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12 Luglio 2008

“All the small things”

Si parte.
Alle 8:30 Antonio imprevedilmente mi scrive un messaggio. E’ già pronto e mi fa
da sveglia, l’orario stabilito per l’incontro era le 9:30, per questo me l’ero presa
comoda.
Sta iniziando questa vacanza, questa avventura. E’la “nostra” vacanza, dopo giorni
di lavoro ancora non ci crediamo, non siamo entrati forse ancora nell’atmosfera.
Dopo la sosta bancomat e metano, la scelta democratica del percorso.
La mia cara alfa 156 è in forma, la lascerò per un po’ nel parcheggio a Fiumicino, è
una sensazione strana. Arriveremo all’aeroporto passando per l’Abruzzo, via
L’Aquila.
Nascono i nostri soliti “ragionamenti” tra il serio e il faceto, passando dalla
“Pangodia” al rapporto “pesce-carne”: ma il pesce è fatto di pesce o il pesce è fatto
di carne?
E’caldo, ma il tempo passa bene, si canta di tutto, tra assoli, cori e controcori. Tutte
le canzoni sembrano ad hoc, ma quella che mi carica di più è “All the small
things” dei Blink 182. Sono quasi le
13:30, decidiamo di fermarci a mangiare a
L’Aquila e andiamo a vedere la Fontana
delle 99 Cannelle, ricordo d’infanzia del
piccolo Antonio. Cerco di contarle tutte,
sarà il caldo, sarà che sono proprio in ferie
e ho lasciato la mia indole contabile nella
filiale di Tolentino, ma a me sembrano 94.
Cerchiamo ristoro dentro un bar mezzo
chiuso, è veramente caldo, il sole picchia
duro e l’afa si fa sentire. La signora ci dice
che la stazione e quindi anche l’unico bar aperto della zona stanno a circa 300
metri, camminiamo e camminiamo, ma ci sembrano molti di più: ”Cosa ti aspetti?
Le donne non hanno la percezione delle distanze…” mi dice Anto’.
Massima esemplare, io l’ho sempre detto che quando vuole è Yogananda.
Arriviamo a Roma alle 15:30, tabella di marcia rispettata alla grande, possiamo
fare tranquillamente un’altra sosta metano. Dopo aver consegnato la fedele alfa
agli organizzati, ma burini romani del Parking Go, ci dirigiamo all’aeroporto di
Fiumicino. Si va al doveroso check-in: scegliamo di spedire i nostri bagagli
direttamente a Fuerteventura, ci convincono che sia la scelta migliore.
Nel lento procedere della fila in aeroporto, incontriamo il primo personaggio della
vacanza, Cynthia. Ragazza di 23 anni di Buenos Aires, frizzante o loca (come lei si

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definisce), salirà sul nostro stesso aereo, destinazione Madrid, per poi tornare in
patria Argentina.
Cynthia ci sorprende; è partita da sola per un viaggio di ben 4 settimane passando
per le maggiori città europee, non so se lo dice per farci piacere, ma l’Italia
secondo lei è il più bel paese tra tutti, ci ha lasciato il cuore.
Antonio mostra senza mezzi termini il suo
interesse, vedo che c’è feeling e a volte mi
faccio da parte, poi il mio companero
rispetto a me, ha una buona dimestichezza
con lo spagnolo, gli è più facile
comunicare. Passiamo bei momenti,
scambi musicali e culturali, dopotutto noi
italiani ci sentiamo veramente in sintonia
con questi argentini. Siamo tutti e tre vicini
in aereo, il tempo passa rapidamente e
arriviamo a Madrid.
Salutiamo Cynthia, le nostra strade si dividono e tra un paio d’ore dovrà risalire
sull’aereo che la riporterà a Buenos Aires, un viaggione di 12 ore.
Prima di raggiungere l’albergo che abbiamo prenotato in città, decidiamo di fare
cena in aeroporto. Destino vuole che incontriamo di nuovo Cynthia, altro che
addio!
Siamo contenti, forse Antonio ancora di più, facciamo cena insieme in un
ristorantino self-service, cucina internazionale, ma (parlo per me) ci scappa anche
un po’ di pasta.
Stavolta ci salutiamo davvero, promettendo di sentirci via mail.
Apprendiamo che l’hotel è un po’ più lontanuccio dall'aereoporto rispetto a quanto
ci avevano detto in agenzia. La stanchezza comincia a farsi sentire : taxi o bus ( 25
euro contro 2)? L’albergo? Madrid è grande.
Alla fine vince il bus e dopo un po’ di errori di orientamento becchiamo il 101. E’
tardi, siamo stanchi, ma concludiamo la serata con Kill Bill capitolo I, in spagnolo.
La Turman è sempre la Turman, ci addormentiamo con Black Mamba e la spada di
Hattori Anzo, il tutto condito da un occhio spappolato. Non male. Ci aspetta la
sveglia alle 5:00. L’aereo è alle 7:00. E poi domani…Fuerteventura!

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13 Luglio 2008

“Buenos Dias”

Ore 5:00, risveglio veramente pesante. Squillo del telefono in camera: ”Buenos
Dias, las cinco”. Mai lo spagnolo mi è stato più sulle palle. Antonio impreca, io
non mi rendo conto di dove sono. Ci svegliamo vestiti come la sera prima, brutta
sensazione, le nostre valigie non le vediamo da Roma, e mi assale un dubbio: le
ritroveremo sull’Isola?
Antonio, impersonificando Yogananda, alimenta la mia fede. Ci facciamo
chiamare un taxi, il tassista è praticamente il sosia di Ben della serie “Lost”,
immagino che da un momento all’altro si possa voltare e con il fare da maniaco
dica :”Sei sicuro di andare sull’isola John?”. Pensieri strani, forse fa male dormire
(si fa per dire) vestiti per 3 o 4 ore vicino ad un “russante” Anto’.
Arriviamo all’aeroporto, è un freddo cane. In più non ci sanno dire niente delle
valigie al check-in. Perfetto: alzarsi due ore prima del volo è stato perfettamente
inutile.
Aspettiamo con la bava alla bocca l’apertura del bar dell’aeroporto, vaneggiamo,
abbiamo quasi dei miraggi. Poi ridiamo e ridiamo, a volte anche per delle cazzate.
Il tormentone per ora è il video in spagnolo su cellulare di Antonio: il ragazzo
“felice” in compagnia del suo “burrito”. Dopo la sospirata colazione, finalmente si
vola.
Che bello volare. Lasciata la penisola Iberica, il mare e nuvole, tante tante nuvole.
Sotto il mare, sopra il cielo condito da questa distesa, da questa coperta che sembra
neve a tratti e a volte cotone. Forse stiamo attraversando il paradiso, rifletto tra
passato e futuro, persone ed eventi. Cerco sempre di avvistare le isole, ma spesso si
confondono da lontano con arcipelaghi di nuvole.
“Quant'è grande 'st' Oceano”. Il mondo è bello anche visto da quassù, chissà come
sarebbe bello vedercelo tutto. Bisognerebbe provarci, in fondo è tutto un dono.
Ma quando arriviamo? Con Antonio alterno fasi dormienti, la musica funziona a
tratti, fortuna l’mp3. Ma ormai il giro di canzoni è terminato. L’attesa continua.
Acqua e nuvole.. acqua e nuvole. E poi l’arrivo.
Lascio la parola al mio companero di viaggio che interviene alla grande in questa
sorta di diario.

