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1. Durante il regime del “Popolo”, i comuni hanno vissuto quella che Jean-Claude
Maire Vigueur ha identificato come una “rivoluzione documentaria”. Le istituzioni popo-
lari, sovrapponendosi alle antiche istituzioni del Podestà, hanno moltiplicato gli organi de-
cisionali ed esecutivi, nonché le relative produzioni scritte. La parola scritta, considerata
come strumento di classificazione e verifica, è ornata di ideologia: in un contesto di conflitto
interno, i governanti vogliono sottolineare la trasparenza delle loro decisioni. Questa nuo-
va preoccupazione per la prova, si traduce materialmente nella produzione di un maggior
numero di oggetti documentari destinati alla conservazione e alla consultazione. Cfr. J.-C.
Maire Vigueur, Révolution documentaire et révolution scripturaire: le cas de l’Italie médié-
vale, in «Bibliothèque de l’École des chartes», 153/1 (1995), pp. 177-185.
2. Le delibere dei consigli hanno visto la loro forma contrarsi dalla fine del XIII se-
colo, dando proporzionalmente più importanza alla decisione votata che alle discussioni
che l’hanno condotta. Questo «rispondeva senza dubbio, più che a un intento meramente
pratico di risparmio, ad una volontà di tenere l’elemento della discussione e della dialetti-
ca interna alle istituzioni fuori dall’ambito della memoria scritta»: L. Tanzini, Delibere e
verbali. Per una storia documentaria dei consigli nell’Italia comunale, in «Reti Medievali.
Rivista», 14 (2013), p. 67.
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svolgono un ruolo speciale nel mito comunale di una politica basata sul
consenso e, quindi, nella giustificazione di un’unità civica.
Questa evoluzione del pensiero documentaristico ha forti interrela-
zioni umane e testuali con la scrittura della storia urbana. In primo luogo,
perché le cronache e la documentazione spesso condividono gli stessi
autori.3 In secondo luogo, perché si può supporre, in diversi casi, che le
produzioni documentarie urbane siano servite come fonte per gli storici
medievali successivi. Ciò solleva la questione se l’evoluzione, percetti-
bile per le scritture legali, del metodo e dello scopo della trascrizione sia
evidente anche nel modo in cui i cronisti descrivono gli eventi vissuti e
in cui scrivono la narrazione di un passato a loro straniero. Inoltre, se
tale evoluzione esiste, dobbiamo considerare se riguarda, o meno, solo la
parola pubblica e politica.
Proponiamo, a tal fine, di partire da un corpus relativo a un singolo
Comune, per consentire un più sottile confronto diacronico del trattamento
degli eventi. I dieci testi considerati4 raccontano le vicende della città di
Firenze, da un punto di vista comunale o privato, dal secondo quarto del
XIII secolo al 1380. Si aggiunge un gruppo di cinque testi che descrivono
gli eventi della rivolta dei Ciompi editi insieme da Gino Scaramella,5 tutti
scritti prima del 1381.
Le modalità di trascrizione del discorso devono essere correlate con
le norme che regolano la scrittura storica di questo periodo, così come con
le proposte stilistiche dei vari autori, in un contesto, tra il XIII e la fine
3. Facciamo riferimento qui, tra gli altri, ai lavori di Girolamo Arnaldi e Marino Zabbia.
4. Chronica de origine civitatis Florentiae, ed. R. Chellini, Roma 2009 (Fonti per la
storia dell’Italia medievale. Antiquitates, 33); Sanzanome, Gesta Florentinorum, ed. O.
Otto Hartwig, in Quellen und Forschungen zur ältesten Geschichte der Stadt Florenz, Mar-
burg 1875, p. 1-34; Storia fiorentina di Ricordano Malispini dall’edificazione di Firenze
fino al 1282, ed. G. Masi, Livorno 1830; Cronica fiorentina, in Testi fiorentini del Dugento
e dei primi del Trecento, ed. A. Schiaffini, Firenze 1926, pp. 106-150; Dino Compagni,
Cronica, ed. G. Luzzatto, Torino 1968; Paolino Pieri, Croniche di Firenze, ed. A. Bego, tesi
di Laurea, Università degli Studi di Padova, 2016; Giovanni Villani, Nuova cronica, ed. G.
