Sei sulla pagina 1di 270

Augusto Illuminati

Società e progresso
nell'illuminismo•francese

pubblicazioni dell'univer tdtà di urbino

argall ■ editore u.rbiuo


Società e progresso
nell'illuminismo francese
Augusto Illuminati

Società e progresso
nell'illuminismo francese

pubblicazioni dell'università di orbino

argalia editore urhino


tutti diritti riservati
a Cristiana
Parte I.

I fisiocratici e il trionfo del progresso


l. La ragione e l'evidenza

Il ruolo della scuola fisiocratica nella nascita


dell'ideologia borghese e nel movimento illumini-
stico in generale non è certo ignoto 1, tuttavia non
si può dire che sia stato adeguatamente valutato.
Sotto il profilo strettamente economico i riconosci-
menti non sono mancati, ma è forse sfuggito il peso
che l'elaborazione fisiocratica ha avuto nella forma-
zione di un'immagine complessiva della struttura
e del comportamento sociale - che è quella che poi
ha dominato tutta la seconda metà del XVIII secolo

1
Un'ampia bibliografia degli scritti dei e sui fisiocratici sta in
appendice alla Filosofia politica dei fisiocrati cli DINO FroROT, (Padova,
CEDAM, 1954, p. 257 sgg.), che è essa stessa un'utile esposizione.
La raccolta più accessibile degli scritti originali è ancora quella edita
dal Guillernin, a cura di E. Daire e I. Dussard (Phisiocrates, Paris
1846), prontamente tradotta in Italia nella Biblioteca dell'economista,
I serie, voi. I, Fisiocrati, Torino 1850, a cura di uno dei capiscuola
del liberalismo italiano, Francesco Ferrara. Per gli scritti di Quesnay
e Turgot esistono però edizioni più scientifiche, quelle rispettiva-
mente di Oncken (Oeuvres économiques et philosophiques de Quesnay,
fondateur du système physiocratique, Francfort-Paris 1888) e di Schelle
(Oeuvres de Turgot, 5 vv., Paris 1913-23).

9
sul Continente e che si connette con il più generale
movimento dell'illuminismo.
La fisiocrazia non presenta, con l'eccezione del
geniale T ableau sul quale torneremo, una spiccata
originalità di pensiero; compendia tuttavia nel mo-
do più efficace tutti gli elementi elaborati a partire
dal XVII secolo a sostegno del nascente potere
borghese e si configura come il più organico tenta-
tivo di legittimazione dei meccanismi dello sviluppo
capitalistico sul piano economico, politico e ideolo-
gico 2 • Tal uni temi abituali di tutto -il pensiero bor-
ghese sono per la prima volta ordinatamente esposti

' Alle spalle dei fisiocratici c'è da un lato il provvidenzialismo


di Malebranche, cioè una soluzione del problema posta già da Car-
tesio dell'accordo fra materia e pensiero, insomma della necessità
delle verità scientifiche fondamentali (dr. CASSIRER, Storia della filo-
sofia moderna, v. I, Torino 1952, p. 606 sgg.), dall'altro la tradi2ione
empiristica inglese, Locke in prima luogo, con la sua teoria dell'ade-
guazione voluta da Dio fra realtà e ragione (dr. R. PouN, La poli-
tique morale de John Locke, Paris 1960, p. 297 sgg.), ma anche più
in generale il filone di pensiero che, con contraddi2ioni e affinità,
scende da Locke a Mandeville, a Ferguson, fino a Smith, la cui
prima elaborazione della Ricchezza delle nazioni è anteriore alla sua
conoscenza dei fisiocratici. Nella tradizione inglese era già pacifico
tanto il ruolo progressivo del consumo e del bisogno (Mandeville),
dell'irrequietezza (la uneasiness lockiana), quanto la funzionalità delle
diseguaglianze ai «mestieri commercialii. e alla divisione del lavoro
(Ferguson). La lode delle passioni era d'altronde anche nella tradi-
zione francese dei «libertinii.. Sul rapporto Mandeville-illuminismo
dr. L. CoLLETTI, Ideologia e società, Bari 1969, passim, spec. p. 263
sgg.; sull'ideologia del progresso dr. A. ILLUMINATI, Progresso e
legittimazione dell'ordinamento sociale, in «Critica sociologicai., 14
(1970), p. 6 sgg.
negli scritti dei fisiocratici: la neutralità e oggetti-
vità della scienza come garanzia degli interessi capi-
talistici, la connessione fra progresso e diseguaglian-
za, il suggello deistico alla libera circolaiione delle
merci, la tutela politica della spontaneità del mer-
cato. Tutta la scuola è già in embrione nella geniale
sintesi del dottor Quesnay, ivi compresa l'enfasi
ispiratamente profetica e propagandistica 3 •

