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FARMACOLOGIA DELLE ALTE


DILUIZIONI

BOOK · JANUARY 2005

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Paolo Bellavite
University of Verona
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Available from: Paolo Bellavite


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Nirmal C. Sukul, Anirban Sukul
(Dipartimento di Zoologia, Visva-Bharati University, India)

FARMACOLOGIA

DELLE ALTE DILUIZIONI

Studi biochimici e fisici sul medicinale omeopatico

Traduzione italiana e presentazione


a cura di Paolo Bellavite
(Dipartimento di Scienze Morfologico-Biomediche, Università di Verona)

Salus Infirmorum
Titolo originale: ‘High Dilution Effects: Physical and Biochemical Basis’, edito da Kluwer Academic
Publishers (Dordrecht, The Netherlands).
Tradotto dalla prima edizione inglese, pubblicata nel 2004, a cura di Paolo Bellavite. Correzione testo a
cura di Chiara Braghetto, impaginazione a cura di Giovanni Gava, revisione a cura di Roberto Gava.

L’Editore si assume la responsabilità della correttezza della traduzione: ogni parola è stata scrupolosa-
mente controllata e studiata nei suoi possibili significati sia in lingua inglese sia italiana ed è stato scel-
to il termine che di volta in volta pareva più adatto. Dato però che “errare humanum est”, l’Editore rin-
grazia fin d’ora coloro che segnaleranno eventuali imperfezioni.

TUTTI I DIRITTI SONO RISERVATI


I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica, di riproduzione e di adattamento totale e parziale,
con qualsiasi mezzo (compresi i microfilm e le copie fotostatiche), sono riservati per tutti i Paesi.

© Copyright 2005

Salus Infirmorum snc


Via Piovese, 181
35127 - Padova - Italia
Tel. e Fax 049 - 7.55.44.6
Http://www.edizionisalus.it

ISBN 88-86893-64-7

Salus Infirmorum è una Società Editoriale impegnata anche negli aiuti verso i poveri del Terzo Mondo:
parte del guadagno viene devoluta per il conseguimento di tale scopo.
Nota dell’Editore Italiano

La pubblicazione di questo libro in italiano si deve alla Prof.ssa Noemi Favero del
Dipartimento di Biologia dell’Università di Padova, che a suo tempo me ne parlò
consigliandone la traduzione. Quindi, prima di tutto è a lei che deve andare il no-
stro ringraziamento. Oggi non è facile trovare docenti universitari con cuore e
mente aperti a ciò che può sembrare contrario a quello che è tuttora il pensiero
scientifico dominante, come è il caso dell’omeopatia.
Il lavoro di Nirmal ed Anirban Sukul, che ho apprezzato per lo sforzo intellettua-
le fatto per cercare di dimostrare gli effetti “farmacodinamici” dei preparati omeo-
patici ad alta diluizione, non è stato sicuramente facile: organizzare, completare e
pubblicare ricerche sperimentali con medicamenti omeopatici è molto difficile per
carenza dei finanziamenti necessari, dato che la ricerca mondiale è nelle mani delle
grandi multinazionali farmaceutiche, che sono economicamente disturbate da tutto
ciò che parla di omeopatia.
Il merito dei Sukul è duplice: oltre ad avere intrapreso molti studi sperimentali
con rimedi omeopatici, studi documentati dall’ampia letteratura riportata anche alla
fine di questa loro opera, sono riusciti a riassumerli nel presente volume permet-
tendone la diffusione e una fattibile comprensione. Ciò non è poco, specie in questi
giorni in cui l’omeopatia fa molto parlare di sé.
È vero, oggi si parla tanto di omeopatia ma, strano a dirsi specie in ambito scien-
tifico, troppo spesso ne parlano di più quelli che ne sanno di meno.
È questa la nostra onestà intellettuale?
È questa la nostra Scienza “moderna”?
Fortunatamente, la potenza terapeutica del medicamento omeopatico è evidente
sia a moltissimi pazienti sia ai loro medici e sappiamo tutti che la verità può essere
nascosta o infangata, ma non può essere cancellata. Lo conferma la storia della
stessa omeopatia, che da due secoli viene attaccata da ogni dove, ma che continua
silenziosamente a progredire donando salute e serenità a coloro che ricorrono ad
essa.
Le prove scientifiche a favore dell’omeopatia sono già molte, ma oggi si arricchi-
scono anche di questo lavoro dei Sukul che dischiude molti segreti del mondo na-
turale anche ai non addetti ai lavori, portando luce e stupore a coloro che con ani-
mo aperto e indagatore gli si accostano.
Alcuni passaggi, particolarmente nel capitolo 3, sono molto tecnici e potrebbero
creare qualche difficoltà di comprensione a coloro che non hanno competenze di
fisica quantistica. In questo caso, si consiglia al Lettore di leggere tali parti co-
gliendo il senso generale, anche senza soffermarsi sui dettagli specialistici. Rispet-
to al testo originale, alcuni punti sono stati sviluppati o chiariti con note a fondo
4 NOTA DELL’EDITORE ITALIANO

pagina a cura dell’Editore e del Traduttore italiani. Nelle note sono stati talvolta
anche condensati dei dettagli sperimentali, originariamente presenti nel testo ma
non necessari per la comprensione del discorso fondamentale.
Come ogni opera scientifica, il testo non è esente da imperfezioni di natura tecni-
ca e probabilmente da errori, particolarmente nella parte che riguarda le prove
chimico-fisiche. A questo proposito, segnalo che, per garantire la massima corret-
tezza nell’informazione, il testo del capitolo 3 è stato sottoposto anche
all’attenzione di un esperto di chimica (Prof. Giulio Jori, dell’Università di Pado-
va), che ringrazio personalmente della disponibilità, il quale ha sollevato varie cri-
tiche al testo. Ciò ci ha consentito di eliminare una serie di errori e di revisionare
profondamente il capitolo 3 rispetto alla prima versione inglese, con il consenso
degli autori. In ogni caso, l’Editore e il Traduttore non avvallano ogni affermazione
o interpretazione dei dati qui contenute, ma rimangono convinti del valore di
quest’opera pionieristica, testimonianza di una ricerca tanto povera nei mezzi
quanto, giustamente, ambiziosa negli obiettivi.
Vorrei infine porgere un ringraziamento anche all’amico Paolo Bellavite, profes-
sore di Patologia Generale presso l’Università di Verona e traduttore di
quest’opera, che da anni ha indirizzato i suoi interessi di ricerca, attraverso non po-
chi ostacoli, alle azioni farmacologiche e fisiopatologiche dei medicamenti omeo-
patici. La Presentazione da lui scritta arricchisce il volume con un’aggiornata ras-
segna delle questioni attualmente più dibattute in questo campo di frontiera della
medicina.
Come insegna Socrate, l’umiltà di fronte alla grandezza della natura è principio e
garanzia di sapienza. Ed è sulla consapevolezza dei limiti di ogni umana conoscen-
za che dovrebbero fondarsi anche la Scienza e la Medicina.

Padova, 28 novembre 2005

Dr. Roberto Gava


PRESENTAZIONE
La scienza emergente dell’omeopatia
A cura di Paolo Bellavite

L’opera ‘Farmacologia delle alte diluizioni’ rappresenta un originale contribu-


to alla letteratura sulla questione omeopatica, di notevole interesse anche alla
luce della crescente diffusione di questa disciplina nel mondo medico e del fa-
vore che riscontra presso il pubblico. Diffusione e favore che non sono – va
detto subito – adeguatamente e proporzionatamente sostenuti dal supporto del
mondo scientifico ed accademico. Spesso l’omeopatia è ridicolizzata utilizzan-
do definizioni quali (testualmente): “acqua fresca”, “il nulla”, “un oltraggio al-
la ragione” e via dicendo. Tali opinioni sono espresse più che altro sulla base di
un ragionamento alquanto semplicistico, fondato sul senso comune: “basse do-
si, basso effetto, non dosi, no effetto”. Come se tutto in biologia dipendesse
dalla quantità di materia, come se l’unica informazione fosse quella molecola-
re, come se l’unica ragione risiedesse nel pensiero “lineare”, che pure le scien-
ze farmacologiche, immunologiche, biofisiche, neurologiche, per non parlare
delle scienze dei sistemi dinamici, si sono lasciate alle spalle.
Esistono molti pregiudizi nei confronti dell’omeopatia anche in alcuni impor-
tanti organismi istituzionali. Vedi ad esempio la mozione del Comitato Nazio-
nale di Bioetica (CNB), secondo cui “il CNB è preoccupato della proposta di
inserire le materie di insegnamento relative alle Medicine e alle pratiche non
convenzionali nei corsi di laurea di Medicina, di Odontoiatria, di Farmacia, di
Medicina Veterinaria, di Scienze Biologiche e di Chimica” (mozione del 24
aprile 2004) e la conclusione di un lavoro che si riferisce alla conferenza dei
Presidenti dei corsi di laurea in Medicina (maggio 2004): “In sostanza, non è
accettabile in alcun modo l’inserimento di insegnamenti di Medicine alternati-
ve e complementari nel corso di laurea in Medicina”1. Si tratta di posizioni che
trascurano il semplice fatto che le medicine complementari (da altri chiamate
anche “non convenzionali”), e tra queste soprattutto l’omeopatia, sono larga-
mente utilizzate dalla popolazione e dai medici e quindi andrebbero più inve-
stigate e meglio conosciute. Sulla questione etica e legislativa è intervenuto an-
che il nostro gruppo con un lavoro pubblicato dalla rivista “Medicina e Mora-
le”2, con un intervento presso la Conferenza Nazionale degli Ordini dei Medici
dei Terni nel 20023 e con un’articolata risposta al documento del CNB4.
6 PRESENTAZIONE

Una delle accuse piùfrequentemente mosse all’omeopatia è di essere “irridu-


cibile alle conoscenze scientifiche consolidate nella e dalla tradizione episte-
mologica occidentale” (CNB, 18 marzo 2005). Ma anche qui si cela un equi-
voco. Esiste infatti un criterio fondamentale che distingue la conoscenza scien-
tifica da qualunque altra forma di sapere, criterio che consiste nell’uso del me-
todo sperimentale. Da questo punto di vista è chiaro che la scienza è fonda-
mentalmente una e che non ha letteralmente senso pretendere di contrapporre
alla scienza cosiddetta “ufficiale” un’altra scienza “alternativa”. Questo libro
ne è un chiaro esempio, prima ed al di là della forza delle prove sperimentali: è
noto che ogni scienza cresce col tempo e, spesso, con percorso accidentato. Va
anche detto, per la precisione, che l’omeopatia ha avuto un’impronta sperimen-
tale sin dall’inizio, rappresentando addirittura il primo esempio di ricerca si-
stematica degli effetti dei medicinali sull’uomo sano.
A fronte dell’acceso dibattito presente nel mondo sanitario e spesso anche nei
mass-media, che tocca persino il “diritto di esistenza” dei medicinali omeopati-
ci, ben venga quindi un lavoro di sintesi e di rassegna sull’argomento più “spi-
noso” e paradossale: quello della possibile azione farmacologica di soluzioni
diluite al punto da non contenere più molecole del principio attivo originale.
Non si tratta di un’opera enciclopedica, quanto di un “reportage” dal banco di
lavoro, principalmente volto a presentare organicamente i risultati del gruppo
di ricerca indiano, per lo più sconosciuti al pubblico ma anche a gran parte de-
gli “addetti ai lavori”, in quanto pubblicati su riviste molto specialistiche.
Il lavoro dei Sukul e dei loro collaboratori è unico nel suo genere, perché
spazia dalla biologia molecolare alla clinica, dalla fisica atomica alla tecnica
farmaceutica, senza dimenticare di far riferimento ai principi tradizionali e
classici enunciati dai primi Maestri dell’omeopatia. In questa vastità di oriz-
zonti stanno insieme il pregio ed il limite: da una parte l’utilità di una visione
d’insieme e una consequenzialità che esaltano l’importanza delle singole sco-
perte, finalizzandole alla valorizzazione dell’intera omeopatia, dall’altra la dif-
ficoltà di risultare totalmente convincenti nei dettagli, mancando talvolta il nes-
so tra il risultato descritto – chiaramente importante e spesso clamoroso – e una
esaustiva presentazione del metodo seguito per conseguirlo. Questo limite è
comunque inevitabile per un’opera come questa, che si rivolge ad un pubblico
di non-specialisti.
Oggi è possibile trattare l’omeopatia come una disciplina medica che ha una
sua dignità, non solo storica ma anche biomedica e farmacologica, e quindi
cominciare a comporre un mosaico di evidenze e di teorie coerenti, dalla figura
affascinante e sempre più convincente. Il lavoro sperimentale dei Sukul, ripor-
tato in molte pubblicazioni scientifiche e compendiato in questo libro, fornisce
molti tasselli a tale mosaico, perché aumenta notevolmente la mole di prove
sperimentali in favore della realtà di un “effetto omeopatico”, evidenziabile in
PRESENTAZIONE 7

sistemi di laboratorio. Tuttavia, tale lavoro non si limita ad una serie di studi
frammentati, piuttosto cerca di costruire una teoria più completa, integrando i
dati nell’ambito di ipotesi fisiche e biochimiche di ampia portata.
In questa presentazione cercherò di fornire un quadro degli studi scientifici e
delle ipotesi correnti, senza riassumere né ripetere ciò che riferisce chiaramente
ed ampiamente il testo dei Sukul, ma collocando tale contributo in un contesto
di problematiche che riguardano l’omeopatia e presentando risultati di altri
gruppi di ricerca, che tale testo spesso trascura in quanto orientato principal-
mente al lavoro dei nostri due Autori. In tal modo ci si potrà fare un’idea più
completa dell’argomento e valutare meglio anche alcuni evidenti limiti
dell’opera dei Sukul, con la consapevolezza delle difficoltà tecniche che sono
di fronte a chiunque si approcci all’investigazione dell’omeopatia, come avvie-
ne in ogni campo di frontiera.

La ricerca clinica

L’effettiva utilità clinica è il primo problema che si pone a chi si rivolge, con
mente indagatrice e scevra da pregiudizi, all’omeopatia. Pare ovvio che, in as-
senza di qualsiasi prova attendibile della sua efficacia, sarebbe spreco di tempo
e di energie addentrarsi nello studio del suo meccanismo d’azione. Il libro dei
Sukul nella prima parte cerca di rispondere – positivamente – a tale domanda,
portando alcune esperienze degli omeopati. Va detto con franchezza che le
prove ivi riportate non corrispondono agli standard metodologici e qualitativi
che oggi sono richiesti per la validazione dei farmaci. Sono quindi solo delle
indicazioni, come dei suggerimenti, che indicano che l’omeopatia “potrebbe”
essere efficace. Non è però né intenzione né scopo del libro quella di riportare
una rassegna aggiornata sulla letteratura clinica in omeopatia.
Gli omeopati hanno da sempre svolto ricerca clinica, se non altro per affinare
le conoscenze degli effetti dei medicinali, cercando nella cura del malato la
controprova delle proprietà di medicinali scoperte nei soggetti sani. La lettera-
tura omeopatica è vastissima, ma è anche difficilmente accessibile sia perché
fatta da una serie di osservazioni frammentarie, sia perché pubblicata per lo più
su riviste oggi non più in corso di pubblicazione. La ricerca condotta con criteri
moderni ha cominciato a svilupparsi negli anni ‘70-‘80 del secolo scorso ed
oggi ha una discreta diffusione ed accessibilità, sebbene ad un livello incompa-
rabilmente ridotto rispetto a quella sui farmaci ufficiali. L’omeopatia trova
ostacoli nella relativa piccolezza del mercato (di dimensioni inferiori ad 1/100
di quello dei farmaci convenzionali), nella non brevettabilità della maggior par-
te dei medicinali omeopatici unitari, nella mancanza di interesse – o persino
8 PRESENTAZIONE

nella perdurante opposizione - da parte del mondo accademico e nella mancan-


za di cattedre universitarie.
La ricerca clinica in omeopatia è complicata dal fatto che le dosi di medicina-
le sono bassissime o persino inesistenti sul piano molecolare, cosa che spesso
preclude l’analisi farmacocinetica. Tuttavia, l’ostacolo più grosso nella ricerca
clinica in omeopatia – soprattutto in quella classica - è di ordine metodologico:
è molto probabile che pazienti con la stessa malattia, ma con diversa storia, di-
versa reattività vegetativa, diverso tipo costituzionale, diversa localizzazione
dei sintomi, richiedano diverse prescrizioni.
Un’altra ragione della scarsità di ricerca clinica in questo campo sta nel fatto
che nel corso della sua bicentenaria storia, l’omeopatia si è differenziata in
molti filoni, alcuni dei quali alquanto distanti dalla metodologia classica hah-
nemanniana, e le Scuole omeopatiche hanno sviluppato vari approcci clinici e
varie farmacopee (es.: diluizioni decimali o centesimali, formulazioni singole o
in complessi, alte o basse diluizioni), cosicché è difficile valutare l’efficacia
senza scendere in dettagli metodologici complessi. La letteratura che viene
passata in rassegna come “omeopatica” spesso non distingue tra tutte queste
diverse possibilità.
Gli studi clinici controllati (“trials”) condotti con criteri metodologici moder-
ni sono entrati nell’uso in tempi relativamente recenti e consistono in qualche
centinaio di pubblicazioni concernenti soprattutto le patologie dell’apparato
vascolare e coagulazione, dell’apparato gastrointestinale, dell’apparato musco-
lo-scheletrico (inclusa la reumatologia), le patologie otorinolaringoiatriche e le
sindromi influenzali, la chirurgia e l’anestesiologia, le patologie dermatologi-
che, quelle neurologiche, quelle ostetrico-ginecologiche e le allergie.
In sintesi, si osserva che il trattamento omeopatico si è dimostrato efficace in
molti studi clinici controllati, mentre altri studi hanno dato risultati negativi,
indicando che l’omeopatia può essere trattata, dal punto di vista statistico, co-
me altre forme di terapia. Alcuni Autori hanno messo in evidenza come la rigi-
da applicazione del doppio cieco rischia di snaturare il metodo clinico
dell’omeopatia, rendendo perciò la ricerca meno aderente a quella che è la rea-
le pratica dell’omeopatia, che richiede un continuo “feedback” di informazioni
dal paziente al medico curante.
I problemi metodologici, perciò, non possono dirsi ancora risolti in modo de-
finitivo. Le più recenti rassegne e meta-analisi, inclusa quella di un Gruppo di
Studio istituito appositamente dalla Comunità Europea, indicano che nel loro
insieme tutte le ricerche fin qui compiute sono a favore di un effetto terapeuti-
co dell’omeopatia, statisticamente distinguibile da quello di un placebo. Anche
seguendo i criteri di giudizio più rigorosi e “prudenti”, si deve concludere che
la probabilità che i risultati positivi finora riportati siano dovuti ad un effetto
placebo “generalizzato” o ad errori della ricerca è sicuramente trascurabile. Un
PRESENTAZIONE 9

recente lavoro di meta-analisi pubblicato dalla rivista The Lancet che, contra-
riamente ai precedenti, sosteneva la equivalenza di omeopatia con placebo5 è
stato molto criticato perché ha preso in esame solo otto lavori, scelti in modo
inappropriato6. Un generale ripensamento metodologico sui trials clinici è in
corso nella letteratura. Vari Autori sostengono, con buone ragioni, che nelle te-
rapie “complesse” (come omeopatia ed agopuntura) è scorretto e non ragione-
vole considerare come variabili indipendenti (cosa che fa il metodo classico in
doppio cieco) gli effetti “specifici” del medicinale e quelli “aspecifici” legati
alla conduzione della terapia ed alle aspettative del paziente7;8. un’adozione
acritica del trial clinico in doppio cieco potrebbe portare a risultati falsamente
negativi.
È pur vero che la mole di lavori indiscutibilmente dimostrativi è comunque
scarsa – anche perché sono moltissime le variabili nosologiche, metodologiche
e farmacologiche in gioco - e che mancano studi di conferma da parte di gruppi
indipendenti, cosa che rende difficile raggiungere conclusioni certe e fare rac-
comandazioni sull’efficacia del trattamento omeopatico in una specifica pato-
logia. A questo scopo, sarebbe necessario che i principali trials clinici pubbli-
cati finora venissero ripetuti.
Anche il problema degli eventuali effetti avversi dell’omeopatia è stato già
analizzato9-12. Gli Autori hanno concluso che i medicamenti omeopatici in alte
diluizioni, prescritti da medici esperti, sono probabilmente sicuri e non provo-
cano importanti reazioni avverse. Secondo alcuni Autori, in una discreta per-
centuale dei casi (circa un quarto) si verifica il cosiddetto “aggravamento
omeopatico”, vale a dire un aumento dei sintomi o una comparsa di sintomi
pregressi, dovuti ad una reazione terapeutica dello stesso organismo13, ma que-
sta è controllabile se la terapia è seguita da medici esperti. Secondo altri14, che
hanno esaminato la letteratura dei trial clinici, l’aggravamento omeopatico è un
evento molto più raro di quanto comunemente si ritenga.
Le ricerche cliniche finora disponibili sono sufficienti per sostenere che, se il
paziente lo richiede, sia giustificabile un approccio omeopatico nella terapia di
pazienti affetti da vari disturbi, sopra citati, particolarmente se tali condizioni
cliniche non mostrano andamento velocemente progressivo. In ogni caso, il
trattamento omeopatico non dovrebbe essere visto come “alternativo”, nel sen-
so di “opposizione” a quello convenzionale, ma come un trattamento di primo
livello, applicato con prudenza e razionalità, quando ne sussistano le indicazio-
ni, almeno come ipotesi di lavoro.
Soprattutto, ed è ciò che più conta per il problema enunciato all’inizio a que-
sta trattazione della materia, dall’esame della letteratura si deve concludere che
l’omeopatia non equivale al “placebo”, come molti oppositori sono troppo fret-
tolosamente portati a dichiarare. Pertanto, gli studi sul meccanismo d’azione
dell’omeopatia sono non solo utili ma necessari, al fine di dare dignità scienti-
10 PRESENTAZIONE

fica a questa disciplina, di precisarne natura e limiti e di sfruttarne le potenzia-


lità sperimentali per far avanzare le conoscenze scientifiche sull’uso dei farma-
ci.

Il “Simile”

Il “Principio dei Simili”, anche noto come “Principio di Similitudine” o sem-


plicemente “il Simile”, costituisce un interessante esempio di come un’idea ba-
silare atta ad orientare le scelte terapeutiche possa “affiorare” nella storia della
Medicina in diversi Paesi ed in diversi contesti culturali. Nella sua forma più
tradizionale, applicata dall’omeopatia ma risalente già ad Ippocrate, tale prin-
cipio afferma che quando una sostanza è capace di indurre una serie di sintomi
in un organismo sano, essa sarebbe anche in grado, in certe condizioni, di cura-
re quegli stessi sintomi se applicata a bassa dose (“Similia Similibus Curen-
tur”). Nelle sue versioni più scientificamente sviluppate, l’utilizzo del “simile”
in ambito medico si collega alle pratiche della vaccinazione (prevalentemente a
scopo preventivo) e della desensibilizzazione/induzione della tolleranza (preva-
lentemente a scopo terapeutico).
Il principale contributo di Hahnemann “assimila” le manifestazioni delle ma-
lattie spontanee alle manifestazioni di quelle malattie “artificiali” che si posso-
no provocare e studiare mediante sperimentazioni sui soggetti sani. I sintomi,
se ben individuati e raccolti in modo ragionato, sono l’espressione esterna del
disordine interno indotto dal medicinale. La sperimentazione sul sano - che
mette in luce gli effetti cosiddetti “puri” dei farmaci in quanto non influenzati
dall’effetto terapeutico - consente di definire l’effetto del medicinale in modo
molto fine e dettagliato, comprendendo tutte le molteplici manifestazioni che
una certa sostanza è in grado di produrre, a livello fisico e psicologico; la far-
macologia viene così enormemente raffinata in qualità. Allargando lo studio a
molte e svariate sostanze chimiche o biologiche, si amplia la farmacopea dal
punto di vista quantitativo, riuscendo a definire centinaia di diversi quadri sin-
tomatologici caratteristici di diversi medicinali.
Quando i due versanti, le conoscenze derivanti dalla sperimentazione sul
soggetto sano da una parte ed i sintomi del malato con la malattia naturale
dall’altra, sono messi a confronto per la similitudine, si osserva che la “malat-
tia” naturale è definita nel suo complesso con linguaggio e criteri analoghi a
quelli che sono usati per definire gli effetti “puri” dei medicinali.
Secondo il “simile” hahnemanniano, il malato si trova in una situazione fi-
siopatologica di disregolazione tale per cui i suoi sintomi sono l’espressione di
una attivazione/inibizione di determinati sistemi omeodinamici coinvolti nella
PRESENTAZIONE 11

malattia. Pertanto, per andare a “toccare” farmacologicamente quegli stessi si-


stemi e regolarli in senso terapeutico, è plausibile che si possa usare quel medi-
cinale che nel sano provoca gli stessi sintomi. A fronte di un simile trattamen-
to, il malato risponde in modo che il disordine viene reversibilizzato avviando
un processo di guarigione integrato su diversi livelli.
Questo è il “cuore” dell’ipotesi di lavoro rappresentata dal metodo omeopati-
co, che non ha nulla di “magico” ma si fonda sulle regole dell’omeodinamica
dei sistemi complessi. Infatti, per comprendere adeguatamente il possibile mo-
do d’azione dell’omeopatia, è necessario inquadrare il problema all’interno di
una concezione di patologia ad impostazione sistemica e dinamica, che trova
molto sostegno nelle scoperte della scienza biomedica, pur non essendo (anco-
ra) la veduta prevalente.15,16.
La visione dinamica del processo patologico, cui è necessario riferirsi per
collocare nella giusta posizione l’intervento medico, potrebbe essere così sinte-
tizzata: la storia patobiografica dell’individuo, fatta di fattori predisponenti di
tipo genetico e di incontri con i molteplici fattori patogeni, presenta continua-
mente fasi reattive, lontane dall’equilibrio, nelle reti omeodinamiche locali e
sistemiche. L’evoluzione di tali processi reattivi, nella maggior parte dei casi,
termina con il raggiungimento spontaneo (auto-organizzazione) di nuovi stati
d’equilibrio, descrivibili come attrattori fisiologici. Tuttavia, quando il danno è
molto grave e/o non è rapidamente riparato, il sistema continua ad allontanarsi
dall’equilibrio e provoca ulteriori danni (malattia acuta), oppure si sposta in un
nuovo attrattore (malattia cronica).
In altre parole, la malattia “acuta” può guarire spontaneamente – anche se
spesso a prezzo di marcati sintomi e di perdite di tessuto - perché appartiene al-
lo stesso “bacino d’attrazione” della fase reattiva e dell’attrattore fisiologico,
ma può costituire un momento critico in cui il sistema cambia il bacino di at-
trazione. La malattia cronica consiste sia in una forma di “adattamento”, cosic-
ché il nuovo attrattore in sé è una forma di ordine con una certa stabilità ener-
getica, sia in un “disordine” della gestione dell’energia, quindi delle comunica-
zioni e delle informazioni, un “blocco” del flusso informativo tra i nodi della
rete locale e/o delle sue comunicazioni con le reti sistemiche. Essenzialmente
per questi due motivi, la malattia cronica non può guarire da sola e, allo stesso
tempo, è questo il punto in cui si può vedere un grande spazio per un intervento
terapeutico basato sulla complessità dell’informazione sistemica (come quello
omeopatico), piuttosto che per un intervento settoriale e meccanicistico (come
quello allopatico).
Il risultato terapeutico del metodo omeopatico ha quindi una sua plausibilità
scientifica e fisiopatologia che risiede essenzialmente nel principio di azione-
reazione, evocato dallo stesso Hahnemann nei paragrafi 63 e 64 del suo libro
Organon, dove egli torna sulla questione sostenendo che qualsiasi sostanza
12 PRESENTAZIONE

causa una certa alterazione nello stato di salute dell’essere umano per la sua
azione primaria. A quest’azione primaria del medicamento, l’organismo oppo-
ne la sua forza di conservazione, chiamata azione secondaria o reazione, diret-
ta a neutralizzare o compensare il disturbo arrecato dall’azione primaria. Il
principio d’azione-reazione evocato è uno dei pilastri della fisiologia e della
biochimica. Pertanto, non si capisce perché non dovrebbe essere valido anche
in farmacologia.
La ricerca delle basi scientifiche del principio di similitudine, almeno per
quanto riguarda le sue applicazioni biologiche, può essere facilitata dalla for-
mulazione di ipotesi di lavoro e modelli razionali. A questo proposito abbiamo
proposto che questo principio, nella sua accezione fondamentale, possa essere
ricondotto al principio della “inversione degli effetti”:17-19 stimoli farmacologi-
ci o di altra natura (es. regolazioni biofisiche o psicologiche) possono determi-
nare su un sistema omeostatico complesso (cellula, organo, organismo) effetti
inversi o paradossali (rispetto all’effetto previsto o atteso) qualora siano modi-
ficati o la dose dei farmaci stessi, o l’intensità e la durata dello stimolo (es.:
apparente danno nel breve periodo, riattivazione e cura a tempi lunghi), o le
modalità di preparazione e di somministrazione, o la sensibilità e suscettibilità
dello stesso sistema trattato (es. stimolazione di una funzione nel sistema nor-
male, inibizione o rallentamento nel sistema già attivato o stressato).
Questa espressione del principio di similitudine può essere utilizzata come
definizione operativa di un’ampia serie di fenomeni che vanno dal livello cellu-
lare a quello clinico, fenomeni le cui basi comuni possono essere ritrovate nella
versatile adattabilità dei sistemi fisiologici e biologici.
Anche se con essa non si può ritenere di aver incluso tutti i problemi posti
dall’utilizzo terapeutico del “simile”, si ritiene di poter gettare le basi per una
comprensione dei suoi meccanismi fondamentali, che non sono né “omeopati-
ci” né “convenzionali”, essendo iscritti nella natura degli esseri viventi e nel
modo con cui essi rispondono ai trattamenti farmacologici.

La questione delle diluizioni/dinamizzazioni

Poiché uno dei principali argomenti in discussione nella teoria omeopatica ri-
guarda proprio la possibilità che esistano azioni farmacologiche in assenza di
molecole, il tema delle alte diluizioni omeopatiche si collega ai temi di biofisi-
ca dell’acqua e di elettromagnetismo, già trattati da noi in altra sede19 e oggetto
principale del lavoro che presentiamo.
PRESENTAZIONE 13

Affinché si possa accettare che il medicinale omeopatico ultra-diluito agisca


con meccanismo biofisico, bisogna affrontare le seguenti due questioni fonda-
mentali:
a) Può un solvente, quale acqua o una soluzione idroalcolica, incorporare e
mantenere qualche forma di ordine o organizzazione che sia veicolo di in-
formazioni in assenza del soluto originario? In altre parole: esiste la famosa
“memoria dell’acqua”? E se esiste, come eventualmente la si può spiegare?
b) Ammettendo che ordine e informazione possano essere incorporate e man-
tenute nelle soluzioni altamente diluite, in quale modo possono interagire
con il livello biologico? In altre parole: in che modo l’organismo legge e
recepisce tali proprietà del rimedio omeopatico e le utilizza in senso regola-
tivo?
Alla prima questione rispondono soprattutto le ricerche di laboratorio, per la
seconda è necessario integrare le conoscenze sul medicinale omeopatico con
quelle sulla sensibilità biologica e le regolazioni sistemiche dell’organismo vi-
vente.
A nessuno può sfuggire che solo se tali domande avranno una risposta con-
vincente, si potrà affermare l’esistenza di basi scientifiche dell’omeopatia delle
alte diluizioni. Cercheremo di accennare alle sperimentazioni ed alle ipotesi
proposte per spiegare il possibile effetto biologico di tali preparazioni, che so-
no sicuramente molto utili per integrare quelle proposte da questo libro dei Su-
kul.
Negli ultimi anni vi sono stati molti tentativi di affrontare lo studio dei medi-
cinali omeopatici con esperimenti fatti su colture cellulari e su piante, oppure
su animali da esperimento. Il lavoro dei Sukul a questo proposito è molto signi-
ficativo sia quantitativamente sia qualitativamente, ma non essendo un lavoro
di rassegna non comprende molti altri interessanti studi, che per completezza
noi quei citiamo in bibliografia20-39.
Tra le varie scoperte derivanti dagli studi su animali, che sono riportate dai
Sukul, ci pare importante sottolineare quelle che evidenziano un chiaro effetto
del medicinale omeopatico sul sistema nervoso centrale. Tali osservazioni, in
accordo anche con altri recenti studi su animali40 e sull’uomo41;42, indichereb-
bero che il rimedio agisce su sistemi di controllo “centrali” e quindi “sistemici”
e non (solo) su singoli bersagli molecolari, cellulari o tessutali e ciò rafforze-
rebbe le vedute sistemiche dell’effetto omeopatico43-48.
I principali studi di laboratorio riguardano cellule del sistema immunitario e
del sangue. Uno dei campi dove i fenomeni di similitudine e di infinitesimalità
sono stati maggiormente indagati è quello della regolazione dei basofili e delle
mastcellule, che sono cellule fondamentali dell’infiammazione acuta.49-52. Due
gruppi di ricercatori non sono riusciti a riprodurre l’effetto di alte diluizioni di
IgE53,54. Tuttavia, secondo Benveniste, questi studi che apparentemente hanno
14 PRESENTAZIONE

sconfessato i suoi risultati erano soggetti ad alcuni errori metodologici e stati-


stici55. L’inibizione della “degranulazione” dei basofili è stata ottenuta dal
gruppo di Belon/Sainte-Laudy anche con alte diluizioni/dinamizzazioni della
stessa istamina pura, cioè con diluizioni/dinamizzazioni omeopatiche. Questi
risultati sono stati riprodotti molte volte nel corso di oltre dieci anni da diversi
laboratori56-64 tranne che da uno65, che ha osservato un effetto della soluzione
10-22 moli/l ma non della soluzione 10-34 moli/l. Tale modello sperimentale è
stato quindi molto fruttuoso e può ritenersi particolarmente consolidato e cre-
dibile, anche se, al pari di molte ricerche in questo campo, vi sono dei fattori
metodologici e tecnici, ancora sfuggevoli che impediscono la riproducibilità
completa del fenomeno in diversi laboratori.
Vi sono anche altri filoni di ricerca, su leucociti, fibroblasti e cellule vegetali,
ma non è questa la sede di una completa rassegna, riportata, almeno fino al
2002, su un nostro libro19 e comunque ormai reperibile per gli anni più recenti
nella banche-dati internazionali.
Alla luce delle prove cliniche, ma soprattutto di quelle biochimiche e biologi-
che, risulta quindi sempre più rafforzata la conclusione che l’effetto di soluzio-
ni altamente diluite, sia reale, non quindi frutto di suggestione o di artefatti.
Permangono indubbiamente delle controversie metodologiche e difficoltà nella
replica dei risultati, ma non tali da cancellare la grande serie di evidenze in fa-
vore del “fenomeno omeopatico”. Anche per questo il lavoro sperimentale e le
ipotesi esplicative proposte dai Sukul sono preziosi ed attuali, in quanto con-
sentono di rivedere un’ampia porzione di tali problematiche in modo integrato
e organizzato.
Molti Autori si sono cimentati nel tentativo di formulare delle spiegazioni
sulla natura fisico-chimica del medicinale omeopatico quando si entra nella fa-
scia delle alte diluizioni. In estrema sintesi, la maggior parte delle vedute con-
verge sull’idea che esista una informazione non-molecolare (o meglio “meta-
molecolare”) legata alla struttura del solvente (acqua o miscele di acqua ed al-
col) e che questa possa interagire per risonanza con dei sistemi di regolazione
biofisici operanti nell’organismo. Ogni livello della gerarchia organizzativa
dell’organismo (molecolare, cellulare, organico, sistemico) possiede un caratte-
ristico spettro di oscillazioni elettromagnetiche endogene originanti dai vari
processi metabolici ed elettrofisiologici. Interazioni di risonanza intra-livello
ed inter-livello devono avvenire per mantenere il funzionamento armonico,
fornendo una correlazione tra i vari processi. La risonanza è una proprietà dei
sistemi capaci di oscillare ad una determinata frequenza quando posti in rela-
zione (ottica, acustica, meccanica) con altri sistemi aventi frequenze simili di
oscillazione. Le frequenze risonanti stabiliscono un certo tipo di interazione tra
oggetti che hanno lo stesso periodo (o multipli di esso - armoniche) cosicché il
PRESENTAZIONE 15

moto di un oggetto influenzerà quello dell’altro senza un contatto materiale e


diretto.
Lo studio dell’acqua costituisce un grosso capitolo della fisica. Nonostante le
conoscenze su questa straordinaria sostanza siano ben lungi dall’essere com-
plete, quanto attualmente si sa consente, quanto meno, di non poter escludere
che essa funga da deposito e trasmettitore di informazioni biologicamente si-
gnificative. Nel libro dei Sukul viene presentata un’ampia serie di prove speri-
mentali e di teorie fisiche a sostegno della possibilità che le molecole d’acqua e
di etanolo, tipici solventi dei medicinali omeopatici, siano “connesse” in una
specie di rete dinamica che possa codificare l’informazione necessaria ad atti-
vare i processi biologici, probabilmente a livello della membrana cellulare. Il
modello si riallaccia a precedenti lavori66-68 secondo i quali la “memoria
dell’acqua” sarebbe basata sulla formazione di aggregati di molecole d’acqua
in forma di “clatrati” o “cluster”. Si intende per clatrati, dal latino “clathrus”
(= inferriata), delle formazioni cave che verrebbero ad assumere le molecole
d’acqua con una disposizione a rete, ripiegata attorno ad una nicchia interna.
La possibilità di formazione di cavità in liquidi è universalmente accettata.
Nell’acqua, le molecole possono allinearsi in forme pentagonali o esagonali
grazie a legami idrogeno. A loro volta, varie conformazioni poligonali possono
costruire, in certe condizioni (agitazione o sonicazione del liquido), figure
geometriche complesse, cave al loro interno69-71. Un certo numero di molecole
del composto originale verrebbe circondato, una volta sciolto nell’acqua, da un
maggior numero di molecole d’acqua che formano come un piccolo guscio,
una nicchia. Una simile nicchia potrebbe avere stabilità anche se il composto
originale viene espulso dalla nicchia stessa. Quindi, con continue diluizioni e
succussioni, comincerebbero a formarsi clatrati vuoti all’interno, i quali a loro
volta potrebbero divenire il nucleo per la formazione di altri clatrati, sempre
con lo stesso schema originale.
Il modello dei clatrati è interessante in quanto consentirebbe di spiegare come
“aggregati” di molecole d’acqua possano divenire il mezzo di trasmissione
dell’informazione. Tuttavia, bisogna ammettere che ancora non esiste una base
fisica per spiegare la permanenza di tali aggregati, in forme definite, per un
tempo sufficientemente lungo. L’ipotesi corrente è che si verifichino processi
di auto-organizzazione (eventualmente “guidati” dal soluto) e che questi “ag-
gregati” di molecole di acqua (o acqua ed etanolo) riescano a mantenere, anche
in modo dinamico (vale a dire sciogliendosi, riformandosi e ri-organizzandosi)
traccia della struttura originale. L’acqua, in altre parole, non va vista come un
liquido “amorfo, ma come un sistema “intelligente”, vale a dire capace di auto-
organizzazione e di modifiche adattative e dinamiche, secondo le condizioni fi-
siche (temperatura, elettromagnetismo, pressione, ecc.) e chimiche (presenza
16 PRESENTAZIONE

di soluti, legame a macromolecole strutturali, formazione di specie radicaliche,


ecc.).
A riprova delle difficoltà che i ricercatori incontrano in questo campo, va an-
che notato che le analisi spettroscopiche finora eseguite direttamente sui medi-
cinali omeopatici (risonanza magnetica, fluorimetria, assorbimento della luce,
ecc.), del tipo di quelle riportate nel capitolo 3 di questo libro, non sono di una
forza dimostrativa tale da risultare del tutto convincenti e indiscutibili. Di fatto,
come anche riportano gli stessi Sukul, altri autori con le stesse metodiche non
sono stati in grado di evidenziare i segni di una “diversità fisica” delle soluzio-
ni diluite e “dinamizzate”. Fondamentalmente, si torna anche qui alla questione
della riproducibilità: se prove apparentemente simili (ma è impossibile ripetere
esperimenti assolutamente identici nei particolari) forniscono risultati diversi, a
quale si deve “credere”? Ma, così posta, la questione trascura il fatto che la
scienza raramente fornisce certezze inconfutabili e perenni, essa piuttosto è il
campo dell’osservazione del fenomeno nuovo, dell’ipotesi, dell’esperimento,
della nuova teoria, la quale si consolida (o si indebolisce fino a sparire) solo col
tempo. La questione è quindi ancora molto aperta a nuove ricerche e ci si ap-
prossima alla verità per piccoli passi.
Un diverso approccio alla biofisica dell’acqua, e quindi dell’omeopatia, è sta-
to seguito da un gruppo di fisici dell’Istituto di Fisica Nucleare milanese (E.
Del Giudice, G. Preparata e collaboratori), il cui lavoro non è riportato nel testo
dei Sukul, ma merita ugualmente di essere conosciuto. Gli Autori si riallaccia-
no alle teorie dell’Elettrodinamica Quantistica (Quantum Electro-Dynamics:
QED), che sono state pienamente stabilite sperimentalmente nel corso della se-
conda parte del XX secolo72;73. L’idea basilare di questa riconsiderazione della
QED nella materia condensata, liquida e solida, è che insiemi macroscopici di
identici sistemi microscopici al di sotto di una certa temperatura (temperatura
critica) ed al di sopra di una particolare densità (densità critica) si comportano
in un modo completamente diverso da un insieme di oggetti microscopici tenu-
ti insieme da forze elettrostatiche di corto raggio d’azione, come ora viene uni-
versalmente ritenuto. Questi “regimi coerenti”, che sono stati chiamati “Stati
Fondamentali Coerenti” (Coherent Ground State: CGS), sono la conseguenza
rigorosa delle equazioni dinamiche della Teoria Quantistica dei Campi, come
la QED, e danno un quadro completamente nuovo della materia condensata. Si
dovrebbe notare che il livello incredibile di coerenza ed armonia tra materia e
campo stabilito all’interno del dominio di coerenza dalle interazioni elettrodi-
namiche consente un modo completamente nuovo di interazione tra tale siste-
ma collettivo ed i campi elettromagnetici esterni ed in particolare uno scambio
efficiente di informazione basata sulle frequenze di oscillazione, tra i CGS di
sistemi differenti. Gli Autori73-77 riferiscono di aver scoperto suggestive pro-
prietà superconduttive dei “Domini di Coerenza” (CD) dell’acqua, tali da ren-
PRESENTAZIONE 17

derli sistemi capaci di immagazzinare informazione in forma di frequenze, di-


ventando allora impermeabili agli effetti disorganizzanti della temperatura.
Esistono evidenze che qualcosa di simile sia effettivamente operativo nella
realtà fisica e biologica: è stato mostrato che l’irradiazione di una soluzione fi-
siologica con onde elettromagnetiche nel range delle microonde (non-termiche)
modifica la capacità della soluzione di influenzare l’apertura e chiusura dei ca-
nali ionici di membrana. Anche dopo la fine del periodo di irradiazione,
l’acqua mantiene le proprietà acquisite78-80. Ciò suggerisce che gli effetti dei
campi elettromagnetici sulle strutture biologiche potrebbero essere mediati da
modificazioni nella strutturazione del solvente (in questo caso l’acqua). Gli
Autori citati parlano esplicitamente di un fenomeno di “memoria” elettroma-
gnetica dell’acqua.
Recentemente, altri risultati sperimentali, non riportati in questo libro, si sono
aggiunti. Il gruppo di Vittorio Elia dell’università di Napoli ha condotto una
notevole serie di analisi chimiche sulle diluizioni omeopatiche adoperando va-
rie tecniche: calorimetria isoterma, pHmetria, conducibilità elettrica e misure
di forza elettromotrice di celle galvaniche per la determinazione del coefficien-
te di attività di NaCl aggiunto81-85. Da questi studi si può affermare che esiste
una differenza misurabile tra i parametri chimico-fisici relativi al solvente ac-
qua ed alle diluizioni omeopatiche la cui composizione chimica è notoriamente
quella dell’acqua pura. Le differenze sono permanenti nell’arco di due tre anni
dalla preparazione, con una tendenza all’incremento nel tempo. Gli Autori at-
tribuiscono tale differenziazione tra solvente e diluizioni omeopatiche alla for-
mazione di aggregati molecolari di molecole di acqua che alterano la struttura
sovramolecolare dell’acqua, innescate dal processo di dinamizzazione. In altre
parole una diluizione omeopatica è rappresentabile come una soluzione acquo-
sa il cui soluto è formato da molecole di solvente organizzate diversamente dal
solvente di partenza. Questo nuovo soluto lo si potrebbe definire un “soluto fi-
sico” per sottolineare la sua composizione chimica identica a quella dell’acqua,
ma la cui diversa organizzazione molecolare lo porta a differenziarsi dal sol-
vente.
Lungi dall’aver chiarito o dimostrato inequivocabilmente la base fisica
dell’omeopatia, ed ancora in attesa di una esaustiva dimostrazione sperimentale
della loro validità, le teorie fisiche come quella dei “cluster” e dei “domini di
coerenza” rendono quanto meno plausibile l’ipotesi che l’omeopatia delle alte
diluizioni abbia una consistente base fisico-chimica. In tal senso, il libro dei
Sukul fornisce ulteriore spessore a questa posizione, pur non fornendo certa-
mente “la” spiegazione definitiva e indiscutibile del fenomeno.
18 PRESENTAZIONE

Prospettive

La principale difficoltà dell’omeopatia, evidente quando utilizza medicinali in


alte diluizioni, è costituita dal fatto che essa apparentemente contraddice il mo-
dello biomedico dominante, che è quello biochimico-molecolare. In una prepa-
razione omeopatica, poche o nessuna molecola di medicinale sono presenti e
quindi non si riesce a capire, con le conoscenze farmacologiche attuali, come
una tale preparazione possa avere effetto.
Tuttavia, sta emergendo dalle frontiere della scienza, soprattutto dalla fisica
quantistica e da teorie e ricerche matematiche ancora non sistematizzate, una
nuova visione della materia e della vita, più compatibile col possibile “modus
operandi” dell’omeopatia. Gli organismi sono visti come sistemi dinamici al-
tamente regolati e complessi, che mostrano una caratteristica meta-stabilità at-
torno a certi livelli omeostatici. Tale meta-stabilità è fatta da continue oscilla-
zioni, ritmi, network, amplificazioni e cicli di retroazione. I sistemi viventi so-
no “sospesi” tra ordine e caos, partecipano di queste due fondamentali caratte-
ristiche della materia e le sfruttano in modo finalisticamente orientato alla so-
pravvivenza. Ordine e caos si ritrovano a tutti i livelli dell’omeostasi, dalle mo-
lecole alla psiche e non si vede come tali nuove prospettive non possano avere
un peso anche nei nuovi orientamenti della medicina. La teoria, la metodologia
e la tecnologia della medicina sono sempre state strettamente connesse alle teo-
rie scientifiche generali ed alle situazioni socio-economiche del tempo.
L’omeopatia torna a rivivere nell’epoca attuale, che vede un vertiginoso au-
mento di conoscenze scientifiche accompagnate dalla consapevolezza di una
sostanziale indeterminatezza del reale. Ciò non equivale, come molti sono por-
tati a credere, al ricorso a paradigmi meta-fisici o esoterici per sfuggire
all’angoscia del caos ed alla sfiducia nel sistema sanitario moderno. E’ invece
più verosimile che buona parte del successo dell’omeopatia dipenda proprio
dai suoi antichi presupposti, che sono insieme realistici nella teoria ed empirici
nei contenuti.
L’omeopatia rappresenta quindi un tentativo di approccio alla regolazione
bio-energetica dell’organismo umano, utilizzando una interfaccia fisico-
biochimica dovuta alla estrema sensibilità dei sistemi biologici a questo tipo di
regolazioni. Il punto forte del metodo consiste nel fatto che si cerca di raggiun-
gere il massimo grado di specificità dell’intervento regolatore esogeno. Come
già precedentemente avanzato, le dosi efficaci sono tanto più basse quanto più
specifico è uno stimolo e quanto più sensibile è il sistema in oggetto. Ammet-
tendo che un’informazione sia contenuta in forma meta-molecolare nel rimedio
omeopatico, tale informazione potrebbe agire in modo meta-molecolare anche
sul sistema bioenergetico in oggetto.
PRESENTAZIONE 19

Un altro “segreto” dell’omeopatia è che essa si rivolge a tutto l’essere umano,


prendendo in considerazione massima i sintomi di tipo psicologico e quelli pe-
culiari di ogni individuo (individualizzazione). Facendo così, essa raggiunge un
alto livello di specificità, perché è ormai noto a tutti che la risposta ai medici-
nali può variare in base alle caratteristiche dell’individuo stesso.
La razionalità scientifica non solo non contrasta con l’omeopatia, ma la pone
come una delle frontiere della farmacologia moderna. Per l’accettazione gene-
rale di questo principio, però, non basta qualche ipotesi sperimentale e qualche
evidenza di farmacologia paradossale, serve un cambiamento più profondo nel-
la considerazione della natura delle malattie. Se la visione prevalente rimane
quella di un difetto locale o molecolare di qualche meccanismo organico,
l’unico approccio è quello di cercare di modificare quel meccanismo (farmaco-
logicamente, geneticamente, chirurgicamente,…). Se invece la malattia è vista
come un disordine sottile, complesso, sistemico e dinamico (e questa è la natu-
ra della maggior parte delle malattie odierne e in ogni caso del disordine che
sempre accompagna anche le malattie apparentemente “semplici” nel loro
meccanismo prevalente), l’opzione di cercare una regolazione sottile, comples-
sa, sistemica e dinamica sfruttando il principio del “simile” diviene una possi-
bilità effettiva.
Il “simile”, trasferito sul piano operativo mediante l’uso dell’analogia tra i
sintomi del paziente e quelli patogenetici del medicinale, diviene un principio
“euristico” vale adire un sistema per trovare il medicinale che, almeno in via
ipotetica, potrebbe essere in grado di evocare risposte autoorganizzative teleo-
nomiche in un sistema complesso quando non si possono controllare singolar-
mente i molteplici fattori patogenetici in gioco. Il ricorso a “principi” e “analo-
gie” piuttosto che a “certezze matematiche” non è un salto nel buio, ma un mo-
do ragionevole di affrontare l’incertezza che accompagna la scienza e l’arte
della medicina. Si tratta di un percorso metodologicamente già tracciato, grazie
al lavoro degli omeopati, che attende di essere consolidato e perfezionato.
La farmacologia tradizionale punta alla modifica precisa e controllabile di un
meccanismo, di un insieme cellulare, di un organo. Il metodo basato sul “simi-
le”, invece, punta all’organizzazione dei sistemi complessi, dove ciò che conta
è l’integrità del progetto, la teleonomia, la regolazione dinamica.
Riduzionismo ed integrazione hanno ciascuno dei vantaggi e degli svantaggi,
certamente nessun approccio può dirsi esaustivo e può pretendere di escludere
l’utilità dell’altro. L’omeopatia deve rinunciare alle “certezze” del riduzioni-
smo scientifico galileiano, ma ritrova la scienza a suo supporto nella teoria dei
sistemi dinamici, insieme agli sviluppi della biofisica e degli studi clinici, che
stanno dando un forte contributo alla rivalutazione dell’omeopatia come meto-
do terapeutico. Certamente, si prende coscienza anche della difficoltà di agire
in un campo dove molte “certezze” vengono a mancare e per ora bisogna affi-
20 PRESENTAZIONE

darsi a “principi” dal valore orientativo e molto generale. Al letto del paziente,
comunque, in questo modo l’intervento/missione del medico conserva una
grande componente intuitiva e “artistica”, come in ogni disciplina medica,86
Il testo interesserà sicuramente i cultori di omeopatia, tra cui mi auguro con-
tribuisca a far crescere la passione per la ricerca scientifica, che è altrettanto
necessaria quanto una buona pratica clinica. Ma il testo merita di essere cono-
sciuto anche da chi, utilizzando la medicina tradizionale, vuole ampliare i pro-
pri orizzonti attingendo a fonti documentate.
È giunta l’ora che la medicina che si definisce scientifica cessi di considerare
l’omeopatia con sufficienza, pregiudizio o persino disprezzo, per vederla fi-
nalmente nel ruolo di una disciplina sperimentale, con sue peculiari potenziali-
tà nella cura delle malattie umane, veterinarie e probabilmente anche
dell’ecosistema. Nonostante la sua antichità storica, l’omeopatia si ripresenta
oggi come un campo emergente della medicina, che merita di essere più cono-
sciuto nella didattica medica e soprattutto più sostenuto nella ricerca scientifi-
ca. Questo libro è un passo avanti verso una medicina unita ed integrata.

