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“ L’AUTOTUTELA AMMINISTRATIVA”

PROF. BIAGIO GILIBERTI


Università Telematica Pegaso L’autotutela amministrativa

Indice

1 I PROVVEDIMENTI DI SECONDO GRADO. L’AUTOTUTELA. ------------------------------------------------ 3


2 LA REVOCA -------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 8
3 L’ANNULLAMENTO D’UFFICIO --------------------------------------------------------------------------------------- 13
4 ALTRE FATTISPECIE ------------------------------------------------------------------------------------------------------ 17
BIBLIOGRAFIA --------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 22

Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
(L. 22.04.1941/n. 633)

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1 I provvedimenti di secondo grado. L’autotutela.


È sempre stata riconosciuta all’amministrazione la capacità di risolvere da sé sola i conflitti

che la riguardano, senza dover ricorrere alla decisione del giudice. Si tratta di una particolare

capacità dell’amministrazione pubblica, identificata come autotutela (1).

Note di studio: nozione di autotutela, come capacità di risolvere da sé i conflitti

La capacità di risolvere da sé i conflitti discendeva dalla concentrazione delle funzioni in

capo al sovrano, in epoca nella quale la separazione dei poteri era ancora da attuare. Tuttavia, si

trattava di capacità che, proprio per questa sua origine storica, appariva sfornita di fondamento

legislativo e, quindi, contrastante con l’affermazione del principio di legalità.

In questa prospettiva veniva in evidenza soprattutto l’autotutela sugli atti, vale a dire la

capacità dell’amministrazione di ritirare o convalidare suoi provvedimenti assunti in precedenza, sia

in via di decisione sul ricorso del privato, sia in spontaneamente. Alcune sue manifestazioni, come

quella relativa alla decisione sui ricorsi amministrativi (sul tema, si vegga il capitolo XVIII),

avevano fondamento legislativo, mentre altre – come l’autotutela spontanea – erano prive di

espresso riconoscimento legislativo e venivano, quindi, giustificate alla luce di diverse

argomentazioni che tendevano a far trovare fondamenti impliciti o comunque immanenti

nell’ordinamento.

L’esigenza, insieme, di farne una funzione di restaurazione dell’ordine giuridico violato

dalla stessa amministrazione ovvero di più esatto perseguimento dell’interesse pubblico in quanto

consentito dal diritto obiettivo, ha fatto elaborare una seconda ricostruzione del fenomeno

dell’autotutela, liberata dal suo ancoraggio storico e fondata sulla distinzione tra precetto e

1
Cfr. D. SORACE, Diritto delle amministrazioni pubbliche, Bologna, 2012, 100 SS..

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sanzione. Poiché il precetto contenuto nella norma si dirige al soggetto cui viene attribuito il potere

affinché lo attui, la sanzione, invece, consiste nella dichiarazione di giuridicità del precetto, vale a

dire della necessità di osservarlo. Se la sanzione si rivolge essenzialmente al potere giurisdizionale,

affinché pronunzi la giuridicità del precetto e la necessità di osservarlo ovvero il suo contrario, a

seconda di quel che prescrive l’ordinamento, v’è una parte di quell’attività che si rivolge

all’amministrazione, affinché (i) ricerchi la validità del suo operare e ciò non faccia in astratto (ii)

ma nel concreto perseguimento dell’interesse pubblico. sugli atti ed autotutela sui rapporti.

Ne deriva una costruzione per così dire estesa dell’autotutela, giacché vi vengono

ricondotte tutte le attività che corrispondono all’idea appena riassunta, sicché vi rientra sia

l’autotutela (i) sugli atti, sia quella (ii) sui rapporti.

All’interno del fenomeno dell’autotutela sugli atti venivano ricondotte (i) le decisioni di

autotutela spontanea, vale a dire quelle nelle quali l’amministrazione ritorna sui propri atti – per

eliminarli, confermarli o emendarli – senza che ciò consegua ad un’iniziativa di una parte terza

rispetto ad essa, (ii) quelle di autotutela necessaria, che corrispondono all’area dei controlli che la

stessa amministrazione prevede sui suoi atti ovvero i propri organi, ed, infine (iii) quella

contenziosa, derivante cioè dalla proposizione di un ricorso da parte di un soggetto terzo.

All’autotutela sui rapporti, invece, corrisponde quell’insieme di poteri (dei quali s’è detto

parlando dell’esecutorietà) che non richiedono la riaffermazione della validità del precetto, ma

della concreta e materiale attuazione della sanzione.

Questa visione dell’autotutela, che pure ha largamente influenzato la dottrina e la

giurisprudenza – nonché, con tutta evidenza, il legislatore riformatore della l. 7 agosto 1990, n. 241,

agli artt. da 21 bis a 21 nonies – è stata criticata perché ritenuta comunque insufficiente a radicare

l’autotutela in un adeguato fondamento legislativo.