Porta, Parma 1991; Domenico Lenzi, Il libro del biadaiolo. Carestie e annona a Firenze
dalla metà del ’200 al 1348, ed. G. Pinto, Firenze 1978, pp. 157-542; Donato Velluti, Cro-
nica domestica, ed. I. Del Lundo e G. Volpi, Firenze 1914; Marchionne di Coppo Stefani,
Cronaca fiorentina, ed. N. Rodolico, Città di Castello 1903 (Rerum Italicarum scriptores,
Nuova edizione, XXX, t. 1).
5. Il tumulto dei Ciompi. Cronache e memorie, ed. G. Scaramella, Bologna 1917 (Re-
rum Italicarum scriptores, Nuova edizione, XVIII, t. 3).
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del XIV secolo, che ha visto la diffusione dei primi canoni umanistici6 ma
anche l’apertura della scrittura non pragmatica a nuovi gruppi sociali e pro-
fessionali. Dopo una panoramica dei tipi di oralità trascritte nelle cronache
e delle questioni narrative che esse sostengono, ci chiederemo quale peso
abbia la cultura professionale e civica degli autori nel loro rapporto con la
parola pubblica, sia in termini tecnici che simbolici.
parole. La voce, come medium, conta meno del contenuto del discorso,
manifestando una concezione scritturale e, spesso, lineare di quest’ultimo.9
Il discorso, più che un’azione, è informazione. Di conseguenza, la descri-
zione degli oratori è rara, e non è presente se non per dare peso o screditare
in anticipo il discorso trasmesso.
In quale forma sono trascritte queste parole? L’uso del discorso diretto
o indiretto è una scelta dell’autore secondo i propri criteri stilistici (allun-
gare o accorciare il testo, renderlo più vivo, insistere sulla violenza o l’in-
congruità di qualche parola pronunciata) ma anche, in alcuni casi, secondo
il peso testimoniale che egli dà alla propria produzione. Come hanno di-
mostrato studi comparativi di cronache che fanno riferimento allo stesso
ipotesto, qualunque sia il modo (diretto o indiretto) scelto, il contenuto
del testo non cambia.10 Francesco Senatore attribuisce dunque la successi-
va verbalizzazione di testi indiretti e, ancor più, di fonti come documenti
cancellereschi, a una pretesa di veridicità.11 Il discorso diretto riproduce la
scena, di cui il lettore può, a sua volta, essere testimone.
Come manifesta l’autore l’emergere di altri interventi all’interno del
proprio discorso? L’uso più comune è quello di introdurre la parola con un
verbo enunciativo, a volte sostituito da un termine di apostrofe.12 La gam-
ma di tali verbi è limitatissima. Il discorso individuale passa quasi esclu-
sivamente attraverso il verbo “dire”, quando le espressioni collettive sono
ridotte al “gridare”. Il passaggio da un discorso diretto all’altro (cioè il
9. Esempi di discorsi sospesi, perché interrotti da un altro oratore, sono rari. I cronisti
generalmente rinunciano a rendere la spontaneità di una discussione anarchica e optano per
una ricostruzione degli interi discorsi, come pensati dall’oratore e non come sentiti dal pub-
blico. Questa restituzione tende a produrre un testo lineare: i dialoghi procedono attraverso
un’alternanza regolare di punti di vista, dove la realtà implica maggiore dinamicità. Un raro
esempio di discorso disordinato, misto a lacrime e singhiozzi, si trova nel Libro del biada-
iolo, p. 353, in occasione dell’audizione di ambasciatori di Colle di Val d’Elsa a Firenze.
10. Per esempio M. Barbato, Testo e codice. Le cronache volgari fino a Villani, in Le
cronache volgari in Italia, a cura di G. Francesconi e M. Miglio, Roma 2017, p. 107. Fuori
Firenze, cfr. C. De Caprio, Scrivere la storia a Napoli tra Medioevo e prima Età moderna,
Roma 2012, pp. 62-138.
11. F. Senatore, Cronaca e cancellerie, in Le cronache volgari in Italia, pp. 285-300:
292.
