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quattro racconti brevi

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I Dupree, un problema di verita'

I Dupree, un problema di verita'

CAPITOLO I°
Soltanto lo zio Albert Lucius Morton sarebbe riuscito a leggere 
il giornale tenendolo appiccicato alle lenti dei suoi spessi 
occhiali, ma c'era una ragione precisa.

Anche per leggere questo racconto non serve arrivare a 
strofinare il proprio naso sulle pagine, nè tantomeno porre il 
libro ad una distanza tale a quella che consentirebbe di 
ammirare nella sua completa floridezza Miss Laura Lee.

E' una questione di distanze, appunto..., o meglio di angoli e 
modalità di osservazione, di prospettiva.

Dunque oltre all'abbondanza, per così dire...fisica, il Signore 
era stato generoso con Miss Laura Lee anche per quanto 
riguardava i suoi polmoni, dai quali era in grado di soffiare 
tanta aria da far vibrare, insieme alle sue corde vocali, le 
bretelle di tutti quegli uomini che la sera si assiepavano nel suo 
locale.

Quel locale era, in realtà, la vecchia chiatta con la quale suo 
nonno Samuel trasportava merci e animali da un argine 
all'altro del fiume, prima che costruissero il ponte giù a 
Maynard.

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I Dupree, un problema di verita'

Ora quelle quattro assi inchiodate come meglio poteva fare una 
donna, ormeggiate sulla riva destra del fiume, vicino ad un 
grosso salice, ricoperte con un tetto di paglia e fango, si 
imponevano alla vista di ogni vagabondo che percorresse il 
sentiero per Georgeville.

Le pareti di legno e cartone che costituivano il capanno dove il 
vecchio barcaiolo viveva, nascondevano invece agli sguardi più 
indiscreti, curiosi o bigotti, quella umana promiscuità che nelle 
sere di festa, al suono del blues, dimenticava il ruolo che il 
resto della civiltà gli aveva attribuito.

Il sentiero deviava bruscamente a sinistra, verso il salice, e 
dopo qualche passo nell'acqua bassa, si saliva su una 
malsicura passerella che conduceva ad un porta sulla quale si 
leggeva semplicemente: "LAURA LEE".

Gli spettacoli che Miss Laura offriva nella sua barrel­house, 
avevano quasi sempre due spettatori, non del tutto indesiderati, 
che, dai loro insoliti punti d'osservazione, immagazzinavano 
nelle loro giovani memorie, immagini e suoni che avrebbero 
costituito un invidiabile, quanto prezioso archivio, per le loro 
imprese nel mondo degli adulti.

Sebbene la mia, come credo la vostra attenzione, sia 
maggiormente incline a seguire le "idee" di Miss Lee, 
protagonisti delle vicende narrate, sono invece quei due 
clandestini che dimostravano di ben conoscere come 
trascorrere proficuamente una sera di "Ognissanti", in una 
tranquilla cittadina agricola del Sud.

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I Dupree, un problema di verita'

Moses ed Elmore Dupree, rispettivamente diciassette e tredici 
anni, potevano indubbiamente asserire che quel Padre Eterno,  
che era stato così generoso con chi ben sappiamo, non lo era 
stato affatto con loro, e tantomeno con i loro genitori.

Naturalmente loro non se ne lamentavano, anzi ciò costituiva 
un pretesto per interpretare la volontà divina, che desiderava 
mettere alla prova la loro capacità di sopportazione, come 
predicava la zia Petunia, presso la quale vivevano.

Lo zio Lucius lo attribuiva invece ad un preciso disegno degli 
uomini, che non aveva niente di provvidenziale, e richiedeva 
semmai l'intervento dall'alto, affinchè non si ritenesse 
autorizzato ad intervenire lui stesso.

Comunque fosse, i due fratelli consideravano che un 
occasionale "strappo" alla catechesi di zia Petty, non poteva 
certo provocare le ire divine più di quanto non dimostravano di 
essere già state risvegliate.

Lo strappo era appunto costituito dalle visite notturne al 
ritrovo sul fiume di Miss Laura.

Difficilmente due sentieri che percorrono i campi assolati del 
Sud non finiscono per incontrarsi da qualche parte, forse 
soltanto un remoto incrocio in prossimità di un ruscello, 
oppure un dimenticato vialetto che li interseca.

Quello che univa le due anime dei fratelli Dupree era proprio 
unicamente questo segreto accordo, dopo di che ognuno 

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I Dupree, un problema di verita'

imboccava la propria strada in direzione della vita.

I fiumi della Louisiana non hanno affatto fretta di raggiungere 
il mare; si distendono volentieri in ogni ansa e si trattengono 
silenziosamente in ogni canale, saggiamente considerando 
l'inutilità di inseguire una meta ormai prossima.

Moses, quella sera di ognissanti, sembrava l'unica persona in 
quella regione a non partecipare di quest'atmosfera.

Raggiunse la sua barca in riva al fiume, la liberò dal groviglio 
dei rami del salice che la trattenevano in quello stato di calma 
secolare, la lanciò sulla superficie argentata verso i primi 
accordi blues.

Il Mississipi non lo spinse in nessuna direzione, semplicemente 
osservava, il remo, invece, muoveva vorticosamente l'acqua al 
ritmo del suo cuore, finchè si fermò in prossimità dell' "inferno 
galleggiante".

Raggiunse in breve il suo osservatorio privilegiato, assicurò 
l'imbarcazione ad uno dei pali che sosteneva, a mezzo metro 
dal pelo dell'acqua, il locale di Miss Lee.

Si sdraiò sul fondo della barca attento a posizionarsi proprio 
sotto un'ampia fessura attraverso le assi del pavimento.

La sua prospettiva in quell'attimo si ribaltava, come se stesse 
scoperchiando la botola di un universo sotterraneo, come se 
stesse osservando una donna attraverso lo spazio tra due 

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I Dupree, un problema di verita'

bottoni forzosamente chiusi all'altezza del seno.

Le enormi scarpe, piene di fango, sfilavano allora dinnanzi al 
suo spiraglio sull'inverosimile, la polvere fioccante sembrava 
sfidare la sua ostinazione, tentando di renderlo impreparato di 
fronte all'attimo atteso, in cui un paio di mutande indugiavano 
sull'ingordo baratro.

Un bianco bagliore innondava quella fenditura, mentre per un 
istante il respiro si interrompeva.

Moses considerava allora la zia, timorata educatrice, il fiume, 
silenzioso complice, Dio, inerme osservatore, alla luce di quel 
raggiunto obiettivo, come ostacoli la cui esistenza scagionava i 
più deboli per i loro insuccessi.

La vita, che gli aveva disposto il sentiero come il bosco intorno 
alla distilleria clandestina del vecchio Hathaway, lo 
gratificava ora con quel risultato, di cui poteva a buon diritto 
godere a piene mani.

Alla fine di settembre, a Georgeville, c'è una fiera durante la 
quale viene premiata la zucca più grossa: i contadini dedicano 
pertanto tutte le loro attenzioni per quell'esemplare del loro 
campo che appare maggiormente degno di ottenere il 
riconoscimento, lasciando alle donne la cura delle restanti, 
meno appariscenti, commestibili rotondità.

Moses era proprio alle prese con la sua metaforica zucca.

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I Dupree, un problema di verita'

Come quel contadino, aveva scelto l'angolo del suo campo atto 
a tale scopo, aveva rimosso la terra in profondità, aveva 
portato l'acqua, aveva atteso le cure del tempo, aveva lasciato 
all'altrui attenzione ciò che non rientrava nel suo piano.