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V’è quindi un terzo vasto approccio all’autotutela, che critica la teoria dell’autotutela come

fondamento del potere di adottare atti di secondo grado (vale a dire atti aventi ad oggetto la validità

di preesistenti atti) e fonda questa capacità, invece, in un nuovo esercizio del potere originariamente

conferito all’amministrazione dalla norma attributiva del potere.

In altri termini, essendo inesauribile il potere attribuito dalla norma, al mutare delle

circostanze di fatto rispetto a quelle che avevano determinato l’uso del potere medesimo, questo

sarebbe riesercitato per provvedere alla circostanze cui da luogo la fattispecie per come si prospetta

nel nuovo suo apparire.

Si tratta di una rappresentazione del potere dell’amministrazione di provvedere sui suoi atti

che supera la criticità relativa al fondamento normativo della capacità in questione, perché lo stesso

va individuato nella norma originariamente attributiva del potere, di volta in volta differente a

seconda del tipo di provvedimento; tuttavia, giacché in questa sede l’amministrazione fa alcunché di

diverso dal provvedere, poichè ritira o comunque modifica il proprio precedente atto, anche questa

ricostruzione non consente di spiegare pienamente da dove l’amministrazione tragga il potere di

modificare gli effetti del suo precedente atto, giacché l’adozione di un nuovo provvedimento non

importa di per sé l’eliminazione di quello preesistente (ed anzi, l’atto successivo in contrasto con il

precedente, se non provvede ad eliminarlo, sarebbe illegittimo per contrasto con precedente

provvedimento, secondo un vizio dell’atto del quale s’è data notizia poco sopra). Tant’è che queste

ricostruzioni sentono l’esigenza di affermare che il provvedimento amministrativo, in tanto in

quanto si inserisca nello svolgimento della funzione, in essa ritrova il fondamento del potere di

emanare sia il singolo provvedimento che quelli successivi di autotutela. Inoltre, resta da spiegare

perché il potere di intervenire nuovamente sulla fattispecie sia configurato come discrezionale

sicché la loro emanazione richiede la ponderazione dei vari interessi coinvolti, compreso quello

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all’eliminazione dell’eventuale vizio e quello alla conservazione degli effetti prodotti, anche se in

ipotesi il provvedimento preesistente non mostrasse tali elementi di discrezionalità.

Più di recente s’è tentato di ricostruire il fenomeno fondandolo sulla previsione di cui all’art.

1 della l. 7 agosto 1990, n. 241 laddove pone all’attività amministrativa il canone dell’efficacia,

ritenendo che in esso sia da ricomprendere il potere di adeguare la decisione ai mutamenti della

fattispecie.

La novella della l. 7 agosto 1990, n. 241, con i nuovi art. 21 quinquies e nonies ha superato

il problema del fondamento normativo dei provvedimenti di secondo grado, adottando

un’impostazione assai vicina a quella dell’autotutela come fondamento di questa capacità. In

particolare,

– l’art. 21 quinquies, in tema di revoca del provvedimento, dispone che «per sopravvenuti

motivi di pubblico interesse ovvero nel caso di mutamento della situazione di fatto o di nuova

valutazione dell’interesse pubblico originario, il provvedimento amministrativo ad efficacia

durevole può essere revocato da parte dell’organo che lo ha emanato ovvero da altro organo

previsto dalla legge. La revoca determina la inidoneità del provvedimento revocato a produrre

ulteriori effetti. Se la revoca comporta pregiudizi in danno dei soggetti direttamente interessati,

l’amministrazione ha l’obbligo di provvedere al loro indennizzo. Le controversie in materia di

determinazione e corresponsione dell’indennizzo sono attribuite alla giurisdizione esclusiva del

giudice amministrativo».

– l’art. 21 nonies, relativamente all’annullamento d’ufficio, prevede che il provvedimento

amministrativo illegittimo possa «essere annullato d’ufficio, sussistendone le ragioni di interesse

pubblico, entro un termine ragionevole e tenendo conto degli interessi dei destinatari e dei

controinteressati, dall’organo che lo ha emanato, ovvero da altro organo previsto dalla legge».

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– l’art. 21 nonies, quanto alla convalida, afferma la «possibilità di convalida del

provvedimento annullabile, sussistendone le ragioni di interesse pubblico ed entro un termine

ragionevole».

Deve osservarsi come il ritiro o la modifica di un preesistente atto efficace sia in grado di

influire sui rapporti generati dall’atto medesimo. Proprio in questa prospettiva, l’amministrazione

che intervenga sui propri precedenti atti nell’esercizio di questa capacità dovrà tenere conto

dell’affidamento del cittadino ingeneratosi sulla validità ed efficacia del provvedimento sul quale

l’ente interviene.

La considerazione dell’affidamento del cittadino deriva dalla necessità di dare applicazione

al principio di buona fede, regola fondamentale e comune a tutti gli ordinamenti occidentali alla

quale l’amministrazione non può sottrarsi. Dalla circostanza che l’amministrazione non può

perseguire l’interesse pubblico al ritiro dell’atto senza bilanciarlo con quello dei terzi alla sua

conservazione e con l’affidamento che negli stessi s’è ingenerato in ragione del provvedimento,

derivano molte conseguenze pratiche, prima tra tutte quella che il decorso del tempo determina un

rafforzamento dell’affidamento del privato ed una maggiore difficoltà per l’amministrazione a porre

nel nulla l’atto che quell’affidamento ha generato (2).

