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si possono intensificare la vita spirituale, dare forza all’apostolato, approfondire


gli studi e prendersi cura della sicurezza sociale. Da quel momento in avanti
l’orientamento molto favorevole alla costituzione di queste associazioni, a con­
dizione che ricevano il riconoscimento dall’autorità ecclesiastica competente, ■ì
viene sempre confermato fino a essere pienamente recepito nel testo definitivo
del decreto.
Ol Caet i.i A., «La vita comune del clero diocesano. L’insegnamento del Magistero nel nostro seco;
Zj lo», in La Rivista del Clero italiano 79(1998), 19-32.
— Fusco V., «11 presbiterio: fondazione biblico-teologica», in Asprenas 33(1986), 5-35.
Semeraro M., «Per una fondazione teologica del presbiterio», in Lateranum 64(1998), 135-
156.
Spera S„ «Spiritualità del presbitero diocesano e vita comune», in Rassegna di Teologia 23(1982),
236-249. W s

[ Rapporti dei presbiteri con i laici ]

9. Novi Testamenti sacerdote!, licet Sacramenti 9.1 sacerdoti del Nuovo Testamento, anche
Ordinis ratione praestantissimum oc necessarium in se in virtù del sacramento dell'ordine svolgo-
Populo et prò Popolo Dei munus patris et magistri no la funzione eccelsa e necessaria di padre e di ■
exerceant, tamen simul cum omnibus chrìstifideli- maestro nel popolo e per il popolo di Dio, sono:
bus sunt discipuli Domini, Dei vocantis grafia Eius tuttavia, insieme a tutti gli altri fedeli, discepoli '
Regni partìcipes facti.50 Cum omnibus enim in fonte del Signore, fatti partecipi del suo regno perla ।
baptismi regeneratis Presbyteri sunt fratres inter chiamata di Dio.50 Insieme a tutti coloro che fu- ,
fratres,5' utpote membra unius eiusdemque elitis­ rono rigenerati nell'acqua del battesimo i presbi­
ti Corporis, cuius aedificatio omnibus demandata teri sono fratelli tra fratelli,51 quali membra dello |
est.52 stesso e unico corpo di Cristo, la cui edificazione è
confidata a tutti.52

s°Cf.1Ts2,12;Col1,13. 50 Cf. ITs 2,12; Col 1,13.


