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Neuromusicologia: i suoni che cambiano la vita

Partiamo dal rapporto tra musica, psicoanalisi e neuroscienze: la psicoanalisi non indaga la musica,
ma viceversa. La musica dà un’occasione alla psicoanalisi per scoprire alcuni temi che hanno in
comune, come ad esempio l’ascolto (nelle sedute di psicoanalisi l’analista ascolta chi enuncia il
discorso) o il sogno, come era stato interpretato da Freud (egli parla del sogno come una sorta di
mondo imperscrutabile, ma che ci fa accedere alla psiche).
Per il maestro Sinopoli la partitura si avvicina a ciò che può essere un sogno, perché non è mai da
prendere alla lettera, è un segno manifesto di un qualcosa che va elaborato, fino ad arrivare alla
sua esecuzione.
Per introdurre la questione del sogno, prendiamo come esempio “Sogneria” di Schumann,
eseguita da Horowitz: durante l’esecuzione egli rievoca gli affetti della figlia venuta a mancare; il
sogno è vissuto quindi come un momento di appagamento del desiderio.
Il primo sogno d’amore musicale è quello che viviamo nel grembo materno: i primi suoni che
avvertiamo nel periodo prenatale sono tutte quelle sensazioni sonore riguardanti il corpo (ad
esempio battito cardiaco o la circolazione).
Secondo le neuroscienze la musica è indagata in maniera del tutto soggettiva.
Von Karajan, negli anni 50, a Salisburgo fondò la prima associazione mondiale di
Neuromusicologia: con una rilevazione telemetrica durante la direzione dell’overture Leonore di
Beethoven si scoprì che il cuore raggiungeva i 150bpm in alcuni momenti della direzione; lo stesso
monitoraggio venne fatto mentre il direttore ascoltava solamente l’overture senza dirigerla o
addirittura mentre pilotava il suo jet privato (per escludere ipotesi di eventuali malattie cardiache).
La conclusione che si trasse dall’esperimento fu che l’ascoltare musica è qualcosa di molto
importante a livello farmacologico: in particolare si diminuisce il cortisolo (ormone dello stress),
viene alleviato il dolore, viene rilasciata dopamina, che viene suscitata dal piacere dell’ascolto
musicale.
Sinopoli invece va più in direzione dell’inconscio musicale come matrice affettiva (più verso le idee
di Freud): quando Freud parla di tonalità affettiva rispetto all’ascolto musicale fa riflettere su
quello che è l’essere catapultati nella dimensione della memoria, perché il soggetto viene riportato
in un passato altro durante l’ascolto musicale.
Perché i suoni cambiano la vita? La musica aderisce profondamente alla vita e all’esistenza. Nella
biologia alcuni scienziati hanno osservato che le cellule hanno un suono (vibrazione), a seconda del
loro stato di salute (sane o malate). Le cellule ad esempio con il suono ricevono e scambiano le
informazioni del DNA. In particolare, dopo l’esperimento di Emiliano Toso, si scoprì che la natura e
il corpo si muovono sui 432hz.
Ciò che appare più evidente nel nostro modo quotidiano di sentire musica che aderisce alla vita sta
nel battito cardiaco. Il cuore indica una ritmicità, che si ascolta già nel grembo materno e che
metaforicamente indica gli affetti (i palpiti dell’amore).
Il ritmo è l’anello di congiunzione fra il piano neuroscientifico, che da un lato spiega l’intero
sistema neurofisiologico della percezione come governato da un sistema ritmico (il nostro cervello
procede ritmicamente):
-rispetto a un meccanismo anticipatorio di risposta al ritmo che precede il battito esterno: ad
esempio nell’azione del tamburellare c’è un’interazione fra corteccia uditiva e corteccia
premotoria dorsale;
-rispetto al legame fra percezioni diverse: grazie a come è strutturato il cervello possiamo
integrare tutte le percezioni uditive, visive e olfattive, ad esempio nella visione di un giaguaro che
fa scattare la paura.
Da un altro punto di vista, che riguarda le nostre reazioni più nascoste, questa originarietà ritmica
può essere compresa nei termini di una predisposizione inconscia a ricercare il ritmo ovunque. Il
ritmo nell’esperienza comunitaria genera piacere e quindi si comporta come un vero e proprio
farmaco (importante nelle nascite premature, cura diverse patologie come il parkinson,
l’alzheimer, i traumi cerebrali derivanti da ictus, etc.); con il piacere dell’ascolto vi è il rilascio di
dopamina (neurotrasmettitore responsabile della sensazione di piacere): anche nei momenti che
precedono l’ascolto il cervello produce dopamina (che marca l’attivazione motoria). La dopamina a
sua volta scatena l’ossitocina (ormone del legame interumano), che stimola l’affetto empatico e il
desiderio sessuale nelle relazioni.
