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Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
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che la riguardano, senza dover ricorrere alla decisione del giudice. Si tratta di una particolare
capo al sovrano, in epoca nella quale la separazione dei poteri era ancora da attuare. Tuttavia, si
trattava di capacità che, proprio per questa sua origine storica, appariva sfornita di fondamento
In questa prospettiva veniva in evidenza soprattutto l’autotutela sugli atti, vale a dire la
in via di decisione sul ricorso del privato, sia in spontaneamente. Alcune sue manifestazioni, come
quella relativa alla decisione sui ricorsi amministrativi (sul tema, si vegga il capitolo XVIII),
avevano fondamento legislativo, mentre altre – come l’autotutela spontanea – erano prive di
nell’ordinamento.
dalla stessa amministrazione ovvero di più esatto perseguimento dell’interesse pubblico in quanto
consentito dal diritto obiettivo, ha fatto elaborare una seconda ricostruzione del fenomeno
dell’autotutela, liberata dal suo ancoraggio storico e fondata sulla distinzione tra precetto e
1
Cfr. D. SORACE, Diritto delle amministrazioni pubbliche, Bologna, 2012, 100 SS..
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sanzione. Poiché il precetto contenuto nella norma si dirige al soggetto cui viene attribuito il potere
affinché lo attui, la sanzione, invece, consiste nella dichiarazione di giuridicità del precetto, vale a
affinché pronunzi la giuridicità del precetto e la necessità di osservarlo ovvero il suo contrario, a
seconda di quel che prescrive l’ordinamento, v’è una parte di quell’attività che si rivolge
all’amministrazione, affinché (i) ricerchi la validità del suo operare e ciò non faccia in astratto (ii)
ma nel concreto perseguimento dell’interesse pubblico. sugli atti ed autotutela sui rapporti.
Ne deriva una costruzione per così dire estesa dell’autotutela, giacché vi vengono
ricondotte tutte le attività che corrispondono all’idea appena riassunta, sicché vi rientra sia
All’interno del fenomeno dell’autotutela sugli atti venivano ricondotte (i) le decisioni di
autotutela spontanea, vale a dire quelle nelle quali l’amministrazione ritorna sui propri atti – per
eliminarli, confermarli o emendarli – senza che ciò consegua ad un’iniziativa di una parte terza
rispetto ad essa, (ii) quelle di autotutela necessaria, che corrispondono all’area dei controlli che la
stessa amministrazione prevede sui suoi atti ovvero i propri organi, ed, infine (iii) quella
All’autotutela sui rapporti, invece, corrisponde quell’insieme di poteri (dei quali s’è detto
parlando dell’esecutorietà) che non richiedono la riaffermazione della validità del precetto, ma
giurisprudenza – nonché, con tutta evidenza, il legislatore riformatore della l. 7 agosto 1990, n. 241,
agli artt. da 21 bis a 21 nonies – è stata criticata perché ritenuta comunque insufficiente a radicare
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V’è quindi un terzo vasto approccio all’autotutela, che critica la teoria dell’autotutela come
fondamento del potere di adottare atti di secondo grado (vale a dire atti aventi ad oggetto la validità
di preesistenti atti) e fonda questa capacità, invece, in un nuovo esercizio del potere originariamente
In altri termini, essendo inesauribile il potere attribuito dalla norma, al mutare delle
circostanze di fatto rispetto a quelle che avevano determinato l’uso del potere medesimo, questo
sarebbe riesercitato per provvedere alla circostanze cui da luogo la fattispecie per come si prospetta
Si tratta di una rappresentazione del potere dell’amministrazione di provvedere sui suoi atti
che supera la criticità relativa al fondamento normativo della capacità in questione, perché lo stesso
va individuato nella norma originariamente attributiva del potere, di volta in volta differente a
seconda del tipo di provvedimento; tuttavia, giacché in questa sede l’amministrazione fa alcunché di
diverso dal provvedere, poichè ritira o comunque modifica il proprio precedente atto, anche questa
modificare gli effetti del suo precedente atto, giacché l’adozione di un nuovo provvedimento non
importa di per sé l’eliminazione di quello preesistente (ed anzi, l’atto successivo in contrasto con il
precedente, se non provvede ad eliminarlo, sarebbe illegittimo per contrasto con precedente
provvedimento, secondo un vizio dell’atto del quale s’è data notizia poco sopra). Tant’è che queste
quanto si inserisca nello svolgimento della funzione, in essa ritrova il fondamento del potere di
emanare sia il singolo provvedimento che quelli successivi di autotutela. Inoltre, resta da spiegare
perché il potere di intervenire nuovamente sulla fattispecie sia configurato come discrezionale
sicché la loro emanazione richiede la ponderazione dei vari interessi coinvolti, compreso quello
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all’eliminazione dell’eventuale vizio e quello alla conservazione degli effetti prodotti, anche se in
Più di recente s’è tentato di ricostruire il fenomeno fondandolo sulla previsione di cui all’art.