' François Quesnay nacque a Méré, presso Mondort l'Amaury,


nel 1694, da una famiglia di coltivatori relativamente agiata, ed egli
stesso, rre anni dopo aver ricevuto il titolo nobiliare, acquisterà una
grande tenuta e vi farà vivere il figlio e un nipote, lontani dall' «in-
fezione della capitale•. Autodidatta, Quesnay era diventato chirurgo
a 24 anni, non senza dedicarsi, nel contempo, a studi filosofici (so-
prattutto Malebranche). Grazie all'appoggio del duca di Noailles e
di Madame de Pompadour ha un'ascesa vertiginosa e nel 1755 diventa
primo medico ordinario del re, Luigi XV. Nel 1756-'57 collabora
all'Enciclopedia con le voci Evidence, Fermiers, Grains e Hommes,
Imp6ts, Intérét de l'argent (inedite), inaugurando cosl l'indirixw fi-
siocratico. Pochi e di scarso rilievo sono i primi seguaci (Leroy, Butré
Patulle), ma nel 17'57, nel corso di un incontro decisivo, Quesnay
riesce a convincere alle sue tesi il marchese di Mirabeau, che proprio
in quell'anno era divenuto celebre con il suo Ami des Hommes,
opera mediocre sulla scia di Cantillon. Conosce Gournay (che però
muore nel 1759) e soprattutto si lega al suo giovane discepolo Tur-
got. Alla fine del 1758, in una situazione di acuta crisi economica
legata al disastroso andamento della guerra dei sette anni, si decide
a pubblicare il T ableau économique, stampato in una piccola tipo-
grafia di lusso a Versailles e composto per buona metà personal-
mente da Luigi XV. La diffusione è ristretta ma estremamente qua-
lificata, accompagnata da un'intensa propaganda personale; l'anno
successivo, però, Quesnay cerca di rivolgersi a un pubblico più vasto
e pubblica, con la collaborazione di Mirabeau, l'Explication du
Tableau économique. Le reazioni dell'opinione pubblica furono fa-
vorevoli, meno quelle dei finanzieri che riversarono il loro odio su Mi-

11
Il suo saggio sul «diritto naturale» (1765) è
il fondamento teorico generale dell'indirizzo fisio-
cratico, la sua giustificazione etico-filosofica. Esso
si fonda, come ha giustamente osservato Fiorot (op.
cit., p. 46 ), su una sintesi piuttosto eclettica dei
prindpi del sensismo, ispirati dall'empirismo in-

rabeau, il quale pagò la sua Théorie de l'imp6t (1760) con un breve


imprigionamento a Vincennes. Tuttavia nei due anni seguenti le idee
fisiocratiche ottengono udienza presso l'amministrazione; Turgot di-
venta intendente del Limousin e nel 1763 la dichiarazione sulla libertà
del commercio delle granaglie costituisce il primo rilevante successo
pubblico della scuola. Contemporaneamente questa si allarga: fra le
nuove reclute vi è l'attivissimo Dupont de Nemours, direttore dal
1765 al 1766 del «Journal de !'agricolture, du commercc et des
finances», Mercier dc la Rivière, Le Trosne e l'abate Baudeau. Lo
stato maggiore fisiocratico è ormai al completo e stringe anche cospi-
cue alleanze esterne, con Morellet, per esempio, con il sempre indi-
pendente Turgot; sebbene avesse sospeso per convenienza la sua
collaborazione all'Enciclopedia dopo la prima interdizione ufficiale,
Quesnay resta amico personale di Didcrot, D'Alembert e Hclvétius,
sui quali esercita anche un'influenza teorica. Nel 1767-<,8 Dupont
pubblica una raccolta degli scritti quesnaiani sotto il titolo di Fisiocra-
zia o Costituzione naturale del governo più vantaggioso al genere uma-
no; essa comprendeva, oltre al Diritto naturale, l'Analisi del quadro
economico oon le relative Osservazioni e le Massime generali del
governo economico (già edite nel «Journal»), anche i Problemi econr>-
micie i Dialoghi sui commmercio e sul lavoro degli artigiani. Nel 1767,
malgrado le resistenze di Baudeau e Mirabeau, cerca di conquistare
personalmente alla causa fisiocratica il delfino, il futuro Luigi XVI,
lodando le sue innocue manie agricole (di cui dà testimonianza lo
Hameau di Versailles) e paragonandolo - sommo onore - all'Impera-
tore della Cina. Sono però anni di diflicoltà: le «Eph6nmdcs» diret-
te da Dupont vengono frequentemente censurate e infine soppresse
da Maupcou nel 1772, anche sul piano del dibattito ideologico la
scuola incontra crescenti ostacoli e polemiche. Mentre i seguaci di