Il primo a documentare che la dopamina funziona come ricompensa astratta fu Zatorre
(neuroscienziato americano): egli dimostrò che il rilascio di dopamina è maggiore quando si
ascolta il proprio genere musicale preferito. Ciò sancisce il carattere soggettivo della
neuromusicologia, ma non è sufficiente a spiegare il perché un determinato brano si fa amare:
difficile da spiegare, bisogna “accontentarsi” del comprendere le emozioni in relazione alle
esperienze vissute (i contenuti di coscienza non possono essere indagati dalle neuroscienze).
ASCOLTO SOGGETTIVO DI UN BRANO MUSICALE
Perché il legame affettivo assume un significato diverso da soggetto a soggetto? Memoria, suoni e
affetti sono legati insieme nell’immaginario dell’inconscio. Attraverso le canzoni che preferiamo e
che hanno riguardato determinati momenti della nostra esistenza, noi parliamo del nostro
approccio all’amore materno, ma anche a quello che riguarda la nostra vita amorosa adulta.
UNIVERSALITA’ E ORIGINARIETA’ DELLA MUSICA
Il senso della musica è ancorato nelle più grandi profondità dell’umano; il ritmo ha una priorità
rispetto al linguaggio (Bart) ed è prioritario e primo oggetto d’amore.
La relazione tra madre e bambino può essere paragonata a un coccodrillo (la madre) con le fauci
aperte che è in grado di inglobare il bambino. Il ruolo del padre è quello di mettere uno stecchino
nelle fauci della madre, per dare al bambino una crescita sana. Nei primi mesi di vita del neonato
c’è quindi una sorta di fusionalità/relazione primaria tra madre e bambino ed è quindi inevitabile
che il bambino riproduca tutte quelle percezioni sonore che aveva avvertito nel grembo materno:
la madre, per rimanere in sintonia col bambino, ripete le sue “lallazioni”, creando quindi un
linguaggio utilizzato solo dalla madre e dal bambino.
Stravinsky stesso si occupò della questione, in un oratorio in cui narra della tragedia dell’Edipo:
musicalmente egli deve rappresentare l’incesto che avviene tra Edipo e la madre; decide di
scrivere in lingua latina, perché è una lingua lontana dalla comprensione immediata, quindi vuole
dare precedenza a ciò che avviene musicalmente rispetto alle parole. Egli opera una sorta di
sovrapposizione tra testo e musica, tramutando gradualmente l’elemento sillabico della lingua
latina, in una scomposizione ritmica, che diventa elemento fonetico: piega quindi il linguaggio alla
musica. Ad esempio cambia le sillabe per adattarle alla musica.
Anche Fornari parla di musica come originario oggetto d’amore, in riferimento all’affetto materno:
la questione del sogno diventa ancora più fondante. Egli parla di sogno danza, riferito
all’esperienza della gestazione: egli sostiene che l’elemento ritmico rilevante dell’esperienza post
natale è quello che corrisponde all’esperienza dell’allattamento. Egli sostiene che ci siano tre
elementi che concorrono a fondare il senso di una psicanalisi della musica:
-un elemento ritmico, perché nell’allattamento si assiste a una vera e propria danza, a ritmo del
battito cardiaco della madre;
-un elemento visivo, in cui il bambino osserva il volto della madre;
-un elemento dell’immaginazione, cioè un’attività rem, poiché il neonato è come se sognasse.
Questa danza dà al bambino una sensazione paradisiaca, che rimarrà impressa al soggetto per
tutta la vita. La musica rende possibile quindi il recupero amnestico di uno stato musicale
paradisiaco (ormai perduto). A costituire l’elemento di saldatura tra il pre e il post è tutto l’insieme
di elementi sensoriali (voce della madre, circolazione), che costituiscono gli elementi materni che
vengono riattualizzati dopo la nascita, attraverso la lallazione, in cui anche la madre va in sintonia
con il bambino, dialogando con lui con un linguaggio incomprensibile dall’esterno. All’interno di
questo bagno di suoni il neonato mostra di dare un significato positivo al rispecchiarsi del suono
prenatale nel suono postnatale (scena nascosta/scena manifesta). Tutto ciò va a rispecchiare il
senso originario di un paradiso perduto, quindi parlare del “sogno d’amore” significa parlare della
nostalgia dell’avvolgimento materno e la ricerca nella vita adulta di un altro soggetto amoroso con
cui provare il sentimento oceanico provato nel mondo prenatale.