Il ritmo travolgente del blues giungeva all'orecchio del nostro 
ascoltatore troppo sommerso nel rumore dei passi che 
battevano sulle assi del pavimento, affinchè potesse 
rappresentare per lui una giustificazione a ciò che avveniva di 
sopra, nè tantomeno, da quella posizione, poteva apprezzare 
l'ipnotismo vocale delle esibizioni di Miss Lee, più delle sue 
facoltà "nascoste".

Sebbene non avesse preferenze particolari per alcun mondo 
"sottogonnale" si trovasse a sorvolare la sua visuale, vi erano 
occasioni in cui la difficoltà ad intravedere quell'alone di 
biancheria sullo sfondo di ogni scuro ricettacolo (quasi fosse 
un fiore sul punto di sbocciare), alimentava l'idea di 
un'assoluta mancanza dell'indumento, facendolo gioire di 
queste esperienze rispetto alle altre.

Così fu anche quella sera.

Una figura in particolare, di cui aveva imparato nel frattempo 
a riconoscere l'incedere, stuzzicava la sua fantasia in quella 
direzione.

Come vedete, i sensi di Moses erano all'erta come i cani nel 
cortile della fabbrica di birra di Mr. Burke : l'occhio 
selezionava i protagonisti in quello spiraglio di semioscurita ed 

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I Dupree, un problema di verita'

indagava i particolari.

L'orecchio raccoglieva lo strisciare sulla superficie legnosa 
stimando l'avvicinarsi del proprietario; il naso catalogava gli 
odori o i profumi da associare alle inquadrature.

Tutto si muoveva perfettamente all'unisono intorno all'unico 
fine, come il martellare del pianoforte, il vibrare della chitarra, 
il frustare l'aria dell'armonica, il gemito dei polmoni 
nell'ultimo accordo di "Freight train blues".

Tutto subiva l'implacabile selezione in ragione del grado di 
importanza e valore attribuito, venendo a collocarsi negli 
ambiti predisposti, davanti o dietro, come sui tram di 
Maynard...

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I Dupree, un problema di verita'

CAPITOLO II°
Elmore non aveva una barca, ma i suoi piedi erano in grado di 
condurlo in città e riportalo a casa in una giornata.

La sua meta, per quella sera, era però più vicina, e non ci fu 
bisogno di chiedere alle sue gambe di mostrare cosa sapevano 
fare.

Il locale di Miss Lee si trovava circa mezzo miglio fuori 
dall'abitato ed Elmore ci giunse con quella rassegnata 
tranquillità di un raccoglitore di cotone, dopo aver fatto visita 
a tutti quegli spinosi, quanto prodighi arbusti del campo del 
suo "Massà".

Saltava da un lato all'altro del sentiero, dentro e fuori i solchi 
lasciati dal peso dei carri, fermandosi ad ogni pozzanghera 
alla ricerca di qualche festoso ranocchio.

Rincorreva fino al canneto una lucciola, che andava a 
competere con un milione di riflessi che la luna appoggiava sul 
lento fluire del grande fiume.

Tendeva l'orecchio al frusciare di ogni singola foglia dei salici, 
che si allungavano ad abbeverarsi in un angolo di fiume 
catturato dal fitto canneto; sembrava non aver una, ma mille 
mete.

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I Dupree, un problema di verita'

Giunto alla passerella, salì sulla staccionata che cingeva la 
veranda, si aggrappò alla sporgenza del tetto e vi si arrampicò.

Spostò, con perizia, un fascio di canne che impediva il 
passaggio per raggiungere la trave che costituiva il suo 
osservatorio: in quel momento la sua prospettiva si ribaltava, 
quasi stesse spiando attraverso le nuvole i suoi angeli 
affaccendati.

Scuri cappellini si trascinavano dietro generose scollature, 
mentre teste impomatate o crespe, come neri batuffoli di 
cotone, contrastavano con camicie più o meno bianche.

Nulla, in particolare, o forse tutto, attirava il suo sguardo, 
come stesse cercando di prestare attenzione ad ogni singola 
voce di un coro godspell, ad ogni sillaba pronunciata 
dialogando con il battito delle mani.

Come quel pazzo suono proveniente dal suo banjo, fatto con 
una padella per il pane ed un vecchio manico di una chitarra 
abbandonata in soffitta, raggiunse per la prima volta 
l'orecchio di Gus Cannon, senza pretese di essere nient'altro da  
quello che era; come i campi fuori la prigione che 
innondarono lo sguardo di Leadbelly, libero, dopo l'intervento 
del governatore del Texas, senza pretese di essere nient'altro 
da quello che erano, lo spettacolo che andava in scena sotto i 
suoi occhi, travolse il giovane Elmore.

Nessuna strada lasciava intravedere maggiori promesse di 
un'altra, a quell'incrocio, dopo che Robert Johnson stipulò il 

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suo patto col Diavolo, la vita scorreva in tutte le direzioni: 
mille travi non sarebbero bastate a sorregere mille piccoli 
Dupree, spettatori di mille frammenti della danza della vita che 
scorreva lì sotto al ritmo del blues.

Elmore scendeva in mezzo a quel flusso, gli occhi si 
attaccavano a quelle frivolezze di pizzo che incorniciavano 
abbondanze nere, saltavano sui tasti neri e bianchi con le mani 
di un qualsiasi Skip James, inseguivano le falene che si 
immolavano sul vetro del paralume.

L'orecchio correva sul washboard (asse per lavare i panni)  
insieme a quel suono trascinato, entrava tra le corde vocali di 
miss Lee, cadeva con il wiskhi nel bicchiere, usciva nei silenzi 
del grande fiume.

L'olfatto si innalzava con l'odore del prosciutto fritto e del 
pane di mais e le mani scolpivano ogni corpo abbracciato nel 
ballo.

Una figura lo attrasse, in particolare, al centro di un vortice di 
sensazioni, senza un'apparente motivazione.

Niente si muoveva all'unisono, ogni cosa seguiva, in un 
frenetico sviluppo, la sua inevitabile evoluzione, come un 
gruppo di schiavi che abbandonano la piantagione dopo aver 
ucciso il sorvegliante.

Tutto scompariva nell'eterna immutabilità del tempo, senza 
trovare una precisa collocazione, come le acque del Mississipi 

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I Dupree, un problema di verita'

quando raggiungono il mare.

Moses ed Elmore Dupree, dai loro angoli di mondo, non 
diedero importanza a quella strana sensazione di familiarità  
che li attirò intorno ad una vaga ed eccitante figura nel locale 
di Miss Laura Lee : era la zia Petunia Morton.

EPILOGO

Certo un solo epilogo non sembra sufficiente, ma confido che i 
rimanenti riterrà opportuno trascriverli il mio buon lettore.

Non una, non due, ma infinite sono le verità, poichè infinite 
sono le prospettive; questo potrebbe a buon diritto sostenere 
ogni attento osservatore.

Ma le cose non stanno del tutto così ! (se non da un solo lato).

Il rapporto con la verità può avvenire soltanto su un piano 
culturale e pertanto determinato da modalità prospettiche; il 
problema della verità è un problema culturale.

Non può esservi un'antitesi, una non­verità, poichè non può 
esservi una non­cultura.