2
Cfr. TAR Emilia-Romagna, Parma, sez. I, 28 febbraio 2017, n. 81: “I poteri di riesame ed autotutela rappresentano lo
strumento attraverso il quale, a mezzo di un processo di rivalutazione e riesame critico della propria attività
provvedimentale, la Pubblica Amministrazione corregge - annullandola, revocandola o modificandola - l'azione
amministrativa fino a quel momento posta in essere, per consentire il migliore perseguimento in concreto dell'interesse
pubblico di cui è depositaria, giacché l'intervento in autotutela è espressione di un potere generale attribuito
all'Amministrazione che, una volta adottato un atto amministrativo, può sempre tornare sui propri passi ponendo in
essere una riedizione del potere originariamente esercitato soggiacendo ai soli limiti imposti dall'art. 21-nonies della
L. n. 241/1990, a mente del quale, al fine di procedere all'annullamento d'ufficio di un atto amministrativo, necessita un
triplice ordine di presupposti: che l'atto sia illegittimo; che sussistano ragioni di interesse pubblico che ne giustifichino
l'annullamento e che il tutto avvenga entro un termine ragionevole”.

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2 La revoca
Come sopra s’è ricordato, la legge disciplina espressamente il potere di revoca di un atto

precedentemente adottato (3).

In particolare, l’art. 21 quinquies, fissa i presupposti per la revocabilità di un atto

amministrativo nei termini che seguono: “Per sopravvenuti motivi di pubblico interesse ovvero nel

caso di mutamento della situazione di fatto non prevedibile al momento dell'adozione del

provvedimento o, salvo che per i provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi

economici, di nuova valutazione dell'interesse pubblico originario, il provvedimento amministrativo

ad efficacia durevole può essere revocato da parte dell'organo che lo ha emanato ovvero da altro

organo previsto dalla legge. La revoca determina la inidoneità del provvedimento revocato a

produrre ulteriori effetti. Se la revoca comporta pregiudizi in danno dei soggetti direttamente

interessati, l'amministrazione ha l'obbligo di provvedere al loro indennizzo. 1-bis. Ove la revoca di

un atto amministrativo ad efficacia durevole o istantanea incida su rapporti negoziali, l'indennizzo

liquidato dall'amministrazione agli interessati è parametrato al solo danno emergente e tiene conto

sia dell'eventuale conoscenza o conoscibilità da parte dei contraenti della contrarietà dell'atto

amministrativo oggetto di revoca all'interesse pubblico, sia dell'eventuale concorso dei contraenti o

di altri soggetti all'erronea valutazione della compatibilità di tale atto con l'interesse pubblico”.

Vengono dunque individuate tre ipotesi alternative ed in particolare (i) la sopravvenienza di

ragioni di pubblico interesse, ovvero (ii) una diversa valutazione di quello originariamente

dedotto nell’atto, oppure (iii) laddove a mutare sia la situazione di fatto (4).

3
Cfr. L.R. PERFETTI, Vicende del provvedimento, in L.R. PERFETTI (a cura di), Manuale di diritto amministrativo,
Padova, 2006, 592 SS..
4
Cfr. TAR Emilia-Romagna, Parma, sez. I, 29 ottobre 2015, n. 285: “La disposizione di cui all'art. 21-quinques, c. 1-
bis, della L. n. 241 del 1990 trova applicazione esclusivamente nell'ipotesi di revoca di un provvedimento determinata
da sopravvenuti motivi di interesse pubblico, da mutamenti della situazione di fatto o di nuova valutazione

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Oggetto di revoca possono essere solo i provvedimenti amministrativi ad efficacia durevole

e si riconnette al provvedimento di ritiro l’effetto di impedire al «provvedimento revocato a

produrre ulteriori effetti».

Laddove dalla revoca del provvedimento derivino pregiudizi in danno dei soggetti

direttamente interessati, l’amministrazione ha l’obbligo di indennizzarli e le controversie relative

alla sua determinazione e corresponsione spettano alla giurisdizione esclusiva del giudice

amministrativo.

Ciò premesso si evidenzia che la nozione di revoca è sempre stata particolarmente

problematica, soprattutto perché ha faticato a liberarsi delle ambiguità (anche linguistiche) di cui a

lungo è stata circondata.

S’é confusa la revoca in quanto atto tipico con la classe degli atti di ritiro (confondendola e

sovrapponendola all’annullamento d’ufficio), ovvero la s’è distinta dall’annullamento sulla base di

criteri sui quali non v’era accordo (il soggetto emanante – ritenendosi da alcuni l’omogeneità del

regime e da altri che la revoca provenisse dalla stessa autorità che aveva emanato il provvedimento,

mentre l’annullamento da una differente; la differente efficacia, ex tunc per l’annullamento ed ex

nunc per la revoca, con tuttavia posizioni autorevoli che ritenevano entrambi operanti ex tunc, la

natura del vizio, sia quanto alla distinzione tra legittimità e merito, che all’essere originario o

sopravvenuto.

