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9. Novi Testamenti sacerdote!, licet Sacramenti 9.1 sacerdoti del Nuovo Testamento, anche
Ordinis ratione praestantissimum oc necessarium in se in virtù del sacramento dell'ordine svolgo-
Populo et prò Popolo Dei munus patris et magistri no la funzione eccelsa e necessaria di padre e di ■
exerceant, tamen simul cum omnibus chrìstifideli- maestro nel popolo e per il popolo di Dio, sono:
bus sunt discipuli Domini, Dei vocantis grafia Eius tuttavia, insieme a tutti gli altri fedeli, discepoli '
Regni partìcipes facti.50 Cum omnibus enim in fonte del Signore, fatti partecipi del suo regno perla ।
baptismi regeneratis Presbyteri sunt fratres inter chiamata di Dio.50 Insieme a tutti coloro che fu- ,
fratres,5' utpote membra unius eiusdemque elitis rono rigenerati nell'acqua del battesimo i presbi
ti Corporis, cuius aedificatio omnibus demandata teri sono fratelli tra fratelli,51 quali membra dello |
est.52 stesso e unico corpo di Cristo, la cui edificazione è
confidata a tutti.52
Presbyteros igitur sic oportet processe, ut non Nel presiedere la comunità i presbiteri, non
quae sua sunt quaerentes, sed quae lesu Christi,5354 mirando ai propri interessi ma a quelli di Gesù Cri
cum fidelibus laicis operam coniungant et in medio sto,53 uniscano i loro sforzi a quelli dei fedeli laici,
eorum se gerani ad exemplum Magistri, qui inter comportandosi in mezzo a loro come il maestro,
homines «non venit ministrar!, sed ministrare, et che tra gli uomini «non è venuto per farsi servire,
dare animato suam redemptionem prò multis» ma per servire e dare la propria vita in riscatto per
(Mt 20,28). Presbyteri sincere iaicorum dignitatem molti» (Mt 20,28). I presbiteri devono riconoscere
àtque propriam, quam laici in missione Ecciesiae e promuovere sinceramente la dignità dei laici
habent partem, agnoscant et promoveant. lustam nonché il toro ruolo specifico nella missione della
etiam libertatem, quae omnibus in civitate terrestri Chiesa. Abbiano inoltre il massimo rispetto per la
competit, seduto in honore habeant. Libenter au- giusta libertà che compete ai laici nella città terre
diantlaicos, eorum desiderio fraterne considerantes stre. Ascoltino volentieri il parere dei laici, consi
eorumque experientiam et competentiam in diver derando con interesse fraterno le loro aspirazioni
tii cdmpis humanae actionis agnoscentes, ut simul e riconoscendo la loro esperienza e competenza
cum ipsis signa temporum recognoscere queant. nei diversi campi dell'attività umana, in modo
Probantes spiritus si ex Deo sint,5< charismata lai- da poter insieme con loro discernere i segni dei
corum mu/tiformia, tam humilia quam altiota, cum tempi. Sapendo distinguere quali spiriti abbiano
sensu (idei detegant, cum gaudio agnoscant, cum origine da Dio,53 essi devono scoprire con senso di
diligentia foveant. inter alia vero dona Dei quae fede i carismi, umili e eccelsi, concessi sotto mol
■in fidelibus abundanter inveniuntur peculiari cura teplici forme ai laici, li riconoscano con gioia, e li
digna sunt, quibus non pauci ad aitiorem vitam fomentino con diligenza; tra i vari doni di Dio che
spirituolem attrahuntur. Itera cum fiducia laicis in si trovano abbondantemente tra i fedeli, meritano
servitìum Ecciesiae officia committant, eis agendi speciale attenzione quelli che attraggono non po
libertatem et spatium relinquentes, immo eos ut chi a una vita spirituale più elevata. Non esitino ad
[òpera etiam sua sponte aggrediantur opportune affidare ai laici degli incarichi al servizio della Chie
irivitàntes.15 sa, lasciando loro libertà di azione e margine [di
autonomia], anzi invitandoli opportunamente a
intraprendere attività anche di propria iniziativa.55
■ ■ Presbyteri demum in medio Iaicorum positi I presbiteri insomma, sono posti in mezzo
sunt ut omnes ad caritatis unitatem ducant «cari ai laici per condurre tutti all'unità della carità,
ate fràternitatis invicem diligentes, honore invi «amandosi gli uni gli altri con affetto fraterno, ga