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!Goder! Arrivati a Fuerteventura….
Il nome stranamente mi ricorda
ancora una volta il lavoro…ho un
collega teramano che di nome fa
“Ventura”, sfigato.. non va, sono
ancora in piena atmosfera lavoro
ed è domingo. Che SAUDAGI !
Devo approfittare del buon umore
del companero DANZ e
dimenticare i crucci di casa.
Atterraggio morbido, come del
resto il volo durante il quale si è
dormito, per fortuna, ero stanco.
A terra ci sono 24° e un leggero
venticello. Sono le 11 del mattino ora italiana.
Qua si comincia un po’ a sentire il jet-leg e il cambio di fuso orario è pesante,
sento il bisogno di dormire a mezzodì!! Ah ah...
Ora chiudo, ci aggiorniamo più in là...

PS: Viva l’Argentina, viva Cynthia!!

Siamo proprio arrivati.


Scendiamo e subito c’è il vento, non un vento normale, è il vento delle Canarie,
penso che questa caratteristica locale non ci lascerà più per tutta la vacanza.
Mi guardo intorno, tutto strano, diverso, zone desertiche, pochissime piante, sole
che scalda.
Le valigie sono arrivate in aeroporto, la paura di rimanere ancora qualche giorno
con la stessa maglietta e gli stessi pantaloncini è svanita.
Uscire dall’aeroporto è sempre una bella emozione, tantissime persone che
aspettano, cartelli con nomi di gruppi, bandiere, ci sentiamo delle rock star o dei
calciatori… mi viene in mente il video dei Blink 182 con il cartellone della ragazza
“Travis, I am pregnant!”.
Ci attende un ragazzo ben vestito con il
cartello “Orlando rent a car”... tra poco
scopriremo la nostra più importante
compagna di viaggio, el coche con cui
esploreremo l’isola. Arriviamo
all'autorimessa e dopo la solita
burocrazia ritiriamo il bolide: una
Renault Clio.
Sotto i nostri occhi, una ragazza di
colore (che potrebbe recitare in una
puntata dei Griffin o dei Robinson) lava
la carrozzeria con cura e ripulisce gli interni a puntino, mettendo a dura prova gli
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ammortizzatori: la stazza mi ricorda un po’ (in versione rasta) la tata di Rossella in
Via col Vento.
Ci accorgeremo solo poco dopo essere usciti dal magazzino di Orlando che non
funziona la chiusura centralizzata dell’auto. Pazienza, ci toccherà portarci dietro
sempre tutto il nostro patrimonio. Cominciamo a girare l’isola, direzione sud,
Costa Calma dove ci aspetta il residence. Strade solitarie, drittissime, ci sembra di
rivivere il video “Scart Tissue” dei Red Hot Chili Peppers. Poi mi rivengono in
mente scene del film dei fratelli Cohen “Non è un paese per vecchi”.
L’impressione che potrebbe fare è di un paesaggio desolante, ma è unico,
trasmette qualcosa di forte, non riesco a descriverlo. La radio in macchina passa
canzoni spagnole che sembrano a tema, perfino Antonio sembra felice, la famosa
saudagi sembra essere alle spalle.
Vediamo capre selvatiche che passeggiano vicino alla strada senza problemi,
segnali stradali all’incontrario e a volte privi di senso, case bianche sperdute alla
messicana. Arriviamo presto nei pressi di Costa Calma, dove dobbiamo ritrovare il
faraonico Sunrise Monica Beach Hotel; il paesaggio sta cambiando, cominciano gli
albergoni, palme su palme, uno spicchio di Beverly Hills ci attende.
In realtà è un covo di tedeschi e attimo dopo attimo ce ne rendiamo conto sempre
di più.
Dopo essere passati rapidamente in camera andiamo a pranzo. Siamo affamati:
patatine fritte, verdure, cibi surgelati vari, gelato, non facciamo sconti,
spazzoliamo tutto. Scarseggia l’acqua. E’ un problema dell’isola quello
dell'approvigionamento di acqua potabile: hanno i dissalatori, ma centellinano
l’acqua in ogni modo, basti pensare che a tavola non abbiamo bottiglie d’acqua e
sono abolite le caraffe; ogni volta che abbiamo sete dobbiamo spostarci al centro
della sala per riempire un singolo bicchiere alla volta. Cercheremo di comprarne
una tanica in qualche supermarket per avere la nostra riserva.
Dopo pranzo primo impatto – negativo – con le strutture del villaggio; ebbene sì,
quello del residence è decisamente un
mondo a parte, chiuso tra sale giochi,
ristorante e discoteca privata. In riva al
mare c’è vento a volontà ed è
impossibile prendere il sole distesi a
terra senza rischiare la cecità per la
sabbia negli occhi. I topless sono
parecchi, ma solo una su dieci se lo
può permettere e infine l’acqua del
Signor Oceano è freddissima.....
Antonio sembra resistere alla tempesta
del deserto, io mi alzo piuttosto
alterato e passeggio lungo la riva; l’acqua dell’oceano continua ad essere
ghiacciata, mi sa che rimanderemo il primo bagno a data da destinarsi. Rifletto e
canto, tanto tra sti’ tedeschi nessuno sembra capirmi.

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Torno da Antonio e cerchiamo la svolta, dopo una camminata troviamo una zona
piena di sassi e poi scogli sotto una specie di promontorio, il vento rimane, ma il
sito è più ripaato, inoltre il problema sabbia è risolto. Rimaniamo come lucertole a
prendere il sole, si canta, si ride e ci si rilassa fino all’ora di cena ripensando a
“Supergiovane” di Elio e le Storie Tese ed al video del “Burrito”.
Finalmente una doccia, dopo l’ultima di Macerata. Ci vestiamo da sera e andiamo
a cercare la movida serale: ma dove?
Tutte famiglie, tedeschi che bevono e vivono da organizzatori ( gli stessi animatori
sono in gran parte tedeschi) tra i balli di gruppo e i musical. Ma a noi poi importa
relativamente, è vacanza, vogliamo rilassarci e abbronzarci.. giusto?
Allora si va a dormire, domani è lunedì…di vacanza dopo un anno di lavoro..
bella....