51 Cf. Mt 23,8. «Opus est deinde, ut ea re quod homi- 3‘ Cf. Mt 23,8. «Bisogna farsi fratelli degli uomini/'
num pastores, patres et magistri esse cupimus, idcirco nell'atto stesso che vogliamo essere loro pastori e padri
eorum fratres agamus» (Paulus VI, Lift, encycl. Ecclesia™ e maestri» (Paolo VI, lett. enc. Ecclesiam suam, 6 agosto ,
suam, 6 aug. 1964: AAS 56[1964], p. 647; EV 2/198). 1964; AAS 56(1964], 64; tV 2/198).
a Cf. Eph 4,7 et 16; Const. Apost,, Vili, 1, 20: «Quin ” Cf. Ef4,7 e 16; Cast Apost., Vili, 1, 20; «Co* mpJ
edam neque episcopus in diacono; vel presbyteros se ex- pure il vescovo si esalti sopra i diaconi o i presbiteri,ne |
tollat, neque presbyteri in plebem; ex utriusque enim cac­ i presbiteri sopra il popolo: dagli uni e gli altri assieme j
tus compositi exstat» (ed. FX Funk, I, p. 467). dipende la consistenza della comunità» (ed. FX 'futi®
I, 467; cf. Costituzioni dei santi Apostoli per mano d/Cid'S
mente, a cura di D. Spada e D. Salackas, Urbaniana Univer -;j
sity Press, Roma 2001,200).
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Presbyteros igitur sic oportet processe, ut non Nel presiedere la comunità i presbiteri, non
quae sua sunt quaerentes, sed quae lesu Christi,5354 mirando ai propri interessi ma a quelli di Gesù Cri­
cum fidelibus laicis operam coniungant et in medio sto,53 uniscano i loro sforzi a quelli dei fedeli laici,
eorum se gerani ad exemplum Magistri, qui inter comportandosi in mezzo a loro come il maestro,
homines «non venit ministrar!, sed ministrare, et che tra gli uomini «non è venuto per farsi servire,
dare animato suam redemptionem prò multis» ma per servire e dare la propria vita in riscatto per
(Mt 20,28). Presbyteri sincere iaicorum dignitatem molti» (Mt 20,28). I presbiteri devono riconoscere
àtque propriam, quam laici in missione Ecciesiae e promuovere sinceramente la dignità dei laici
habent partem, agnoscant et promoveant. lustam nonché il toro ruolo specifico nella missione della
etiam libertatem, quae omnibus in civitate terrestri Chiesa. Abbiano inoltre il massimo rispetto per la
competit, seduto in honore habeant. Libenter au- giusta libertà che compete ai laici nella città terre­
diantlaicos, eorum desiderio fraterne considerantes stre. Ascoltino volentieri il parere dei laici, consi­
eorumque experientiam et competentiam in diver­ derando con interesse fraterno le loro aspirazioni
tii cdmpis humanae actionis agnoscentes, ut simul e riconoscendo la loro esperienza e competenza
cum ipsis signa temporum recognoscere queant. nei diversi campi dell'attività umana, in modo
Probantes spiritus si ex Deo sint,5< charismata lai- da poter insieme con loro discernere i segni dei
corum mu/tiformia, tam humilia quam altiota, cum tempi. Sapendo distinguere quali spiriti abbiano
sensu (idei detegant, cum gaudio agnoscant, cum origine da Dio,53 essi devono scoprire con senso di
diligentia foveant. inter alia vero dona Dei quae fede i carismi, umili e eccelsi, concessi sotto mol­
■in fidelibus abundanter inveniuntur peculiari cura teplici forme ai laici, li riconoscano con gioia, e li
digna sunt, quibus non pauci ad aitiorem vitam fomentino con diligenza; tra i vari doni di Dio che
spirituolem attrahuntur. Itera cum fiducia laicis in si trovano abbondantemente tra i fedeli, meritano
servitìum Ecciesiae officia committant, eis agendi speciale attenzione quelli che attraggono non po­
libertatem et spatium relinquentes, immo eos ut chi a una vita spirituale più elevata. Non esitino ad
[òpera etiam sua sponte aggrediantur opportune affidare ai laici degli incarichi al servizio della Chie­
irivitàntes.15 sa, lasciando loro libertà di azione e margine [di
autonomia], anzi invitandoli opportunamente a
intraprendere attività anche di propria iniziativa.55

■ ■ Presbyteri demum in medio Iaicorum positi I presbiteri insomma, sono posti in mezzo
sunt ut omnes ad caritatis unitatem ducant «cari­ ai laici per condurre tutti all'unità della carità,
ate fràternitatis invicem diligentes, honore invi­ «amandosi gli uni gli altri con affetto fraterno, ga­
terò praevenientes» (Rm 12,10). Eorum igitur est reggiando nello stimarsi a vicenda» (Rm 12,10). A
diversa! mentes ita componete ut nemo in fidelium loro spetta quindi armonizzare le diverse mentali­
communitate extraneum se sentiat. Boni commu­ tà in modo che nessuno, nella comunità dei fede­
titi, cuius nomine Episcopi curam habent, sunt de- li, si senta estraneo. Essi sono i difensori del bene
fensores, atque simul veritatìs strenui assertores, comune, che tutelano in nome del vescovo, e allo
tne ftdeles ornai vento doctrinae circumferantur.se stesso tempo strenui assertori della verità, affin­
i Peculiari sollicitudini eorum committuntur qui a ché i fedeli non siano portati qua e là da qualsiasi
vento di dottrina.56 Speciale sollecitudine devono

”Cf Phil 2.21. 53 Cf.fi/2,21.


