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La Retorica è l’arte del parlare e dello scrivere in modo persuasivo, efficace ed esteticamente pregevole.
Elaborata nell’Atene e nelle colonie siciliane del V secolo a.C. dai sofisti, fu codificata in maniera sistematica già
da Aristotele ed è stata conservata per molti secoli nella terminologia latina coniata da Cicerone, come parte
essenziale dell’educazione umanistica. Nata e sviluppatasi in stretto rapporto con il genere giudiziario, ha
tuttavia improntato di sé tutta la letteratura, in prosa come in poesia.
* movere, commuovere il pubblico per far sì che aderisca alla tesi dell'oratore.
Inventio
L’inventio è più che una invenzione, una scoperta. L’inventio, infatti, deve insegnare a trovare le prove, i
mattoni attraverso i quali costruire il discorso. Le prove sono essenzialmente di due tipi: tecniche e non
tecniche. Le prove non tecniche sono quelle che non derivano dal nostro ragionamento e dal nostro discorso,
ma, in qualche modo, provengo dall’universo extra -retorico. Sono quelle che, in un processo moderno,
chiameremmo propriamente prove. Esse sono infatti costituite da testimonianze, confessioni ottenute con la
tortura, documenti scritti, ecc. Molto più importanti sono le prove tecniche, perché, a differenza delle prime,
non si trovano già pronte, ma devono essere elaborate (ad es. esempi storici, mitici o inventati, sillogismi,
amplificazioni). Nell’inventio rientra anche la cosiddetta topica, cioè l’insieme di argomentazioni (o, meglio, di
schemi più o meno astratti di argomentazione) che sono disponibili per qualunque discorso e che un buon
oratore deve sempre essere pronto a richiamare al momento opportuno.
Dispositio
La sua funzione è quella di disporre in maniera efficace all’interno del discorso il materiale che proviene
dall’inventio.
Nella tradizione retorica il discorso si usa divide in quattro parti: un exordium, ovvero la parte iniziale del
discorso, senz’altro determinante ai fini della riuscita dell’intervento oratorio, perché deve suscitare interesse
verso la materia da trattare, richiamare l’attenzione dell’uditorio e rendere gli ascoltatori per disposti verso
colui che parla (molto importante è qui l’ethos); una narratio, in cui sono ricostruiti i fatti in discussione in
maniera chiara, accessibile e credibile; una confirmatio (o argumentatio), dove sono allineate le prove addotte
da chi argomenta a sostegno del suo punto di vista (in questa parte dovrebbero concentrarsi i ragionamenti
finalizzati a persuadere il pubblico e, pertanto, essa costituirebbe il cuore pulsante dell’intero discorso); e infine
un epilogo, in cui vengono fatte le richieste e le proposte dell’oratore (inoltre in questa parte, piuttosto che
gravare gli ascoltatori di nuovi ed elaborati concetti, si tende a riprendere idee già esposte precedentemente,
ampliandole e insistendo sui dettagli di maggiori presa secondo il procedimento-chiave dell’amplificazione).
L’esordio e l’epilogo del discorso hanno di solito carattere emotivo, quelle centrali sono invece dimostrative. La
dispositio si interessava, oltre che delle parti del discorso, anche dell’ordine in cui dovevano essere disposti i
fatti e le argomentazioni. Rispetto ai fatti la tradizione classica imponeva di seguire l’ordine naturale, cioè quello
della reale successione cronologica. Più tardi, soprattutto nel Medioevo, però, questa regola fu spesso violata,
in modo da creare effetti narrativi particolari (analessi, prolessi, ecc.). In questi casi si parla di ordine artificiale.
Riguardo agli argomenti, invece, sono tre i metodi di cui parla la tradizione: 1) ordine crescente: dagli argomenti
deboli a quelli forti; il vantaggio è che gli ultimi argomenti trattati si ricordano meglio; 2) ordine decrescente:
dagli argomenti forti a quelli deboli; il vantaggio è il forte impatto del primo argomento; 3) ordine nestoriano o
omerico (cosiddetto perché nel IV libro dell’Iliade Nestore pone al centro dello schieramento le truppe meno
sicure): gli argomenti forti vengono disposti all’inizio e alla fine
Elocutio
La tradizione ciceroniana riconosce diverse virtù dell’espressione. La principale è la convenienza, che consiste
nello scegliere espressioni adatte al raggiungimento degli obiettivi dell’oratore. Questa convenienza si
raggiunge essenzialmente attraverso le altre tre virtù, che sono: 1) correttezza: cioè il rispetto della lingua, sia
dal punto di vista grammaticale che lessicale; 2) chiarezza: cioè la necessità di costruire un discorso
comprensibile; 3) l’ornatus: cioè la bellezza dell’espressione che proviene da vari mezzi e ornamenti. Ogni
deviazione rispetto a queste virtù può essere un errore (se è ingiustificata) o una licenza (se è giustificata da un
miglior risultato finale).
Actio e memoria
Brevemente possiamo dire che l’actio si interessava della impostazione della voce e dei gesti che dovevano
essere compiuti per rafforzare e accompagnare il proprio discorso. Il tono e la modulazione della voce, la
postura e la gestualità, la mimica del volto sono tutti elementi che risultano spesso decisivi ai fini del successo
dell’intervento. La memoria, invece, forniva suggerimenti su come memorizzare meglio i lunghi discorsi che
dovevano essere pronunciati in pubblico (anche se, come ricordava Quintiliano, si tratta di un costante e
laborioso esercizio)