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14 Luglio 2008

“Jandia e Morro d’Alba (Morro Jable)”

E’ Lunedì.
Bellissimo alzarsi con questa sensazione. La vacanza inizia in fondo proprio oggi,
la sveglia è intorno alle 9:00. Tranquilla colazione circondati dalle solite migliaia
di tedeschi, con il caffè che non è caffè, ma tutto sembra relax, anche un semplice
churro.
Si va a comprare subito l’acqua (qui è veramente ricchezza da custodire) al
supermarket e la mappa di Fuerteventura. Siamo pronti, si parte, il primo obiettivo
è la penisola di Jandia a sud dell’isola.
Faremo il giro della parte meridionale passando per
il faro di Jandia, il punto più estremo, dopo Morro
Jable (ribattezzata Morro d’Alba per ricordare la
famosa “lacrima”) il paesotto più popolato di
questa zona. Il paesaggio è maestoso.
Cercherò di dare un’idea: non c’è niente,
assolutamente niente. Zone desertiche, ci capita di
incontrare belle capre selvatiche a cui chiediamo
informazioni stradali.
Da una parte il mare, dall’altra le montagne sembrano proteggerci da questo vento
che a volte è imperiale. La nostra Clio è diventata
una macchina da rally, strade pazzesche, buche,
sassoni, sentieri che percorriamo ignari di dove
finiranno.
La radio ci accompagna, il paesaggio spesso ci
blocca e ci costringe a scattare delle foto; il vento a
volte con delle folate sembra travolgerci, ma in
questo giro stiamo toccando con mano le rare
bellezze del creato.
Tocchiamo il punto più a sud di Fuerteventura: il faro di Jandia dove il Signor
Oceano si manifesta in tutta la sua potenza.
Il sole picchia duro, ma non è caldissimo, la temperatura è addirittura piacevole,
anche se siamo alle due del pomeriggio. Cerchiamo relax tra gli scogli sotto il faro,
i granchi e i pesci osservano le nostre mosse. Vediamo un granchio enorme,
bellissimo, una parte delle chele ha un colore arcobaleno mai visto.
Antonio cerca di combattere strenuamente con il signor granchio, cerca di bloccare
la sua fuga, ma vince il crostaceo rifugiandosi nell'angusta crepa di uno scoglio.
Scatta l’ora di pranzo, la natura chiama, l’unico posto dove è possibile trovare un
pasto è lo pseudoristorante “specialità pesce” vicino al faro, gestito da due ragazze

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locali, di cui una esageratamente superdotata. La nostra scelta ricade sulla paella
con pescado classica, anche se inspiegabilmente ci mettono anche la carne, forse
pollo.
Ci beviamo un litro di blanco in due, e il tutto ci costa 45 euro: abbiamo forse
scritto in fronte turisti da spennare? Comunque l’euforia c'è ed è amplificata dal
nettare di Bacco da poco sorseggiato; cantiamo e
contenti ci dirigiamo verso la costa occidentale di
Jandia, fino alla spiaggia di El Cofete.
Ecco quei momenti della
vita in cui ti senti nel
posto giusto al momento
giusto, mi vengono i
brividi a ripensarci. Ho
visto la felicità, penso di aver visto quello che volevo
vedere da sempre. Il cuore è pieno che mi sembra
scoppiare, non so spiegarlo.
Sono felicissimo e il vino non c’entra, sono passate un paio d’ore dal pranzo, mi
sento il re del mondo come Di Caprio sul Titanic.
Corro per la spiaggia, ad un turista urlo “sono felice!!” non saprò mai cosa mi ha
risposto in quel momento. Antonio penso mi abbia mandato a quel paese.
Il cielo è azzurro, il mare limpido, il fondo sembra
verde, alle nostre spalle le montagne rocciose nella
loro grandezza. Mi sento un bambino, ma manca
ancora qualcosa, non abbiamo ancora fatto il bagno
nell’oceano.
Il Signor Oceano ci fa paura, merita il nostro
rispetto. E all’improvviso la scintilla. Antonio da il
“là” per la fine di ogni paranoia. Inizia il
“naturismo”, qua in Spagna questa corrente sta facendo storia.
Via il costume e via, correre verso l’acqua che ci sta aspettando, e dopo il freddo
iniziale ci siamo: il signor Oceano è diventato nostro amico. Rimaniamo a
prendere il sole (da naturisti) fino alle 19:00, poi ci ritiriamo. La paella di Jandia si
fa ancora sentire, ritorniamo verso il Sunrise Monica
Beach della Costa Calma e a cena più del gelato non
riusciamo a mangiare; a seguire spettacolo di magia.
L’illusionista è un clone di Chad Kroeger dei
Nickelback.
Immaginandovi una frizzante vita notturna, facciamo
una puntatina nel paese più vicino, il nostro Morro
Jable (o d’Alba che dir si voglia), ma, sarà che è
lunedì, troviamo solo baretti costosi e chalet mezzi vuoti. Andiamo a dormire
esausti, ma che giornata è stata oggi.

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15 Luglio 2008

“Naturismo e Spelonche”

Comincerei stasera con il commento di Antonio sempre presente.

Seduto, anzi disteso su questo letto della stanza 427, col sottofondo di un
improbabile servizio su Kennedy trasmesso da Rai Uno, mi vengono in mente le
belle immagini che i miei occhi hanno fotografato oggi…
Tra tutti, i paesaggi naturalistici e quelli creati dall’uomo: i primi qui sono di gran
lunga i più spettacolari, i più coinvolgenti, almeno per me…
I piccoli borghi sperduti e fatti di quattro case intorno ad una chiesa non mi
colpiscono, mi sembrano tutti uguali e privi di qualsiasi attrattiva.
Solo la chiesa, anzi il portale “gotico atzeco” della chiesa di Pajara mi ha colpito
in modo particolare…che ci facevano quei simboli sudamericani alle Canarie?
Tutto il resto è stato un susseguirsi di brevi pause di un viaggio di tanti km in
mezzo al deserto!
Il bello di oggi penso sia stata proprio la natura, la spiaggia di Sotavento, con i
suoi animaletti bastardi e molesti, la piscina naturale creata in riva al mare dalla
bassa marea, il bagno in libertà nell’acqua
dell’oceano Atlantico di fronte alle coste del Sahara
Occidentale, l’estensione e la larghezza della spiaggia.
Stupefacente!
Dopo pranzo il solito strapazzo, dopo una strada di
terra lunga e disastrata arriviamo alla spiaggia nera
di Garcey e avvistiamo una bella grotta; mi sono
arrampicato e c’è stato l’incontro con il pesciotto nero un po’ tardo.
Altro contatto con l’elemento naturale arrivato al culmine nella seconda parte del
pomeriggio: il passaggio per una stradina stretta e bordata da un tratteggio
bianco di pietre per arrivare a Betancuria.
Su, sempre più su, tra le pietre: la flora che cambia ci indica la maggiore presenza
di umidità nell'atmosfera della quale le poche piante cercano di approfittare.
Ad un tratto l’incontro con un roditore, forse una marmotta, forse uno scoiattolo,
che ha la tana tra le pietre, sotto terra.
Dapprima cerca di non farsi vedere bloccandosi immobile in mezzo alle rocce
brune: cerca di mimetizzarsi. Noi curiosi ci avviciniamo e all'improvviso scatta a
rintanarsi sotto terra. Bello!
Si ricomincia poi la salita per arrivare al passo, dove si apre una veduta che ci
lascia senza fiato..... niente da dire!
Sopra di noi un rapace, forse un'aquila. Mi sento un animale tra gli animali, bello
e ancora bello.