^Cf. Ilo4,1. 54 Cf. JGv4,1.
K ss Cf. Cene. l/4r. Il, Const. dogm. de Ecclesia Lumen 55 Cf. Conc. Vat. il, cose dogm. sulla Chiesa Lumen
gentium, n. 37: AAS 57(1965), pp. 42 43: LV 1/384. gentium, n. 37: AAS 57(1965), 42-43; EV 1/384.
ÌF '".«a Eph4, M. ▼ 56 Cf. Ef4,14.
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praxi Sacramentorum, immo a fide forsan defe- j avere per quanti hanno abbandonato la pratica
cerunt, quos quidem ut boni pastores adire non [ dei sacramenti o forse addirittura la fede, e come
omittent. buoni pastori non tralascino di farsi loro vicini.

Ad praescripta de oecumenìsmo attendente!,57 Avendo presenti le disposizioni circa l'ecume­


non obliviscenturfratrum qui piena nobiscum eccle­ nismo,37 non trascurino i fratelli che non parteci­
siastica communione non fruuntur. pano con noi della piena comunione ecclesiastica.;:

Commendato! sibi tandem habebunt illos Considerino inoltre come affidati alla propria
omnes qui Christum Salvatorem suum non agnos- cura quanti non riconoscono Cristo come loro sal­
cunt. vatore.

Ipsi vero christìfideles consci! sint se obligatos I fedeli, dal canto loro, abbiano coscienza del;
esse Presbyteris suis, et ideo filiali amore eosdem, loro debito nei confronti dei presbiteri, li trattino
pastores suos et patres, prosequantur; item, eorum perciò con amore filiale, come pastori e padri;
sollicitudines participantes, oratione et opere guan­ e, condividendone le preoccupazioni, siano per
toni fieri possitauxilio sint suis Presbyteris, uthiap- quanto possibile di aiuto ai loro presbiteri con la
tìus difficultates superare et fructuosius officia sua preghiera e con l'azione, in modo che essi possa­
adimp/ere valeant.56 no superare più agevolmente le proprie difficoltà,
e assolvere i propri compiti con maggior frutto.”

57 Cf. Corte. Vai. li, Decr. de Oecumenìsmo Unitati; re-


---------- 'ffil
57 Cf. Conc. Vai. il, decr. sull'ecumenismo Unitotisre-
dintegratio; AAS 57(1965), pp. 90$s; EV l/494ss. dintegrotìo: AAS 57(1965), 90ss; EV 1/494;;.
se Cf. Cotte. Vat. Il, Const. dogm. de ecclesia Lumen Cf. Cose. Vat. Il, cost. dogm. sulla Chiesa lumen
gentium, n. 37: AAS 57(1965), pp. 42-43; EV 1/383. V gentium, n. 37: AAS 57(1965), 42-43; EV 1/383.

La sezione tratta infine del rapporto con i laici, ricordando fin dall’inizio che
i presbiteri sono dei battezzati, discepoli prima che padri e maestri, «fratres in-|
ter fratres». Nel passaggio al quarto schema, questo paragrafo sulla relazione tra L
presbiteri e laici, che era il primo dei tre riguardanti le relazioni, diventa l’ultinio.v
Quindici padri infatti avevano ritenuto poco conveniente che il decreto awias^
la trattazione dai laici, suggerendo invece l’ordine che poi ha assunto: rapporto
con il vescovo, con gli altri presbiteri, con i laici.7911 decreto si è in tal modo con-7
formato alla struttura della Lumen gentium, che ha trattato prima dei vescovi ~
dei presbiteri (c. Ili) e poi dei laici (c. IV), dedicando infine un capitolo ancl
ai religiosi (c. VI). C’è da obiettare però che Lumen gentium aveva dedicato
secondo capitolo al popolo di Dio nella sua interezza, per cui sarebbe risultai
logico adottare anche nel decreto una sequenza sì gerarchica, ma ormai inserii
in un’ecclesiologia battesimale. ■

” ASIV, IV, 867.