12. Dino Compagni, III.14: «il loro pensiero era tenersi fino all’estremo, e allora dirlo
al popolo, e armarsi tutti; come disperati gittarsi co’ ferri in mano adosso a’ nimici, e ‘O noi
morremo per niente, o forse mancherà loro il cuore, e nasconderannosi e gitteransi in fuga
o in altri vili rimedi’».
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13. Le cronache organizzano “turni di parola” più che risposte, ogni intervento mante-
nendo la sua autonomia sintattica. La forma dialogica, in cui gli interlocutori si succedono,
era a quest’epoca ampiamente utilizzata da altri tipi di scritti, tra cui la canzone di gesta.
Cfr. C. Denoyelle, Poétique du dialogue médiéval, Rennes 2010.
14. Con Giovanni Villani, ad esempio, notiamo che il discorso diretto è molto comu-
ne, e che la formula «disse che» è generalmente riservata a parole collettive o citazioni di
un passato molto lontano.
15. D. Colussi, Cronaca e storia, in Storia dell’italiano scritto. II. Prosa letteraria, a
cura di G. Antonelli, M. Motolese e L. Tomasin, Roma 2014, pp. 132-140.
16. S. Marnette, La signalisation du discours rapporté en français médiéval, in
«Langue francaise», 149/1 (2006), pp. 31-47.
17. A Varvaro, Tra cronaca e novella, in La novella italiana, Roma 1989, vol. I,
p. 163. L’esempio più commentato è quello della discussione che inaugura la cronaca di
Dino Compagni: una promessa di matrimonio infranta porta Firenze a una lotta di fazione.
Cfr. Dino Compagni, I.2; E. Faini, Il convito del 1216. La vendetta all’origine del faziona-
lismo fiorentino, in «Annali di storia di Firenze», 1 (2006), pp. 9-36.
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23. Nella sua cronaca domestica, tra le vicende del comune, Donato Velluti descrive
scenette che si prestano a uno stile a volte ludico, in cui interiezioni ed esclamazioni eviden-
ziano l’incongruità delle memorie. Ricorda così l’imitazione dello schiamazzo dei polli da
parte di un parente («chischi, chischi») o la morte in buona compagnia di un altro: «essendo
collei molte donne, e favellando e cianciando, subitamente dicendo ‘O me’, passò di questa
vita». Cfr. Donato Velluti, pp. 31, 120.
24. «Esposta loro ambasciata, il re Carlo di sua bocca volle fare la risposta, e disse in
sua lingua in francese. Le quali parole in nostro volgare vengono a dire: ‘o io mettero oggi
lui in inferno, o egli metterà me in paradiso, cioè, io non voglio altro che battaglia, o io
uccidero lui oggi, o egli me’». Cfr. Ricordano Malespini, p. 425.
25. Ciò è particolarmente evidente quando si confrontano gli stessi eventi tra più cro-
nache. Il tumulto dei Ciompi si presta bene a questo confronto, essendo riportato da diversi
storiografi. Gli autori, tra cui Alamanno Acciaioli è il più prolifico, ricompongo un discorso
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a partire dalla memoria generale del suo contenuto. Si veda, per esempio, la scena dell’usci-
ta del priore Guerrante Marignolli, nella quale il Popolo chiede agli altri priori di lasciare il
palazzo comunale: Il tumulto dei Ciompi, pp. 30, 75.
26. Nel primo capitolo della sua cronaca, Dino Compagni presenta il suo metodo:
spiega che può assicurare la verità delle cose di cui egli stesso è stato testimone e «quelle
che chiaramente non [vide]», «[propone] di scrivere secondo la maggior fama». Dino Com-
pagni, I.1.
27. Giovanni Villani, XII.19-20, XIII.51.
28. «E io scrittore ebbi di ciò testimonianza da quegli mercatanti ch’erano presenti col
detto in su la detta nave, e udirono il detto Berto, i quali erano uomini di grande autorità e
degni di fede, e la fama di ciò fu per tutta la città nostra»: Giovanni Villani, VIII.50.