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Il buon Dante continua a guidare e alla fine si arriva a casa, “pardon”
all’albergo.
Che sonno. Domani è un altro giorno…

Dolce risveglio.
Come già successo nelle ultime notti, tutto ok, tranne un paio di risvegli notturni
per stoppare l’assolo russante del companero Antonio. Colazione ipergrassa, i
tedeschi perseverano nelle loro abitudini alimentari basate su pancetta e uova di
prima mattina, ma per ora io e Antonio resistiamo col partito del dolce e sgarriamo
solo con i “frittissimi” churros, buoni, sembrano sciogliersi in bocca.
Prima tappa di stamattina ufficio informazioni di Morro Jable e spedizione
souvenir (malgrado l’insofferenza di Antonio per questi miei vizi commerciali).
La signora dell’ufficio informazioni ci da’ buone dritte, il nostro obiettivo è quello
di esplorare la zona nord dell’isola, dopo aver già completamente visto la zona sud
e con la volontà di esplorare oggi il centro. E poi ci promettiamo di esaudire entro
la fine delle vacanza due nostri piccoli desideri, Antonio quello di vedere da vicino
l’azione delle pale eoliche, io quello di fare un giro sopra un cammello.
Dopo il giro shopping, vamos in cerca di una spiaggia e sulla strada arriviamo al
più famoso punto di ritrovo per windsurfisti di tutta l’isola, Playa de Butihondo. E’
incredibile quanto vento, quanto mare, quanta sabbia.
Il signor Oceano è sempre ai nostri piedi, la spiaggia è
larghissima e si estende in lunghezza per decine di
chilometri. L’unico neo è la solita sabbia tagliente che
spinta dal vento, raffica dopo raffica, si infrange sulle
nostre povere gambe. A volte, complice la bassa
marea, vicino alla riva sembra di camminare sulle
acque, come fossimo dei santoni.
Tratti di spiaggia, poi mare, poi spiaggia e così via, fino a che la profondità non
diventa sufficiente a farci immergere: ci buttiamo in acqua secondo i principi
naturisti.
Sullo sfondo i surfisti ricercano l’onda della loro vita. Forse a volte è questo il
senso, tutti noi cerchiamo un’onda e deve essere quella che ci porta lontano.
Dopo il bagno rimaniamo a prendere il sole immersi per metà in una specie di
piscina naturale in cui l’acqua è bassissima, sembra il paradiso. Una vita “da non
muri’ mai”…. ma il nostro godimento si interrompe all’improvviso, bruciore
improvviso, ci grattiamo, ma cosa abbiamo sotto?
Antonio definisce “tipo mignatte” questi esserini di
color bianco vitreo che ci stacchiamo dalla pelle;
sembrano piccoli vermi di 2 o 3 millimetri di lunghezza.
Dopo il trauma da piccoli Rambo che ci ha toccato nel
profondo, ripartiamo e dato che passiamo per Costa
Calma approfittiamo del pranzo già pagato in albergo.
Poi rotta per la zona centrale dell’isola.

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La prima tappa è Pajara: prima di arrivare all’ingresso del paese svoltiamo verso la
spiaggia di Garcey, dove la storia narra che sia affondato un transatlantico tipo
Titanic i cui resti sono ancora ben visibili dalla costa (inspiegabilmente il relitto
non è stato mai tirato fuori dall’acqua). La strada per arrivare è tremenda, ci
addentriamo nel deserto più assoluto a arriviamo alla mitica spiaggia.
Niente transatlantico, ossia a largo si vede qualcosa
che sembra uscire dalle onde: è l’ultimissima parte
emersa della nave, ma da lontano potrebbe essere
scambiata per una grossa roccia rossiccia. In
compenso scoviamo una grotta bellissima che ci
richiama la spelonca del Ciclope Polifemo, quante
versioni…
Entrando piano piano si vede in fondo una luce,
mentre i pesci accompagnano la nostra esplorazione. Antonio riesce a prenderne
uno, nero, molto bello. Lo battezza Jordan, dopo averci un po’ giocato e dopo aver
fatto le foto di rito, lo ributta in acqua.
La parentesi da esploratori è terminata e dirigiamo
verso Pajara, cittadina che richiama fortemente i
paesetti messicani. Case bianche, chiesa gotico-
atzeca (chiusa stranamente per tutto il pomeriggio)
e qualche bottega tipica. Poi rotta per il Parque
Natural de Betancuria e Ajui.
Saliamo di quota su questa montagna rocciosa e il
paesaggio ci rasserena e ci fa sentire vivi. Sopra la
playa di Ajui si snoda un camminamento che sale ripido verso un promontorio a
picco sull’oceano, punteggiato da grotte e con una distesa di sabbia nerissima in
basso. La bellezza mi assale metro dopo metro, i gabbiani volano sopra di noi.
Betancuria è invece un piccolo paese tra le montagne
rocciose che sembrano appartenenti ad un altro
pianeta. La strada è stretta ed è limitata da blocchi di
mattoni dipinti di bianco e va sempre più su. Sotto di
noi il nulla. In macchina guido e basta. Non riusciamo
neanche a parlare, ma siamo felici, si vede anche
negli occhi di Antonio. Il mio compare catoplepa
vede uno scoiattolo, ci fermiamo, e il piccolo animale
si nasconde nella sua tana. E’ particolare, ha una coda atipica.
Proseguiamo il nostro viaggio verso Antigua, poi Tiscamanita e infine Tuineje.
Sono paesi famosi per l’artigianato, i prodotti di ceramica e l’aloe vera, ma si
avvicina l’ora di cena e tutto è ormai già chiuso o sta per chiudere. Torniamo tardi
nella nostra dimora alberghiera, siamo veramente stanchi, dopo cena andiamo a
letto.
Un pensiero mi accompagna nel sonno: senza nulla togliere alle altre esperienze,
penso che sia la vacanza più bella della mia vita. Sono felice e in questi posti trovo

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il Dante che mi piace. E anche se non lo ammetterà mai, penso sia la stessa cosa
per Antonio.

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16 Luglio 2008

“Lanzarote: il vulcano, la nuvola e il cammello”

Ci svegliamo alle 7:00.


Dopo aver deciso la sera precedente l’orario del risveglio, ci rendiamo conto che la
scelta è la più giusta, anche guardando il cielo fuori della finestra. L’obiettivo è
esplorare il nord senza programmi più di tanto stabiliti, considerando che però
entrambe le isole del nord, Lanzarote e la Isla de los Lobos, dovranno essere
visitate prima della partenza.
Il cielo ci aiuta a decidere. Nuvole immense, c’è molto vento
e il solito sole africano che ci ha accompagnato fin
dall’arrivo sull’isola, oggi non sembra voler uscire.
Comunque incuranti del pericolo facciamo colazione e io
stavolta cedo alle lusinghe delle abitudini alemanne: bacon
and eggs. Basta non pensare che mi sono appena svegliato, le
papille gustative si abituano.
Partiamo e durante il viaggio in macchina, tra foschie, nuvole
e la temperatura che sembra scendere di qualche grado,
scegliamo la nostra meta del giorno: l’isola di Lanzarote.
“E’ come andare sulla luna” ci hanno detto in molti.... è l’isola, tra quelle
dell’arcipelago, più vicina all’Africa (appena 100 chilometri) e quella vulcanica
per eccellenza.
A Corralejo, il paese più a nord di Fuerteventura, prenderemo il traghetto che ci
trasporterà sulla vicina isola.
Non essendo il tempo dei migliori, la scelta di non fare vita da spiaggia è
sicuramente più che giusta. Mi sento però un po’ giù di morale, sono
metereopatico e spero che all’improvviso il sole faccia capolino tra le nuvole.
La radio che ci accompagna ci viene in aiuto e finalmente trasmette un po’ di
musica internazionale dopo ritmi spagnoleggianti a go go i questi giorni.
Riassaporiamo David Bowie, The Corrs, Natalie Imbruglia e gli immancabili degli
anni 80’. Arriviamo a Corralejo e subito ci traumatizza il prezzo del biglietto: 160
euro per noi due più Clio.
E’ una bella botta, non ce l’aspettavamo, ma in fondo in vacanza o tutto o niente.
Questo pensiero mi risolve il cruccio iniziale e ritorno felice come un bimbo
quando ci informano della possibilità di fare una piccola escursione a cammello
appena giunti a Lanzarote.
Dopo appena venti minuti avvistiamo l’isola, il sole appare e scompare, tempo
incerto. Ma sono felice... navigare mi è sempre piaciuto, anche se, in fin dei conti,
ho fatto sempre tratte brevi nella mia vita. E’ bello vedere l’acqua che scivola via