La giurisprudenza ordinariamente distingue tra l’annullamento e la revoca in ragione del

fatto che il primo deriverebbe da un vizio di legittimità e la seconda da ragioni di (sopravvenuta)

inopportunità.

dell'interesse pubblico originario e non anche in presenza di fattispecie caratterizzate dal ritiro di un atto disposto in
conseguenza dell'inadempimento della parte obbligata”.

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Oltre alle difficoltà di distinguere la revoca dall’annullamento, pericolose confusioni si sono

spesso fatte con atti di natura sanzionatoria derivanti (soprattutto in ipotesi di convenzioni o

concessioni contratto) da violazione degli obblighi posti a carico del privato che importassero la

sanzione della decadenza dai benefici derivanti dal titolo ovvero la risoluzione dell’accordo o

contratto sottostante.

La questione del fondamento della potestà di revocare il provvedimento amministrativo a

fronte del verificarsi di condizioni che lo rendono contrastante con l’interesse pubblico ha

profondamente contribuito alle difficoltà della ricostruzione della nozione dell’atto di revoca,

poiché il dibattito relativo al fondamento di quest’ultimo è per lo più coinciso con quello

concernente l’autotutela in quanto tale. Anche con riferimento alla revoca, quindi, si va dall’idea

per la quale si sarebbe innanzi ad un nuovo esercizio del potere sostanziale esercitato con l’atto

oggetto di revoca a fronte del mutare dell’interesse pubblico, sostanziandosi in un effetto abrogativo

dell’effetto dell’atto revocato, a quella per la quale si sarebbe innanzi ad esercizio di potere di

autotutela a fronte di vizi di merito.

La legge ha espressamente risolto il problema del fondamento del potere di revoca.

La riforma legislativa è apparsa per lo più nel senso di inquadrare la revoca all’interno della

potestà di autotutela dell’amministrazione, e, tuttavia, non sembra affatto smentire la ricostruzione

per la quale si tratterebbe di un mero effetto abrogativo derivante dal nuovo provvedere in forza del

potere originariamente utilizzato, giacché la disposizione si limita a prevedere che la revoca

«determina la inidoneità del provvedimento revocato a produrre ulteriori effetti».

Il testo dell’art. 21 quinquies segue la tradizionale distinzione tra revoca come esercizio

dello jus poenitendi, corrispondente ad una nuova valutazione della stessa situazione e revoca per

sopravvenienza, derivante all’avverarsi di fatti successivi all’emanazione del provvedimento.

Infatti, al primo sarebbe da ascrivere l’ipotesi di diversa valutazione dell’interesse pubblico

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originariamente individuato nell’atto ed alla seconda le ipotesi di sopravvenienza di ragioni di

pubblico interesse, ovvero di mutamento della situazione di fatto. Sono così superate le tesi che

variamente riconducevano la revoca ad una sola delle due ipotesi, dando ragione a chi l’aveva

ritenuta riferibile ad entrambe. Tuttavia, nulla se ne deduce espressamente rispetto ad altre

discussioni, quale ad esempio quella relativa alla limitazione dello jus poenitendi alle sole ipotesi di

provvedimenti non ancora divenuti efficaci.

La legge limita la revocabilità ai soli atti «ad efficacia durevole». Si tratta di una previsione

che dipende dalla circostanza che la revoca opera ex nunc, sicché al di fuori delle fattispecie di

questo genere non avrebbe senso la revoca dell’atto (salvo si tratti di provvedimenti istantanei non

ancora divenuti efficaci). La giurisprudenza più recente ha ritenuto che non possa ritenersi che il

bando di gara non sia revocabile in quanto privo di «efficacia durevole» ai sensi dell’art. 21

quinquies l. n. 241/1990, giacché configura l’atto amministrativo generale di apertura della

procedura di evidenza pubblica contenete la lex specialis, diretta a disciplinare l’intera procedura di

gara, sino al provvedimento di aggiudicazione definitiva (5).

Inoltre, superando un’antica diatriba (oggi non più così accesa come in passato) identifica il

soggetto in grado di rimuovere l’atto per mezzo di revoca nelle stesso senso dell’annullamento

(«può essere revocato da parte dell’organo che lo ha emanato ovvero da altro organo previsto

dalla legge»).

Infine, quanto alla tutela dell’affidamento conseguente all’applicazione del principio di

buona fede, si prevede in capo al soggetto cui derivi un pregiudizio il diritto ad essere

5
Cfr. TAR Veneto, sez. I, 30 maggio 2016, n. 569: “Nell'ordinamento è tuttora configurabile un potere autoritativo di
revoca dell'aggiudicazione definitiva per mero "diritto di pentimento", potendo l'Amministrazione operare scelte
diverse sia sulla base di sopravvenuti motivi di interesse pubblico o di mutamenti della situazione di fatto, sia rivedendo
il proprio operato in corso di svolgimento modificandolo, perché evidentemente ritenuto affetto da inopportunità, in
virtù di una rinnovata e diversa valutazione dell'interesse pubblico originario”.