1 della l. 7 agosto 1990, n. 241 laddove pone all’attività amministrativa il canone dell’efficacia,
ritenendo che in esso sia da ricomprendere il potere di adeguare la decisione ai mutamenti della
fattispecie.
La novella della l. 7 agosto 1990, n. 241, con i nuovi art. 21 quinquies e nonies ha superato
particolare,
– l’art. 21 quinquies, in tema di revoca del provvedimento, dispone che «per sopravvenuti
motivi di pubblico interesse ovvero nel caso di mutamento della situazione di fatto o di nuova
durevole può essere revocato da parte dell’organo che lo ha emanato ovvero da altro organo
previsto dalla legge. La revoca determina la inidoneità del provvedimento revocato a produrre
ulteriori effetti. Se la revoca comporta pregiudizi in danno dei soggetti direttamente interessati,
giudice amministrativo».
pubblico, entro un termine ragionevole e tenendo conto degli interessi dei destinatari e dei
controinteressati, dall’organo che lo ha emanato, ovvero da altro organo previsto dalla legge».
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ragionevole».
Deve osservarsi come il ritiro o la modifica di un preesistente atto efficace sia in grado di
influire sui rapporti generati dall’atto medesimo. Proprio in questa prospettiva, l’amministrazione
che intervenga sui propri precedenti atti nell’esercizio di questa capacità dovrà tenere conto
dell’affidamento del cittadino ingeneratosi sulla validità ed efficacia del provvedimento sul quale
l’ente interviene.
al principio di buona fede, regola fondamentale e comune a tutti gli ordinamenti occidentali alla
quale l’amministrazione non può sottrarsi. Dalla circostanza che l’amministrazione non può
perseguire l’interesse pubblico al ritiro dell’atto senza bilanciarlo con quello dei terzi alla sua
conservazione e con l’affidamento che negli stessi s’è ingenerato in ragione del provvedimento,
derivano molte conseguenze pratiche, prima tra tutte quella che il decorso del tempo determina un
rafforzamento dell’affidamento del privato ed una maggiore difficoltà per l’amministrazione a porre
2
Cfr. TAR Emilia-Romagna, Parma, sez. I, 28 febbraio 2017, n. 81: “I poteri di riesame ed autotutela rappresentano lo
strumento attraverso il quale, a mezzo di un processo di rivalutazione e riesame critico della propria attività
provvedimentale, la Pubblica Amministrazione corregge - annullandola, revocandola o modificandola - l'azione
amministrativa fino a quel momento posta in essere, per consentire il migliore perseguimento in concreto dell'interesse
pubblico di cui è depositaria, giacché l'intervento in autotutela è espressione di un potere generale attribuito
all'Amministrazione che, una volta adottato un atto amministrativo, può sempre tornare sui propri passi ponendo in
essere una riedizione del potere originariamente esercitato soggiacendo ai soli limiti imposti dall'art. 21-nonies della
L. n. 241/1990, a mente del quale, al fine di procedere all'annullamento d'ufficio di un atto amministrativo, necessita un
triplice ordine di presupposti: che l'atto sia illegittimo; che sussistano ragioni di interesse pubblico che ne giustifichino
l'annullamento e che il tutto avvenga entro un termine ragionevole”.