29. Vedere: IX.36 e 78, XI.50, 146 e 184.
30. Paolino Pieri, ad esempio, si presenta come testimone delle grida pronunciate
quando Carlo I d’Angiò entrò a Firenze nel 1284 («e io che ’l vidi e udi’ ne porto la testi-
monianza»): Paolino Pieri, p. 54. Sull’uso della (propria) testimonianza orale da Marchion-
ne di Coppo Stefani: A. De Vincentiis, Scrittura storica e politica cittadina: la “Crona-
ca fiorentina” di Marchionne di Coppo Stefani, in «Rivista storica italiana», 108 (1996),
pp. 264-269.
31. Dino Compagni, I.21 e 24, II.5, 8 e 22.
32. «Cari e fedeli cittadini», «Cari e valenti cittadini», «O malvagi cittadini».
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33. «Leva’mi io, e dissi, quello che io diceva io il dicea con purità e fede, acciò che
la città e’ cittadini e chi volesse bene vivere si contentasse meglio non facea; […] e che se
parea a loro e a’ Collegi, dovea parere a me: e puosi fine alle mie parole»: Donato Velluti,
Cronica domestica, p. 250.
34. «Udendo» e «sentendo che» sono utilizzati come strumenti di coordinamento lo-
gico che introducono le conseguenze di un atto.
35. Un discorso di Dino Compagni assolve perfettamente a queste funzioni, ricordan-
do il fondamento cristiano della comunità e facendo della concordia civica una chiave di
elevazione al divino: Dino Compagni, II.8.
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36. Discorsi del genere si possono trovare, ad esempio, nella Chronica de origine
civitatis Florentiae e nelle Gesta di Sanzanome. Si può ipotizzare qui un’influenza da fonti
classiche, tra cui Sallustio, in una forma rielaborata dalla canzone di gesta: i Faits des Ro-
mains, tra altri, erano allora comunemente diffusi nell’Italia comunale. Già alla fine del XIII
secolo, questi discorsi sono solo evocati nel testo di Ricordano Malespini.
37. Chellini, Chronica de origine civitatis Florentiae, p. 143.
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All’interno del nostro corpus, le cronache della fine del XIV secolo mo-
strano una particolare attrazione per le fonti di trasmissione orale.40 Questi
38. «Allora il vescovo, che avea corta vista, domandò: ‘Quelle, che mura sono?’»:
Dino Compagni, I.10.
39. G. Porta, I passi francesi nella “Nuova Cronica” di Giovanni Villani (con altri
saggi di varianti redazionali), in Miscellanea di studi. I, a cura di G. Bianchini, Arezzo
1981, pp. 7-31. Fuori Firenze troviamo già questa tecnica nella Cronica di Salimbene de
Adam. Cfr. C. Segre, Livelli stilistici e polifonia linguistica nella “Cronica” di Salimbene
da Parma, in Salimbeniana, Bologna 1991, pp. 181-192.
40. De Vincentiis, Scrittura storica e politica cittadina, p. 267.
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sono percepibili nei testi attraverso l’impersonale “si dice che”, rivelando
una cultura diffusa. Queste citazioni, poche un secolo e mezzo prima, sono
già molto presenti nei testi di Dino Compagni e Giovanni Villani. Tuttavia,
spesso essi utilizzano anche fonti scritte, alcune delle quali sono prodotte dal
Comune.41 Il loro uso, come abbiamo già notato, sembra evidente in autori
come Sanzanome, che scrive i discorsi dei suoi personaggi “alla maniera
di”, o come l’anonimo autore della Cronica fiorentina, che inserisce copia di
lettere nel suo testo.42 Le fonti scritte sono altrettanto presenti nei testi di au-
tori che lasciano spazio alle voci. Marchionne, ad esempio, copia in diverse
occasioni interi elenchi di titolari di uffici urbani dai registri comunali.
L’opera di un cronista del XIII e XIV secolo consiste principalmente
in un lavoro di compilazione. Si basa sulla citazione di cronache prece-
denti43 ma anche su documenti ufficiali a disposizione dello storico. La
capacità di scrivere (in latino) e l’accesso a tali fonti hanno disegnato
molto presto il ritratto privilegiato del cronista-notaio o cronista-cancel-
liere. Assistiamo allora a un doppio movimento. Da un lato, dal punto di
vista sociale, il progresso dell’alfabetizzazione urbana e della formazio-
ne professionale ha accompagnato i cambiamenti economici di Firenze.