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Che i redattori avessero comunque presente prima ciò che unisce i battezza­
ti tra loro invece di ciò che li distingue, lo dimostra anche il rifiuto di elimina­
re dallo schema l’espressione «fratres inter fratres» (con riferimento a Mt 23,8),
come era stato chiesto da un padre nel passaggio alla redazione finale. Egli così
argomentava: «La relazione dei presbiteri verso i fedeli venga definita relazione
da padre a figlio, non relazione tra fratelli. Il motivo è che questo è conforme
alla coscienza del popolo cristiano e che, come nella famiglia naturale, così nella
famiglia spirituale chi amministra e presiede è detto padre». Al che la Commis­
sióne, dopo aver fatto notare che lo schema affermava già, poche linee sopra, la
paternità del presbitero - parlando di «funzione eccelsa e necessaria di padre e
di maestro» -, rispose: «Nelle lettere di San Paolo si asserisce che l’Apostolo è sia
fratello che padre».80 II testo, quindi, inquadra il rapporto tra i presbiteri e i laici
nei termini di una «paternità fraterna»: parafrasando un famoso passo agostinia­
no,81 si potrebbe dire: per i laici sono padri, con i laici fratelli.
La promozione della dignità dei fedeli laici e il rispetto della loro libertà, af­
ferma il secondo capoverso, comportano alcuni atteggiamenti pratici: ascoltare il
loro parere, giovandosi delle loro diverse competenze, e aiutarli a scoprire i loro
carismi, favorendo le loro iniziative. Conformemente alla valorizzazione del lai­
cato nel capitolo IV di Lumen gentium e nella Apostolicam actuositatem, il testo
conciliare supera quella divisione netta tra laici e sacerdoti che aveva ricevuto nel
Decretum Gratiani nella prima metà del XII secolo, la famosa formulazione «duo
; sunt genera christianorum». Il primo genus, legato alla contemplazione e al culto,
rappresenta coloro che noi chiamiamo oggi il clero e i religiosi; il secondo genere
di cristiani, i laici, a cui
è permesso (licet) possedere beni temporali, ma solamente per il bisogno e l’uso [...].
Essi sono autorizzati (concessum est) a sposarsi, coltivare la terra, far da arbitri in giu­
dizio, difendere le proprie cause, depositare le offerte sull’altare, pagare le decime: in
Ì tal modo si possono salvare, se però evitano i vizi e fanno il bene.82

K L’accento è ben diverso nel Vaticano II, anche in questo passaggio del decreto.
Hh particolare, alla richiesta che i presbiteri abbiano «il massimo rispetto per la
giusta libertà che compete ai laici nella città terrestre», inserita ex novo nel quinto
schema,83 si deve registrare la ferma opposizione di un padre che, nel passaggio
sèsto schema al testo definitivo, chiede di eliminare queste parole in quanto

” Ct AS IV. VII, 169-170.


F *' Cf Agostino, Discorso 340,1: «Vobis enim sum episcopus, vobiscum sum christianus» (in Discorsi/5, Città
lfcova,Roma 1986).
, P PL 187,884-885.
” ASIV, IV, 352.
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«equivoche, pericolose e non pertinenti». Rifiutando questa richiesta, la Commis­


sione redattrice risponde:
Devono essere riconosciute dalla Chiesa le libertà che i laici hanno nel campo loro
proprio, ed è necessario che sia affermato questo dovere della legge naturale. Del resto
queste cose vengono desunte quasi letteralmente dalla cost. Lumen gentium n. 3718485 *87

Questa tensione è sintomo che la divisione dei cristiani in «duo genera», uno
superiore e l’altro inferiore, era persistente.
Il resto del n. 9 è un insieme, ben costruito, di esortazioni al rispetto reciproco
tra presbiteri e laici e al riconoscimento vicendevole dei ruoli, delle capacità e dei
doni spirituali: questa parte non attrasse particolarmente il dibattito.