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2 La revoca
Come sopra s’è ricordato, la legge disciplina espressamente il potere di revoca di un atto
amministrativo nei termini che seguono: “Per sopravvenuti motivi di pubblico interesse ovvero nel
caso di mutamento della situazione di fatto non prevedibile al momento dell'adozione del
ad efficacia durevole può essere revocato da parte dell'organo che lo ha emanato ovvero da altro
organo previsto dalla legge. La revoca determina la inidoneità del provvedimento revocato a
produrre ulteriori effetti. Se la revoca comporta pregiudizi in danno dei soggetti direttamente
liquidato dall'amministrazione agli interessati è parametrato al solo danno emergente e tiene conto
sia dell'eventuale conoscenza o conoscibilità da parte dei contraenti della contrarietà dell'atto
amministrativo oggetto di revoca all'interesse pubblico, sia dell'eventuale concorso dei contraenti o
di altri soggetti all'erronea valutazione della compatibilità di tale atto con l'interesse pubblico”.
ragioni di pubblico interesse, ovvero (ii) una diversa valutazione di quello originariamente
dedotto nell’atto, oppure (iii) laddove a mutare sia la situazione di fatto (4).
3
Cfr. L.R. PERFETTI, Vicende del provvedimento, in L.R. PERFETTI (a cura di), Manuale di diritto amministrativo,
Padova, 2006, 592 SS..
4
Cfr. TAR Emilia-Romagna, Parma, sez. I, 29 ottobre 2015, n. 285: “La disposizione di cui all'art. 21-quinques, c. 1-
bis, della L. n. 241 del 1990 trova applicazione esclusivamente nell'ipotesi di revoca di un provvedimento determinata
da sopravvenuti motivi di interesse pubblico, da mutamenti della situazione di fatto o di nuova valutazione
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Laddove dalla revoca del provvedimento derivino pregiudizi in danno dei soggetti
alla sua determinazione e corresponsione spettano alla giurisdizione esclusiva del giudice
amministrativo.
problematica, soprattutto perché ha faticato a liberarsi delle ambiguità (anche linguistiche) di cui a
S’é confusa la revoca in quanto atto tipico con la classe degli atti di ritiro (confondendola e
criteri sui quali non v’era accordo (il soggetto emanante – ritenendosi da alcuni l’omogeneità del
regime e da altri che la revoca provenisse dalla stessa autorità che aveva emanato il provvedimento,
nunc per la revoca, con tuttavia posizioni autorevoli che ritenevano entrambi operanti ex tunc, la
natura del vizio, sia quanto alla distinzione tra legittimità e merito, che all’essere originario o
sopravvenuto.
inopportunità.
dell'interesse pubblico originario e non anche in presenza di fattispecie caratterizzate dal ritiro di un atto disposto in
conseguenza dell'inadempimento della parte obbligata”.
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spesso fatte con atti di natura sanzionatoria derivanti (soprattutto in ipotesi di convenzioni o
concessioni contratto) da violazione degli obblighi posti a carico del privato che importassero la
sanzione della decadenza dai benefici derivanti dal titolo ovvero la risoluzione dell’accordo o
contratto sottostante.
