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“ Può il giurista contemporaneo fare a meno di interrogarsi sulle interazioni tra diritto
e le altre discipline umanistiche? La risposta non può che essere positiva: può farlo e
quasi sempre lo fa, ma il prezzo da pagare non è indifferente.
”
A
l “solido” giurista pratico, assorto nello studio dei propri fascicoli e senza troppi
grilli per la testa, l’idea di dedicare qualche minuto di tempo all’esame dei
rapporti intercorrenti tra il diritto e l’opera lirica (o qualsiasi altra forma d’arte)
potrebbe suonare davvero strana, strappare un sorriso e apparire inutile o, al
più, sembrare un’operazione intellettuale fine a se stessa.
Oggi d’altronde lo studio della giurisprudenza viene sempre più identificato con il mero
insegnamento di una serie affastellata di leggi, più o meno coordinate tra esse, o al massimo
con l’analisi delle più recenti sentenze emanate dalle supreme magistrature nazionali e
comunitarie. Da questa avvilente semplificazione non va esente neppure una parte degli
addetti ai lavori, tra cui spicca una classe forense a cui oggi si chiede di servire sempre più da
burocrati e sempre meno da giuristi. Nelle stesse università è in corso poi una progressiva
“ipertecnicizzazione” dello studio di materie che, tradizionalmente, erano considerate a
cavallo tra il tecnico e l’umanistico. Questo processo, benché rientri in un più ampio
ripensamento degli approcci didattici reso necessario da una società sempre più complessa,
rischia di ridurre lo studio del diritto all’esame dell’ultima legge approvata dal Parlamento o
dell’ultima direttiva europea, perdendo di vista che il diritto è, innanzi tutto, cultura.
Perdendo di vista l’aspetto culturale del diritto si rischia inoltre di dimenticare che esso,
finanche nei suoi risvolti più tecnici, non è mai fine a sé stesso (come un’asettica scienza pura)
ma è sempre orientato al raggiungimento di un obiettivo “ultroneo”, ovvero quella Giustizia il
cui concetto varia in ragione del tempo e del luogo, ma a cui ogni comunità tende (o almeno
sostiene di tendere).
È quindi ben possibile studiare i rapporti tra il diritto e le altre discipline umanistiche poiché
esso ne fa parte a tutti gli effetti. A riprova di questo se non è così comune trovare musicisti,
letterati, storici e umanisti che si interroghino sulla ratio o sulla giustificazione di un
particolare istituto o di una specifica norma è invece fisiologico e naturale che essi si rapportino
con quei concetti “metagiuridici” che sottendono il diritto e a cui lo stesso tende.
“ Mozart, Verdi, Wagner: nell’opera lirica il tema della giustizia, della risoluzione (più
o meno violenta) dei conflitti tra gli uomini, ricorre costantemente insieme ad altre
rappresentazioni del diritto.
”
L’opera lirica ne è un esempio: in essa il tema della giustizia, della risoluzione (più o meno
violenta) dei conflitti tra gli uomini, ricorre costantemente insieme ad altre rappresentazioni
del diritto, sempre in rapporto alle influenze culturali dell’epoca in cui ha visto la luce.
Vorrei proporre alcuni esempi assai noti ed esemplificativi di quanto il diritto ricopra un ruolo
fondamentale anche nelle più famose opere liriche, partendo con Mozart.
N
e Le nozze di Figaro, dramma giocoso composto da Wolfgang Amadeus Mozart
tra il 1785 ed il 1786 sul libretto di Lorenzo Da Ponte, innumerevoli sono i
riferimenti giuridici; in esso si intravede chiaramente la critica ad un sistema
giuridico di ius commune la cui inadeguatezza era ormai evidente alle soglie del
XIX secolo. Questa polemica, portata avanti con non poca ironia, emerge in tutta la sua forza
nell’aria del primo atto (scena III) di don Bartolo che promette ad un altro personaggio,
Marcellina, di far tutto il possibile per impedire le nozze tra Figaro e Susanna approfittando di
ogni cavillo legale esistente:
Se tutto il codice
Dovessi volgere,
Se tutto l’indice
Dovessi leggere,
Con un equivoco,
Con un sinonimo
Qualche garbuglio
Si troverà.
L’efficacia della critica contenuta nei versi di Da Ponte (accompagnati da una musica che
asseconda l’incedere vertiginoso del testo) contro la giurisprudenza pratica del secolo passato è
evidente. L’incertezza, la confusione e la retorica fine a sé stessa dell’erudizione legale ancora
secentesca viene infatti descritta con un’impietosa ed eloquente sintesi che avrebbe fatto
invidia alla maggior parte degli scritti dei coevi giuristi illuministi.