Le neuroscienze, a proposito del sogno d’amore musicale originario, sostengono che potrebbe
avere senso in riferimento all’excursus che ha definito il ritmo come componente originaria
musicale anche all’interno del rapporto madre-figlio e in relazione a un’indagine neuroscientifica
sul sogno, (che comunque rimane qualcosa di imperscrutabile) con cui si attivano l’area
mesolimbica e mesocorticale, che sono le vie più importanti della dopamina: si riapproda quindi
alla questione della musica dopaminergica, nel senso che il massimo del piacere musicale si attua
proprio nella dimensione del sogno, quel sogno più originario dell’uomo che è la vita prenatale nel
legame d’amore con la madre.

DIFFERENZE NEGLI AUTORI RISPETTO AL SOGNO D’AMORE

Vi sono differenti modi di vivere il sogno d’amore musicale, e viene espresso a seconda della
tonalità affettiva (modalità più soggettiva): ogni compositore, attraverso le modalità compositive
lo esprime in maniera diversa. Ad esempio, utilizzando tonalità diverse, si ottengono risultati
diversi (tonalità maggiore=solarità, tonalità minore=più cupa).
Il sogno d’amore musicale viene vissuto positivamente da alcuni, ad esempio Mendelssohn (Sogno
di una notte di mezza estate si conclude con la marcia nuziale, mentre da altri viene vissuto come
una malattia (il paradiso perduto rimane sempre perduto), come ad esempio Schumann; per altri
ancora il sogno d’amore è vissuto come una sospensione continua tra sogno e realtà, come ad
esempio Debussy, o ancora, qualcuno lo vive come consapevolezza di incomunicabilità,
lontananza, come ad esempio Charles Ives (compositore americano dei primi del 900), o qualcuno
intende l’amore come ferita da sublimare (dissonanza che non viene mai risolta), che si ritrova
nell’improvvisazione jazzistica.
Mendelssohn ci porta in un mondo di realismo magico, in cui è presente un rapporto di fusionalità
con il fantastico e parla del sogno d’amore come qualcosa di estremamente positivo. Egli “gioca
con le catene come fossero ghirlande di fiori” (Schumann); l’aspetto angoscioso che caratterizzava
il romantico, in Mendelssohn sfocia in una magica irrealtà e viene stemperato: il sogno musicale si
esprime nell’aderenza tra il soggetto e la natura e l’appagamento del desiderio è godimento di una
piena soddisfazione (rimando a Freud, in cui il sogno è appagamento del desiderio).
In “Sogno di una notte di mezza estate”, nel terzo tempo avviene una “magia” creata da
Mendelssohn (il primo tempo si apre con successioni accordali affidate ai flauti, in mi maggiore): si
ritorna al mi maggiore del primo tempo, dopo essere passati per il do diesis minore del secondo
tempo. Il tema principale ritorna quasi sovrapposto a quello precedente e fa compenetrare le due
tonalità, facendole coesistere per un momento, in modo sospeso. L’ascolto prolunga l’effetto
illusorio della dimensione onirica e rappresenta musicalmente il momento fra la veglia e il sonno,
dove avviene una frantumazione dei pensieri che si accatastano tra loro, ma senza tuttavia essere
ordinati rispetto all’istante in cui subentrerà il sonno.

Schumann intende il sogno d’amore musicale come una metafora di un amore così sublime da
essere irraggiungibile e siccome non viene trovato, il rischio è quello di costruirsi due realtà, una
ideale e una reale, separate tra loro. L’oggetto d’amore è quindi sempre perduto. L’autore che
meglio rende la poetica musicale schumanniana è Novalis, con la poetica del “fiore blu
irraggiungibile”, in cui c’è una ricerca estenuante dell’oggetto (il fiore), che non può essere
raccolto dall’uomo. Si può fare una digressione Freudiana per quanto riguarda l’oggetto d’amore:
Freud parla dell’essere e dell’avere del bambino, rispetto all’oggetto materno, nel senso che il
bambino esprime la sua relazione oggettuale mediante l’identificazione: si identifica con il seno
materno, in un primo momento e in un secondo momento si rende conto di non essere l’oggetto
d’amore, quindi può solo averlo o non averlo. Ciò dipende dal volere dell’altro; il bambino quindi si
rende conto che può avere il seno materno ma non può esserlo. Quindi essere l’oggetto d’amore
significa non poterlo avere. Segue a questo punto il tormento romantico, cioè l’amore vissuto
come mancanza ad essere (modo di vivere l’amore dei romantici): l’oggetto è irraggiungibile e si
realizza o nel sogno o nella realtà, con il pericolo di una scissione dell’io tra il sogno e la realtà.