L'uomo è un prodotto culturale,...e non può essere altro da sè, 
o, come dice un proverbio africano: "...per quanto a lungo un 
tronco galleggi nel fiume, non diventerà mai un coccodrillo."

Nessuno può muoversi, nemmeno per un secondo, fuori dal suo 
universo culturale,...ma...forse...in privato...dopo lo 

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spettacolo...nella stanza di Miss Laura Lee...

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I Dupree, un problema di verita'

Vicino all'uno

CAPITOLO I°
A domani Elliot ! ­ sono le ultime parole che ricordi di aver 
sentito, poi quel dolore lancinante alla mano sinistra, il rumore 
delle dita che si spezzano con una risata in sottofondo, una 
gran voglia di vomitare tutto l'alcool che da mesi ti fermenta 
dentro lo stomaco, ma non ti resta altro che svenire. La mano ti 
fa terribilmente male quando ti svegli, è ancora presa nella 
morsa della porta dentro la quale è stata chiusa; l'effetto 
anestetizzante del peggior wiskie ingurgitato ieri sera è svanito 
da qualche ora ed il fetore del vomito che inzuppa il tappeto sul 
quale sei disteso ti innonda le narici e ti penetra nel cervello. 
Harvey e Mike hanno fatto davvero un bel lavoro solo che 
avresti preferito non essere sul loro taccuino vicino alle parole 
"...deve 20.000 $". Grideresti, qualunque ora fosse, se non 
sapessi che in tuo soccorso si precipiterebbe la signora 
Mallory, la padrona di casa alla quale devi 300 $ di affitto 
arrettrati e certamente anche in questo stato troverebbe 
l'occasione per invitarti a lasciare libero il suo appartamento 
dopo aver saldato il conto. Vai ad infilare la mano sinistra 
sotto il rubinetto mentre la destra raggiunge, quasi con un 
gesto automatico, la bottiglia che tieni nascosta sotto l'acquaio, 
­...per i casi d'emergenza...­ come sei solito raccontare a 
qualche ragazza che riesci a portarti a casa. Evidentemente di 

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Vicino all'uno

questi "casi" se ne sono già presentati parecchi in questi ultimi 
tempi perchè la bottiglia è vuota, mentre il sangue che ti 
sgorga, ora fresco, dalla mano maciullata ha già riempito i 
piatti nell'acquaio con gli avanzi di pizza della settimana 
scorsa. Strappi la tendina che oscura la finestrella sopra la 
cucina e che da' sulle scale di sicurezza; non è ancora giorno, 
è quell'ora in cui qualcuno sta ripulendo il jazz­club della 37° 
strada e tuo padre raggiunge la stazione per dormire in uno 
scompartimento del primo treno per Portland. Guardi quella 
bottiglia, che non potrebbe essere più asciutta e vuota, 
pensando che tutto in quel mattino sta congiurando per  
costringerti a ripensare una vita di cui non esiste metafora più 
appropriata di quel pezzo di vetro che a giudicare dalle tracce 
sul fondo deve aver contenuto quasi tutte le più disgustose 
brodaglie. Dentro quel vetro opaco ha trovato posto anche la 
disillusione di chi osserva dall'alto dei tetti di uno dei tanti 
quartieri irlandesi l'intricato labirinto di strade che non 
conducono da nessuna parte; quelle pareti così sottili e solo in 
apparenza fragili attraverso le quali hai osservato Padre 
O'Raley morire, Ma' piangere e Virginia andarsene. Nel 
frigorifero è rimasto solo un pò di ghiaccio, la scelta diventa  
inevitabile : sulla mano massacrata o dentro il bicchiere 
appena riempito. Scegli il bicchiere pensando che dopotutto e 
meglio non sentire più nient'altro anzichè preoccuparsi 
soltanto di una parte del corpo, la mano appunto. Il divano 
letto, in mezzo all'unica stanza dell'appartamento, non è per  
niente comodo ma finora non hai mai richiesto che lo fosse;  
senza le pastiglie che ti davano al "Center for Mental Health" 
di Seattle non è poi così facile addormentarsi e l'insegna 

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Vicino all'uno

luminosa della Pepsi, proprio sotto la finestra che da sul lato 
sud dell'edificio, non ti aiuta certo nell'impresa. Solo ora ti 
accorgi che i tuoi due visitatori non si sono occupati solo di te 
ma anche del tuo "rifugio", il cuscino dentro il quale hai 
affondato la testa ha assaggiato il coltello di Mike (quello più 
magro che dicono sia uscito da sua madre servendosi della 
lama). Il divano ha un grosso squarcio dietro sullo schienale e 
il piumino vomitato fuori da quella ferita ha fatto scomparire il 
posacenere sul tavolino davanti a te. L'unico armadio della  
stanza non è più nell'angolo dietro la porta, ora è un mucchio 
di legna sfasciata a calci dal quale sporgono alcune camicie 
ed il portafoto in frantumi. La foto di Ma' si è infilata sotto una 
sedia rovesciata dove è andato a finire anche il piccolo 
Freddie, mentre la sua boccia d'acqua, il suo universo, si trova 
ormai a "miglia" da lui caduta sotto i piedi forse di Harvey (di 
lui dicono che in tram solo riesce a schiacciare i piedi 
all'autista). Quando ti volti e ti sollevi oltre lo schienale del 
divano, preso improvvisamente dall'ansia, nella penombra, 
sotto la lampada rimasta miracolosamente in piedi al suo 
posto, impietrita come una guardia del corpo sotto gli occhi 
della quale è caduto il suo protetto, giace in un'accozzaglia 
indescrivibile di frammenti di vetro e plastica, sommerso sotto 
il telo di protezione, inzuppato dell'acqua contenuta dal solo 
vaso di fiori che ora si è trasformato in una funebre corona a 
ricordo: il tuo televisore. Balzi in piedi al divano, o almeno a 
quello che ne resta, lo sguardo allucinato, per ricadere oltre lo 
schienale in lacrime: ­ ...Ma che bisogno c'era di tanta 
crudeltà...­, pensi mentre vai ad infilare la testa sotto 
quell'umida coperta tra le schegge di vetro e il puzzo di acqua 

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Vicino all'uno

putrida. Nella penombra di quel drappo funebre la tua guancia 
sfiora qualcosa di freddo e stranamente solido ed intatto, 
sollevi la testa ed un forte odore di polvere da sparo ti 
aggredisce le narici; ­...E' la calibro 45...­, non può essere 
altro che il revolver che tenevi nascosto sotto il televisore per 
evitare che la Mallory lo trovasse quando eri fuori. Eri certo 
che quell'impicciona saliva nella tua stanza quando andavi al 
market di Margie street o alla farmacia a comprare le pillole; 
avevi fatto bene a nascondere la pistola ed ora eccola qui, 
silenziosa come l'ultimo passeggero del tram al capolinea che 
fa sussultare il conducente, inattesa come il cubetto di ghiaccio 
sul fondo del bicchiere dimenticato dopo aver chiuso come al 
solito gli occhi per l'ultimo sorso. Non hai mai pensato alla  
morte, deve essere come la vita senza poter correre con Bill 
Jordan in terza base, senza poter giungere a El Paso in cerca 
della prossima vittima, senza rincorrere Road runner e finire 
nel consueto canyon, senza...televisore, senza alcool per far  
scorrere le ore, senza pillole per dormire. Ed ora l'alcool è 
tutto sparso sul pavimento, le pillole non ricordi dove sono, la 
Mallory sta abbattendo la porta a testate, il televisore è...morto  
( e forse ti chiama !). Marta von Korge in Mallory sfonda la  
porta all'unisono con il sordo colpo che ti attraversa la gola, 
non è poi tanto peggio di tanta robaccia che hai ingoiato, solo 
che questo è l'ultimo sorso.