Prof. Paolo Bellavite

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PRESENTAZIONE 23

42. Bell I R, Lewis D A, Schwartz G E, Lewis S E, Caspi O, Scott A, Brooks A J, Baldwin


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24 PRESENTAZIONE

60. Belon P, Cumps J, Ennis M, Mannaioni P F, Sainte-Laudy J, Roberfroid M, Wiegant F


A C. Inhibition of human basophil degranulation by successive histamine dilutions: re-
sults of a European multi-centre trial. Inflamm Res 48: S17-S18; 1999.
61. Belon, P, Cumps J, Ennis M, Mannaioni P F, Roberfroid M, Sainte-Laud J, Wiegant F
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PRESENTAZIONE 25

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tice of medicine. In: Harrison’s Principles of Internal Medicine, 15th ed. pag. 1-5;New
York, McGraw-Hill, 2001.
Dedicato al Dr. B. N. Chakravarty,
che in lunghi anni di osservazioni cliniche
ha esplorato l’immenso potenziale
terapeutico dell’Omeopatia.
PREFAZIONE

Al giorno d’oggi, il concetto di farmacologia è limitato all’interazione tra far-


maci e biomolecole. Ogni interazione, che vada oltre le molecole o la specifici-
tà dell’interazione molecolare, nell’arena della scienza è considerata un mito.
Poiché le alte diluizioni dei medicamenti che superano il numero di Avogadro
non contengono molecole, si ritiene che tali diluizioni non possano causare al-
cuna attività su un sistema biologico. Eppure, gli effetti delle alte diluizioni so-
no divenuti esperienza comune dei medici omeopati e dei loro milioni di pa-
zienti in tutto il mondo.
Oltre alle evidenze cliniche, oggi esistono moltissime evidenze sperimentali
che confermano che un’azione dei medicamenti sull’organismo che vada oltre
le molecole è una grande realtà. Una sostanza lascia qualcosa, che potrebbe
forse essere considerata come un’entità “ombra”, nella sua alta diluizione.
Qual è la natura fisica di questa “ombra”?
In che modo le “ombre” di sostanze diverse differiscono tra loro?
Come agiscono su un organismo?
È sempre necessario un organismo vivente per produrre un’azione, oppure ta-
li medicinali in alte diluizioni si comportano esattamente come una sostanza
chimica che reagisce con un’altra sostanza chimica?
Questo libro esprime il tentativo di trovare risposta a tutte queste domande at-
traverso un approccio totalmente scientifico e basato sulle attuali conoscenze
scientifiche.
Medicamenti in diluizioni ultra-alte vengono usati nel sistema terapeutico
conosciuto come omeopatia da circa 200 anni. Tale sistema declinò verso la
metà del XX secolo per una marcata competizione con la farmacologia tradi-
zionale, ma nelle ultime due decadi pare aver riguadagnato la popolarità di un
tempo. Ciò è dovuto soprattutto al fatto che i suoi medicinali sono ritenuti ef-
ficaci, sono relativamente poco costosi e sicuramente non invasivi rispetto ai
farmaci convenzionali, avendo pochi effetti collaterali negativi.
Rivelare i misteri di questo importante sistema terapeutico è una sfida non so-
lo per il biologo ma anche per il fisico e per il chimico. Benché il business far-
maceutico dei rimedi omeopatici ora non sia così lucrativo come quello dei
farmaci tradizionali, la ricerca scientifica sull’omeopatia aprirà certamente
nuove strade per il benessere dell’umanità.
Il libro ha quattro capitoli, oltre all’introduzione.
PRESENTAZIONE 29

Nel primo capitolo sono descritti i modi per preparare i rimedi omeopatici e
per conservarli.
Il secondo capitolo tratta delle evidenze cliniche ottenute a sostegno delle al-
te diluizioni negli esseri umani e inoltre vengono riportati alcuni esperimenti di
laboratorio fatti su animali e su piante.
Il terzo capitolo descrive le caratteristiche fisiche dei medicamenti in dilui-
zioni ultra-alte, così come sono evidenziate mediante la risonanza magnetica
nucleare, gli spettri all’infrarosso, gli spettri elettronici e di fluorescenza di al-
cune preparazioni “dinamizzate”. Poiché l’acqua è ritenuta essere capace di
trattenere le informazioni delle molecole o delle particelle sciolte in alte dilui-
zioni, vengono discusse la struttura e le dinamiche dell’acqua liquida, che è il
principale mezzo di soluzione dei medicinali omeopatici.
Nel quarto capitolo vengono discussi i possibili meccanismi d’azione delle
alte diluizioni sui sistemi viventi, in termini di interazione molecolare fra
l’acqua strutturata di una determinata soluzione ed il suo principale bersaglio
molecolare in un organismo. Infine, viene discussa la possibilità che la struttu-
razione dell’acqua abbia avuto un importante ruolo nelle forme di vita primor-
diali durante la comparsa della vita su questa terra.
Noi considereremmo il nostro lavoro come degno di essere compiuto se svi-
luppasse interesse negli scienziati e nei medici pratici al fine di incrementare
una ricerca seria ed aprire la “scatola nera” dell’omeopatia all’esplorazione del
suo vasto potenziale terapeutico.
Ringraziamo gli studenti Palamita Sarkar, Souvik Ghosh, Ashis De e Sude-
shna Ghosh per avere condotto tutte le ricerche sperimentali. Ringraziamo il
Dr. B.N. Chakravarty per il suo supporto finanziario alle nostre ricerche più re-
centi ed il direttore del dipartimento di zoologia dell’Università di Visva-
Baratti per aver messo a disposizione le necessarie strutture di laboratorio alla
ricerca sperimentale sull’omeopatia.

Santiniketan (West Bengal), settembre 2003

Prof. Nirmal C. Sukul


Prof. Anirban Sukul
Capitolo 1

PREPARAZIONE DI SOSTANZE IN ALTE


DILUIZIONI

Come si è detto nell’introduzione, in omeopatia sono utilizzate sostanze in alte


diluizioni. Ad oggi sono stati preparati e vengono usati più di tremila medica-
menti omeopatici.

1.1. Origine delle sostanze omeopatiche

I rimedi omeopatici sono prodotti da sorgenti naturali come piante, animali,


minerali, tessuti patologici umani, ecc., ma possono essere prodotti anche a
partire da soluzioni alcoliche esposte alle radiazioni ionizzanti. I rimedi prodot-
ti da sorgenti vegetali ed animali sono normalmente denominati secondo la
nomenclatura binominale introdotta da Linneo (1753).

1.1.1. Materiali vegetali


Le piante costituiscono più del 60% dei rimedi omeopatici. Possono essere uti-
lizzate diverse parti delle piante, come radici, cortecce, gemme, foglie, fiori,
frutti, semi.
Le radici delle piante annuali sono raccolte nel momento in cui la pianta dà i
frutti. In caso di piante perenni, le radici dovrebbero essere raccolte in prima-
vera, quando la pianta stessa ha due o tre anni. Così ad esempio sono trattate
Ipecacuanha e Bryonia (Cook, 1988).
Le foglie pienamente sviluppate e sane sono raccolte in mattinata, prima della
stagione della fioritura. Esempi sono Rhus toxicodendron e Ocimum sanctum.
I fiori sono raccolti appena cominciano ad aprirsi, come ad esempio nel caso
di Cina, ottenuta usando le sommità fiorite della pianta Artemisia cina.
Le cortecce sono raccolte da piante giovani, come ad esempio nel caso di
Cinchona (China officinalis).
PREPARAZIONE DI SOSTANZE IN ALTE DILUIZIONI 31

I bulbi sono germogli sotterranei modificati. Essi vengono raccolti quando


sono pienamente cresciuti ed alcuni esempi sono i bulbi di Allium cepa, di Al-
lium sativa e di Colchicum autumnale.
Semi secchi sono la materia prima per Nux vomica e per Ignatia.
Lycopodium è prodotto con le spore della pianta Lycopodium clavatum;
Opium viene prodotto dal lattice delle capsule del papavero Papaver somnife-
rum e Carbo vegetabilis dal carbone.
Comunque, possono essere usate anche piante intere, come nel caso di Aconi-
tum napellus, Calendula officinalis, Chamomilla, Phytolacca decandra (Cook,
1988).

1.1.2. Sostanze animali


I prodotti animali costituiscono il 20% dei rimedi omeopatici e sono raccolti da
animali interi o da loro parti.
Apis mellifica è preparata dall’intero corpo dell’ape; Cantharis dalla polvere
secca dell’insetto Cantharis vesicatoria; Sepia officinalis dalle ghiandole
dell’inchiostro della seppia; Lachesis dal veleno del serpente detto “terrore dei
boschi”; Tarentula hispanica da un velenoso ragno spagnolo (Cook, 1988).
Lac caninum è preparato dal latte di cagna e Calcarea carbonica dal guscio
di ostrica.

1.1.3. Minerali e sostanze chimiche


I rimedi omeopatici sono prodotti da minerali come oro (Aurum metallicum),
ferro (Ferrum metallicum), rame (Cuprum metallicum), argento (Argentum me-
tallicum), zinco (Zincum metallicum).
Alcuni rimedi sono preparati da composti inorganici, come cloruro di sodio
(Natrum muriaticum), cloruro di mercurio (Mercurius corrosivus), carbonato
di magnesio (Magnesia carbonica), ossido di arsenico (Arsenicum album), aci-
do solforico (Sulphuricum acidum), solfuro di calcio (Hepar sulphuris calca-
reum), bicromato di potassio (Kali bichromicum).
Altri rimedi sono preparati da composti organici, come acido picrico (Picri-
cum acidum), acido acetico (Aceticum acidum), acido lattico (Lacticum aci-
dum), nitroglicerina o nitrato di glicerolo (Glonoinum), zucchero di canna o
saccarosio (Saccharum officinalis), glicerolo (Glycerinum), cloroformio (Chlo-
roformium), stricnina (Strychninum), ecc.
Altri ancora sono preparati da rocce (Hecla lava) o acqua di sorgente (Sani-
cula aqua).
32 CAPITOLO 1

1.1.4. Altri materiali biologici


I nosodi sono medicamenti prodotti da tessuti malati. Alcuni esempi sono: Tu-
berculinum, ottenuto da tessuti infettati con il bacillo tubercolare; Me-
dorrhinum, ottenuto da secrezioni gonorroiche; Bacillinum, preparato a partire
dal bacillo tubercolare; Psorinum, ottenuto da pustole della scabbia; ecc.
I sarcodi sono invece preparati dagli estratti di organi freschi o di ghiandole,
ottenuti da bovini, suini o ovini. Esempi sono: Pancreas, Polmone, Rene, ecc.
I nosodi intestinali sono invece derivati da colture di batteri intestinali pre-
senti nelle feci umane. Esempi sono Proteus, Bacillus N. 7, ecc.

1.2. Il proving dei farmaci

Sin dall’inizio, le sostanze omeopatiche preparate a scopo medicinale furono


testate su volontari umani sani secondo una particolare procedura detta “pro-
ving” (sperimentazione). Ad una persona viene richiesto di assumere un singo-
lo medicinale e vengono registrati i sintomi prodotti nel corso del tempo. Se-
condo Hahnemann, come riportato nella traduzione inglese del suo libro,
l’Organon della Medicina (VI edizione)1, l’idea del proving fu inizialmente di
Albert von Haller.
La dose iniziale della sostanza dipende dalle sue proprietà, perché in molti
casi si usano sostanze che possono essere anche potenzialmente tossiche. La
dose può essere gradualmente aumentata durante il proving e la somministra-
zione può durare da pochi giorni a varie settimane.
Talvolta, durante la sperimentazione della sostanza pura non emergono i sin-
tomi che sono indotti con le forme altamente diluite e dinamizzate della stessa
sostanza. Per questo si preferisce dare ai volontari le forme dinamizzate (dette
anche “potenziate”) delle sostanze, di solito la trentesima potenza (30ch), nella
quantità di una dose al giorno a stomaco vuoto per vari giorni (discuteremo nei
paragrafi successivi cosa si intende per dinamizzazioni e potenza in omeopa-
tia). La quantità del medicinale potenziato può essere aumentata se produce un
effetto molto modesto; infatti, sono possibili variazioni individuali in risposta
ad una particolare sostanza data per un certo periodo.
Per uniformare la raccolta dei dati, si somministra a molti volontari sani la
stessa sostanza e sono raccolti tutti i sintomi che emergono. I sintomi dei medi-

1
Hahnemann S. Organon "Dell'Arte del Guarire". S.I.M.O.H. Scuola Italiana di Medicina
Omeopatica Hahnemanniana, Roma, 1993.
PREPARAZIONE DI SOSTANZE IN ALTE DILUIZIONI 33

cinali omeopatici, raccolti adeguatamente in tal modo, costituiscono la base


della Materia Medica Omeopatica.
La veridicità dei dati e della Materia Medica è stata da alcuni messa in dub-
bio, ma le evidenze della moderna tossicologia e le esperienze di molti medici
omeopati sono sostanzialmente in accordo con la Materia Medica omeopatica
(Fisher, 1981; Sukul, 1997). Infatti, una ripetizione a posteriori del proving di
Belladonna ha confermato i risultati di proving precedenti, con l’aggiunta di
ulteriori sintomi (Bellows, 1906).2 Si dovrebbero comunque fare dei tentativi
per verificare i sintomi in modo scientificamente aggiornato, usando tecniche e
statistiche moderne.
Ci sono tuttora molti problemi metodologici, ancora non completamente ri-
solti, nel proving dei medicinali omeopatici. Ad esempio, gli sperimentatori
potenziali potrebbero non essere tutti perfettamente in salute e le loro risposte
ad un certo medicinale o ad una certa dose potrebbero pertanto essere diverse
da quelle che ci sarebbero state se essi fossero stati in perfetta salute.
Royal (1991) ha discusso i problemi nei protocolli del proving in un apposito
lavoro. Alcuni recenti studi sui proving sono stati condotti in modo sistematico
(Walach, 1997; Goodyear et al., 1998). Dantas e Fisher (1998) hanno revisio-
nato i lavori dei proving ed hanno suggerito dei metodi per il miglioramento
qualitativo di questo tipo di studi.

1.3. Preparazione delle tinture madri

Per la preparazione dei rimedi omeopatici e delle loro diluizioni sono usati tre
tipi di solventi o “eccipienti”:
- etanolo in acqua (di solito etanolo al 90%),
- acqua,
- lattosio.
Le materie prime vegetali ed i prodotti animali sono estratti a temperatura
ambiente con etanolo in fase idroalcoolica.
I sali minerali sono di solito sciolti in acqua distillata, in proporzioni di 1:9 o
1:99 in base alla loro tossicità.
Ci sono nove classi di sostanze usate in omeopatia e, secondo la classe del
medicinale, variano le proporzioni di materia prima e di solvente. In caso di

2
Negli ultimi decenni sono state fatte numerose risperimentazioni dei proving di due secoli fa
e nella maggior parte dei casi esse hanno confermato i sintomi precedentemente raccolti e
in molti casi lo sperimentatore ha anche usato le medesime espressioni.
34 CAPITOLO 1

metalli, per la prima potenza omeopatica si usano i precipitati. Tutte le sostan-


ze solubili in etanolo in fase idroalcoolica sono estratte con questo mezzo e la
prima soluzione estratta è chiamata tintura madre. Molte tinture madri, partico-
larmente quelle di prodotti non tossici, vengono somministrate ai pazienti diret-
tamente, quindi in dosi ponderali. Tuttavia, le dosi sono comunque molto pic-
cole: 10 o 20 gocce in un po’ d’acqua. Questa parte dell’omeopatia è molto si-
mile ad altri sistemi medici correnti (per esempio la fitoterapia).
Le tinture madri sono indicate come TM o con il suffisso . La concentrazio-
ne alcolica finale delle tinture madri può essere del 33%, del 50% o dell’80-
90% (v/v)3, secondo il contenuto acquoso ed il materiale di partenza (Cook,
1988).

1.4. Dinamizzazione delle sostanze

La particolarità dell’omeopatia sta nell’uso di diluizioni estremamente alte di


sostanze che superano il numero di Avogadro. Tali diluizioni vengono prepara-
te in modo specifico e sono chiamate “potenze”. Il procedimento di prepara-
zione è chiamato dinamizzazione o potenziazione. Il processo di dinamizzazio-
ne fu elaborato nella quinta edizione dell’Organon e pubblicato sia nel 1833
sia in un successivo lavoro di Hahnemann, le Malattie Croniche,4 pubblicato
nel 1828.

1.4.1. Diluizione e succussione


Le tinture madri sono diluite mediante successivi passaggi. La tintura madre è
mescolata con il suo mezzo diluente (di solito etanolo in fase idroalcoolica) in
due proporzioni, 1:9 o 1:99 v/v. Le potenze omeopatiche preparate in propor-
zioni di 1:9 e 1:99 sono chiamate rispettivamente potenze decimali e centesi-
mali. La scala centesimale fu introdotta da Hahnemann e la scala decimale da
Costantino Hering, quando Hahnemann era ancora in vita.
La tintura madre è diluita con etanolo al 90%, in una delle due dette propor-
zioni. Secondo la Farmacopea Omeopatica Americana, la tintura madre do-
vrebbe essere diluita in etanolo all’87% (Anonimo, 1920). La bottiglia è riem-
pita fino a due terzi del suo volume con la sostanza diluita e poi viene chiusa e

3
v/v: volume/volume.
4
Hahnemann S. Le Malattie Croniche. S.I.M.O.H. Scuola Italiana di Medicina Omeopatica
Hahnemanniana, Roma, 1995.
PREPARAZIONE DI SOSTANZE IN ALTE DILUIZIONI 35

sbattuta fortemente dieci volte con colpi dall’alto verso il basso, esercitati con
la forza del braccio. Questo processo di agitazione meccanica è chiamato suc-
cussione.
Il medicamento preparato in questo modo viene detto “prima potenza”. Tutte
le potenze successive sono preparate diluendo ulteriormente ciascuna potenza
nella stessa proporzione usata inizialmente e dando alla miscela dieci colpi
dall’alto verso il basso. Così la concentrazione di una sostanza nella prima po-
tenza centesimale si riduce di cento volte (concentrazione 10-2).
Le potenze centesimali in uso regolare nella clinica sono 4, 5, 7, 9, 15, 30,
200, 1000, 10000 o anche più alte5. Esse sono scritte in numeri semplici, o con
numeri romani, con o senza il suffisso “ch”, come ad esempio Nux vomica 30 o
30ch.
Le potenze decimali sono indicate dal suffisso “x”, come ad esempio Ferrum
phosphoricum 3x o 6x. Normalmente, le potenze decimali più usate sono 1x,
2x, 3x, 6x e 12x.
Il metodo di Hahnemann per diluire e dinamizzare le sostanze richiede tempo
e un gran numero di contenitori. Un metodo più veloce e pratico, che fu intro-
dotto da Korsakov nel 1832, richiede un singolo contenitore per la preparazio-
ne di alte potenze. Il contenitore è semplicemente svuotato e riempito con il
mezzo diluente ad ogni passaggio per fare le successive diluizioni. Il contenito-
re, anche se svuotato dalla soluzione, contiene ancora aderente alle pareti una
piccola quantità residua della potenza precedente, che viene quindi utilizzata
per ulteriori diluizioni.
La diluizione e la succussione possono essere fatte a mano o con una mac-
china. La preparazione manuale non può essere uniforme per ciò che riguarda
la forza esercitata ogni volta che una fiala o bottiglia di laboratorio vengono
succusse. Per la preparazione di alte potenze, come le CM (diluite 1:100 per
100.000 volte) e le MM (diluite 1:100 per un milione di volte), è necessaria
una macchina.
Hahnemann seguì anche la scala dodicesimale, che era in voga ai suoi tempi,
per cui sceglieva preferenzialmente le potenze secondo i numeri 6, 12, 24, ecc.
Potenze più alte, come 200ch, 1M, CM, introdotte successivamente, sono basa-
te sul sistema metrico decimale.
Oltre alle serie decimali e centesimali, preparate rispettivamente mediante di-
luizioni seriali di 1:10 e 1:100, esiste la serie millesimale che è basata su dilui-
zioni seriali di 1:1000 e che è denotata dal suffisso M (Cook, 1988).
Verso la fine della sua vita, Hahnemann introdusse un’altra nuova serie
chiamata cinquantamillesimale o LM. Essa fu menzionata la prima volta nella

5
Queste sono le principali diluizioni, ma sono disponibili anche molte diluizioni intermedie,
come la 3, 6, 12ch.
36 CAPITOLO 1

sesta edizione dell’Organon. Qui la sostanza è triturata fino al livello di una


3ch con lattosio, quindi una parte su 100 di questa potenza è diluita con 500
parti di etanolo al 20%. Una parte di questa diluizione è a sua volta diluita
1:100 in soluzione idroalcolica e succussa 100 volte. Una goccia di questa è
usata per bagnare 500 piccoli globuli di zucchero al fine di preparare la prima
potenza chiamata 1LM. Un globulo di 1LM è mescolato con 100 parti di etano-
lo e la miscela è sua volta succussa 100 volte e una goccia di questa è usata per
bagnare 500 piccoli globuli di zucchero per preparare la 2LM. In tal modo si
possono preparare potenze fino alla 30LM.6 In ogni passaggio di diluizione si
diminuisce la concentrazione della soluzione precedente di circa 50.000 volte.

1.4.2. La triturazione
Le sostanze farmaceutiche solide e insolubili in un mezzo acquoso, o in misce-
le di etanolo ed acqua, sono inizialmente mescolate con un mezzo solido come
il lattosio fino alla terza riduzione ponderale e poi sono mescolate in etanolo in
fase idroalcoolica per le successive diluizioni. In questo caso, per la miscela-
zione iniziale con il lattosio, una parte in peso della sostanza è mescolata, in un
mortaio di porcellana, con 33 parti in peso di lattosio. La mistura è triturata con
il pestello di porcellana per sei minuti e quindi mescolata con una spatola per
quattro minuti. Il processo è ripetuto ancora e quindi altre 33 parti in peso di
lattosio sono aggiunte e mescolate alla mistura di partenza. Di nuovo, le altre
33 parti rimanenti di lattosio sono mescolate alla triturazione sin qui ottenuta.
In questo modo si ottiene la prima potenza centesimale (1ch) della sostanza
preparata con triturazione. La potenza successiva viene preparata aggiungendo
una parte della potenza precedente a 33 parti in peso di lattosio e ripetendo poi
come prima per altre due volte le aggiunte di lattosio (in questo modo si ottiene
la 2ch).
Nella scala decimale il metodo è lo stesso, cambiando solo le proporzioni di
sostanze e lattosio (da 1:100 a 1:10).
L’importanza della triturazione nel liberare le proprietà medicinali della so-
stanza sarà discussa nel capitolo 3.

1.4.3. Conversione delle potenze solide in potenze liquide


Una parte in peso della terza potenza (3ch) di una sostanza preparata mediante
triturazione in lattosio è disciolta in 50 parti in peso d’acqua distillata. Poi, 50
parti in peso di etanolo vengono aggiunte a tale miscela acquosa ed il tutto vie-

6
In realtà, oggi sono disponibili diluizioni fino alla 300LM.
PREPARAZIONE DI SOSTANZE IN ALTE DILUIZIONI 37

ne messo in un contenitore scelto in modo che venga riempito per due terzi del
suo spazio complessivo. La provetta o la bottiglia, secondo il volume, è chiusa
e sbattuta con 10 colpi dall’alto verso il basso. In questo modo si ottiene la
quarta potenza centesimale (4ch). Le potenze successive sono preparate mesco-
lando una parte in volume della quarta potenza con 99 parti in volume di etano-
lo 90% ed assoggettando la miscela a 10 succussioni.
Nel caso delle potenze decimali, una parte in peso della sesta triturazione de-
cimale (6x) di una sostanza è miscelata con 50 parti in peso d’acqua distillata
in una provetta. Vengono quindi aggiunte 50 parti in peso di etanolo e la mi-
scela è succussa dieci volte. Questa è la ottava potenza decimale della sostanza
(8x). Una parte in peso di questa potenza è mescolata con nove parti in peso di
etanolo 90% e la miscela è succussa dieci volte, così da produrre la nona po-
tenza decimale della sostanza (9x). Tutte le successive potenze della scala de-
cimale sono preparate nel medesimo modo.
Tali metodi, usati dai farmacisti e dalle Case Farmaceutiche, sono descritti
nella Farmacopea Omeopatica (Anonimo, 1920 e 1962). Le più recenti Farma-
copee omeopatiche sono menzionate nella sezione che segue.

1.5. Conservazione dei rimedi e forme farmaceutiche

I rimedi omeopatici sono disponibili in forme liquide e in globuli di saccarosio


(Anonimo, 1962). I globuli sono preparati con zucchero di canna purificato,
che dovrebbe essere bianco. Essi sono di diverse grandezze denotate da numeri
che vanno da 8 a 80. Il numero che specifica una grandezza è determinato di-
sponendo 10 globuli in fila a stretto contatto tra loro: la lunghezza, in mm, del-
la linea costituita da 10 globuli fornisce il numero corrispettivo a quella gran-
dezza dei globuli.
Una provetta (o un vaso per maggiori quantità) è riempita fino a due terzi del
suo spazio con i globuli di una certa grandezza. I globuli di zucchero vanno
asciugati in un forno a 100 gradi per dieci ore prima di essere impregnati con la
sostanza, allo scopo di rimuovere ogni umidità dai globuli. Alcune gocce di
una potenza liquida sono versate nella provetta, giusto per inumidire tutti i glo-
buli. Il contenitore dove i globuli vengono impregnati con la potenza liquida
viene capovolto o sbattuto o rotolato, in modo che tutti i globuli siano unifor-
memente impregnati. Il coperchio del contenitore viene poi allentato e la fiala
viene rovesciata in modo da svuotare l’eventuale eccesso di liquido. Dopo aver
tenuto la fiala in posizione rovesciata per nove o dieci ore, essa viene raddriz-
zata. Le potenze liquide rimangono in fini screpolature dei globuli di lattosio.
38 CAPITOLO 1

Nel primo volume del suo libro, le Malattie Croniche, Hahnemann consigliò di
inumidire i globuli tenendoli a contatto con alcune gocce di una potenza liqui-
da per un minuto in un vaso di porcellana.
Il contenuto della provetta viene quindi versato su una carta da filtro asciutta,
cosicché l’eccesso di liquido è assorbito ed i globuli si asciugano rapidamente.
I globuli secchi sono quindi tenuti in una boccetta, in un luogo fresco e lontano
dalla luce. Poiché l’etanolo è altamente volatile, le potenze liquide tendono a
evaporare rapidamente. Si ritiene che i globuli impregnati da una sostanza pre-
parata in questo modo mantengano le loro proprietà per molti anni. Le medici-
ne omeopatiche dovrebbero essere tenute lontano dalla luce diretta del sole, da
qualsiasi radiazione, da forti campi magnetici, da sostanze odorose volatili co-
me la canfora. Le potenze liquide sono fornite in bottigliette di vetro ambrato,
dotate di contagocce.
Le procedure standard per la manifattura dei differenti rimedi omeopatici e la
loro conservazione sono state descritte nelle Farmacopee omeopatiche.
Ci sono varie Farmacopee omeopatiche:
- la Farmacopea omeopatica indiana, seconda edizione del 1966 (Manager of
publications, Ministry of Health, Governament of India),
- la Farmacopea omeopatica americana, del 1976 (American Institute of Ho-
meopathy, Washington DC),
- la Farmacopea omeopatica britannica, seconda edizione del 1999 (British As-
sociation of Homeopathic Manufacturers),
- la Farmacopea omeopatica tedesca, del 2001 (Deutescher Apothek Verlag,
Balogh International Inc.),
- la Farmacopea omeopatica europea, quarta edizione del 2002 (Directorate for
the quality of medicines of the Council of Europe).
La Federazione Internazionale Farmaceutica (FIP: The International Phar-
maceutical Federation) (The Hague, Olanda) ha stabilito le linee-guida per la
buona pratica farmaceutica in un apposito convegno svoltosi a Tokyo il 5 set-
tembre 1993. Tali standard devono essere seguiti dalle Case Farmaceutiche e
recepiti dalle Autorità governative. Le autorizzazioni alla produzione vengono
rilasciate alle Case Farmaceutiche che adottano la buona pratica farmaceutica
(GMP: Good Manufacturing Practices) e le buone pratiche di laboratorio
(GLP: Good Laboratory Practices). Tutto il procedimento deve avere un appo-
sito controllo di qualità.
Non ci sono delle regole fisse concernenti la diluizione, la succussione e la
triturazione. Di fatto, lo stesso Hahnemann propose diverse diluizioni e un di-
verso numero di colpi per preparare una potenza (Royal, 1991). L’agitazione
mediante Vortex e la sonicazione al posto di un’agitazione manuale possono
produrre potenze efficaci (Sukul, 1997). Noi abbiamo recentemente osservato
PREPARAZIONE DI SOSTANZE IN ALTE DILUIZIONI 39

che anche delle semplici diluizioni successive senza un’agitazione meccanica


producono una potenza omeopatica ugualmente efficace (Sukul et al., 2001).

Sommario

Le sostanze usate in omeopatia si ricavano da materie prime come piante, ani-


mali, minerali, parti malate dell’uomo o una soluzione idroalcolica irradiata.
L’estratto etanolico di una sostanza (Tintura Madre) è mescolato con etanolo in
fase idroalcoolica, solitamente al 90%, nella proporzione di 1:9 o 1:99 e la mi-
scela è sbattuta con forti scosse dall’alto verso il basso per preparare rispetti-
vamente la prima potenza decimale o centesimale. Le successive potenze sono
preparate mediante ulteriori diluizioni seriali della prima potenza con etanolo
in fase idroalcoolica e succussione della miscela stessa.
Il metodo di Korsakov usa una singola provetta, che è svuotata e riempita
nuovamente con etanolo in fase idroalcoolica durante il processo di dinamizza-
zione di una sostanza; il residuo lasciato nella fiala è usato per la successiva di-
luizione.
Nelle potenze LM introdotte da Hahnemann, la diluizione è di 1:50.000.
Nella serie millesimale, denotata con i suffisso M, la diluizione è di 1:1000.
Le sostanze insolubili in etanolo in fase idroalcoolica o in acqua sono ini-
zialmente miscelate con lattosio mediante triturazione fino alla terza potenza e
poi diluite con etanolo in fase idroalcoolica per le successive dinamizzazioni.
I globuli di saccarosio sono bagnati con i medicamenti liquidi e, una volta
asciugati, vengono conservati in una boccetta chiusa.
Agitazione con Vortex e sonicazione di una diluizione invece dell’agitazione
manuale producono potenze ugualmente efficaci. Nelle nostre esperienze, suc-
cessive diluizioni con mescolamento, ma senza ulteriore agitazione meccanica,
producono potenze medicinali ancora efficaci.
Le medicine omeopatiche sono prodotte secondo i metodi descritti nelle Far-
macopee omeopatiche. Le Case Farmaceutiche omeopatiche devono adottare le
pratiche di buona fabbricazione e di buon laboratorio (GMP e GLP) per garan-
tire l’alta qualità dei loro prodotti.
Capitolo 2

EVIDENZE DI EFFETTI DELLE ALTE


DILUIZIONI

I medici omeopati hanno da sempre osservato e segnalato effetti di sostanze


dinamizzate, ma gran parte di queste osservazioni non furono riportate adegua-
tamente, almeno se si considerano i requisiti attuali della ricerca clinica. Esi-
stono comunque alcuni lavori ben documentati. Le evidenze più forti e scienti-
ficamente convincenti della reale esistenza degli effetti delle alte diluizioni
vengono dai risultati di esperimenti su animali e su piante. Alcune evidenze,
sia cliniche che sperimentali, sono state riportate in un precedente libro (Sukul,
1997).

2.1. Evidenze cliniche

In omeopatia non c’è un unico medicamento per una determinata malattia, per-
ché i medicamenti vengono scelti sulla base dei sintomi dei pazienti in modo
individualizzato. Da questo deriva la possibilità di raccogliere evidenze clini-
che in supporto dell’omeopatia solo seguendo tali principi. Questi studi dimo-
strano che le malattie, qualunque sia il loro nome, possono essere curate o mi-
gliorate da medicine potenziate. Guardando alle evidenze da questo punto di
vista, possiamo trovare certamente molte prove in favore dell’omeopatia.
Nel descrivere la Materia Medica di alcune medicine omeopatiche, Nash
(1913) presentò molti interessanti casi clinici guariti.7 Egli menzionò anche
l’esatta potenza impiegata, il numero di volte che essa fu somministrata e in al-
cuni casi le caratteristiche patologiche dei suoi pazienti.
Ghatak (1927), un famoso omeopata dei primi anni del 900, riportò in manie-
ra accurata più di 17 casi di trattamenti. Per ogni caso riportò dettagliatamente
e cronologicamente i cambiamenti dei sintomi avvenuti nei pazienti in risposta

7
Nash E. B. La Testimonianza della Clinica. Edizioni Salus Infirmorum, Padova, 2003.
42 CAPITOLO 2

al trattamento con appropriati rimedi. Di seguito riportiamo, a titolo esemplifi-


cativo, alcuni di questi casi.8

CASO CLINICO 1 - Tumore della cervice uterina in una paziente di 34 anni con
tre figli. Non è detto se il tumore era benigno o maligno. Sintomi: dolore emor-
roidario; dolore pungente al basso ventre; sanguinamento e perdita di fluidi;
aggravamento nella stagione piovosa e miglioramento con il calore; febbre
ogni sera; perdita del senso del gusto; miglioramento dei dolori addominali con
il calore; desiderio di suicidio all’aggravamento dei dolori addominali; deside-
rio di aria aperta; aggravamento dei dolori di notte; pus maleodorante
nell’orecchio; frequenti vertigini, soprattutto nel piegare la testa verso il lato
destro. Trattamento: Aurum metallicum 1000ch, poi Thuja occidentalis 1000ch,
Aurum metallicum 10000ch, Aurum metallicum CM, Thuja occidentalis
1000ch. Il trattamento continuò per un periodo di circa nove mesi e la paziente
si ristabilì da tutti i suoi sintomi.

CASO CLINICO 2 - Maschio di 21 anni con leggera febbre remittente serale, vio-
lenti starnuti e raffreddore allergico. Al mattino ed alla sera, sensazione di
freddo con desiderio di coprire l’intero corpo; avversione per il bagno; sensa-
zione di corpo estraneo in gola; sensazione di bruciore in tutto il corpo durante
la febbre, ma senza il desiderio di togliersi le coperte; bocca secca ma non sen-
sazione di sete; storia di febbre malarica da cinque anni. Si sospettava trattarsi
di leishmaniosi ma non fu mai posta diagnosi con test di laboratorio. Tratta-
mento: Sabadilla 200ch, poi Sabadilla 1000ch ed Arsenicum iodatum 200ch. Il
trattamento continuò per circa tre mesi con totale scomparsa dei sintomi.

CASO CLINICO 3 - Maschio di 37 anni con fistola anale, già operato, ma con pus
giallognolo fuoriuscente da un piccolo foro circondato da un’area dura, rilevata
e bruciante. La malattia iniziò da un foruncolo dieci anni prima e dopo poco
tempo molti foruncoli apparvero sulla schiena; dolore nella fistola che aumen-
tava dopo la defecazione, sia con feci liquide che solide; paziente di natura
molto irritabile; sudorazione maleodorante alle palme delle mani ed alle piante
dei piedi; pollachiuria; non tollerava il freddo ma si sentiva male anche nella
stagione calda. Trattamento: Nitricum acidum 200ch, poi Nitricum acidum
1000ch, Hepar sulphuris calcareum 200ch, Nitricum acidum 10M, Nitricum
acidum 50M. Dopo questo trattamento, riportò bruciore alle palme delle mani
ed alle piante dei piedi; fu quindi somministrato Sulphur 1000ch, poi Nitricum

8
Un altro libro molto utile sotto questo punto di vista è quello di Gunavante (“Il Meraviglioso
potere dell’Omeopatia”), edito da questa stessa Casa Editrice, che riporta la descrizione
dettagliata di ben 200 casi clinici difficili curati con i medicamenti omeopatici (molto spesso
con un unico rimedio).
EVIDENZE DI EFFETTI DELLE ALTE DILUIZIONI 43

acidum CM. Il trattamento continuò per un periodo di 14 mesi ed il paziente


guarì completamente.

CASO CLINICO 4 - Maschio di 36 anni con asma bronchiale cronica, sofferente


da 12 anni. Durante la crisi asmatica stava seduto in posizione curva, sudava
alla fronte e desiderava essere sventolato; espettorazione di muco denso la mat-
tina, bruciore alle palme delle mani ed alla pianta dei piedi; stava meglio con
applicazioni fredde; irritabilità; storia di eruzione pustolosa sulle mani e sulle
ginocchia dovuta a scabbia; storia di emorroidi. Trattamento: Carbo vegetabilis
200ch, poi Sulphur 30ch, Sulphur 200ch, Carbo vegetabilis 500ch, Natrum
sulphuricum 1000ch, Nitricum acidum 1000ch. Il trattamento continuò per set-
te mesi ed il paziente fu curato da tutti i suoi sintomi.

Da tali descrizioni, appare evidente il modo di procedere dell’omeopata, anche


se in tutti questi quattro casi, risalenti agli anni 1913-1922, la diagnosi era al-
quanto approssimativa ed il risultato del trattamento non fu riportato in modo
adeguato e convincente. Inoltre, le relazioni su questi casi riferiscono che i pa-
zienti avevano ricevuto trattamenti allopatici prima di intraprendere la cura
omeopatica.
Di solito, le malattie croniche richiedono più di un anno per essere curate con
le medicine omeopatiche, mentre ci sono rapidi risultati quando vengono tratta-
te le malattie acute. Nella mia pratica (NCS) di Medicina omeopatica, negli ul-
timi 35 anni ho osservato azioni molto rapide nel trattamento di casi acuti come
attacchi di cefalea, diarree, sindromi influenzali, forti coliche, vomiti, vari tipi
di dolori, crisi epilettiche, raffreddori, febbri, emottisi, ulcere cutanee dovute a
traumi o ustioni, stomatiti, sanguinamenti emorroidari, ematurie dovute ad ure-
trite o cistite, tossi, vertigini, parotiti. In tutti questi casi ho notato, dopo tratta-
mento con medicine dinamizzate, una risoluzione dei sintomi in un tempo mol-
to breve, da pochi minuti a 7-8 giorni.
Il Dr. B. N. Chakravarty, medico del Presidente dell’India e del Governatore
del West Bengala, ha gentilmente fornito alcuni altri interessanti casi clinici
che, sinteticamente riassunti di seguito, possono servire, sempre a titolo esem-
plificativo, per capire come viene utilizzata e cosa possa fare l’omeopatia.9

CASO CLINICO 1 - Donna giapponese di 28 anni con encefalite virale. Sintomi:


incosciente da 19 giorni, emiplegia sinistra, movimenti convulsivi costanti sul

9
Forse non è superfluo precisare che gli attuali orientamenti della ricerca clinica ed
epidemiologica rivalutano l’importanza delle serie di casi e persino di singoli casi clinici, se
ben descritti, pur non consentendo tali studi di discriminare l’effetto del medicinale da quello
di fattori terapeutici aspecifici e, talvolta, dalla guarigione legata al decorso naturale della
malattia.
44 CAPITOLO 2

lato destro del corpo e perdita di tutti i riflessi superficiali e profondi. Viene ri-
ferito che, prima dell’inizio di questa malattia, la paziente sognava regolarmen-
te di essere assassinata da un gruppo di persone. In seguito ella sviluppò cefa-
lea, febbre e stato soporoso. Trattamento: Lachesis 200ch, poi Lachesis 1M,
per inalazione. La paziente recuperò in tre settimane (1987).

CASO CLINICO 2 - Donna di 25 anni con ipoglicemia idiopatica spontanea. Sin-


tomi: ricorrente shock ipoglicemico, glicemia 18-20 mg/100 ml durante
l’episodio, ipertermia, fortissimo desiderio di dolci, sogni stravaganti. In pre-
cedenza ella aveva avuto ricorrenti tonsilliti e una dermatite trattate con anti-
biotici. Trattamento: Sulphur 30ch in due dosi. Migliorò in una settimana
(1983).

CASO CLINICO 3 - Ragazza di 14 anni affetta da epatite B. Sintomi: coma du-


rante il quale giace in uno stato di rigidità, come un tronco di legno. Trattamen-
to: Zincum metallicum 200ch per inalazione ogni tre ore. Si riprese completa-
mente in un mese (1990).

CASO CLINICO 4 - Ragazza di 15 anni con emorragia cerebrale per trauma cra-
nico. Sintomi: coma, perdita dei riflessi superficiali e profondi, afasia; giace in
uno stato di rigidità come se fosse un tronco di legno, con lieve tremolio ai
piedi. Trattamento: Zincum metallicum 200ch dato in ripetute dosi per inala-
zione. La paziente guarì completamente in un anno (1994).

CASO CLINICO 5 - Donna di 35 anni con infertilità primaria ed amenorrea se-


condaria, cessazione della funzione ovarica e fibroma uterino sulla parete po-
steriore alla giunzione tra terzo superiore ed i due terzi inferiori dell’utero. Sin-
tomi: amenorrea da due anni, obesità, sudore alle palme delle mani ed alla
pianta dei piedi, desiderio di uova, storia di mestruazioni irregolari. Trattamen-
to: Calcarea carbonica 200ch ripetuta cinque volte e seguita da Thuja occiden-
talis 200ch ripetuta tre volte. La paziente guarì in due anni (1994).

Tutti questi cinque casi clinici indicano chiaramente che le potenze omeopati-
che possono curare o migliorare anche dei casi molto gravi in un tempo relati-
vamente breve, purché la scelta del rimedio sia corretta. Si può notare che in
questi casi c’è una precisa scelta di un rimedio singolo per una certa condizione
clinica in presenza di particolari sintomi.