12
glese, e del provvidenzialismo, recepito nei modi del
razionalismo malebranchiano. Questa combinazione
appare perspicuamente nell'articolo che Quesnay
scrisse per l'Enciclopedia nel 1756, quasi contem-
poraneamente al Traité des sensations di Condillac.
L'evidenza, non dimentichiamolo, è il punto per-
petuo di riferimento delle argomentazioni fisiocra-
tiche, tanto che Fanfani poté intitolare il capitolo
relativo nella sua Storia delle dottrine economiche
«Naturalismo dell'evidenza». Quesnay parte dalla
dottrina lockiana delle sensazioni, ma la critica dal
punto di vista della psicologia del Malebranche.
Per lui, come per Mercier de la Rivière, l'accordo
fra estensione e intelligibilità, fra mondo materiale
e mondo morale è opera di Dio; per mezzo dell'evi-
denza, afferma Mercier, noi comunichiamo con la
divinità. Si potrebbe qui ripetere quello che Cassirer
affermava di Malebranche: «la metafisica ci dà ciò
che l'esperienza, sia esterna che interna, ci negava»,
cioè il nesso necessario dei fenomeni, che si rispec-
chia, innanzi tutto, in una imperiosa sanzione fisica

Goumay, innanzi tutto Morellet e Turgot, e gli enciclopedisti, pur


restando neutrali, rifiutano di fondersi con i fisiocratici, aumentano
gli avversari, soprattutto a causa dell'acquiescenza della scuola al dispo-
tismo illuminato: all'ostilità dell'amministrazione alla libertà di com-
mercio (che aveva generato tumulti popolari) si aggiungono le frecciate
velenose di Galiani e di Grimm e la polemica populista di Linguet.
Il dottor Quesnay, caduto in disgrazia presso Luigi XVI per i suoi
legami con la Pompadour, muore nel 1774, avendo la gioia di vedere
gli esordi del ministero Turgot, ultima vampata di successo delle idee
fisocratiche. Era onorato del titolo di «u:,nfucio franceac».

13
delle leggi naturali, seguendo le quali viene ad at-
tuarsi una perfetta coincidenza del giusto e dell'utile.
Mirabeau, spingendo il concetto (rovesciato)
alle estreme conseguenze contrapporrà alla morale
religiosa la morale del prodotto netto, che, assicu-
rando la felicità materiale degli uomini, li solleva
verso il bene morale e verso Dio. Anche in queste
forme paradossali risalta comunque l'affiato religio-
so della fisiocrazia (sempre secondo Mirabeau, «teo-
crazia benefica e adorabile»), fondato sul legame
delle leggi naturali con la costante volontà provvi-
denziale di Dio, e che si converte, inevitabilmente,
nel carattere assolutamente imperativo del «siste-
ma» fisiocratico, tale da non esigere ulteriori garan-
zie politiche, nei confronti dell'autorità ammini-
strativa. Insomma, l'evidenza si impone tecnocrati-
camente, senza mediazioni di rappresentanza par-
lamentare degli interessi; il dispotismo legale è il
potere assoluto che si attiene all'evidenza e la legi-
slazione positiva non fa che trascrivere passivamen-
te la legislazione naturale (beneficamente divina)
rivelata dai fisiocratici. La ragione è il riconosci-
mento dell'eviden~ non offuscata da pregiudizi o
interessi.
Già in uno scritto di Quesnay risalente al 17 36
e rielaborato nel 1747, l'Essai physique sur l'écono-
mie animale (ed. Oncken pp. 757-8), incontriamo
un breve passaggio in cui la «naturalità» della strut-
tura sociale da un lato riflette la volontà di Dio,
dall'altro si connette alla giustificazione delle dise-

14
guaglianze come sollecitazioni del progresso della
specie. Perché - si domanda Quesnay - il diritto ori-
ginario degli uomini è uguale, mentre la distribu-
zione delle ricchezze è diseguale? Ciò non dipende
esclusivamente dall'ordine morale, ma rientra «in
un sistema molto più generale di cui gli uomini che
sono vissuti, che vivono e che vivranno non costi-
tuiscono che una minima parte». La diseguaglianza
è in funzione «della conservazione di un tutto»; è
a livello del «sistema generale» che occorre cercare
«la regolarità» riflettente il disegno provvidenziale
divino, e non «nella distribuzione eguale o dise-
guale del diritto naturale di ogni uomo». E aggiun-
ge in tono ammonitorio: «tocca agli uomini rego-
larsi su questo stesso ordine e non disconoscerlo e
cercare inutilmente e ingiustamente di affrancarse-
ne». In seconda istanza si aggiungono i motivi «mo-
rali»: gli economi e i laboriosi ingrandiscono le loro
ricchezze, gli imprudenti le dissipano, ecc. Ovvia-
mente nessuno è obbligato a risarcire gli altri per
il cattivo uso della loro libertà e l'autorità, anzi,
è impegnata a proteggere la legittima diseguaglian-
za, a reprimere «la sregolatezza degli uomini che
cadono nell'indigenza a causa della loro cattiva con-
dotta», congiungendo in questa prospettiva «reli-
gione e politica all'ordine naturale per mantenere
più sicuramente gli uomini nel cammino che essi
debbono seguire».
Rispetto alle argomentazioni lockiane sussiste
una differenza di tono: il :filosofo inglese aveva legit-