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Vicino all'uno

CAPITOLO II°
...Mr Elliot ?...Mr Theodor Elliot ?...­ ti volti per intercettare il 
punto da cui proviene la voce, e possibilmente il suo 
possessore, ma dappertutto c'è soltanto questa musica. Si 
direbbe il Bop più eccitante che tu abbia mai sentito, giureresti 
che è lo stesso Charlie Parker a soffiare dentro il suo 
strumento seduto al tuo fianco, lo giureresti se non sapessi che 
fosse...­ Morto !­. L'improvvisa fulminazione ti fa perdere 
l'equilibrio e ti accorgi di precipitare; non ti resta altro da fare 
che muovere queste maledette...­ Ali ?!?­. ­...Mr Elliot, sono 
qui, dietro di lei, proprio sopra questa nuvola...­. Questa volta 
sei proprio sicuro di non esserti sbagliato, non era affatto una 
voce quella che hai.."sentito", piuttosto una specie di 
messaggio telepatico, qualcosa che si muove parallelamente 
con il flusso dei tuoi pensieri. ­ Vuoi vedere che non sono 
neanche riuscito a togliermi la vita ? ­ Pensi, ­ ...C'è riuscito 
eccome...­ risponde immediatamente la voce da dentro. 
Attraverso la nuvola scorgi che sta emergendo (mi vergogno 
quasi a dirlo) un...una specie di cane con due grosse ali 
proprio sopra la schiena, piantate lì come le bandierine sopra i 
tosts al drive­in. Ma, non è proprio un cane, è tutto bianco, no, 
è come le meringhe appena uscite dal forno, non ha occhi, 
orecchie, bocca, insomma, come direbbe quel filosofo greco 
(mi sembra), che studiasti al liceo "Lincoln" con Mrs. Allison, 
è un'idea di cane. ­ Grazie del complimento ­ fa lui per niente 

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Vicino all'uno

turbato di rappresentare una così metafisica stranezza. ­ Vedo 
che hai compreso subito dove ti trovi ­ continua ­ ...ciò che ti 
sta di fronte non è affatto il vecchio Cyki di cui ti sbarazzasti ai 
docks di Portland, bensì la sua...­ , ­ ...Non dirlo,­ lo interrompi 
­ non dirlo ti prego...la sua ANIMA ?­. ­ Centro !!!­ risponde il 
cane ­ Ho sempre pensato che in quell'ospedale, a Seattle, non 
avessero capito proprio niente di quel brillante "pensatore" 
che ogni mattina ritrovavano sul terrazzo intento a lanciare la 
sua lenza in direzione degli alberi oltre il recinto ­. ­ Dove mi 
trovo, Cyki ? (posso chiamarti così, non è vero ?). Dove 
diavolo sono finito ?­ Dopo averti fatto notare che anche a te 
mancano occhi, naso, bocca, orecchie, e..., sì insomma tutto il 
superfluo, e che ora non sei altro che l'anima del povero Elliot 
che finalmente si è liberata, suo malgrado, dei legami terreni, 
alcool e pastiglie (e televisione), ti racconta, o meglio, ti 
trasmette in una frazione di tempo indescrivibilmente breve, o 
lunga, quanto può soddisfare la curiosità di un fratello minore 
il pomeriggio prima di portare una delle gemelle Orlosky al 
punto panoramico di Ridge Creek. Dunque, ricapitolando, non 
sei in paradiso, (fortunatamente non esiste, hai pensato, non 
avresti mai voluto avesse ragione tua madre quando ti veniva a 
prendere dietro la chiesa mentre spiavi le ragazze del coro 
indossare la tunica), sei in una dimensione, detta "prima 
casa", nella quale sostano le anime in attesa di rivestire i 
panni di qualcun'altro, un po' come facevi quando rubavi i 
vestiti che Ma' lavava al reverendo O'Raley, per andare ad 
infilarteli nel garage. Ancora una curiosità: ­ Ma è proprio il 
vecchio Charlie Parker ? ­, alludendo alla musica. ­ Certo che 
è lui, e riesce ad andare avanti per secoli se nessuno lo 

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Vicino all'uno

disturba, o almeno sin quando è il suo turno, cioè sino a 
quando sarà pronto a nascere di nuovo uno come lui ­ . Provi a 
farti un giro con le nuove ali ma non appena ti sei allontanato 
di qualche nuvola, ritorni sulla tua scia per soddisfare un 
dubbio al quale inizialmente non avevi dato importanza, un po' 
come quando dopo una scazzottata ci si conta i lividi. ­ 
...E...LUI ? C'è ? ­ ­ Credo di si, ma da queste parti non si fa 
mai vedere. Alcuni dicono che sia sempre quì, ma 
contemporaneamente sento altri che giurerebbero di averlo 
visto da un'altra parte.­ ­ Da un'altra parte ???­ ­ Si, in 
un'altra casa, una di quelle più...più sù, credo.­ ­ Un'altra 
dimensione...?­ ­ Appunto ! Charlie dice che ci va spesso 
quando comincia a soffiare dentro il suo sassofono.­ ­ Credi mi 
ci porterebbe ? ­ A questo punto Cyki, con un colpo d'ali 
improvviso, decolla verso un gruppo di nuvole dove stanno 
seduti una serie di strane figure alate, o almeno ti sembra di 
percepire la loro presenza, lasciandoti alle sue spalle con un 
enigmatico: "Lascia perdere !", ricordandoti le mattine 
all'uscita di qualche bettola ai docks, quando gli giuravi 
sarebbe stata l'ultima, (nemmeno il cane ti credeva). Sebbene 
tu non sia affatto stanco, decidi di sederti proprio sotto un 
grosso fungo che produce una piccola zona d'ombra, e mentre 
ti rilassi, cominci a percepire quelli che ora ti appaiono 
nitidamente come i pensieri di colui che ti ospita. Molto presto 
il fungo tornerà da dove già è venuto diverse volte, ed è pronto 
a scommettere che stavolta rinascerà come una robusta e 
magnifica quercia, così ragionando assume quell'espressione 
di quando il signor Hutchinson corre nel retrobottega del suo 
negozio, per telefonare al suo bookmaker, certo di aver in 

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Vicino all'uno

mano una dritta sulla quarta corsa. Quando eri ancora..vivo, 
spesso ti succedeva di svegliarti con un motivetto che ti 
ronzava ossessivamente in testa, come se ti avesse 
accompagnato per tutta la notte; poi, nel corso della mattinata 
si dileguava, come quelle colonne di vapore ad ottobre sopra il 
lago Vernon (dove Pà aveva il capanno di caccia), per lasciare 
il campo a quei ben più sinistri nuvoloni, carichi di pioggia e 
presagi, che si facevano largo scendendo tra gli abeti del 
versante ovest del monte Pinewood. Nel primo pomeriggio già  
qualche strana idea aveva occupato la tua mente, e, pesante 
come le prime gocce del temporale, quella ingiustificata 
sensazione di possedere quel briciolo di autocoscienza in più, 
da consentirti di determinare con maggior efficacia il tuo 
avvenire, a differenza del resto dell'umanità, (paradossalmente 
è una delle sensazioni più diffuse che ci siano). E' quello che ti 
convinse a lasciare l'università del Massachusetts, per tornare 
in una sera di aprile, accompagnato dal fruscio di un milione 
di nuove foglie sugli alberi del viale, che conduce dalla 
stazione alla vecchia casa di Layton street. A raccontare a tuo 
padre che avresti preferito fare l'agricoltore, e che la squadra 
di base­ball del campus avrebbe dovuto attendere invano il suo 
lanciatore. E' quello che ti impedì di amare Virginia come una 
donna semplice, forse poco impegnata ad evitare che i suoi 
compagni di college partissero per la Corea, ma che, come 
tutte le ragazze del Vermont, sanno tirare avanti la baracca 
anche quando il loro uomo passa più tempo a baciare il collo  
della bottiglia che il loro. Dunque, questa stramaledetta 
sensazione, eccola all'orizzonte di un cielo già nero di 
fuliggine, insinuarsi nella tua mente già provata dal 