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indennizzato. Da questo punto di vista, la giurisprudenza ha chiarito che è illegittima la revoca

disposta dalla soprintendenza dei beni architettonici rispetto ad un proprio precedente atto

autorizzativo in assenza di qualsivoglia previsione di indennizzo, inderogabilmente imposta dall’art.

21 quinquies l. 241/1990 (6).

Note di studio: la revoca del provvedimento prescinde dall'esistenza di vizi di legittimità,

potendo essere disposta per sopravvenuti motivi di pubblico interesse ovvero nel caso di mutamento

della situazione di fatto o di nuova valutazione dell'interesse pubblico originario. La revoca

produce effetti ex nunc, salvaguardando quelli medio tempore prodotti dal provvedimento revocato.

L’adozione di questo atto di ritiro fa sorgere un obbligo di indennizzo in capo alla p.a., che non

esclude la possibilità di una richiesta risarcitoria in caso di revoca illegittima.

6
Cfr. TAR Puglia, Lecce, sez. III, 10 marzo 2015, n. 820: “Dalla revoca del provvedimento amministrativo possono
derivare situazioni diverse, cui si riconnettono differenti discipline e conseguenze, potendo delinearsi sia l'obbligo
dell'Amministrazione all'indennizzo, ex art. 21- quinquies l. n. 241/1990, per il caso di revoca del provvedimento
amministrativo che determini pregiudizi in danno dei soggetti direttamente interessati, sia obblighi risarcitori a carico
della medesima Amministrazione quando la revoca si riveli illegittima; peraltro la misura dell'indennizzo, per il caso di
revoca legittima, è stata commisurata dallo stesso legislatore "al solo danno emergente", e tenendo conto "sia
dell'eventuale conoscenza o conoscibilità da parte dei contraenti della contrarietà dell'atto amministrativo oggetto di
revoca all'interesse pubblico, sia dell'eventuale concorso dei contraenti o di altri soggetti all'erronea valutazione della
compatibilità di tale atto con l'interesse pubblico". Pertanto, il pregiudizio indennizzabile è limitato al pregiudizio
immediatamente subito, (danno emergente), mentre nel giudizio risarcitorio esso si estende a tutto il pregiudizio (danno
emergente e lucro cessante”.

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3 L’annullamento d’ufficio
L’art. 21 nonies definisce gli elementi dell’annullamento d’ufficio (7).

Il primo elemento essenziale – che vale a distinguere l’annullamento dalla revoca – è dato

dalla illegittimità del provvedimento annullato. Quanto all’identificazione dei vizi che determinano

l’illegittimità si rinvia a quanto già osservato più sopra, con l’avvertenza che il provvedimento e

suscettibile d’esser annullato anche per vizi che non ne consentono l’annullamento in sede

giurisdizionale.

In secondo luogo, per provvedere all’annullamento occorre che sussistano «ragioni di

interesse pubblico».

Si tratta dell’espressione della particolare protezione accordata all’interesse pubblico

dall’ordinamento e che deriva dal costante indirizzo giurisprudenziale, secondo il quale

l’annullamento può esser posto in essere solo a fronte della sussistenza di un interesse pubblico

concreto e attuale alla rimozione dell’atto illegittimo. Ne deriva che la causa attributiva del potere di

annullamento non deve esser rintracciata nella restaurazione dell’ordine giuridico (e, quindi, per

certi versi, nella sanzione al precetto) ma nella concreta cura dell’interesse pubblico.

Si potrebbe anche osservare che l’ordinamento giuridico non prevede forme di rimozione di

decisioni rese tra le parti come espressione solo della riaffermazione della giuridicità del precetto,

giacché sia in sede giurisdizionale che amministrativa la rimozione di un provvedimento di

amministrazione è sempre conseguenza della protezione di un interesse che domanda tutela e

affermazione, quello del privato ricorrente nel primo caso e quello pubblico nel secondo. In ogni

caso la violazione della legge non è mai in grado di privare l’atto di efficacia, occorrendo sempre la

7
Cfr. M. CLARICH, Manuale di diritto amministrativo, Bologna, 2013, 217.

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necessità che ciò corrisponda alla concreta cura di un interesse protetto dall’ordinamento, senza il

quale non sussiste la potestà giuridica – di agire in giudizio o di annullare d’ufficio –.

La verifica di legittimità compiuta dall’amministrazione, ai fini dell’annullamento, ha la

stessa ampiezza del sindacato svolto dal giudice amministrativo (e quindi può comprendere figure

di eccesso di potere).

La giurisprudenza ha ritenuto che, in forza della natura latamente discrezionale

dell’esercizio del potere di ritiro in via di autotutela di un provvedimento amministrativo,

nell’ambito del bilanciamento fra l’interesse pubblico concreto all’annullamento e gli altri interessi

pubblici e privati coinvolti, «assume preminente rilievo il c.d. interesse pubblico ulteriore» (8).