La diffusione dei volgarizzamenti e dei testi didattici volgari, a partire dal
terzo quarto del XIII secolo, ha permesso a nuovi gruppi di leggere e, poi,
di scrivere. D’altra parte, dal punto di vista politico, i governi del Popo-
lo hanno allo stesso periodo incoraggiato l’aumento della produzione di
documentazione pubblica. Questo approccio è stato caratterizzato da un
nuovo desiderio di pubblicità, incoraggiando i notai a produrre registri
più facili da consultare e, presto, a tradurre alcuni documenti ufficiali in
un linguaggio volgare.
La combinazione di questi movimenti ha varie conseguenze sul tipo
di cronache prodotte a Firenze. Menzioniamo alcuni di loro. Socialmente,
il profilo degli storiografi si sta diversificando. Mentre Dino Compagni si
41. Dino Compagni, per esempio, organizza alcuni passi della sua Cronica secondo la
struttura delle delibere. Cfr. C. Mabboux, Quelle place pour les registres de délibérations dans
la promotion des institutions communales ? (Toscane, fin XIIIe-XIVe s.), in La Voix des assem-
blées, a cura di F. Otchakovsky-Laurens e L. Verdon, Aix-en-Provence, in corso di stampa.
42. Cronica fiorentina, p. 136.
43. Le cronache fiorentine di questo periodo si combinano intorno ad alcuni ipotetici,
che servono da quadro cronologico per buona parte di esse. Cfr. E. Brilli, Firenze, 1300-
1301. Le cronache antiche (XIV secolo ineunte), in «Reti Medievali. Rivista», 17/2 (2016),
pp. 113-151.
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era formato alle arti liberali e Donato Velluti alla legge, Domenico Lenzi
e Giovanni Villani esercitavano la professione di mercanti. Questo allar-
gamento consente di rintracciare diversità formali nelle cronache: elabo-
razione retorica del discorso meno sistematica e, in alcuni casi, apertura
della storiografia verso una parola privata o verso il mondo economico
– con una inversione di tendenza rispetto alle cronache del XIII secolo,
che riservavano escluso interesse ai temi politici. Linguisticamente, allo
stesso tempo, il numero di cronache scritte in volgare si è moltiplicato,
creando, a sua volta, nuovi collegamenti nella compilazione dopo la tradu-
zione iniziale. Marchionne, ad esempio, riprende gran parte della cronaca
di Giovanni Villani per la propria composizione. Materialmente, infine, il
desiderio (ostentato) di trasparenza dei governi popolari ha portato a un’e-
voluzione degli oggetti della documentazione pubblica. L’obiettivo è quel-
lo di facilitarne l’accesso e la ricerca di informazioni al loro interno. Lo
stesso pragmatismo guida la progressiva modifica dell’impianto strutturale
e grafico delle cronache volgari: «la cronaca volgare, nel Trecento, è ormai
nella maggior parte dei casi divisa in libri, o articolata in capitoli preceduti
da rubriche che ne anticipano brevemente il contenuto».44
L’intreccio tra forme scritte storiografiche e notarili è facilmente in-
tuibile, ben oltre la coincidenza professionale dei loro autori.45 Giovanni
Villani, ad esempio, volgarizza sei documenti ufficiali46 nell’ultima parte
della Cronica, tra cui un discorso di ambasciatori.47 Perché? Jérémie Ra-
biot ha dimostrato come questa scelta di fonti scrupolosamente riporta-
te risponda agli interessi politici e alle convinzioni civiche del Villani.
L’ambasciata fiorentina, arrivata davanti a Luigi d’Ungheria nel dicem-
48. E. Artifoni, Retorica e organizzazione del linguaggio politico nel Duecento italia-
no, in Le forme della propaganda politica nel Due e nel Trecento, a cura di P. Cammarosa-
no, Roma 1994, p. 160.
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