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Vicino all'uno

susseguirsi degli ultimi avvenimenti, ansiosa di procurare più 
danni possibili, come l'interbase quando annusa l'eventualità  
di una doppia eliminazione. ­ Se questa strada può essere 
percorsa in una direzione, potrà esserlo anche nell'altra..­, 
pensi ­...da un lato l'umanità, dall'altro la divinità.­ Per quel 
lettore che non sia mai stato colto a trafugare vecchi pezzi di 
motori dentro uno dei tanti depositi di automezzi dell'esercito, 
nei dintorni di una delle tante città, di uno dei tanti territori 
del nord­ovest, da uno dei tanti guardiani praticamente sordi, 
ma con uno dei tanti cani con i denti più aguzzi di un coyote, 
sarà difficile seguire lo sviluppo dei pensieri che ora 
ronzavano nella mente di Elliot. Ebbene, per impedire che il 
cane del guardiano notasse troppo presto un'estranea presenza 
dentro i confini del recinto, era necessario raggiungere 
l'ammasso di rottami con le torce spente, pregando perchè le 
nuvole, oscurando la luna, concedessero il tempo necessario 
per percorrere il tratto, in leggera discesa, sino alla prima 
"collina di latta". Soltanto alla distanza di qualche metro da 
quell'allora inestimabile miniera di carburatori e pezzi di 
ricambio per le più assurde automobili, per scarrozzare le più 
assurde ragazze, ai più assurdi balli scolastici, una asmatica 
torcia elettrica si accendeva. Il fascio di luce, con difficoltà,  
illuminava ciò che stava davanti, concedendo di ammirare solo 
un pezzo per volta l'inestricabile mucchio di ferraglie 
arruginite. Solo un diabolico, quanto fortunoso talento 
concedeva al Joey apprendista meccanico di turno, di 
riconoscere qualche bullone o qualche tubo che meritava di 
essere ripulito dalla ruggine. Così sono i tuoi pensieri in 
questo istante, Elliot, e, per chi non è, o non ha mai conosciuto 

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Vicino all'uno

un apprendista meccanico, sono ancora più intricati di mille 
ammassi di rottami, da districare alla luce di un fiammifero. 
La cosa buffa è che al ritorno affannoso da queste battute 
notturne, molto spesso, quello che alla luce della lampada 
sembrava un insperato ritrovamento, un prezioso bullone, un 
"magico" carburatore, rivelava la sua vera identità di rottame, 
buono solo a riparare i topi dalla pioggia. Ma questo ancora 
non potevi saperlo...

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Vicino all'uno

CAPITOLO III°
Alcune anime sono davvero bizzarre, ma la tua ha conservato 
quel pizzico di follia che la fa sembrare ancora più bizzarra. ­  
Dunque...­ pensi ­...se tutti i miei eterei colleghi aspettano con 
ansia il momento di tornare giù, a reincarnarsi, credo si dica, 
in un corpo, magari meglio carrozzato del precedente, 
suppongo sia possibile risalire per lo stesso sentiero, in 
direzione opposta, sino ad arrivare, forse, vicino a...Dio !­ 
Bisogna sapere che le anime rappresentano la sostanza di ogni 
individuo, e pertanto nella loro sintesi spirituale concentrano 
oltre all'idea di "umanità", anche quella caratteristica  
peculiare che rende un individuo ciò che è, cioè diverso dagli 
altri : singolare. Il prodotto di tale metafisica astrazione, che è  
l'anima di Elliot, è un concentrato di tali contraddizioni che la 
rende unica al mondo.....cioè, unica all'ipermondo. Un 
miscuglio così micidiale riesce veramente poche volte. Cercare 
un'opportuna morte, possibilmente poco dolorosa, che ti 
consenta una dipartita da questa dimensione, verso più alte 
sfere, diventa quindi la tua assillante, (quanto inquietante per 
le altre anime), preoccupazione. Come possa questa essenza, 
per definizione immortale, immaginare la propria fine è  
assurdo almeno quanto scommettere su "Wet Bread" nella 
sesta corsa; ma un giorno Elliot lo fece, puntandoci ben 20 
$,...e...perse ! Se ho capito bene, questo è il tuo ragionamento, 
filante come la Highway 61, ed in grado di unire due culture 

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Vicino all'uno

così diverse, quella dell'est con quella dell'ovest, come quelle 
soluzioni che sono così razionali da sembrare illogiche. ­ Se 
l'anima prende vita liberandosi dal corpo nell'atto della 
morte,­ sostieni, atteggiandoti come hai visto fare da qualche 
professorone di Harvard in Tv, ­...ritornandovi, non può che 
andare incontro ad una piccola morte, ripercorrendo lo stesso 
tunnel a ritroso, partecipando il principio vitale anche al 
corpo.­ E ciò è vero, tanto da aver fatto esclamare a più di un 
esimio pensatore dell'antichità che : "...il corpo è la tomba 
dell'anima". ­ La nascita dell'anima, deve dunque avvenire 
nell'altra direzione,­ affermi, cercando di convincere anzitutto 
te stesso, ­...verso cioè quello che apparentemente 
rappresenterebbe la sua morte.­ In breve, giungi alla 
conclusione che per morire devi passare attraverso la 
negazione assoluta di ciò che rappresenti in quanto principio 
vitale, in quanto essenza. E poichè essa è principalmente 
sostanza individuale e singola, solo l'unione con una 
molteplicità indifferenziata può rappresentare la 
contraddizione in assoluto. La cosa è più semplice a 
sperimentarsi che a dirsi, come cercare di spiegare alle solite 
gemelle Orlosky che intendi baciarle, prima di abbassare lo 
schienale del sedile dell'automobile sulla quale sono salite, 
facendoti credere di averle raggirate, con uno dei trucchi del 
ragazzo più furbo del quartiere. ­ Un unione di anime !!! ­ Ti 
apposti in un...angolo di una nuvola, puntando la tua preda e 
sperando di avere più fortuna delle feste danzanti la sera del 
Giorno del Ringraziamento. Un'anima si avvicina ignara, 
muovendo con indicibile grazia le sue ali, in un attimo sei su di 
lei, accompagnato dalle note di un melodioso inno, approntato 