La recezione magisteriale della seconda sezione del capitolo II è molto diffi­


cile da valutare. Si sono svolti sotto il pontificato di Giovanni Paolo II tre sinodi;
dedicati, ciascuno, agli argomenti di questi paragrafi: un sinodo sui laici, sfociato
nell’esortazione Christifideles laici;*5 uno sui presbiteri, raccolto poi nell’esorta­
zione Pastores dabo vobis;*6 e infine uno sui vescovi, che ha prodotto l’esortazione
Pastoresgregis.*7 Già questo dato può dare un’idea della complessità delle situazio­
ni e delle riflessioni che la recezione di questi temi conciliari mette in gioco. Of­
friamo uno spunto, riprendendo le osservazioni sulla recezione della sezione pre­
cedente. Tra la fine degli anni ’60 e la metà degli anni ’70 del secolo scorso, co®
accennato, esplose la «crisi di identità teologica» dei presbìteri. Non era una cri
superficiale, legata unicamente a rivendicazioni ecclesiali di tipo democratizzati
o a crisi psico-affettive personali. La contestazione verso le strutture gerarchie
la richiesta di desacralizzazione e desacerdotalizzazione, l’istanza di abolizione
celibato, ecc. erano fenomeni vistosi e a volte clamorosi, anche perché spessii
guiti dall’abbandono del ministero di diversi presbiteri e dallo svuotamento i
seminari. Questi erano però epifenomeni, che avevano alla base una questic
determinante: è proprio necessario ammettere l’esistenza del sacramento delfi
dine, che dà il carattere, o è sufficiente che ogni comunità elegga un suo preside,
per un certo tempo? Esiste davvero nella Chiesa un sacramento che abilita ?
l’esercizio del ministero pastorale attraverso l’imposizione delle mani? Al di
quindi delle rivendicazioni ecclesiali, delle crisi psicologico-affettive,'degli a
giamenti pastorali audaci, vi erano ragioni teologiche vere e proprie, riguari
niente meno che la ragion d’essere stessa del ministero ordinato.

" ASIV.VU, 170. ' CsMM


85 Cf. Giovanni Paolo li, esortazione post-sinodale Christifideles laici (30.12.1988): £711/1606-1900’.
“ PDV-. £713/1154-1553. 9
87 Giovanni Paolo II, esortazione apostolica post-sinodale Pastores gregis (16.10.2003): £7 22/665»9®
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Era dunque una crisi del sacerdozio paragonabile solo a quella che cinque se­
coli prima aveva contrapposto Lutero e il concilio di Trento e che riguardava la
legittimità del sacramento dell’ordine, di un sacerdozio ministeriale. I testi del
concilio non sembravano più in grado - a distanza di pochi anni - di risponde­
re alla questione basilare, che in effetti non si erano posta, dando per assodata
resistenza del ministero e chiedendosi piuttosto quale fosse la sua natura. Con
il Vaticano II sembrava raggiunta una felice sintesi fra i diversi modelli che per
sècoli erano stati contrapposti o giustapposti: eppure pochi anni dopo la chiusura
del concilio papa Paolo VI sentì il bisogno di celebrare un sinodo sul sacerdozio
ministeriale. Il clima di contestazione e dissenso costituì un nuovo scenario nel
. quale ancora una volta veniva interrogata la dottrina, e in maniera molto radicale.
La Pastores dabo vobis, nel 1992, dichiarò conclusa la crisi di identità teologi­
ca,88 c dopo più di due decenni si può concordare. Uno sguardo alla bibliografia
conferma che, dopo l’esplosione di studi dei due decenni successivi alla conclu­
sione del Vaticano II, la teologia del ministero raggiunse una certa pacificazione,
evitando le estremizzazioni - sacerdozio contro ministero, dall’alto oppure dal
basso, polo ecclesiologico contro polo cristologico, ontologico o funzionale, culto
,o missione e così via -, cercando piuttosto di integrare i diversi elementi della
Scrittura e della tradizione, come del resto aveva fatto il Vaticano II. Si è aperto
tuttavia, correlativamente, un altro fronte della crisi, quasi un contraccolpo tardi­
vo di quella post-conciliare, che si potrebbe indicare come «crisi di identità pasto-
rale». Questo nuovo tornante non riguarda più le domande radicali di prima sulla
ragion d’essere teologica del ministero, ma ruota attorno alla sua configurazione
j; pastorale. Ora la gestione delle crisi sacerdotali è più riservata e spesso non con-
| duce all’abbandono; rimane tuttavia un clima di sottofondo a volte pesante tra i
^presbiteri. Occorrerebbe senza dubbio cercare le cause in direzioni diverse, ma
l forse il perno attorno a cui ruota un certo malessere è una causa precisamente
I «pastorale», che rende oggi più attuale di alcuni decenni fa la dottrina di Presbyte-
I rorum ordinis e ne mostra più chiaramente il carattere equilibrato.
| Il quadro pastorale, che è stato più volte autorevolmente richiamato dagli ulti-
MÌ pontefici e ora con particolare forza da papa Francesco, richiede ormai decisa­
mente il passaggio da una Chiesa che conserva se stessa a una Chiesa missionaria,
gli passaggio è in atto da tempo, ma non è facile. I presbiteri sentono tutta la respon-
sibili tà dì questo passaggio e qualche volta si trovano in grave difficoltà, fino ad
L’iprire veri e propri spazi di crisi, che sono la porta per la ricerca di compensazioni
K alternative. Il concilio aveva indicato nella triplice relazione - con il vescovo, il