Ma l’opera non esaurisce nel primo atto la propria forza: la polemica antinobiliare (che già
caratterizzava la pièce di Beaumarchais La Folle journée, ou le Mariage de Figaro, da cui Da
Ponte trasse spunto per scrivere il suo libretto) si concretizza in una forte critica contro la
giustizia feudale. Nel terzo atto dell’opera troviamo in effetti un “breve affresco” di un giudizio
feudale quando il conte di Almaviva si trova a dover dirimere una controversia insorta tra due
suoi servitori, Figaro e Marcellina, con la seconda che pretende venga data esecuzione ad un
contratto di promessa di matrimonio prestata dal primo a fronte di un prestito di denaro.
Non a caso quindi il grande musicologo austriaco Bernhard Paumgartner individuò come
elementi fondamentali di questo capolavoro mozartiano l’amore ed il diritto, declinato come
feroce satira di un sistema giuridico radicalizzato nei suoi aspetti grotteschi e paradossali.
S
e si guarda al più famoso compositore del Bel Paese, Giuseppe Verdi, ci si rende
conto che anche nelle opere del maestro parmigiano non mancano riflessioni e
critiche su istituti giuridici (ma anche sociali) coevi.
Basti innanzi tutto pensare al tema della paternità, sviscerato in diversi titoli in ogni sua forma
(padre-figli e padre-figlie) proponendo un intreccio di sentimenti che necessariamente finisce
con l’interessare anche problemi sociali e che talvolta sottende una malcelata critica al rigido
equilibrio famigliare e generazionale tipico della società borghese ottocentesca.
Tuttavia, nelle opere di Verdi non si riscontrano solamente “echi” di diritto familiare e privato,
ma in alcune di esse sono presenti chiari riferimenti su delicate questioni contemporanee di
diritto pubblico, come il turbolento rapporto tra Stato e Chiesa nei primi anni successivi
all’Unità.
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C
ome ultimo case study dell’utilizzo nell’opera di concetti giuridici possiamo
prendere la produzione di Wagner. Sono ad esempio molteplici le opere del
compositore tedesco al centro delle quali è inserito un processo, più o meno
formale, che rappresenta la vera chiave di volta dell’intero libretto. In essi si attua
una sintesi di posizioni contrapposte e, come spesso capita anche nella quotidiana realtà dei
nostri tribunali, non sempre la vittoria processuale costituisce il preludio di un effettivo lieto
fine del dramma.
Nel Lohengrin Wagner rappresenta per la prima volta nella sua produzione musicale un
“processo” nella forma di un giudizio ordalico, che vede affrontarsi Lohengrin, l’anonimo
cavaliere mandato dal Graal per difendere l’onore di Elsa di Brabante e Federico di
Telramondo, che, convinto dalle arti magiche della sua consorte Ortrude (una strega pagana),
accusava invece Elsa di aver ucciso il proprio fratello, legittimo erede al trono di Brabante.
Per descrivere questo giudizio, in cui a scontrarsi non sono solo due parti, ma due culture,
cristianesimo e paganesimo, due differenti tradizioni, la verità assoluta (di Elsa e Lohengrin) e
la verità relativa (di Federico, indotto incolpevolmente in errore dagli inganni di Ortrude),
Wagner riprende tutti i simboli e le formule sacre delle antiche consuetudini giuridiche
germaniche, rendendo così ancora più drammatica ed efficace la scena.
Come si vede si tratta di “momenti” poco giuridici in senso stretto, ma che rappresentano nella
poetica wagneriana una vera e propria “resa dei conti” tra diversi modi di concepire il mondo,
la vita e l’arte, momenti di scontro, di condanna ma anche talvolta di benevolenza, comunque
imprescindibili per comprendere il pensiero del compositore tedesco.
Arrivando a concludere, e tornando alla questione sollevata nelle prime righe, può il giurista
contemporaneo fare a meno di interrogarsi sulle interazioni tra diritto e humanities?
La risposta non può che essere positiva: può farlo e quasi sempre lo fa, ma il prezzo da pagare
non è indifferente. Si rischia infatti di dimenticare l’aspetto “umano” e culturale che informa e
dà senso al diritto e si finisce per non considerare l’immagine che la comunità ha del proprio
ordinamento (che emerge con chiarezza dalle creazioni artistiche), riducendo la scientia iuris
ad una mera tecnica.
© Riproduzione Riservata
Bibliografia
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