fronte del verificarsi di condizioni che lo rendono contrastante con l’interesse pubblico ha
profondamente contribuito alle difficoltà della ricostruzione della nozione dell’atto di revoca,
poiché il dibattito relativo al fondamento di quest’ultimo è per lo più coinciso con quello
concernente l’autotutela in quanto tale. Anche con riferimento alla revoca, quindi, si va dall’idea
per la quale si sarebbe innanzi ad un nuovo esercizio del potere sostanziale esercitato con l’atto
oggetto di revoca a fronte del mutare dell’interesse pubblico, sostanziandosi in un effetto abrogativo
dell’effetto dell’atto revocato, a quella per la quale si sarebbe innanzi ad esercizio di potere di
La riforma legislativa è apparsa per lo più nel senso di inquadrare la revoca all’interno della
per la quale si tratterebbe di un mero effetto abrogativo derivante dal nuovo provvedere in forza del
Il testo dell’art. 21 quinquies segue la tradizionale distinzione tra revoca come esercizio
dello jus poenitendi, corrispondente ad una nuova valutazione della stessa situazione e revoca per
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pubblico interesse, ovvero di mutamento della situazione di fatto. Sono così superate le tesi che
variamente riconducevano la revoca ad una sola delle due ipotesi, dando ragione a chi l’aveva
discussioni, quale ad esempio quella relativa alla limitazione dello jus poenitendi alle sole ipotesi di
La legge limita la revocabilità ai soli atti «ad efficacia durevole». Si tratta di una previsione
che dipende dalla circostanza che la revoca opera ex nunc, sicché al di fuori delle fattispecie di
questo genere non avrebbe senso la revoca dell’atto (salvo si tratti di provvedimenti istantanei non
ancora divenuti efficaci). La giurisprudenza più recente ha ritenuto che non possa ritenersi che il
bando di gara non sia revocabile in quanto privo di «efficacia durevole» ai sensi dell’art. 21
procedura di evidenza pubblica contenete la lex specialis, diretta a disciplinare l’intera procedura di
Inoltre, superando un’antica diatriba (oggi non più così accesa come in passato) identifica il
soggetto in grado di rimuovere l’atto per mezzo di revoca nelle stesso senso dell’annullamento
(«può essere revocato da parte dell’organo che lo ha emanato ovvero da altro organo previsto
dalla legge»).
buona fede, si prevede in capo al soggetto cui derivi un pregiudizio il diritto ad essere
5
Cfr. TAR Veneto, sez. I, 30 maggio 2016, n. 569: “Nell'ordinamento è tuttora configurabile un potere autoritativo di
revoca dell'aggiudicazione definitiva per mero "diritto di pentimento", potendo l'Amministrazione operare scelte
diverse sia sulla base di sopravvenuti motivi di interesse pubblico o di mutamenti della situazione di fatto, sia rivedendo
il proprio operato in corso di svolgimento modificandolo, perché evidentemente ritenuto affetto da inopportunità, in
virtù di una rinnovata e diversa valutazione dell'interesse pubblico originario”.
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disposta dalla soprintendenza dei beni architettonici rispetto ad un proprio precedente atto
potendo essere disposta per sopravvenuti motivi di pubblico interesse ovvero nel caso di mutamento
produce effetti ex nunc, salvaguardando quelli medio tempore prodotti dal provvedimento revocato.
L’adozione di questo atto di ritiro fa sorgere un obbligo di indennizzo in capo alla p.a., che non
6
Cfr. TAR Puglia, Lecce, sez. III, 10 marzo 2015, n. 820: “Dalla revoca del provvedimento amministrativo possono
derivare situazioni diverse, cui si riconnettono differenti discipline e conseguenze, potendo delinearsi sia l'obbligo
dell'Amministrazione all'indennizzo, ex art. 21- quinquies l. n. 241/1990, per il caso di revoca del provvedimento
amministrativo che determini pregiudizi in danno dei soggetti direttamente interessati, sia obblighi risarcitori a carico
della medesima Amministrazione quando la revoca si riveli illegittima; peraltro la misura dell'indennizzo, per il caso di
revoca legittima, è stata commisurata dallo stesso legislatore "al solo danno emergente", e tenendo conto "sia
dell'eventuale conoscenza o conoscibilità da parte dei contraenti della contrarietà dell'atto amministrativo oggetto di
revoca all'interesse pubblico, sia dell'eventuale concorso dei contraenti o di altri soggetti all'erronea valutazione della
compatibilità di tale atto con l'interesse pubblico". Pertanto, il pregiudizio indennizzabile è limitato al pregiudizio
immediatamente subito, (danno emergente), mentre nel giudizio risarcitorio esso si estende a tutto il pregiudizio (danno
emergente e lucro cessante”.