15
timato le diseguaglianze fra proprietari-lavoratori
rese possibili da un ritmo differenziato di accumu-
lazione e dall'invenzione della moneta, aveva addi-
rittura affermato che la vera libertà coincideva con
la proprietà e la possibilità di una sua libera e in-
tensa accumulazione, associando cosl alla disegua-
glianza la nascita stessa della società civile 4 •
Quesnay, invece, batte l'accento sull'imperscruta-
bilità provvidenzialistica di una diseguaglianza inte-
sa come dato fisico, naturalistico, e solo subordina-
tamente fa operare i motivi «morali», ridotti piut-
tosto poveramente all'attivismo e alla dissipatezza.
In realtà i fisiocratici si fondano sul concetto di pro-
prietà del diritto romano e trascurano l'importante
fondazione lockiana della proprietà sul lavoro. An-
che la diseguaglianza deve cosl apparire come effet-
to «naturale», o meglio inserito direttamente in un
ordine cosmico e non mediatamente, come per Locke
che la fa nascere, con altrettanta naturalezza, dalla
mediazione del lavoro nel quadro di un accordo
generale fra legge naturale e ragione. Locke sbocca
quindi immediatamente nella categoria di proprietà
capitalistica, con appena una moderata sanzione prov-
videnziale, i fisiocratici avvolgono la realtà capitali-

• Gr. R. PoLIN, La politique morale cit. pp. 272-4, con rife-


rimento al V capitolo del II Trattato sul governo civile, art. 35,
50 e passim. Da notare che l'ineguaglianza nella distribuzione delle
riccha:ze è reciprocamente funzionale all'eguaglianza di fronte alla
le'!ge (VI capitolo del II Trattato, cfr. PoLIN, op. cit., p. 254).

16
stica nell'involucro della proprietà fondiaria, rico-
noscendo validità produttiva soltanto alla terra,
quasi epifania della facoltà creatrice di Dio. Si noti
che il concetto romano-fisiocratico di proprietà tra-
passerà inalterato nella dottrina giuridica kantiana,
cosi come altri temi toccati nel saggio di Quesnay 5 •
Come si sviluppa lo scritto del 1765?

2. Il naturale diritto alla proprietà

Le Observations sur le droit nature/ des hom-


mes réunis en société esordiscono pianamente po-
nendosi come oggetto il diritto che l'uomo ha alle
cose adatte al suo godimento. Esso differisce dal
diritto legittimo, giuridicamente valido, in quanto
« viene riconosciuto con evidenza dalla ragione e per
questa sola evidenza è obbligatorio indipendente-
mente da ogni costrizione»; aMi, spesso il diritto
legittimo è più ristretto, «perché le leggi dell'uomo

' Altri evidenti riprese della tematica fisiocratica nella dottrina


giuridica kantiana sono l'attenzione posta sul regime costituzio-
w,le a differenza delle desuete distinzioni fra monarchia, democrazia
e aristocrazia (il rapporto fra forma imperii e forma regiminis),
il rifiuto del meccanismo politico delle controforze e del diritto
di resistenza, la concezione dello stato giuridico come dichiarazione
e garanzia del godimento dei diritti naturali (dialettica di diritto
provvisorio e perentorio). In materia economica, del resto, Kant di-
chiara esplicitamente la propria ispirazione fisiocratica senza riserve
(cfr. Refiexionen zur Rechtsphilosophie, ed. Accademia, IX, n. 7999,
pp. 577-8).

17
non sono cosl perfette come quelle dell'Autore della
natura». Il diritto naturale, nella sua semplicità, si
pone come pietra di paragone per la molteplicità
e la contraddittorietà o nocività delle leggi umane.
Ma tale diritto naturale non vige fra gli uomini
in quanto indipendenti fra di loro ed eventualmente
in conflitto (la situazione ipotetica di diritto illimi-
tato di tutti a tutto), bensl significa concretamente
diritto di ognuno a ciò di cui può procurarsi il go-
dimento con il proprio lavoro. Ciò non implica
affatto il bellum omnium contra omnes (gli uomini,
lungi dal pretendere tutto e quindi dallo scontrarsi
perpetuamente con il loro vicino, cercano invece di
non intralciare il lavoro e il godimento con continue
guerre), anzi rende possibile l'associazione sociale
come estensione delle possibilità di lavoro e godi-
mento. Tali possibilità non sono illimitate, e non
sono neppure eguali per tutti gli uomini, dipenden-
do dalle facoltà e dagli strumenti atti a procurare la
soddisfazione dei bisogni. Nello stato di società la
cooperazione accresce il godimento dei diritti natu-
rali, ma lascia permanere la diseguaglianza delle
facoltà e quindi del soddisfacimento.
«Tale diseguaglianza non è di per sé né giusta
né ingiusta: risulta dalla combinazione delle leggi
della natura e gli uomini, non potendo penetrare i
disegni dell'Essere Supremo nella costruzione del-
l'universo, non arrivano a cogliere la destinazione
delle regole immutabili che Egli ha stabilito per la
formazione e la conservazione della sua opera». Al