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Vicino all'uno

per l'occasione : ­ .....Aspettami Dio, sto arrivando !­  
La...fusione di anime ottiene l'effetto desiderato, il principio 
individuale si dissolve nella dualità. Elliot, Elliot,...ma dove 
diavolo sei finito...,non è possibile che tu sia scomparso dal 
mio racconto.....ehi!, ehi!, ehi!...aspettate tutti, che sta 
succedendo ??? Elliot, è...contro ogni logica, tu non puoi fare 
quello che vuoi, tu sei soltanto frutto del mio...del 
mio.....pensiero. Pensiero ? Pensiero...pensiero ! Ci sono, 
pensiero, sii ! pensiero, ecco la risposta. Dunque, torniamo 
indietro di qualche passo, mentre te ne stai in agguato, in 
attesa di giocare la tua carta, come al tavolo del poker subito 
dopo aver detto "Vedo !". Ah! Benissimo, rieccoti qui ! Mi ero 
preso un tale spavento. Ora sei nelle mie mani più che mai, sei 
quì solo per concretizzare le mie storie, i miei desideri, il mio 
pensiero..., ed io ho intenzione di condurti vicino, sempre più 
vicino a quell'idea di essenza che considero reale, forse non la 
tua, forse non il tuo...Dio. E' inutile che ora cerchi di fuggire, a 
nulla ti servirà nasconderti dietro quelle eteree nebbioline, dal 
momento che posso farle dissolvere in un battito di ciglia. Mi 
basta davvero soltanto un istante, chiudo gli occhi, anzi, 
chiudiamoli assieme, stiamo per assistere all'ultima 
metamorfosi di Elliot. Non urlare, in fondo ti porterò proprio 
là dove volevi andare, vicino, vicino, sempre più vicino... 
Riapriamo gli occhi, poichè la curiosità è una caratteristica di 
noi umani, non certo di un dio. Ora sei perfetto, o quasi, beh !  
forse non te lo immaginavi proprio così vero ? Sei veramente 
un delizioso...ATOMO ! Devi soltanto attendere che 
qualcun'altro come te ti urti (e stai tranquillo che avverrà  
molto presto, secondo i calcoli probabilistici), alla giusta 

26
Vicino all'uno

velocità, all'interno di un preciso sistema di parametri fisici, 
per trasformarti in...ENERGIA PURA. Beh ! ora devo andare, 
ti saluto Elliot,...oh! scusa, ELIO !

* * Nota : L'energia che si sviluppa nelle stelle 
deriva da due processi fondamentali, conosciuti 
come catena protone­protone e ciclo del Carbonio. 
In sintesi, due protoni collidono formando un 
nucleo di Elio 2 instabile che, o si scinde di 
nuovo in due protoni, o subisce un decadimento 
beta, trasformandosi in un deutone. Il nucleo di 
deuterio, entro due secondi, reagisce con un 
protone producendo Elio 3. Ognuna di queste 
reazioni contribuisce a fornire l'energia che serve 
a far "ardere" una stella, forse il Sole, che 
consente la vita anche sul nostro pianeta.

27
Vicino all'uno

EPILOGO
Ci sono speranze che Elliot ritorni fra noi ? Più di quante lui 
stesso si concederebbe, o almeno più di quante gliene 
concederebbe il suo cane, o io, o voi. Dall'universo di pura 
fisicità, dove ora si trova, (tanto reale quanto inconoscibile), 
pura energia e quindi pura materia, necessita di un pensiero 
che lo fissi, consentendogli di indossare la prima pelle di cui 
tutti noi siamo rivestiti : "l'essere percepiti". Entrare a far 
parte di un pensiero privato o collettivo, essere rivestito di 
significato, divenire da ammasso di atomi, un insieme 
interpretato, ma non ancora in grado di interpretare. Ora tocca 
all'universo culturale fare la sua parte, attribuire un valore ad 
ogni suo gesto e consentirgli a sua volta di donare significati a 
ciò che lo circonda, affinchè da uomo divenga PERSONA. Tre 
volte è morto per rinascere altrettante volte, poichè tre sono le 
realtà che in noi convivono : la materia, il pensiero, la cultura. 
(L'Atomo, l'Uomo, la Persona.)

28
Vicino all'uno

Salmo 39

CAPITOLO I°
­ ...Baderò ai fatti miei, per non peccare con la mia lingua. 
Porrò un bavaglio alla mia bocca sino a che l'empio mi stia 
davanti...­. Il reverendo Cornelius Abhramson tuonò contro il 
suo gregge di anime, pronunciando con un tono ammonitore 
queste parole, all'inizio di uno dei suoi sermoni domenicali, in 
grado di raggelare il sangue anche al più miscredente e nero 
raccoglitore di arachidi della calda contea di Brownsville, 
Georgia. Jeremia Hutto, detto "Chet", non fece nemmeno in  
tempo a concludere l'accordo sull'organo, ripose in fretta il 
foglio con le parole di "Save me, Lord !", che teneva dinnanzi 
solo per impegnare un po' di tempo nel riporlo; non era infatti 
in grado di vederlo poichè era cieco dalla nascita, ma anche se 
l'avesse visto, non era in grado di leggerlo poichè nessuno si 
era mai preso l'affanno di dirgli che a quello serviva. Il coro 
stava terminando di sistemarsi nel bancone di fianco all'altare 
ed ancora risuonava l'eco del canto che, da quella piccola 
chiesa metodista, si era innalzato sino a Dio; la voce di Celia, 
la figlia del reverendo, si attardava nella mente di Chet mentre, 
come sempre, cercava di prestare tutta la sua attenzione al 
fiume di saggezza che straripava dalla bocca del reverendo 
Abhramson. Poche delle parole che Chet raccoglieva, come se 

29
Salmo 39

gli venissero scagliate contro, assumevano un significato 
preciso nella sua testa, ma quell'inconsistenza e quei vuoti 
venivano prontamente colmati dall'inattaccabile convinzione 
che, proprio per tal motivo, la loro oscurità era almeno pari 
alla incontestabile verità di cui erano portatrici. ­...Me ne stetti 
muto nella sventura, ma si esasperò il mio dolore...­, continuò 
a predicare, offuscando ancor più il suo sguardo, se ciò era 
possibile, e Jeremia piegandosi sulla parola "..muto", che 
aveva udito più distintamente delle altre, considerò la sua 
cecità contemplata in quelle sventure di cui credeva narrasse il 
reverendo, e ritenendosi coinvolto nell'omelia e quindi 
nell'attenzione del Signore, prestò orecchio come non mai a ciò 
che stava per udire. ­...Fammi noto, Signore, il mio destino, la 
misura dei giorni miei quale sia,...­ e dopo un'interminabile 
pausa, durante la quale il pastore trafisse con lo sguardo ad 
uno ad uno i presenti, concluse: ­...perch'io sappia quanto son 
caduco.­ Nel profondo silenzio che seguì, quasi si riusciva a 
sentire lo sforzo mentale di ogni fedele che, all'unisono con 
l'intera assemblea, di colpo divenuta conscia del suo peccato, 
tentava di allontanare ogni pensiero o desiderio che potesse 
nascondere la consapevolezza della propria mortalità.  
Certamente non tutti seppero interpretare quella sacra 
citazione dal libro dei Salmi, considerando che il termine 
"caduco" non poteva certo far parte del vocabolario del signor 
Simmons, il becchino, o di Miss Dizzy Laporte, la conduttrice 
della casa...in fondo al viale, o di "Asso" Bercison, il giocatore 
d'azzardo, o infine del sindaco Bishop, ma anche per questi 
signori la parola assunse un tono familiare, come se, in fondo, 
appartenesse anche al loro mestiere. ­ Ebbene, o Signore, 