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3 L’annullamento d’ufficio
L’art. 21 nonies definisce gli elementi dell’annullamento d’ufficio (7).
Il primo elemento essenziale – che vale a distinguere l’annullamento dalla revoca – è dato
dalla illegittimità del provvedimento annullato. Quanto all’identificazione dei vizi che determinano
l’illegittimità si rinvia a quanto già osservato più sopra, con l’avvertenza che il provvedimento e
suscettibile d’esser annullato anche per vizi che non ne consentono l’annullamento in sede
giurisdizionale.
interesse pubblico».
l’annullamento può esser posto in essere solo a fronte della sussistenza di un interesse pubblico
concreto e attuale alla rimozione dell’atto illegittimo. Ne deriva che la causa attributiva del potere di
annullamento non deve esser rintracciata nella restaurazione dell’ordine giuridico (e, quindi, per
certi versi, nella sanzione al precetto) ma nella concreta cura dell’interesse pubblico.
Si potrebbe anche osservare che l’ordinamento giuridico non prevede forme di rimozione di
decisioni rese tra le parti come espressione solo della riaffermazione della giuridicità del precetto,
affermazione, quello del privato ricorrente nel primo caso e quello pubblico nel secondo. In ogni
caso la violazione della legge non è mai in grado di privare l’atto di efficacia, occorrendo sempre la
7
Cfr. M. CLARICH, Manuale di diritto amministrativo, Bologna, 2013, 217.
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necessità che ciò corrisponda alla concreta cura di un interesse protetto dall’ordinamento, senza il
stessa ampiezza del sindacato svolto dal giudice amministrativo (e quindi può comprendere figure
di eccesso di potere).
nell’ambito del bilanciamento fra l’interesse pubblico concreto all’annullamento e gli altri interessi
pubblici e privati coinvolti, «assume preminente rilievo il c.d. interesse pubblico ulteriore» (8).
In terzo luogo la legge prevede che l’annullamento deve intervenire «entro un termine
Ne deriva la necessità di tenere conto dell’interesse del destinatario del provvedimento a che
gli effetti ch’esso esplica ed espliciterà abbiano corso. Dell’avvenuta ponderazione degli interessi
l’amministrazione deve dare conto nella motivazione dell’atto di annullamento e sulla loro
consistenza incidono sia il decorso del tempo che l’esecuzione del provvedimento e la permanenza
8
Cfr. TAR Lazio, Roma, sez. II, 7 marzo 2017, n. 3204: “Il primo comma dell'art. 21 nonies, l. n. 241 del 1990
conferma la dimensione tipicamente discrezionale dell'annullamento d'ufficio dell'atto amministrativo che, rifuggendo
da ogni automatismo, deve essere espressione di una congrua valutazione comparativa degli interessi in conflitto, dei
quali occorre dare adeguatamente conto nella motivazione del provvedimento di ritiro. Pertanto, ogni qualvolta la
posizione del destinatario di un provvedimento amministrativo si sia consolidata, suscitando un affidamento sulla
legittimità del titolo stesso, l'esercizio del potere di autotutela rimane subordinato alla sussistenza di un interesse
pubblico concreto, attuale all'annullamento, diverso da quello al mero ripristino della legalità violata e comunque
prevalente sull'interesse del privato alla conservazione del titolo legittimo. Viceversa, solo quando non sia ingenerato
alcun legittimo affidamento nel destinatario del titolo abilitativo (poiché, ad esempio, l'annullamento d'ufficio
interviene a breve distanza di tempo dal rilascio del titolo illegittimo), non è necessaria una penetrante motivazione
sull'interesse pubblico, né una comparazione di tale interesse con l'interesse privato sacrificato, posto che in tali casi
l'interesse pubblico all'annullamento può considerarsi in re ipsa”.