Sono ora riportati, sempre a titolo esemplificativo, altri due casi di un medico
omeopata (Dr. Rathin Chakravarty).
EVIDENZE DI EFFETTI DELLE ALTE DILUIZIONI 45

CASO CLINICO 1 - Donna di 35 anni sofferente di fibroadenoma mammario bi-


laterale. Sintomi: mancanza di sete, persona molto emotiva e sensibile, tenden-
za ad accaldarsi facilmente. Trattamento: Pulsatilla 200ch, in quattro dosi, da
prendere due volte al giorno. Il rimedio fu ripetuto dopo due mesi. La guari-
gione avvenne in tre mesi (2000).

CASO CLINICO 2 - Donna di 25 anni sofferente di fibroma uterino. Sintomi: do-


lore addominale, dismenorrea, menorragia, nervosismo; le piace il latte ed ama
viaggiare. Trattamento: Tuberculinum bovinum 200ch, dato in quattro dosi. La
guarigione avvenne in due mesi (2002).

Questi due casi mostrano che pazienti affetti da tumori benigni e trattati con i
rimedi adatti possono effettivamente guarire in tempo relativamente breve.
È ovvio che singoli case-report non sono dimostrativi sul piano clinico-
epidemiologico e che per questo sono utili anche studi osservazionali più ampi
e trial clinici condotti con metodologie adeguate. Per questo sono stati condotti
degli studi controllati su un gran numero di pazienti trattati con rimedi omeo-
patici ed i risultati sono stati positivi in molte condizioni cliniche (Reilly et al.,
1986; Ferley et al., 1989; Fisher et al., 1989). Una lista di riferimenti biografici
sulla ricerca in omeopatia è stata compilata da Fisher (1991). Relazioni sulla
ricerca omeopatica sono state pubblicate dalla ‘Foundation for Homeopathic
Education & Research’ della California (USA) (1989 e 1990); esse contengono
un breve sommario di importanti lavori sull’omeopatia.
Kleijnen et al. (1991) hanno passato in rassegna 96 studi pubblicati su un to-
tale di 107 studi clinici controllati, fatti con omeopatia. Secondo tali Autori, i
metodi adottati in una notevole parte degli studi non erano sufficientemente
corretti e, soprattutto, gli studi non erano stati riprodotti sufficientemente per
poter trarre delle conclusioni definitive a sostegno dell’efficacia dell’omeopatia
in singole malattie. Tuttavia, gli Autori ritengono che i risultati indicassero un
trend positivo.
Recenti studi di meta-analisi di trial clinici controllati fatti con i medicamenti
omeopatici mostrano cumulativamente una differenza tra l’effetto riscontrato
nei pazienti trattati col medicamento omeopatico e quello nei controlli trattati
con placebo (Linde et al., 1997; Cucherat et al., 2000).
È stata fatta un’inchiesta su 829 pazienti sofferenti di malattie croniche come
eczema, artrite reumatoide, angina instabile, colite ulcerativa, psicosi maniaco-
depressiva, cirrosi biliare, asma, ecc. Di questi pazienti, il 61% mostrarono un
consistente miglioramento dopo la terapia omeopatica (Sevar, 2000). In questi
stessi casi, il trattamento convenzionale aveva fallito o l’effetto si era stabiliz-
zato in modo insoddisfacente oppure si erano manifestati degli effetti avversi
con i farmaci convenzionali.
46 CAPITOLO 2

In un altro studio osservazionale, condotto in collaborazione tra 30 medici, è


stata confrontata la terapia convenzionale con quella omeopatica (Riley et al.,
2001): sono stati presi in considerazione gli obiettivi primari come la guarigio-
ne o un grosso miglioramento. I pazienti (456) sono stati osservati per:
- malattie del tratto respiratorio superiore incluse le allergie,
- malattie del tratto respiratorio inferiore incluse le allergie,
- patologie otorinolaringoiatriche.
I pazienti che hanno mostrato risposte positive costituivano l’82,6% nel
gruppo trattato con omeopatia e 68% nel gruppo trattato con i farmaci conven-
zionali.

I lavori finora pubblicati confermano la necessità che negli studi clinici si pon-
ga in atto una corretta valutazione dell’efficacia dell’omeopatia. Per questo
motivo si dovrebbero condurre degli studi controllati con placebo in modo
adeguato, accompagnati da procedure diagnostiche moderne come le analisi
del sangue, la diagnostica per immagini e test elettrofisiologici (ECG, EEG).
Bisogna però tenere presente che i risultati degli studi clinici in omeopatia po-
trebbero essere influenzati da una marcata variabilità individuale, a causa della
disposizione miasmatica dei soggetti. Inoltre, va anche considerato che
l’efficacia della terapia omeopatica potrebbe non apparire evidente su grande
scala per l’esistenza di blocchi miasmatici in alcuni individui. Discuteremo dei
miasmi nel capitolo 4.

2.2. Evidenze su animali da esperimento

Vari modelli animali sono stati usati per la dimostrazione dell’azione di medi-
cine omeopatiche dinamizzate. Si partiva dal presupposto che, se questi medi-
camenti agiscono sull’uomo, devono agire anche sugli animali.
Nella Medicina allopatica, per lo sviluppo di nuovi farmaci sono stati usati da
molto tempo dei modelli animali, particolarmente ratti, topi, hamster, cavie,
conigli e scimmie. Sono stati usati molti animali di laboratorio con patologie
che servono da modello di malattie umane, come la leishmaniosi, la malaria, la
tripanosomiasi, la filariasi, l’echinococcosi, ecc. Sono disponibili buoni model-
li animali anche per altre malattie come cancro, iperglicemia, ipertensione arte-
riosa, epilessia, ecc.
I modelli animali sono stati di grande aiuto per comprendere lo sviluppo delle
malattie a livello tessutale, cellulare e molecolare. Essi servono anche per
comprendere il meccanismo di assorbimento, distribuzione, trasformazione ed
escrezione dei farmaci. Anche i dosaggi e le reazioni avverse dei farmaci sono
EVIDENZE DI EFFETTI DELLE ALTE DILUIZIONI 47

di norma studiati su modelli animali prima della sperimentazione in campo


umano.
Molti rimedi tradizionali e popolari usati nell’uomo e negli animali per centi-
naia di anni sono stati recentemente testati su precisi modelli sperimentali in
animali. In questo modo sono stati identificati i principi attivi di piante medici-
nali e di prodotti animali. Molti farmaci allopatici di uso corrente sono stati
scoperti grazie a intensive ricerche e screening su modelli animali. Una volta
che un composto ha superato i test animali, può essere sperimentato sull’uomo.
Solo dopo l’esecuzione di studi preliminari eseguiti sull’uomo con effetto posi-
tivo, il farmaco può essere commercializzato per l’uso generale.
In omeopatia, il sistema è esattamente opposto, cioè si è iniziato con la spe-
rimentazione sull’uomo per passare solo in tempi più recenti a quella animale.
Poiché i rimedi dinamizzati sono altamente diluiti e sono usati in dosi molto
piccole, finora non sono state imposte particolare restrizioni all’uso umano dei
medicamenti omeopatici. Di fatto, queste medicine sono state usate per malat-
tie umane da 200 anni. Oggi, comunque, sono stati iniziati numerosi studi su
animali per provare la loro efficacia e comprenderne il meccanismo d’azione.10

2.2.1. Effetti biologici su animali e uccelli


Le medicine omeopatiche vengono usate da molto tempo per il trattamento di
malattie degli animali domestici.
Infatti, Caulophyllum, somministrato a maiali di allevamenti, ha prevenuto la
morte precoce del feto (Dey, 1984).
Microdosi di Arsenicum album hanno facilitato l’escrezione dello stesso me-
tallo nelle urine e nelle feci di ratto (Cazin et al., 1987).
Zincum metallicum 12x ha modulato il rilascio di istamina dalle mastcellule
stimolate di ratto (Harisch e Kretschmer, 1988).
Silicea 6ch e 10ch ha stimolato il rilascio di PAF (Platelet-Activating Factor)
da macrofagi peritoneali di topo (Davenas et al., 1987).
Piccole dosi di Interferone hanno mostrato un’attività immunomodulatrice su
linfociti B e T del topo (Daurat et al., 1988).
Alte diluizioni di sostanze endogene come la Timulina, un ormone estratto
dal timo, e la Bursina, estratta dalla borsa di Fabrizio dell’uccello, hanno pro-

10
È noto che molti sollevano obiezioni nei confronti delle pratiche di sperimentazione su
animali. L’Editore ed il Traduttore rispettano tale sensibilità sul piano etico e concordano
con la necessità di ridurre al minimo, nella ricerca biomedica, l’uso di modelli animali,
limitandoli ai test indispensabili e insostituibili. Per quello che si può desumere dai lavori qui
riportati, essi paiono eseguiti secondo i metodi convenzionali e le norme condivise di buona
pratica di laboratorio.
48 CAPITOLO 2

dotto immunomodulazione rispettivamente nel topo e nei polli borsectomizzati


(Bastide e Boutard, 1998).
Alte diluizioni di Silicea hanno accelerato la guarigione su modelli sperimen-
tali di lesioni da perforazione dell’orecchio del topo (Oberbaum et al., 1998).
Alte diluizioni di Caffeina e di Adenina hanno prevenuto gli effetti teratogeni
indotti da alte dosi delle stesse sostanze somministrate in dosi ponderali nel to-
po (Taddei-Ferretti e Cotugno, 1998).
Burlakova (1998) ha osservato effetti di alte diluizioni di varie sostanze bio-
logicamente attive a livello di organismi, cellule e macromolecole su piante e
su animali. L’Autore ha affermato che questi effetti non potevano essere dovuti
ad alcuna sostanza contenuta in dosi ponderali nelle soluzioni usate.

a) Modello di catalessi
Nel nostro gruppo di ricerca abbiamo messo a punto un modello animale, senza
pratiche di vivisezione, con cui siamo riusciti a dimostrare gli effetti biologici
di medicinali dinamizzati come Agaricus muscarius, Graphites, Cannabis in-
dica e Gelsemium alla 30a e 200a potenza (Sukul et al., 1986). Questi medica-
menti hanno modificato significativamente la catalessi indotta nei ratti dalla re-
strizione del movimento. La catalessi è uno stato transitorio di immobilità in
cui gli animali non riescono a correggere la loro postura a partire da una posi-
zione anormale. Essa può essere indotta da una restrizione del movimento o da
dei farmaci. È un fenomeno dovuto ad una funzione del sistema nervoso cen-
trale che coinvolge molti sistemi di neurotrasmettitori (Sanberg, 1980, Hart-
graves e Kelly, 1984; Klemm 1983, 1985; Sukul et al., 1988; Zarrindast e Ha-
bibi-Moini, 1991). Nel Repertorio omeopatico di Kent, sotto la rubrica “cata-
lessi” sono elencati molti rimedi omeopatici (Kent, 1911). Noi abbiamo mi-
gliorato la tecnica per ottenere la catalessi ed abbiamo osservato che Agaricus
muscarius dinamizzato può influenzare significativamente la catalessi nel topo
albino, in cui è stata indotta da alcune manipolazioni dei neurotrasmettitori. In
particolare, Agaricus muscarius 30ch ha soppresso la catalessi indotta
dall’aloperidolo (5 mg/kg i.p.), antagonista dei recettori della dopamina (DA).
Tuttavia, Agaricus muscarius ha favorito lo sviluppo della catalessi quando è
stato somministrato insieme all’apomorfina (5 mg/kg), agonista della DA, ed
alla bromocriptina, agonista dei recettori D2. Mentre l’apomorfina non produce
catalessi da sola, la bromocriptina produce una leggera catalessi (Sukul e
Klemm, 1988).
Questo è un buon modello, ma si deve prestare molta attenzione a che gli
animali non siano stressati prima di iniziare un esperimento. I risultati nel loro
insieme, mostrano che le potenze omeopatiche possono interagire con i farmaci
neurotrasmettitori.
EVIDENZE DI EFFETTI DELLE ALTE DILUIZIONI 49

Efficacia dell’omeopatia per via orale


Abbiamo inoltre osservato che Agaricus muscarius 30ch può reversibilizzare la
catalessi da aloperidolo solo quando viene somministrato per via orale (Sukul,
1995). Agaricus muscarius 30ch ha anche soppresso la catalessi del topo indot-
ta da agonisti adrenergici come la fenilefrina, un agonista alfa1 (2 mg/kg i.p.), e
la clonidina, un agonista alfa2 (1 mg/kg i.p.). Anche in questi esperimenti, Aga-
ricus muscarius si è rivelato efficace solo se somministrato per via orale e non
per via intraperitoneale (Ghosh et al., 1997). Tali risultati suggeriscono che
l’effetto delle potenze omeopatiche potrebbe essere mediato da recettori pre-
senti sulla mucosa orale.
Prove di dose-effetto ed efficacia della succussione
Se Agaricus muscarius 30ch è ulteriormente diluito con etanolo 90% senza al-
cuna agitazione meccanica (dinamizzazione) può essere ugualmente efficace
nel ridurre la catalessi da aloperidolo fino alla diluizione di 1:20.000. Diluizio-
ni più alte come 1:40.000 e 1:50.000 non hanno prodotto alcun effetto anti-
catalettico. Tuttavia, la diluizione 1:50.000 poteva essere resa efficace dopo un
trattamento con succussione, in questo caso prodotta mediante sonicazione.
L’effetto anti-catalettico in questi esperimenti fu osservato quando Agaricus
muscarius era somministrato o prima o immediatamente dopo l’aloperidolo
(Sukul et al., 1996). Ciò mostra che c’è un limite di diluizione di una potenza
omeopatica e che l’agitazione meccanica gioca un ruolo nel mantenere
l’efficacia di un rimedio diluito.
In un recente studio abbiamo osservato che anche la semplice diluizione se-
riale, con solo mescolamento della soluzione senza agitazione meccanica, po-
trebbe produrre una potenza omeopatica efficace, ma in quei casi la diluizione
era al massimo di 1:100 in ciascun passaggio successivo. Passaggi seriali con
diluizioni di volta in volta più alte richiedevano agitazione meccanica per esse-
re efficaci.

b) Modello del riflesso di raddrizzamento


Oltre al modello della catalessi, abbiamo sviluppato altri modelli di valutazione
degli effetti dei medicinali omeopatici in animali trattati con etanolo. Si sa che
le persone ubriache camminano oscillando da una parte all’altra per la perdita
dei riflessi di una normale postura. Mediante i riflessi di raddrizzamento, gli
animali recuperano e mantengono la normale postura eretta operando una serie
di risposte integrate soprattutto a livello del mesencefalo (Ganong, 1989).
L’etanolo può indurre la perdita del riflesso di raddrizzamento nel topo, effetto
che può essere misurato come tempo che l’animale trascorre come fosse ad-
dormentato (Draski et al., 1992; Reeve et al., 1992): per la perdita del riflesso
50 CAPITOLO 2

di raddrizzamento dovuto all’ingestione di etanolo, gli animali, posti in posi-


zione distesa, non si muovono ma stanno inerti, come se stessero dormendo.
Nux vomica è un medicinale omeopatico tradizionalmente conosciuto come
efficace per curare gli effetti dell’alcolismo (Kent, 1911; Boericke, 1927). Noi
(Sukul et al., 1999) abbiamo osservato che Nux vomica 30ch, somministrata
per via orale, riduce significativamente il tempo di sonno indotto dall’etanolo
nel topo albino. I topi ricevevano per via intraperitoneale una soluzione al 25%
di etanolo, nella quantità di 4 grammi per chilo di peso corporeo, sei ore dopo
il trattamento con Nux vomica 30ch. Questo semplice modello può essere fa-
cilmente testato in qualsiasi laboratorio.
Etanolo in fase idroalcoolica come mezzo efficace
Nel nostro laboratorio abbiamo preparato Nux vomica 30ch, partendo da un
estratto etanolico dei semi di Strichnos Nux vomica L. Abbiamo usato il 90% di
etanolo per preparare le successive diluizioni della tintura madre di Nux vomi-
ca. In questo caso, invece della succussione manuale abbiamo dinamizzato cia-
scuna diluizione per sonicazione a 20 kHz per 30 secondi. Oltre che con il 90%
di etanolo, abbiamo preparato Nux vomica 30ch usando altri diluenti, come
etanolo puro ed acqua pura. In questa serie di esperimenti, abbiamo osservato
che il mezzo più efficace era etanolo in fase idroalcoolica, mentre né l’etanolo
puro, né l’acqua pura erano in grado di produrre una potenza di Nux vomica ef-
ficace a dimostrare l’effetto anti-ipnotico nel topo albino (Sukul et al., 1999a).
Questo esperimento mostra quindi che l’etanolo in fase idroalcoolica è il
mezzo migliore per la preparazione di una efficace potenza omeopatica.
Va comunque tenuto presente che, poiché le medicine dinamizzate erano
stoccate nel laboratorio per almeno sei mesi prima di testarle su animali, è pos-
sibile che le preparazioni d’acqua pura possano avere perso la loro efficacia
durante lo stoccaggio. Questo esperimento, perciò, dovrebbe essere confermato
con altri modelli. Comunque, i risultati sono importanti in relazione alle ipotesi
sulla base fisica di una potenza omeopatica.

2.2.2. Effetti biologici su anfibi


Il rospo viene comunemente utilizzato come animale di laboratorio, soprattutto
per esperimenti biologici e farmacologici. Noi abbiamo condotto degli esperi-
menti sul rospo, usato come un possibile modello animale per dimostrare gli
effetti biologici delle potenze omeopatiche.

a) Rospi giovani
In una prima serie di esperimenti, giovani rospi (Bufo melanosticus) del peso di
0.03-0.22 g, venivano testati per la perdita del riflesso di raddrizzamento indot-
EVIDENZE DI EFFETTI DELLE ALTE DILUIZIONI 51

to da etanolo in presenza o in assenza di Nux vomica 30ch. In questo caso, Nux


vomica 30ch era preparata con etanolo 90%, etanolo puro, acqua pura o latto-
sio. Le preparazioni in lattosio erano fatte per triturazione. Soluzioni di control-
lo erano costituite dallo stesso solvente, diluito in 30 passaggi seriali, seguiti da
sonicazione, però senza ovviamente usare la tintura madre di Nux vomica nel
primo passaggio. I controlli per le potenze solide erano preparati con tritura-
zione di lattosio senza la tintura madre di Nux vomica nel primo passaggio.
I medicamenti o i rispettivi controlli erano diluiti con acqua distillata ed i
piccoli rospi erano esposti a tale miscela in immersione per cinque minuti. Il
trattamento era ripetuto due volte al giorno per tre giorni consecutivi. Il quarto
giorno gli animali erano esposti ad una soluzione 209 mM di etanolo con im-
mersione parziale. Ogni dieci minuti, gli animali erano momentaneamente ri-
mossi dal bagno etanolico e posti in posizione supina su di una superficie piana
ed asciutta. L’incapacità di recuperare la posizione nomale (dorso in alto) entro
60 secondi veniva considerata come perdita del riflesso di raddrizzamento. I ri-
sultati hanno mostrato che nei rospi trattati con Nux vomica 30ch, preparata
con etanolo 90%, ci voleva un tempo significativamente più lungo prima che
andasse perso il riflesso di raddrizzamento rispetto ai rospi trattati con la sola
soluzione di controllo (Fig. 1).
Nux vomica 30ch preparata con altri solventi non mostrò alcun effetto sullo
stesso modello sperimentale, se confrontata con il controllo. Tali esperimenti
mostrano nuovamente che l’etanolo in fase idroalcoolica è il solvente adatto
per la preparazione di una potenza omeopatica (Sukul et al., 1997). È opportu-
no segnalare che anche in questo caso le potenze omeopatiche erano state stoc-
cate per alcuni mesi prima di essere utilizzate per gli esperimenti.

b) Rospi adulti
Abbiamo fatto altri esperimenti usando rospi adulti della specie Bufo melano-
sticus trattati con Nux vomica 200ch e 1000ch per bocca (30 in ciascun grup-
po). Sei ore dopo, gli animali ricevevano per via intraperitoneale un’iniezione
di etanolo 25% alla dose di 8 g/kg di peso corporeo. Veniva quindi misurato il
tempo durante il quale gli animali restavano come addormentati: un metodo già
menzionato negli esperimenti sui topi. I rospi trattati con le potenze di Nux vo-
mica (sia la 200ch sia la 1000ch) recuperavano il riflesso di raddrizzamento più
velocemente di quelli dei gruppi di controllo.
52 CAPITOLO 2

Controllo
% degli anfibi che perdono il riflesso di raddrizzamento

Nux vom 30

Tempo di esposizione in minuti

Fig. 1 - La perdita del riflesso di raddrizzamento durante l’anestesia con etanolo 209
mM è ridotta significativamente nei giovani rospi trattati con Nux vomica 30
ch preparata in etanolo 90% con sonicazione, rispetto ai controlli (p < 0.005,
test X2). Controlli: (); trattati (). N = 60 in entrambi i gruppi (riprodotta,
con autorizzazione, da Sukul et al.: Hydrated ethanol, the effective medium
for a homeopathic potency as tested by a new toad model. Indian J. Landsca-
pe Syst. Ecol. Stud. 1997; 20:155).

Questo mostra che i rospi adulti possono servire come buoni modelli animali
per dimostrare gli effetti biologici di una potenza omeopatica (Sukul et al.,
2000b; Sukul et al., 2000c). Abbiamo anche dimostrato che Nux vomica dina-
mizzata ha significativi effetti anti-alcolici, sia sugli anfibi sia sui mammiferi.

2.2.3. Effetti sull’alcolismo cronico


L’alcolismo cronico è un grande problema di salute in tutto il mondo e
l’omeopatia ha alcuni rimedi efficaci per curare questa condizione. Noi abbia-
mo testato la Nux vomica, che è uno di questi rimedi, per valutare i suoi effetti
anti-alcolici sui ratti.
EVIDENZE DI EFFETTI DELLE ALTE DILUIZIONI 53

a) Consumo di etanolo
Alcuni ratti del ceppo Charles Foster erano lasciati nuotare in una bacinella di
plastica con acqua profonda 20 centimetri. Essi nuotavano vivacemente, fer-
mandosi di tanto in tanto. In ogni test veniva registrato il periodo di immobiliz-
zazione in cui il ratto non nuotava ma sporgeva la testa sulla superficie
dell’acqua. I ratti che erano caratterizzati da una motilità più elevata avevano
periodi di immobilizzazione complessivamente inferiori a 130 secondi, mentre
quelli meno attivi avevano periodi maggiori di 300 secondi. In questo modello,
la durata dell’immobilizzazione è direttamente proporzionale ad uno stato si-
mil-depressivo.
In una popolazione casuale di ratti, il consumo di etanolo varia notevolmente;
quindi, soltanto i ratti potenzialmente alcolisti furono utilizzati per questi espe-
rimenti sul consumo di alcol. Si sa che sono i ratti meno attivi quelli più sog-
getti all’alcolismo (Paul et al., 1992). Questi ratti furono selezionati per dei test
di consumo dell’etanolo. A questi ratti fu somministrata una bevanda al 20% di
etanolo per dieci giorni, quindi veniva data loro la possibilità di bere sia etano-
lo 20% sia acqua, a scelta in due diverse bottiglie. I ratti erano quindi trattati
oralmente con Nux vomica 30ch o Nux vomica 1000ch. Mentre Nux vomica
1000ch fu preparata mediante il solito processo di succussione, Nux vomica
30ch fu preparata con sonicazione. A un gruppo di ratti fu anche somministrata
Nux vomica 30ch mediante la via intraperitoneale e un altro gruppo servì come
controllo non trattato. Mentre Nux vomica 1000ch fu somministrata alla poso-
logia di una dose al giorno, Nux vomica 30ch fu data alla posologia di una dose
ogni 15 giorni. I trattamenti ed i test giornalieri del consumo di etanolo e
d’acqua furono continuati per un mese. Sia Nux vomica 30ch sia Nux vomica
1000ch ridussero significativamente il consumo di etanolo rispetto ai ratti non
trattati. Tuttavia, Nux vomica 30ch somministrata per via intraperitoneale non
diede alcun effetto, rispetto al controllo. Nux vomica 30ch (orale) fu un po’ più
efficace di Nux vomica 1000ch (Fig. 2).
54 CAPITOLO 2

% di ingestione di soluzione alcolica rispetto a acqua

Controllo
Nux vom 30s (i.p.)
2a dose
Nux vom 1000 (orale)
Nux vom 30s (orale)

Giorni di osservazione

Fig. 2 - Effetti di Nux vomica dinamizzata sull’assunzione di etanolo in ratti albini. Nux
vomica 30ch, preparata con sonicazione e somministrata per via orale una
volta ogni 15 giorni, ha ridotto il consumo di etanolo. Nux vomica 1000ch,
preparata con succussione e somministrata una volta al giorno, ha ugualmen-
te ridotto il consumo di etanolo rispetto ai controlli. Nux vomica 30ch, prepa-
rata con sonicazione e data per via intraperitoneale (i.p.), non ha mostrato al-
cun significativo effetto rispetto ai controlli (riprodotta, con autorizzazione,
da Sukul et al.: High dilution effects of Strychnos Nux vomica L on hypotha-
lamic neurons and adrenergic nerve endings of alcoholic rats. In: High dilu-
tion effects on cells and integrated systems. C. Taddei Ferretti, P. Marotta [edi-
tors]. Copyright © 1998 by World Scientific Publishing Co Pte Ltd).

Questo esperimento potrebbe suggerire che la sonicazione sia un buon mezzo


per dinamizzare i medicinali omeopatici e mostra ancora una volta che la via
orale è una via efficace per l’azione di una potenza omeopatica. Probabilmente
ci sono dei recettori orali che mediano l’azione della potenza omeopatica
nell’organismo (Sukul et al., 1998).
EVIDENZE DI EFFETTI DELLE ALTE DILUIZIONI 55

In un altro esperimento abbiamo osservato che il consumo alcolico nei ratti è


ridotto significativamente sia da Nux vomica 30ch sia da Nux vomica TM (Su-
kul et al., 2000a).

b) Neuropatia alcolica
È noto che l’alcolismo cronico può causare disfunzione del sistema nervoso au-
tonomo e una neuropatia periferica. Nei pazienti con neuropatia alcolica è ri-
portata una degenerazione del nervo vago e dei nervi simpatici. In un modello
sperimentale su ratto (Ferreira et al., 1975), il consumo prolungato di rhum
(contenente etanolo 40%) ha causato gravi lesioni degenerative nei plessi ner-
vosi adrenergici delle valvole atrioventricolari. Noi abbiamo fatto un esperi-
mento per vedere se Nux vomica 30ch, preparata con sonicazione, poteva cura-
re la neuropatia alcolica periferica nei ratti.
In questo esperimento, ai ratti veniva somministrata una dieta normale ma,
per due mesi, essi potevano bere solo etanolo 20%. Di seguito, gli animali fu-
rono trattati con Nux vomica 30ch, una dose ogni 15 giorni per quattro mesi.
Durante tutto il periodo di trattamento, i ratti erano tenuti in gabbie con la pos-
sibilità di bere da due bottiglie: una contenente etanolo 20% e l’altra contenen-
te acqua potabile. Il consumo giornaliero di etanolo e d’acqua veniva registrato
per ciascun ratto per tutto il periodo di sei mesi durante i quali è durato
l’esperimento. Oltre ai gruppi di ratti trattati e non trattati con il rimedio omeo-
patico, ai quali veniva somministrato l’etanolo, c’era anche un gruppo senza
etanolo. Dopo sei mesi, tutti i ratti sono stati sacrificati e sono state esaminate
le loro valvole atrioventricolari per la presenza di cambiamenti degenerativi dei
plessi nervosi adrenergici. Tali degenerazioni sono state riscontrate nei ratti a
cui era stata somministrata la dieta alcolica e non erano stati trattati con il me-
dicinale omeopatico. Il trattamento omeopatico, infatti, aveva ridotto il consu-
mo di etanolo ed ha portato ad una notevole rigenerazione delle terminazioni
nervose che precedentemente erano degenerate per la somministrazione di eta-
nolo.
Questo esperimento mostra che una potenza omeopatica può produrre dei
miglioramenti sintomatologici e dei cambiamenti anatomici obiettivabili (Su-
kul et al., 1998).

2.2.4. Effetti su malattie infettive e parassitarie


Oltre alle malattie dovute a disordini metabolici ed immunologici, a traumi o a
sostanze tossiche, anche le malattie causate da parassiti o altri germi patogeni
sono state trattate efficacemente con le medicine omeopatiche. È stato riportato
che le epidemie di colera in Europa furono contrastate efficacemente dalla me-
56 CAPITOLO 2

dicina omeopatica (Leary, 1994). In quel caso particolare, ci si riferiva alle


grandi epidemie del 1854. Comunque, alcuni potrebbero obiettare che quei ri-
sultati potrebbero non essere del tutto attendibili, perché le moderne tecniche
epidemiologiche a quel tempo non erano ancora disponibili e non furono con-
dotti studi con adeguati controlli e con placebo. Per questo sono particolarmen-
te utili e dimostrativi gli attuali esperimenti condotti su animali.
In una clinica veterinaria tedesca, è stato testato Abrotanum 1x su 27 cani e
26 gatti affetti da nematodi intestinali ed i risultati sono stati positivi (Krause,
1993). Inoltre, alcuni rimedi omeopatici hanno mostrato effetti antivirali sulle
malattie dell’embrione di pollo (Singh e Gupta, 1985).
La trichinosi (o trichinellosi) è una malattia causata nell’uomo da un parassita
nematode: la Trichinella spiralis. I parassiti adulti infettano anche ratti, topi,
animali selvatici, maiali, ecc. L’infezione umana deriva soprattutto
dall’alimentazione con carne di maiale poco cotta e contenente le cisti della
Trichinella. Non ci sono rimedi efficaci per l’eliminazione della Trichinella
spiralis dall’ospite; il tiabendazolo (3 g/die per cinque giorni) può ridurre alcu-
ni sintomi, ma non eliminare le cisti dai muscoli (Webster, 1991). Noi abbiamo
condotto un esperimento sul topo albino inoculato con Trichinella spiralis. I
topi venivano anche trattati con idrocortisone, un immunosoppressore, per au-
mentare e diffondere l’infezione. Trenta giorni dopo l’inoculazione, i topi di un
gruppo furono trattati con Cina 1M per tre giorni seguita da Calcarea fluorica
CM. C’era un altro gruppo di animali in cui veniva dato, come secondo medi-
camento, Thuja occidentalis CM. Calcarea fluorica e Thuja occidentalis furo-
no usate perché la trichinosi provoca delle cisti nei muscoli. Cina fu usata sin
dall’inizio perché la causa che provoca la cisti è un parassita di forma rotonda.
Le densità delle larve nei muscoli furono determinate nei giorni 10°, 17° e 24°
dopo l’ultimo giorno di terapia, sacrificando 6 topi per ciascun gruppo. I con-
trolli non trattati mostrarono un aumento della densità delle larve rispetto al pe-
riodo prima del trattamento di +14.79%. Le terapie ridussero significativamen-
te le densità delle larve nei muscoli dei topi quando confrontati con i controlli
(-40.97% e -62.62% rispettivamente per Cina+Calcarea fluorica e Cina+Thuja
occidentalis). L’effetto terapeutico è stato attribuito alla reazione immunologi-
ca specifica ed aspecifica del topo, promossa dalla sostanza dinamizzata.
Riteniamo che l’azione del rimedio omeopatico sia mediata dal sistema ner-
voso centrale che, a sua volta, attiva le risposte infiammatorie aspecifiche e ge-
neralizzate capaci di contrastare l’invasione del parassita. Poiché i rimedi erano
somministrati per via orale, essi potrebbero aver agito mediante le vie afferenti
dalla cavità orale alla corteccia, che passano attraverso il nucleo del tratto soli-
tario ed il talamo. Nella corteccia, il messaggio potrebbe essere elaborato e tra-
sformato in un segnale in uscita, che a sua volta può influenzare le funzioni del
sistema immunitario, tra cui plausibilmente la citotossicità cellulo-mediata an-
EVIDENZE DI EFFETTI DELLE ALTE DILUIZIONI 57

ticorpo-dipendente (ADCC)11, la quale potrebbe distruggere, almeno parzial-


mente, la Trichinella spiralis. Vi sono molte evidenze che i meccanismi orali
influenzano le risposte immunitarie e l’infiammazione (Barnes, 1994; Roitt et
al., 1993; Libert, 2003; Wang et al., 2003).
Anche il rilascio di istamina dalle mastcellule è influenzato dai neurotrasmet-
titori. I topi sani hanno mastcellule e basofili con IgE legate ai recettori di
membrana. Il legame di antigeni a tali IgE attiva la degranulazione delle mast-
cellule, un fenomeno che gioca un ruolo importante nell’eliminazione degli
elminti (Foreman, 1994). Questo potrebbe quindi essere il possibile meccani-
smo per cui i medicamenti dinamizzati riducono l’infezione da Trichinella spi-
ralis nel topo (Sukul, 1997). Recentemente abbiamo riprodotto lo stesso lavoro
con simili risultati.
La Dirofilaria immitis è un nematode (microfilaria) capace di parassitare
l’aorta dei cani. I cani infetti hanno la microfilaria nelle sangue ed il numero di
parassiti può essere contato al microscopio. Poiché Cina è usata in generale per
le infezioni da vermi, abbiamo provato questo rimedio per il trattamento della
dirofilariasi canina. Cina è un rimedio omeopatico estratto dalle cime fiorite
della pianta Artemisia nilagirica. Nei nostri studi abbiamo usato la tintura ma-
dre di Cina e le sue due potenze Cina 200ch e Cina 1000ch. Il trattamento dei
cani (4 per ciascun gruppo) si è protratto per 30 giorni. La dose giornaliera di
ciascuna potenza era di 0.1 ml per cane. Nel caso della tintura madre, essa fu
lasciata evaporare ed il residuo somministrato oralmente alla concentrazione di
10 mg/kg/die per i primi 15 giorni e 20 mg/kg/die per i successivi 15 giorni.
Le preparazioni di Cina TM, Cina 200ch e Cina 1000ch hanno ridotto la mi-
crofilariasi nei cani del 78.38%, 63.06% e 71.40% rispettivamente (Sukul et
al., 1999b). Si sa che le larve di filaria causano immunosoppressione (Ottesen,
1980). È quindi possibile che Cina dinamizzata abbia rimosso tale immuno-
soppressione e indotto una vigorosa risposta immunitaria dell’ospite verso il
parassita, fino ad eliminare la microfilaria dal sangue (Sukul et al., 1999).
In un altro esperimento su cani microfilaremici, abbiamo dato Cina 30ch pre-
parata con successive diluizioni e sonicazione (20 kHz per 30 secondi in cia-
scun passaggio). Il trattamento continuò per 30 giorni ed i cani furono seguiti
per 120 giorni con test ogni 15 giorni. Si osservò una marcata riduzione della
conta di microfilarie fino ad un massimo del 93% (Fig. 3) (Sukul et al., 2000).

11
ADCC: Antigen Dependent Cell mediated Cytotoxicity.
58 CAPITOLO 2

Controllo
% di cambiamento della densità di microfilarie

Cina 30c
Periodo di trattamento

Giorni di campionamento

Fig. 3 - Variazione della percentuale media di densità delle microfilarie nel sangue di
cani non trattati (×) e trattati () per un periodo di 120 giorni. Cani (n = 4)
infetti naturalmente con Dirofilaria immitis erano trattati con Cina 30ch: una
dose al giorno per 30 giorni. Altri 4 cani servivano come controlli. La densità
di microfilarie al giorno 0 è posta come standard. La barra orizzontale vicino
all’asse delle ascisse indica il periodo di trattamento. Il sangue fu testato ogni
15 giorni (riprodotta, con autorizzazione, da Sukul et al.: Antifilarial effects
of Artemisia nilagirica at an ultra high dilution on canine dirofilarialis. In:
Waste Recycling and Resource Management in the Developing World. BB Jana,
RD Banerjee, B Guterstam, J Heeb [editors]. Copyright © 2000 by University
of Kalyani, India and International Engineering Society, Svizzera).

2.2.5. Studi elettrofisiologici


Nei precedenti paragrafi abbiamo visto che gli effetti biologici dei rimedi
omeopatici si manifestano dopo intervalli di tempo che possono variare da po-
che ore a diversi giorni. Secondo la nostra ipotesi, le potenze omeopatiche ne-
gli animali agiscono attraverso il sistema nervoso. Le informazioni farmacolo-
giche sarebbero convogliate al cervello dalle afferenze orali sensitive, mentre
gli effetti clinici sarebbero mediati dal sistema nervoso autonomo (Sukul,
1997).
EVIDENZE DI EFFETTI DELLE ALTE DILUIZIONI 59

Poiché le funzioni autonome sono controllate centralmente nell’ipotalamo,


potremmo aspettarci dei cambiamenti nell’attività elettrica dei neuroni ipota-
lamici immediatamente dopo che un rimedio omeopatico venga posto sulla
mucosa orale. Per verificare queste idee abbiamo effettuato una serie di espe-
rimenti.

a) Neuroni ipotalamici laterali del gatto


In questo esperimento, nove gatti di entrambi i sessi furono anestetizzati con
uretano e fissati su una tavola stereotassica. Scariche elettriche di singole unità
nervose erano registrate con un elettrodo a tungsteno (1.5 micrometri di diame-
tro, resistenza 2-3 m) dai neuroni ipotalamici laterali (LHA)12. Dopo una re-
gistrazione delle attività di fondo del neurone per 10 minuti, veniva applicata
una soluzione di controllo ed era registrata l’attività neuronale per altri 10 mi-
nuti. Il medicamento veniva quindi somministrato per via orale e l’attività neu-
ronale era registrata per altri 15-20 minuti, poi il medicamento veniva ripetuto
ancora una volta e la registrazione protratta per lo stesso periodo. Abbiamo
usato tre rimedi omeopatici: Arnica montana 30ch, Hypericum perforatum
200ch ed Arsenicum album 30ch.
Arnica montana è un rimedio usato normalmente per i traumi, Hypericum
perforatum per una ferita da arma appuntita che tocca i nervi ed Arsenicum al-
bum per alcuni effetti tossici dei farmaci. Infatti, gli animali usati nei test di la-
boratorio subivano traumi e ferite appuntite quando la calotta cranica era espo-
sta agli elettrodi infissi nel cervello. Inoltre, gli animali erano anestetizzati, co-
sa che si potrebbe considerare come un effetto di tossicità farmacologica.
I risultati sono riportati in Fig. 4. L’attività elettrica era registrata dai neuroni
dell’area LHA del lato destro e sinistro negli animali, trattati con Arnica mon-
tana 30ch. Questo medicamento ha prodotto una significativa riduzione della
frequenza di scarica di 5 neuroni. Tale effetto è durato da 1.5 a 7 minuti ed
aveva un periodo di latenza che variava da 30 secondi a 60 minuti. In un neu-
rone, la frequenza di scarica è aumentata entro 30 secondi dalla somministra-
zione del rimedio e l’effetto è durato tre minuti. Tre neuroni del lato sinistro ed
un neurone del lato destro non hanno mostrato alcun cambiamento nella fre-
quenza di scarica a seguito della somministrazione di Arnica montana 30ch.

12
LHA: Lateral Hypothalamic Area.
60 CAPITOLO 2

Arnica 30

Iperico 200
Impulsi/10 sec.

Arsenico 30

Tempo (min)

Fig. 4 - Effetti inibitori di Arnica montana 30ch e Hypericum perforatum 200ch ed effet-
ti eccitatori di Arsenicum album 30 sull’area ipotalamica laterale di neuroni
di ratti. Le frecce indicano il tempo di applicazione dei rimedi omeopatici sul-
la lingua degli animali di laboratorio (riprodotta, con autorizzazione, da Su-
kul et al.: Neuronal activity in the lateral hypothalamus of the cat and the
medial frontal cortex of the rat in response to homeopathic drugs. Indian Bio-
logist 1991;23:19).

Hypericum perforatum 200ch ha prodotto un calo nella frequenza di scarica


in quasi tutti i neuroni (eccetto uno) e gli effetti sono durati da 3 a 14 minuti
con un periodo di latenza tra 10 secondi e 6 minuti.
Arsenicum album 30ch ha prodotto un istantaneo aumento nella frequenza di
scarica di 5 neuroni (latenza che andava da 1 secondo fino a 1 minuto), ma
l’effetto era transitorio (da 50 secondi a 1 minuto). In un neurone tale rimedio
ha prodotto un calo nella frequenza di scarica dopo la seconda applicazione, ef-
fetto che è durato per 30 secondi con una latenza di un minuto. Un neurone non
ha risposto ad Arsenicum album 30ch (Sukul et al., 1991).
EVIDENZE DI EFFETTI DELLE ALTE DILUIZIONI 61

b) Neuroni corticali dell’area frontale media di ratto


In ratti maschi albini fu inserito un microelettrodo di argento rivestito di vetro
(diametro 3.5 micrometri, resistenza 1.5-2.5 m) nell’area frontale media. Tale
elettrodo, montato su un micromanipolatore, fu fissato sulla superficie del cra-
nio con resina acrilica, in modo che il micromanipolatore rimanesse disponibile
per essere utilizzato. La registrazione elettrofisiologica, iniziata quattro giorni
dopo l’operazione, cioè quando era finito l’effetto dell’anestesia ed il ratto si
comportava normalmente, veniva continuata per diversi giorni. Dopo l’ultima
sessione di registrazioni, l’animale veniva sacrificato ed il cervello era esami-
nato istologicamente.
Con questo tipo di esperimento sì può evitare l’interferenza dell’anestesia sui
test farmacologici e si può studiare il ratto da sveglio. Le soluzioni di controllo
ed i medicamenti erano somministrati per via orale.
Su questo modello, Arnica montana 30ch ha prodotto un abbassamento nella
frequenza di scarica dei neuroni e l’effetto è durato per più di 20 minuti con
una latenza che andava da 1.5 fino a 6 minuti. In un neurone la risposta è stata
evidenziabile solo dopo la seconda applicazione del rimedio. Arnica montana
30ch ha prodotto un aumento nella frequenza di scarica in un solo neurone, con
1.5 minuti di latenza e con un effetto durato due minuti.
Hypericum perforatum 200ch ha prodotto un calo nella frequenza di scarica
in 5 neuroni e l’effetto è durato da 1.5 a 14 minuti con una latenza che andava
da 1 secondo fino a 2 minuti. In due neuroni vi è stato un transitorio aumento
della frequenza seguito dalla sua inibizione. In un solo neurone vi è stato un
aumento nella frequenza di scarica entro 2 minuti dalla somministrazione del
rimedio e l’effetto è durato 11 minuti.
Arsenicum album 30ch ha prodotto un marcato aumento nella frequenza di
scarica in tutti i neuroni entro 1 secondo e l’effetto è durato 20 secondi.
In tutti i casi le soluzioni di controllo non hanno mostrato alcun cambiamento
nella frequenza di scarica (Sukul et al., 1991).
Negli esperimenti menzionati osserviamo che l’azione delle potenze omeopa-
tiche inizia entro pochi secondi fino ad un massimo di pochi minuti dalla loro
assunzione. Lo stesso rimedio può produrre effetti inibitori ed eccitatori in dif-
ferenti neuroni. Alcuni neuroni possono anche essere totalmente non responsivi
ad un medicamento.
È evidente che i medicamenti omeopatici svolgono il loro effetto attraverso
recettori orali. Sappiamo comunque che l’effetto terapeutico finale di una qual-
siasi sostanza medicamentosa dipende ovviamente dalla interazione di diffe-
renti neuroni in differenti aree del cervello.
62 CAPITOLO 2

c) Risposte neuronali ipotalamiche a Nux vomica in ratti alcolisti


In un altro esperimento, abbiamo esaminato le risposte dei neuroni ipotalamici
di ratti dopo l’assunzione di Nux vomica dinamizzata. I ratti usati nei test elet-
trofisiologici appartenevano al ceppo Charles Foster.
Un gruppo di 15 ratti ha ricevuto come bevanda etanolo 20% nella quantità di
1.5 ml/kg di peso corporeo per 7 giorni. Essi ricevevano inoltre cibo ed acqua
ad libitum. Allo scadere dei 7 giorni, era registrata l’attività neuronale nell’area
ipotalamica laterale (LHA) di questi ratti, in risposta a etanolo 20%, acqua di-
stillata, Nux vomica 200ch e Nux vomica 1000ch.13 Le soluzioni di rimedi
omeopatici e quelle di controllo erano poste sulla lingua dei ratti e veniva regi-
strato il cambiamento bioelettrico rispettivo. In 7 ratti era registrata l’attività
totale di tipo elettrico nella LHA, mentre in altri 7 ratti era registrata l’attività
di singoli neuroni della stessa area. Nel caso dell’attività totale, fu scelto di
considerare una scarica di ampiezza prefissata e di registrare la sua frequenza
per 20 secondi. Nel caso della misurazione di una singola unità neuronale, fu-
rono contati gli impulsi prodotti in 20 secondi. Dopo ciascun esperimento, il
ratto era sacrificato e perfuso, attraverso il ventricolo sinistro del cuore, con
una soluzione salina contenente formalina al 10%, cosicché il sito di registra-
zione poteva essere esaminato istologicamente.
In questo modello sperimentale, Nux vomica 200ch e Nux vomica 1000ch
hanno aumentato le attività neuronali nella LHA dei ratti alcolisti. Questo au-
mento di attività neuronale è stato più pronunciato con Nux vomica 1000ch ri-
spetto alla Nux vomica 200ch. Acqua distillata ed etanolo 20% hanno ridotto
l’attività neuronale nella LHA. Anche l’applicazione di Nux vomica in tintura
madre ha ridotto l’attività bioelettrica. Tale effetto dei rimedi omeopatici era
istantaneo, cioè si manifestava in pochi secondi e durava da alcuni secondi ad
alcuni minuti (Paul et al., 1992; Sukul et al., 1998).
In questo esperimento, i ratti erano stati condizionati nel senso che avevano
ricevuto continuamente una bevanda contenente etanolo. Questo potrebbe esse-
re il motivo per cui le risposte neuronali ai farmaci erano alquanto uniformi.
Infatti, Nux vomica 200ch e 1000ch era sempre eccitatoria, mentre etanolo
20%, acqua e Nux vomica TM erano sempre inibitori (Fig. 5). È probabile che i

13
Dettagli nel testo originale: I ratti erano anestetizzati con paraldeide (1.28 mg/kg i.m.) e
posti su una tavola stereotassica. Sul cranio veniva praticato un foro in corrispondenza della
LHA con coordinate stereotassiche specifiche (Konig e Klippel, 1963) e veniva inserito un
elettrodo d’argento rivestito in vetro (punta 0.5 mm, resistenza 0.002 ), fissato con resina
acrilica alla superficie del cranio e connesso ad un oscilloscopio (L&T Gould) e ad un
registratore con due canali (L&T) attraverso un preamplificatore (AK 100, Digitimer, UK), un
amplificatore e un filtro (Digitimer). Le scariche di singole unità della LHA erano registrate
per mezzo di un microelettrodo d’argento rivestito in vetro (punta 3.5 micrometri in diametro,
resistenza 1.5-2.5 m).
EVIDENZE DI EFFETTI DELLE ALTE DILUIZIONI 63

neuroni di ratti alcolisti abbiano assunto uno stato fisiologico caratteristico e


che per questo motivo rispondevano in modo univoco agli stessi farmaci.
Si potrebbe speculare sul fatto che i neuroni, in uno stato di malattia, potreb-
bero andare incontro a cambiamenti specifici, cosicché divengono responsivi
ad un appropriato rimedio in modo non casuale. Tali cambiamenti si potrebbe-
ro manifestare anche nei sintomi della malattia. Nei nostri ratti è stata indotta
un’aumentata suscettibilità.
Le risposte elettrofisiologiche sembrano costituire dei processi olistici. Altri
Autori hanno osservato che uno stimolo applicato con medicinali omeopatici
evoca una risposta amplificata osservabile sia da parte
dell’elettrocardiogramma (ECG) che dell’elettroencefalogramma (EEG), sia
nei ratti sia nell’uomo (Torres, 2003).14

d) Risposte neuronali ipotalamiche al Natrum muriaticum in ratti tenuti a


dieta ipersalina
Nel nostro laboratorio, abbiamo condotto un altro esperimento con dei ratti
condizionati in un diverso modo e con rimedi appropriati. Ratti albini del cep-
po Charles Foster erano tenuti in un regime dietetico contenente il 4% di sale
(cloruro di sodio) per 7 giorni. Essi furono poi anestetizzati e posti su una tavo-
la stereotassica. Un microelettrodo d’argento rivestito di vetro (punta 3.5 mi-
crometri di diametro, resistenza 1.5-2.5 m) fu inserito nell’area ipotalamica
laterale e connesso ad un oscilloscopio mediante pre-amplificatore e filtro. Do-
po aver registrato l’attività elettrica neuronale per 5 minuti su un registratore a
due canali, alcune gocce di Natrum muriaticum 30ch e Natrum muriaticum
200ch venivano versate sulla lingua dell’animale.
Natrum muriaticum 30ch ha prodotto una riduzione della frequenza di scarica
(-51.7% ± 12%, p<0.05) e l’effetto durava da 4 a 57 minuti in vari esperimenti.
Una seconda applicazione di Natrum muriaticum 30ch ha prodotto una ulterio-
re riduzione di frequenza in tutti i sei esperimenti fatti.