18
che segue l'argomentazione apologetico-provviden-
zialistica che anche mali apparenti possono rivelarsi
dei beni, o meglio che l'elemento maligno è mani-
festazione accidentale di proprietà essenzialmente
buone. Il vero male, anzi, sta nella trasgressione
delle leggi naturali, che genera mali fisici e morali.
Il buon uso della libertà consiste nell'osservare
intelligentemente le leggi naturali, «l'essenza immu-
tabile» delle cose e le loro proprietà «inseparabili»,
atteso che evidentemente questo è il migliore dei
mondi possibili in quanto voluto da Dio e traspa-
rente all'intelletto umano.
Quesnay passa poi alla considerazione più rav-
vicinata del diritto naturale degli uomini riuniti in
società, quindi con la possibilità di rapporti reci-
proci giusti e ingiusti (assenti nell'ipotesi della pura
solitudine).
Già prima di avere delle leggi positive vige
fra gli uomini un tacito accordo compensatorio che
garantisce a ognuno la propria sicurezza (estensione
dell'istinto di conservazione); si sviluppano poi le-
gami sempre più fìtti, fondati sul reciproco rispetto
e libertà. Con l'aumento delle ricchezze sono ne-
cessarie convenzioni scritte e un'autorità sovrana
che le faccia osservare, proprio perché l'abbondanza
della preda potrebbe sollecitare azioni criminose.
«Così gli uomini che si mettono sotto la dipendenza,
o meglio sotto la protezione delle leggi positive e
di un'autorità tutelare, estendono di molto la facoltà
di essere proprietari e, quindi, l'uso del loro diritto

19
naturale, invece di diminuirlo».
Vi sono diversi tipi di autorità: monarchica,
aristocratica, democratica. Ma non è questo l'essen-
ziale. L'importante è vedere se le leggi di istitu-
zione umana corrispondono più o meno alle leggi
naturali, e il criterio è quello di constatare se esse
proteggono o no la libertà e la proprietà. Quesnay
ricorre poi a un raffronto cosmologico che è fre-
quente nella letteratura illuministica: la conoscenza
delle leggi naturali è necessaria per la vita associata
come quella del moto degli astri per la navigazione.
La società si deve quindi fondare sulle leggi naturali
e su leggi civili che le positivizzino. Le leggi natu-
rali sono fisiche o morali: le prime provvedono al
vantaggio materiale del genere umano, le seconde
allo stabilimento di un ordine morale confacente
a quello fìsico. Le leggi positive non debbono altro
essere che «leggi di manutenzione relative all'ordine
naturale, che evidentemente è il più vantaggioso al
genere umano»; sono «regole autentiche» che sta-
biliscono, conformemente a ciò, l'ordine dell'am-
ministrazione e del governo, i modi della difesa
della società e dell'osservanza delle leggi naturali,
la moralità dei costumi, l'organizzazione della giu-
stizia distributiva. Ma il primo compito della legge
positiva è «l'istituzione dell'insegnamento pubblico
e privato delle leggi dell'ordine naturale». Tutta
la legislazione si configura come «dichiarazione del-
le leggi naturali», frutto dell'interesse comune del
sovrano e dei sudditi.

20
Si noti qui come il Quesnay voglia vincolare
le possibilità legislative e i poteri dell'organo corri-
spondente alla fissità neutrale e tecnocratica della
legge di natura, non solo come elementare tutela
della «naturalità» della proprietà borghese contro
ogni innovazione sociale, ma anche per far cadere ogni
divergenza fra sudditi e sovrano: se le leggi positive
non sono altro che «dichiarazione» di rapporti eter-
ni, evidenti e ineluttabili, l'interesse del sovrano
assoluto «-illuminato» coincidono con quelli del
popolo (anch'esso opportunamente «illuminato»),
senza che vi sia bisogno di istituzioni liberali e
parlamentari, per non dire democratri.che. L'illumi-
nazione, a differenza dalla tradiz,ione liberale, non
sorge dalla libera discussione ma dallo studio e dalla
propaganda della scuola fisiocratica. Il potere della
borghesia è conciliato, almeno in prima istanza, con
il dispotismo «legale» - cioè osservante le leggi im-
prescrittibili di natura. I rivoluzionari dell'89 sa-
ranno meno fiduciosi nell'illuminazione spontanea
dei monarchi, ma altrettanto nella validità oggettiva
e permanente dei «diritti naturali».

3. Il contenuto economico

Se la validazione della proprietà borghese in


termini di diritto naturale presenta doti di chiarez-
za ma non di spiccata originalità, la formulazione
concreta delle leggi economiche «naturali» costitui-