30
Salmo 39

disponi di me come ti piace, poichè io sono il tuo servo...­,  
pronunciò con enfasi innalzando la braccia verso la volta della 
chiesa. ­ Alleluja ! Alleluja ! ­ accennò in risposta Sarah 
Travis, che, se la facilità nel raggiungere i toni più acuti 
cantando nel coro, fosse segno di un'anima maggiormente 
timorata di Dio, si potrebbe annoverarla tra le signore bene 
più devote della cittadina, sebbene sia troppo amica di Miss 
Dizzy, come qualcuno mormora. ­ Si, alleluja ! ­ fecero eco 
alcune voci dal fondo dell'assemblea, tra le quali non fu facile 
riconoscerne i rispettivi proprietari, come tentarono di fare le 
donne in prima fila. ­...E così sia ! ­ accompagnò sotto voce, 
quasi ripetendolo mentalmente, Chet, dal suo angolo nella 
penombra. Si sa che il tono di un'esclamazione è fedele 
testimone di quanto si trattiene dentro più che di ciò che viene 
esternato, e ciò consentirebbe al reverendo Abhramson di 
misurare il grado di devozione dei fedeli che avevano in quel 
momento parlato, facendo giustizia di un primato soltanto 
cronologico. Ma che Jeremia fosse uno dei presenti più devoti, 
non c'era affatto bisogno di renderlo pubblico, poichè la sua 
devozione aveva origine in un atto di riconoscimento che è più 
frequente tra coloro che hanno sperimentato la "servitù" 
terrena che tra quelli che agognano a quella ultraterrena. Di 
padroni, infatti, Chet non ne aveva avuto uno, bensì almeno 
venti, tante quante erano le "ospiti" di Miss Cynthia Gordon, la 
proprietaria del "Red River", il bordello di lusso giù a 
Columbus, dove, gli dissero, una sera alla fine del secolo, era 
nato. Di giorno si affaticava nel rendere il più confortevole 
possibile la permanenza delle ospiti, preparando colazioni alla 
maniera del Sud, con pane di granturco caldo, pollo fritto, 

31
Salmo 39

prosciutto, caffè, latte e burro, di notte intratteneva gli 
impazienti e gli indecisi, gli occasionali e gli innominabili, ma 
tutti distinti frequentatori, ora solleticando, ora martellando 
sul pianoforte nell'ingresso, il più "solido" blues che si fosse 
mai sentito. Quelli che, grazie alle loro abitudini, ebbero modo 
di ascoltarlo, giurano che Chet suonasse quella "musica del 
diavolo" in maniera davvero...divina. Come per il resto degli 
abitanti di quella casa, il talento che ognuno dimostrava 
possedere nel suo "ramo", aveva un'origine 
inequivocabilmente legata alla personale natura, e ciò 
consentiva a tutti di non dover ringraziare nessun altro se non 
le rispettive madri. Sebbene Chet non sapesse a chi dover 
essere riconoscente, il fatto di avere non una ma venti madri, 
gli era più che sufficiente. Ora aveva anche un padre, (o 
qualcosa del genere), un uomo saggio ed austero, che, come 
ogni buon padre dovrebbe fare, lo strappò dalle gonne di 
queste "genitrici" troppo disposte a lasciarle cadere, poichè 
l'educazione di un uomo non è cosa da madre. Due settimane 
dopo che incendiarono il "Red River", il reverendo Abhramson, 
infatti, lo raccolse nella prigione della contea, dove era finito 
per vagabondaggio e ubriachezza molesta. La sua educazione 
la riceveva ora, dopo sessantaquattro anni in cui la sua cecità  
gli aveva aperto tante porte nel mondo "di dentro", almeno 
quante gliene aveva chiuse verso il mondo "di fuori".

32
Salmo 39

CAPITOLO II°
L'uomo è simile ad un soffio di vento, i suoi dì son come ombra 
che passa.­ Il reverendo Abhramson stava conducendo un 
sermone sul suo argomento preferito: la nullità dell'uomo e 
delle sue speranze, delle sue illusioni che lo spingono a vivere 
come "...un negro selvaggio", così era solito dire. ­ Alleluja !  
Alleluja ! ­ si animava ora l'uditorio, come alle feste nel fienile 
del maniscalco Higgins, dopo che le prime coppie hanno 
timidamente occupato lo spazio sotto la botola del granaio, 
alla luce della grande lanterna sospesa sopra di loro, e 
iniziano a danzare. ­ Si, è così...amen ! ­ ripete Chet, ora 
anch'egli coinvolto dall'atmosfera di maggior partecipazione, e 
che considerava queste lezioni di umanità come l'opportunità,  
concessagli da Dio in persona, per entrare in paradiso dalla 
porta principale. Era questo il momento in cui padre 
Cornelius, dalle alte vette delle Scritture, scendeva nelle strade 
polverose di quella cittadina della Georgia, nei campi di 
arachidi, tra i commercianti ed i raccoglitori, impegnati a 
difendere ogni centesimo del loro lavoro, tra il sudore degli 
operai della ferrovia, nei salotti delle donne bianche intente a 
consumare té, pasticcini e infamie, dovunque vi fosse un uomo 
ancora da convertire, per scagliare le sue invettive contro 
chiunque meritasse il castigo divino. ­ Levati, o giudice del 
mondo, rendi ai protervi la loro mercede. Fino a quando gli 
empi, o Signore, fino a quando gli empi trionferanno ? A gran 

33
Salmo 39

voce diran insolenze e si daran vanto i malfattori ? ­. Seguiva 
un ­...e così sia...­ dell'assemblea, carico di attesa per i 
prossimi minuti, quasi che Dio stesso volesse in quel momento 
esaudire le richieste di quell'uomo che in fondo si dichiarava  
suo servitore. Jeremia non riusciva mai a comprendere a fondo 
cosa volessero dire queste parole, sebbene gli incutessero tanto 
timore quanto un termine che il reverendo pronunciava con 
vigore profetico : "Illusione !". ­ Cos'ha accumulato Stochton  
nel suo retro bottega ? Illusioni... E il signor Highman nella 
sua banca ? Illusioni... E Parker, cosa c'è nella sua miniera ? 
Illusioni... James Duncan ­ e lo indicava tra i presenti, ­ ...cosa 
ci porterà la ferrovia che state costruendo ? Illusioni... Signora 
Bishop, e suo marito, cosa ci promette nei suoi comizi ?... Tom, 
Tom Bolton, cosa ti darà quest'anno il tuo campo ? Illusioni...­  
­ O Signore, guarda il tuo gregge, smarrito nel bosco, travolto 
dal fiume, caduto dalla chiatta, disarcionato da cavallo, 
tremante nella miniera. Beato l'uomo che tu guidi, o Dio, che 
tu addestri nella tua Legge ! ­ Ad un cenno il coro intonò : ­ 
Tornerà la Giustizia nei giudizi; la seguiranno tutti i retti di 
cuore ­. Mentre suonava Chet si ricordò di un giorno in cui il 
reverendo gli confidò che l'illusione è come il wisky, fa vedere 
al marito un altro uomo nel letto della sua donna, fa credere al 
vecchio Red Stockwell di essere vicino a scavare il più ricco 
filone d'oro, fa pensare a Ed Burke di avere più fegato di quello 
che ha. ­ Solo tu, o Signore, puoi salvarci ora, e per questo ti 
preghiamo. Solo tu esisti, tutto il resto è illusione...ascoltaci o 
Dio ! ­ Nell'istante di silenzio che seguì, Chet pensò a come 
avrebbe voluto credere nelle parole che aveva udito; ricordò la 
voce del "Cugino Gail" (così si faceva chiamare), ma 