14
Ancora più recentemente un effetto elettrofisiologico dei medicinali omeopatici sul SNC
umano è stato documentato in studi clinici controllati con placebo dal gruppo di Iris Bell
dell’Università dell’Arizona: Bell IR, Lewis DA, Lewis SE, Schwartz GE, Brooks AJ, Scott A,
Baldwin CM. EEG alpha sensitization in individualized homeopathic treatment of
fibromyalgia, Int J Neurosci 2004;114:1195-1220; Bell IR, Lewis DA, Schwartz GE, Lewis
SE, Caspi O, Scott A, Brooks AJ, Baldwin CM. Electroencephalographic cordance patterns
distinguish exceptional clinical responders with fibromyalgia to individualized homeopathic
medicines, J Altern Complement Med 2004;10:285-299.
64 CAPITOLO 2

H2O
H2O
Numero di impulsi/20 secondi

H2O

Nux Ө
Nux 200 Alcol
20%
Nux 1000

Nux 200

Nux 200

Nux 1000

Tempo (secondi)

Fig. 5 - Tracciati che mostrano l’effetto eccitatore di Nux vomica 200ch e 1000ch e
l’effetto inibitore d’acqua distillata (H2O), Nux vomica in tintura madre (Nux
) ed etanolo 20%, applicati per via orale, su neuroni dell’area ipotalamica
laterale di ratti che avevano ricevuto come bevanda etanolo 20% nella dose di
15 ml/kg di peso corporeo nei precedenti 7 giorni. A e B: attività totale; C: at-
tività di singola unità neuronale (riprodotta, con autorizzazione, da Sukul et
al.: High dilution effects of Strychnos nux vomica L on hypothalamic neurons
and adrenergic nerve endings of alcoholic rats. In: High dilution effects on
cells and integrated systems. C. Taddei Ferretti, P. Marotta [editors]. Copy-
right © 1998 by World Scientific Publishing Co Pte Ltd).

Anche Natrum muriaticum 200ch ha prodotto un effetto inibitorio sui neuroni


LHA (Sukul et al., 1992). La somministrazione di soluzioni di controllo non ha
prodotto alcuna significativa variazione della frequenza di scarica. L’acqua di-
stillata ha causato un effetto eccitatorio di circa il 160%.
Nei ratti con dieta ipersalina aumentava la sete e l’ingestione d’acqua, in pro-
porzione all’osmolalità del plasma, che è percepita dai recettori ipotalamici.
L’acqua distillata, che calma la sete, ha mostrato avere un effetto eccitatorio
sui neuroni dell’area LHA. Pertanto, si può ipotizzare che le vie afferenti del
segnale prodotto dal rimedio dinamizzato e dall’acqua distillata siano le se-
guenti: dai recettori orali attraverso il nervo glossofaringeo ed il vago, poi il
nucleo del tratto solitario, il lemnisco mediale del talamo e dal talamo
all’ipotalamo. Infine, gli impulsi raggiungono la regione associativa della cor-
EVIDENZE DI EFFETTI DELLE ALTE DILUIZIONI 65

teccia, dove vengono elaborati i comportamenti adattativi dell’animale. Il ri-


medio Natrum muriaticum, preparato con il sale di salgemma, appare contra-
stare il disordine fisiopatologico indotto dall’eccessivo consumo di sale nella
dieta.
In un altro esperimento, abbiamo somministrato Natrum muriaticum 30ch,
una dose al giorno per 18 giorni, a dei ratti albini e li abbiamo poi testati in
modo da valutare l’effetto di Phosphorus, un rimedio tradizionalmente consi-
derato antidoto di Natrum muriaticum (Boericke, 1927). Natrum muriaticum
30ch ha causato una riduzione del 47% della frequenza di scarica dei neuroni
LHA dei ratti ed anche Phosphorus 200ch, applicato sulla lingua dei ratti pre-
trattati con Natrum muriaticum ed anestetizzati, ha causato una riduzione di
scarica (-53%) dei medesimi neuroni. L’acqua distillata, anche in questo caso,
ha prodotto un effetto eccitatorio (+83%) (Sinhababu et al., 1998).
Con questo esperimento si è visto che i ratti trattati per 18 giorni con dilui-
zioni omeopatiche di sale, si sono comportati come se fossero stati trattati con
dieta ipersalina. Probabilmente entrambi i trattamenti producono una riorganiz-
zazione, centrale e periferica, del sistema recettoriale del gusto, che diviene
sensibile al trattamento con Natrum muriaticum dinamizzato. Gli esperimenti
sono stati condotti sia nel nostro laboratorio (Visva-Bharati), sia nel laboratorio
dell’Institute of Higher Nervous Activity dell’Università di Leningrado.

e) Effetti sulla trasmissione sinaptica


I risultati degli esperimenti elettrofisiologici indicano che i neuroni ipotalamici
e corticali giocano un importante ruolo nel mediare l’azione terapeutica dei ri-
medi omeopatici dinamizzati. Se l’attività elettrica dei neuroni ipotalamici va
incontro a cambiamenti dovuti all’applicazione di una potenza omeopatica, è
probabile che anche la trasmissione sinaptica a livello dell’area ipotalamica la-
terale (LHA) vada incontro a qualche cambiamento. Quest’ultimo tipo di cam-
biamenti dovrebbe essere evidenziabile a livello dei neurotrasmettitori e dei lo-
ro metaboliti ipotalamici. Infatti, questi fenomeni sono stati osservati
nell’esperimento che ora descriviamo.
Abbiamo già notato che Agaricus muscarius dinamizzato influenza la cata-
lessi nel topo. Si sa già che i neurotrasmettitori dopamina e serotonina sono
coinvolti in tale fenomeno di catalessi. Perciò, abbiamo voluto studiare se una
potenza di Agaricus muscarius altera i livelli di dopamina (DA) e serotonina
(5-HT) o dei loro metaboliti nei topi. Questo esperimento è stato condotto nel
laboratorio di neuroscienze e nel dipartimento di Medical Anatomy della Texas
A & M University (USA).
Agaricus muscarius 12ch è stato somministrato per via orale a 6 topi (di 30-
35 g) alla dose di 3.1 ml/kg. La stessa quantità di soluzione di controllo, costi-
tuita da etanolo 90%, è stata somministrata ad un altro gruppo di 6 topi. Sei ore
66 CAPITOLO 2

dopo la somministrazione del rimedio o del controllo, tutti i topi sono poi stati
sacrificati per decapitazione. Il cervello è stato rapidamente rimosso, tenuto in
ghiaccio, e l’ipotalamo escisso per mezzo di un micromanipolatore, trasferito
in una provetta da centrifuga, pesato e congelato a -70°C.

Gruppo Dopamina DOPAC 5-HT 5HIAA DOPAC/DA 5HIAA/HT


animale (ng/g) (ng/g) (ng/g) (ng/g)
Controlli:
Media 318.9 125.2 902.4 747.8 0.410 0.840
± E.S. 26.4 4.5 49.4 52.5 0.043 0.074
Agaricus mu-
scarius:
Media 445.1 191.1 926.3 902.8 0.431 0.979
± E.S. 56.6 28.7 31.2 28.2 0.027 0.039
Valori T -2.02 -2.27* -0.41 -2.60* -0.42 -1.67
Df = 10

Tab. 1 - Aumento significativo (p<0.05, t-test) di acido diidrossifenilacetico (DOPAC) e


acido 5-idrossindolacetico (5-HIAA) nell’ipotalamo di topo a seguito del trat-
tamento con Agaricus muscarius 12ch per via orale. Le concentrazioni di do-
pamina (DA) e di serotonina (5-HT), non sono cambiate significativamente. *:
variazioni statisticamente significative (riprodotta, con il permesso
dell’Autore, da Sc. Cult. 56:134-135;1990).

I valori dei campioni sono stati calcolati per il loro contenuto di ami-
ne/grammo di peso umido del cervello.15 Il gruppo trattato ha mostrato un au-
mento statisticamente significativo (p<0.05) in DOPAC e 5-HIAA, mentre non

15
Dettagli nel testo originale: la massa ipotalamica umida variava da 7 a 12 mg nei controlli e
da 8.5 a 18 mg per il gruppo trattato. I livelli di dopamina (DA), serotonina (5-HT) e dei loro
metaboliti acido diidrossifenilacetico (DOPAC) e acido 5-idrossindolacetico (5-HIAA) sono
stati determinati mediante cromatografia HPLC, con un sensore elettrochimico.
Immediatamente prima dei dosaggi, ciascun campione era sonicato in acido perclorico
0.16% contenente uno standard interno. Il campione era centrifugato due minuti a 13000xg
ed i composti menzionati erano determinati iniettando il sopranatante dell’omogenato di
cervello su una colonna di fase inversa C-18. Dopo l’eluizione delle amine con la fase
mobile (0.0465 g Na2HPO4; 2.8 g acido citrico; 1.6 mg EDTA; 20 mg sodio octilsolfato in
900 ml d’acqua di distillata con 100 ml di metanolo), le medesime amine venivano
quantificate con un elettrodo al carbone vetrificato con potenziale di +0.62 V. La colonna
era riscaldata a 35°C; la velocità del flusso della fase mobile era di 0.8 ml/min. Le altezze
dei picchi dei campioni di DA, DOPAC, 5-HT e 5-HIAA tessutali erano confrontati con
l’altezza di picchi standard delle stesse sostanze, che erano state trattate e processate nello
stesso modo. Lo standard interno era usato per tenere conto dei cambiamenti
nell’estrazione e della sensibilità dei mezzi di rilevazione. Ciò fu fatto mediante confronto
dell’altezza dei picchi del campione con quella degli standard e in presenza di una quantità
nota del tracciante epinina. Gli standard non estratti erano anche usati per tenere conto di
una eventuale perdita di amine durante l’estrazione.
EVIDENZE DI EFFETTI DELLE ALTE DILUIZIONI 67

vi è stato cambiamento significativo nei livelli dei neurotrasmettitori DA e 5-


HT (Tab. 1). Non sono stati osservati cambiamenti significativi nei rapporti
DOPAC/DA e 5-HIAA/5HT (Sukul 1990).
Questi risultati suggeriscono che, a seguito dell’assunzione orale di Agaricus
muscarius dinamizzato, hanno luogo degli aumenti nella trasmissione dei neu-
roni dopaminergici e serotoninergici nell’ipotalamo. In sintesi, anche questi
esperimenti indicano che l’ipotalamo gioca un importante ruolo nell’iniziare e
mediare l’azione di una potenza omeopatica.

2.3. Evidenze sperimentali su piante

Kolisko (1926; citato da Righetti, 1994), osservò un aumento di crescita ger-


minativa dei semi che avevano ricevuto diluizioni omeopatiche di nitrato
d’argento (Argentum nitricum). L’esperimento fu ripetuto da Pelikan e Hunger
(1965; citato da Righetti, 1994) usando Argentum nitricum 8x e 19x.
Pongratz ed Endler (1994) e Pongratz et al. (1998) hanno usato Argentum ni-
tricum 24x, 25x e 26x per la germinazione di semi di grano confermando i ri-
sultati ottenuti dagli Autori precedenti. Parecchi effetti di rimedi omeopatici su
piante sono stati riportati da altri Autori (Boiron e Zervouacki, 1962; Boiron e
Mann, 1971; Auquière et al., 1981 e 1982; Jones e Jenkins, 1981 e 1983; Dut-
ta, 1989; Bornoroni, 1992; Brizzi et al., 2000).

2.3.1. Effetti su parassiti e germi patogeni delle piante


Come nel caso dell’uomo e degli animali, i rimedi omeopatici possono curare
le malattie delle piante causate da parassiti ed altri patogeni. Arsenicum album
199ch e Kali iodatum 200ch hanno diminuito le malattie che fanno marcire i
frutti del guava e del mango (Khanna e Chandra, 1977 e 1978). Questo lavoro,
tuttavia, era viziato dal fatto di non avere adeguati controlli.
Cina, Santonina e Filix, alla concentrazione di 1 ppm, hanno inibito parzial-
mente la schiusa delle uova del nematode Meloidogyne incognita che causa
danni alle radici delle piante alimentari (Sen e Dasgupta, 1985). In questo espe-
rimento furono usate le tinture madri dei farmaci.
Meloidogyne incognita è un parassita ubiquitario dei vegetali. Esso attacca
cereali, the, caffè, alberi da frutto, ecc., producendo un particolare tipo di no-
dosità lungo le radici delle piante. Poiché Cina è efficace contro i parassiti ne-
68 CAPITOLO 2

matodi dell’uomo e degli animali, questo rimedio è stato scelto per il tratta-
mento delle malattie delle piante causate dallo stesso tipo di parassiti.16
Piantine di Vigna unguiculata, cresciute in vaso, sono state inoculate con lar-
ve al secondo stadio di Meloidogyne incognita. Quattro giorni dopo
l’inoculazione, uno dei gruppi di piante inoculato è stato trattato con uno spray
di una soluzione di Cina 1000ch sulle foglie, una volta al giorno per dieci gior-
ni. Il trattamento era somministrato in modo che tutte le foglie della pianta ve-
nissero completamente inumidite dalla soluzione. Un altro gruppo di piante,
inoculato con lo stesso parassita, è stato trattato allo stesso modo con la solu-
zione di controllo. Tutte le piante venivano sradicate 30 giorni dopo
l’inoculazione e venivano misurate la biomassa, il numero dei noduli sulle ra-
dici, la popolazione di nematodi all’interno delle radici ed il contenuto di pro-
teine di queste ultime. Come si vede dalla Tab. 2, il trattamento con Cina
1000ch ha incrementato la crescita della pianta ed ha ridotto l’infestazione da
nematodi in modo significativo. Questo esperimento è stato ripetuto due volte
(Sukul e Sukul, 1999).
I dati indicano che le soluzioni di rimedi omeopatici applicate sulle foglie
delle piante infette non possiedono la capacità di uccidere i nematodi. Perciò,
le potenze omeopatiche hanno probabilmente agito stimolando la risposta di-
fensiva naturale delle piante che, invece, viene compromessa dall’infezione
stessa.
Le piante non hanno cellule immunocompetenti specializzate, ma tutte le cel-
lule vegetali hanno comunque la capacità di riconoscere il self dal non-self. La
conseguenza di questo riconoscimento molecolare in risposta ad uno stimolo
locale viene trasmessa a tutta la pianta (Bowles, 1992).
Ad esempio, si ritiene che delle proteine specificamente correlate alla pato-
genesi (proteine PR)17 si accumulino nelle piante di patata a seguito della inva-
sione delle radici da parte di nematodi cistici (Hammond-Kosack et al., 1989).
Una precedente inoculazione di piante di patata con Meloidogyne incognita
può indurre la resistenza delle piante stesse ad una differente specie di parassita
come il Meloidogyne halpla (Ogallo e McClure, 1995).

16
Dettagli nel testo originale: Cina è prodotta dall’estratto etanolico delle sommità fiorite della
pianta Artemisia cina. Il rimedio Cina 1000ch e gli altri medicamenti omeopatici sono stati
prodotti da C. Ringer di Calcutta secondo la Farmacopea omeopatica indiana (1966). I
globuli di saccarosio, bagnati con la soluzione omeopatica in etanolo 90%, sono stati poi
mescolati con l’acqua distillata nella proporzione di 7.2 mg di globuli/ml d’acqua. La
soluzione di controllo è stata preparata nello stesso modo, a partire da globuli di saccarosio
bagnati con etanolo 90% e poi sciolti in acqua distillata.
17
PR: pathogenesis-related.
EVIDENZE DI EFFETTI DELLE ALTE DILUIZIONI 69

Trattamen- Lunghez- Peso del Lunghez- Peso Noduli Cecidi Nemato- Nemato- Proteine
to delle za del germoglio za delle delle delle di/2g di di/200g di delle
18
piantine germoglio (g) delle radici radici radici radici terreno radici
(cm) radici (g) (mg/g)
(cm)
Non inocu-
late e non 250±9a 228±7a 32±4a 15±2a 80±7a 12.8±0.5a
trattate
Inoculate e
non tratta- 248±10a 230±8a 20±5b 26±1b 68±5b 403±16a 158±38a 424±20a 6.2±0.3b
te
Inoculate e
trattate con 261±6b 243±6b 28±7a 20±2c 98±6c 65±10b 478±27b 122±17b 13.6±0.2a
Cina
1000ch

Tab. 2 - Aumento della crescita e diminuzione del nematode che provoca noduli sulle
radici (Meloidogyne incognita) nelle piante di Vigna unguiculata trattate con
spray fogliare di una soluzione acquosa di Cina 1000ch. I valori sono rappre-
sentati dalla media ± E.S. dei risultati di 10 piante per ciascun gruppo. Le let-
tere “b” e “c” vicino ai numeri indicano una differenza significativa rispetto
al corrispondente valore di controllo “a” (p<0.01) calcolata con il test
ANOVA (riprodotta, con autorizzazione, da Environ. Ecol. 17:269-273;1999).

Sappiamo anche che l’acido salicilico aumenta in tutta la pianta dopo che so-
lo una parte della stessa è colpita da un’infezione; a seguito di questo aumento
di acido salicilico, vengono espresse le proteine PR (Malamy et al., 1990, cita-
to da Jones, 1994). Infatti, si sa che l’acido salicilico o il suo analogo acido
acetilsalicilico inducono una rapida espressione dei geni PR (Ward et al., 1991
citato da Jones, 1994).
Da tutte queste considerazioni, risulta molto probabile che la Cina dinamiz-
zata sia stata in grado di indurre una resistenza sistemica nelle piante e quindi
di ridurre l’infezione dei nematodi che parassitano le radici. In accordo con
questi nostri risultati, recentemente, Betti et al. (2003) hanno osservato che
l’Arsenico triossido dinamizzato induce l’aumento di resistenza nelle piante di
tabacco al virus del mosaico del tabacco (TMV).19
Se si potessero controllare le malattie delle piante con medicinali omeopatici,
ciò non solo eliminerebbe il rischio della permanenza di residui pesticidi sulle
piante alimentari, ma porterebbe anche ad una notevole riduzione
dell’inquinamento ambientale dell’ecosistema agricolo. Per questo si dovrebbe
sviluppare una nuova Materia Medica per le piante, provando i farmaci sulle
piante e integrando le conoscenze di patologia vegetale con quelle degli studi
tossicologici.

18
Il cecidio è una reazione delle piante ad uno stimolo determinato da un organismo estraneo,
vegetale o animale, consistente in una deviazione morfologica dello sviluppo.
19
TMV: Tobacco Mosaic Virus.
70 CAPITOLO 2

2.4. Evidenze da test in vitro

Test su sistemi di laboratorio e in vitro sono stati condotti su organi isolati, col-
ture cellulari e macromolecole come quelle proteiche.
Alte diluizioni di Apis mellifica e di istamina hanno influenzato la degranula-
zione dei basofili umani (Poitevin et al., 1988). Alte diluizioni di anticorpi an-
ti-IgE hanno dimostrato la capacità di stimolare la degranulazione dei basofili
umani in vitro (Davenas et al., 1988). Questo lavoro del famoso gruppo di
Benveniste, pubblicato sulla rivista Nature, generò notevoli controversie tra gli
scienziati. Però, anche Belon et al. (1999) hanno dimostrato l’effetto inibitorio
di alte diluizioni di istamina sulla degranulazione dei basofili umani.
Alte diluizioni di farmaci hanno mostrato effetti positivi sui microsomi di fe-
gato di ratto (Kretschmer e Harisch, 1990).
Van Wijk e Wiegant (1998) hanno osservato che le cellule di epatoma di rat-
to, pre-trattate con uno shock termico o con arsenito di sodio o con cloruro di
cadmio, hanno sviluppato un caratteristico schema di proteine da shock termico
(Hsps).20 Quando le cellule sensibilizzate venivano esposte a dosi bassissime di
ciascuno di questi tipi di stress, si sviluppava un gruppo di proteine “Hsps” ca-
ratteristico dello stressor. Questa è un’evidenza sperimentale della specificità
del principio del simile.
Cambar et al. (1998) hanno passato in rassegna i lavori dell’effetto protettivo
di alte diluizioni di metalli pesanti sulla tossicità cellulare indotta da alte dosi
degli stessi metalli.
Cristea (1998) ha impiegato una tecnica farmacologica classica per valutare
l’efficacia della Belladonna dinamizzata. Il principale alcaloide della tintura
madre di Belladonna è l’atropina, che funge da antagonista del neurotrasmetti-
tore acetilcolina (Ach). Alte diluizioni di Belladonna, fino alla 200a potenza,
furono applicate al duodeno isolato di ratto inserito in un apposito bagno per
organi. L’effetto delle potenze di Belladonna sul modello di ratto è stato bidi-
rezionale e multifasico.
Bastide e Boudard (1998) hanno riportato effetti immunomodulatori di alte
diluizioni di sostanze endogene come timulina, bursina e citochine su topi e
uccelli. Questi esperimenti furono condotti in vitro, in vivo ed ex vivo.

2.4.1. Esperimenti in vitro di Boyd ed altri esperimenti correlati


Sono stati condotti esperimenti in vitro con un sistema che non coinvolge né
cellule viventi, né tessuti, né organi. In questi casi, un rimedio omeopatico di-

20
Hsps: Heat shock proteins.
EVIDENZE DI EFFETTI DELLE ALTE DILUIZIONI 71

namizzato è considerato come una componente chimica che, nel catalizzare


delle reazioni chimiche, dovrebbe differire dal suo solvente, sia che questo sia
l’acqua o l’etanolo in fase idroalcoolica.
Boyd (1941, 1942, 1946 e 1954) fu il primo a condurre questo tipo di test in
vitro usando Mercurius (cloruro di mercurio). Egli preparò il medicinale
omeopatico (Mercurius corrosivus 30ch) in acqua bidistillata e lo provò
sull’attività della diastasi, che è una miscela di enzimi che digeriscono l’amido.
Egli osservò che Mercurius corrosivus 30ch accelerava la velocità di idrolisi
dell’amido da parte della diastasi. Egli condusse un gran numero di esperimenti
confrontando ben 500 volte il rimedio con il controllo e la differenza risultò si-
gnificativa al livello di p<0.001 (Boyd, 1954). Questi esperimenti furono con-
dotti con grande cura.
Noi abbiamo ripetuto ed esteso una parte degli esperimenti di Boyd usando
tecniche moderne e strumenti più sensibili. Abbiamo usato due differenti po-
tenze omeopatiche, precisamente Mercurius corrosivus 30ch e Mercurius ioda-
tus 30ch (ioduro di mercurio), e le abbiamo preparate sia in acqua bidistillata
sia nel solito mezzo costituito da etanolo 90%. Lo scopo dei nostri esperimenti
era di vedere se gli ioni metallici o gli ioni alogeni potessero giocare diversi
ruoli nel modificare l’attività enzimatica. Nello stesso tempo, abbiamo testato
l’efficacia dei due diversi solventi: acqua ed etanolo in fase idroalcoolica. Nel-
la tradizione omeopatica viene riportato che i medicamenti dinamizzati, prepa-
rati in etanolo in fase idroalcoolica, mantengono la loro attività per molto tem-
po. Pertanto, noi abbiamo voluto verificare se le preparazioni in pura acqua
mantenevano la loro attività altrettanto a lungo che le preparazioni in etanolo.
Per questo, abbiamo testato Mercurius corrosivus 30ch in preparazione acquo-
sa di tre differenti età: una preparata da 4 giorni, una da un mese e una da 12
mesi (Tab. 3).21
Mercurius corrosivus 30ch in acqua, preparato 4 giorni prima e 1 mese prima
della prova e quello preparato con etanolo 90%, hanno significativamente au-
mentato l’attività enzimatica (p<0.01, student t-test).
Mercurius corrosivus 30ch invecchiato 12 mesi in preparazione acquosa non
ha modificato l’attività enzimatica rispetto al suo controllo.
Mercurius iodatus 30ch, sia in acqua sia in etanolo, ha aumentato l’attività
enzimatica significativamente (p<0.01) rispetto al suo controllo.

21
Dettagli nel testo originale: l’idrolisi di una soluzione di amido da parte dell’α-amilasi è stata
misurata mediante procedure biochimiche standardizzate (Bernfield, 1955). L’α-amilasi
pancreatica scinde l’amido producendo soprattutto maltosio, un disaccaride dell’α-1-4-
glucosio (Nelson e Cox, 2000). Il maltosio, come prodotto di idrolisi, è stato quantificato in
base ad una curva standard ottenuta grazie ad uno spettrofotometro Jasco (modello 530).
Per ogni preparazione di medicinale sono stati fatti dieci test e così anche per il rispettivo
controllo.
72 CAPITOLO 2

Trattamento Maltosio rilasciato


± E.S. (µg)
Mercurius iodatus 30ch in acqua (preparazione fresca) 386±7.5*
Mercurius corrosivus 30ch in acqua (preparazione di 4 giorni) 500±14*
Mercurius corrosivus 30ch in acqua (preparazione di 1 mese) 430±9*
Mercurius corrosivus 30ch in acqua (preparazione di 12 mesi) 302±7
Mercurius corrosivus 30ch in etanolo 90% 428±12*
Mercurius iodatus 30ch in etanolo 90% 302±10*
Controllo I: enzima + substrato + acqua 302±6
Controllo II: enzima + substrato + acqua (vecchia di 4 giorni) 322±10
Controllo III: enzima + substrato + acqua (vecchia di 1 mese) 328±6
Controllo IV: enzima + substrato + acqua (vecchia di 12 mesi) 322±6
Controllo V: enzima + substrato + etanolo 90% 228±5
22
Controllo VI: enzima + substrato + Alcoholus 30ch 238±10

Tab. 3 - Effetto di diversi rimedi omeopatici e dei loro diluenti sulla idrolisi dell’amido
da parte dell’α-amilasi a 27°C per 15 minuti; *: differenza significativa
(p<0.01) rispetto il controllo (riprodotta, con autorizzazione, da Homeopathy
91:217-220; 2002. Copyright © di Elsevier).

È interessante notare che in questo studio in vitro anche la sola acqua ed il


solo etanolo in fase idroalcoolica hanno modificato le attività enzimatiche
quando confrontate con i controlli, ma mentre l’acqua ha aumentato l’attività
enzimatica, l’etanolo in fase idroalcoolica l’ha ridotta (Sukul et al., 2002).
I risultati dei test in vitro con organi isolati o colture cellulari suggeriscono
che i medicamenti dinamizzati siano efficaci non solo sull’intero organismo,
ma anche sulle sue parti isolate e perfino sulle cellule. I test in vitro con enzimi
mostrano che i medicamenti dinamizzati possono agire su componenti chimici,
senza alcuna mediazione da parte degli organismi viventi.
Abbiamo visto che sia l’acqua sia l’etanolo in fase idroalcoolica possono ser-
vire come buoni solventi per la preparazione di medicamenti dinamizzati. Tut-
tavia, l’acqua non pare così efficace nel mantenimento dell’attività del rimedio
per un tempo sufficientemente lungo, come si è visto nel caso del Mercurius

22
Alcoholus è il termine che designa il medicinale omeopatico preparato partendo dalla
materia prima costituita da etanolo (alcol etilico). Là dove ci si riferisce semplicemente alla
soluzione di alcool etilico, non diluito né dinamizzato, nella trattazione si usa il termine di
“etanolo” (seguito dalla concentrazione v/v della soluzione in acqua).Questa prova
(Controllo VI) sta ad indicare che la diluizione e dinamizzazione non modifica la attività
rispetto al Controllo V.
EVIDENZE DI EFFETTI DELLE ALTE DILUIZIONI 73

corrosivus 30ch invecchiato 12 mesi. Anche Boyd (1954) aveva osservato che
l’efficacia di Mercurius corrosivus 30ch preparato in acqua andava deterioran-
dosi col tempo.
Ora dobbiamo anche commentare i risultati riguardanti gli ioni metallici e gli
ioni alogeni nelle soluzioni di mercurio, che teoricamente potrebbero avere di-
versi ruoli nel modificare l’attività enzimatica.
In soluzione acquosa, una molecola salina come HgCl2 (cloruro di mercurio)
o HgI2 (ioduro di mercurio) viene dissociata in un catione (Hg2+) e un anione
(Cl- o I-) circondati da una gran quantità di molecole d’acqua. Questa idrata-
zione stabilizza gli ioni (Watanabe e Iwata, 1997). Solitamente, gli ioni mercu-
rio inibiscono l’attività enzimatica legandosi a residui di cisteina, istidina e
treonina (Muller e Saenger, 1993). Due residui essenziali per il legame del sub-
strato nell’α-amilasi sono His-101 e His-299 (Quian et al., 1993).23
Nella forma dinamizzata, come nei nostri test con Mercurius corrosivus 30ch
e Mercurius iodatus 30ch, il mercurio ha dimostrato un’attività promotrice
sull’attività dell’α-amilasi.
Sappiamo che gli ioni cloruro sono in grado di attivare l’α-amilasi, ma
l’attività enzimatica non dipende strettamente dalla presenza di questo ione
(Kabuto et al., 2000). I tre residui coinvolti nel legame del cloruro con
l’enzima sono: Arg-337, Arg-195 e Asn-29824 (Quian et al., 1993).
Nei nostri esperimenti, sia cloruro di mercurio 30ch (Mercurius corrosivus
30) che ioduro di mercurio 30ch (Mercurius iodatus 30) hanno aumentato
l’attività enzimatica. Se lo iodio avesse giocato un ruolo indipendente, proba-
bilmente i due sali avrebbero avuto effetti diversi, ma ciò non si è verificato.
Pertanto, sembra che il composto nel suo insieme, piuttosto che i suoi ioni in-
dividuali, induca un’attività specifica ed il mezzo diluente stesso abbia un ruo-
lo nell’acquisire e ritenere tale attività. In altre parole, la struttura del solvente,
modificata dal sale di mercurio, appare in grado di alterare la struttura
dell’enzima, cambiandone l’attività. È noto che la funzionalità delle molecole
biologiche è fortemente influenzata dalle loro strutture tridimensionali, che so-
no primariamente determinate da interazioni non covalenti con ioni metallici,
da interazioni con legami idrogeno e dalla solvatazione (Rodgers e Armentrout,
1997). In questo caso è probabile che le interazioni attraverso i legami idroge-
no e la solvatazione da parte dell’acqua strutturata, caratteristica delle soluzioni
di Mercurius corrosivus 30ch e Mercurius iodatus 30ch, abbiano alterato
l’attività dell’α-amilasi (Sukul et al., 2002).
I risultati mostrano nuovamente che le molecole d’acqua portano la specifica
informazione introdotta dalle molecole del rimedio durante il processo di di-

23
His: aminoacido istidina.
24
Arg: aminoacido arginina; Asn: aminoacido asparagina.
74 CAPITOLO 2

namizzazione. Le molecole di etanolo, che hanno un’ampia parte non-polare


della molecola, stabilizzano le specifiche strutture dell’acqua che sono state
acquisite durante il processo di diluizioni seriali e di agitazione meccanica.

2.4.2. Esperimenti in vitro su eritrociti


Basandoci su precedenti lavori pubblicati in letteratura, noi abbiamo ipotizzato
che un importante bersaglio del medicinale omeopatico sia una proteina della
membrana cellulare che permette il passaggio d’acqua, detta acquaporina (Su-
kul e Sukul, 2001). Le acquaporine si trovano in tutte le forme di vita e facili-
tano la permeabilità all’acqua attraverso le membrane biologiche. Ci sono di-
versi tipi di acquaporine (AQP): la più abbondante nei globuli rossi dei verte-
brati è la AQP1. Discuteremo in dettaglio struttura e funzione delle acquaporine
nel capitolo 4, in cui si vedrà anche la loro relazione con la salute e la malattia.
Pertanto, l’ipotesi è che, se il principale obiettivo di una potenza omeopatica
è l’acquaporina, quando il rimedio viene in contatto con la membrana cellulare
potrebbe cambiare il flusso idrico transcellulare.
Per testare questa ipotesi, abbiamo trattato dei globuli rossi di pesce (Clarius
batracus) con cloruro di mercurio 30ch (Mercurius corrosivus 30ch) e con
Nux vomica 30ch in due diversi esperimenti eseguiti in mezzo ipotonico. La so-
luzione di controllo era costituita da Alcoholus 30ch ed il mezzo diluente di tut-
te queste tre soluzioni consisteva in etanolo 90% ed acqua distillata 10%. Il
mezzo ipotonico in cui le cellule erano incubate a 30°C per 30 minuti con o
senza medicamenti era l’acqua distillata sterile.25 Le preparazioni di eritrociti
sono considerati un buon modello per lo studio della diffusione dell'acqua in un
sistema biologico.
I test vennero fatti su eritrociti raccolti da due gruppi di pesci: uno aveva ri-
cevuto un’iniezione intraperitoneale di etanolo nella quantità di 2g/kg di peso
corporeo e l’altro senza alcuna iniezione di etanolo. In un altro esperimento,
due gruppi di pesci erano separatamente pre-trattati in vivo con Alcoholus 30ch
o Nux vomica 30ch e quindi veniva loro somministrata un’iniezione di etanolo
alla concentrazione di 2g/kg di peso corporeo. I globuli rossi di questi pesci
erano testati in vitro con le stesse potenze medicinali.

25
Dettagli nel testo originale: Ogni provetta ricevette 0,5 ml di sangue mescolato con 0,01 ml
di una soluzione contenente il medicamento omeopatico o Alcoholus 30ch. A questa
miscela venivano aggiunti 0,5 ml di acqua distillata e le provette furono tenute in un luogo
scuro a temperatura ambiente per 30 minuti. Quindi, la proporzione di sangue e acqua è
1:1. Dopo il trattamento, i campioni di sangue erano centrifugati, il fluido sopranatante era
rimosso ed i fondelli cellulari erano seccati in un incubatore a 90°C per 12 ore. Le differenze
tra pesi secchi e pesi umidi dei fondelli cellulari fornivano il peso dell’acqua intracellulare dei
globuli rossi.
EVIDENZE DI EFFETTI DELLE ALTE DILUIZIONI 75

I nostri esperimenti hanno dimostrato che gli eritrociti prelevati dai pesci ai
quali era stato iniettato l’etanolo avevano incluso più acqua di quelli dei pesci
normali, indicando un aumento di permeabilità. La permeabilità in vitro
all’acqua è stata significativamente aumentata con Mercurius corrosivus 30ch
e Nux vomica 30ch rispetto agli eritrociti trattati con la soluzione di controllo. I
globuli rossi ottenuti da pesci pre-trattati con Nux vomica 30ch hanno incluso
più acqua nei trattamenti in vitro di quelli dei pesci pre-trattati con Alcoholus
30ch.
Poiché le acquaporine sono responsabili principalmente del trasporto d’acqua
attraverso la membrana citoplasmatica dei globuli rossi, si ipotizza che i medi-
camenti dinamizzati come Mercurius corrosivus 30ch e Nux vomica 30ch ab-
biano agito su queste proteine ed abbiano facilitato l’influsso d’acqua nella cel-
lula (Sukul et al., 2003).

Sommario

Le evidenze a sostegno della reale esistenza di effetti delle alte diluizioni


omeopatiche ci vengono sia da studi clinici fatti da medici omeopati e scienzia-
ti, sia da risultati di esperimenti condotti in laboratorio. A differenza dei farma-
ci convenzionali, gli effetti terapeutici di un’alta potenza omeopatica dipendo-
no non dall’eliminazione dei sintomi comuni di una particolare malattia, ma
dalla cura della totalità e dell’individualità dei sintomi di un particolare pazien-
te. Perciò, i trial clinici possono dare risultati positivi solo se l’obiettivo è quel-
lo di vedere se la totalità delle condizioni patologiche di un certo paziente, qua-
lunque nome abbia la malattia che lo affligge, viene curata da una particolare
alta diluizione omeopatica. Abbiamo mostrato che, in corso di terapie omeopa-
tiche, le casistiche riportate da medici omeopati mostrano o la guarigione o si-
gnificativi miglioramenti da malattie come tumori uterini, leishmaniosi, fistola
anale, asma bronchiale, encefalite o epatite virale, emorragia cerebrale, aritmie
cardiache, ecc. È possibile che, occasionalmente, il fallimento della cura
omeopatica risulti da condizioni intrinseche del paziente che impediscono la
totale guarigione, condizioni che gli omeopati chiamano miasmi.
Medicamenti in elevate diluizioni sono stati usati in campo umano per due
secoli e, più recentemente, sono state fatte sperimentazioni in modelli animali
per confermare i loro effetti terapeutici e per studiare il loro modo d’azione.
Queste elevate diluizioni hanno provocato effetti consistenti in animali quali
gatti, ratti, topi, uccelli, anfibi e pesci. Il principio base delle sperimentazioni
animali è quello di indurre artificialmente una malattia e testare su di essa ap-
propriati rimedi. Alcuni modelli, come la catalessi ed il riflesso di raddrizza-
76 CAPITOLO 2

mento, sono modelli che non implicano sacrificio di animali e che possono es-
sere facilmente usati per testare di effetti biologici dei medicamenti dinamizza-
ti.
In sintesi, si è dimostrato che la Nux vomica dinamizzata ha ridotto significa-
tivamente l’introduzione di etanolo nei ratti ed ha reversibilizzato i cambia-
menti degenerativi indotti dall’etanolo nei plessi nervosi adrenergici delle val-
vole atrioventricolari dei ratti. Cina dinamizzata, Calcarea fluorica e Thuja oc-
cidentalis hanno ridotto l’infezione da Trichinella spiralis nel topo albino. Ci-
na dinamizzata ha anche ridotto l’infezione da Dirofilaria immitis nei cani. Le
alte diluizioni non hanno ucciso i parassiti nematodi direttamente, ma hanno
probabilmente avuto un effetto mediato dal sistema immunitario degli animali
trattati.
In esperimenti elettrofisiologici, Arnica montana, Hypericum perforatum e
Arsenicum album somministrati sulla lingua hanno modificato la velocità di
scarica dei neuroni ipotalamici laterali in gatti anestetizzati. Arnica montana
30ch, Hypericum perforatum 200ch e Arsenicum album 30ch, somministrati
per via orale, hanno modificato la frequenza di scarica dei neuroni della cortec-
cia frontale media di ratti svegli. Nux vomica dinamizzata ha aumentato
l’attività dei neuroni ipotalamici laterali nei ratti alcolisti, mentre acqua distilla-
ta, Nux vomica tintura madre ed etanolo 20% l’hanno ridotta.
Natrum muriaticum 30ch e 200ch, applicati sulla lingua di ratti albini tenuti a
dieta ipersalina, hanno prodotto effetti inibitori sui neuroni ipotalamici laterali,
mentre l’acqua distillata ha mostrato un effetto eccitatore sugli stessi neuroni.
Phosphorus 200ch ha prodotto effetti inibitori sui neuroni ipotalamici di ratti
che avevano ricevuto Natrum muriaticum 30ch, una dose al giorno per 18 gior-
ni, mentre anche qui l’acqua distillata ha prodotto effetti eccitatori.
Agaricus muscarius 12ch, somministrato per via orale al topo, ha aumentato i
livelli di acido diidrossifenilacetico (metabolita della dopamina) e di acido 5-
idrossiindolacetico (metabolita della serotonina) nell’ipotalamo del topo, indi-
cando che in questi casi si verifica un aumento della trasmissione nelle aree
dopaminergiche e serotoninergiche del sistema nervoso.
Tutti questi risultati indicano che i neuroni ipotalamici e corticali giocano un
importante ruolo nel mediare l’azione terapeutica delle potenze omeopatiche.
A livello fitoterapico, Arsenicum album 199ch e Kali iodatum 200ch hanno
ridotto la degenerazione dei frutti del guava e del mango. Cina 1000ch, appli-
cato con uno spray fogliare, ha ridotto la malattia parassitaria delle radici delle
piante, causata da parassiti nematodi. Lo stesso rimedio ha aumentato la difesa
naturale nelle piante ed ha quindi ridotto l’infezione da parassita.
Sono stati osservati gli effetti delle alte diluizioni in test in vitro su organi
isolati, colture cellulari e persino macromolecole proteiche. Cloruro di mercu-
EVIDENZE DI EFFETTI DELLE ALTE DILUIZIONI 77

rio (Mercurius corrosivus) 30ch e ioduro di mercurio (Mercurius iodatus) 30ch


hanno aumentato l’attività di un enzima idrolitico in vitro.
Abbiamo anche dimostrato che l’efficacia delle alte diluizioni prodotte in ac-
qua viene persa più velocemente di quella delle alte diluizioni prodotte in solu-
zione idroalcolica.
Mercurius corrosivus 30ch e Nux vomica 30ch hanno alterato la permeabilità
all’acqua degli eritrociti di pesce in vitro, indicando che l’influenza delle alte
diluizioni potrebbe coinvolgere le proteine che fanno da canale all’acqua e che
vengono denominate acquaporine.
Capitolo 3

STUDI ED IPOTESI SULLE BASI FISICO-


CHIMICHE

Abbiamo già notato nel primo capitolo (sezione 4) che i medicinali omeopatici
dinamizzati sono preparati in etanolo in fase idroalcoolica, di solito in etanolo
90%, e che in genere i medici omeopati li prescrivono dalla trentesima potenza
in su.26 Abbiamo anche notato che queste potenze hanno effettivamente delle
azioni cliniche, che ci sono evidenze di una efficacia su animali e piante e che
ci sono anche differenze di efficacia tra le potenze preparate con diversi meto-
di. In particolare, abbiamo notato che anche le potenze preparate con acqua pu-
ra sono efficaci, benché siano meno stabili nel tempo.
Veniamo ora ad esaminare le ipotesi sulla natura fisica dei medicinali dina-
mizzati. Il principio attivo è costituito da molecole del rimedio in questione o
da qualcos’altro? Pare ovvio che quando una soluzione o sospensione di qual-
siasi sostanza in un solvente è progressivamente diluita, la diluizione dovrebbe
contenere sempre meno molecole del principio attivo presente all’inizio.
La massa di una mole di una sostanza, ad esempio Natrum muriaticum, speci-
ficata dalla sua formula chimica (in questo caso NaCl), si ottiene sommando le
masse in unità atomiche di tutti gli atomi che compongono la formula espri-
mendo il risultato (“peso molecolare”) in grammi. Una mole di una sostanza è
la quantità in grammi che contiene un numero di molecole (o di altre strutture
fondamentali) corrispondente al numero di Avogadro e precisamente 6.022 x
1023. Avogadro formulò la sua ipotesi nel 1812 e l’ipotesi fu confermata nel
1909 dal classico esperimento di Giambattista Perrin e successivamente da altri
fisici (Alberty e Silbey, 1995; Vemulapalli, 1997). Perciò, Hahnemann, quando
propose di utilizzare medicamenti altamente diluiti, non poteva sapere che le
sue potenze medicinali effettivamente superavano in molti casi il numero di
Avogadro.27
Ad esempio, se un rimedio è diluito successivamente con il solvente nella
proporzione di 1:100 per 12 volte, cioè fino alla dodicesima potenza, la sua di-
luizione è di 1024 volte e la sua concentrazione (partendo da una soluzione 1
mole/litro) è di 10-24 moli/litro. Poiché il numero di Avogadro per qualsiasi so-
stanza è di 6.022 x 1023/moli, le potenze dalla 12a centesimale in poi, ottenute

26
In Francia e in Germania, in realtà, si usano prevalentemente le potenze inferiori alla 30ch.
27
Perché la scoperta di Avogadro fu postuma a quella di Hahnemann.
80 CAPITOLO 3

partendo da una mole di qualsiasi sostanza, non dovrebbero contenere più al-
cuna molecola del principio attivo. Se poi la diluizione è preparata, come spes-
so è il caso, da una quantità di sostanza inferiore ad una mole, il numero di di-
luizioni centesimali necessarie per arrivare alla virtuale assenza di molecole at-
tive è ancora minore di 12. In sintesi, per la legge formulata da Avogadro, tutte
le alte potenze di un medicinale omeopatico contengono solo le molecole del
mezzo diluente, cioè acqua ed etanolo.
Ci sono molte ipotesi ed esperimenti che hanno tentato di svelare i misteri
delle basi fisiche dei medicamenti dinamizzati. Tutte le ipotesi sono basate sul-
le caratteristiche e sulle proprietà delle molecole del mezzo diluente. Questi la-
vori sono già stati precedentemente analizzati (Rubik, 1989; Jacobs e Mosko-
witz, 1996; Sukul, 1997).
L’ipotesi prevalente, proposta già da Barnard (1965), sostiene che durante il
processo di succussione si formerebbero dei polimeri che si pensa possano as-
sumere configurazioni specifiche secondo la natura chimica della sostanza di-
sciolta. Callinan (1986) ha proposto che l’energia vibrazionale delle molecole
d’acqua venga molto aumentata, rispetto allo stato fondamentale, dalla succus-
sione. Gli effetti cumulativi di questa energia potrebbero influenzare
l’aggregazione di molecole d’acqua e portare a delle configurazioni di aggrega-
ti stabili, detti cluster o clatrati. Secondo Sharma (1984 e 1986), la risonanza
dei doppietti di elettroni di non-legame nei gruppi -OH di diverse molecole del
diluente contribuirebbe alle basi fisiche dei rimedi dinamizzati. Differenti mez-
zi di diluizione e di triturazione (acqua, etanolo, lattosio), usati nel dinamizzare
i rimedi omeopatici, hanno in comune la presenza di gruppi -OH nelle loro mo-
lecole.
Abbiamo detto che le molecole d’acqua possono formare, attorno alle mole-
cole o alle particelle di un rimedio, dei cluster, detti anche clatrati (Wei et al.,
1991). Anagnostatos et al. (1991 e 1993) hanno ipotizzato che le molecole di
una sostanza poste al centro dei clatrati, rappresentati come dei gusci di mole-
cole d’acqua, vengano rimosse per l’effetto della forza generata dalla succus-
sione. I clatrati liberi (o vuoti) rimangono tali e vengono immediatamente cir-
condati da molecole d’acqua. Con la succussione, anche le molecole della so-
stanza che sono state rimosse vengono circondate da molecole d’acqua e si ge-
nerano nuovi clatrati. Tutte queste strutture formate da molecole d’acqua po-
trebbero portare il messaggio delle molecole di rimedio, anche quando queste
ultime diminuiscono nel corso di successive diluizioni e succussioni.
Oltre a queste teorie, sono stati condotti vari esperimenti sui mezzi di dilui-
zione per scoprire le basi fisiche di un rimedio dinamizzato. Di seguito sono
presentati i risultati ottenuti con analisi spettroscopiche di potenze omeopati-
che.
BASI FISICHE DEI MEDICAMENTI IN ALTE DILUIZIONI 81

3.1. Spettroscopia RMN

Prima di descrivere le applicazioni della Risonanza Magnetica Nucleare


(RMN) ai rimedi omeopatici, discutiamo brevemente i principi-base della spet-
troscopia RMN, premessa necessaria per comprendere il significato delle misu-
re che vedremo effettuare. Questa spettroscopia è un potente strumento per in-
dagare le caratteristiche strutturali delle molecole. Come la spettroscopia ultra-
violetta, visibile e infrarossa, la misura RMN valuta l’assorbimento di energie
fisiche da parte della materia.
I nuclei di alcuni isotopi possiedono uno spin, cioè un movimento di rotazio-
ne, ed il momento angolare totale dipende dallo spin nucleare, detto numero di
spin o I. Il valore numerico di I, che è correlato alla massa atomica ed al nume-
ro atomico, può essere 0, 1/2, 1, ecc. Il solvente delle potenze omeopatiche è di
solito acqua o una miscela d’acqua ed etanolo. Ovviamente il solvente (o mez-
zo) è fatto di molecole di idrogeno (protoni), ossigeno e carbonio. Il protone
(H) ed il deuterio (2H) hanno un numero di spin di 1/2 e 1 rispettivamente. Il
carbonio (12C) e l’ossigeno (16O) hanno I = 0 e sono non magnetici. Ciascun
nucleo in cui il valore di I è maggiore di 0 ha un caratteristico momento ma-
gnetico. Poiché un nucleo atomico ha una carica elettrica associata, il nucleo
rotante produce un campo magnetico con il suo asse che è in linea con l’asse
dello spin.
In un campione di H2O i momenti magnetici dei nuclei sono orientati in mo-
do casuale. Se il campione è posto in un campo magnetico uniforme detto
“Ho”, i nuclei tendono ad allinearsi lungo tale campo ma, poiché il nucleo è in
rotazione, il suo asse non sarà perfettamente parallelo o antiparallelo al campo
magnetico applicato. Quindi ci sarà un angolo di una certa grandezza fra l’asse
dello spin ed il campo magnetico, col risultato di un movimento circolare
dell’asse dello spin attorno ad Ho. Questo movimento del nucleo è chiamato
precessione (Fig. 6). Il movimento di precessione è simile a quello di una trot-
tola quando comincia a rallentare, il cui asse di rotazione produce una seconda
rotazione, oltre a quella della trottola stessa, attorno al campo gravitazionale
della terra. La frequenza del movimento precessione è la cosa più importante
nella spettroscopia RMN.
In termini di meccanica quantistica, il numero di spin I determina anche il
numero di orientamenti che un nucleo può assumere in un campo magnetico
uniforme esterno secondo la formula 2I+1. Poiché il protone ha un numero di
spin I = 1/2, esso avrà in totale due livelli di energia (21/2+1 = 2);
l’orientamento di livello più basso corrisponde allo stato in cui il momento
magnetico nucleare è allineato in modo parallelo al campo magnetico esterno,
mentre l’orientamento di maggiore energia corrisponde allo stato in cui il mo-
82 CAPITOLO 3

mento magnetico nucleare è orientato in modo antiparallelo (opposto) al campo


Ho. Tuttavia, le due popolazioni non sono in perfetto equilibrio, essendovi un
lieve eccesso dei nuclei dello stato di energia inferiore. È possibile indurre del-
le transizioni da uno all’altro di questi orientamenti dei nuclei.