terò praevenientes» (Rm 12,10). Eorum igitur est reggiando nello stimarsi a vicenda» (Rm 12,10). A
diversa! mentes ita componete ut nemo in fidelium loro spetta quindi armonizzare le diverse mentali
communitate extraneum se sentiat. Boni commu tà in modo che nessuno, nella comunità dei fede
titi, cuius nomine Episcopi curam habent, sunt de- li, si senta estraneo. Essi sono i difensori del bene
fensores, atque simul veritatìs strenui assertores, comune, che tutelano in nome del vescovo, e allo
tne ftdeles ornai vento doctrinae circumferantur.se stesso tempo strenui assertori della verità, affin
i Peculiari sollicitudini eorum committuntur qui a ché i fedeli non siano portati qua e là da qualsiasi
vento di dottrina.56 Speciale sollecitudine devono
praxi Sacramentorum, immo a fide forsan defe- j avere per quanti hanno abbandonato la pratica
cerunt, quos quidem ut boni pastores adire non [ dei sacramenti o forse addirittura la fede, e come
omittent. buoni pastori non tralascino di farsi loro vicini.
Commendato! sibi tandem habebunt illos Considerino inoltre come affidati alla propria
omnes qui Christum Salvatorem suum non agnos- cura quanti non riconoscono Cristo come loro sal
cunt. vatore.
Ipsi vero christìfideles consci! sint se obligatos I fedeli, dal canto loro, abbiano coscienza del;
esse Presbyteris suis, et ideo filiali amore eosdem, loro debito nei confronti dei presbiteri, li trattino
pastores suos et patres, prosequantur; item, eorum perciò con amore filiale, come pastori e padri;
sollicitudines participantes, oratione et opere guan e, condividendone le preoccupazioni, siano per
toni fieri possitauxilio sint suis Presbyteris, uthiap- quanto possibile di aiuto ai loro presbiteri con la
tìus difficultates superare et fructuosius officia sua preghiera e con l'azione, in modo che essi possa
adimp/ere valeant.56 no superare più agevolmente le proprie difficoltà,
e assolvere i propri compiti con maggior frutto.”
La sezione tratta infine del rapporto con i laici, ricordando fin dall’inizio che
i presbiteri sono dei battezzati, discepoli prima che padri e maestri, «fratres in-|
ter fratres». Nel passaggio al quarto schema, questo paragrafo sulla relazione tra L
presbiteri e laici, che era il primo dei tre riguardanti le relazioni, diventa l’ultinio.v
Quindici padri infatti avevano ritenuto poco conveniente che il decreto awias^
la trattazione dai laici, suggerendo invece l’ordine che poi ha assunto: rapporto
con il vescovo, con gli altri presbiteri, con i laici.7911 decreto si è in tal modo con-7
formato alla struttura della Lumen gentium, che ha trattato prima dei vescovi ~
dei presbiteri (c. Ili) e poi dei laici (c. IV), dedicando infine un capitolo ancl
ai religiosi (c. VI). C’è da obiettare però che Lumen gentium aveva dedicato
secondo capitolo al popolo di Dio nella sua interezza, per cui sarebbe risultai
logico adottare anche nel decreto una sequenza sì gerarchica, ma ormai inserii
in un’ecclesiologia battesimale. ■
Che i redattori avessero comunque presente prima ciò che unisce i battezza
ti tra loro invece di ciò che li distingue, lo dimostra anche il rifiuto di elimina
re dallo schema l’espressione «fratres inter fratres» (con riferimento a Mt 23,8),
come era stato chiesto da un padre nel passaggio alla redazione finale. Egli così
argomentava: «La relazione dei presbiteri verso i fedeli venga definita relazione
da padre a figlio, non relazione tra fratelli. Il motivo è che questo è conforme
alla coscienza del popolo cristiano e che, come nella famiglia naturale, così nella
famiglia spirituale chi amministra e presiede è detto padre». Al che la Commis
sióne, dopo aver fatto notare che lo schema affermava già, poche linee sopra, la
paternità del presbitero - parlando di «funzione eccelsa e necessaria di padre e
di maestro» -, rispose: «Nelle lettere di San Paolo si asserisce che l’Apostolo è sia
fratello che padre».80 II testo, quindi, inquadra il rapporto tra i presbiteri e i laici
nei termini di una «paternità fraterna»: parafrasando un famoso passo agostinia
no,81 si potrebbe dire: per i laici sono padri, con i laici fratelli.