Schumann risolve la dualità dell’approccio all’amore dandosi due pseudonimi: Eusebio e
Florestano. Nel 1834 fonda una rivista, in cui si firma con lo pseudonimo dell’uomo impetuoso
Florestano, legato alla realtà, mentre Eusebio è un uomo più sognatore e introverso. La
composizione Carnaval rappresenta chiaramente questi due personaggi, con ritmi e indicazioni
agogiche diverse. Schumann descrive se stesso attraverso i vari personaggi, cosa che potrebbe far
pensare che Schumann avesse più personalità: la frammentarietà dei brani rappresenta i vari stati
d’animo dei personaggi, che possono convivere insieme grazie al legame dell’amore. Inoltre
rimandano al carattere del lied, che esprime un affetto perduto o abbandonato. Tutta la vicenda è
legata biograficamente alla relazione perduta tra Schumann ed Ernestine Von Fricken.
La partitura di Eusebio ha un andamento melodico molto lineare e adagio (natura introversa e
pacata), ma presenta anche gruppi irregolari (qualcosa che esce dai parametri della quadratura),
per indicare lo sfuggire di Eusebio ai canoni prefissati; quella di Florestano ha un carattere
appassionato (natura poliedrica), con momenti più rapidi e altri più lenti: Florestano agisce in
maniera più ribelle ma è più vicino al reale, Eusebio invece si raccoglie in se stesso, ma questo
ripiegamento non rimanda a una dimensione così lontana dal reale, bensì a una dimensione
totalmente libera, che trova il suo più grande sollievo nella libertà della follia. L’idea musicale che
sottende l’armonia di Eusebio viene trovata anche negli altri personaggi, come se proprio questo
personaggio desse unità a tutto il resto.
In un passaggio si trovano le “sfingi”, da eseguire silentemente, (non bisogna suonare le note). La
loro posizione indica alcune lettere, che potrebbero essere le iniziali di Schumann o il nome del
villaggio dell’amata Enrichetta. Egli allude quindi al legame amoroso che lo unisce all’oggetto
d’amore, che non va nominato e va lasciato irraggiungibile (non viene recuperato se non nel
silenzio). C’è sempre quindi il sogno musicale romantico, inteso come sogno irraggiungibile.
Altra composizione di Schumann è “Sogneria”, un rifugio per la nostalgia, con un’indicazione
melodica chiara (tema), che viene riprodotta più volte e che ha il suo momento tensivo in una
dissonanza, per poi tornare alla tonica (necessaria condizione umana, dell’uomo che tenta di
raggiungere l’oggetto amato).

Debussy intende il sogno come momento sospeso, momento di indecisione dell’amore, in cui
viviamo in maniera sognante: dal punto di vista della storia della musica troviamo
nell’impressionismo l’impressione di stare appunto in un momento, nella sua evanescenza, dal
punto di vista musicale non c’è un punto tonale preciso. L’attenzione di Debussy è concentrata
sull’accordo in sé: egli utilizza le scale pentatoniche o esatonali e ciò permette che non vi sia una
tensione del linguaggio, ma l’accordo è “congelato”, importante in sé. Ad esempio nel “Prelude a
l’apres midi d’un faune” si sente un flauto ipnotico iniziale, momento di assoluta sospensione del
sogno (dovuto anche all’utilizzo di toni interi). Non è presente il recupero dell’oggetto amato, ma
tutto resta sospeso in un abisso senza fondo (l’accordo non necessariamente deve risolvere).