Orbita
di precessione

Nucleo rotante Momento di dipolo


nucleare magnetico
()

Fig. 6 - Movimento di precessione di un nucleo attorno ad un determinato campo ma-


gnetico applicato chiamato Ho.

La frequenza di precessione di un nucleo rotante è esattamente uguale alla


frequenza della radiazione elettromagnetica necessaria a indurre la transizione
da uno stato di spin nucleare ad un altro. La radiazione elettromagnetica è un
campo elettrico oscillante nello spazio che si propaga alla velocità della luce.
Essa ha un vettore elettrico E che è diretto lungo lo spostamento dell’onda. Il
vettore elettrico ha un campo magnetico associato, che genera un vettore H,
perpendicolare al vettore elettrico ed alla direzione di propagazione dell’onda.
Nella tecnica RMN si applica un’energia elettromagnetica in modo che la sua
componente magnetica H1 sia ad angolo retto rispetto all’asse del principale
campo magnetico esterno Ho e ruoti insieme al protone. Quando la frequenza
della componente magnetica rotante è uguale a quella del nucleo in precessio-
ne, essi entrano in risonanza e può avvenire un assorbimento di energia da par-
te del nucleo stesso. Poiché c’è un eccesso di nuclei con basso stato di energia,
ciò dà luogo ad un assorbimento netto di energia nella regione di radiofrequen-
za applicata. Al punto di risonanza, l’assorbimento di energia raggiunge un
BASI FISICHE DEI MEDICAMENTI IN ALTE DILUIZIONI 83

massimo ed i nuclei in precessione sono spinti via dall’allineamento col campo


magnetico e mandati nella direzione del piano orizzontale (Fig. 7).

Fig. 7 - Componente magnetica H1 dell’energia elettromagnetica applicata alla radio-


frequenza in rotazione con il protone in precessione.

La componente magnetica generata su questo piano orizzontale è misurabile.


Essa può essere prodotta tenendo costante Ho e cambiando la frequenza del
generatore di onde elettromagnetiche che ha il suo asse ad angolo retto con il
principale campo elettromagnetico Ho. Oppure, si tiene costante la frequenza
dell’oscillatore e si varia Ho in un range molto preciso.
Quando la popolazione di nuclei in basso stato di energia viene elevata allo
stato di energia maggiore per l’assorbimento di energia esterna, l’intensità del
segnale diminuisce fino a scomparire. Questo fenomeno, in cui la popolazione
dei nuclei con i due stati diversi di spin si equivale, è conosciuto come satura-
zione. Tuttavia, esiste un meccanismo per cui i nuclei con lo stato di energia
più alto possono rilasciare la loro energia all’ambiente circostante e ritornare
allo stato di energia più basso. Questo meccanismo è chiamato rilassamento
spin-lattice o longitudinale (T1) e indica il trasferimento di energia dal nucleo
con lo stato di energia elevato verso il lattice. Il termine “lattice” si riferisce al-
84 CAPITOLO 3

la rete di molecole circostanti (ad esempio farmaci e solvente o diluente), mo-


lecole che contengono anch’esse i nuclei in precessione. Tutte queste molecole
hanno movimenti traslazionali, rotazionali e vibrazionali ed hanno proprietà
magnetiche. Perciò, nel lattice molecolare esiste una grande varietà di piccoli
campi elettromagnetici.
Una particolare combinazione di questi piccoli campi magnetici, appropriata-
mente orientati nel lattice, può indurre ad una transizione da un alto ad un bas-
so livello di energia e pertanto il rilassamento spin-lattice continua a mantenere
un certo numero di nuclei nello stato di bassa energia, che è la condizione ne-
cessaria per l’osservazione del fenomeno RMN.
Un altro tipo di rilassamento è conosciuto come rilassamento spin-spin o tra-
sversale (T2) e coinvolge il trasferimento di energia da un nucleo ad un altro
nucleo, senza una perdita netta di energia. Ciò provoca la dispersione di ener-
gia tra nuclei contigui, cosa che risulta in un allargamento della banda di assor-
bimento. Questo tipo di rilassamento non contribuisce al mantenimento di un
eccesso di popolazione di nuclei in un livello basso di energia.
L’ampiezza naturale di una linea spettroscopica è inversamente proporzionale
alla durata dello stato eccitato. Perciò, linee di risonanza strette sono osservate
negli stati di eccitazione prolungata, mentre linee più piatte sono osservate ne-
gli stati di eccitazione breve.
Entrambi i tipi di rilassamento, spin-spin e spin-lattice, contribuiscono
all’ampiezza della linea spettroscopica. La maggior parte dei solidi ed i liquidi
viscosi mostrano dei rilassamenti spin-lattice molto lunghi e dei rilassamenti
spin-spin molto corti. In caso di liquidi organici non viscosi e di sostanze in so-
luzione, le linee di risonanza sono appiattite e, quindi, i tempi di rilassamento
sono corti.
L’ampiezza di una linea spettroscopica è influenzata da altri due fattori.
La presenza di molecole paramagnetiche, come l’ossigeno disciolto, causa
una riduzione del T1 per la presenza di intensi campi magnetici associati con le
componenti paramagnetiche del lattice. Dato che il momento magnetico
dell’elettrone è circa mille volte più grande del momento magnetico del nucleo,
i rilassamenti nucleari saranno rapidi, essendo dominati dagli elettroni spaiati
dell’ossigeno. Perciò, se si vuole avere una misura precisa del tempo di rilas-
samento di un campione, esso deve essere degassato prima di ottenere uno
spettro RMN. Non è noto se il processo di degassamento finisca col causare
qualche modifica dell’efficacia di una potenza omeopatica in acqua o in etano-
lo in fase idroalcoolica, che sono i consueti mezzi diluenti dei rimedi omeopa-
tici. Tuttavia, allo scopo di effettuare un confronto tra una potenza omeopatica
ed il suo mezzo diluente, non è necessario degassare le soluzioni. Infatti, se il
rimedio dinamizzato ed il mezzo usato come controllo sono stati preparati allo
BASI FISICHE DEI MEDICAMENTI IN ALTE DILUIZIONI 85

stesso modo e con lo stesso diluente, è probabile che le due preparazioni messe
a confronto contengano la stessa quantità di ossigeno disciolto.
I nuclei con i numeri di spin maggiore di 1/2, come il deuterio, hanno mo-
menti elettrici quadripolari e brevi tempi di rilassamento spin-lattice. Le veloci-
tà di rilassamento R1 ed R2 sono espresse come reciproco dei tempi di rilassa-
mento T1e T2, cioè come 1/T1 e 1/T2, rispettivamente.
Nell’esperimento RMN, come si è detto, una popolazione di nuclei è spinta
da un livello di energia ad un altro livello per l’applicazione di una radiazione
elettromagnetica di appropriata frequenza. Questa è la fase di eccitazione. Alla
sospensione della radiazione, i nuclei tornano all’equilibrio per il fenomeno del
rilassamento spin-lattice, perché l’eccesso di energia passa dagli spin nucleari
al lattice circostante sotto forma di calore. Il processo di rilassamento richiede
campi magnetici che siano fluttuanti all’appropriata frequenza. I campi domi-
nanti originano dai momenti magnetici dei protoni delle molecole che sono in
movimento nella soluzione. Questa è l’interazione dipolo-dipolo. La velocità
del rilassamento dipolo-dipolo dipende dalla frequenza e dalla forza dei campi
magnetici fluttuanti. Tali campi magnetici, a loro volta, dipendono da tre fatto-
ri:
1 - la distanza tra i nuclei coinvolti,
2 - il tempo effettivo di correlazione, Tc del vettore che unisce i nuclei,
3 - la natura stessa dei nuclei.

Tc è il tempo medio di rotazione o approssimativamente il reciproco della ve-


locità di rotazione in soluzione della zona molecolare coinvolta (Sanders e
Hunter, 1993).
Per l’interazione di un’energia di radiofrequenza con il forte campo magneti-
co di un protone, dovrebbe apparire un solo picco di risonanza RMN, la cui
area, misurata integrando la superficie, è proporzionale al numero di protoni
che il picco rappresenta. Tuttavia, l’elaborazione degli spettri consente di evi-
denziare un’altra caratteristica della sostanza in esame, detta spostamento chi-
mico (“chemical shift”) del picco. Il fenomeno è dovuto al fatto che il nucleo è
schermato in qualche modo dalla sua nube elettronica, la cui densità varia se-
condo l’ambiente. Protoni in diversi ambienti sono schermati in diverso modo
per la presenza di diverse nubi elettroniche circostanti. Il risultato è usualmente
espresso come uno spostamento della frequenza di risonanza del protone, cau-
sato dalla nube elettronica circostante, e la posizione del segnale di un partico-
lare protone è spesso espresso come lo spostamento chimico del protone stesso.
Gli spostamenti chimici sono valutati usando un protone di un adatto compo-
sto, posto come riferimento. Il composto standard più comunemente usato a ta-
le scopo è il tetrametilsilano (TMS), che è chimicamente inerte, magnetica-
mente isotropico, volatile (evaporazione a 27°C) e solubile nella maggior parte
86 CAPITOLO 3

dei solventi organici. In pratica, il TMS può essere usato come riferimento ri-
spetto al quale si misura lo spostamento chimico: questa sostanza è tenuta in un
capillare sigillato e immerso nel campione. Altre sostanze di riferimento per le
soluzioni acquose sono il DSS, l’acetonitrile ed il diossano (Silverstein et al.,
1981).

Fig. 8 – Formula di struttura del tetrametilsilano.

La posizione del segnale RMN del campione in oggetto di studio è registrata


in Hertz (Hz), come differenza tra le posizioni del segnale osservato e del se-
gnale di riferimento. L’intervallo di frequenza è di solito di 500 Hz. Quando gli
spostamenti chimici del picco (designati come ) sono dati in Hz, si deve spe-
cificare la frequenza applicata. È possibile esprimere gli spostamenti chimici
del picco RMN, indipendentemente dalla frequenza applicata, dividendo  per
la frequenza applicata e moltiplicando per 106: il risultato viene quindi espresso
in parti per milione (ppm).
Nel sistema delta () si assegna il valore di zero al segnale di riferimento
(TMS) e la posizione degli altri segnali è espressa in ppm di differenza. Un  di
valore alto indica che il campo magnetico risultante attorno al protone è più
basso.
Un sistema alternativo tau () assegna un valore di 10 al segnale di riferimen-
to (TMS) ed esprime il risultato come  = 10 - 
Per spostamenti di picco ottenuti a campi magnetici maggiori del TMS ( =
  = 10), i valori di  risultano con segno negativo mentre quelli di  hanno
valori maggiori di 10.
Nelle potenze omeopatiche, la formula del mezzo diluente, acqua o etanolo in
fase idroalcoolica, è ben conosciuta. Di conseguenza, i rapporti di altezza dei
picchi RMN possono essere convertiti nel numero di protoni che contribuisco-
no a ciascun picco.
BASI FISICHE DEI MEDICAMENTI IN ALTE DILUIZIONI 87

In qualsiasi tipo di spettro, UV, IR o RMN, i segnali (o bande) non sono


strettamente lineari, ma hanno un’ampiezza definita e caratteristica. I fattori
che influenzano l’ampiezza sono:
a - fattori strumentali,
b - fattori relativi all’ambiente in cui si trovano le molecole,
c - fattori relativi alle stesse molecole (Dani, 1995).
Il secondo gruppo di fattori (b) è quello più importante per l’omeopatia, men-
tre gli altri fattori (a e c) dovrebbero restare costanti quando una sostanza di-
namizzata, ad esempio Nux vomica 30ch, è confrontata con il suo mezzo di-
luente (etanolo in fase idroalcoolica o acqua) nelle stesse condizioni sperimen-
tali e con lo stesso strumento.
I fattori ambientali (b), come la collisione fra molecole, reazioni di scambio e
legami idrogeno, introducono leggeri cambiamenti nelle energie di transizione
e queste appaiono sotto forma di allargamento del segnale. Tale allargamento
può anche essere dovuto a fattori fisici legati al principio di indeterminazione
di Heisenberg. Il principio stabilisce che c’è un minimo di incertezza nella sti-
ma di qualsiasi coppia di variabili fisiche, tra loro dipendenti e valutate simul-
taneamente. Nel nostro caso, le due variabili sono E (variazione di energia) e
t (variazione della durata temporale dello stato eccitato).
La durata del segnale RMN varia approssimativamente di grandezze attorno a
10-7 s: quanto più breve è la durata, tanto più ampio è il segnale. La durata del
segnale è correlata alla velocità di rilassamento e quest’ultimo, a sua volta, è
influenzato dai legami idrogeno, dal momento di dipolo e dalla suscettibilità
magnetica del solvente usato.

3.1.1. Spettri RM delle potenze omeopatiche


Dopo aver discusso i principi-base della spettroscopia RM, esaminiamo gli
studi sulle potenze omeopatiche che sono stati fatti con questo metodo.
I primi lavori di spettri RMN di potenze omeopatiche furono fatti da Smith e
Boericke (1966 e 1968). I lavori di altri Autori (Demangeat et al., 1992; Abel
et al., 2001; Milgrom et al., 2001) saranno menzionati in seguito.
Nei nostri studi, abbiamo misurato il tempo di rilassamento spin-lattice (T1)
in millisecondi (ms) del deuterio (2H), isotopo dell’idrogeno presente normal-
mente in Natura, in soluzioni di etanolo 90%, Alcoholus 30ch28 preparato senza
succussione e diverse potenze di altri medicamenti, utilizzando uno spettrome-

28
Come riportato nella nota alla tabella 3 (capitolo2), mentre etanolo 90% è una normale
soluzione idroalcolica al 90% di etanolo, Alcoholus 30ch è il medesimo etanolo preparato
omeopaticamente e in particolare diluito e dinamizzato per 30 volte secondo il metodo
centesimale. I medicamenti omeopatici hanno nomi latini.
88 CAPITOLO 3

tro RMN AMX-400 funzionante alla frequenza di 61.4 MHz a 22°C. Le misure
sono state fatte in molteplici esperimenti e in tempi diversi.
Piuttosto che i protoni, abbiamo preferito scegliere i nuclei di deuterio per va-
rie ragioni. Il deuterio (2H) è un nucleo quadripolare che ha un piccolo momen-
to quadripolare di valore 1. Il rilassamento quadripolare dipende
dall’interazione del momento elettrico quadripolare con un gradiente di campo
elettrico. Poiché in questo caso il momento quadripolare del deuterio è piccolo,
l’interazione è piccola ed il rilassamento è lento. Come tutti i nuclei quadripo-
lari, il rilassamento del 2H è sensibile al c. Abbiamo già descritto il c, che
consiste nel tempo medio di rotazione attorno al proprio asse o, approssimati-
vamente, il reciproco della velocità di rotazione in soluzione delle componenti
molecolari oggetto di studio.
Le molecole che ci interessano in questo caso sono l’acqua (H2O) e l’etanolo
(CH3CH2OH). I valori T1 dell’OH dell’acqua e di OH, CH2 e CH3 dell’etanolo
sono stati misurati dagli spettri ed elaborati con un computer. Alcuni esempi di
spettri di medicamenti dinamizzati sono riportati in Fig. 9.
La componente idrossilica dell’etanolo (OH) ha il più alto spostamento chi-
mico del picco (numero tra parentesi), seguita dall’idrossile dell’acqua (OH),
dal metilene (CH2) e dai gruppi metilici (CH3) (Tab. 4).
I quattro gruppi chimici dei diversi medicamenti testati e dei loro mezzi di-
luenti mostrano particolari variazioni nei loro spostamenti chimici del picco e
nei loro valori di T1. In alcuni casi le variazioni sono molto piccole e quasi in-
significanti, mentre in altri casi sono ampie. Le variazioni sono state osservate
non solo in medicamenti diversi, ma anche in diverse potenze dello stesso me-
dicamento. Ciò è particolarmente evidente nel caso di potenze di Cina e di Nux
vomica (Tab. 4). Sia gli spostamenti chimici che i valori T1 di diversi medica-
menti mostrano delle notevoli variazioni, con riferimento ai gruppi idrossilici
dell’acqua e dell’etanolo.
BASI FISICHE DEI MEDICAMENTI IN ALTE DILUIZIONI 89

Etanolo 90%

Alcoholus 30 (non succusso)

Alcoholus 30 (succusso)

Nux vom 30 (non succusso)

Nux vom 30 (succusso)

Fig. 9. Alcuni spettri RM del 2H della soluzione di etanolo 90%, di Alcoholus 30ch (non
succusso), di Alcoholus 30ch (succusso), di Nux vomica 30ch (non succussa), di
Nux vomica 30ch (succussa), ottenuti con uno spettrometro RMN AMX-400, a
61.4 MHz a 22°C.

Entrambi i rilassamenti, spin-lattice e spin-spin, dipendono dalle velocità del


movimento molecolare, poiché il rilassamento deriva dall’interazione dei cam-
pi magnetici fluttuanti dei nuclei nel lattice (Connors, 1987). Sempre in Tab. 4,
si nota che i valori T1 sono più grandi nel CH2 e nel CH3 rispetto al gruppo
idrossilico OH dell’acqua e dell’etanolo. Ciò indica che i gruppi idrossilici, che
possiedono più siti di legame, sono più immobilizzati dal legame molecolare
ed hanno dei tempi di rilassamento più corti.

Medicamento omeopatico Acqua Etanolo


OH OH CH2 CH3
Etanolo 90% 110.79 106.90 846.48 822.57
(4.95) (5.65) (3.93) (1.50)
Etanolo 90% (degassato) 97.26 97.66 864.58 751.95
(5.9) (6.64) (4.87) (2.44)
90 CAPITOLO 3

Alcoholus 30ch (non succusso) 122.82 74.87 935.69 819.74


(4.96) (5.66) (3.95) (1.53)
Alcoholus 30ch 87.53 100.20 969.44 876.65
(4.99) (5.74) (4.03) (1.59)
Alcoholus 30ch (sonicato 5 min) 115.50 109.03 857.89 802.69
(5.02) (5.73) (3.99) (1.56)
Agaricus muscarius Ө 221.94 894.35 739.27
Agaricus muscarius Ө (sonicato 117.94 104.29 847.33 854.75
5 min) (4.96) (5.67) (3.95) (1.52)
Agaricus muscarius 200ch 101.09 95.58 916.39 735.51
(5.29) (5.99) (4.25) (1.82)
Agaricus muscarius 1000ch 115.51 860.68 718.68
(5.52) (4.21) (1.78)
Cantharis vesicatoria Ө 125.66 954.24 855.32
(5.35) (3.99) (1.56)
Cantharis vesicatoria 200ch 150.58 942.04 856.79
(5.54) (4.04) (1.63)
Cina Ө 104.30 883.45 776.07
(5.28) (3.85) (1.92)
Cina 32ch 65.61 124.41 1019.00 864.29
(5.93) (6.67) (4.98) (2.55)
Cina 200ch 102.50 108.23 867.44 792.67
(4.70) (5.42) (3.67) (1.24)
Cina 1000ch 86.77 106.66 971.69 857.57
(5.01) (5.70) (3.98) (1.55)
Cocculus indicus 30ch 107.71 104.69 923.42 798.69
(5.03) (5.75) (4.01) (1.58)
Iodium 29ch (irradiato con UV 113.86 93.75 895.50 778.23
per 5 min) (5.16) (5.88) (4.12) (1.68)
Kali nitricum 30ch (degassato) 97.88 101.72 826.80 722.52
(5.88) (6.58) (4.83) (2.39)
Kali nitricum 30ch (sonicato 30s) 87.25 89.76 849.63 711.10
(6.04) (6.74) (4.98) (2.53)
Mercurius corrosivus 30ch (degas- 97.31 91.88 842.14 744.12
sato) (5.91) (6.62) (4.85) (2.39)
Mercurius solubilis 200ch 139.22 106.28 991.38 807.57
(4.99) (5.74) (4.01) (1.59)
Naja tripudians 200ch 99.02 91.94 849.99 790.44
(5.16) (5.87) (4.12) (1.70)
Nux vomica Ө 112.23 93.05 894.71 777.66
(5.16) (5.9) (4.12) (1.68)
Nux vomica 30ch (non succussa) 68.54 109.63 977.18 885.88
(5.03) (5.74) (4.01) (1.59)
Nux vomica 30ch 119.58 109.83 840.40 758.78
(4.57) (5.26) (8.50) (1.07)
Nux vomica 30ch (sonicata 5 min) 123.38 111.82 872.91 839.73
(4.97) (5.69) (3.96) (1.52)
Nux vomica 200ch 102.67 93.33 827.41 790.59
(4.58) (5.31) (3.56) (1.13)
Nux vomica 1000ch 128.24 879.64 839.66
(5.52) (3.95) (1.53)
Phosphorus 32ch (sonicato 30s) 98.54 83.34 854.68 754.12
BASI FISICHE DEI MEDICAMENTI IN ALTE DILUIZIONI 91

(6.74) (6.06) (4.98) (2.55)


Phosphorus 32ch (sonicato 30s, 88.48 87.09 807.67 734.57
degassato) (5.78) (6.50) (4.74) (2.29)
Santoninum 200ch 94.77 95.15 994.95 752.21
(5.81) (6.54) (4.80) (2.36)
Strychninum purum Ө 101.66 99.12 845.06 819.41
(5.10) (5.80) (4.04) (1.62)
Thuja occidentalis 30ch 69.95 81.46 844.46 778.20
(5.89) (6.64) (4.89) (2.43)

Tab. 4 - Tempo di rilassamento spin-lattice (T1) del deuterio (2H) per quanto riguarda
l’etanolo 90% e medicamenti omeopatici dinamizzati in etanolo 90%. Tra pa-
rentesi sono riportati gli spostamenti chimici in ppm. Le misure sono state ef-
fettuate con uno spettrometro RMN AMX-400, a 61.41 MHz e a 22°C. A par-
te il controllo con etanolo 90% che è stato messo all’inizio, i medicamenti
omeopatici sono stati poi inseriti secondo l’ordine alfabetico. Sono riportate
potenze omeopatiche preparate con sonicazione per 30 secondi o per cinque
minuti, ad ogni passaggio di diluizione. Lo Iodium 29ch è stato preparato sen-
za succussione, ma con irradiazione ultravioletta ad ogni passaggio di dilui-
zione. Tutte le altre potenze omeopatiche sono state preparate con succussio-
ne manuale. Alcune potenze sono state degassate per 1 ora per rimuovere
l’ossigeno disciolto. Tutti i medicamenti menzionati, incluse le tinture madri,
erano in etanolo 90%.

I valori T1 sono inoltre correlati ai volumi molari delle sostanze. Le sostanze


in cui i nuclei magnetici sono molto distanti, o hanno piccoli momenti magne-
tici, mostrano dei valori T1 più lunghi (Bovey, 1969). In soluzioni non-ideali
come l’etanolo in fase idroalcoolica, le molecole di diversi tipi possono attrarsi
o respingersi vicendevolmente più che nelle soluzioni composte da molecole
dello stesso tipo. Inoltre, la miscelazione può sia aumentare che diminuire la
distanza media fra le molecole, cosa che, a sua volta, cambia il volume molare
complessivo rispetto alla somma dei volumi di tutte le componenti (Vemula-
palli, 1997). Haseba et al. (1993) hanno osservato che l’etanolo sonicato è fisi-
camente più compatto e omogeneo rispetto all’etanolo non sonicato. Quindi, la
sonicazione e la succussione dovrebbero alterare il volume molare di un rime-
dio dinamizzato portando ad un cambiamento nei valori T1. L’osservazione
sperimentale di diversi valori T1 del nucleo di deuterio di diversi medicamenti
e dei loro diluenti (etanolo 90%) (Tab. 4) potrebbe essere attribuita a questo
fattore di cambiamenti di distanza fra le molecole.
Per l’associazione tra molecole della stessa specie o di specie diverse, posso-
no intervenire dei cambiamenti nella distanza tra molecole di farmaci e tra mo-
lecole del mezzo di diluizione. Nelle soluzioni da noi considerate, si formano
associazioni tra molecole d’acqua e di etanolo per la formazione di legami
92 CAPITOLO 3

idrogeno (O-HO). Questo tipo di associazione mediante legami idrogeno


coinvolge un legame tra un numero relativamente ampio, ma non precisamente
conosciuto, di singole molecole (vedi ad esempio la Fig. 10).
Il fatto che l’atomo di ossigeno dell’acqua o dell’etanolo abbia due elettroni
spaiati, rende possibile la formazione di due legami idrogeno con altri atomi di
ossigeno della soluzione, oltre a due legami covalenti con atomi di idrogeno, i
quali a loro volta potranno entrare in legame idrogeno con altri atomi di ossi-
geno. In totale, ogni molecola d’acqua può stabilire fino ad un massimo di 4
legami idrogeno con altre 4 molecole d’acqua vicine. La differenza dei valori
T1 che si osserva nella stessa colonna in Tab. 4 può essere dovuta alle associa-
zioni inter-molecolari di questo tipo. Abbiamo già ricordato il fatto che i valori
T1 dipendono dalle velocità di movimento molecolare.

Etanolo Acqua

Fig. 10. Legami covalenti () e legami idrogeno () in e tra molecole di etanolo ed ac-
qua.

Haseba et al. (1993) hanno riportato che il movimento termico delle molecole
d’acqua è maggiore nell’etanolo sonicato piuttosto che in quello non sonicato.
Questi ricercatori hanno misurato i valori T1 del deuterio (2H) di molecole
d’acqua (2HO2H/-O2H) in acqua pura e in soluzioni di etanolo in fase idroal-
coolica. Ovviamente, il moto termico delle molecole d’acqua in medicamenti
dinamizzati, preparato mediante succussione o sonicazione, può cambiare e
quindi possono cambiare i valori di T1. Le molecole paramagnetiche come
l’ossigeno disciolto riducono fortemente i valori T1 a causa dei grandi campi
magnetici associati con la componente paramagnetiche delle lattice (Dyer,
1994). Questa potrebbe essere la ragione per cui in Tab. 4 si osservano dei va-
lori di T1 ridotti nell’etanolo 90% degassato rispetto all’etanolo 90% normale
in tre nuclei su 4 misurati (OH dell’acqua, OH e CH3 dell’etanolo).
Il Phosphorus 32ch (degassato) e il Phosphorus 32ch normale mostrano un
simile effetto di riduzione del T1 in tre nuclei su 4 misurati. Tuttavia, la situa-
BASI FISICHE DEI MEDICAMENTI IN ALTE DILUIZIONI 93

zione è inversa nel caso di Kali nitricum 30ch (degassato), che ha valori di T1
maggiori rispetto a Kali nitricum 30ch (sonicato, non degassato). Quindi, rima-
ne dubbio il ruolo dell’ossigeno disciolto nell’alterare il parametro T1 in questi
esperimenti. Inoltre, se è vero che l’ossigeno disciolto può essere considerato
un fattore che potenzialmente altera le misure, va però detto che nel nostro ca-
so si confrontano soluzioni di controllo e di rimedio che hanno teoricamente la
stessa concentrazione di ossigeno.
La Tab. 4 mostra differenze tra i medicamenti dinamizzati ed il loro mezzo
diluente anche per ciò che concerne gli spostamenti chimici del picco RMN
(valore tra parentesi), indicando l’esistenza di diversi effetti di schermatura del-
la nube elettronica sui nuclei di deuterio. Nelle molecole lineari come
l’etanolo, un importante contributo alla schermatura di un protone è l’effetto
paramagnetico dovuto alla circolazione di elettroni attorno agli atomi di carbo-
nio e ossigeno. Il grado di schermatura elettronica dipende chiaramente dalla
densità elettronica attorno al protone: quanto più alta è la densità elettronica at-
torno al protone tanto maggiore è la schermatura e quindi il campo magnetico
(alto valore di ) a cui il protone assorbe nell’indagine spettroscopica RMN
(Dyer, 1994). I gruppi idrossilici dell’acqua e dell’etanolo partecipano sia
all’auto-assemblaggio delle stesse molecole, sia all’associazione inter-
molecolare attraverso i legami idrogeno. I protoni nei legami idrogeno, partico-
larmente nell’auto-assemblamento, hanno mostrato una grande capacità di resi-
stere alla schermatura dell’ambiente elettronico (Bovey, 1969). Pertanto, le dif-
ferenze degli spostamenti di picco osservate confrontando i medicamenti di-
namizzati con i loro mezzi di diluizione a riguardo del nucleo di deuterio, come
riportato in Tab. 4, possono essere attribuite ai diversi tipi di associazione di
auto-assemblaggio ed associazione inter-molecolare nell’acqua e nell’etanolo.
La Tab. 4 mostra anche che alcune tinture madri, come Agaricus muscarius 
(o TM), Cantharis vesicatoria , Cina , hanno tre picchi invece di quattro. In
tutti questi casi, i picchi idrossilici (OH) dell’etanolo e dell’acqua si sono so-
vrapposti. La posizione precisa del segnale protonico nell’idrossile dipende dal
tempo che il protone passa associato ad una data molecola di etanolo. In un da-
to periodo di tempo, lo stesso protone idrossilico può essere attaccato a diverse
molecole di etanolo. La velocità di cambiamento chimico (trasferimento proto-
nico) nell’etanolo puro è relativamente lenta, ma essa è notevolmente aumenta-
ta dalla presenza di sostanze di natura acida e/o basica. Nelle tinture madri, la
presenza di varie sostanze di origine vegetale potrebbe aver causato tale au-
mento di scambi chimici e lo spostamento dei picchi, fino alla sovrapposizione
con quelli dell’acqua. La sovrapposizione di due picchi idrossilici è stata os-
servata anche in medicamenti dinamizzati come Agaricus muscarius 1000ch,
Cantharis vesicatoria 200ch e Nux vomica 1000ch (Tab. 4). Anche in questi
casi si è prodotto un cambiamento fisico-chimico della soluzione che favorisce
94 CAPITOLO 3

un rapido scambio chimico dei protoni fra due specie idrossiliche (d’acqua e/o
etanolo), che alla fine si traduce in una singola linea di risonanza.
Altri Autori hanno effettuato misure RMN su potenze omeopatiche. Deman-
geat et al. (1992) hanno riportato un aumento del tempo di rilassamento del
protone (T1) a 4 MHz in alte diluizioni di soluzioni saline (NaCl 0.9%) di mi-
scele di silice/lattosio, rispetto ad un controllo di sola soluzione salina. Abel et
al. (2001) hanno ottenuto spettri 1H RMN e calcolato valori di T1 di potenze di
Sulphur, da D4 a D30, e di Betula 30ch a 300 e 500 MHz e non hanno trovato
differenze negli spettri e nei valori T1 fra le potenze omeopatiche ed i controlli.
Milgrom et al. (2001) hanno studiato i tempi di rilassamento T2 spin-spin di
Nitricum acidum dinamizzato e non dinamizzato e non hanno trovato differen-
ze fra le diverse soluzioni nel T2.29

3.2. Spettroscopia all’infrarosso

Iniziamo col presentare i principi base della spettroscopia all’infrarosso (IR) e


poi discuteremo le sue applicazioni all’omeopatia.
Una molecola è fatta di atomi dotati di movimento, cioè che non rimangono
in posizioni fisse. In un modello didattico, gli atomi possono essere considerati
come delle palline e le molecole come un assemblaggio di palline con diverse
masse e con diverse direzioni di movimento, corrispondenti ai legami chimici
della molecola stessa. Una molecola ruota nella sua interezza, ma anche i suoi
legami interni vanno incontro a vibrazioni e si muovono pure gli elettroni. Ci
sono due tipi fondamentali di vibrazioni nelle molecole:
1 - stiramento (stretching), in cui la distanza tra due atomi aumenta o diminui-
sce, ma gli atomi rimangono sullo stesso asse di legame e
2 - piegamento (bending, o deformazione) in cui la posizione degli atomi cam-
bia rispetto all’originale asse di legame (Fig. 11).

29
Un altro tentativo di trovare delle caratteristiche modifiche negli spettri di potenze
omeopatiche con RMN, pubblicato nel 2004, ha dato risultati negativi (Anick DJ. High
sensitivity 1H-NMR spectroscopy of homeopathic remedies made in water. BMC
Complement Altern Med. 2004;4:15).
BASI FISICHE DEI MEDICAMENTI IN ALTE DILUIZIONI 95

Simmetrica Asimmetrica
Vibrazioni
di stiramento (stretching)

Vibrazioni
di piegamento (bending)

Fig. 11 - Le frecce rappresentano le vibrazioni di stiramento e di piegamento del lega-


me O-H nelle molecole d’acqua.

Ciascuno di questi tipi di movimento è quantizzato, cioè la molecola può esi-


stere solo in stati definiti che corrispondono a contenuti discreti di energia. Per
esempio, una molecola in rotazione non può ruotare con qualsiasi velocità ed
energia rotazionale, ma può avere solo certe velocità e certe energie. Lo stesso
vale per le energie vibrazionali ed elettroniche. Pertanto, una certa serie di vi-
brazioni di stiramento e di piegamento possono avvenire solo a certe frequenze
quantizzate. Quando una luce infrarossa della stessa frequenza vibrazionale in-
tercetta una molecola, il quanto luminoso viene assorbito e l’energia e
l’ampiezza di vibrazione di quella molecola aumentano. Quando la molecola
ritorna dal suo stato eccitato allo stato fondamentale, l’energia assorbita è rila-
sciata come calore o come un altro quanto luminoso.
Ogni tipo di radiazione elettromagnetica, come onde radio, luce ultravioletta,
infrarossa, visibile ecc., ha una duplice natura di onda e di particella: la radia-
zione elettromagnetica può essere descritta come un’onda che si sposta simul-
taneamente nei campi elettrici e magnetici, oppure come una particella, chia-
mata quanto di luce o fotone. La radiazione è caratterizzata da una lunghezza
d’onda () e da una frequenza (), che è definita come il numero di cicli com-
pleti per secondo (cps), espressi anche con l’unità di misura detta Hertz (Hz).
Lunghezza d’onda e frequenza sono inversamente proporzionali:
96 CAPITOLO 3

 = C/

dove C e  sono rispettivamente la velocità della luce e la lunghezza d’onda in
centimetri.
L’energia di un quanto di radiazione elettromagnetica è correlata direttamente
con la sua frequenza. Tanto più alta è la frequenza della radiazione tanto mag-
giore sarà la sua energia, secondo la formula:

E = h·

dove h è la costante di Planck.
Le molecole assorbono la radiazione in “pacchetti” di energia ognuno dei
quali è pari a:
E = h 

L’assorbimento avviene solo quando la radiazione fornisce esattamente il
giusto “pacchetto” o quanto di energia che è in grado di modificare il livello di
energia del composto colpito dalla radiazione. Ogni stato del composto è carat-
terizzato da uno o più numeri quantici e la differenza di energia tra questi stati
(E) è correlata alla frequenza (della luce attraverso la costante di Planck
(h). Una molecola può assorbire solo una certa particolare frequenza di radia-
zione, se esiste nella molecola un’energia di transizione di grandezza pari a: E
= h

3.2.1. Spettri IR di potenze omeopatiche


Come si è detto, la radiazione infrarossa causa eccitazioni vibrazionali delle
molecole di un composto (E è 1-10 kcal.mole-1). Le frequenze vibrazionali di
O-H e dei legami correlati sono sensibili all’interazione dell’idrogeno con un
terzo atomo, interazione che si stabilisce quando si forma un legame idrogeno.
Per questo, la spettroscopia infrarossa è un eccellente mezzo per evidenziare e
studiare i legami idrogeno (Connors, 1987).
Usando uno spettrofotometro all’infrarosso (Hitachi, modello 260-10) ab-
biamo ottenuto degli spettri di assorbimento dell’etanolo 90% e di alcuni rime-
di omeopatici nell’intervallo di lunghezze d’onda da 2.5 micrometri (4000 cicli
al cm) a 4 micrometri (2500 cicli al cm).
La Fig. 12 mostra alcuni di questi spettri infrarossi in cui si vedono un’ampia
banda di vibrazione da stiramento del gruppo OH e una banda relativamente
stretta di vibrazione da stiramento del gruppo CH.
BASI FISICHE DEI MEDICAMENTI IN ALTE DILUIZIONI 97

Etanolo 90%
Trasmittanza della luce (%)

Nux vom 30
in etanolo 90% (non succusso)

Nux vom 30
in etanolo 90% (succusso)

Frequenza (n. di onde cm-1)

Fig. 12 - Spettri all’infrarosso (IR) di etanolo 90%, Nux vomica 30ch (non succussa) e
Nux vomica 30ch (succussa) in etanolo 90%, ottenuti con uno spettrometro IR
(Hitachi, modello 260-10). Lo spessore della cella di misura era 0.5 millimetri
e la temperatura 20°C (riprodotta, con modifiche e autorizzazione, da Sukul
et al.: Nux vomica 30 prepared with and without succussion shows antialco-
holic effect on toads and distinctive molecular association. Br. Hom. J. 2001;
90: 79-85. Copyright © 2001 by Nature Publishing Group).

La Tab. 5 seguente riporta le lunghezze d’onda (in micrometri: μm) ed i nu-


meri di onde per ogni cm (cioè il numero di onde complete, o cicli di onda,
contenute in un cm di lunghezza)30 delle bande di assorbimento nell’infrarosso
dell’etanolo 90% e di alcuni medicamenti dinamizzati. Nella stessa tabella so-
no anche riportati l’intensità di assorbimento dei vari gruppi chimici. I medi-
camenti dinamizzati ed il loro mezzo diluente (etanolo 90%) mostrano delle

30
Questa misura non va confusa con la frequenza di un’onda che equivale invece al numero
di cicli di un’onda che avvengono in un secondo (Hz).
98 CAPITOLO 3

differenze tra loro per quanto riguarda la lunghezza d’onda ed il numero di on-
de per cm-1 delle bande OH e CH.

Numeri di onde/cm e lunghezza d’onda (μm) delle bande di assorbimento nell’IR


Campione Stiramento Piegamento Stiramento Piegamento
O-H O-H C-O C-H
Etanolo (90%) 3350 cm-1 1400 cm-1 1060 cm-1 880 cm-1
2.98μ 7.14 μ 9.43μ 11.36μ
(64.5%) (40.5%) (58%) (41%)
Nux vomica 30 3325 cm-1 1370 cm-1 1040 cm-1 870 cm-1
(90%) (non 3.01μ 7.30μ 9.62μ 11.49μ
succusso) (69.5%) (53%) (71%) (54%)
Nux vomica 30 3350 cm-1 1380 cm-1 1040 cm-1 880 cm-1
(90%) (succus- 2.98μ 7.24μ 9.62μ 11.36μ
so) (81%) (56%) (78%) (63%)

Tab. 5 - Spettri di assorbimento nell’infrarosso di etanolo 90% e Nux vomica 30ch suc-
cussa e non succussa ottenuti con un uno spettrometro IR (Hitachi, modello
260-10). I valori in parentesi indicano le intensità dell’assorbimento (%).

In generale, i legami idrogeno riducono le frequenze di stiramento ed aumen-


tano le frequenze di piegamento (Dyer, 1994). Infatti, un legame a idrogeno
con un altro atomo di ossigeno aumenta la lunghezza del legame covalente O-
H originale, così che la frequenza di stiramento è ridotta (Vemulapalli, 1997).
Spostamenti nelle frequenze dei gruppi chimici possono originare anche
dall’interazione tra molecole di diverso tipo, nella fattispecie acqua ed etanolo.
La frequenza di stiramento O-H dell’etanolo è fortemente dipendente dal grado
di legami idrogeno, che allungano e indeboliscono il legame covalente O-H,
abbassando la frequenza vibrazionale. Spostamenti nelle frequenze dei gruppi
chimici causate da risonanza o effetti inter-molecolari sono molto caratteristici
e utili per scopi diagnostici (Banwell e McCash, 2000).
Gli spostamenti di frequenza della banda OH di medicamenti dinamizzati
confrontati con il loro mezzo diluente riflettono l’esistenza di diversità nei le-
gami idrogeno delle due soluzioni, che teoricamente sono composte dalle stes-
se concentrazioni di molecole di acqua e di etanolo. Ciò suggerisce che, nei
medicamenti dinamizzati, si costituisce un’associazione dinamica tra molecole
di etanolo ed acqua in forma di polimeri tenuti insieme dai legami idrogeno.
La vibrazione di stiramento delle legame C-H rappresenta sia i gruppi metili-
ci (CH3) sia quelli metilenici (CH2) della componente etanolica del composto o
del suo mezzo diluente. Anche la posizione dell’ampiezza della vibrazioni di
BASI FISICHE DEI MEDICAMENTI IN ALTE DILUIZIONI 99

stiramento del gruppo C-H è diversa nel rimedio rispetto a quella dello stesso
gruppo nell’etanolo 90%, indicando un cambiamento del legame idrogeno nel
rimedio anche rispetto a questa posizione della molecola.