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sotto la barca, le onde, il mare che si illumina di riflessi e il vento che mi
scompiglia i capelli (ormai sono peggio di Francesco Renga).
Scendiamo dal battello a Playa Blanca e dopo essere usciti dall’area portuale
rimaniamo a bocca aperta ancora una volta. Sembra di essere sul set di “2001
Odissea nello Spazio” o nel Regno di Mordor del “Signore degli Anelli”. Che
paesaggio, la strada è drittissima e tutto ciò che vediamo intorno è ricoperto di
lava. Aiutano a comporre la terrificante scenografia anche le nuvole che si
muovono cattive, tutto scuro, assenza di luce, la bellezza sta nella potenza che
questo posto ci sta trasmettendo.
La prima tappa è Timanfaya, da come ci hanno detto
lì potremo fare il nostro incontro ravvicinato con i
nostri fratelli cammelli.
E’ freddo, la temperatura sembra scendere, il sole
ormai è un’utopia, ma mi basta vedere da vicino
questi animaloni così buffi e buoni, che butto via
tutta la negatività. Salire sopra un cammello è
divertente, ma anche una prova di equilibrio.
Immaginate una povera bestia sollevare da terra due
lonzoni come me e Antonio, uno da una parte e uno
dall’altra. Su e giù, su e giù, il cammello che si gira,
il cammello che si
abbassa, e noi
contenti che cerchiamo di accarezzare la gobba.
Molto bello.
Dopo questa mia attesa esperienza, ci
addentriamo nel Parco Naturale di Timanfaya.
Entriamo in una terra vulcanica vera e propria,
paesaggio di un altro pianeta, rosso, nero e
marrone che predominano, la lava che ci
circonda.
Arriviamo perfino in un ristorante dove sfruttano ancora gli “effetti vulcanici” e
mettono a cuocere la carne sopra una specie di cratere. Con un pullman
cominciamo un giro prodigioso in una zona off limits, la voce della guida in più
lingue ci accompagna, abbinata ad una colonna sonora da film colossal o biblici.
Da far venire la pelle d’oca, sembra l’Armageddon. Atmosfera unica.
Antonio lo vedo, sembra quasi commosso: io non riesco a rendermi conto
nemmeno di dove sono. Sono pieno di emozioni. Dopo esserci risvegliati da questa
visita metafisica, ci dirigiamo in direzione Yaiza e approdiamo per ristorarci in uno
snack bar nel paesetto lanzarotese.
Yaiza è troppo sudamericana, richiami continui al Messico: sul nero del fondo
predominano le casette bianche e uno strano color verde distribuito sui pali della
luce e sugli infissi di porte e finestre. Conosciamo un personaggio tipico della
zona: Julian.

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Julian fa il pintor-imbianchino, barba nera e capelli lunghi ricci, voce roca e
potente alla Freddy Krueger. Per noi è semplice prendere confidenza, capisce che
siamo italiani ed essendo un appassionato di moto tesse le lodi di Valentino Rossi
e Marco Melandri ai danni del loro Pedrosa.
Ritiene poi inconcepibile che noi chiediamo il permesso di fumare nel locale, lui
non l’ha mai fatto e gioca un po’ a prendere in giro la barista, ormai è un “abituè”.
La foto con lui è obbligatoria.
Lanzarote meriterebbe di essere perlustrata più a
fondo, ma alle 18 c’è l’ultimo traghetto che ci
riporterà a Fuerteventura, ci dobbiamo muovere.
Dopo averlo bevuto a pranzo, ci rendiamo conto
di cosa dobbiamo portarci via da Lanzarote come
ricordo: il vino.
Grazie a una signora che passeggia per le vie di
Ayza, ritroviamo una piccola cantina fuori dal
paese. Il buon Don Miguel, agricoltore
oriundo, produce il vino nei terreni vulcanici lì
intorno e si dimostra molto disponibile quando
gli facciamo capire la nostra intenzione di
acquistare qualche litro del suo prodotto: spilla
dalle botti prima il tinto.. poi il blanco e dulcis
in fundo anche il moscato. E la vida diventa
loca.
Paghiamo e sorridenti usciamo con due
bottiglie di vino, di plastica, altre non ne aveva.
Tutto sa di casereccio.
Prima di tornare a prendere il traghetto a Playa Blanca ci dirigiamo verso l’ultima
tappa, El Golfo e Charco de los Clicos dove possiamo ammirare una strana laguna
di colore verde. Incredibile quanto delle rocce possano diventare delle espressioni
artistiche. Insenature di ogni forma si affacciano sull’oceano, la spiaggia è nera
come il petrolio e in mezzo una laguna verde che sembra essere un piccolo
gioiello. Ci domandiamo il perché di questa laguna, ma in fondo è così, qui sembra
tutto speciale e privo di risposte.
Ci imbarchiamo alle 18 e salpiamo. Il sole sembra uscire proprio adesso, dopo una
giornata nuvolosa. Prendiamo il sole sul ponte del traghetto e parliamo della nostra
soddisfazione per il viaggio. Sta andando tutto per il verso giusto e, senza togliere
nulla alle altre esperienze ed agli altri viaggi del passato, penso che questo sia il
più bello e spettacolare che abbia mai fatto.
Dopo la cena al Sunrise Monica Beach ci godiamo lo spettacolo in discoteca di un
gruppo cover degli Abba, così bravi che sembrano quelli veri. Le due ragazze con
belle coreografie cantano in coretti notevoli. Con la loro bellezza e bravura
offuscano la prestazione del terzo elemento, un chitarrista al centro del palco.
Brindiamo con un goccio di whisky e andiamo a letto contenti.

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Siamo felici entrambi e quando succede qualcosa del genere bisognerebbe urlarlo
al mondo intero.

Con Antonio ci siamo divertiti a riassumere con delle parole chiave


momenti ed episodi della vacanza..
Ecco qua…(senza un ordine di importanza ben preciso…)

POCCE
NATURISMO
CIUCCIO
VENTO
SIGNOR OCEANO
MULINO
CAPRA
CAMMELLO
ALEMANES
DUCADOS
CHINTIA
JULIAN
DON MIGUEL
JORDAN
PORCO DITO
JAFAR, ACIF E AGADIR
GATTI
CATOPLEPA

17 Luglio 2008

17
“Vento e deserto”

Ci svegliamo come sempre presto, alle 7:00.