La promozione della dignità dei fedeli laici e il rispetto della loro libertà, af
ferma il secondo capoverso, comportano alcuni atteggiamenti pratici: ascoltare il
loro parere, giovandosi delle loro diverse competenze, e aiutarli a scoprire i loro
carismi, favorendo le loro iniziative. Conformemente alla valorizzazione del lai
cato nel capitolo IV di Lumen gentium e nella Apostolicam actuositatem, il testo
conciliare supera quella divisione netta tra laici e sacerdoti che aveva ricevuto nel
Decretum Gratiani nella prima metà del XII secolo, la famosa formulazione «duo
; sunt genera christianorum». Il primo genus, legato alla contemplazione e al culto,
rappresenta coloro che noi chiamiamo oggi il clero e i religiosi; il secondo genere
di cristiani, i laici, a cui
è permesso (licet) possedere beni temporali, ma solamente per il bisogno e l’uso [...].
Essi sono autorizzati (concessum est) a sposarsi, coltivare la terra, far da arbitri in giu
dizio, difendere le proprie cause, depositare le offerte sull’altare, pagare le decime: in
Ì tal modo si possono salvare, se però evitano i vizi e fanno il bene.82
K L’accento è ben diverso nel Vaticano II, anche in questo passaggio del decreto.
Hh particolare, alla richiesta che i presbiteri abbiano «il massimo rispetto per la
giusta libertà che compete ai laici nella città terrestre», inserita ex novo nel quinto
schema,83 si deve registrare la ferma opposizione di un padre che, nel passaggio
sèsto schema al testo definitivo, chiede di eliminare queste parole in quanto
Questa tensione è sintomo che la divisione dei cristiani in «duo genera», uno
superiore e l’altro inferiore, era persistente.
Il resto del n. 9 è un insieme, ben costruito, di esortazioni al rispetto reciproco
tra presbiteri e laici e al riconoscimento vicendevole dei ruoli, delle capacità e dei
doni spirituali: questa parte non attrasse particolarmente il dibattito.
Era dunque una crisi del sacerdozio paragonabile solo a quella che cinque se
coli prima aveva contrapposto Lutero e il concilio di Trento e che riguardava la
legittimità del sacramento dell’ordine, di un sacerdozio ministeriale. I testi del
concilio non sembravano più in grado - a distanza di pochi anni - di risponde
re alla questione basilare, che in effetti non si erano posta, dando per assodata
resistenza del ministero e chiedendosi piuttosto quale fosse la sua natura. Con
il Vaticano II sembrava raggiunta una felice sintesi fra i diversi modelli che per
sècoli erano stati contrapposti o giustapposti: eppure pochi anni dopo la chiusura
del concilio papa Paolo VI sentì il bisogno di celebrare un sinodo sul sacerdozio
ministeriale. Il clima di contestazione e dissenso costituì un nuovo scenario nel
. quale ancora una volta veniva interrogata la dottrina, e in maniera molto radicale.