In terzo luogo la legge prevede che l’annullamento deve intervenire «entro un termine

ragionevole e tenendo conto degli interessi dei destinatari e dei controinteressato».

Ne deriva la necessità di tenere conto dell’interesse del destinatario del provvedimento a che

gli effetti ch’esso esplica ed espliciterà abbiano corso. Dell’avvenuta ponderazione degli interessi

l’amministrazione deve dare conto nella motivazione dell’atto di annullamento e sulla loro

consistenza incidono sia il decorso del tempo che l’esecuzione del provvedimento e la permanenza

dei suoi effetti.

8
Cfr. TAR Lazio, Roma, sez. II, 7 marzo 2017, n. 3204: “Il primo comma dell'art. 21 nonies, l. n. 241 del 1990
conferma la dimensione tipicamente discrezionale dell'annullamento d'ufficio dell'atto amministrativo che, rifuggendo
da ogni automatismo, deve essere espressione di una congrua valutazione comparativa degli interessi in conflitto, dei
quali occorre dare adeguatamente conto nella motivazione del provvedimento di ritiro. Pertanto, ogni qualvolta la
posizione del destinatario di un provvedimento amministrativo si sia consolidata, suscitando un affidamento sulla
legittimità del titolo stesso, l'esercizio del potere di autotutela rimane subordinato alla sussistenza di un interesse
pubblico concreto, attuale all'annullamento, diverso da quello al mero ripristino della legalità violata e comunque
prevalente sull'interesse del privato alla conservazione del titolo legittimo. Viceversa, solo quando non sia ingenerato
alcun legittimo affidamento nel destinatario del titolo abilitativo (poiché, ad esempio, l'annullamento d'ufficio
interviene a breve distanza di tempo dal rilascio del titolo illegittimo), non è necessaria una penetrante motivazione
sull'interesse pubblico, né una comparazione di tale interesse con l'interesse privato sacrificato, posto che in tali casi
l'interesse pubblico all'annullamento può considerarsi in re ipsa”.

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La giurisprudenza, peraltro, in taluni casi ha ritenuto che la sussistenza e prevalenza

dell’interesse pubblico sia in re ipsa (come nel caso di illegittimità che deriva dal contrasto con

decisioni giurisdizionali assunte su fattispecie identiche – dovendosi oggi ritenere che la violazione

del giudicato sulla fattispecie sia ipotesi di nullità –) e che la dimostrazione della concretezza ed

attualità dell’interesse debba esser data solo se il provvedimento illegittimo ha già acquistato

efficacia ed abbia avuto esecuzione, anche parziale. Tuttavia la giurisprudenza ha chiarito che la

legge ha fissato, quali condizioni di legalità dell’esercizio del relativo potere, «la necessità che l’atto

di autotutela sia sorretto dal rilievo della sussistenza di ragioni di interesse pubblico alla rimozione

del provvedimento viziato, che venga adottato entro un termine ragionevole e che tenga conto degli

interessi dei soggetti privati coinvolti (destinatari ed eventuali controinteressati) ».

Come accennato, le situazioni soggettive di vantaggio che si fondano sul provvedimento

illegittimo si consolidano con il decorso del tempo, sicché, non ponendosi limiti temporali

all’esercizio del potere di annullamento, la giurisprudenza è particolarmente severa nel valutare la

sussistenza dell’interesse pubblico quando l’annullamento interviene a notevole distanza di tempo

dall’emanazione del provvedimento.

Dovendosi valutare la sussistenza della concretezza dell’interesse pubblico e

dell’affidamento del privato serbato sulla legittimità dell’atto in quanto proveniente

dall’amministrazione, anche dell’annullamento d’ufficio si ritiene la natura discrezionale.

Infine, la legge prevede che l’annullamento debba essere adottato «dall’organo che lo ha

emanato, ovvero da altro organo previsto dalla legge».

Nulla si dice invece dell’effetto dell’annullamento, ancorché si ritenga diffusamente che

l’annullamento determini l’eliminazione ex tunc dell’efficacia dell’atto ritirato, sicché vengono

travolti gli effetti giuridici prodotti dal provvedimento annullato e si ricostruisce una situazione

corrispondente a quella preesistente la sua emanazione. Nondimeno, la retroattività

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dell’annullamento trova un limite nell’impossibilità di eliminare gli effetti irreversibili medio

tempore determinatisi (come ad esempio, la corresponsione della retribuzione per le prestazioni

effettivamente fornite del dipendente illegittimamente assunto, promosso o assegnato a mansioni

superiori).

Note di studio: Il provvedimento amministrativo illegittimo può essere annullato d'ufficio,

sussistendone le ragioni di interesse pubblico, entro un termine ragionevole e tenendo conto degli

interessi dei destinatari e dei controinteressati, dall'organo che lo ha emanato, ovvero da altro

organo previsto dalla legge.

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4 Altre fattispecie
L’abrogazione riguarda gli atti legislativi e non quelli amministrativi.

