1.

• L’insieme delle soluzioni dell’equazione omogenea

y (n) = a0 (t)y + a1 (t)y  + · · · + an−1 (t)y (n−1) (1.27)

costituisce uno spazio vettoriale di dimensione n. Essa ammette, quindi,


esattamente n soluzioni φ1 , . . . , φn linearmente indipendenti che sono le
prime componenti dei vettori φ 1, . . . φ
 n soluzioni del sistema omogeneo
di primo ordine associato. Ciascuno di questi vettori φ  k ha componenti
(φk , φk , . . . φk
(n−1)
) e la loro indipendenza lineare è equivalente al fatto
che il determinante wronskiano
 
φ1 (t) φ2 (t) ... φn (t)
 φ1 (t) φ2 (t) ... φn (t) 
 
W(t) = det  .. .. .. .. 
 . . . . 
(n−1) (n−1) (n−1)
φ1 (t) φ2 (t) . . . φn (t)

è non nullo in almeno un punto. La soluzione generale della (1.27) ha la


forma
y(t) = c1 φ1 (t) + c2 φ2 (t) + · · · + cn φn (t),
con ci ∈ R, i = 1, . . . n.
1.6. Equazioni e sistemi lineari 29

• Le soluzioni dell’ equazione non omogenea


y (n) = a0 (t)y + a1 (t)y  + · · · + an−1 (t)y (n−1) + b(t) (1.28)
sono date da
y(t) = c1 φ1 (t) + c2 φ2 (t) + · · · + cn φn (t) + w(t)
dove le φ( t), i = 1, . . . n costituiscono un sistema fondamentale (base) di
soluzioni dell’omogenea associata e w(t) è una soluzione particolare della
non omogenea e ci ∈ R, i = 1, . . . n.
• Il metodo di variazione delle costanti arbitrarie si applica con modalità
simili a quelle che abbiamo viste nell’esempio 1.6.3. Esso conduce alla
risoluzione di un sistema di n equazioni differenziali nelle derivate ci (t)
delle costanti arbitrarie [vedi esempio 1.6.8].

1.6.4 Equazioni lineari a coefficienti costanti

Se, nell’equazione (1.26), i coefficienti ai (t) sono costanti, la ricerca delle solu-
zioni è più semplice. Per comodità, preferiamo scrivere l’equazione, in questo
caso, nella forma
y (n) + an−1 y (n−1) + · · · + a1 y  + a0 y = b(t). (1.29)
Come già sappiamo, il primo passo da fare consiste nel cercare le soluzioni
linearmente indipendenti dell’equazione omogenea associata:
y (n) + an−1 y (n−1) + · · · + a1 y  + a0 y = 0. (1.30)

Cominciamo col supporre che la soluzione sia del tipo y(t) = eλt . Sosti-
tuendo nell’equazione (1.30), si vede che λ deve, allora, essere uno zero del
polinomio caratteristico:
p(λ) = λn + an−1 λn−1 + · · · + a1 λ + a0 . (1.31)

Com’è ben noto, un polinomio d’ordine n ammette in C, esattamente n


radici, se si contano eventuali radice multiple con la loro molteplicità. Es-
sendo p(λ) a coefficienti reali, le eventuali soluzioni non reali sono a due a
due coniugate. Per trattare anche con possibili radici complesse del polinomio
caratteristico p(λ) assumeremo che valga la seguente regola di derivazione
d λt
e = λeλt , ∀λ ∈ C, ∀t ∈ R
dt
30 1. Equazioni differenziali ordinarie

ed anche che una combinazione lineare a coefficienti complessi di soluzioni


dell’equazione omogenea sia ancora una soluzione della stessa equazione.
Se gli zeri del polinomio λ1 , λ2 , . . . , λn sono tutti reali e distinti, le funzioni

eλ1 t , eλ2 t , . . . eλn t

sono soluzioni linearmente indipendenti della (1.30), ed essendo esattamente


n, costituiscono una base dello spazio K delle soluzioni.
Se le soluzioni sono tutte distinte ma tra di esse ce ne sono, poniamo, due
complesse e coniugate, l’affermazione fatta sopra continua a valere. Natural-
mente, questo non significa che la nostra equazione ammetta soltanto soluzioni
a valori complessi. Infatti, alle soluzioni

e(α+iβ)t , e(α−iβ)t

si possono sostituire, trovando ancora soluzioni, le loro combinazioni lineari:

e(α+iβ)t + e(α−iβ)t e(α+iβ)t − e(α−iβ)t


eαt cos(βt) = , eαt sin(βt) = .
2 2i

Se il polinomio p(λ) ha radici multiple, le radici distinte λ1 , λ2 , . . . , λk


sono in numero minore di n. Le funzioni

eλ1 t , eλ2 t , . . . eλk t

sono ancora soluzioni linearmente indipendenti ma non costituiscono certo una


base di K.
Per studiare più facilmente questa situazione, introduciamo un operatore
D che agisce su una funzione z(t) ∈ C 1 (I), associando a z(t) la sua derivata
z  (t), cioè: Dz(t) = z  (t). Se z ∈ C n (I) e k ≤ n si avrà Dk z(t) = z (k) (t). Con
questa notazione, ad esempio, l’equazione differenziale

y  (t) = 5y(t)

si scrive 2 nella forma:


(D − 5)y(t) = 0.
L’equazione (1.30) prende la forma

(Dn + an−1 Dn−1 + · · · + a1 D + a0 ) y(t) = 0.


2
Se α ∈ C, scriveremo D − α invece di D − αI, dove I indica l’operatore identità

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