21
sce invece un reale contributo scientifico e un ten-
tativo assai avanzato di chiarire il meccanismo del
sistema capitalistico come ciclo di produzione e
consumo.
Il primo abbozzo della teoria economica fisio-
cratica sta negli articoli Fermiers e Grains nell'En-
ciclopedia, che si collocano de1iberatamente agli an-
tipodi alla voce Économie politique di Rousseau.
In essi si difende il principio della libera cir-
colazione dei grani - questione, come è noto, di enor-
me rilievo sociale e teorico nella Francia pre-rivolu-
zionaria - e si combatte, nel contempo l'eccesso di
tassazione che, congiunto agli obblighi feudali, gra-
vava allora sugli agricoltori. Particolarmente nel
secondo articolo Quesnay sviluppa un'aperta pole-
mica contro il colbertismo e la priorità assegnata
agli investimenti industriali e commerciali, spesso
esclusivamente alla produzione di generi di lusso.
Il ribasso del prezzo del grano è interpretato come
una manovra per tener bassi i livelli salariali degli
addetti all',industria, ma dal ribasso deriva la rovina
dei coltivatori e lo spopolamento delle campagne.
Con una caratteristica deformazione, il rifiuto della
gestione feudale del sistema economico si traveste
da svalutazione del lavoro industriale definito come
«improduttivo». La sterilità del settore commerciale
e artigianale è ribadita in due appositi Dialogues,
che sintetizzano tutta l'argomentazione, per questo
verso caduca e frastornante, dei fisiocratici, sempre
più irrigidita nei minori della «scuola».

22
Il contributo geniale allo sviluppo del pensiero
economico è contenuto nel T ableau 6 • Già Mira-
beau padre aveva dichiarato con enfasi che dall'ori-
gine del mondo vi erano state tre grandi scoperte:
l'invenzione della scrittura, quella del denaro e il
T ableau économique. Alle ironie di Smith rispose
incisivamente Marx 7 :

«Questo tentativo di rappresentare l'intero processo di pro-


duzione del capitale come processo di riproduzione, di rap-
presentare la circolazione semplicemente come la forma di
questo processo di riproduzione, e la circolazione del denaro
solo come un momento della circolazione del capitale, e in
pari tempo di includere in questo processo di riproduzione
l'origine del reddito, lo scambio tra capitale e reddito, il rap-
porto tra il consumo riproduttivo e il consumo definitivo, e
di includere nella circolazione del capitale la circolazione tra
produttori e consumatori (in effetti tra capitale e reddito),
infine di rappresentare la circolazione tra le due grandi
partizioni del lavoro produttivo - produzione di prodotti

' La redazione ongmaria del Tableau è andata perduta; il


testo presentato a Luigi XV nel dicembre 1758 si componeva del
T ableau vero e proprio «avec son explication,. e delle Maximes
générales du gouvernement économique. Il Tableau fu rimaneggiato
da Mirabeau e presentato, senza citazione dell'autore ma con il
consenso di questi, come appendice alla VI parte dell'Ami des
hommes nel 1760. Nel giugno 1766 Quesnay pubblicava una ste-
sura evidentemente più fedele sul «Journal,., con il titolo Analyse
du Tableau économique, seguito da sette Observations importantes.
L'ultima stesura, ampliata, da cui sono tratti i presenti riferimenti,
apparve sulla Physiocratie nel 1768 (cfr. ed. Oncken pp. 305-28).
7
K. MARX, Teorie sul plusvalore, I, Roma 1961, pp. 520-1.
Altri riferimenti importanti ib. p. 134 sgg., 271, 475 sgg. (che
analizza in dettaglio il meccanismo economico del T ableau ).

23
grezzi e manifatture - come momenti di questo processo di
riproduzione, e tutto ciò in una tavola che in effetti è costi-
tuita esclusivamente da cinque linee che collegano tra loro
sei punti di partenza e di ritorno - e ciò nel secondo terzo
del secolo XVII, nel periodo in cui l'economia politica si
trova ancora nel suo stadio infantile - questo tentativo
fu in realtà un'idea estremamente geniale, indiscutibilmente
la più geniale di cui si sia fin qui resa responsabile l'econo-
mia politica».

II T ableau assume tre classi di cittadini, la


classe produttiva, la classe dei proprietari e la classe
sterile. La prima comprende gli imprenditori agri-
coli (fittavoli) e i coltivatori, la seconda i proprietari
terrieri, compresi il sovrano e i titolari di decime,
la terza gli artigiani, commercianti, imprenditori e
operai industriali, impiegati. Lo schema vero e pro-
prio prevede la circolazione del prodotto agricolo
(l'unico riconosciuto) fra le tre classi: partendo da
un ipotetico prodotto nazionale del valore di cinque
miliardi, «c'è un miliardo che viene speso dai pro-
prietari in acquisti fatti presso la classe produttiva
e un miliardo in acquisti fatti presso la classe sterile.
La classe produttiva che vende per tre miliardi di
prodotti alle altre due classi, ne restituisce due per
il pagamento della rendita e ne spende uno in acqui-
sti dalla classe sterile. Così la classe sterile riceve
due miliardi che impiega presso la classe produttiva
in acquisti per la sussistenza dei suoi agenti e per
l'acquisto delle materie prime. La classe produttiva
spende annualmente due miliardi di prodotti, la qual
cosa completa la spesa o il consumo totale dei cin-