La Pastores dabo vobis, nel 1992, dichiarò conclusa la crisi di identità teologi
ca,88 c dopo più di due decenni si può concordare. Uno sguardo alla bibliografia
conferma che, dopo l’esplosione di studi dei due decenni successivi alla conclu
sione del Vaticano II, la teologia del ministero raggiunse una certa pacificazione,
evitando le estremizzazioni - sacerdozio contro ministero, dall’alto oppure dal
basso, polo ecclesiologico contro polo cristologico, ontologico o funzionale, culto
,o missione e così via -, cercando piuttosto di integrare i diversi elementi della
Scrittura e della tradizione, come del resto aveva fatto il Vaticano II. Si è aperto
tuttavia, correlativamente, un altro fronte della crisi, quasi un contraccolpo tardi
vo di quella post-conciliare, che si potrebbe indicare come «crisi di identità pasto-
rale». Questo nuovo tornante non riguarda più le domande radicali di prima sulla
ragion d’essere teologica del ministero, ma ruota attorno alla sua configurazione
j; pastorale. Ora la gestione delle crisi sacerdotali è più riservata e spesso non con-
| duce all’abbandono; rimane tuttavia un clima di sottofondo a volte pesante tra i
^presbiteri. Occorrerebbe senza dubbio cercare le cause in direzioni diverse, ma
l forse il perno attorno a cui ruota un certo malessere è una causa precisamente
I «pastorale», che rende oggi più attuale di alcuni decenni fa la dottrina di Presbyte-
I rorum ordinis e ne mostra più chiaramente il carattere equilibrato.
| Il quadro pastorale, che è stato più volte autorevolmente richiamato dagli ulti-
MÌ pontefici e ora con particolare forza da papa Francesco, richiede ormai decisa
mente il passaggio da una Chiesa che conserva se stessa a una Chiesa missionaria,
gli passaggio è in atto da tempo, ma non è facile. I presbiteri sentono tutta la respon-
sibili tà dì questo passaggio e qualche volta si trovano in grave difficoltà, fino ad
L’iprire veri e propri spazi di crisi, che sono la porta per la ricerca di compensazioni
K alternative. Il concilio aveva indicato nella triplice relazione - con il vescovo, il
■r. * Cf. PDV'3: «L’attenzione si è spostata dal problema dell’identità del presbitero ai problemi connessi con l'iti-
[SjWrario formativo al sacerdozio e con la qualità di vita dei sacerdoti» (EV13/1169).
420 Presbyterorum ordinis IO
presbiterio e i laici - la trama adeguata per affrontare le sfide della missione da par
te dei presbiteri. Ora possiamo dire con chiarezza che se un presbitero va in crisi,
non è più normalmente a motivo della confusione o del dubbio circa la sua identità
teologica, ma a motivo del logoramento di alcune relazioni ecclesiali: incompren- ,
sioni o mancanza di relazione con il proprio vescovo, rapporti di bassa qualità nel
presbiterio, tensioni e conflitti con i laici. , I
Se la qualità delle relazioni con i laici, gli altri presbiteri e il vescovo è buona ]
- pur nelle inevitabili e per certi aspetti necessarie tensioni - è più difficile che ®
rimanga aperto uno spazio per una crisi profonda. Sembra quindi che la radice
di quella che anche oggi si può chiamare «crisi» - crisi pastorale - dipenda da
qualche relazione ecclesiale vissuta in modo inadeguato dal presbitero. Se questa
analisi è plausibile, allora l’attenzione si rivolge nuovamente alla dottrina del Va- h
ticano II, soprattutto a PO 7-9: per questo la sua dottrina si presenta oggi nuova-,;h
mente come un aiuto per affrontare e superare la crisi.
Antón A., «Principios fundamcntales para una teologia del laicado en la edesiologia del Valica-
no II», in Gregorianum 68(1987), 103-155.