Dal punto di vista della tonalità affettiva c’è un’altra composizione, che si intitola “La Cathedrale
engloutie”, in cui viene rappresentata la leggenda di un’isola che sprofonda nell’oceano insieme
alla cattedrale. Ciò che Debussy vuole descrivere è proprio l’inabissamento della cattedrale, che
identifica qualcosa che sta nelle profondità (sogno di un materno austero, lontano, che sta nelle
profondità dell’oceano). Debussy lavora sul ricamo dell’accordo, che non deve risolvere, poiché è
un “concludere senza concludere”. L’architettura armonica racconta musicalmente l’emersione
della cattedrale dal mare (evocazione di una madre assente, nel quale il bambino si trattiene
illusoriamente). La sospensione rende tutto ambivalente, senza ancoraggi: il dolore dell’assenza
viene stemperato dalla dimensione del sogno, dimensione illusoria che però non viene recuperata
(nel momento dell’inabissamento sono presenti diverse settime di dominanti che non vengono
risolte).
Con Debussy ci si trova in una fase di passaggio che va verso la decostruzione del linguaggio
musicale.

Agli inizi del 900 in occidente si va verso la decostruzione tonale attraverso la dodecafonia, mentre
in America (con il jazz) si va verso un’altra direzione.
Sono stati svolti studi sulle dissonanze e consonanze: la dissonanza si identifica con qualcosa che
dal punto di vista cerebrale attiva delle aree che danno un effetto di sgradevolezza. Inoltre gli
intervalli di quinta e di ottava sono intervalli innati (si pensava all’inizio che le
dissonanze/consonanze fossero percezioni soggettive): vi sono dei correlati neurali che vengono
attivati nel momento in cui vengono ascoltati questi intervalli. Vi è quindi un’universalità riguardo
agli intervalli (diversamente da come si pensava, cioè che la soggettività era dovuta alle differenze
culturali). Ciò va a confermare la tesi per cui il movimento tensivo della dissonanza che ritorna
verso la tonica è una tendenza musicalmente innata, che ha una sua origine nel nostro modo
cerebrale di ascoltare suoni, rispetto al sogno d’amore musicale. La dissonanza è quindi il
momento di lontananza dall’oggetto amato, la ferita di un qualcosa che non è recuperabile.
La dodecafonia affronta la dissonanza recuperandola all’interno di un sistema, ma ciò comporta
una verticalità della partitura, nel senso che non c’è più un’intimità tra l’ascoltatore e la musica.
Charles Ives affronta la dissonanza volendo dimostrare quanto una cosa illogica possa diventare
logica nel linguaggio musicale: la dissonanza non deve essere risolta, poiché la sua poetica accoglie
utopicamente sia le consonanze che le dissonanze. La lontananza dall’oggetto d’amore viene
inserita all’interno di una dimensione utopica: vi è la consapevolezza del dolore della distanza, che
non si guarisce con la consonanza, ma va vissuta fino in fondo con la mancanza di senso. La sua
poetica sacrifica l’armonia delle forme per la ricerca della verità: l’uso della dissonanza diventa
paradigma di una lingua universale. Nella composizione intitolata “La domanda che non ebbe
risposta” si prospetta il compito di una domanda universale e continua, che però non ha mai una
risposta: la dissonanza viene attraversata ma non risolta e rimane nella sua incomunicabilità. La
domanda cosmica è il desiderio di un sogno universale e utopico. La partitura esprime inizialmente
un momento enigmatico (eseguito dagli archi), seguito da una tromba che declama un enigma
tipico dell’esistenza umana, mentre i flauti esprimono i tentativi degli uomini di arrivare alla
risposta, ma tutto alla fine rimane in una inconciliabilità dialogica. Gli archi conducono un
linguaggio tutto proprio, quasi mistico, che fa intendere la presenza di un divino, mentre le
dissonanze dei flauti annunciano la verità dell’esistenza e le due parti non riescono a comunicare
tra loro. La speranza di un sogno utopico che possa conciliare consonanze e dissonanze esiste
sempre.