Talora, anche da parte di dottrina autorevole, s’è sostenuto che l’abrogazione sia

provvedimento di autotutela sugli atti che opera per ragioni di opportunità ma, differentemente dalla

revoca, opera per via di un vizio di merito originario. In realtà, ancorché il provvedimento sia

originariamente inopportuno, l’amministrazione vi potrà intervenire solo con efficacia ex nunc e per

sopravvenute e non originarie ragioni di pubblico interesse, sempre da ponderare con le aspettative

tutelate dei privati. Non sembra, quindi, potersi parlare di atti di ritiro per motivi di inopportunità

originaria.

Semmai, l’abrogazione non è un atto ma un effetto, ed in senso tutto diverso da quello che si

intende da parte di chi la configura come atto di secondo grado. In particolare, a fronte di atti

normativi o a contenuto generale, l’adozione di un provvedimento che innova e sostituisce quello

previgente, si determina un effetto abrogativo (non di rado parziale) del provvedimento sostituito.

La sospensione è contemplata dall’art. 21 quater consente all’amministrazione di

sospendere «l’efficacia ovvero l’esecuzione del provvedimento amministrativo» ma solamente per

«gravi ragioni e per il tempo strettamente necessario», ed il termine per il quale efficacia o

esecuzione restano sospese deve essere «esplicitamente indicato nell’atto che la dispone e può

essere prorogato o differito per una sola volta, nonché ridotto per sopravvenute esigenze».

Si tratta di atto che deve essere assunto dallo stesso organo che ha emanato l’atto sospeso

ovvero da altro organo previsto dalla legge.

La convalida opera nel diritto amministrativo in modo inverso a quello privato. Mentre in

questo secondo la convalida deve provenire dal soggetto che potrebbe far valere il vizio che affetta

il negozio, nel primo, invece, proviene da colui che ha posto in essere l’atto invalido. Si tratta,

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infatti, del provvedimento con il quale l’amministrazione riconosce il vizio del provvedimento e,

tuttavia, lo emenda.

Già la l. 18 marzo 1968, n. 249 aveva dettato una disciplina della convalida, limitandola

all’ipotesi dell’atto viziato per incompetenza, disponendo che potesse «provvedersi anche in

pendenza di gravame in sede amministrativa e giurisdizionale».

Oggi, il già citato art. 21 nonies fornisce la convalida di un espresso fondamento normativo,

giacché prevede la «possibilità di convalida del provvedimento annullabile», laddove sussistano

«ragioni di interesse pubblico» ed «entro un termine ragionevole».

Tuttavia, la convalida appare problematica a fronte di situazioni soggettive del privato che

ne vengano frustrate. È da notarsi come la giurisprudenza abbia negato validità alla convalida

laddove questa intervenga in corso di giudizio, sicché si ritiene che il provvedimento possa esser

convalidato solo se sono decorsi i termini per l’impugnazione.

La legge esplicita il requisito della necessità di mostrare le ragioni di interesse pubblico

della convalida. In questo senso la giurisprudenza ha ritenuto che per ragioni di economia dei mezzi

dell’azione amministrativa e conservazione dei valori giuridici, sia possibile la convalida di atti

amministrativi affetti da vizi non afferenti al loro contenuto sostanziale sussistendone le ragioni di

interesse pubblico ed entro un termine ragionevole (9).

Tuttavia, giacché la convalida potrà validamente intervenire solo se non sia contestata in

giudizio la legittimità dell’atto, l’interesse pubblico potrebbe anche individuarsi nella garanzia della

9
Cfr. C. Stato, sez. VI, 20 aprile 2006, n. 2198: “Per ragioni di economia dei mezzi dell'azione amministrativa e
conservazione dei valori giuridici, è possibile la sanatoria (o convalida) di atti amministrativi affetti da vizi non
afferenti al loro contenuto sostanziale. Detto principio ha trovato, da ultimo, riscontro normativo nell'art. 21 nonies l.
n. 241 del 1990, quale introdotto l. n. 15 del 2005, che espressamente consente la convalida del provvedimento
annullabile sussistendone le ragioni di interesse pubblico ed entro un termine ragionevole”.

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legalità dell’azione, laddove non vi siano pretese del privato suscettibili d’esser azionate in giudizio

perché decorsi i termini decadenziali o prescrizionali che sia.

In questi termini, la previsione del «termine ragionevole» sembrerebbe dissonante rispetto

alla costruzione che legittima la convalida solo a fronte del decorso dei termini a ricorrere. Peraltro,

avendo la convalida la funzione di restaurare l’atto viziato, il correre del tempo sembra andare nello

stesso senso della funzione dell’atto, giacché non solo le pretese che possono farsi valere con

l’impugnazione finiranno per decadere, ma anche quelle che l’ordinamento (pur se deve tenersi

conto della regola della pregiudizialità dell’azione di annullamento) consente di far valere nel

termine prescrizionale di cinque anni.

Non tutti i vizi sono suscettibili di esser convalidati ed in ispecie si ritiene che possano esser

oggetto di simili provvedimenti di secondo grado solo i vizi formali.