24
que miliardi di riproduzione annuale. E' questo l'or-
dine regolare della distribuzione della spesa di cin-
que miliardi che la classe produttiva fa rinascere
annualmente con la spesa di due miliardi di antici-
pazioni annue, comprese nella spesa totale dei cin-
que miliardi di riproduzione annua».
Nelle Osservazioni importanti allegate al T a-
bleau si torna a sottolineare la necessità per i pro-
prietari di investire prioritariamente in quelle spese
1

infrastrutturaH che consentono un aumento della


produttività della coltivazione ( strade, canali, ecc.),
si postula la libera concorrenza e la libera circola-
zione dei grani come presupposto per il massimo e
più equilibrato sviluppo della produzione, si racco-
manda di tener alti i prezzi all'ingrosso e bassi quelli
al dettaglio per accrescere la domanda e mantenere
elevato il prezzo dei prodotti agricoli (da cui si trag-
gono gli investimenti produttivi) - in diretta opposi-
zione agli interessi e al numero dei commercianti - 8,

1
Tuttavia, «l'intero corpo dei commercianti e anche ciascun
membro di tale corpo immenso avrebbe, guardando la cosa nel suo
insieme e in tutta la sua estensione, un interesse molto concreto
a che le produzioni siano costantemente vendute di prima mano al
più alto prezzo, perché più sono vendute ad alto prezzo, più la
coltura dà prodotto netto, reintegra le anticipazioni dei coltivatori,
aumento le rendite del sovrano, dei proprietari e dei titolari di
decime, fornisce salari agli altri cittadini; si moltiplicano le spese
di ogni genere e il commercio acquista oggetti, occasioni, attività
e quindi la somma totale dei guadagni dei commercianti aumenta
per effetto di quella stessa concorrenza che, in ogni circostanza
particolare, impedisce che questi guadagni siano eccessivi, a scapito

25
si svaluta l'importanza della circolazione monetaria,
ridotta a funzione del ciclo riproduttivo agricolo.
Si noti infine che tutto il peso fiscale dovrebbe ri-
cadere sulla rendita fondiaria, esonerandone classe
produttiva e sterile al fine di evitare che l'imposta
gravi sulle fonti stesse della produzione e diminuisca
la possibilità di reinvestimento o di consumo pro-
duttivo.
L'elemento centrale della teoria fisiocratica è
quindi la coscienza capitalistica della produzione,
adattata alle particolari condizioni di un paese come
la Francia, in cui la produzione agricola da un lato
è preponderante e autonoma, dall'altro è evidente-
mente indipendente dalla circolazione, cosl da non
generare equivoci mercantiliscici. La rendita appare
cosl la forma più evidente di plus-valore, assoluto
e relativo, identificandosi nel contempo con estre-
ma chiarezza la separazione fra mezzi di produzione
(terra) e produttori.
Osserva in particolare Marx 9 che la fisiocrazia
è il primo sistema che analizzi la produzione capi-
talistica, che rappresenti le condizioni entro le quali
il capitale viene prodotto ed entro le quali ,il capi-
tale produce le leggi della produzione come leggi
esterne e naturali. D'altra parte esso sembra una

dei pr=i dei prodotti ... I negozianti non fanno nascere il pr=o
né la possibilità del commercio, ma è la possibilità del commercio
che fa nascere i negozianti» (oss. VI).
' K. MARX, Teorie cit. I p. 134 e sg.

26
produzione borghese del sistema feudale», del do-
minio della proprietà fondiaria, mentre il nascente
lavoro industriale si configura come «improdutti-
vo». Ma appunto la tangibile separazione fra terra
e coltivatori fa del proprietario fondiario il primo
evidente percettore di plus-valore, la prima veste
del capitalista. Il feudalesimo viene così riprodotto
e spiegato come forma della produzione borghese:
«mentre il feudalesimo viene imborghesito, la socie-
tà borghese assume un'apparenza feudale» - ma è
chiaro che l'accento batte storicamente sul conte-
nuto moderno. Comunque i fisiocratici colgono l'ele-
mento centrale di verità, in quanto la separazione
del lavoratore dalla terra e dalla proprietà della
terra è la condizione fondamentale per la produ-
zione capitalistica.
L'incomprensione, però, dell'origine del plus-
valore, ridotto deisticamente a «dono della natura»
benefica, rende impossibile una valutazione adegua-
ta delle attività produttive. Innanzi tutt() viene a
mancare il concetto di plus-lavoro come fonte del
plus-valore e quindi soltanto l'agricoltura è luogo
di esplicazione delle forze produttive spontanee del-
la «natura». E' un passo avanti, in quanto il plus-
valore nasce dalla produzione e non più dalla circo-
lazione (profit upon alienation ), ma resta il limite
del suo radicamento naturalistico (e per di più
palesemente implausibile). In secondo luogo, l'iden-
tificazione dell'eccedenza socialmente prodotta nel-
la rendita fondiaria e la conseguente contrapposizio-