Ancora a Nord per l’esplorazione di spiagge e di
paesi dell’entroterra. Il tempo sembra essere
buono, partiamo dopo colazione verso Corralejo,
la spiaggia e la vita da spiaggia sono gli obiettivi
della mattinata.
Ad aspettarci troviamo il deserto vero e proprio,
sembriamo sul set del film Lawrence d’Arabia,
il vento è fortissimo e la sabbia assomiglia ad
una lama sulle nostre povere gambe.
Camminiamo tra le dune, c’è una specie di
strapiombo di sabbia e Antonio si butta giù
rotolando, sembra sparire in questo nostro piccolo
Sahara.
E’ impossibile stendersi e prendere il sole, siamo
sommersi da questa tempesta di sabbia. Ci
spostiamo allora a ridosso della costa, verso una
zona meno desertica, intorno a noi windsurfisti,
kitesurfisti e surfisti da ogni parte del mondo: è
casa loro.
Camminiamo tra sassoni e l’acqua è limpidissima, il fondo è verde e i pesci
piccolissimi.
Proseguiamo poi verso Corralejo, che è la cittadina più grande del nord di
Fuerteventura, ma il centro è una zona commerciale e preferiamo dirigerci verso le
spiagge che circondano il paese, la prima è Machanicho.
Non è un posto troppo pulito, si vedono roulotte e baraccopoli all’orizzonte, ma è
sempre tutto selvaggio e ci piace. Il vento non è troppo forte e ritorna il nostro
naturismo, ormai siamo dei veri e propri attivisti.
A pranzo andiamo a Lajares, dove
possiamo provare il famoso capretto,
dopo averne incontrati tanti per la strada
in questi giorni. Una coppa di vino rosso
a testa accompagna la degustazione di
formaggi e della carne, appunto di
capretto, in umido. Siamo abbastanza
appesantiti, ma soddisfatti.
Dopo la “magnata tipica” andiamo a La Oliva, paese dell’entroterra. E’ come
fosse una città fantasma, il sole picchia e ci accompagna nella visita. Visitiamo la
casa de Los Coralones, vecchia reggia dei signori del paese ristrutturata
recentemente per volontà del saggio Juan Carlos. Il capretto si fa sentire e la

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passeggiata al chiuso nel castello è un toccasana. Ci sono dei particolari
interessanti e salendo in cima al torrione il paesaggio è mag-nifico (come direbbe
George Clooney nella pubblicità della Martini), si vede in tutta la sua grandezza il
monte Tyndaia a forma di cono. Avvertiamo la prima “presenza” italiana del
viaggio, una coppia di Lecco, ed è un piacere parlarci, mi mancavano certe
espressioni, l’Italia è l’Italia.
Il sole viene e va’, ma fiduciosi ci dirigiamo verso un’altra spiaggia, El Cotillo.
Anche qui il panorama e l’ambiente ci trasmettono positività, non mancano i
surfisti, ma sono assenti i naturisti. Ci riposiamo.
Describir, vivir, volver. E’ bellissimo, ma siamo
un po’ stanchi.
Il sole ci lascia definitivamente, fare il bagno
senza sole, con il forte vento e con il capretto nello
stomaco ci sembra difficile. Ripartiamo verso le
18 e ci scapppa un giretto per la città portuale di
Gran Taralejo: caos totale e tanto traffico.
Ripartiamo stanchi e affamati verso Costa Calma.
Immancabile la serata, dopo cena, al bar del Signor George Pedro di Don Perignon
(ribattezzato così da Antonio). Gli chiediamo due amaretti, ma lui ci prepara due
rum, e poi altri due... ci avviamo verso la devastazione. Ci ritroviamo a ballare –
tra pensieri e parole – i pezzi migliori “La Colita”, “La Bomba” e infine “Torero”,
ballo che me gusta mucho. Ne sentiremo parlare. Buonanotte a tutti i suonatori.

18 Luglio 2008

19
“L’isola dei lupi o dei cani?”
Altro risveglio nella camera 427, domani sarà il giorno della partenza. La solita
sveglia alle 7:00 si trasforma in un risveglio alle 8:00. Abbiamo sentito entrambi la
sveglia, ma ci siamo riaddormentati simultaneamente.
Stanotte addirittura sentivo Antonio parlare da solo, evidentemente stiamo
invecchiando, ci stiamo disabituando agli stravizi. Il cielo non è proprio sereno, ma
siamo ottimisti.
Oggi è in programma la visita alla Isla de Los Lobos, l’isola dei lupi, dei cani, o
“de li callupi”. Saremo dei piccoli Robinson Crusoe, data al descrizione che ci
hanno fatto dell’isola.
Dopo la colazione e il rifornimento alla ormai nota pompa di benzina, ci
incamminiamo per l’ennesimo viaggio verso il nord. Penso a quello che resta da
vedere, domani andremo via e un po’ mi dispiace, il tempo per visitare ed
ammirare tutte queste bellezze non basterebbe mai.
Arriviamo a Corralejo con il cielo nuvoloso, silenzio e morale basso
spadroneggiano nell’abitacolo della Clio. Fortuna l’autoradio, all’improvviso Love
generation di Bob Sinclair ci rinvigorisce, volume a palla, finestrini abbassati e noi
che salutiamo i passanti. Arriviamo al porto per imbarcarci, stavolta senza l’auto,
per Los Lobos e il tempo sembra cambiare poco a poco.
Il viaggio sarà brevissimo, una decina di minuti, la piccola isola è vicinissima. Sul
traghetto si può stare all’aperto sul ponte, o sottocoperta e, attraverso i vetri
montati direttamente sulla chiglia, si può vedere il fondo del mare, i pesci e le
stelle marine sfilare via. Antonio è perseverante e rimane giù, io faccio spola tra
l’interno e l’esterno.
Mi piace stare a prua mentre si naviga. Mi sembra di essere Cristoforo Colombo,
mi faccio fare una foto da un inglese mentre ci avviciniamo lentamente a Los
lobos. Il sole picchia forte, siamo fortunati oggi.
Si dice che in quest’isola ci sia una razza particolare di granchi albini, chi riesce a
vederli sarà fortunato per tutta la vita. Non ci credo a priori, ma in fondo sarebbe
bello trovarne uno, magari ci
autoconvinciamo di essere per sempre
fortunati. Approdiamo, terra, terra.
L’isola sembra disabitata, ci dicono che in un
paio di km ci dovrebbero essere due o tre
baracche dove “forse” si potrebbe mangiare
anche qualcosa. Tutto il resto è selvaggio, ci
avviciniamo alla prima spiaggia, l’acqua è
limpidissima, passa dall’azzurro, al verde,
fino al blu.
Incontriamo una famigliola proveniente da Roma. Emblematico il personaggio del
capofamiglia, un signore distinto che sembra essere arrivato alla soglia dei
cinquanta. Importante la frase, mentre parla della sua vita e dei suoi figli piccoli:

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”Io mi sono sposato a 41 anni, voi siete fortunati…l’importante è vivere, avere dei
ricordi”.
Da qui partirebbe la riflessione interiore, io e Antonio ci guardiamo e ci capiamo al
volo. Stiamo producendo dei ricordi futuri, questo ci fa sorridere.
Andiamo avanti per la playa, non resistiamo e facciamo subito il bagno, il
naturismo è d’obbligo, ormai siamo entrati come in un vortice. E la cosa buffa è
che gli altri bagnanti a volte ci imitano, siamo degli apripista.
Antonio ha gli occhialini tecnici e facciamo una sorta di snorkelling base, vediamo
i pesci e le alghe.
E’ curioso, ma sott’acqua ci sono parecchi pesci morti e scattiamo pure delle foto
in compagnia di questi piccoli cadaveri.
Ci sarebbero dei sentieri da percorrere intorno all’isola, ma è ora di pranzo e
raggiungiamo la baraccopoli adibita a ristorantino e ci mangiamo la solita paella
de mariscos.