■r. * Cf. PDV'3: «L’attenzione si è spostata dal problema dell’identità del presbitero ai problemi connessi con l'iti-
[SjWrario formativo al sacerdozio e con la qualità di vita dei sacerdoti» (EV13/1169).
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presbiterio e i laici - la trama adeguata per affrontare le sfide della missione da par­
te dei presbiteri. Ora possiamo dire con chiarezza che se un presbitero va in crisi,
non è più normalmente a motivo della confusione o del dubbio circa la sua identità
teologica, ma a motivo del logoramento di alcune relazioni ecclesiali: incompren- ,
sioni o mancanza di relazione con il proprio vescovo, rapporti di bassa qualità nel
presbiterio, tensioni e conflitti con i laici. , I
Se la qualità delle relazioni con i laici, gli altri presbiteri e il vescovo è buona ]
- pur nelle inevitabili e per certi aspetti necessarie tensioni - è più difficile che ®
rimanga aperto uno spazio per una crisi profonda. Sembra quindi che la radice
di quella che anche oggi si può chiamare «crisi» - crisi pastorale - dipenda da
qualche relazione ecclesiale vissuta in modo inadeguato dal presbitero. Se questa
analisi è plausibile, allora l’attenzione si rivolge nuovamente alla dottrina del Va- h
ticano II, soprattutto a PO 7-9: per questo la sua dottrina si presenta oggi nuova-,;h
mente come un aiuto per affrontare e superare la crisi.
Antón A., «Principios fundamcntales para una teologia del laicado en la edesiologia del Valica-
no II», in Gregorianum 68(1987), 103-155.
Canobbio G„ «Preti e laici; la diffìcile collaborazione», in La Rivista del Clero italiano 76(1996),
445. ',S
Colombo G., «La “teologia del laicato”: bilancio di una vicenda storica», in I laici nella Chiesa, fa
ElleDiCi, Torino-Leumann 1986,9-27.
Rosato P., «Priesthood of thè Baptized and Priesthood of thè Ordained. Complementary Ap- 4]
proaches to Their Interrelation», in Gregorianum 68(1987), 215-266.

III. Distribuzione dei presbiteri


L’ultima sezione del secondo capitolo prende le mosse dalla sollecitudine per
tutta la Chiesa e termina con alcune riflessioni sulle vocazioni sacerdotali.

POIO .■

[ Sollecitudine per tutta la Chiesa]

10. Donum spirituale, quod Presbyteri in 10. Il dono spirituale che i presbiteri hanno
ordinatone acceperunt, illos non ad limitatati! ricevuto nell'ordinazione non li prepara a una
quondam et coarctatam missionem praeparat, missione limitata e ristretta, bensì a una vastis­
sed ad amplissimam et universalem missionem sima e universale missione di salvezza, «fina»
salutis «usque ad ultimum terree» (Art 1,8), nam confini della terra» (At 1,8), dato che qualsiasi ,
quodlibet sacerdotale ministerium participat ip- ministero sacerdotale partecipa della stessa antì
sam universalem amplitudinem missionis a Chrìsto piezza universale della missione affidata da Cri­
Apostolis concreditae. Christi enim Sacerdotium, sto agli apostoli. Infatti II sacerdozio di Cristo, di]
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cuius Presbyteri vere participes foctì sunt, ad omnes cui i presbiteri sono resi realmente partecipi, si
populos et ad omnia tempora necessario dirìgitur, dirige necessariamente a tutti i popoli e a tutti i
neque ullis limitibus sanguinis, nationis vel aetatis tempi, né ammette limite alcuno di stirpe, nazio­
coarctatur, ut iam in figura Melchisedech arcano ne o età, come è già prefigurato in modo arcano
modo praefìguratur.59 Meminerint igitur Presbyteri in Melchìsedek.5’ Ricordino quindi i presbiteri
omnium ecclesiarum sollìcitudinem sibi cordi esse che deve stare loro a cuore la sollecitudine per
debere. Quapropter Presbyteri illarum dioecesium, tutte le Chiese. Pertanto, i presbiteri delle dio­
qùae malore vocationum copia ditantur, libenterse cesi più ricche di vocazioni si rendano volentieri
paratos proebeant, permìttente vel exhortante pro­ disponibili a esercitare il proprio ministero, su
prio Ordinario, ad suum ministerium in regionibus, consenso o invito del proprio ordinario, in quelle
missionibus vel operibus cleri penuria laborantibus regioni, missioni o opere che soffrano di scarsez­
exercendum. za di clero.