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dell’interesse pubblico sia in re ipsa (come nel caso di illegittimità che deriva dal contrasto con
decisioni giurisdizionali assunte su fattispecie identiche – dovendosi oggi ritenere che la violazione
del giudicato sulla fattispecie sia ipotesi di nullità –) e che la dimostrazione della concretezza ed
attualità dell’interesse debba esser data solo se il provvedimento illegittimo ha già acquistato
efficacia ed abbia avuto esecuzione, anche parziale. Tuttavia la giurisprudenza ha chiarito che la
legge ha fissato, quali condizioni di legalità dell’esercizio del relativo potere, «la necessità che l’atto
di autotutela sia sorretto dal rilievo della sussistenza di ragioni di interesse pubblico alla rimozione
del provvedimento viziato, che venga adottato entro un termine ragionevole e che tenga conto degli
illegittimo si consolidano con il decorso del tempo, sicché, non ponendosi limiti temporali
Infine, la legge prevede che l’annullamento debba essere adottato «dall’organo che lo ha
travolti gli effetti giuridici prodotti dal provvedimento annullato e si ricostruisce una situazione
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superiori).
sussistendone le ragioni di interesse pubblico, entro un termine ragionevole e tenendo conto degli
interessi dei destinatari e dei controinteressati, dall'organo che lo ha emanato, ovvero da altro
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4 Altre fattispecie
L’abrogazione riguarda gli atti legislativi e non quelli amministrativi.
Talora, anche da parte di dottrina autorevole, s’è sostenuto che l’abrogazione sia
provvedimento di autotutela sugli atti che opera per ragioni di opportunità ma, differentemente dalla
revoca, opera per via di un vizio di merito originario. In realtà, ancorché il provvedimento sia
originariamente inopportuno, l’amministrazione vi potrà intervenire solo con efficacia ex nunc e per
sopravvenute e non originarie ragioni di pubblico interesse, sempre da ponderare con le aspettative
tutelate dei privati. Non sembra, quindi, potersi parlare di atti di ritiro per motivi di inopportunità
originaria.
Semmai, l’abrogazione non è un atto ma un effetto, ed in senso tutto diverso da quello che si
intende da parte di chi la configura come atto di secondo grado. In particolare, a fronte di atti
previgente, si determina un effetto abrogativo (non di rado parziale) del provvedimento sostituito.
«gravi ragioni e per il tempo strettamente necessario», ed il termine per il quale efficacia o
esecuzione restano sospese deve essere «esplicitamente indicato nell’atto che la dispone e può
essere prorogato o differito per una sola volta, nonché ridotto per sopravvenute esigenze».
Si tratta di atto che deve essere assunto dallo stesso organo che ha emanato l’atto sospeso
La convalida opera nel diritto amministrativo in modo inverso a quello privato. Mentre in
questo secondo la convalida deve provenire dal soggetto che potrebbe far valere il vizio che affetta
il negozio, nel primo, invece, proviene da colui che ha posto in essere l’atto invalido. Si tratta,
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infatti, del provvedimento con il quale l’amministrazione riconosce il vizio del provvedimento e,
tuttavia, lo emenda.
Già la l. 18 marzo 1968, n. 249 aveva dettato una disciplina della convalida, limitandola
all’ipotesi dell’atto viziato per incompetenza, disponendo che potesse «provvedersi anche in
Oggi, il già citato art. 21 nonies fornisce la convalida di un espresso fondamento normativo,
Tuttavia, la convalida appare problematica a fronte di situazioni soggettive del privato che
ne vengano frustrate. È da notarsi come la giurisprudenza abbia negato validità alla convalida
laddove questa intervenga in corso di giudizio, sicché si ritiene che il provvedimento possa esser
della convalida. In questo senso la giurisprudenza ha ritenuto che per ragioni di economia dei mezzi
dell’azione amministrativa e conservazione dei valori giuridici, sia possibile la convalida di atti
amministrativi affetti da vizi non afferenti al loro contenuto sostanziale sussistendone le ragioni di
Tuttavia, giacché la convalida potrà validamente intervenire solo se non sia contestata in
giudizio la legittimità dell’atto, l’interesse pubblico potrebbe anche individuarsi nella garanzia della
9
Cfr. C. Stato, sez. VI, 20 aprile 2006, n. 2198: “Per ragioni di economia dei mezzi dell'azione amministrativa e
conservazione dei valori giuridici, è possibile la sanatoria (o convalida) di atti amministrativi affetti da vizi non
afferenti al loro contenuto sostanziale. Detto principio ha trovato, da ultimo, riscontro normativo nell'art. 21 nonies l.
n. 241 del 1990, quale introdotto l. n. 15 del 2005, che espressamente consente la convalida del provvedimento
annullabile sussistendone le ragioni di interesse pubblico ed entro un termine ragionevole”.