A questo punto è doveroso un piccolo intervento postumo di Antonio che,


rileggendo il diario di viaggio, si è accorto di una colpevole omissione del
companero Dante......

..... siamo in ballo, l’isola è fantastica e invita a sognare e alle 11 del mattino,
nonostante una faraonica colazione consumata nella sala mensa del nostro
residence, il buon Dante si fa prendere da un attacco di panico paranoico!
Non c’è nulla da mangiare sull’isola e la fretta di imbarcarci ci ha costretti,
qualche ora prima, a rimandare a momenti più tranquilli la ricerca del pane e del
companatico!
Sentiamo da più voci che dovrebbe esserci
una baracca che sforna dei piatti caldi e,
benché fossi fin dal mattino orientato verso
l’acquisto di un modesto ed economico
panino da asporto, non riesco a guardare gli
occhi da fiera dantesca del mio compagno di
viaggio che si fanno sempre più vuoti e
bramosi di paella coi mariscos. Ancora una
volta, anche nell’isola più selvaggia che ho
mai visitato, bisogna cedere al consumismo e
alla nostra indole “italiota” che ci spinge a “magna’ i maccaroni” in qualunque
lido si approdi!
Arrivati finalmente alle baracche dopo qualche chilometro di cammino con Dante
in preda ai miraggi, ci trattano malissimo (fuori dall’ambiente ovattato dei
residence per tedeschi, non è che i villici siano molto cortesi con i turisti, anzi
sono abbastanza teste di cazzo) e ci dicono che è possibile mangiare solo su
prenotazione e che è tutto pieno per almeno 2 ore. Si sfiora la crisi isterica!
Sono appena le 11:30 e a me starebbe bene anche mangiare uno o due gelati
confezionati, tanto per fermare la fame, e ripiegare poi nel tardo pomeriggio su
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un’abbondante merenda-cena al residence, ma Dante, sempre più” lonza”
dantesca, punta i piedi e diventa fanciullo reclamando il pasto a sedere.
Penso che non sarò mai un buon educatore... cedo per il quieto vivere alle
insistenze di Dante e cerco di convincere il gestore a darci retta. Riusciamo a
rimediare, secondo me più per la faccia supplichevole di Dante che per i miei
tentativi di convincimento, due abbondanti porzioni da asporto di paella e alla fine
si libera pure un tavolo e ci tuffiamo a capofitto nella comida.
Dopo tanto penare era venuta fame pure a me.....

A tavola nasce il dibattito tra me e Antonio, il tema è l’inquinamento, il colore


dell’acqua, Civitanova, Canarie. Io sostengo che la bellezza dell’acqua e il colore
sono indici di assenza di inquinamento, Antonio ritiene che l’inquinamento di
un’acqua non si basa nè sulla bellezza, nè sul colore. Forse la ragione sta da
ambedue le parti, ma non si riesce a trovare un accordo, il sogno si scontra con la
tecnica.
Dopo mangiato ci inoltriamo per un sentiero, è molto bello nella sua solitudine.
Ho un imprevisto eritema solare sulle braccia, fortunatamente Antonio ha una
maglietta a maniche lunghe e così cerco di coprirmi, rischio di andare a fuoco.
Ricevo un messaggio del vicedirettore della filiale, lunedì sarà a lavoro (doveva
andare in ferie, ma evidentemente sono saltate). E’ il primo sintomo della vacanza
che sta finendo. Per un attimo, dopo questo sms e l’eritema solare, sono con la
mente già a Macerata.
Verso le 17 ritorniamo con il traghetto a Fuerteventura. Mezzi ustionati, ma felici
per l’ennesima giornata positiva, ci apprestiamo a rifare la strada che ci riporterà a
Costa Calma. Dopo aver visitato le Saline che troviamo sulla via del ritorno, una
tappa è obbligatoria per chiudere il cerchio e
soddisfare il desiderio di Antonio: dopo la
mia passeggiata sul cammello è il turno
delle pale eoliche.
Prendiamo una strada secondaria sabbiosa
che ci conduce sbandando a più riprese sotto
questo complesso di eliche giganti. Quanto è
imperiosa questa energia eolica, Antonio è
felice, si vede, e io lo sono, anche per lui.
Torniamo contenti e sereni, anche se la
vacanza sta finendo.
Dopo cena, preserata con un bel musical sui Queen, poi i soliti balli di gruppo,
aspettiamo fino alla fine “La Colita” e il nostro “Torero” che ormai ci è entrato nel
sangue. La nostra coordinazione nel balletto sta migliorando, quasi come gli
animatori. Poi a nanna che domani ci aspetta l’aereo.
19 Luglio 2008

22
“Madrid e la Colombia”

Sveglia alle 9 e ultima colazione in mezzo ai nostri crucchi nordici.


Troviamo in camera un piccolo pupazzetto dell’uomo ragno: è un segno, non so di
cosa ma sembra un segnale. Sarà la nostra mascotte per il ritorno.
Oggi si parte e per l’ultima volta facciamo la salitella che ci conduce alla pseudo
sala-ristorante del residence. Il solito vento fresco del mattino, gli “hola” dei
tedeschi che incontriamo, la casetta puzzolente dei gatti sulla destra sotto le palme.
Ultima colazione, pancetta e uova. Adios Alemania.
Riconsegniamo le chiavi e con gioia ci togliamo il braccialetto di plastica che
eravamo obbligati a portare come segno di riconoscimento. Salutiamo la spiaggia e
la Costa Calma, un bel sole ci sorride, ma non è eccessivamente caldo.
Sulla radio ci accompagnano le note di James Blunt, “Carry you home”, come al
solito la radio legge i nostri pensieri. Passiamo dal nostro “Orlando rent a car” e
lasciamo la nostra coraggiosa Clio. Sembra abbia partecipato alla Parigi - Dakar.
Dopo i controlli di rito ci trasportano con il pulmino all’aeroporto di Fuerteventura,
check-in e poi pranzo con un bocadillo.
Faccio in tempo a comprare l’ultimo souvenir e
si va. Seduti a ridosso di una delle uscite di
emergenza dell’aereo, siamo investiti di
maggiori responsabilità e dobbiamo studiarci
un opuscolo con le manovre da porre in atto in
caso di disastro.
Il viaggio si rivela da subito tremendo: alla mia
destra Antonio, ma alla mia sinistra uno degli
individui più puzzolenti della storia umana. E’
un misto tra il nostro Stefano Blanchi (vecchio collega del liceo classico), Jeff
Turner, allenatore di Mark Lenders e un simil Messner delle Canarie. Barba lunga,
scuro di carnagione (poche docce forse?) e bracciali colorati ai polsi, camicia di
lino a maniche corte e jeans. Vuoti d’aria e stanchezza fanno da contorno a queste
continue folate di puzza orrenda. Il tempo non passa mai.
Arriviamo a Madrid e oltre ad un’ora di fuso in più, troviamo anche un caldo
umido pazzesco, abbiamo veramente cambiato continente. Fuerteventura ci manca,
ma compro in aeroporto dopo giorni di astinenza la gazzetta dello sport.
Arriviamo sudando alla fermata autobus e il numero 101 ci porta ad Avenida
Alcalà, la via dell’albergo. Lasciamo le valigie e programmiamo un giro per la
ciudad. Antonio ci è già stato qualche anno fa e con mappa e cartina della metro
alla mano ci avventuriamo.
Il mio sogno è visitare il Santiago Bernabeu, Antonio cerca di dissuadermi perché
secondo lui è troppo lontano dal centro, ma i miei occhi da bambino lo
convincono. Prendiamo la metro e risaliamo in superficie proprio davanti a questo