Spettroscopia con trasformazione di Fourier (TF)


Un grosso svantaggio degli spettri ottenuti con metodi convenzionali è la loro
lentezza nell’esecuzione. Nel metodo convenzionale, quando si registra uno
spettro, la frequenza viene cambiata poco a poco, attraverso tutta l’ampiezza
delle diverse frequenze o lunghezze d’onda. Lo spettro può contenere uno o
due picchi soltanto e lo spettrometro, quindi, registra solo il rumore di fondo
per la maggior parte del tempo.
Si sa che il rumore di fondo rappresenta una notevole limitazione della sensi-
bilità di qualsiasi tecnica spettroscopica, anche se la media computerizzata di
molti dati riduce in qualche misura il disturbo costituito dal rumore di fondo.
La spettroscopia con trasformazione di Fourier (TF) consente una registra-
zione simultanea e praticamente istantanea di tutto lo spettro nelle regioni delle
microonde e dell’infrarosso, oltre che nella risonanza magnetica. Pertanto, la
combinazione della media computerizzata con la trasformazione di Fourier mi-
gliora notevolmente la qualità degli spettri (Banwell e McClash, 2000).
Quindi, dato che, come si è detto, la spettroscopia all’infrarosso è uno dei
metodi più promettenti per studiare la distribuzione della forza dei legami idro-
geno delle molecole d’acqua in una soluzione idroalcolica, noi abbiamo prova-
to a studiare alcuni spettri di infrarossi con trasformazione di Fourier (IRTF) di
alcune potenze omeopatiche. Per convenzione, le vibrazioni sono classificate in
frequenza decrescente entro il loro tipo simmetrico:
- 1 per la più alta frequenza pienamente simmetrica (3651.7 cm-1) e
- 2 per la frequenza più alta subito successiva (1595.0 cm-1) (Banwell e
McClash, 2000).
Poiché le bande vibrazionali O-H (1 e 3) dell’acqua si sovrappongono alle
bande O-H dell’etanolo, lo spettro IR nella regione dello stiramento del legame
non consente di indagare precisamente i legami idrogeno delle molecole
d’acqua in presenza di etanolo. D’altra parte, nella regione della vibrazione per
piegamento (2) della molecola d’acqua, l’etanolo non ha assorbimento, così
che lo spettro infrarosso della regione del piegamento rivela più specificamente
la forza del legame idrogeno delle molecole d’acqua. La frequenza della banda
2 è inversamente proporzionale alla forza del legame idrogeno delle molecole
d’acqua (Mizuno et al., 1997) e questi Autori hanno osservato degli sposta-
menti delle bande 2 (stiramento dei legami idrogeno) verso la regione della
luce blu, cosa che indica un rafforzamento dei legami idrogeno nell’acqua,
confermando delle osservazioni ottenute anche con gli studi 1H della RMN.
100 CAPITOLO 3

Gli spettri all’infrarosso con trasformazione di Fourier di etanolo 90%, Alco-


holus 30ch ed alcuni medicinali omeopatici dinamizzati sono riportati in Fig.
13, ove si osserva una netta di variazione nel numero delle bande 2, della loro
ampiezza, del numero di onde al cm e dell’intensità dell’assorbimento (in %) in
diversi medicamenti omeopatici dinamizzati. Ciò conferma la variazione dei
legami idrogeno nei rimedi omeopatici.31

31
Recentemente, gli autori di questo testo hanno confermato queste osservazioni in un lavoro
apparso nellalettteratura internazionale referenziata: Sukul NC, Ghosh S, Sukul A,
Sinhababu SP. Variation in fourier transform infrared spectra of some homeopathic
potencies and their diluent media. J Altern Complement Med. 2005 Oct;11(5):807-12. In
breve, spettri nell’infrarosso con trasformazione di Fourier (FTIR) di Nux vomica 30ch,
Lycopodium 30ch, Santonin 30ch, Cina 30ch, Cina 206ch, Cina 1006ch, del loro diluente
etanolo 90% e Alchoholus 30ch sono differenti gli uni dagli altri e dfferenti rispetto al
diluente etanolo 90% per quanto riguarda il numero delle bande 2, della loro lunghezza
d’onda e della forma dello spettro nel range di 2000-1000 cm-1 a 20 gradi C. Gli autori
attribuiscoono le differenze al differente numero di legami idrogeno ed allaloro forza di
legame. Nello stesso lavoro si riferisce che delle pastiglie di bromuro di potassio (KBr)
impregnate con la potenza omeopatica ritengono la capacità di dare degli spettri FTIR
caratteristici.
BASI FISICHE DEI MEDICAMENTI IN ALTE DILUIZIONI 101

Etanolo 90%

Alcoholus 30c
Trasmittanza della luce (%)

Nux vom 30c

Lycopodiun 30c

Frequenza (n. di onde cm-1)

Fig. 13 - Spettri IR con trasformazione di Fourier (IRTF) di etanolo 90%, Alcoholus


30ch, Nux vomica 30ch e Lycopodium 30ch ottenuti con uno spettrometro
IRTF Jasco, modello 420, a 20°C nella regione di numero di onde che vanno
da 2000 a 1000 per cm. Tutte le potenze omeopatiche erano in etanolo 90%. Si
nota una marcata variazione delle bande 2 degli spettri (attorno a 1596 cm-
1
).
102 CAPITOLO 3

3.3. Termoluminescenza

La luminescenza stimolata dal calore, o termoluminescenza, è normalmente


applicata allo studio della struttura dei solidi, soprattutto i cristalli. Il campione
è posto a bassissima temperatura e viene attivato con energia radiante come
UV, raggi X, raggi gamma, ecc., azione che crea degli spostamenti di elettroni
intrappolati a diversi livelli di in energia. Il campione irradiato è successiva-
mente riscaldato ed emette energia luminosa, che può essere di diversi colori e
di diversa quantità e che è evidenziata da differenti picchi, secondo la profondi-
tà dei livelli energetici degli elettroni inizialmente intrappolati.
Usando questa tecnica, Rey (2003) ha dimostrato che il cloruro di litio (Li-
thium muriaticum) 15ch e il cloruro di sodio (Natrum muriaticum) 15ch produ-
cono una termoluminescenza caratteristica della soluzione originale dinamizza-
ta dei rispettivi sali, diversa dal solvente (acqua distillata). Tale effetto è stato
attribuito a cambiamenti specifici nella rete dei legami idrogeno delle altissime
diluizioni di ciascun sale.

3.4. Associazione molecolare e struttura dell’acqua

Si è già detto che le potenze omeopatiche sono preparate in acqua o in una mi-
scela d’acqua ed etanolo. Perciò, al fine di comprendere le basi fisiche di una
potenza omeopatica, conviene approfondire la conoscenza della struttura
dell’acqua e delle miscele idro-etanoliche.
Le proprietà fisiche dell’acqua allo stato liquido non sono completamente co-
nosciute (Bruscolini e Casetti, 2001). Tuttavia, si possono formulare alcune
ipotesi sugli aspetti fisici dell’acqua che potrebbero giustificare la presenza di
informazioni di un medicinale in diluizioni ultra-alte.
L’acqua è composta da un atomo di ossigeno e due atomi di idrogeno;
l’ossigeno ha sei elettroni, due dei quali sono usati nei legami covalenti con
l’idrogeno. Nell’ossigeno esiste un doppietto di elettroni di non legame ed at-
trae degli ioni caricati positivamente, come l’idrogeno, con la possibile forma-
zione di legami idrogeno tra diverse molecole d’acqua. Diversamente
dall’acqua, l’etanolo può formare legami idrogeno solo ad un estremo della
molecola.
Nei risultati dei test in vitro, di cui si è riferito nel capitolo 2, abbiamo notato
che l’acqua pura può servire come efficace mezzo diluente per le potenze
omeopatiche, ma che in presenza di etanolo l’efficacia di queste potenze è più
stabile nel tempo. Perciò, il principale ruolo giocato dall’etanolo è quello di
BASI FISICHE DEI MEDICAMENTI IN ALTE DILUIZIONI 103

stabilizzare la struttura che mantiene le proprietà farmacologiche specifiche,


acquisite durante il processo di dinamizzazione. Le molecole di etanolo sono
anfifiliche, cioè hanno una testa polare e una coda non polare (Fig. 14) ed è
ipotizzabile che la parte non polare possa preservare o promuovere la struttura
dell’acqua specifica di ogni medicinale dinamizzato (Sukul et al., 2002).

Coda non polare

Testa polare

Fig. 14 - Testa polare e coda non-polare di una molecola di etanolo.

Si è già detto che le molecole d’acqua si associano l’una all’altra attraverso i


legami idrogeno nell’acqua pura. La stessa situazione si verifica con l’etanolo e
con la miscela acqua/etanolo, dato che le due diverse specie molecolari posso-
no formare legami idrogeno. In una potenza omeopatica preparata con etanolo
in fase idroalcoolica vi è associazione inter-molecolare sia tra molecole
d’acqua (acqua-acqua), sia tra molecole di etanolo (etanolo-etanolo), sia tra ac-
qua ed etanolo (acqua-etanolo). Questi legami coinvolgono atomi di idrogeno
che sono già legati ad altri atomi. Perciò il processo di formazione del legame
può essere scritto come:

A−H + B  A−H ··· B

dove:
- A è una sostanza con un atomo di idrogeno (H) legato
- B è un’altra sostanza che si lega all’idrogeno di A con dei ponti idrogeno
(···).
I calcoli dei contributi delle diverse energie di interazione dei complessi for-
mati con legami idrogeno suggeriscono che la componente elettrostatica sia di
solito dominante, con un piccolo ma significativo contributo del trasferimento
di carica. Si pensa che i legami idrogeno più forti siano primariamente elettro-
104 CAPITOLO 3

statici, ma che i legami molto deboli abbiano una relativamente ampia compo-
nente di trasferimento di carica (Connors, 1987).
Poiché la componente elettrostatica è la forza dominante nel legame idroge-
no, la succussione o agitazione meccanica potrebbe contribuire all’aumento di
questa forza elettrostatica, rendendo più forte il processo di associazione inter-
molecolare.
Questo è uno dei possibili ruoli giocati dalla succussione o dalla sonicazione
durante il processo di dinamizzazione di un medicinale omeopatico.

3.4.1. Struttura e forze dinamiche dell’acqua allo stato liquido


Nella molecola d’acqua, l’ossigeno condivide un paio di elettroni con ciascun
atomo di idrogeno. Gli orbitali elettronici esterni dell’atomo di ossigeno for-
mano approssimativamente un tetraedro, con un atomo di idrogeno legato co-
valentemente a ciascuno dei due angoli e con due paia di elettroni liberi non
condivisi agli altri due angoli (Fig. 15).

Fig. 15 - Rappresentazione della struttura di una molecola d’acqua con le due paia di
elettroni non condivisi dell’atomo di ossigeno.

Il nucleo dell’ossigeno attrae gli elettroni più fortemente del nucleo


dell’idrogeno. Tale asimmetria genera due dipoli elettrici nella molecola
d’acqua, uno per ciascuno dei due legami O-H. L’atomo di ossigeno porta una
carica parzialmente negativa e ciascun atomo di idrogeno una carica parzial-
mente positiva. Come conseguenza, si genera un’attrazione elettrostatica fra
l’atomo di ossigeno di una molecola d’acqua e un atomo di idrogeno di un’altra
molecola d’acqua, attrazione che viene chiamata legame idrogeno. La disposi-
zione approssimativamente tetraedrica degli orbitali elettronici dell’atomo di
BASI FISICHE DEI MEDICAMENTI IN ALTE DILUIZIONI 105

ossigeno permette a ciascuna molecola d’acqua di formare legami idrogeno


con altre quattro molecole d’acqua vicine. Molecole d’acqua associate da quat-
tro legami idrogeno tendono a raggrupparsi insieme in gruppi più grandi, per
ragioni statistiche ed energetiche. Le catene di legami idrogeno sono coopera-
tive (Dannenberg, 2002):

O−H ··· O−H ··· O−H

Nell’acqua allo stato liquido a temperatura ambiente ed alla pressione atmo-


sferica, le molecole d’acqua sono disorganizzate e in continuo movimento.
Mediante simulazioni al computer è stato possibile caratterizzare e visualizzare
le strutture dell’acqua, le loro proprietà dinamiche e le perturbazioni risultanti
dalla presenza dei soluti. La caratterizzazione sperimentale della struttura dei
liquidi in cui le molecole sono relazionate tra loro con legami idrogeno utilizza
tecniche di diffrazione dei raggi X, dei neutroni e degli elettroni (Ladany e
Skaf, 1993).
La struttura dell’acqua è basata sulle strutture esagonali a forma di barca e di
sedia del ghiaccio che esiste a pressione atmosferica. Tali geometrie possono
complicarsi e ripiegarsi in tre dimensioni, formando una rete icosaedrica basata
sulla disposizione regolare di 14 molecole. Sappiamo che 20 gruppi di tali uni-
tà composte da 14 molecole, per un totale di 280 molecole d’acqua, possono
formare strutture icosaedriche del diametro di 3 nm, che possono anche essere
stirate, con un conseguente aumento di volume (Doyles e Wales, 2001). In
questo caso l’icosaedro risultante è una figura geometrica solida avente 20 fac-
ce. La stabilità della rete è finemente bilanciata, essendo capace di fluttuare tra
una struttura espansa di bassa densità e una più densa, collassata, senza rompe-
re alcun legame idrogeno, ma solo con piccoli cambiamenti della forza del le-
game idrogeno. Quando sono presenti forti legami idrogeno, si forma una strut-
tura espansa con un dodecaedro centrale (Henry, 2002).
Il dodecaedro è una figura solida con 12 facce. Se i legami idrogeno sono tali
che le interazioni non leganti sono più importanti, i clatrati (cluster) formano
una struttura parzialmente collassata, con una cavità cubica. Questi modelli so-
no in accordo con i dati ottenuti con la diffrazione dei raggi X (Narten et al.,
1967). Ci sono molti esempi della formazione dei clatrati dodecaedrici (Sobott
et al., 1999).
Nella rete icosaedrica (con struttura espansa) che abbiamo appena descritto,
vi è un numero enorme di possibili disposizioni delle molecole d’acqua con-
sentite dai legami idrogeno, numero calcolato nell’ordine di 2130 x 712. Questo
è in accordo con il minimo fattore entropico atteso sulla base delle possibili va-
riazioni strutturali di ciascuna molecola (Eisenberg e Kauzman, 1969).
106 CAPITOLO 3

Allo stato liquido, circa il 50% delle molecole d’acqua sono impegnate in 4
legami idrogeno, 30% in 3 legami e frazioni più piccole partecipano a 1, 2 e 5
legami (Ladany e Skaf, 1993). I legami idrogeno sono più deboli di quelli co-
valenti: l’energia richiesta per rompere un legame idrogeno nell’acqua liquida
è circa 20 KJ/mol, rispetto ai 348 KJ/mol del legame covalente C-C.
A temperatura ambiente, l’energia termica di una soluzione acquosa (cioè
l’energia cinetica del movimento di tutti gli atomi e delle molecole) è dello
stesso ordine di grandezza di quella necessaria per rompere i legami idrogeno
(Nelson e Cox, 2000). È difficile stabilire il tempo di durata del legame idroge-
no (τHB), perché le molecole sono soggette a velocissimi movimenti vibrazio-
nali che possono far apparire un legame rotto, quando invece il legame è solo
distorto dal suo equilibrio geometrico. A temperatura ambiente, il tempo di du-
rata di un legame idrogeno (τHB) è stato stimato attorno a 0.8 picosecondi (La-
dany e Skaf, 1993, e bibliografia ivi riportata). I legami idrogeno si rompono e
si riformano continuamente. La forza di questo legame dipende
dall’orientamento e dalla posizione degli altri atomi legati e non legati. Vi è un
influenza reciproca tra i legami covalenti ed i legami idrogeno: quanto più forte
è il legame OּּH, tanto più debole è il legame covalente O–H. L’indebolimento
del legame covalente rappresenta un buon indicatore dell’energia del legame
idrogeno (Grabowski, 2001). Ogni legame idrogeno formato aumenta coopera-
tivamente la capacità delle altre molecole di formare altri legami idrogeno. La
rete è praticamente completa alle comuni temperature ambientali, quando quasi
tutte le molecole sono collegate per almeno un legame. I legami che si rompo-
no probabilmente si riformano preferenzialmente nella stessa posizione (Ti-
khonov e Volkov, 2002). La dissociazione completa del cluster è un evento ra-
ro che avviene solo una volta ogni 1016 volte che si rompe il legame idrogeno,
in tempi dell’ordine di una volta ogni 24 ore. Perciò i cluster possono persistere
per tempi molto più lunghi (Higo et al., 2001).
La struttura basata sui legami idrogeno trasporta a notevole distanza informa-
zioni riguardo ai soluti ed alle superfici con cui le molecole d’acqua sono in
contatto. L’effetto è sinergico, direzionale ed espansivo. Inoltre, l’effetto di tra-
sporto informazionale è rinforzato da effetti di polarizzazione e dal trasferi-
mento inter-molecolare risonante dell’energia vibrazionale O–H, mediato dalle
interazioni dipolo-dipolo e dai legami idrogeno (Woutersen e Bakker, 1999).
Poi, il riorientamento di una molecola induce corrispondenti movimenti nelle
molecole vicine.
Le relative proporzioni dei differenti polimeri d’acqua sono in equilibrio di-
namico con le specifiche configurazioni geometriche: si ritiene che tale confi-
gurazione geometrica dinamica dei cluster d’acqua conferisca in modo collet-
tivo la specificità ad un medicinale omeopatico. Quando in soluzione è presen-
te l’etanolo, il tempo di riassociazione del legame idrogeno non dipende dalla
BASI FISICHE DEI MEDICAMENTI IN ALTE DILUIZIONI 107

sua concentrazione, indicando che in soluzione le sequenze di dissociazione e


di associazione avvengono tra gli stessi gruppi OּּH (Bonn et al., 1996, e biblio-
grafia ivi riportata).
Molte delle speciali proprietà dell’acqua sono dovute all’esistenza di ioni
idrossido (OH-) e idronio (H3O+), sempre presenti in piccole quantità
nell’acqua pura. Essi possono associarsi con le molecole d’acqua formando
cluster OH-(H2O)n e H3O+(H2O)n di varia grandezza secondo il grado di solva-
tazione (Wood et al., 1994).
I cluster d’acqua sono di due tipi:
- cluster “pieni” (“bulk clusters”), che sono in contatto con un sito occupato da
acqua,
- cluster “a guscio” (“shell cluster”), che sono in contatto con un sito occupato
da un monomero di un’altra molecola.
Si è visto che m molecole d’acqua appartenenti ad un dato cluster possono
formare un massimo di 3m/2 legami idrogeno (Bruscolini et al., 2001).
Nell’acqua, le strutture cicliche più stabili sono i trimeri, i tetrameri ed i pen-
tameri. Per l’esamero, si è visto che una struttura concava non ciclica è la più
stabile. Per l’ottamero e per i cluster più grandi sono preferite le strutture tri-
dimensionali (Gregory e Clary, 1996, e bibliografia ivi riportata). Molti espe-
rimenti hanno dimostrato che un cluster (H2O)2H+ si comporta come un cluster
“magico”, nel senso che è più stabile dei cluster vicini in varie condizioni spe-
rimentali. Cluster neutrali di acqua della grandezza di 20 molecole e più sono
del tipo dei cluster pieni con molecole coordinate di 4 in 4 (quattro volte coor-
dinate); i clatrati o le strutture tre volte coordinate come i fullereni sono le più
alte di energia (Laasonen e Klein, 1994).

3.4.2. Fenomeni di trasporto nell’acqua


Nell’acqua liquida avvengono due classi di fenomeni di trasporto di energia e
di informazioni:
- l’ordinaria diffusione di massa,
- la particolare mobilità dei protoni.
La mobilità di protoni è un processo cruciale in molte aree della chimica e
della biologia. Rispetto a tutte le altre specie elettrolitiche, le mobilità tipiche
dei protoni appaiono estremamente veloci, indicando che la normale diffusione
degli ioni gioca solo un ruolo secondario. Infatti, la migrazione di cariche è
guidata da successivi salti di protoni da un atomo di ossigeno a quello della
molecola vicina (Tuckerman et al., 1995, e bibliografia ivi riportata). La mobi-
lità protonica ha luogo sulla stessa scala temporale del riorientamento delle
molecole d’acqua, mentre la diffusione è più lenta e mostra una maggiore di-
pendenza dalla temperatura. Questi fenomeni corrispondono agli spostamenti
108 CAPITOLO 3

di molecole d’acqua attraverso gli spazi tetraedrici lasciati vuoti dagli sposta-
menti delle altre molecole, lungo distanze di circa 3.3 Angstrom.
Le dinamiche dell’acqua mostrano numerosi comportamenti cooperativi, ap-
parentemente casuali o, meglio, caotici, che sono difficili da determinare esat-
tamente. Tuttavia, all’interno di queste complesse dinamiche si possono identi-
ficare dei movimenti semplici che sono funzionalmente importanti, come i rio-
rientamenti delle molecole, i salti di protoni e gli spostamenti negli spazi te-
traedrici, che consentono le suddette proprietà di trasporto dell’acqua (Agmon,
1996).
Usando tecniche spettroscopiche, si è dimostrato che la carica defettiva in ac-
qua è localizzata nella forma di semplici ioni acquosi a lunga emivita e cioè la
molecola approssimativamente simmetrica e planare H3O+ (catione idronio) e
quella lineare OH- (anione idrossido). Questi sono gli ioni capaci di trasportare
le cariche nel mezzo acquoso. Pertanto, il passaggio che limita la velocità del
trasporto di protoni nel liquido potrebbe essere non tanto il salto del protone da
una molecola all’altra attraverso i legami idrogeno, quanto la continua forma-
zione e rottura di legami idrogeno nel guscio di solvatazione formato dalle mo-
lecole d’acqua attorno a detti ioni. Questa è la base del modello della “diffu-
sione strutturale”, che è stato sviluppato in dettaglio per lo ione H3O+. In ac-
cordo con l’originale descrizione di Grotthus (salti di protoni da un atomo di
ossigeno a quello vicino), sarebbe questa struttura di solvatazione a migrare
lungo le catene di ioni idronio e idrossido delle molecole d’acqua e non le par-
ticelle stesse (Tuckerman et al., 1995, e bibliografia ivi riportata).

3.4.3. Azione di una potenza omeopatica


Alla luce di quanto detto, si può formulare l’ipotesi per cui lo schema di diffu-
sione strutturale (formazione e rottura di legami idrogeno) sia specifico per
ogni particolare rimedio omeopatico dinamizzato. Le membrane biologiche so-
no immerse in un film continuo di molecole d’acqua. Al momento in cui un
rimedio dinamizzato è introdotto in tale mezzo acquoso, lo schema di diffusio-
ne strutturale è modificato, o meglio “resettato”, seguendo l’intrinseca struttura
di quella particolare potenza omeopatica. Poiché il film acquoso aderisce alle
proteine ed alle molecole oligosaccaridiche delle membrane cellulari, lo sche-
ma strutturale è stabilizzato, finché non si aggiunga una nuova struttura di dif-
fusione. Tale riassetto dello schema strutturale innesca una cascata di reazioni
biochimiche sulla membrana e di qui all’interno della cellula esposta.
BASI FISICHE DEI MEDICAMENTI IN ALTE DILUIZIONI 109

3.4.4. Struttura dell’acqua in presenza di soluti


Abbiamo già notato che le potenze omeopatiche sono prodotte a partire dalla
tintura madre di una sostanza medicinale. La tintura madre (TM) può contenere
un singolo componente (come ad esempio cloruro di sodio) o una miscela di
molte diverse componenti (come nel caso di una pianta medicinale tipo Nux
vomica TM). Durante il processo di dinamizzazione, la tintura madre è diluita
col solvente (acqua oppure etanolo in fase idroalcoolica) in passaggi successivi
accompagnati da succussioni. Durante questo processo, le molecole originali
del principio attivo sono progressivamente disperse fino ad un certo punto, ap-
prossimativamente attorno alla dodicesima potenza, in cui teoricamente non
rimane alcuna molecola della sostanza di partenza. Da quel punto in poi, il me-
dicinale dinamizzato consisterà solo di molecole del mezzo diluente, che si as-
sume siano specificamente strutturate dalla sostanza inizialmente sciolta e
mantengano la struttura specifica nei successivi passaggi di diluizione e dina-
mizzazione. La struttura specifica, probabilmente basata sui legami idrogeno, è
conservata in diverse condizioni, persino quando il medicinale è diluito con
acqua di rubinetto. Di fatto, nella pratica omeopatica, le potenze medicinali so-
no spesso miscelate con acqua corrente e in questo modo vengono poi sommi-
nistrate ai pazienti o ad animali di esperimento mantenendo inalterata la loro
efficacia.
Esaminiamo ora più in dettaglio cosa avviene quando un soluto è aggiunto ad
un mezzo diluente come l’acqua.
L’acqua tende ad idratare molti soluti, cioè si lega ad essi in modo sufficien-
temente forte da divenire come parte della stessa sostanza. Il numero di mole-
cole di acqua che si legano ad un soluto è detto numero di idratazione. Esso
varia per le diverse sostanze: ad esempio, i numeri di idratazione di alcune co-
muni sostanze sono:
- glicerolo = 2.0 ± 5
- Na+ = 3.9 ± 0.5
- saccarosio = 5.0 ± 0.5
- Ca2+ = 12.0 ± 2
- Fe3+ = 18.0 ± 2
- Al3+ = 22.0 ± 2.

Le molecole d’acqua formano un guscio di idratazione attorno alle molecole


del soluto. Quando le molecole del soluto attraggono molte molecole d’acqua,
come nel caso di Al3+, esse si dispongono in più strati. La diffrazione dei raggi
X ha dimostrato che attorno ad Al3+ è presente un secondo guscio di idratazio-
ne molto ordinato (Zavitsas, 2001).
110 CAPITOLO 3

Sia l’acqua, sia l’etanolo sono solventi polari con cui gli ioni interagiscono
fortemente causando notevoli modificazioni della struttura locale e delle dina-
miche delle molecole circostanti. Le simulazioni indicano che la rete dei lega-
mi idrogeno dell’acqua è perturbata in vicinanza di cationi monovalenti. In par-
ticolare, il numero di legami idrogeno per molecola di solvente in vicinanza
degli ioni Na+ è significativamente più piccolo che nel solvente puro (Ladany e
Skaf, 1993). Secondo i modelli di Frank e Wen (1957) e di Bokris e Saluja
(1972), citati da Dutta (1997), attorno agli ioni si formano due strati di moleco-
le d’acqua, coordinate con lo ione e tra loro:
- lo strato più vicino è formato da molecole d’acqua coordinate di solvatazione
(SCW)32: esse sono come “congelate” nella forma del guscio di solvatazio-
ne attorno allo ione e si muovono insieme ad esso durante i suoi movimenti
attraverso la soluzione;
- altre molecole d’acqua sono coordinate ma non partecipano alla solvatazione
(NSCW)33: queste ultime, benché presenti in vicinanza dello ione e con esso
coordinate, non sono legate rigidamente e non vengono trascinate nei mo-
vimenti dello ione.

Durante le successive diluizioni, la soluzione è progressivamente deprivata


degli ioni e delle loro molecole di solvatazione (SCW), mentre la proporzione
delle molecole NSCW aumenta. Secondo questo modello, nei medicinali di-
namizzati sarebbe la struttura delle molecole NSCW, tenute insieme da legami
idrogeno, a trattenere una sorta di specificità strutturale delle molecole originali
del soluto.
Simulazioni al computer mostrano che il tempo di permanenza delle moleco-
le d’acqua nel guscio interno di solvatazione è molto maggiore per i piccoli io-
ni alcalini (litio, sodio: Li+, Na+) rispetto a quelli di maggiori dimensioni.
Le misurazioni dei movimenti di ioni e molecole in soluzione hanno dimo-
strato che nel caso di sostanze di notevoli dimensioni molecolari
l’accoppiamento del primo guscio di solvatazione con il solvente circostante
limita i movimenti di orientamento e di rilassamento delle molecole del soluto
(Ladany e Skaf, 1993).
I soluti non polari sono scarsamente solubili in acqua, perché le loro intera-
zioni con le molecole d’acqua sono molto più deboli delle interazioni tra le
stesse molecole d’acqua. Gli esperimenti mostrano che, in vicinanza dei soluti
non polari, le molecole d’acqua divengono più strutturate e meno mobili. Ad
esempio, l’entropia di solvatazione di queste specie è alta e di segno negativo;
le misure RMN e dielettriche mostrano una diminuzione di mobilità dell’acqua

32
SCW: Salvational Coordinated molecules of Water.
33
NSCW: Non-Solvational Coordinated molecules of Water.
BASI FISICHE DEI MEDICAMENTI IN ALTE DILUIZIONI 111

in prossimità di soluti apolari. I legami idrogeno in vicinanza di questo tipo di


molecole sono più forti che nell’acqua pura ed hanno una maggiore durata. Es-
si sono disposti prevalentemente secondo la tangente alla superficie dei soluti
apolari, formando strutture simili a clatrati, che si riassettano sulla scala tempo-
rale di pochi picosecondi a temperatura ambiente.
Gli ioni con alta densità di carica e le specie apolari rappresentano i due
estremi della solvatazione acquosa. Per altri tipi di soluti le differenze tra
l’acqua libera ed i gusci di solvatazione sono meno pronunciate (Ladany e
Skaf, 1996, e bibliografia ivi riportata). I soluti con piccolo diametro sono più
facili accettori di legami idrogeno rispetto a quelli di ampio diametro. Vi sono
evidenze che anche la formazione di legami idrogeno tra il soluto ed il solvente
influisce sulle specifiche caratteristiche della solvatazione (Ladany e Skaf,
1996, e bibliografia ivi riportata).
Quando nell’acqua sono presenti surfattanti non ionici, il comportamento del-
la struttura del liquido dipende dalle concentrazioni della sostanza sciolta, deli-
neando tre possibili fasi:
- nelle basse concentrazioni si ha la fase micellare (formazione di micelle),
senza che ciò porti significativi cambiamenti nella struttura dell’acqua;
- con maggiori concentrazioni sia ha la fase lamellare, che causa una rapida
distruzione della rete dei legami idrogeno tetraedrici, poiché l’acqua è confina-
ta tra le superfici idrofiliche delle lamelle;
- aumentando ulteriormente le concentrazioni, l’acqua dimostra nuovamente
la sua tendenza a formare cluster di molecole in forma tetraedrica, anche se in
quantità molto piccola rispetto all’acqua pura.
I risultati sperimentali con le soluzioni di surfattante sono state ottenute me-
diante la spettroscopia Raman (Marinov et al., 2001).

3.4.5. Triturazione e nanoparticelle


Come si è detto in precedenza (capitolo 1, paragrafo 1.4), nella prima fase della
preparazione omeopatica i solidi secchi e le sostanze insolubili in acqua sono
inizialmente triturati al fine di rendere disponibili i principi attivi. Si stima che,
per mezzo dello sminuzzamento ripetuto nel mortaio con la polvere di lattosio,
le sostanze siano ridotte allo stato di nanoparticelle (10-9 m). Le nanoparticelle
assumono una speciale importanza, perché rendono attive biologicamente delle
sostanze che altrimenti non lo sarebbero. Nella seconda edizione del suo libro
Malattie Croniche, Hahnemann raccomandò che tutte le sostanze medicinali,
come i succhi vegetali, i minerali, i metalli, i sali, le bacche, fossero preparati
con la triturazione fino alla terza diluizione e solo dalla quarta in poi venissero
preparate per diluizione in etanolo in fase idroalcoolica seguita dalla succus-
sione. È plausibile che, quando le potenze omeopatiche sono prodotte a partire
112 CAPITOLO 3

dalla terza triturazione, le nanoparticelle inducano particolari strutture


dell’acqua.
È stato recentemente scoperto che delle nanoparticelle con specifiche struttu-
re compaiono negli organi di pazienti affetti da varie malattie. Nanoparticelle
sferiche sono state isolate dal fluido cerebrospinale di pazienti con schizofre-
nia. Non è chiaro se tali particelle siano responsabili dello sviluppo della schi-
zofrenia o siano il risultato del processo patologico che avviene nel cervello dei
pazienti (Wetterberg et al., 2002).
Microparticelle e nanoparticelle sono state trovate in fegato e reni colpiti da
granulomi da causa ignota; si tratta di particelle inorganiche di varia composi-
zione chimica, di dimensioni relativamente grandi. È stata coniata una nuova
parola, “nano-patologia”, per indicare le malattie in cui si presenta questo fe-
nomeno (Gatti e Rivasi, 2002). Si potrebbe formulare l’ipotesi che, durante il
proving omeopatico, una sostanza possa indurre la formazione di nanoparticel-
le, le quali a loro volta potrebbero causare lo sviluppo di sintomi di una certa
malattia. Una potenza preparata con quella sostanza potrebbe migliorare o cu-
rare quella malattia che mostra sintomi simili.
Poiché per preparare i nosodi si usano tessuti patologici, si può pensare che le
nanoparticelle di quei tessuti, quando dinamizzate, producano l’effetto opposto
di curare una malattia. Secondo questa veduta, l’isolamento di nanoparticelle
dai tessuti malati potrebbe aiutare a produrre nosodi più puri e più efficaci.
Comunque, da quanto si è detto, il modello che proponiamo prevede che di-
versi soluti producano diverse strutture nell’acqua. Nel caso di potenze prodot-
te da un singolo elemento come ad esempio Ferrum metallicum, Phosphorus,
Argentum metallicum, Bromium, ecc., è probabile che il medicinale contenga
una singola specie di struttura dell’acqua, con uno specifico intreccio di legami
idrogeno e con una specifica forza dei legami stessi. Tale struttura dell’acqua
dipenderebbe primariamente dal diametro dell’atomo di partenza e dalla sua
carica.
Potenze preparate con una miscela di diversi composti dovrebbero consistere
di una miscela di diverse specie di strutture dell’acqua. In caso di nosodi prepa-
rati da proteine, lipidi, tessuti macerati, ecc. ci sarebbe una grande quantità di
specie di strutture, con differenti reti e conformazioni.
Pertanto, un medicinale dinamizzato, derivato da un singolo elemento, da un
singolo composto o da una miscela di diversi composti, consisterebbe in una
rete di strutture in forma di cluster di molecole d’acqua, legate con legami
idrogeno, con una configurazione geometrica specifica rispetto alla sostanza di
partenza. La specificità di tale configurazione sarebbe mantenuta anche se il
rimedio dinamizzato è diluito con acqua distillata o acqua corrente.
BASI FISICHE DEI MEDICAMENTI IN ALTE DILUIZIONI 113

3.4.6. Etanolo in fase idroalcoolica come solvente


Le potenze omeopatiche disponibili sul mercato in forma liquida hanno una no-
tevole percentuale di etanolo in soluzione (in genere 80-91%).
Si ritiene che l’etanolo, che ha un’ampia porzione non polare della molecola,
stabilizzi le strutture e le preservi nel tempo. Abbiamo già detto che una com-
pleta dissociazione della rete di legami idrogeno avviene con un tempo
dell’ordine di una giornata. Pertanto, la specificità dello schema dei legami
idrogeno di un determinato medicinale in acqua pura dovrebbe degenerare
completamente in pochi giorni. Abbiamo già detto nel capitolo 2 (paragrafo
4.1) che Mercurius corrosivus 30ch preparato in acqua pura e stoccato per cir-
ca un anno era incapace di alterare l’attività dell’α-amilasi in vitro. Nella mi-
scela idro-etanolica, invece, le componenti dovrebbero preservare in qualche
modo lo schema dei legami idrogeno (Skaf e Ladanyi, 1995). Gli alcoli che
hanno un solo gruppo idrossilico sono caratterizzati da schemi di legami idro-
geno con una disposizione prevalentemente lineare, in forma di catena. Questo
schema è molto diverso dalla rete tridimensionale dell’acqua.
Le proprietà dell’etanolo liquido, sia strutturali sia dinamiche, sono fortemen-
te influenzate dai legami idrogeno inter-molecolari e la sua struttura è dominata
da catene sinuose fatte da un grande numero di molecole (Saiz et al., 1997). I
dati della diffrazione dei raggi X e della luce di Rayleigh indicano la formazio-
ne di complessi per associazione di molecole di etanolo idratate e non idratate.
Infatti, gli alcoli, come tutte le altre ben conosciute sostanze anfifiliche, forma-
no molti tipi di raggruppamenti o di strutture estese (Kuprin et al., 1995, e cita-
zione ivi riportate).

Sommario

Le potenze omeopatiche oltre la dodicesima centesimale (12ch) superano il


numero di Avogadro e pertanto non contengono alcuna molecola di soluto, ma
solo le molecole del solvente, cioè acqua ed etanolo. Tuttavia, gli studi RMN
mostrano che i medicamenti dinamizzati differiscono l’uno dall’altro ed anche
rispetto all’etanolo 90%, per ciò che concerne il tempo di rilassamento spin-
lattice (T1) e lo spostamento chimico del picco dei nuclei di deuterio.
La spettroscopia infrarosso (IR) dei medicamenti dinamizzati mostra delle
variazioni nelle frequenze vibrazionali delle bande O-H, C-O e C-H. Gli spettri
all’infrarosso con trasformazione di Fourier (FITR) mostrano notevoli varia-
zioni della vibrazione oscillatoria del legame O-H (banda 2). Tutti questi ri-
114 CAPITOLO 3

sultati sono indicativi sia dell’esistenza nelle potenze omeopatiche di particola-


ri strutture di legami idrogeno, sia della forza di questi stessi legami.
L’ipotesi emergenteè che in una potenza omeopatica diluita in etanolo ed ac-
qua ci sia una specifica associazione intra- e inter-molecolare tra l’acqua e
l’etanolo, ottenuta grazie ai legami idrogeno. Poiché la componente elettrosta-
tica è la forza dominante, si pensa che la succussione o qualsiasi agitazione
meccanica possa rafforzare i legami idrogeno. Le relative proporzioni dei diffe-
renti polimeri d’acqua sono in un equilibrio dinamico, sempre però con una
configurazione geometrica specifica. Questa configurazione geometrica dina-
mica dei cluster d’acqua conferisce in modo collettivo e cooperativo una speci-
ficità alle proprietà farmacologiche della potenza omeopatica. Una dissociazio-
ne e ri-associazione dei legami idrogeno avviene fra gli stessi gruppi O···H,
con uno schema specifico per ogni particolare rimedio dinamizzato.
L’acqua tende ad idratare le particelle del soluto in modo tale che le molecole
di solvatazione coordinate (SCW) siano strettamente associate alle particelle di
soluto ed ai loro movimenti in soluzione. Le molecole d’acqua coordinate che
non partecipano alla solvatazione (NSCW), non essendo rigidamente legate,
sono lasciate indietro rispetto ai movimenti in soluzione.
Si potrebbe quindi pensare che durante le successive diluizioni le particelle di
soluto e le loro molecole SCW siano progressivamente depletate, mentre le
molecole di NSCW aumentino di numero. Sarebbero queste ultime, che con-
servano la loro struttura mediante la rete dei legami idrogeno, a rappresentare
una sorta di specificità strutturale delle molecole del soluto iniziali e quindi ad
essere responsabili degli effetti biologici.
Sappiamo che per preparare un medicamento omeopatico, i solidi insolubili
in acqua sono dinamizzati inizialmente mediante triturazione. Tale processo
rompe finemente le sostanze fino allo stato di nanoparticelle, che sarebbero di
particolare importanza per la loro specifica attività biologica. Le nanoparticelle
sono presenti nei tessuti patologici da cui sono preparati i nosodi. Pertanto, la
triturazione e la produzione di nanoparticelle costituirebbe la base per
l’espressione di proprietà medicinali altrimenti latenti.
Infine, abbiamo anche proposto che l’etanolo, caratterizzato da una larga
componente non polare, sia in grado di stabilizzare le strutture specifiche
dell’acqua ottenute durante la dinamizzazione di un rimedio.
116 CAPITOLO 4

Capitolo 4

ASPETTI DEL MECCANISMO D’AZIONE


DEI MEDICAMENTI DINAMIZZATI

Prima di descrivere i dettagli del meccanismo d’azione delle potenze omeopa-


tiche nei sistemi viventi, presentiamo alcuni problemi legati alle basi scientifi-
che dell’omeopatia come sistema medico e terapeutico. I principali punti sono
la lateralità dei sintomi, le modalità temporali, il principio del simile, i sistemi
non lineari, i miasmi, i policresti e la sua visione olistica.

4.1. La lateralità dei sintomi e l’omeopatia

L’omeopatia ha sempre riconosciuto l’importanza della lateralità dei sintomi


per la scelta del giusto rimedio. La medicina normalmente non presta molta at-
tenzione al fatto che le eruzioni cutanee o i dolori artritici e muscolari siano lo-
calizzati sul lato destro o sinistro del corpo. D’altra parte, ci sono molti medi-
cinali omeopatici che sono più efficaci sul lato destro che sul sinistro o vice-
versa. Questo aspetto viene contemplato tra le modalità di localizzazione dei
sintomi. Ad esempio, Kali carbonicum, Lycopodium, Apis mellifica, Belladon-
na, Causticum, Mercurius solubilis, Naja, ecc., sono in generale rimedi con
preferenza per il lato destro del corpo. Lachesis, Spigelia, Sulphur, Argentum
nitricum, Graphites, Psorinum, Rhus toxicodendron, ecc., sono di solito dei
rimedi indicati per le malattie con sintomi prevalenti sul lato sinistro del corpo.
In qualche caso, poi, i sintomi migrano dal lato sinistro a quello destro (Lache-
sis) o dal lato destro verso il sinistro (Lycopodium). Spesso, infatti, i pazienti si
domandano perché il loro omeopata si interessi tanto della lateralità dei sinto-
mi.
Possiamo chiederci se la lateralità dei sintomi abbia realmente qualche base
biologica. È vero che il corpo umano, come quello della maggior parte degli
animali, è simmetrico, per quanto vi siano alcune ovvie differenze negli organi
interni: il fegato è localizzato sul lato destro, lo stomaco e la milza su quello
sinistro. Il cervello umano, però, benché simmetrico bilateralmente dal punto di
vista anatomico, mostra una notevole asimmetria nelle funzioni. Circa il 95%
delle persone hanno prevalenza della mano destra ed in queste persone
MECCANISMO D’AZIONE DEI MEDICAMENTI DINAMIZZATI 117

l’emisfero cerebrale sinistro gioca un ruolo predominante nella parola e nelle


funzioni associative. Circa il 60% delle persone mancine hanno la rappresenta-
zione della parola sul lato sinistro, il 20% sul destro e il 20% bilateralmente
(Bannister, 1992). Bothrops, Zincum metallicum ed altri sono dei rimedi omeo-
patici indicati per il trattamento dell’afasia, un disordine dell’espressione ver-
bale e della scrittura. L’afasia può insorgere specialmente per ictus cerebrale o
per trauma cranico, particolarmente sul lato sinistro.
Il trattamento dei pazienti con ictus cerebrale mediante gli anti-depressivi, un
gruppo di farmaci che agisce inibendo la ricaptazione della serotonina, ha mo-
strato delle differenze di efficacia secondo la lateralità: il disordine depressivo
dopo un insulto cerebrale vascolare migliora molto di più nei soggetti che han-
no avuto la lesione nel lato destro (Spalletta et al., 2003). Sappiamo anche che
nel caso di un danno cerebrale monolaterale dovuto a ictus o a parkinsonismo,
l’emisfero intatto ha un importante ruolo nel favorire la guarigione e la com-
pensazione delle funzioni motorie perdute (Schallert et al., 2003).
Una potenza omeopatica ben scelta può facilitare la guarigione agendo
sull’emisfero sano. È stato dimostrato che il cervello può modulare le risposte
neurochimiche, neuroendocrine ed immunitarie verso i lipopolisaccaridi in
modo asimmetrico. Tale asimmetria potrebbe essere mediata dal sistema ner-
voso simpatico, visto che la regolazione catecolaminergica della risposta im-
munitaria ha una spiccata lateralità (Dong et al., 2002 e bibliografia ivi riporta-
ta).
La neocorteccia sinistra e quella destra del cervello esercitano degli effetti
asimmetrici sul sistema immunitario. Si è visto, in uno studio sperimentale sui
ratti, che l’influenza dell’ischemia unilaterale del sistema nervoso centrale si
ripercuote sul numero e sulla funzione delle cellule della milza. L’ischemia ce-
rebrale induce la mobilitazione di cellule del sistema immunitario dalla perife-
ria verso il cervello, dove esse possono contribuire alla risposta infiammatoria
locale. D’altra parte, è noto che l’ischemia cerebrale è seguita da un’attivazione
sistemica dei linfociti T e B (Gendron et al., 2002). Un paziente con lesione
ischemica nel talamo di sinistra ha mostrato delle scariche elettroencefalografi-
che su entrambi gli emisferi, simili a quelle che si registrano in corso di piccolo
male epilettico (Inghilleri et al., 2002).
Nel pollo, la formazione delle memorie associative a seguito dei test di di-
scriminazione è di tre tipi: a breve termine, intermedia ed a lungo termine. In
questo animale, la capacità di evocare la memoria acquisita mostra dei cicli con
una periodicità che differisce tra l’emisfero sinistro e destro; la memoria legata
all’emisfero sinistro è quella più implicata per lo svolgimento dei test di abilità
e quei processi che sono coinvolti nel suo consolidamento generano le fasi del-
la memoria (Gibbs et al., 2003).
118 CAPITOLO 4

Durante lo sviluppo della rana Xenopus, il proteoglicano trans-membrana


sindecano-2 regola lo sviluppo dell’asimmetria destro-sinistra nel mesoderma
migrante e questo è un fenomeno legato all’asimmetrica espressione genica ed
all’orientamento del cuore e dell’intestino. La proteina chinasi C-gamma media
la fosforilazione della porzione citoplasmatica del sindecano-2 nelle cellule ec-
todermiche dell’animale a destra, ma non a sinistra (Kramer et al., 2002).
Cameron e Minoshima (2002) hanno dimostrato che vi sono specifiche re-
gioni cerebrali e lateralità emisferiche delle funzioni che sono associate a ri-
sposte viscerali. È quindi possibile che alcuni medicamenti dinamizzati attivino
in modo differenziale e specifico le regioni del cervello dei due emisferi e
quindi producano azioni specifiche sulla parte sinistra o destra del corpo. Il
corno dorsale del midollo spinale, attraverso il quale gli impulsi nervosi si
muovono per le vie ascendenti e discendenti, potrebbe giocare un importante
ruolo in tale processo. Ciò sarà trattato ulteriormente nella sezione 4.4.

4.2. Le modalità temporali e l’omeopatia

Diversamente dalla Medicina Convenzionale, l’omeopatia attribuisce la mas-


sima importanza alle modalità temporali della comparsa dei sintomi di una ma-
lattia, allo scopo di individuare il rimedio appropriato. Già Kent (1877), nel suo
libro Repertorio della Materia Medica Omeopatica, fornisce numerosi esempi
di aggravamento o di miglioramento dei sintomi in relazione al tempo. Ad
esempio, Lycopodium mostra un aggravamento dei sintomi tra le ore 16 e 20,
Arsenicum album verso mezzogiorno o mezzanotte, Rhus toxicodendron verso
le ore 19-20, Kali carbonicum la mattina presto e così via.
Anche qui dobbiamo allora chiederci se c’è qualche base scientifica per tali
modalità temporali dei sintomi. La risposta può essere trovata considerando
che quasi tutti gli organismi, compreso quello umano, hanno un “orologio in-
terno” che scandisce i ritmi biologici. Il ritmo circadiano è disturbato in molte
condizioni di malattia. La sindrome del sonno ritardato, che implica un ritardo
nel coricarsi e nello svegliarsi, è tra queste. Essa può essere corretta dalla cro-
noterapia, che è studiata per avere degli effetti di allenamento e di adattamento
sul sistema circadiano. Anche il trattamento con melatonina ha effetti positivi
(Quera Salva et al., 2001). La melatonina è sintetizzata dalle cellule parenchi-
mali della ghiandola pineale ed è secreta nel sangue e nel liquido cefalorachi-
diano. Ci sono variazioni diurne nella secrezione di melatonina che influenzano
i ritmi circadiani attraverso i recettori del nucleo soprachiasmatico (Sharma et
al., 1999, e bibliografia ivi citata). Alcuni medicamenti omeopatici potrebbero
MECCANISMO D’AZIONE DEI MEDICAMENTI DINAMIZZATI 119

agire sul mesencefalo influenzando la secrezione di melatonina ed i ritmi cir-


cadiani, con effetti benefici sui disturbi del paziente.
Esistono ritmi circadiani nella gravità dell’asma bronchiale e si è anche visto
che l’efficacia di un farmaco broncodilatatore cambia secondo tali ritmi
(Lahdensuo e Alanko, 1976). Anche la concentrazione dell’ormone tireostimo-
lante (TSH), secreto dall’ipofisi anteriore, segue un ritmo circadiano (Lattanzi
et al., 1979). Il sotalolo, un farmaco beta-bloccante, cioè antagonista dei recet-
tori beta-adrenergici, può modificare la comparsa dei battiti ventricolari prema-
turi, caratteristici di alcune aritmie ventricolari, soprattutto durante la mattina
(Maia et al., 1994).
In sintesi, è interessante notare che la cronobiologia è stata effettivamente in-
corporata nelle strategie di scelta del medicamento sia nella medicina tradizio-
nale sia nelle terapie con i rimedi omeopatici in alte diluizioni.