Per il jazz la dissonanza non va risolta, ma va vissuta fino in fondo e ciò è permesso dalle “note
blu”, in cui è presente la condensazione sonora di differenti provenienze culturali, la cui origine è
da cercare nelle scale non temperate, come per esempio quella pentatonica utilizzata in origine
dagli schiavi afroamericani. Ad esempio la musica di Miles Davis contiene questo linguaggio misto,
laddove questa area sonora poco identificabile è entrata poi nel raggio comune del jazz. La nota
blu è la dissonanza caratteristica che fa irruzione, è la folgore dell’anima, la nota dell’amore vissuto
come vertigine colma di nostalgia. Le note blu conferiscono quindi al jazz un carattere di
oscillazione non stabile, poiché le oscillazioni sono legate al processo di adattamento delle scale di
origine africana agli strumenti accordati secondo il temperamento equabile. L’improvvisazione
libera del jazz è quindi espressiva di questa instabilità, di pura invenzione, laddove la vita è
aderente alla musica: tale ottica è possibile solamente nel momento in cui la nota viene pensata
ed eseguita immediatamente. Il free jazz di fine anni 60 esprime questo tipo di tonalità affettiva e
il musicista più rappresentativo dell’attraversamento della dissonanza come il perdersi in una
dimensione che è continua ricerca è John Coltrane. Un esempio è “Love Supreme”: quando si
ascolta il piccolo segmento musicale (love supreme) è come se si entrasse in una sorta di mantra,
in cui la disperazione amorosa è vissuta pienamente. È presente un’estraneazione dal reale
nell’improvvisazione.
L’improvvisazione è un atto imprevedibile che accade nel momento in cui viene eseguito: si esce
dal rigore di uno spartito per attraversare una dissonanza come lontananza dall’origine che è
irraggiungibile. Si vive dentro al sogno mentre lo si suona. Non c’è più differenza tra realtà e
sogno, è un vivere la ferita come qualcosa di estremamente doloroso, ma anche spirituale. Nel
free jazz si ritorna nell’avvolgimento del sé e si cerca la soluzione della ferita stessa, ma ciò è
possibile solo attraverso la preghiera: ad esempio Thelonious Monk vive la dimensione del sogno
in maniera del tutto mistica. Le dissonanze sono da lui definite “errori giusti”, giuste note
sbagliate. In Monk c’è aderenza tra vita e musica, quindi tra vita e sogno: ciò che è importante per
lui è il silenzio tra una nota e l’altra. La libertà dai suoni giusti che egli percorre è una libertà in un
sogno che deve essere sempre vissuto nella dimensione dell’errore, che permane sempre in
un’instabile giustezza, che conduce a una verità dolorosa per il soggetto.
CONCLUSIONI
L’ascolto musicale che preferiamo ci aiuta a portare coscienza al nostro personale sogno d’amore
perché le sue leggi armoniche parlano di una scena nascosta che si manifesta nei nostri sogni e nel
nostro lavoro onirico che si articola nella parola: il nostro personale sogno d’amore musicale
consiste nel recupero amnestico inconscio di una vita prenatale che si riferisce a quel ritmo
originale ascoltato nel grembo materno, insieme al bagno di suoni che riproduciamo nella vita
postnatale e che andiamo a mettere in scena nella vita adulta come sentimento oceanico di estasi
e di un paradiso perduto che desideriamo riprodurre nella vita affettiva adulta.
Elaborare il sogno d’amore attraverso la musica ci consente di comprendere meglio come ci
avviciniamo a chi amiamo e i nostri modi di comportarci nelle relazioni affettive.
Capire a quale sogno musicale apparteniamo ci aiuta a comprenderne i punti deboli, le delusioni e
le sofferenze della vita affettiva, per trasformarle in risorse nuove per la nostra vita amorosa
futura.
Si può affermare che la neuromusicologia è una scienza romantica (Lurija). La bilateralità dello
sguardo metodologico inaugura due forme di cura: da un lato quella che si avvale della musica
intesa come terapia, che va a lenire i dolori e dall’altro nella comprensione della sua ineffabilità
rispetto alla complessità del soggetto. L’uomo è originariamente creatura sonora: la terapia
musicale assume una nuova definizione, in cui la musica non regola alcun strumento di misura, ma
è la musica stessa la misura a cui l’io si uniforma per fungere da regolatore intenzionale di un’unità
originaria, quell’origine che riguarda il mistero più antico dell’uomo.
Testi: neuroscienze cognitive della musica, l’odio e l’ottuso, ricordi e commenti di Stravinky, l’io
pelle, musicofilia (Oliver Zax), Chopin e il virtuosismo romantico, Mosè di Michelangelo (Freud).

1. Nella storia della direzione d’orchestra, quali sono i direttori che si sono interessati
teoricamente alla neuromusicologia?

