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Fibonacci e i numeri indiani

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27 novembre 2015

L’incipit
di uno
dei
capisaldi
della

letteratura scientifica di tutti i tempi recita: “Le nove figure degli indiani sono queste: 9 8 7 6 5
4 3 2 1. Con queste nove cifre, assieme al simbolo 0 che gli indiani chiamano zephirum, è
possibile scrivere qualunque numero”.

I numeri dall’1 al 9 e lo zero vennero introdotti in Europa nel XIII secolo. Prima, per fare i
conti c’erano solo i numeri romani. Sommare e sottrarre con i simboli M, D, C, L, X, V e I è
facile, ma quando si passa a moltiplicazioni e divisioni le operazioni diventano un vero
ginepraio. Anche perché manca un elemento fondamentale: lo zero. Nel Duecento per fare i
conti si ricorreva a elaborati sistemi aritmetici, in cui i calcoli si facevano con le dita o con
diversi tipi di abaco. Di fatto, i numeri venivano usati solo per annotare i risultati. E per
lavorare su quantità più grandi di 10.000 ci voleva una grossa esperienza e una buona dose
di destrezza. Inoltre, i passaggi non venivano messi per iscritto e il risultato doveva essere
accettato sulla fiducia.

Questa era la situazione quando nacque Leonardo Pisano, in arte Fibonacci. Non si sa con
certezza né dove né quando, ma molto probabilmente a Pisa verso il 1170. È certo però che
facesse parte della rigogliosa comunità dei mercanti di uno dei maggiori porti commerciali
dell’Europa dell’epoca. Pisa era un centro nevralgico per lo scambio di ogni genere di merce
che arrivava e partiva da tutte le coste del Mediterraneo. E, dato che il sistema monetario
era particolarmente variopinto (solo in Italia ben 28 città battevano moneta, di cui 7 in
Toscana), era anche un punto di cambio valuta internazionale.

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Quando Leonardo era ancora un ragazzino, il padre venne nominato funzionario doganale e
incaricato di coordinare le transazioni commerciali della comunità pisana a Bugia, un fiorente
porto dell’Africa settentrionale musulmana (oggi Béjaïa, Algeria). Dopo qualche tempo
mandò a chiamare il figlio, perché “pensando all’utilità e ai benefici futuri di questa scelta,
volle che mi fermassi lì per un po’ per essere istruito alla scuola di calcolo”.

Così Fibonacci venne introdotto “all’arte del calcolo attraverso le nove figure indiane, e la
conoscenza di quest’arte mi piacque più di ogni altra cosa: imparai da tutti coloro che ne
erano esperti, provenienti dal vicino Egitto, dalla Siria, dalla Grecia, dalla Sicilia e dalla
Provenza”.

In effetti, l’innovativo sistema per scrivere i numeri e fare i calcoli aveva origini molto lontane.
Proveniva dall’India e fu completato intorno al 700 d.C. I mercanti arabi lo avevano appreso
ed esportato verso nord, lungo la Via della seta e fino alle coste del Mediterraneo insieme ad
altri, più tangibili, prodotti dell’Oriente, come spezie, stoffe, unguenti e tinture.

E il giovane
Leonardo lo portò in
patria, dove pubblicò
il testo che ne
descriveva simboli e
segreti. Era il 1202
quando uscì la prima
edizione del Liber
Abaci. Era corredato
da immagini che
spiegavano come “i
numeri si possono
tenere sulle dita e in
che modo” e, fra le
tante soluzioni,
riportava quella del
celebre quesito che
gli ha assegnato un posto nella cultura popolare dei nostri tempi: “Quante coppie di conigli
nascono in un anno da una singola coppia?”. Il risultato è la famosa Serie numerica di
Fibonacci, affascinante quanto insidiosa e ancora oggi, per qualche sua implicazione,
misteriosa.

Il Liber Abaci andò a ruba. Dopo qualche anno, Leonardo ne pubblicò una seconda versione
e la sua fama travalicò Alpi e Appennini. Persino Federico II volle conoscerlo. E mise alla
prova il suo nuovo metodo aritmetico con una serie di complicati problemi algebrici preparati
da Giovanni di Palermo, uno dei matematici alla corte dell’imperatore. Le soluzioni proposte
da Fibonacci dimostrano una abilità e un possesso della materia impressionante.

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Come sconcertante resta, per il nostro modo di pensare, l’ultimo passo del suo capolavoro. Il
libro si chiude in modo brusco con la descrizione dei passaggi da fare per risolvere uno dei
tanti esempi di problemi algebrici. Poi Leonardo smette semplicemente di scrivere. Niente
riflessioni sui risultati ottenuti, nessuna ricapitolazione né indicazioni su lavori da fare o
nuove cose da provare. Ma quella che per Fibonacci era la fine di un progetto, segnò l’inizio
di una rivoluzione aritmetica che avrebbe investito l’intera Europa.

La grandezza del Liber Abaci sta nella sua qualità, nella sua completezza e nella sua
tempestività: era un buon libro e insegnava a mercanti, banchieri, uomini d’affari e studiosi
tutto quello che avevano bisogno di sapere per fare meglio il loro lavoro. Ed era il primo libro
a farlo. Ci sarebbero voluti altri tre secoli prima che venisse composto un testo di
completezza e profondità pari a quello di Leonardo Fibonacci: la Summa de arithmetica,
geometria, proportioni et proportionalita di Luca Pacioli, del 1494. Ma questa è un’altra
storia.

Daniela Querci

N.d.a.: Leonardo di cognome non si chiamava Fibonacci. Ma nell’intestazione del suo libro
scrive: “Qui comincia il libro del calcolo composto da Leonardo Pisano, figlio di Bonacci,
nell’anno 1202”. Il soprannome con cui lo conosciamo venne coniato nel 1838 dallo storico
Guillaume Libri.

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