34
Salmo 39

soprattutto il suo bastone che si infrangeva sulla sua schiena di 
ragazzo, lo odiò come non lo aveva mai odiato prima, pensò a 
lui come un'illusione e desiderò cancellarlo dal suo passato e 
dalla sua mente. In un cimitero della Luisiana, sotto un palmo 
di terra, in una fradicia cassa d'acero, una salma scomparve. 
Era quella di Richard Gail, morto il 30 settembre del 1927. 
Jeremia Hutto pensò al Colonnello Harris che gli fece 
amputare il piede perchè una sera, a causa della sua cecità, lo 
aveva urtato. Finì per portare a termine la sua vendetta 
uccidendolo mentalmente e cacciandolo dai suoi ricordi come 
non fosse mai esistito. Inutile dirvi cosa successe in 
quell'istante in un accampamento militare vicino a Fort Knee, 
Connecticut. Jeremia pensò a tutte quelle facce che gli stavano 
davanti, lì oltre la staccionata di legno, coloro verso i quali si 
riversava la rabbia di padre Abhramson, desiderò dargli un 
nuovo gregge, più fedele e timorato di Dio. Pensò al reverendo, 
a quel "wisky" che lo illudeva di riuscire a scrollare di dosso la 
polvere di cent'anni che ricopriva quella cittadina. Il reverendo 
Abhramson portava davanti a sè la sua illusione, e Chet pensò 
anche a lui come l'illusione più misericordiosa della sua vita. 
Di colpo Jeremia Hutto si accorse del silenzio che lo 
circondava, percepiva intorno a sè solo le bianche pareti di 
legno della chiesa...vuota. Come premendo un dito fuori posto 
nell'esecuzione di un accordo sul suo organo, Chet si rese 
conto della dissonanza; poichè se tutto ciò che lo aveva 
circondato era un'illusione svanita nell'attimo in cui egli aveva 
dubitato, quale motivo vi era perchè lui stesso non fosse.....un 
illusione ? ­...Andate in pace, Fratelli,...la messa è finita !­ 
disse il reverendo Abhramson, ma nell'uscire dalla chiesa tutti 

35
Salmo 39

si accorsero che il coro cantava da solo l'inno finale, l'organo 
di Chet era muto, come se lui, inosservato, avesse lasciato il 
suo posto per un improvviso malore.

36
Salmo 39

EPILOGO
Credetemi, non mi spiegherò mai perchè nessuno si preoccupò 
di ritrovare Chet, nemmeno il reverendo Abhramson. La sua 
scomparsa condusse con sè anche tutti i ricordi che ognuno 
aveva di Jeremia, quasi non fosse mai esistito. Rivolgo un  
appello a chiunque avesse avuto la fortunata occasione di 
incontrarlo : scrivetemi. In caso contrario mi rimangono due 
ipotesi, come mi confermò un compagno di bevute. 1 ­ Chet 
apparteneva all'immaginario collettivo di quella comunità del 
sud che decise di cancellarlo una domenica mattina dopo un 
sermone del reverendo Cornelius Abhramson, oppure 
quell'intera cittadina apparteneva all'immaginario di Jeremia 
Hutto, Chet, che non fece altro che pensarli esattamente come 
lui li poteva vedere : ciechi. 2 ­ Chet l'ho immaginato 
solamente io, oppure Chet sta ancora immaginando...me. E' 
meglio che non continui di questo passo, che ne dite, potrei non 
arrivare in tempo a concludere il racconto !

37
Salmo 39

PERCHE'?
"...lo vedevo disperato; capivo che voleva scrivere qualcosa, 
solo per il gusto di vedere nero su bianco, solo per vedere che 
un altro pomeriggio della sua vita non sarebbe andato 
sprecato.

Forse non voleva scrivere niente di originale, resta il fatto che 
mi guardava insistentemente, quasi cercasse in me 
l'ispirazione; capii al volo che mi aspettava un duro 
pomeriggio.

Era novembre ed il freddo e gli anni si sommavano ai miei 
dolori artritici, i tasti erano tutti indolenziti, facevo persino 
fatica a spostare il carrello, avevo inutilmente sperato di 
trascorrere i miei ultimi giorni in un negozio di antiquariato, 
magari dove lavorava mio figlio, un nuovissimo registratore di 
cassa; tutto era però ora lontano, mi trovavo alla mercè di un 
maniaco che non si accorgeva mai di dover andare a capo, 
toccava allora a me ricordarglielo ma il mio campanello era 
ormai stremato e ad ogni riga io prendevo dei colpi tremendi.

Quel giorno non so cosa mi prese ma non ce la feci più e decisi 
di rompere il giuramento che accomuna noi macchine da 
scrivere, e con esso il silenzio.

38
PERCHE'?

VUOI SMETTERLA DI BATTERMI COSI4 (nella foga e 
nell'eccitazione dimenticai di abbassarmi) 'FORTE?

Per nulla sorpreso mi rispose di perdonarlo ma aveva dei 
grossi problemi e non riusciva a parlare con nessuno e per 
questo era molto nervoso.

Scrissi di nuovo, VORREI AIUTARTI SE FOSSE POSSIBILE; 
contro i miei pronostici mi raccontò la sua storia ed io feci 
altrettanto.

Vorrei tanto scrivere ed essere capito, disse, raccontare le mie 
idee ed essere ascoltato, narrare i miei progetti ed essere 
seguito;

SAI QUANTE PAROLE ABBIAMO STAMPATO NOI,scrissi, 
QUANTI PENSIERI DI PERSONAGGI ILLUSTRI, SOLO NOI 
LE ABBIAMO REALMENTE CAPITE; SAI QUANTI  
STUPENDI DESIDERI DI CAMBIAMENTO ABBIAMO 
IMPRESSO SULLA CARTA, E LI' SONO RIMASTI, E SOLO 
LEI LI HA SEGUITI; SAI DI QUANTI AMORI, SOGNI, 
SEGRETI SIAMO STATE TESTIMONI, QUANTE PAROLE 
SCRITTE COL NOSTRO SANGUE GIACCIONO 
AMMUCCHIATE NEL DIMENTICATOIO CON I LIBRI CHE 
LE CONTENGONO, O SUL TAVOLO DI STUDIO DI 
QUALCHE STUDENTELLO PREOCCUPATO DI 
RICORDARSENE IL PIU' POSSIBILE PER BEN FIGURARE 
ALL'ESAME?.

Tacque.

39
PERCHE'?

­Perchè?­ mi chiese e lo scrisse su di un foglio per non 
dimenticare mai più quella santa parola: PERCHE'?, scrissi io 
quasi facendogli da eco.

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PERCHE'?

Indice generale
I Dupree, un problema di verita'................................................2
CAPITOLO I°.......................................................................2
CAPITOLO II°......................................................................9
Vicino all'uno...........................................................................14
CAPITOLO I°......................................................................14
CAPITOLO II°....................................................................18
CAPITOLO III°...................................................................24
EPILOGO............................................................................28
Salmo 39 Capitolo Primo.........................................................29
CAPITOLO I°.....................................................................29
CAPITOLO II°....................................................................33
EPILOGO............................................................................37
PERCHE'?................................................................................38

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