Canobbio G„ «Preti e laici; la diffìcile collaborazione», in La Rivista del Clero italiano 76(1996),
445. ',S
Colombo G., «La “teologia del laicato”: bilancio di una vicenda storica», in I laici nella Chiesa, fa
ElleDiCi, Torino-Leumann 1986,9-27.
Rosato P., «Priesthood of thè Baptized and Priesthood of thè Ordained. Complementary Ap- 4]
proaches to Their Interrelation», in Gregorianum 68(1987), 215-266.
POIO .■
10. Donum spirituale, quod Presbyteri in 10. Il dono spirituale che i presbiteri hanno
ordinatone acceperunt, illos non ad limitatati! ricevuto nell'ordinazione non li prepara a una
quondam et coarctatam missionem praeparat, missione limitata e ristretta, bensì a una vastis
sed ad amplissimam et universalem missionem sima e universale missione di salvezza, «fina»
salutis «usque ad ultimum terree» (Art 1,8), nam confini della terra» (At 1,8), dato che qualsiasi ,
quodlibet sacerdotale ministerium participat ip- ministero sacerdotale partecipa della stessa antì
sam universalem amplitudinem missionis a Chrìsto piezza universale della missione affidata da Cri
Apostolis concreditae. Christi enim Sacerdotium, sto agli apostoli. Infatti II sacerdozio di Cristo, di]
Presbyterorum ordinis 10 421
cuius Presbyteri vere participes foctì sunt, ad omnes cui i presbiteri sono resi realmente partecipi, si
populos et ad omnia tempora necessario dirìgitur, dirige necessariamente a tutti i popoli e a tutti i
neque ullis limitibus sanguinis, nationis vel aetatis tempi, né ammette limite alcuno di stirpe, nazio
coarctatur, ut iam in figura Melchisedech arcano ne o età, come è già prefigurato in modo arcano
modo praefìguratur.59 Meminerint igitur Presbyteri in Melchìsedek.5’ Ricordino quindi i presbiteri
omnium ecclesiarum sollìcitudinem sibi cordi esse che deve stare loro a cuore la sollecitudine per
debere. Quapropter Presbyteri illarum dioecesium, tutte le Chiese. Pertanto, i presbiteri delle dio
qùae malore vocationum copia ditantur, libenterse cesi più ricche di vocazioni si rendano volentieri
paratos proebeant, permìttente vel exhortante pro disponibili a esercitare il proprio ministero, su
prio Ordinario, ad suum ministerium in regionibus, consenso o invito del proprio ordinario, in quelle
missionibus vel operibus cleri penuria laborantibus regioni, missioni o opere che soffrano di scarsez
exercendum. za di clero.
Ad novam tamen regionem, praesertim si II- Per quanto è possibile, i presbiteri non ven
lius linguam et mores nondum bene cognoverint, gano mandati soli in una nuova regione, soprat
,ìn quantum fieri potest, Presbyteri ne mittantur tutto quando non ne conoscano ancora bene la
snguli, sed, ad exemplum Christi discipulorum,60 lingua e le usanze, ma a gruppi di almeno due o
taitem bini vel terni, ut ita mutuo sibi sint adiuto- tre, come i discepoli del Cristo,60 in modo da aiu
rio. Poriter expedit sollicitam curam adhibere de tarsi a vicenda. Parimenti è necessario che ci si
eorum vita spirituali, necnon de eorum valetudine prenda cura della loro vita spirituale e della loro
mentis et corporis; et, quatenus id fieri possit, loca salute fisica e psichica; e, nei limiti del possibile,
et condiciones laboris prò ipsis praeparentur iuxta si scelgano luoghi e condizioni di lavoro meglio
'uniuscuiusque adiuncta personalia. Magnopere corrispondenti alle condizioni personali di cia
expedit simul ut, qui novam nationem petunt, apte scuno. È altrettanto necessario che coloro che si
.cognoscere curent non solum linguam illius loci, avviano a una nuova nazione cerchino di cono-
$ »Cf.Heb7,3.
59 Cf. Eb7,3.
aCf. Le 10,1- 60 Cf. Le 10,1.