4.3. Il principio del simile e l’omeopatia

Il meccanismo d’azione delle potenze omeopatiche implica due aspetti di base:


1 - il principio del simile, o della similitudine,
2 - l’azione dei medicamenti in diluizioni ultra-alte.
Questo libro verte sul secondo dei due aspetti, ma è opportuno fare qualche
cenno anche al primo principio basilare.
Il fatto che si possano ottenere effetti terapeutici somministrando piccole dosi
di sostanze che, di per sé, sarebbero tossiche o comunque patogene è accettato
in alcune aree della medicina convenzionale e della ricerca scientifica (Sch-
wartz et al., 2000). Alcune evidenze sperimentali a sostegno della validità del
principio del simile sono state anticipate nel capitolo 2 (sezione 4).
Ci sono modelli matematici che pongono il fenomeno della similitudine tra
gli aspetti generali del principio di azione-reazione, nell’ambito della teoria dei
sistemi dinamici (Bellavite et al., 1999; Bellavite, 2003). Un esempio speri-
mentale di similitudine è dato da Nux vomica che aumenta la variabilità del
tracciato elettroencefalografico (EEG) di ratti sani, probabilmente per
un’azione elettiva di irritazione sul sistema nervoso centrale. Lo stesso rimedio
è in grado di migliorare i disordini del sonno nei pazienti, a sostegno del prin-
cipio secondo cui nel malato si ottengono effetti terapeutici usando la sostanza
che aveva causato quegli stessi effetti nel sano (Torres, 2003).
Il principio di similitudine mostra che i medicamenti hanno due tipi di effetti
biologici, in dipendenza della dose e della suscettibilità del soggetto trattato:
- in alte dosi producono alcuni sintomi,
- in dosi ultra basse aboliscono o migliorano gli stessi sintomi.
120 CAPITOLO 4

Evidenze da studi tossicologici e da osservazioni cliniche confermano tale


duplice azione dei farmaci. Alcuni esempi sono la stricnina, la morfina,
l’arsenico, il piombo, il mercurio, ecc. (Sukul, 1997).
Alcuni rimedi omeopatici producono effetti terapeutici sia nella forma della
tintura madre (alla dose di poche gocce, 5-10 gocce, somministrate in acqua)
sia nella forma delle loro potenze altamente diluite e gli effetti sono molto si-
mili. Esempi sono Nux vomica, Chelidonium, Passiflora, Ranunculus bulbosus,
ecc. Ciò significa che, almeno in questi casi, l’inversione degli effetti dei far-
maci non dipende dalla dose ma probabilmente dalla differente sensibilità
dell’organismo sano trattato rispetto a quello malato.
La differenza di effetti tra alte e basse dosi di un rimedio può essere dovuta
anche ad un diverso modo di azione delle due dosi.
Govoni et al. (1994) hanno riportato che un trattamento prolungato con una
dose molto bassa di etanolo (3%), somministrato nell’acqua da bere, produce
effetti benefici nei ratti, in termini di una migliore performance dei test di ap-
prendimento. L’effetto benefico scompare totalmente, anzi si inverte e compare
un effetto patologico, con le alte dosi di etanolo. Gli Autori hanno suggerito
che tra gli effetti delle basse e delle alte dosi esiste una discontinuità, nel senso
che ci sarebbe una dose critica al di sotto della quale si ha l’effetto delle basse
dosi ed al di sopra della quale comincia l’effetto delle alte dosi. Sembra che la
dose critica per i farmaci tossici sia relativamente bassa rispetto a quella dei
farmaci non tossici. Nella farmacologia tradizionale questa dose critica rappre-
senta il limite più basso della curva dose/risposta di un farmaco. In omeopatia,
la curva dose/risposta è esattamente opposta: maggiore è la diluizione, maggio-
re è l’effetto.
L’effetto di un rimedio al di sotto della sua dose critica dipende soprattutto
dalla suscettibilità dell’individuo. La suscettibilità può essere indotta da un
precedente trattamento farmacologico o da una malattia. Quanto più
l’individuo è suscettibile ad un particolare rimedio, tanto più intensa è l’azione
delle dosi ultra basse di quel rimedio. Quindi, il principio di similitudine rap-
presenta l’effetto biologico di una sostanza sui due versanti della sua dose cri-
tica: quello più alto e quello più basso. Sul lato alto della dose critica sta
l’allopatia e sul lato basso sta l’omeopatia.
Gli effetti delle dosi molto basse (e delle alte diluizioni) non sono così gene-
ralizzabili e non si presentano sempre, come invece fanno le dosi molto alte.
Infatti, le prime sono evidenti solo in alcuni soggetti che sono detti, appunto,
suscettibili alle basse dosi.
MECCANISMO D’AZIONE DEI MEDICAMENTI DINAMIZZATI 121

4.4. I sistemi non lineari e l’omeopatia

Sia il movimento dei fluidi, sia le reazioni biochimiche, sia i controlli fisiologi-
ci negli organismi viventi mostrano comportamenti che hanno alcuni aspetti
casuali (random), altri molto ordinati e periodici, altri solo apparentemente di-
sordinati, ma che nascondono dinamiche complesse.
Esistono dei buoni modelli matematici per lo studio dei sistemi complessi,
che mostrano oscillazioni irregolari generate da equazioni differenziali non-
lineari. Sia i modelli teorici, sia gli studi sperimentali di questi sistemi mostra-
no che la storia temporale (dinamica) di un sistema complesso è sensibile alle
condizioni iniziali ed alle piccole perturbazioni, così che il suo comportamento
futuro è impredicibile. L’impredicibilità non dipende dalla mancanza di infor-
mazioni sullo stato attuale, ma è teoricamente insuperabile. Le traiettorie che
descrivono la posizione della velocità di due sistemi dinamici, anche se ini-
zialmente vicine ed apparentemente parallele, nel tempo divergono esponen-
zialmente l’una dall’altra: questo caratteristico comportamento è chiamato caos
deterministico. Un parametro con andamento lineare o regolare può ad un certo
punto manifestare una discontinuità, detta biforcazione (Steeb e Louw, 1986).
Alcuni modelli teorici hanno individuato proprietà non-lineari persino
nell’acido desossiribonucleico (DNA), la molecola che codifica l’informazione
ereditaria (Daniel e Latha, 2000). I fenomeni caotici sono stati studiati nelle re-
ti neurali e nelle cellule. I modelli non lineari sono stati applicati allo studio
delle condizioni patologiche che risultano dalla instabilità di sistemi di control-
lo fisiologici (Thangavel et al., 2000, e bibliografia ivi citata). Ovviamente, è il
cervello che ha attratto gli studi più avanzati in questo campo. Alla luce di dati
clinici e di ricerche sperimentali mirate alle basi neurologiche della coscienza,
è stato dimostrato che il cervello funziona in gran parte processando le infor-
mazioni in modo non-lineare e parallelo e che molteplici meccanismi intracor-
ticali e cortico-ipotalamici sono coinvolti in molti cambiamenti intramodali
dell’attenzione (Smythies, 1997).
Nella medicina convenzionale, il trattamento è, nella maggior parte dei casi,
malattia-specifico e/o organo-specifico. L’omeopatia, invece, tratta il paziente
come entità unica, tentando di mobilitare le capacità auto-organizzative nella
direzione di un migliore stato di salute. Per questo alcuni scienziati hanno so-
stenuto che le risposte dei pazienti ai rimedi omeopatici si conformino agli
schemi dei sistemi complessi e non-lineari (Shepperd, 1994; Bellavite e Signo-
rini, 2002). Infatti, una minima dose di una potenza omeopatica appare capace
di innescare dei cambiamenti prolungati e ad ampio raggio sullo stato fisico e
mentale di un paziente. Questo tipo di risposta è suggestivo del concetto di
non-linearità, perché il risultato è sproporzionatamente grande rispetto alla pic-
122 CAPITOLO 4

colezza dello stimolo (Bell, 2003, e bibliografia ivi citata). L’approfondimento


teorico e l’indagine su modelli sperimentali delle tre principali proprietà dei si-
stemi complessi - che sono la non linearità, l’auto-organizzazione e la dinami-
cità - potrà consentire di comprendere meglio i fenomeni omeopatici e di aprire
nuove strade per la ricerca (Bellavite, 2003).
La relazione tra sistemi non lineari e omeopatia è suggestiva, ma richiede in-
dubbiamente di essere supportata da evidenze sperimentali. Ad esempio, è ne-
cessario identificare la base fisica di uno stimolo omeopatico, il suo modo di
diffusione nell’organismo ed i correlati biologici delle risposte a tale stimolo.
In questo potrebbero servire gli studi di laboratorio, perché gli aspetti biologici
dell’effetto omeopatico dovrebbero essere comuni a tutti gli organismi, non so-
lo all’uomo. Fra l’altro, il riferimento alla scienza sperimentale consentirà di
evitare spiegazioni “olistiche” generiche e superficiali, come anche teorie vita-
listiche, che molto spesso si richiamano vagamente alla scienza della comples-
sità. Le concezioni vitalistiche non hanno posto nella moderna biologia.
D’altra parte, molti fenomeni biologici possono essere interpretati in termini
di una visione olistica, o meglio sistemica. Gli animali dotati di sistema nervo-
so rispondono a stimoli in modo sistemico, ma anche i protozoi, costituiti da
un’unica cellula, hanno reazioni che coinvolgono la globalità dell’organismo.
Le piante, che non hanno sistema nervoso, rispondono agli stimoli esterni, co-
me infezioni o ferite, in modo sistemico e integrato: se una parte della radice è
infettata, le altre parti della radice e le parti aeree della pianta mostrano risposte
difensive organizzate, come l’espressione di una serie di proteine specifica-
mente indirizzate alle difese biologiche ed alla riparazione (Bowles, 1992;
Ogallo e McClure, 1996, e bibliografia ivi riportata).
Negli animali, il sistema immunitario e quello nervoso rispondono agli stimo-
li esterni in modo coordinato. La febbre si produce in risposta all’infezione da
microrganismi, che spesso non sopravvivono a temperature superiori a quella
della normale temperatura corporea. I meccanismi termoregolatori operano in
maniera finissima, mantenendo la temperatura costante nonostante le fluttua-
zioni della temperatura ambientale e della produzione interna di calore. I mec-
canismi coinvolti consistono in recettori, posizionati nell’ipotalamo e nel mi-
dollo spinale, che effettuano un monitoraggio della temperatura del sangue e
della presenza di sostanze regolatrici provenienti dal resto del corpo. Inoltre, vi
sono recettori cutanei che informano sulla temperatura della pelle.
L’ipotalamo è il punto di integrazione delle informazioni sensitive e delle ri-
sposte adattative. Quando è necessario che si sviluppi la febbre, il termostato
interno viene modificato in modo tale che il valore termico si ponga al di sopra
della normale temperatura. Ciò avviene perché l’endotossina prodotta dai mi-
crorganismi invasori (detta pirogeno esogeno) agisce su alcuni tipi di leucociti
che a loro volta sintetizzano e liberano citochine tra cui interleuchina 1 (IL-1),
MECCANISMO D’AZIONE DEI MEDICAMENTI DINAMIZZATI 123

un polipeptide noto anche come pirogeno endogeno. Tale sostanza raggiunge


l’ipotalamo, dove causa il rilascio di prostaglandine (particolarmente PGE2)
che mediano lo spostamento del termostato. Appropriati rimedi omeopatici po-
trebbero promuovere la sintesi di IL-1. I farmaci antipiretici, come il paraceta-
molo, bloccano la sintesi di prostaglandine e in questo modo riducono la feb-
bre. Tuttavia, è ben noto che i germi che sono all’origine dell’infezione non
vengono distrutti da questi farmaci, che quindi non risolvono il problema che è
alla base della produzione di prostaglandine (Sukul, 1997, e bibliografia ivi ci-
tata).
Discuteremo ulteriormente il concetto di olismo nella sezione 4.6.

4.5. I miasmi e le loro basi biologiche

Capita con una certa facilità che i pazienti affetti da malattie croniche non ri-
spondano ai rimedi omeopatici, anche se scelti appropriatamente. Ciò, fra
l’altro, può essere parzialmente responsabile dei controversi risultati degli studi
clinici su medicinali omeopatici in malattie croniche. La mancata risposta in
questi casi è attribuita alle condizioni di resistenza patologica dei pazienti,
chiamate “miasmi”. Secondo la tradizione omeopatica, tali condizioni possono
essere corrette applicando dei rimedi “anti-miasmatici”.
I miasmi sono stati discussi dettagliatamente in un precedente libro (Sukul
1997). Secondo i principi omeopatici, le malattie croniche originano da miasmi
come la psora, la sicosi e la sifilide.
Il principale dei tre miasmi è la psora, la cui espressione primaria consiste in
un’eruzione pruriginosa della pelle. Hahnemann non diede alcuna spiegazione
sulla natura patologica dei miasmi in sei stessi. Invece noi ora proponiamo
un’ipotesi che concerne le basi biologiche della psora.
La psora è dermatologicamente rappresentata da una sensazione di ‘prurito e
solletico cutanei’. Una stimolazione relativamente leggera, prodotta con qual-
cosa che sfiora la superficie cutanea, produce solletico e prurito. In alcuni casi
si possono identificare sulla pelle, mediante accurata mappatura, dei punti di
maggior sensibilità. Come i punti dolorosi, i punti pruriginosi sono localizzati
prevalentemente in quelle regioni più ricche di terminazioni sensitive formate
da nervi con fibre amieliniche. La sensazione di prurito persiste insieme al do-
lore urente nelle prove in cui sono bloccate le fibre mieliniche e la conduzione
avviene solo tramite le fibre amieliniche di tipo C. Il prurito, come il dolore, è
abolito dalla sezione dei fasci nervosi spinotalamici. Il prurito si manifesta solo
in pelle, occhi e certe mucose, ma mai nei tessuti viscerali profondi. Sappiamo
anche che la stimolazione cutanea delle aree corrispondenti a infiammazioni
124 CAPITOLO 4

viscerali produce qualche sollievo sul dolore viscerale profondo (Ganong,


1999).
Pertanto, si vede che la manipolazione della pelle e la sensazione irritativa
prodotta possono produrre qualche effetto sugli organi interni. Questa potrebbe
essere la ragione per cui le malattie croniche mostrano miglioramenti dopo un
rimedio fortemente anti-psorico come Sulphur. Questo rimedio, in dosi ponde-
rali, può stimolare le fibre nervose responsabili del prurito e del solletico a li-
vello cutaneo e quindi si potrebbe pensare che tramite questa via possa avere
effetto anche su malattie interne.
I neuroni afferenti per la sensazione di ‘prurito e solletico cutanei’ hanno i lo-
ro corpi cellulari nei gangli delle radici dorsali del midollo spinale o nei gangli
equivalenti nei nervi cranici. Essi formano molte connessioni sinaptiche con i
neuroni motori, ma anche connessioni che inviano impulsi alla corteccia cere-
brale. Le vie afferenti somatiche e viscerali convergono sugli stessi neuroni
spinotalamici. Quindi, le stesse vie possono essere stimolate dalle attività delle
afferenze viscerali o somatiche. Il corno posteriore del midollo spinale rappre-
senta un sistema di controllo in cui gli impulsi delle fibre sensitive sono tradotti
in impulsi per i tratti ascendenti ed il passaggio attraverso questo sistema di-
pende dalla natura e dallo schema degli impulsi che raggiungono le lamine la-
terali del corno posteriore del midollo spinale. Il controllo neurogeno, comun-
que, è anche influenzato da impulsi provenienti dai tratti discendenti dal cer-
vello (Ganong, 1999). Di conseguenza, la soppressione delle eruzioni cutanee
mediante pomate anti-infiammatorie può modificare il normale afflusso di sti-
moli sensitivi nei tratti ascendenti e discendenti e perciò influenzare le regola-
zioni del sistema autonomo. Ciò può portare a dei disordini della regolazione
dei visceri.
Secondo questa ipotesi, un rimedio anti-psorico può riportare l’omeostasi di
questi sistemi regolatori, reintegrando i segnali normali.

4.6. Policresti, ricomparsa di vecchie patologie


e visione sistemica

I Policresti sono rimedi omeopatici che producono, durante la sperimentazione


in un soggetto sano, una grande quantità di sintomi comuni a molte malattie.
Questi hanno molte azioni ad ampio spettro e nell’impiego clinico si deve la-
sciare che esauriscano la loro azione prima di iniziare nuove somministrazioni.
Esempi sono Arsenicum album, Calcarea carbonica, Causticum, Graphites,
MECCANISMO D’AZIONE DEI MEDICAMENTI DINAMIZZATI 125

Natrum muriaticum, Psorinum, Silicea, Sulphur, ecc. I policresti possono agire


attraverso delle reti neurali e multifunzionali collegate a vari organi.
È comune esperienza dei medici omeopatici che durante il trattamento di una
malattia cronica con un’alta potenza di un policresto, alcune patologie pregres-
se, anche apparentemente non correlate con quella attuale, ricompaiono breve-
mente, nella stessa sequenza ma inversa a quella che ha interessato il paziente
in passato. Questo fenomeno può essere spiegato per la natura plastica dei cir-
cuiti neurali.
Gli stessi neuroni fanno parte di molti diversi network funzionali, alcuni dei
quali possono esistere operativamente per un breve tempo, se il comportamento
che essi controllano non è stabile (Meyrand et al., 1991). Poiché gli stessi neu-
roni possono essere parte di diversi network funzionali, ogni cambiamento pro-
dotto sulle connessioni tra questi neuroni da una malattia è probabile che in-
fluenzi altri network differenti, producendo una varietà di sintomi apparente-
mente non connessi con la malattia stessa. Ad esempio, il dolore nella regione
del fegato può essere aggravato durante la corsa, può essere accompagnato o
meno da costipazione, da eruttazioni frequenti, da secchezza delle fauci con se-
te, ecc., a seconda che i neuroni che processano gli impulsi provenienti dalla
regione epatica facciano parte o meno di altri network funzionali. Un policresto
appropriato per il dolore epatico potrebbe brevemente attivare in successione
cronologica i neuroni di altre reti che sono connesse con i neuroni sensitivi del
fegato (Sukul, 1997).
Il tempo trascorso da un recente evento biologico che ha interessato alcuni
organi dovrebbe essere rappresentato in qualche modo nell’attività del sistema
nervoso. L’informazione analogica essenziale che descrive gli intervalli tempo-
rali potrebbe essere contenuta quantitativamente e codificata, ad esempio, dai
livelli di calcio cellulare o di altre variabili dinamiche o dai cicli ad evoluzione
più o meno lenta che fanno parte dei sistemi di trasduzione del segnale cellula-
re. È noto che nei neuroni la concentrazione del calcio è usata come una varia-
bile computazionale per la processazione del segnale (Hopfield, 1996, e biblio-
grafia ivi riportata).
Durante la ricomparsa di sintomi e disordini fisiopatologici passati in risposta
ad una potenza omeopatica, di solito ricompare anche la componente dolorosa.
Il dolore è prodotto non tanto da uno stimolo diretto dalla lesione, dalla in-
fiammazione o da altre modificazioni organiche, quanto per l’attivazione di reti
neurali ampiamente distribuite nel corpo e nel cervello. Secondo la teoria della
“neuromatrice”, il dolore è un’esperienza multidimensionale prodotta da sche-
mi complessi di impulsi nervosi e generati da molti centri tra loro connessi
(Melzack, 1999). Molti studi basati su imaging funzionale hanno mostrato che
durante l’esperienza del dolore vengono coinvolti vari centri nervosi cerebrali,
che processano l’informazione in circuiti collegati alle aree affettive, sensitive,
126 CAPITOLO 4

cognitive, motrici, inibitorie ed autonome. Il concetto di una “neuromatrice”


per l’elaborazione della sensazione dolorosa è, quindi, molto consolidato (Der-
byshire, 2000). Quindi, la modifica dell’attività di una rete neurale da parte di
una potenza omeopatica potrebbe alterare l’attività di altre reti, rievocando
l’esperienza di dolori provati in passato.
Abbiamo già accennato al fatto che l’omeopatia implica una visione olistica e
sistemica della salute e della malattia. Durante la scelta di un rimedio omeopa-
tico non vengono presi in considerazione solo i sintomi specifici della malattia,
ma tutti i sintomi fisici e mentali di un paziente come se fosse un complesso
unitario. L’organismo è da vedersi come una unità, con differenti qualità rap-
presentate centralmente nei meccanismi cerebrali sottostanti alle diverse sensa-
zioni e sintomi, i quali a loro volta comprendono un sistema unitario che agisce
dinamicamente producendo uno schema fisiologico o patologico dell’intero or-
ganismo. In ogni momento, milioni di impulsi nervosi da parte di tutti i sistemi
sensitivi arrivano al cervello, dove la “neuromatrice” produce continui mes-
saggi che ricostruiscono lo schema corporeo e mentale, influenzato simulta-
neamente dagli impulsi che arrivano e dalla memoria degli eventi passati. La
“neuromatrice” contiene l’immagine del tutto ma anche quella di sotto-
ripartizioni degli schemi corporei, collegati agli eventi che si svolgono nelle
diverse e specifiche parti dell’organismo (Melzack, 1993).
Quando inizia una malattia, la “neuromatrice” si modifica in modo tale che si
manifestano dei caratteristici sintomi e delle sensazioni generalizzate di indi-
sposizione. La totalità dei sintomi rappresenta in modo individuale ciascun pa-
ziente in un determinato momento della malattia. Il rimedio costituzionale,
scelto sulla base di un certo schema di sintomi individuali, avrebbe lo scopo di
modulare la “neuromatrice” coinvolta nella malattia fornendo ad essa uno
schema capace di evocare una risposta coerente che vada nella direzione della
condizione normale e quindi di dare al paziente la sensazione di benessere e la
vera salute.
In un individuo sano e sensibile, invece, lo stesso rimedio agisce sulla “neu-
romatrice” normale, generando una serie di sintomi simili a quelli della malat-
tia.

4.7. Azioni chimiche e biochimiche dei medicamenti in alte


diluizioni

Per capire il meccanismo d’azione di una potenza omeopatica dobbiamo avere


un’idea dei seguenti aspetti:
MECCANISMO D’AZIONE DEI MEDICAMENTI DINAMIZZATI 127

1 - le proprietà fisico-chimiche del medicamento in questione,


2 - il bersaglio molecolare primitivo nell’organismo con cui interagisce il me-
dicamento,
3 - i fenomeni di trasduzione del segnale nelle cellule o nei tessuti ad opera del
medicamento,
4 - gli effetti terapeutici finali del medicamento nell’organismo.
Abbiamo già avuto qualche idea della natura fisica e chimica di un rimedio
dinamizzato che, per quello che sappiamo oggi, è rappresentato da una solu-
zione con una specifica struttura. Sappiamo che le strutture acquose e idroalco-
liche sono probabilmente il veicolo dell’informazione inizialmente contenuta
nelle molecole del principio attivo.

4.7.1. Le molecole d’acqua e l’informazione biologica


Negli organismi viventi ci sono due principali tipi di macromolecole informa-
zionali: le proteine e gli acidi nucleici. Sequenze di 20 differenti aminoacidi
costituiscono un’infinita varietà di proteine. Inoltre, nelle proteine vi sono
cambiamenti nelle strutture tridimensionali dovuti a differenze per gli avvol-
gimenti delle catene (folding) mediante ponti disolfuro. Nel caso degli acidi
nucleici, un’enorme varietà di sequenze informazionali può originare da 4 nu-
cleotidi, scelti tra adenina (A), uracile (U) o timina (T) (a seconda che si tratti
di RNA o DNA), guanina (G) e citosina (C).
I polisaccaridi con un solo tipo di subunità, o con due subunità alternate, non
sono molecole informazionali nello stesso senso in cui lo si intende per protei-
ne ed acidi nucleici. Tuttavia, dei brevi polimeri polisaccaridici composti da sei
o più differenti tipi di zuccheri, connessi in catene ramificate, hanno una varie-
tà strutturale e stereochimica tale da portare un’informazione riconoscibile da
altre macromolecole. I più abbondanti polisaccaridi in natura, amido e cellulo-
sa, consistono di unità ripetitive di D-glucosio. Altri polisaccaridi sono costi-
tuiti da un’ampia varietà di molecole di zuccheri derivati dal glucosio.
I due mezzi diluenti delle potenze omeopatiche sono acqua ed etanolo in fase
idroalcoolica. Poiché ciascuna potenza omeopatica ha proprietà caratteristiche
della tintura madre della sostanza da cui è stata preparata, v’è ragione di pensa-
re che sia l’acqua sia l’etanolo in fase idroalcoolica servano come molecole in-
formazionali. Tuttavia, acqua ed etanolo sono molecole semplici, senza alcuna
subunità, ed allora ci si chiede come possano servire da molecole informazio-
nali.
La risposta sta nel fatto che sia l’acqua sia l’etanolo possono associarsi attra-
verso legami idrogeno e formare dimeri, trimeri e multimeri. Per l’etanolo in
fase idroalcoolica, accade che le molecole d’acqua si legano attraverso legami
idrogeno con le molecole di etanolo e formano diverse strutture. Abbiamo già
128 CAPITOLO 4

menzionato che le molecole di etanolo hanno un’ampia parte non polare che
tende a preservare le strutture dell’acqua. La struttura tridimensionale degli ag-
gregati molecolari dell’acqua porterebbe l’informazione farmacodinamica delle
molecole medicamentose da cui il medicinale è stato originato mediante il pro-
cesso di diluizione e dinamizzazione. Quindi, l’acqua può formare
un’innumerevole varietà di configurazioni strutturali attraverso i legami idro-
geno rafforzati dalla succussione o dalla sonicazione e stabilizzati dall’etanolo.
Il fatto che diverse soluzioni omeopatiche producano diversi effetti biologici
suggerisce che la molecola d’acqua, come le proteine e gli acidi nucleici, sia
capace di servire da molecola informazionale quando assemblata con altre mo-
lecole.
Nell’acqua liquida a temperatura ambiente, i legami idrogeno si rompono e si
riformano continuamente. Abbiamo già menzionato nel capitolo 3 che la disso-
ciazione dei legami idrogeno e la loro riassociazione avviene attraverso gli
stessi gruppi O–H. L’ipotesi quindi è che diversi polimeri dell’acqua rimanga-
no in un equilibrio dinamico di configurazioni geometriche specifiche, rappre-
sentanti un particolare medicamento.

4.7.2. Le due componenti di un medicinale omeopatico


Dai risultati clinici emerge l’evidenza che un rimedio omeopatico è efficace in
un certo paziente solo se c’è una corrispondenza dei sintomi secondo la legge
di similitudine. Di solito, nei casi acuti, le basse potenze funzionano meglio e
più velocemente. Nel caso di malattie croniche, di solito vengono scelte le alte
potenze, che producono anche un effetto più duraturo sui pazienti.
È pertanto evidente che un rimedio omeopatico dinamizzato ha due compo-
nenti essenziali:
- una costante,
- una variabile.
La componente costante non dovrebbe cambiare durante il processo di dina-
mizzazione di un rimedio sottoposto a successive diluizioni e succussioni.
Questa componente veicola l’identità di un certo rimedio, perciò la chiamiamo
“componente di identità”. L’agitazione meccanica e/o la diluizione non do-
vrebbero alterare la sua specificità.
La componente variabile, d’altra parte, è rappresentata dalla caratteristica po-
tenza (diluizione) di un certo rimedio. Tale componente va incontro a dei cam-
biamenti dovuti al processo di diluizione e di agitazione meccanica. Questa la
chiameremo ora “componente di diluizione”.
È interessante il fatto che entrambe le componenti sono capaci di produrre ef-
fetti biologici. In altre parole, sia l’identità farmacologica sia la diluizione sa-
MECCANISMO D’AZIONE DEI MEDICAMENTI DINAMIZZATI 129

rebbero riconosciute dai sistemi recettori dell’organismo, dalle cellule e dalle


biomolecole.
Ci si può chiedere se le due componenti siano dissociabili: potrebbe essere
che una sola componente molecolare raggruppi le due componenti funzionali
(ad esempio avendo un sito variabile), oppure che vi sia l’associazione di due
differenti unità molecolari. Poiché i legami idrogeno risultano da forze elettro-
statiche, la succussione o qualsiasi agitazione meccanica potrebbe rafforzare i
legami idrogeno in differenti specie di polimeri d’acqua di una potenza omeo-
patica. Questo tipo di effetto, cioè il rafforzamento dei legami idrogeno, po-
trebbe essere in relazione con la componente della diluizione. Dall’esperienza
clinica emerge che un rimedio appropriato dovrebbe produrre un effetto curati-
vo sul paziente, qualsiasi sia la sua potenza. Ciò indicherebbe che la compo-
nente di identità gioca un ruolo maggiore nel produrre l’effetto terapeutico.
Se la struttura tridimensionale dell’acqua veicola la componente di identità,
quale potrebbe essere la natura fisico-chimica caratteristica della componente
di diluizione?
Si tratta semplicemente di un rafforzamento dei legami idrogeno nella struttu-
ra dell’acqua?
In uno dei nostri primi esperimenti, abbiamo osservato che Nux vomica 30ch,
preparata mediante sonicazione, ha mostrato un effetto anti-alcolico più forte
nei ratti rispetto a Nux vomica 1000ch preparata mediante succussione (Paul et
al., 1992). Poiché la sonicazione produce un’agitazione meccanica molto più
forte rispetto alla succussione manuale, i legami idrogeno nell’acqua dovrebbe-
ro essere molto più fortemente rappresentati con la sonicazione piuttosto che la
succussione. Abbiamo già detto che i legami idrogeno si formano soprattutto
attraverso forze elettrostatiche. La componente della diluizione potrebbe, quin-
di, essere il risultato di un’agitazione meccanica che contribuisce al rafforza-
mento dei legami idrogeno nelle strutture acquose.
La questione successiva è come una potenza omeopatica o, in altre parole,
una struttura acquosa stereo-specifica, sia riconosciuta nel corpo del paziente, o
nell’organismo di un animale testato in laboratorio.

4.7.3. I possibili principali bersagli biomolecolari delle potenze omeo-


patiche
Dai risultati clinici e sperimentali descritti nei precedenti capitoli, è evidente
che le medicine omeopatiche agiscono nell’uomo, ma anche in altri mammife-
ri, come anche in anfibi, pesci, piante e batteri. I risultati dei test ex vivo ed in
vitro mostrano che i medicamenti dinamizzati sono efficaci anche in organi
isolati e cellule. Pertanto, i bersagli primari, con cui i rimedi omeopatici intera-
giscono per iniziare la loro azione, devono essere presenti in tutti gli organismi
130 CAPITOLO 4

viventi, nei tessuti isolati e nelle cellule. Di fatto, le molecole medicamentose o


l’acqua strutturata vengono in contatto prima di tutto con la superficie delle
cellule. Le cellule possono essere nella mucosa orale dell’uomo e di animali,
nelle foglie delle piante, nei tessuti di organi isolati e in procarioti, ecc. Dob-
biamo pertanto prendere in considerazione la struttura della superficie cellula-
re.
I rimedi omeopatici dinamizzati producono un effetto sia sui procarioti sia
sulle cellule eucariote. Le cellule procariote di solito sono più piccole di gran-
dezza (1-10 m) rispetto alle cellule eucariote (5-100 m). Organelli intracel-
lulari come i mitocondri, il reticolo endoplasmatico, i complessi di Golgi, ecc.,
sono presenti nelle cellule eucariote ma assenti in quelle procariote. Ne conse-
gue che difficilmente queste strutture possono essere bersagli primari delle
medicine omeopatiche.
Mentre le cellule eucariote hanno un nucleo contenente DNA con istoni e
proteine non istoniche assemblate in cromosomi, le cellule procariote non han-
no nucleo ed il loro DNA associato a proteine non istoniche manca di un invo-
lucro membranoso. Ciò che hanno in comune entrambi i tipi di cellule è co-
munque il rivestimento con una membrana plasmatica.

4.7.4. La cellula e la membrana citoplasmatica


Per precisare meglio l’ipotesi sul meccanismo d’azione dei rimedi omeopatici,
concentriamo ora la nostra attenzione sulle caratteristiche strutturali delle cellu-
le eucariote, con particolare attenzione alla membrana citoplasmatica.
Quest’ultima consiste di un doppio strato di lipidi (ad esempio fosfolipidi,
glicolipidi, steroli), con proteine globulari inserite in esso (Fig. 16). I due strati
lipidici hanno uno spessore di 5-6 nm e sono uniti lateralmente, coda con coda,
mediante interazioni di van der Waals fra le loro catene profonde fatte di acidi
grassi. Nelle cellule dei vegetali, c’è anche uno strato esterno che copre la su-
perficie della membrana citoplasmatica; inoltre, i protoplasmi di cellule vicine
sono connessi mediante delle strutture di comunicazione. Tale strato esterno
(cell wall), fatto di polimeri di cellulosa e di altri carboidrati, è poroso in modo
tale da permettere il passaggio di acqua e di piccole molecole.
MECCANISMO D’AZIONE DEI MEDICAMENTI DINAMIZZATI 131

ESTERNO
Proteina di
trasporto Acquaporina Ligando Canale operato Recettore
Teste polari Ioni, nutrienti da recettore
Acqua Ligando
Acidi grassi non polari

Teste polari INTERNO

Fig. 16 - Membrana citoplasmatica di una cellula. I messaggi extracellulari interagi-


scono con i recettori, portando alla produzione di “secondi messaggeri”
all’interno della cellula, i quali, a loro volta, inducono dei cambiamenti adat-
tativi appropriati nel citoplasma e nel nucleo.

Le molecole lipidiche del doppio strato sono anfotere, nel senso che hanno
nella loro struttura delle parti idrofobiche (non polari) e delle parti idrofiliche
(polari). Le due facce del doppio strato lipidico contengono, da una parte e
dall’altra, le teste idrofiliche delle molecole lipidiche. Perciò le estremità idro-
filiche sono esposte all’ambiente acquoso che bagna l’esterno della cellula ed
al citoplasma acquoso dell’interno. I terminali idrofobici si incontrano
nell’interno della membrana, dove non vi sono che poche molecole d’acqua. I
principali lipidi della membrana citoplasmatica sono fosfolipidi, come la fosfa-
tidilcolina e la fosfatidiletanolamina. Le molecole fosfolipidiche hanno due
acidi grassi attaccati alla testa polare fosforilata.
Nei procarioti, i fosfolipidi sono i soli lipidi di membrana, mentre negli euca-
rioti la membrana cellulare contiene anche colesterolo (negli animali) o altri
steroli (nelle piante).
La membrana non è una struttura statica, in quanto i lipidi e le proteine si
muovono sul piano della membrana con un processo di diffusione laterale.
Nella membrana ci sono diverse proteine, alcune sulla superficie esterna, al-
tre in quella interna, altre infine attraversano tutta la membrana. In generale, le
porzioni delle proteine idrofobiche e prive di carica sono localizzate all’interno
della membrana, mentre le porzioni idrofiliche, dotate di cariche elettriche, so-
no localizzate sulla superficie. Alcune di tali proteine contengono lipidi (lipo-
132 CAPITOLO 4

proteine) e carboidrati (glicoproteine). Le proteine immerse nella membrana


servono da trasportatori, da recettori di segnali e da canali ionici.
I trasportatori attraversano la membrana e, grazie ad un movimento della
struttura secondaria e terziaria, trasportano le sostanze dentro e fuori della cel-
lula. Alcuni trasportatori usano energia metabolica per trasferire ioni ed altre
sostanze contro i loro gradienti di concentrazione. Piccole molecole, come ioni,
zuccheri ed aminoacidi, possono passare attraverso dei canali proteici della
membrana.
Proteine più grandi, macromolecole o persino delle particelle sono trasportate
all’interno della cellula per l’invaginazione di segmenti della membrana, in un
processo detto endocitosi. L’endocitosi controlla l’entrata nella cellula ed ha un
ruolo cruciale nello sviluppo cellulare, nella risposta immunitaria, nella nutri-
zione, nella neurotrasmissione, nella comunicazione intercellulare e nella tra-
sduzione di segnali. Essa, quindi, ha un’importanza generale nell’omeostasi
cellulare (Conner e Smith, 2003). Durante l’endocitosi le macromolecole o le
particelle, insieme con il loro guscio di idratazione, sono trasferite all’interno
della cellula.
L’esocitosi è praticamente il processo opposto e consiste nel trasporto dei
materiali dall’interno della cellula all’esterno. Anche i materiali sottoposti
all’esocitosi hanno un guscio di idratazione acquoso.
Il fluido extracellulare contiene acqua, molecole nutritive, ormoni, neurotra-
smettitori ed antigeni. I recettori di segnali hanno dei siti di legame specifici
per le molecole extracellulari, che per la loro funzione sono dette ligandi.
Quando un ligando si lega al suo specifico recettore, quest’ultima proteina tra-
sporta il segnale attraverso la membrana trasformandolo in un messaggio intra-
cellulare. Quando un ligando si lega ad un recettore associato ad un canale io-
nico, quest’ultimo si apre lasciando entrare ioni specifici. La trasduzione del
segnale da parte dei recettori può anche attivare o inibire enzimi sulla superfi-
cie interna della membrana. Una sola molecola di segnale legata ad un solo re-
cettore extracellulare alla fine può causare l’ingresso di migliaia di ioni attra-
verso un canale che si apre oppure può attivare la sintesi di migliaia di moleco-
le di un messaggero intracellulare da parte di un enzima (Nelson e Cox, 2000).
Ad esempio, gli antigeni che si legano a recettori specifici posti sulla superfi-
cie dei linfociti e innescano la produzione di anticorpi. I neurotrasmettitori le-
gati a recettori specifici iniziano una cascata di eventi cellulari connessa ad una
specifica funzione del neurone.
Le cellule dei vegetali contengono dei canali altamente selettivi per il potas-
sio (K+), il calcio (Ca2+), i protoni (H+), ma contengono anche dei canali selet-
tivi per gli anioni (come il cloro: Cl-) e per dei composti come l’acido malico
(Heldt, 1997).
MECCANISMO D’AZIONE DEI MEDICAMENTI DINAMIZZATI 133

Le membrane delle cellule vegetali, diversamente da quelle animali, pare non


abbiano dei canali specifici per gli ioni sodio (Na+) (de Duve, 1991).
Il doppio strato lipidico è essenzialmente impermeabile alle molecole idrofi-
liche ed agli ioni e non può mediare molti cambiamenti e scambi di materia e
di informazione tra la cellula e l’ambiente che la circonda. Tali funzioni sono
svolte prevalentemente dalle proteine integrali di membrana (Peoples et al.,
1996). Tra queste strutture e queste molecole possiamo quindi cercare dei ber-
sagli per le potenze omeopatiche.

4.7.5. Proteine di membrana


Cerchiamo ora di esaminare i possibili candidati fra le più probabili proteine di
membrana capaci di interazione con le potenze omeopatiche.
Sappiamo che i trasportatori muovono soluti organici e inorganici attraverso
la membrana. Ci sono trasportatori passivi e trasportatori attivi. Tutti questi
aiutano il passaggio di zuccheri, aminoacidi, ioni inorganici ed acqua, necessari
per le attività biosintetiche ed energetiche della cellula.
I trasportatori passivi, come alcuni canali ionici ed enzimi, legano i loro sub-
strati con specificità stereochimica in molti punti con interazioni deboli non
covalenti. Il cambiamento negativo di energia libera, che è associato a queste
interazioni deboli, bilancia il cambiamento positivo di energia libera che ac-
compagna il distacco dell’acqua di idratazione dal substrato. Ciò abbassa
l’energia di attivazione necessaria per trasportare composti polari attraverso il
doppio strato lipidico. Durante il passaggio attraverso il doppio strato lipidico,
un soluto polare è estratto dal suo guscio di idratazione ed è poi reidratato nel
citoplasma (Nelson e Cox, 2000).
Nel trasporto passivo, il soluto è trasportato lungo il suo gradiente elettro-
chimico. Il gradiente elettrochimico coinvolge la differenza di concentrazione
dei soluti, più la differenza di cariche elettriche che si stabilisce attraverso la
membrana cellulare.
Il trasporto attivo, invece, avviene contro un gradiente e richiede l’idrolisi di
ATP (adenosina 3-fosfato) o il passaggio concomitante di qualche altra specie
chimica lungo il suo gradiente elettrochimico. Nel primo caso, l’enzima ATPa-
si scinde l’ATP, rilasciando l’energia che serve a spingere il soluto nel suo
spostamento contro il gradiente.34 Nel secondo caso, il passaggio di uno ione

34
Dettagli nel testo originale: ci sono quattro tipi di ATPasi con funzioni di trasporto. Il tipo P è
presente sulla membrana citoplasmatica delle cellule eucariote e di quelle procariote.
Queste ATPasi hanno due tipi di subunità proteiche: alfa e beta. La subunità alfa è
essenziale ed alcuni suoi aminoacidi vengono fosforilati durante il trasporto. Le ATPasi
sono responsabili del trasporto di sodio, potassio, calcio e protoni. I batteri usano la ATPasi
di tipo P per pompare fuori dalla cellula i metalli pesanti per loro tossici (come il cadmio
134 CAPITOLO 4

attraverso la membrana lungo il suo gradiente elettrochimico fornisce l’energia


necessaria per il cotrasporto di un soluto contro il suo gradiente elettrochimico.

4.7.6. Biomolecole in un mezzo acquoso continuo


In qualsiasi caso una potenza omeopatica sia somministrata ad un organismo,
sia nella cavità orale, sia sulla foglia di una pianta, sia nella coltura di batteri,
essa viene prima di tutto in contatto con l’acqua che copre la superficie delle
membrane biologiche.
Il fluido extracellulare costituisce circa il 20% del nostro peso corporeo. Il
fluido interstiziale, che costituisce il 15% del fluido extracellulare, forma
l’ambiente in cui la maggior parte delle cellule del corpo sono immerse. La
funzione cellulare normale dipende dalla costanza di tale fluido ed infatti esi-
stono molti meccanismi regolatori che lo mantengono costante (Ganong,
1999).
L’acqua può essere considerata come un liquido continuo nella cellula ed at-
torno alla cellula. Poiché le potenze omeopatiche sono rappresentate da mole-
cole d’acqua in una particolare struttura, esse dovrebbero innanzitutto interagi-
re con il mezzo acquoso che avvolge le superfici intercellulare e intracellulare
e, attraverso questo mezzo acquoso, con le proteine e le altre molecole.
Diverse forze non covalenti possono localmente modificare la struttura
dell’acqua in molti modi. Ad esempio, sono operative:
- le forze van der Waals (o di Lifshitz-van der Waals),
- le forze acido-base (di Lewis),
- le forze elettrostatiche.
Tra queste, le forze acido-base sono le più importanti nei mezzi acquosi. Ciò
è dovuto al fatto che vi sono forti interazioni coesive ed adesive dovute ai le-
gami idrogeno. Forti interazioni sono date anche dall’attrazione idrofobica e
dalla repulsione idrofilica (idratazione). Di conseguenza, le parti idrofobiche
dovrebbero attrarsi vicendevolmente e le parti idrofiliche dovrebbero respin-
gersi. I tre suddetti tipi di interazioni svaniscono quando le molecole si allonta-
nano tra loro, vale a dire che le interazioni sono inversamente proporzionali al-
la distanza inter-molecolare.
Le molecole di idratazione sulle superfici polari (idrofiliche) si organizzano
in uno strato spesso e poco denso, di solito con atomi idrogeno legati alla su-
perficie idrofilica e con gli atomi di ossigeno che protrudono all’esterno della

[Cd2+] ed il rame [Cu2+]). La membrana citoplasmatica dei tumori contiene un trasportatore


ATP-dipendente capace di esportare all’esterno della cellula differenti farmaci antitumorali.
Questi trasportatori sono responsabili della resistenza delle cellule tumorali alla
chemioterapia. La proteina ABC1 è un membro della famiglia di questi trasportatori.
MECCANISMO D’AZIONE DEI MEDICAMENTI DINAMIZZATI 135

superficie nel liquido, così che la superficie di ciascuna molecola d’acqua è


perpendicolare alla superficie idrofilica (Fig. 17).

Molecole d’acqua

Superficie idrofilica (polare)

Fig. 17 - Molecole d’acqua su una superficie idrofilica (-) formanti uno strato più spes-
so e meno denso con atomi di ossigeno (O) che sporgono all’esterno della su-
perficie.

Le superfici idrofiliche hanno almeno due strati d’acqua di idratazione. Le


superfici idrofobiche non hanno più di un sottile strato di molecole d’acqua,
trattenute attraverso forze di van der Waals deboli. Sulle superfici idrofiliche,
l’acqua di idratazione è attaccata attraverso forze acido-base e van der Waals,
con dominanza delle prime (Van Oss et al., 2001).
Una potenza omeopatica o, in altre parole, l’acqua strutturata, dovrebbe inte-
ragire prima di tutto con una delle proteine integrali di membrana ubiquitarie,
cioè presenti nei batteri, nelle piante, negli animali e nell’uomo. Una di queste
proteine ubiquitarie potrebbe essere l’acquaporina. Esaminiamo pertanto la
struttura e la funzione delle acquaporine, che potrebbero essere il bersaglio
primario di una potenza omeopatica.