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legalità dell’azione, laddove non vi siano pretese del privato suscettibili d’esser azionate in giudizio
alla costruzione che legittima la convalida solo a fronte del decorso dei termini a ricorrere. Peraltro,
avendo la convalida la funzione di restaurare l’atto viziato, il correre del tempo sembra andare nello
stesso senso della funzione dell’atto, giacché non solo le pretese che possono farsi valere con
l’impugnazione finiranno per decadere, ma anche quelle che l’ordinamento (pur se deve tenersi
conto della regola della pregiudizialità dell’azione di annullamento) consente di far valere nel
Non tutti i vizi sono suscettibili di esser convalidati ed in ispecie si ritiene che possano esser
La ratifica, forse anche per via della confusione che può ingenerare l’omologo istituto del
diritto privato, è stata spesso intesa come eliminazione del vizio di incompetenza attraverso la
ratifica (appunto) da parte dell’organo effettivamente competente. Se così fosse, però, non sarebbe
straordinariamente consentite dalla legge da parte di un organo, purché la sua decisione sia
prima della riforma delle competenze degli organi comunali da parte della l. 142/1990, nel rapporto
tra Giunta municipale e Consiglio, potendo quest’ultimo ratificare un provvedimento assunto dalla
prima per ragioni di urgenza. La ratifica, come tale, non interviene su di un provvedimento invalido.
Ancorché tutti i provvedimenti di secondo grado che abbiano come contenuto la conferma
dell’atto oggetto del riesame sia di conservare e, quindi, sanare, la sanatoria in senso tecnico si
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vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
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Si tratta di un effetto, quello sanante, che non sembra privo di criticità dal punto di vista del
rispetto del principio di legalità (dell’azione amministrativa che ha dato luogo all’atto sanato) e di
successivo.
Per un verso si ammette generalmente l’effetto sanante del nulla osta e dell’autorizzazione,
che per loro natura sono ritenuti atti che possono intervenire anche in un momento successivo. Più
discussa (ed assai più discutibile) è l’iniziativa procedimentale, atto di impulso che intervenga dopo
la conclusione del procedimento che avrebbe dovuto avviare. Generalmente escluso è l’effetto
sanante del parere tardivamente raccolto; tuttavia, la questione andrebbe ripensata sulla base delle
potrebbe concretare una delle ipotesi nelle quali (laddove il vizio dell’atto stesse solo
nell’omissione del parere) l’amministrazione sarebbe in grado di provare che l’atto avrebbe avuto il
qualità tale da non invalidare l’atto oggetto della rettifica. Come tale, la rettifica, opera ex tunc.
Si distingue tra atto meramente confermativo, che non è espressione di nuova decisione
dell’amministrazione e come tale non è impugnabile autonomamente – anche allo scopo di non
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coinvolti, concludendo nello stesso senso del provvedimento riesaminato. In questo caso, si avrebbe
La conversione è istituto noto anche al diritto privato ed applicabile – ex art. 1424 c.c. – al
fattispecie e non più tale ove relativo ad un’altra analoga. Si tratta di istituto rispetto al quale poche
sembrano essere le applicazioni pratiche ed, ancorché comunemente ammesso in dottrina, sospetto
sul versante della tutela dell’affidamento del privato e della protezione in sede giurisdizionale delle
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Bibliografia
CORSO, L’efficacia del provvedimento amministrativo, Milano, 1969; CORSO,
Torino, 1997; CERULLI IRELLI, Principii del diritto amministrativo, Torino, 2005;
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