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tempio del calcio e ripenso a tante storiche partite: l’Italia del 1982, la Juve del 95’
e del 98’.
Lo stadio è chiuso, ma da una porta riesco a intravedere un pezzo di prato. Anche
la tienda dei souvenir è chiusa, riesco a fare solo qualche foto nei dintorni. Sono
felice, sono riuscito almeno in parte a respirare l’atmosfera storica di questo stadio,
rifletto sui casi della vita e sul destino che ci porta a situazioni ed emozioni mai
immaginate prima e Antonio sintetizza il mio pensiero con una delle sue chicche:
“Che ne sai quanti giri fa na’ boccia?” (dietro la semplicità c’è un mare magnum).
Per sdebitarmi con il mio compagno di viaggio e
soprattutto per ringraziarlo per la sua pazienza
(a lui non gliene poteva fregare nulla del
Bernabeu) gli offro un aperitivo nel bar
all’interno dello stadio. Una bella sangria fresca
accompagnata da un mucchio di olive salatissime
apre la nostra serata di movida madrilena.
Dopo aver studiato la metropolitana, arriviamo a
Plaza Mayor che è stracolma di gente. Madrid
pulsa. E’ una città viva e multietnica: mi sento spaesato.
C’è una festa in piazza, colombiani su colombiani, bandiere che sventolano,
magliette, bottiglie per terra, gruppo che suona sopra un gigantesco palco. Tutti
sembrano scatenati, cerchiamo di tagliare tra la folla ed è caldissimo. Vaghiamo
alla ricerca di un posto dove mangiare e ci troviamo davanti il Botin, locale
caratteristico della città.
Il metre di sala ci fa accomodare (dopo un giro inspiegabile e inquietante per le
cucine) in una fresca sala, siamo sotto terra, come in una vecchia cantina.
Vino tinto carissimo, io vado per il maialino da latte, Antonio opta per il vitello.
Buona cucina, vino bello tosto, è una serata carnivora. Tra sangria , vino e
stanchezza siamo quasi in dimensione parallela.
Uscendo rifacciamo Plaza Mayor e balliamo in
mezzo ai colombiani che con alcol e musica
festeggiano la loro nazione lontana, ma che li
unisce qui in Spagna. Sventolo la bandierina, w
la Colombia, w Shakira, ecc..
Dopo aver sbagliato inizialmente la direzione
della metro, stanchi e poco lucidi, ritorniamo
verso la zona albergo, è mezzanotte passata. E’
caldissimo e tra 3 o 4 ore suonerà la sveglia per
tornare in aeroporto. Che sonno, adios Madrid.

20 Luglio 2008

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“Il ritorno tra sogno e realtà”

Ore 5:00.
Non sento la sveglia, fosse stato per me sarei rimasto li per una decina di ore.
Antonio mi risveglia dal mio stato comatoso.
Taxi sotto l’hotel e ci troviamo in poco tempo al terminal, ma alla porta 1,
dobbiamo camminare parecchio per arrivare alla porta 2.
Check-in e poi graditissima colazione al bar, ci stiamo avvicinando piano piano
all’Italia, sentiamo più voci amiche in aeroporto.
Ci assentiamo a turno per motivi fisiologici, e poi ci imbarchiamo.
Con dei flash mi tornano in mente i nostri incontri, i posti ammirati, sembra essere
stata un’odissea, un’avventura esaltante riuscita alla grande, che mi lascerà soltanto
ricordi positivi.
Siamo riusciti a vedere e a vivere quello che desideravamo, siamo andati d’accordo
nei nostri compromessi e nei nostri comuni intenti, salvo rare e ininfluenti
occasioni (vedi russare e shopping).
Pur essendo come la teoria e la pratica, come il sogno e la realtà, questo Dante e
questo Antonio hanno condiviso una continua esplorazione, una continua
esplosione di emozioni.
Magari potevamo riposarci di più, in fondo abbiamo macinato km su km, ma non
avremmo potuto vedere e vivere tutto quello che poi abbiamo visto e vissuto.
Abbiamo staccato completamente con le nostre vite, con il nostro mondo, e in
fondo è questa la cosa più importante.
El Cofete, le caprette per i sentieri, Lanzarote e i vulcani, i cammelli, le pale
eoliche e tanti altri momenti e pensieri mi accompagnano nel viaggio di ritorno,
sempre tra le nuvole, sempre tra l’acqua e il cielo.
Ma perché è la prima volta che scrivo una sorta di diario di bordo? Mi pongo
questa domanda, in fondo di viaggi ne ho fatti degli altri più o meno lunghi in
passato.
A parte il fatto che mi piace scrivere penso che in quest’età e in questo momento
della vita riesco ad assaporare meglio l’attimo, a conservarlo e a cercare di portarlo
con me.
Ne riesco a capire probabilmente una maggiore importanza e ho l’esigenza di
esprimerlo in qualche forma.
E poi con Antonio, oltre alle stronzate, c’è una condivisione di qualcosa che va
oltre la cultura, malgrado le due visioni di vita a volte opposte, la definirei amicizia
letteraria ed espressiva.
Ripenso alla scritta fuori del centro informazioni turistiche a Morro Jable: “Vivir,
Describir, Volver”.... la partenza, il vissuto, la scoperta e li ritorno.
Atterriamo a Roma.

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Vedo Antonio contentissimo, ritornare a casa è sempre speciale, lo sono molto
anche io, anche se quelle isole mi mancheranno. Dopo aver chiamato il Parking Go
per farci accompagnare all’auto, risaliamo o bordo e decidiamo di tirare dritto
verso Macerata, programmando solo una pausa metano e bisogni. Potremmo così
fare pranzo con le nostre famiglie.
Il tempo passa velocemente, è caldissimo e in un batter d’occhio ci troviamo in Via
Verga, dove con un fischio Antonio saluta suo cognato e sua sorella che escono in
terrazzo.
E poi io, quando apro la porta di casa e in cucina trovo tutti, in particolare mio
nonno che si avvicina.... racconti, regali, tortellini e poi il sonno che rigenera.

Se potessi scegliere un’ipotetica sigla finale dovrebbe fare così (ovviamente coi
due protagonisti della storia che ballano sui tavoli)…

“Torero,
poner el alma en el ruedo,
no importa lo que se venga
pa' que sepas que te quiero, como un buen...
torero,(ollleeeee....)
me juego la vida por ti...”

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