Direttori che si sono interessati alla neuromusicologia sono: il maestro Sinopoli, secondo
cui la partitura si avvicina a ciò che può essere un sogno, perché non è mai da prendere alla
lettera, ma è un segno manifesto di un qualcosa che va elaborato, fino ad arrivare alla sua
esecuzione. Egli va più in direzione dell’inconscio musicale come matrice affettiva (più
verso le idee di Freud): quando Freud parla di tonalità affettiva rispetto all’ascolto musicale
fa riflettere su quello che è l’essere catapultati nella dimensione della memoria, perché il
soggetto, durante l’ascolto musicale, viene riportato in un suo passato. Un altro direttore
che si è interessato alla neuromusicologia è il maestro Von Karajan, che negli anni 50, a
Salisburgo fondò la prima associazione mondiale di neuromusicologia: grazie a un
esperimento compiuto mentre dirigeva l’overture Leonore di Beethoven arrivò a
conclusione che l’ascoltare musica è qualcosa di molto importante a livello farmacologico:
in particolare si diminuisce il cortisolo (ormone dello stress), viene alleviato il dolore, viene
rilasciata dopamina, che viene suscitata dal piacere dell’ascolto musicale.

2. In che senso i suoni sono così aderenti alla vita da poterla cambiare?
La musica aderisce profondamente alla vita e all’esistenza. Dal punto di vista più scientifico,
nella biologia alcuni scienziati hanno osservato che le cellule hanno un suono (vibrazione),
a seconda del loro stato di salute (sane o malate) o del loro ruolo.
Il battito cardiaco è l’esempio più evidente di musica che aderisce alla vita: il cuore indica
una ritmicità, che si ascolta già nel grembo materno.
Anche il nostro cervello procede ritmicamente:
-rispetto a un meccanismo anticipatorio di risposta al ritmo che precede il battito esterno:
se si prende come esempio l’azione del tamburellare, si può osservare un’interazione fra
corteccia uditiva e corteccia premotoria dorsale;
-rispetto al legame fra percezioni diverse: grazie a come è strutturato il cervello possiamo
integrare tutte le percezioni uditive, visive e olfattive, ad esempio nella visione di un
giaguaro che fa scattare la paura.
Per quanto riguarda le nostre reazioni più nascoste, l’uomo ha una predisposizione
inconscia a ricercare il ritmo ovunque. Il ritmo nell’esperienza comunitaria genera quindi
piacere e si comporta come un vero e proprio farmaco, infatti è spesso utilizzato per la cura
di diverse patologie.
3. Hai mai provato quel “sentimento oceanico di immedesimazione con il tutto” di cui parla

Freud, in grado di trascinare il soggetto in un “mondo altro”, mentre stai suonando o


mentre stai ascoltando musica? Se sì, prova a descrivere il tuo stato d’animo.
Riesco a essere trascinata in un altro mondo quando suono o ascolto un pezzo adagio.
Suonando l’adagio riesco a lasciarmi completamente andare nel suono e a seconda della
tonalità il “mondo” in cui mi trovo è diverso: i pezzi in minore mi smuovono le emozioni più
malinconiche, mentre i pezzi in maggiore riescono a stuzzicare le emozioni più positive,
quasi mettendole alla prova. Se dovessi fare un esempio userei la Decima sinfonia di
Mahler in fa diesis maggiore e in particolare mi concentrerei sull’adagio iniziale. Penso che
più di tutti questo sia il tempo con cui riesco a catapultarmi letteralmente in un mondo
differente. Riesco a immaginare il mondo prodotto dai suoni, che assume colori e paesaggi
diversi a seconda dei momenti del pezzo: quando l’articolazione è più legata e prevalgono
le dissonanze lo stato d’animo che mi suscita è quasi di inquietudine (il mondo in cui mi
trovo è quindi desolato e sconosciuto), che poi viene smorzata (solo in parte) quando il
tema diventa più rimbalzante: viene smorzata in parte perché le dissonanze rimangono e il
sentimento che genera è quindi di “speranza verso una conclusione positiva”, che però
ancora una volta non arriva.
4. Perché nel “sogno-danza” di Franco Fornari è così importante il ritmo?
Fornari parla di musica come originario oggetto d’amore, in riferimento all’affetto materno
e in particolare parla di sogno danza, riferito all’esperienza della gestazione: egli sostiene
che l’elemento ritmico rilevante dell’esperienza post natale è quello che corrisponde
all’esperienza dell’allattamento, durante il quale si assiste a una vera e propria danza, a
ritmo del battito cardiaco della madre.
Durante questa esperienza di hanno 3 elementi: visivo, dell’immaginazione e ritmico.