Normae praeterea de incardinatione et excardi- Pertanto le norme sull'incardinazione e l'e­


natione ita recognoscanturut, pervetere hocinstitu- scardinazione vengano riviste in modo che que­
to firmo manente, ipsum tornea hodiernis pastorali- sto antichissimo istituto, pur rimanendo in vigore,
bus necessitatibus melius respondeat. Ubi vero ratio risponda meglio alle odierne necessità pastorali.
apostolatus postulaverit, faciliora reddantur non Dove lo richiedano motivi di apostolato si faciliti
solum opta Presbyterorum distributio, sed etiam non solo una funzionale distribuzione dei presbi­
peculiaria opera pastoralia prò diversis coetibus so- teri, ma anche l'attuazione di specifiche iniziative
cialibus, quae in aliqua regione, vel natione aut in pastorali in favore di diversi gruppi sociali, cui dar
quacumque terrarum orbis parte perfìcienda sunt. vita in certe regioni o nazioni o addirittura in tut­
Ad hoc ergo quaedam seminario Internationalia, to il mondo. A questo scopo potrà essere utile la
peculiares dioeceses vel praelaturae personales et creazione di seminari internazionali, di apposite
alla huiusmodì utiliter constitui possunt, quibus, diocesi o prelature personali, e altre istituzioni del
mòdispro singu/is inceptis statuendis et salvis sem- genere, cui potranno essere ascritti o incardinati
periuribus Ordinariorum locorum, Presbyteri addici dei presbiteri per il bene di tutta la Chiesa, secon­
vel incardinar! queant in bonum commune totius do norme da stabilirsi per ognuna di queste istitu­
Ecclesiae. zioni, e rispettando sempre i diritti degli ordinari
del luogo.

Ad novam tamen regionem, praesertim si II- Per quanto è possibile, i presbiteri non ven­
lius linguam et mores nondum bene cognoverint, gano mandati soli in una nuova regione, soprat­
,ìn quantum fieri potest, Presbyteri ne mittantur tutto quando non ne conoscano ancora bene la
snguli, sed, ad exemplum Christi discipulorum,60 lingua e le usanze, ma a gruppi di almeno due o
taitem bini vel terni, ut ita mutuo sibi sint adiuto- tre, come i discepoli del Cristo,60 in modo da aiu­
rio. Poriter expedit sollicitam curam adhibere de tarsi a vicenda. Parimenti è necessario che ci si
eorum vita spirituali, necnon de eorum valetudine prenda cura della loro vita spirituale e della loro
mentis et corporis; et, quatenus id fieri possit, loca salute fisica e psichica; e, nei limiti del possibile,
et condiciones laboris prò ipsis praeparentur iuxta si scelgano luoghi e condizioni di lavoro meglio
'uniuscuiusque adiuncta personalia. Magnopere corrispondenti alle condizioni personali di cia­
expedit simul ut, qui novam nationem petunt, apte scuno. È altrettanto necessario che coloro che si
.cognoscere curent non solum linguam illius loci, avviano a una nuova nazione cerchino di cono-

$ »Cf.Heb7,3.
59 Cf. Eb7,3.
aCf. Le 10,1- 60 Cf. Le 10,1.

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