La ratifica, forse anche per via della confusione che può ingenerare l’omologo istituto del

diritto privato, è stata spesso intesa come eliminazione del vizio di incompetenza attraverso la

ratifica (appunto) da parte dell’organo effettivamente competente. Se così fosse, però, non sarebbe

altro che una convalida.

Piuttosto, sembrerebbe doversi parlare di ratifica in presenza di competenze

straordinariamente consentite dalla legge da parte di un organo, purché la sua decisione sia

appunto ratificata da un altro. Si pensi ai casi eccezionali di spostamenti di competenza, com’era

prima della riforma delle competenze degli organi comunali da parte della l. 142/1990, nel rapporto

tra Giunta municipale e Consiglio, potendo quest’ultimo ratificare un provvedimento assunto dalla

prima per ragioni di urgenza. La ratifica, come tale, non interviene su di un provvedimento invalido.

Ancorché tutti i provvedimenti di secondo grado che abbiano come contenuto la conferma

dell’atto oggetto del riesame sia di conservare e, quindi, sanare, la sanatoria in senso tecnico si

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riferisce all’emissione di un provvedimento necessario nella sequenza procedimentale ed invece

mancato in quella specifica di emanazione dell’atto.

Si tratta di un effetto, quello sanante, che non sembra privo di criticità dal punto di vista del

rispetto del principio di legalità (dell’azione amministrativa che ha dato luogo all’atto sanato) e di

tutela delle posizioni dei privati.

La dottrina si divide sull’effetto sanante dell’adempimento procedimentale tardivo e

successivo.

Per un verso si ammette generalmente l’effetto sanante del nulla osta e dell’autorizzazione,

che per loro natura sono ritenuti atti che possono intervenire anche in un momento successivo. Più

discussa (ed assai più discutibile) è l’iniziativa procedimentale, atto di impulso che intervenga dopo

la conclusione del procedimento che avrebbe dovuto avviare. Generalmente escluso è l’effetto

sanante del parere tardivamente raccolto; tuttavia, la questione andrebbe ripensata sulla base delle

nuove disposizioni in materia di invalidità, poiché il parere favorevole successivamente intervenuto

potrebbe concretare una delle ipotesi nelle quali (laddove il vizio dell’atto stesse solo

nell’omissione del parere) l’amministrazione sarebbe in grado di provare che l’atto avrebbe avuto il

medesimo contenuto anche laddove privo del vizio.

La rettifica è una decisione con la quale l’amministrazione pone rimedio ad un errore di

qualità tale da non invalidare l’atto oggetto della rettifica. Come tale, la rettifica, opera ex tunc.

Viceversa, la conferma è il provvedimento con il quale l’amministrazione, ad esito di un

provvedimento di riesame avviato su istanza del privato, conferma il proprio provvedimento

oggetto delle doglianze del privato medesimo.

Si distingue tra atto meramente confermativo, che non è espressione di nuova decisione

dell’amministrazione e come tale non è impugnabile autonomamente – anche allo scopo di non

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consentire al privato di aggirare le norme sul termine decadenziale per l’impugnativa – e

provvedimenti di conferma in senso stretto, nei quali l’amministrazione avvia un nuovo

procedimento, con autonoma valutazione dell’interesse pubblico e ponderazione degli interessi

coinvolti, concludendo nello stesso senso del provvedimento riesaminato. In questo caso, si avrebbe

un provvedimento di conferma, autonomo ed impugnabile.

La conversione è istituto noto anche al diritto privato ed applicabile – ex art. 1424 c.c. – al

contratto nullo. Nel diritto amministrativo, invece, è riferibile all’atto annullabile.

L’amministrazione interviene su di un provvedimento invalido laddove riferito ad una data

fattispecie e non più tale ove relativo ad un’altra analoga. Si tratta di istituto rispetto al quale poche

sembrano essere le applicazioni pratiche ed, ancorché comunemente ammesso in dottrina, sospetto

sul versante della tutela dell’affidamento del privato e della protezione in sede giurisdizionale delle

sue posizioni soggettive.

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Bibliografia
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Manuale di diritto amministrativo, Torino, 2006; VILLATA-RAMAJOLI, Il

provvedimento amministrativo, Torino, 2006; CARINGELLA, Manuale di diritto

amministrativo, Milano, 2006; CERULLI IRELLI, Corso di diritto amministrativo,

Torino, 1997; CERULLI IRELLI, Principii del diritto amministrativo, Torino, 2005;

VILLATA, L’atto amministrativo, in CAIA – CAPUTI JAMBRENGHI (V.) –

DOMENICHELLI – FOLLIERI – GOLA – GRECO – MAZZAROLLI – MIGNONE –

MORBIDELLI – PERICU – POLICE – ROMANO (A.) – ROMANO TASSONE – ROVERSI

MONACO – SCOCA – VILLATA, Diritto amministrativo, a cura di MAZZOROLLI –

PERICU – ROMANO (A.) – ROVERSI MONACO – SCOCA, vol. I, Bologna,

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