4.7.7. Le acquaporine
Le acquaporine sono glicoproteine trans-membrana che permettono il passag-
gio dell’acqua o di piccoli soluti, ma bloccano il passaggio di ioni, per preveni-
re la dissipazione del potenziale di membrana (Borgnia et al., 1999; Engel et
al., 2000). Benché l’acqua possa passare la membrana cellulare per diffusione,
esistono molte evidenze, raccolte negli ultimi decenni, che nei tessuti in cui
136 CAPITOLO 4

l’acqua deve attraversare la membrana cellulare in grande quantità il processo


sia facilitato dalle acquaporine (Deen et al., 2000).
Le acquaporine, quindi, appartengono alle proteine intrinseche di membrana
che formano canali di trasporto; si trovano nei batteri, nelle piante e negli ani-
mali e in tutti questi organismi mantengono una marcata omologia di sequenza,
con similitudini funzionali e strutturali (Engel et al., 2000; Hohmann et al.,
2000).

a) Distribuzione negli animali


In diversi tessuti dei mammiferi sono state trovate 10 specie d’acquaporine
(AQP):
- AQP0 è espressa nel cristallino,
- AQP1 nei tubuli prossimali del rene e nelle cellule delle vie biliari intraepati-
che,
- AQP2 e AQP3 nei dotti renali,
- AQP4 nel cervello,
- AQP3, AQP4, AQP7 e AQP8 nel tratto gastrointestinale,
- AQP5 nelle ghiandole salivari e lacrimali, nell’epitelio corneale e nei polmo-
ni,
- AQP6 nell’epitelio renale,
- AQP8 nel fegato, nel pancreas e nel colon,
- AQP9 nel fegato (Ma e Verkman, 1999) e, abbondante, anche nei leucociti
periferici dell’uomo. Questi leucociti sono permeabili all’acqua ed all’urea,
ma non al glicerolo. Tuttavia, il ruolo dell’AQP9 nelle funzioni immunolo-
giche dei leucociti è ancora poco conosciuto (Ishibashi et al., 1998).
Questi canali per l’acqua potrebbero servire come meccanismi osmosensori
responsabili di valutare i cambiamenti del volume cellulare (Venero et al.,
1999; Jung et al., 1994ab).
AQP4 è espressa abbondantemente nel cervello ed è localizzata nelle cellule
gliali ai bordi degli spazi subaracnoidei, dei ventricoli e dei vasi sanguigni
(Nielsen et al., 1997). AQP4 gioca un importante ruolo nella distribuzione
dell’acqua a livello cerebrale e nell’omeostasi del potassio nelle prime fasi del-
lo sviluppo (Wen et al., 1999). L’espressione di questa proteina è stata eviden-
ziata nel cervello dell’embrione di pollo in parallelo con la maturazione delle
barriera ematoencefalica e ciò suggerisce che c’è una stretta relazione tra tra-
sporto d’acqua, sua regolazione e sviluppo cerebrale (Nico et al., 2001).

b) Altre pompe dell’acqua


Diversamente dalle cellule gliali, i neuroni non pare abbiano canali per l’acqua
del tipo delle acquaporine. Il cervello umano rappresenta circa il 2% del nostro
MECCANISMO D’AZIONE DEI MEDICAMENTI DINAMIZZATI 137

peso corporeo, ma consuma circa il 20% dell’ossigeno introdotto, perciò pro-


duce una notevole quantità d’acqua metabolica (circa 12 volte quella prodotta
dalle cellule degli altri organi). Per rimuovere l’eccesso di tale acqua metaboli-
ca, le cellule cerebrali utilizzano un sistema di pompaggio basato sull’N-acetil-
L-aspartato (NAA), il più abbondante aminoacido libero che si trova nel cer-
vello dei vertebrati. Il NAA è sintetizzato nei neuroni e idrolizzato negli oligo-
dendrociti gliali. Esso viene ricambiato ogni 24-48 ore per un continuo deflus-
so dai neuroni verso gli oligodendrociti. In breve, funziona come una pompa
molecolare per l’acqua che spinge l’acqua contro il suo gradiente utilizzando se
stesso (il NAA) come un controtrasporto. Tali pompe molecolari per l’acqua
sono presenti universalmente in Natura; esse sono correlate a funzioni normali
o anche a interazioni patologiche fra le cellule o fra le cellule e l’ambiente ex-
tracellulare (Baslow, 2002).

c) Acquaporine nelle piante


Come si è detto prima, le acquaporine sono membri della famiglia delle protei-
ne integrali di membrana. Nel regno vegetale, ogni pianta esprime una gran
numero di omologhi di tali proteine le cui sequenze aminoacidiche sono alta-
mente conservate:
- la proteina intrinseca del tonoblasto (TIP), che è la membrana che circonda il
vacuolo presente nella cellula vegetale,
- la proteina intrinseca di membrana citoplasmatica (PIP),
- la proteina simile alla NOD26 (NIP),
- la piccola proteina intrinseca basica (SIP).
Questi membri della famiglia delle proteine intrinseche di membrana si sono
diversificati grazie ad un gene ancestrale prima della divergenza evolutiva del-
le piante superiori (Baiges et al., 2002). Mentre le PIP degli spinaci rappresen-
tano circa il 15%, le TIP rappresentano fino al 10% delle proteine del tonopla-
sto (Johansson et al., 1996). Le NIP, invece, sono espresse nei noduli delle ra-
dici della soia ed anche in altre piante non leguminose (Baiges et al., 2002).
Nelle piante, le acquaporine regolano il flusso dell’acqua attraverso le mem-
brane durante la crescita, lo sviluppo e la risposta allo stress (Harvengt et al.,
2000). Le acquaporine PIP1 nelle foglie di tabacco aumentano la permeabilità
all’acqua, la conducibilità idrica della radice e le pompe osmotiche, garantendo
in questo modo la sopravvivenza nei periodi di siccità (Siefritz et al., 2002).
È stato suggerito che anche l’assorbimento di CO2 durante la fotosintesi nella
foglia sia facilitato dalle acquaporine (Terashima e Ono, 2002).
138 CAPITOLO 4

d) Acquaporine nei funghi e nei batteri


La Candida albicans, un fungo patogeno dell’uomo, contiene un unico gene
dell’acquaporina: AQY1. La delezione di AQY1 ha scarso effetto sulla idrofo-
bicità della superficie cellulare e non cambia la virulenza della Candida nel to-
po. Il ceppo caratterizzato dalla delezione di questo gene mostra una diminuita
sensibilità allo shock osmotico (Carbrey et al., 2001).
Il genoma delle lievito Saccharomices cerevisiae contiene due geni
dell’acquaporina, AQY1 e AQY2, ma dei due, il più importante dal punto di
vista funzionale è il primo (Laizé et al., 2000).
Le acquaporine dei microbi sono importanti per facilitare il trasporto del gli-
cerolo e forse di altri soluti, oltre, naturalmente dell’acqua. Esse sono state de-
scritte sia nei batteri gram-positivi come Clostridium acetobutylicum, Staphy-
lococcus aureus, Lactococcus lactis, Streptococcus pneumoniae, sia in batteri
gram-negativi come Escherichia coli, Haemophilus influenzae, Mycoplasma
pneumoniae, Pseudomonas aeruginosa, Salmonella typhi, Shighella flexneri,
Vibrio cholerae, ecc. (Hohmann et al., 2000). Il batterio patogeno gram negati-
vo Brucella abortus contiene una acquaporina come efficiente canale di mem-
brana (Rodriguez et al., 2000).

e) Struttura delle acquaporine


L’acquaporina è una proteina relativamente piccola (circa 30 kDa) contenente
sei domini trans-membrana, i primi tre dei quali sono omologhi ai secondi tre.
Entrambi i terminali aminici e carbossilici sono orientati verso il citoplasma.
Le due parti omologhe sono orientate a 180 gradi l’una rispetto all’altra, in
modo tale che il motivo caratteristico, fatto dei tre aminoacidi asparagina-
prolina-alanina (NPA), presente nelle due anse interne, vada a formare una
struttura a forma di canale (Fig. 18). Tali segmenti NPA si allineano lungo il
condotto attraversato dalle molecole d’acqua (Jung et al., 1994ab; Cheng et al.,
1997; Walz et al., 1997). La AQP1 è un omotetramero contenente quattro cana-
li acquosi indipendenti (Smith e Agre, 1991; Jung et al., 1994ab).
MECCANISMO D’AZIONE DEI MEDICAMENTI DINAMIZZATI 139

H20

(a) Veduta del poro dall’alto (b) Veduta laterale del poro

Extracellulare

Intracellulare

(c) Veduta laterale del monomero di acquaporina

Fig. 18 - L’acquaporina, proteina-canale per l’acqua. (a) Veduta del poro dalla super-
ficie extracellulare; (b) veduta laterale del canale; (c) veduta delle sei eliche
trans-membrana del monomero d’acquaporina. Il motivo asparagina-
prolina-alanina (NPA) dopo la seconda e dopo la quinta ansa si ripiega
all’interno della membrana per formare il canale dell’acqua.

La fondamentale importanza delle acquaporine è suggerita anche dal fatto


che la loro struttura è conservata andando dai batteri alle piante fino ai mammi-
feri (King et al., 2000).

f) Funzione dell’acquaporina: passaggio dell’acqua


Murata et al. (2000) hanno descritto, grazie alla cristallografia elettronica, un
modello atomico della AQP1 con la risoluzione di 3.8 Angstrom. Il percorso
delle molecole d’acqua assomiglia a quello della sabbia nella clessidra, avendo
un restringimento in mezzo che è di tipo idrofobico, fatta eccezione per i due
residui centrali di asparagina nei motivi NPA. Quando una molecola d’acqua
attraversa tale restringimento, l’interazione dell’atomo di ossigeno con i residui
asparaginici orienta i due atomi di idrogeno in modo tale che la molecola stessa
possa formare dei legami idrogeno con le molecole d’acqua adiacenti. In tal
140 CAPITOLO 4

modo si previene il trasferimento di protoni al canale stesso in questa regione.


Si pensa che, oltre alle restrizioni di tipo spaziale, il poro generi anche una for-
te barriera dielettrica che respinge gli ioni (Murata et al., 2000).
Tajkorshid et al. (2002) ha determinato la struttura della acquagliceroporina
GlpF dell’Escherichia coli con acqua legata ed ha effettuato delle simulazioni
dinamiche raffiguranti i movimenti di orientamento dell’acqua all’interno del
canale. Le due asparagine conservate forzano la molecola d’acqua centrale a
comportarsi come un donatore di idrogeno obbligato per le molecole d’acqua
vicine. Questo fenomeno, assistito dal potenziale elettrostatico generato dalle
due anse che attraversano la membrana, obbliga le molecole d’acqua
all’interno del canale ad orientarsi in modo opposto nelle due metà del canale
stesso, permettendo un rapido passaggio dell’acqua.
La mobilità protonica nell’acqua liquida è spiegata dal meccanismo di Grot-
thus che coinvolge l’incanalamento dei protoni da una molecola d’acqua a
quella vicina ed il riarrangiamento dei legami idrogeno. La mobilità protonica
delle proteine avviene mediante un “filo protonico” in cui una singola catena di
molecole d’acqua legate da legami idrogeno ed i gruppi polari delle proteine
forniscono una via preferenziale per un efficiente trasferimento protonico (Ta-
jkhorshid et al., 2002, e bibliografia ivi riportata). Le interazioni mediate da
idrogeno delle molecole d’acqua con i residui polari delle asparagine (Asn-76 e
Asn-192) nella AQP1 nei motivi di sequenza NPA sono essenziali per mantene-
re il flusso dell’acqua nella regione di restringimento. L’ampiezza di questa co-
strizione fluttua continuamente, in modo tale che la fila delle molecole d’acqua
viene spezzettata in diversi frammenti (Kong e Ma, 2001).
La AQP1 trasporta molecole d’acqua alla velocità di 3x109/sec per ciascun
canale, richiedendo un’energia di attivazione molto bassa, approssimativamen-
te come quella della velocità di auto-diffusione delle molecole nell’acqua li-
quida (de Groot e Grubmüller, 2001, e bibliografia ivi riportata).

g) Regolazione della funzione delle acquaporine


Poiché la maggior parte delle acquaporine, fra cui l’acquaporina 2 (AQP2), so-
no dei canali costitutivamente aperti ma regolabili, l’espressione genica di que-
ste proteine ed il loro trasporto dall’interno della cellula alla membrana citopla-
smatica sono fenomeni considerati importanti in fisiologia e in patologia.
La AQP2 è espressa nelle cellule dei dotti renali ed è ridistribuita sulla mem-
brana apicale in risposta ad una cascata di segnali intracellulari, iniziata dal le-
game dell’ormone antidiuretico vasopressina al suo recettore (Deen et al.,
2000).
Molte acquaporine sono regolate da variazioni del pH, fosforilazione e lega-
me con proteine ausiliarie (Engel et al., 2000). La AQP1 può essere spostata
dai siti intracellulari alla membrana citoplasmatica nei colangiociti stimolati
MECCANISMO D’AZIONE DEI MEDICAMENTI DINAMIZZATI 141

con secretina (Marinelli et al., 1999). In risposta alla vasopressina, la AQP2


migra dalle vescicole delle membrane intracellulari alla membrana apicale,
aumentando la permeabilità all’acqua (Nielsen et al., 1995).
La funzione di canale per l’acqua di tutte le acquaporine, eccetto la AQP4,
può essere inibita da composti mercuriali. Questi composti si legano specifi-
camente ai residui di cisteina e bloccano i pori dell’acquaporina (Kuwahara et
al., 1997). Il brassinolide, un ormone delle piante, è coinvolto nella modifica-
zione del trasporto d’acqua sulle membrane cellulari della pianta Arabidopsis
thaliana (Morillon et al., 2001).
Vi sono altre evidenze del coinvolgimento delle acquaporine in vari processi
biochimici e fisiologici.35

h) Le acquaporine in patologia
Per quanto riguarda i modelli di patologia in cui sono state studiate le acqua-
porine, va notato, ad esempio, che il topo geneticamente privo di AQP5 (topo
knockout AQP5 -/-) è caratterizzato da un aumento della broncocostrizione
stimolata dall’acetilcolina e da un aumento a della resistenza al flusso polmo-
nare con diminuzione della compliance dinamica. Ma et al. (1999) hanno an-
che dimostrato che la produzione di saliva stimolata dalla pilocarpina è ridotta

35
Approfondimenti sperimentali e bibliografici: il sistema renina-angiotensina gioca un
importante ruolo nell’espressione delle acquaporine e quindi nella regolazione del trasporto
d’acqua nel peritoneo (Imai et al., 2001). L’incubazione del tessuto parotideo di ratto con 10
μM di epinefrina ha causato un transitorio ma spiccato aumento della presenza di AQP5
sulla membrana apicale, con un massimo ad un minuto. Questo effetto della epinefrina è
stato ottenuto anche con fenilefrina (alfa1-agonista), ma non con la clonidina (alfa2-
agonista) o con il salbutamolo (beta-agonista). Esso è poi inibito dalla fentolamina
(antagonista degli alfa-adrenorecettori), ma non dal propranololo (antagonista dei beta-
adrenorecettori). Il risultato suggerisce che l’epinefrina, agendo sui recettori adrenergici
alfa1, induce un traffico di AQP5 dalle membrane intracellulari alla membrana apicale,
innescando il rilascio di calcio libero dai depositi intracellulari attraverso il messaggero
inositolo-1,4,5-trifosfato. L’acetilcolina, che agisce sui recettori muscarinici M3 nel tessuto
parotideo di ratto, ha indotto la traslocazione di AQP5 dalle membrane intracellulari alla
membrana citoplasmatica, aumentando la concentrazione citosolica di calcio (Ishikawa et
al., 1999, e bibliografia ivi riportata). Badaut et al. (2000) hanno osservato nel ratto una
localizzazione cellulare comune dei recettori muscarinici colinergici e dell’acquaporina 4
(AQP4) a livello cerebrale e precisamente nella corteccia, nel corpo calloso e nelle cellule
ependimali. Gli Autori hanno suggerito una correlazione funzionale tra i recettori muscarinici
e la AQP4. La risposta muscarinica colinergica può influenzare molti canali dell’acqua e
canali ionici. Nei ratti, la AQP4 dei vasi cerebrali è implicata nella regolazione del trasporto
dell’acqua tra il sangue ed il cervello (Kobayashi et al., 2001). La protein-chinasi e la
dopamina diminuiscono la permeabilità dell’acqua attraverso la fosforilazione della serina-
180 e ciò è dovuto probabilmente ad un effetto di cancello sul canale stesso (Zelenina et al.,
2002). Krane et al. (2001) hanno osservato che l’espressione della AQP5 nel polmone del
topo si trova sulle cellule di tipo I ma anche nelle cellule alveolari di tipo II, nella trachea e
nell’epitelio bronchiale.
142 CAPITOLO 4

di più del 60% nel topo knockout AQP5 -/-. La pilocarpina è un agonista dei
recettori colinergici.
In patologia umana, la distribuzione intracellulare di molecole di AQP5 è
anormale nelle ghiandole salivari dei pazienti con la sindrome di Sjögren. Tale
malattia è caratterizzata da infiltrazione infiammatoria linfocitaria nelle ghian-
dole salivari e lacrimali, causante una ipofunzione ghiandolare e quindi sec-
chezza della bocca e della congiuntiva (Steinfeld et al., 2001).
Nelle malattie con aumento della ritenzione renale d’acqua, l’espressione to-
tale e di membrana della AQP2 è aumentata (Deen et al., 2000). Alterazioni nel
metabolismo dell’acqua sono presenti in stati patologici come il diabete insipi-
do, la sindrome da inappropriata secrezione di ormone antidiuretico, lo scom-
penso cardiaco, la cirrosi e la gravidanza (Schrier et al., 2001).
Una cattiva regolazione delle acquaporine, specialmente della AQP2, potreb-
be essere responsabile di alcune patologie del bilancio idrico ed elettrolitico.
Ad esempio, la mancanza o il difetto funzionale della AQP2 si trova nel diabete
insipido primario. Una ridotta espressione di membrana è stata descritta in va-
rie patologie associate con difetti della concentrazione delle urine come il dia-
bete insipido nefrogeno, la poliuria post-ostruttiva, lo scompenso renale acuto e
cronico. All’opposto, in condizioni in cui si ha ritenzione idrica come nello
scompenso cardiaco congestizio, nella gravidanza e nell’eccesso di ormone an-
tidiuretico, i livelli di espressione della AQP2 ed il sito bersaglio apicale della
membrana citoplasmatica sono aumentati, suggerendo che tale proteina abbia
un ruolo nello sviluppo della ritenzione idrica (Kwon et al., 2001).
Membri della famiglia delle acquaporine sono implicati in numerosi processi
fisiologici e patologici (Borgnia et al., 1999; King et al., 2000). L’induzione
del diabete mellito nell’animale da esperimento è stata accompagnata da un si-
gnificativo aumento di AQP2, p-AQP2 e AQP3 (Nejsum et al., 2001). Il canale
per l’acqua costituito da AQP1 è espresso in modo eterogeneo nelle cellule tu-
morali di animali da esperimento e nel loro apparato vascolare e sappiamo che
il livello di espressione è determinato non solo dall’origine cellulare del tumore
stesso, ma anche dalla localizzazione del tumore nell’animale che lo ospita
(Endo et al., 1999).
È stato suggerito che la manipolazione dell’espressione delle acquaporine po-
trebbe avere un ruolo terapeutico in vari processi patologici (Connolly et al.,
1998) regolando il trasporto d’acqua mediato da queste proteine. Di conse-
guenza, gli agenti che modificano la funzione delle acquaporine avranno un si-
gnificativo potenziale terapeutico (Beitz e Schultz, 1999).
MECCANISMO D’AZIONE DEI MEDICAMENTI DINAMIZZATI 143

4.7.8. Interazione tra una potenza omeopatica e le biomolecole


Da tutte le prove sperimentali che sono state riportate nei capitoli 2 e 3, risulta
evidente che anche se una potenza omeopatica è diluita 1:1000 o più nella so-
luzione-test, essa mantiene la sua efficacia. Anche quando il medicinale omeo-
patico viene assunto da un paziente, in poche gocce o in granuli, esso viene
molto diluito nei liquidi corporei. Ciò suggerisce che un rimedio dinamizzato
sia capace di influire sull’acqua del mezzo di incubazione sperimentale o
dell’organismo in modo tale che quest’ultima si comporterebbe come un rime-
dio potenziato. Se questo è il caso, una potenza omeopatica che viene a contat-
to con una superficie cellulare potrebbe modificare l’organizzazione dell’acqua
che copre la superficie stessa (vedi capitolo 3, sezione 6.1.b: Azione di una po-
tenza omeopatica). Le proteine di membrana, a loro volta, potrebbero essere
modificate per la loro interazione con l’acqua stessa e quindi ne verrebbe alte-
rata l’attività di tipo recettoriale, enzimatica, di trasporto, di segnale, ecc..
Abbiamo già descritto il fatto che le potenze omeopatiche possono produrre
modificazioni strutturali e funzionali di una proteina (capitolo 2 e capitolo 3).
Poiché una potenza omeopatica è costituita da acqua strutturata specificamente,
è probabile che essa abbia capacità di influenzare le molecole d’acqua struttu-
rali, quelle che sono intimamente associate con le proteine e gli zuccheri, cau-
sando una modificazione funzionale di queste ultime.
Yamada (2001) ha studiato l’acqua intracellulare delle cellule muscolari di
rana in varie condizioni fisiologiche, mediante la risonanza magnetica nucleare
ed ha scoperto che l’acqua intracellulare delle fibre muscolari è strutturata ed
allineata lungo i miofilamenti e che lo stato dell’acqua intracellulare cambia
secondo la condizione fisiologica delle fibre muscolari. L’acqua strutturata im-
pedisce la diffusione dei soluti, giocando un importante ruolo nella fisiologia
cellulare.
Quando la cellula è in uno stato patologico, l’acqua strutturata può assumere
uno stato diverso. Di conseguenza, si può ipotizzare che una potenza omeopa-
tica appropriata possa contenere l’acqua con una struttura complementare ri-
spetto a quella disordinata della cellula e sarebbe quindi capace di indurre
cambiamenti nella struttura dell’acqua della cellula malata, restaurando lo stato
normale dell’acqua. Il cambiamento della struttura dell’acqua è ottenuto me-
diante un cambiamento del numero e della forza dei legami idrogeno.
Le proteine recettoriali o di trasporto protrudono all’esterno delle membrane
citoplasmatiche. Alcune di queste, come ad esempio le acquaporine e molti re-
cettori, formano delle molteplici anse trans-membrana. Nell’ansa della proteina
rivolta all’esterno della membrana ci possono essere degli aminoacidi polari-
idrofilici oppure aminoacidi apolari-idrofobici. Secondo la natura delle proprie-
tà chimico-fisiche di questi aminoacidi, cambiano gli strati di molecole d’acqua
144 CAPITOLO 4

di idratazione. In alcune parti si verificano delle forze di attrazione per i cluster


d’acqua, in altre parti vi saranno forze di repulsione. Ovviamente, per il diverso
legame delle molecole d’acqua strutturate proprie del rimedio, dell’acqua di
idratazione e dei diversi aminoacidi, l’intera funzione della proteina di traspor-
to o di recettore potrebbe cambiare. Tutto ciò porterebbe infine all’innesco o
alla modulazione di vari effetti biologici da parte dei medicamenti dinamizzati
sulle cellule.
Anche dei brevi polimeri di zuccheri (oligosaccaridi), attaccati alle proteine o
ai lipidi sulla superficie cellulare, potrebbero servire come specifici segnali di
riconoscimento (Nelson e Cox, 2000). Le piante usano dei metaboliti (per
esempio glucosio, saccarosio e nitrato) non solo come nutrienti ma anche come
segnali utilizzati nelle strategie di sopravvivenza. Ad esempio, gli zuccheri
servono come molecole segnale nello sviluppo del seme (Wobus e Weber,
1999). Alcune molecole saccaridiche entrano nella rete strutturale dei cluster
d’acqua icosaedrica mediante dei legami idrogeno che permettono di sostituire
un esamero d’acqua nel cluster. Dei gruppi idrossilici di questi residui saccari-
dici prendono strette relazioni con le molecole d’acqua, posizionandosi in mo-
do ottimale rispetto alla formazione dei legami idrogeno (Uedaira e Uedaira,
2001).
I residui di acido sialico nelle posizioni terminali degli oligosaccaridi, legati
covalentemente alle glicoproteine, si trovano normalmente su tutte le superfici
cellulari e possono giocare un importante ruolo nelle interazioni cellula-cellula
e nei processi di riconoscimento. Le SIGLECS (Sialic-acid-binding-Immuno-
globulin-like Lectins) sono delle lectine che mediano le interazioni cellulari di-
pendenti da acido sialico (Freeman et al., 2001). Tutto ciò suggerisce che i me-
dicamenti dinamizzati potrebbero interagire con il guscio di idratazione degli
zuccheri o delle lectine, modificando in tal modo la loro funzione di molecole
segnale.
Il nostro modello di interazione tra una potenza omeopatica dinamizzata e la
superficie cellulare prevede quindi che le proteine di membrana o le loro parti
glicosilate producano una cascata di eventi biochimici interni alla cellula a se-
guito del contatto con il rimedio stesso. L’effetto sarebbe propagato oltre l’area
del contatto fra le biomolecole ed il rimedio e ciò avverrebbe in vari modi e se-
condo il tipo di recettori e di cellule. Se l’area di contatto con il medicinale è a
livello dei neuroni sensitivi, la propagazione dell’effetto primario di una poten-
za potrebbe avvenire attraverso impulsi nervosi. I neuroni stimolati trasmette-
rebbero gli impulsi al cervello il quale, a sua volta, processerebbe il messaggio
elaborandolo in modo da produrre una reazione appropriata attraverso vie ner-
vose. I dettagli di questo tipo di regolazione, nell’uomo e nei mammiferi, sono
stati descritti in un precedente libro (Sukul, 1997). Tuttavia, anche a prescinde-
re dalla propagazione nervosa, l’azione di una potenza omeopatica potrebbe
MECCANISMO D’AZIONE DEI MEDICAMENTI DINAMIZZATI 145

diffondersi in tutte le direzioni dal punto di contatto attraverso la continuità del


mezzo acquoso dei tessuti connettivi che bagna tutte le superfici cellulari.
Secondo la tradizione, le medicine omeopatiche possono curare o migliorare
molte malattie infiammatorie, come i foruncoli, gli ascessi, l’artrite reumatoide,
la sindrome infiammatoria dell’intestino ecc. e in queste condizioni è probabile
che sia coinvolto il sistema nervoso. Esiste un legame tra infiammazione e si-
stema nervoso. Infatti, i lipopolisaccaridi, componenti della parete batterica, at-
tivano i leucociti nei tessuti e nel sangue. I leucociti, in particolare i monociti,
entrano nei tessuti e divengono macrofagi, che sono capaci di rilasciare molte
citochine tra cui il Tumor-Necrosis Factor (TNF). Quest’ultima proteina può
attivare quasi ogni tipo di cellula, inducendo l’espressione di un’ampia serie di
geni che codificano per molecole infiammatorie. Il TNF ha effetti benefici
quando è rilasciato in piccole dosi e nel luogo dell’infezione, ma quando dif-
fonde tramite la circolazione può causare gravi malattie infiammatorie (Libert,
2003). Il sistema nervoso, tramite il nervo vago, può inibire significativamente
e rapidamente il rilascio del TNF macrofagico e ridurre le risposte infiammato-
ria e sistemica. Questo meccanismo è conosciuto come via anti-infiammatoria
colinergica. Le terminazioni del nervo vago rilasciano la molecola acetilcolina,
che si lega ai recettori sui macrofagi e sopprime il rilascio di TNF. Il recettore
nicotinico per l’acetilcolina ha una subunità α-7 che è essenziale per inibire la
sintesi di questa citochina (Wang et al., 2003). Si può quindi pensare che i ri-
medi omeopatici dinamizzati stimolino le terminazioni del nervo vago aiutando
il rilascio di acetilcolina, forse proprio attraverso la modifica della subunità α-
7. Libert (2003) ha suggerito in questi termini una possibile relazione moleco-
lare tra la regolazione del processo infiammatorio e gli effetti clinici della co-
siddetta medicina “complementare o alternativa”.
Mentre tutte le proteine di membrana potrebbero essere, almeno teoricamen-
te, bersaglio di una potenza omeopatica, noi abbiamo posto particolare enfasi
sulle acquaporine come bersagli primari, perché tali proteine sono ubiquitarie
in ogni forma di vita e sono implicate in molte situazioni fisiologiche e patolo-
giche. Abbiamo già descritto come viene regolata la funzione delle acquapori-
ne. Le potenze omeopatiche potrebbero influenzare questi processi regolatori
alterando la permeabilità all’acqua delle membrane citoplasmatiche.
Esistono alcune evidenze preliminari del fatto che alcuni rimedi omeopatici
dinamizzati aumentano la permeabilità all’acqua delle acquaporine nei globuli
rossi (capitolo 2, paragrafo 4.2).
Quando gli ioni passano attraverso i canali di una membrana citoplasmatica,
essi vengono de-solvatati (Fig. 19). Le molecole d’acqua del guscio di idrata-
zione, ora vuoto, sono lasciate indietro e rimangono organizzate per circa un
picosecondo (Van Oss, comunicazione personale). Poiché vi sono migliaia di
canali ionici, ci devono essere migliaia di cluster organizzati attorno ad una
146 CAPITOLO 4

cellula in un determinato tempo. I tipi di cluster organizzati dell’acqua ed il


numero di ciascun tipo esistente in un dato momento dipendono dalla varietà
dei canali ionici e dalla velocità del movimento degli ioni o delle altre moleco-
le attraverso la membrana citoplasmatica. Come si è già detto (capitolo 3), que-
sti cluster organizzati dell’acqua rimangano in un equilibrio dinamico. La
geometria dell’equilibrio dell’acqua strutturata potrebbe essere modificata e ri-
organizzata mediante l’introduzione di una potenza omeopatica. La propaga-
zione delle modificazioni dell’acqua indotte dalla potenza dovrebbe essere ot-
tenuta mediante diffusione attraverso continuo riorientamento dei cluster e
spiazzamento delle geometrie tetraedriche dei legami idrogeno (capitolo 3).
In condizioni di malattia, la struttura e/o l’organizzazione delle proteine inte-
grali di membrana sulla superficie cellulare è modificata, cosicché anche le
strutture geometriche dell’acqua sono organizzate in modo diverso, sia nella
superficie extracellulare sia nel citosol. Una potenza omeopatica appropriata
dovrebbe tendere a riorganizzare la geometria strutturale patologica dei cluster
d’acqua nella direzione della sua forma originaria, iniziando una cascata di
reazioni informative all’interno della cellula. Queste modificazioni continue-
rebbero fintanto che venga restaurato il normale stato di salute.

De-solvatazione del soluto Molecole d’acqua organizzate


Proteina di
trasporto e lasciate indietro

Ri-solvatazione del soluto

Fig. 19 - Desolvatazione di una particella di soluto durante il passaggio attraverso il


canale di una proteina di trasporto (a) e per semplice diffusione attraverso il
doppio strato fosfolipidico (b).
MECCANISMO D’AZIONE DEI MEDICAMENTI DINAMIZZATI 147

Abbiamo già detto in precedenza che una sola molecola di ligando può attiva-
re un solo recettore, ma alla fine può causare l’entrata di migliaia di ioni attra-
verso l’apertura dei canali o la sintesi di migliaia di molecole di un messaggero
intracellulare da parte di un enzima attivato (Nelson e Cox, 2000). Quindi, an-
che poche molecole d’acqua strutturate e legate ad un recettore possono inizia-
re eventi biochimici che si amplificano enormemente all’interno della cellula.
In questa visione, i cluster organizzati d’acqua non funzionano come ligandi
recettoriali specifici in senso stretto, ma come una chiave “master” da cui
prendono forma altri cluster capaci di interagire con tutti i tipi di ligandi e con i
loro recettori.

4.8. Ruolo dei carboidrati nei processi di riconoscimento

Abbiamo già menzionato in precedenza che, in un sistema biologico, gli zuc-


cheri possono servire come molecole segnale e possono interagire con l’acqua.
I carboidrati hanno molecole d’acqua legate e potrebbero quindi interagire fa-
cilmente con le molecole d’acqua strutturate dei medicamenti dinamizzati, ini-
ziando eventi biochimici specifici a livello della membrana cellulare. Qui ap-
profondiamo il possibile ruolo dei carboidrati nei processi di riconoscimento
del segnale veicolato dal medicinale omeopatico.
I più importanti polisaccaridi di deposito sono l’amido nelle cellule vegetali
ed il glicogeno in quelle animali. Entrambi si trovano in gran quantità come
aggregati molecolari o granuli. L’amido ed il glicogeno sono fortemente idrata-
ti, perché hanno molti gruppi idrossilici esposti e quindi disponibili a formare
legami idrogeno con l’acqua (Fig. 20).
non riducente
Terminale

riduucente
Terminale

Fig. 20 - Una parte di catena lineare dell’amilosio, fatta di residui di D-glucosio, mostra
i gruppi OH esposti per il legame idrogeno con le molecole d’acqua.
148 CAPITOLO 4

L’amido contiene due tipi di polimeri del glucosio, l’amilosio e


l’amilopectina. Il primo consiste di lunghe catene di residui di D-glucosio con-
nessi da legami α-1-4. L’amilopectina è formata dagli stessi residui, ma è alta-
mente ramificata. I legami glicosidici che uniscono successivi residui di gluco-
sio nell’amilopectina sono α-1-4 nelle parti lineari e α-1-6 nei punti di ramifi-
cazione, che avvengono a distanza di circa 20-30 residui glucidici.
Il glicogeno è un polimero di subunità del glucosio connesse con legami α-1-
4 e caratterizzato da molte ramificazioni con legami α-1-6. Il glicogeno è più
ramificato rispetto all’amilopectina, con una media di una ramificazione ogni
8-12 residui, ed è quindi più compatto rispetto all’amido.
I polisaccaridi, chiamati anche glicani, differiscono in base al tipo di unità ri-
petitiva, alla lunghezza delle catene, ai tipi di legame ed al grado di ramifica-
zioni. Gli omopolisaccaridi contengono un solo tipo di monomero, mentre gli
eteropolisaccaridi contengono due o più tipi di monomeri.36
Il disaccaride lattosio, fatto da una molecola di D-galattosio e una di D-
glucosio, si trova naturalmente nel latte; è quindi chiamato lo “zucchero del lat-
te”. Il carbonio legato al residuo di glucosio è disponibile per fenomeni di ossi-
dazione e quindi il lattosio è considerato un disaccaride riducente.
Il saccarosio è un disaccaride formato da glucosio e fruttosio ed è sintetizzato
dalle piante, ma non dagli animali superiori. A differenza del maltosio e del lat-
tosio, il saccarosio non contiene degli atomi di carbonio ossidabili e quindi non
è uno zucchero riducente (Nelson e Cox, 2000). Si deve notare che le potenze
omeopatiche, preparate in diluizioni di etanolo in fase idroalcoolica, sono nor-
malmente conservate in globuli di lattosio e più raramente di saccarosio (capi-
tolo 1). Pertanto, questi due zuccheri non servono solo come dei veicoli neutri
ma probabilmente giocano un ruolo attivo come molecole di informazione
quando si combinano con i medicamenti dinamizzati.
Le piante possono sintetizzare carboidrati durante il processo di fotosintesi,
gli animali, invece, li ottengono da sorgenti vegetali. I carboidrati della nostra
dieta alimentare sono prevalentemente polimeri degli esosi, i più importanti dei
quali sono glucosio, galattosio e fruttosio. La maggior parte dei monosaccaridi
che si trovano nel corpo sono dei D-isomeri.
Il principale prodotto della digestione dei carboidrati ed il principale zucche-
ro circolante è il glucosio, la cui concentrazione nel sangue dei mammiferi è
circa 5 mM. Allorché entra nelle cellule, il glucosio è normalmente fosforilato

36
Vanno segnalati inoltre i proteoglicani, tra le principali macromolecole complesse che
costituiscono la sostanza fondamentale dei tessuti connettivi, noti per la capacità di legare
grandi quantità di acqua all’interno delle proprie strutture altamente ramificate. Sotto questa
prospettiva, l’acqua associata ai proteoglicani potrebbe assumere una funzione non solo nel
mantenimento della struttura, ma anche nel trasferimento di informazioni bologicamente
significative e farmacologiche.
MECCANISMO D’AZIONE DEI MEDICAMENTI DINAMIZZATI 149

a formare glucosio-6-fosfato. L’enzima che catalizza questa reazione è deno-


minato esochinasi.
Nel fegato c’è anche un altro enzima, chiamato glucochinasi, che ha una
maggiore specificità per il glucosio e che, diversamente dall’esochinasi, è atti-
vato dalla insulina ed ha una ridotta attività nel digiuno e nel diabete.
Il glucosio-6-fosfato può essere polimerizzato a formare glicogeno o catabo-
lizzato come fonte di energia (Ganong, 1999).

4.9. Acqua strutturata e la vita nascente

Sin dall’inizio della vita sulla terra, gli organismi hanno incontrato vari tipi di
sostanze chimiche nel loro ambiente. È oggi da tutti accettato che la vita sia
originata in un ambiente acquoso, nei primi mari, laghi o stagni. Le molecole
primordiali che diedero origine alle prime forme di vita erano zuccheri, alcoli,
aminoacidi e, ovviamente, acqua. Le sorgenti di energia erano essenzialmente
basate sulla fermentazione, perché nell’atmosfera non c’era ossigeno libero.
Nella atmosfera riducente la respirazione era anaerobica, con formazione di
anidride carbonica (CO2).
La fermentazione dello zucchero da parte dei lieviti porta alla formazione di
etanolo e di CO2 ed al rilascio di energia. L’enzima alcol-deidrogenasi è pre-
sente in molti organismi, incluso l’uomo, che sono capaci di catabolizzare
l’etanolo. Nel fegato, questo enzima catalizza l’ossidazione dell’etanolo, sia
quello ingerito sia quello prodotto dai microrganismi intestinali, con la conco-
mitante riduzione del NAD+ a NADH. Alcuni vertebrati marini fermentano il
glucosio ad etanolo e CO2 per generare ATP.
Quindi, è probabile che, in un ambiente primitivo, delle molecole di etanolo
abbiano stabilizzato strutture di molecole d’acqua formando dei particolari ag-
gregati nell’acqua liquida. I microrganismi primordiali potrebbero avere svi-
luppato un meccanismo capace di sentire la presenza dell’acqua, specificamen-
te di quella strutturata, e di orientarsi in relazione ad essa. Questo sarebbe stato
un meccanismo adattativo capace di aiutarli a trovare la via per raggiungere la
colonia di eterotrofili anaerobi sui quali vivere.
Già nelle prime forme di vita, le sostanze chimiche utili fornivano energia per
sostenere la vita, mentre le sostanze chimiche dannose stimolavano risposte di-
fensive. Uno dei più pressanti problemi della vita acquatica è sempre stato
quello di mantenere il bilancio osmotico rispetto al proprio ambiente. Inoltre,
gli organismi incontravano altri organismi che potevano comportarsi da preda-
tori oppure da patogeni. Naturalmente, gli organismi hanno sviluppato dei
meccanismi di difesa contro questo tipo di pericolo. Negli organismi inferiori,
150 CAPITOLO 4

alcune macromolecole, chiamate antigeni, hanno la proprietà di iniziare delle


risposte adattative e difensive. Quindi, se i microrganismi avessero potuto sen-
tire il pericolo incombente in anticipo – per esempio attraverso l’acqua struttu-
rata – sarebbero stati capaci di prepararsi in anticipo ad affrontare la situazione.
Questa sensibilità precoce potrebbe essere stata mediata attraverso delle protei-
ne della membrana, probabilmente del tipo delle acquaporine, che sono alta-
mente conservate e ubiquitarie in ogni forma di vita.
Poiché i protisti primitivi sono originati ed hanno vissuto in un ambiente ac-
quoso, la regolazione dell’ingresso d’acqua nel loro corpo era una delle priorità
assolute per l’adattamento e la sopravvivenza. Perciò, le acquaporine ed i clu-
ster d’acqua strutturata dovrebbero aver giocato un importante ruolo sin
dall’inizio della vita sulla terra. Insieme, queste due entità molecolari costitui-
scono un’efficiente macchina di riconoscimento del segnale e di mantenimento
della omeostasi in tutte le forme di vita.
Si può ipotizzare che l’omeopatia sfrutti questo antico sistema naturale per
recuperare l’omeostasi nei sistemi viventi sottoposti a anormali condizioni in-
terne o esterne.

Sommario

Le medicine omeopatiche dinamizzate hanno delle azioni spesso caratterizzate


da una preferenza di un lato del corpo. Questo differenziale effetto della latera-
lità si spiega sulla base dell’asimmetria funzionale del cervello, che può modu-
lare in modo diverso le reazioni neurochimiche, neuroendocrine e immunitarie
delle parti destra e sinistra del corpo.
I medicamenti dinamizzati sono spesso scelti sulla base di modalità temporali
dei sintomi di una malattia. Le modalità temporali dell’azione del rimedio pos-
sono essere correlate con la presenza di orologi biologici interni o di bioritmi
che sono disturbati in condizioni di malattia. La melatonina, prodotta dal cer-
vello, ha una marcata influenza sui ritmi circadiani.
Le malattie croniche originano da condizioni o disordini che gli omeopati
hanno chiamato “miasmi”, i principali dei quali sono “psora”, “sicosi” e “sifili-
de”. La psora è il miasma più frequente e si manifesta con delle eruzioni pruri-
ginose della pelle. È stato suggerito che la sensazione di prurito e solletico,
prodotta in vario modo e in varie condizioni di malattia per la stimolazione del-
le terminazioni dei nervi amielinici della cute, sia il substrato fisiologico prin-
cipale della eruzione psorica.
Alcuni rimedi omeopatici, come i policresti, producono una grande varietà di
sintomi comuni a molte malattie. Tali rimedi possono agire attraverso delle reti
MECCANISMO D’AZIONE DEI MEDICAMENTI DINAMIZZATI 151

neuronali multifunzionali. Per questa ragione il trattamento di una malattia


cronica con un’alta potenza di un policresto talvolta produce la ricomparsa di
disturbi pregressi, specialmente delle loro componenti dolorose che sono con-
nesse con la stessa rete neuronale multifunzionale.
Secondo la teoria della “neuromatrice”, il dolore è un’esperienza complessa
prodotta da un intreccio di impulsi nervosi provenienti sia dalla periferia sia da
diverse aree del cervello. Il concetto di neuromatrice si accorda con l’approccio
olistico e sistemico dell’omeopatia.
Proteine ed acidi nucleici, che servono da molecole informazionali negli or-
ganismi viventi, sono costituite da diverse unità polimerizzate. Benché l’acqua
sia una molecola semplice, anch’essa può formare diverse strutture, soprattutto
mediante il legame idrogeno. Le configurazioni strutturali dell’acqua sono raf-
forzate dalla succussione e preservate dall’etanolo. Le strutture d’acqua riman-
gono in equilibrio dinamico a temperatura ambiente, perché la dissociazione
dei legami idrogeno e la loro ri-associazione avvengono sugli stessi gruppi O-
H. Mentre la configurazione strutturale specifica dell’acqua manterrebbe
l’identità del rimedio, la forza dei legami idrogeno e la complessità della strut-
tura, aumentate dalla succussione, veicolerebbero l’informazione della sua po-
tenza.
I medicamenti dinamizzati sono applicati sulla cavità orale, sulle foglie delle
piante o sulle superfici delle cellule nei sistemi sperimentali. In ogni caso, il
rimedio viene in contatto con le proteine presenti sulla membrana citoplasmati-
ca. Tutte le superfici cellulari sono bagnate da un film continuo d’acqua che
mantiene una configurazione geometrica nelle normali condizioni di salute. Le
forze non-covalenti che alterano localmente la struttura dell’acqua sono le for-
ze van der Waals, acido-base ed elettrostatiche. Le forze dominanti sono quelle
acido-base che si generano per una forte interazione coesiva ed adesiva delle
molecole d’acqua sia tra di loro che con le macromolecole della membrana, at-
traverso i legami idrogeno.
La struttura dell’acqua, che è presente su tutte le superfici, assume una diver-
sa configurazione in uno stato di patologia, secondo la natura della malattia.
Quando un rimedio omeopatico o, in altre parole, un’acqua strutturata in modo
stereospecifico, viene a contatto con una superficie cellulare, la struttura
dell’acqua in quella posizione viene modificata e di conseguenza avvengono
cambiamenti strutturali sia dell’acqua che delle proteine della membrana ba-
gnate dall’acqua stessa. Tale fenomeno, a sua volta, scatena una cascata di
eventi biochimici nella membrana e nel citosol che culminano con delle modi-
ficazioni della cellula, dei tessuti e degli organi nella direzione di una salute re-
staurata.
Benché tutte le proteine integrali di membrana siano dei potenziali bersagli di
una potenza omeopatica, in quanto prendono contatto con l’acqua extracellula-
152 CAPITOLO 4

re e molte di esse hanno funzioni recettoriali, enzimatiche o di trasporto, il ber-


saglio primario potrebbe essere una proteina ubiquitaria, la acquaporina. Que-
sto canale proteico aiuta il passaggio dell’acqua attraverso la membrana cellu-
lare ed ha una notevole importanza nella salute e nella malattia.
Saccarosio e lattosio, che vengono spesso usati nelle preparazioni dei medi-
cinali omeopatici, potrebbero avere anch’essi un ruolo di molecole di informa-
zione in combinazione con l’acqua dinamizzata.
Acqua, zuccheri, aminoacidi ed etanolo sono le molecole più ancestrali pre-
senti nelle forme di vita primitiva. Le molecole di etanolo potrebbero avere
stabilizzato delle molecole d’acqua, che avrebbero assunto un significato di in-
formazione per trovare potenziali fonti di cibo. Le cellule primordiali potrebbe-
ro avere sviluppato un meccanismo con cui sentivano l’acqua strutturata speci-
ficamente e si orientavano di conseguenza. Poiché i primi protisti originarono
in ambiente acquoso, la regolazione dell’ingresso dell’acqua nel loro corpo era
una delle priorità dell’adattamento e della sopravvivenza. Le acquaporine e
l’acqua strutturata in cluster dovrebbero aver giocato sin dall’inizio un ruolo
importante nel mantenere la salute e pertanto si sarebbero conservate durante
l’evoluzione. È probabile che l’omeopatia faccia parte di questo adattamento
del sistema naturale all’ambiente, favorendo il recupero delle dinamiche omeo-
statiche negli organismi viventi che si trovano in condizioni anomale.
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Indice generale
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Vipera: Un esempio di come la metodologia unicista del Dr. Masi ci permette di au-
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FINALITÀ DELLA CASA EDITRICE

Salus Infirmorum è una Società Editoriale senza fini di lucro costituita nel
1996, il cui obiettivo è diffondere informazioni scientifiche sulle medicine na-
turali e in particolare sull’omeopatia. Per quanto riguarda quest’ultima,
l’Editore è convinto che il benessere di molte persone e il progresso futuro di
questo metodo terapeutico dipendano essenzialmente da una corretta cono-
scenza e pratica della vera omeopatia hahnemanniana. Cosciente che si parla
tanto di omeopatia, ma si fa ancora poco per dare una giusta informazione al
Pubblico e per mettere i medici nella condizione di impadronirsi del metodo
omeopatico corretto e integrale, l’Editore ha deciso di tradurre e di pubblicare
libri, sia di tipo divulgativo che di tipo scientifico, dei principali Autori che ab-
biano dato un significativo contributo allo sviluppo di tale disciplina medica.
Questa Editrice per precisa scelta di indipendenza culturale non ha alcuno
Sponsor, né le sue pubblicazioni hanno conflitti di interesse di alcun genere.
Quest’opera è un originale contributo alla letteratura sulle basi scientifi-
che dell’omeopatia, di notevole interesse anche alla luce della crescente
diffusione di questa disciplina medica nel sistema sanitario. Il libro è
unico nel suo genere, perché spazia dalla biologia molecolare alla clini-
ca, dalla fisica atomica alla tecnica farmaceutica, senza dimenticare di
fare riferimento ai principi tradizionali e classici enunciati dai primi
Maestri omeopatici. In particolare, qui si affronta la questione più “in-
credibile”: come è possibile un’azione farmacologica di soluzioni diluite
al punto da non contenere più dosi ponderali di molecole del principio
attivo?
Il testo, dopo un’ampia e documentata presentazione, si svolge in
quattro capitoli:
- Nel primo sono descritti i modi per preparare i rimedi omeopatici e
per conservarli.
- Il secondo capitolo tratta delle evidenze cliniche ottenute a soste-
gno delle alte diluizioni nell’uomo, unitamente ad esperimenti di
laboratorio fatti su animali, piante e tessuti o cellule.
- Il terzo capitolo descrive le caratteristiche fisiche dei medicamenti
in diluizioni ultra-alte, così come sono evidenziate mediante la ri-
sonanza magnetica nucleare e gli spettri all’infrarosso.
- Nel quarto capitolo vengono discussi i possibili meccanismi
d’azione delle alte diluizioni sui sistemi viventi.
Rivelare i misteri dell’omeopatia, questo importante sistema terapeuti-
co, è una sfida non solo per il biologo ma anche per il fisico e per il
chimico. La ricerca scientifica sull’omeopatia aprirà certamente nuove
strade per il benessere dell’umanità.

Gli Autori sono ricercatori e docenti dell’Università di Visva-Bharati


(India), la traduzione e la presentazione sono del prof. Paolo Bellavite,
dell’Università di Verona.

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