L’elemento visivo è quello in cui il bambino osserva il volto della madre, l’immaginazione
permette al bambino di credere di trovarsi in un sogno e l’elemento ritmico permette alla
danza di dare al bambino una sensazione paradisiaca, che gli rimarrà impressa per tutta la
vita. Il ritmo è quindi fondamentale perchè rende possibile il recupero amnestico di uno
stato musicale paradisiaco ormai perduto (con la nascita), che sarebbe l’avvolgimento
materno pre-natale e che inevitabilmente si cerca di ritrovare nella vita adulta con un
soggetto amoroso.
5. In che senso si può parlare di “accordo congelato” in Debussy? Che emozioni ti suscita il
suo “sogno d’amore musicale”?
L’attenzione di Debussy è concentrata sull’accordo in sé: egli utilizza le scale pentatoniche
o esatonali e ciò permette che non vi sia una tensione del linguaggio, ma l’accordo è
“congelato”, cioè assume importanza in sé. Ad esempio nel “Prelude a l’apres midi d’un
faune”, nella parte iniziale, col flauto ipnotico si ha momento di assoluta sospensione del
sogno, dovuto anche all’utilizzo di toni interi. La sua concezione di sogno come momento
sospeso, momento di indecisione dell’amore, in cui viviamo in maniera sognante, ma anche
come dimensione illusoria di un periodo passato che non recupereremo mai mi suscita
duplici emozioni, dai significati opposti: da una parte mi suscita una sorta di speranza che
ciò che desidero si realizzi, arrivando anche quasi a un momento di illusione ottimistica;
dalla parte opposta, superata l’emozione della speranza, mi suscita una sensazione
malinconica, che inevitabilmente elimina l’emozione ottimistica precedente e lascia un
senso quasi di sconforto.
6. Che cosa significa la frase di Thelonoius Monk: “Accidenti, ho fatto gli errori giusti
sbagliati”?
Thelonious Monk, jazzista, definisce “errori giusti” tutta la griglia di dissonanze presenti
all’interno della musica. Negli schemi accademici la dissonanza è vista come qualcosa che
“suona male”, quasi un errore appunto, ma poetica di Monk è proprio quella di stare negli
errori giusti. È una dimensione che percorre la dissonanza in una modalità al di fuori dagli
schemi accademici, perché viene considerata come ricerca della verità; un estraniamento
nella dissonanza precede il ritrovarsi nel percorso di verità del soggetto. Da qui si vede
come Monk viva la dimensione del sogno in maniera mistica: il sogno d’amore musicale è
visto come irraggiungibile, ma con il free jazz c’è la possibilità di provare l’esperienza del
“tornare dentro l’avvolgimento della madre”, ma in modo consapevole; infatti si vive nel
sogno mentre lo si suona. La dissonanza è quindi definita “errore” perché viene
interpretata dal punto di vista accademico, ma viene anche definita “giusta” perché viene
eseguita consapevolmente, con lo scopo finale di raggiungere la verità.
7. Alla luce delle recenti scoperte neuroscientifiche, in che senso si può affermare che “la
musica è dopaminergica”?

Si può affermare che la musica è dopaminergica nel senso che mentre si ascolta musica
avviene qualcosa di molto importante a livello farmacologico: diminuisce il cortisolo,
ovvero l’ormone dello stress, viene alleviato il dolore e viene rilasciata appunto la
dopamina, un neurotrasmettitore che controlla diverse funzioni umane, tra cui l’umore e le
emozioni (è chiamata anche infatti ormone del piacere, che in questo caso viene suscitato
proprio dall’ascolto musicale).
Inoltre, le neuroscienze, a proposito del sogno d’amore musicale originario, sostengono
che il ritmo sia una componente originaria musicale all’interno del rapporto madre-figlio:
con il sogno si attivano l’area mesolimbica e mesocorticale, che sono le vie più importanti
della dopamina: anche in questo senso la musica è definita dopaminergica, perché il
massimo del piacere musicale si attua proprio nella dimensione del sogno.
La musica quindi viene utilizzata come un vero e proprio farmaco (nelle nascite premature,
in patologie come il parkinson, l’alzheimer, i traumi cerebrali derivanti da ictus, etc.).
C’è da sottolineare che anche nei momenti che precedono l’ascolto il cervello produce
dopamina (che marca l’attivazione motoria), che a sua volta scatena l’ossitocina (ormone
del legame interumano), che stimola l’affetto empatico e il desiderio sessuale nelle
relazioni.

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