27
ne fra proprietari (capitalistici) e :fittavoli stipen-
diati con rendita nell'ambito del settore produttivo,
da un lato, fra settore produttivo e settore «sterile»,
dall'altro, fa apparire di scarsa rilevanza teorica per
Quesnay il rapporto tanto fra :fittavolo e operaio
agricolo quanto fra imprenditore e operaio nei rami
industriali e commerciali, dato che tutto l'interesse
si concentra sulla circolazione fra i tre grandi ag-
gregati sopraddetti e si tratta di ripartire un'ecce-
denza spontanea, non derivante da appropriazione
di lavoro non pagato.
Ma il misconoscimento teorico del ruolo del
lavoro industriale e della stessa affittanza capitali-
stica in agricoltura non toglie un importante rico-
noscimento pratico, in quanto Quesnay intende ri-
versare il peso :fiscale esclusivamente sulla rendita,
liberandone le attività realmente «produttive», che
vengono d'altro canto sollecitate sia pure in funzio-
ne subalterna allo sviluppo agricolo. La polemica
investe piuttosto certe produzioni di lusso e quel
vincolismo colbertiano che era estremamente inviso
proprio ai commercianti e soprattutto agli indu-
striali. Riforma fiscale, sostegno della libera concor-
renza e ordine giuridico-sociale tutelato dall'ammi-
nistrazione sono tre punti che in realtà costituiscono
il programma del capitalismo nel suo complesso e,
virtualmente, dei suoi strati più avanzaci.
Che le misure invocate per l'agricoltura siano
vantaggiose per l'industria, o per riflesso o come
possibilità di generalizzazione, risulta chiaro anche

28
dalla lettura delle Massime annesse al T ableau: che
la proprietà dei beni fondiari e delle ricchezze mo-
biliari sia garantita a coloro i quali ne sono i pos-
sessori legittimi, poiché la sicurezza della proprietà
è il fondamento essenziale dell'ordine economico
della società ( IV); che l'imposta non sia distruttiva
o sproporzionata alla massa del reddito nazionale
(V); che ciascuno sia libero di produrre ciò che gli
suggerisce l'interesse (XIII); che le terre siano riu-
nite in grandi fattorie condotte da ricchi coltivatori
(enclosures) (XV); che non si ostacoli il commercio
estero delle derrate (XVI); che si costruiscano stra-
de, porti, canali (XVII), ecc.
Da un punto di vista politico, nelle Massime
Quesnay teorizza il dispotismo legale, cioè l'auto-
rità assoluta del sovrano, nella duplice veste di po-
tere superiore agli interessi ingiusti e particolari (ciò
che esclude un sistema di controforze limitanti)
e illuminato dalla ragione e dallo studio riguardo
alla conoscenza delle leggi di natura 10 • Già questa
circostanza ci induce a porre una prima questione,
cioè dell'evoluzione della scuola fìsiocracica da una
concezione conservatrice, di compromesso fra il ri-

0
' Analoga teorizzazione nell'opuscolo sul Dispotismo della
Cina, ed. Oncken pp. 563-4, in cui si distingue fra despoti legittimi
e illegittimi o arbitrari, che non si fondano cioè sull'evidenza. Questo
scritto del 1767 influenzò anche letteralmente il famoso Ordre nature!
di Mercier de la Rivière e il suo concetto di «dispotismo legale»,
testimone anche la lettera di Mirabeau del 27 maggio 1788 citata
in Oncken p. 563, n. 1.

29
spetto istituzionale e la novità della riflessione eco-
nomica, a una concezione più aderente alle esigenze
del riformismo capitalistico della seconda metà del
XVIII secolo - evoluzione che si rende palese nel
pensiero e nell'azione pratica di Turgot.
Tale differenza d'accento non è meramente po-
litica (assolutismo illuminato o parlamentarismo)
- anche se proprio in campo politico vi saranno le
polemiche più accese, dentro e fuori la «scuola» -
ma risale già alla conce'lli.one dell'economia politica.
Per esempio, in Turgot è assai più netta che
in Quesnay la divisione in classi, grazie alle sotto-
divisioni introdotte in quella improduttiva e in
quella sterile fra imprenditori e salariati, e alla defì-
nizione del lavoro contadino come unico produttivo,
nella misura in cui produce «un'eccedenza sul sala-
rio», onde il profìtto si presenta come lavoro non
pagato (mentre per Quesnay il salario è una gran-
dezza fusa, vincolata all'andamento dei prezzi).
Inoltre Turgot fuoriesce dal radicamento na-
turalistico del lavoro produttivo, nella misura stes-
sa in cui scopre la reale divisione in classi: egli
elabora, a partire dal T ableau, uno schema di equi-
librio economico generale, che accentua il peso della
circolazione sul processo di produzione e afferma di
fatto l'eguag1ianza tra agricoltura e industria, dato
che tutti i generi di lavoro esigono delle anticipa-
zioni che debbono essere annualmente riprodotte.
Di qui la teorizzazione della terra come equivalente
generale dei valori prodotti nelle diverse sfere. In

30
una lettera a Dupont de Nemours del 20 febbraio
1766 11 Turgot deriva il principio della libertà di
commercio e della concorrenza direttamente dal di-
ritto di proprietà e dalla facoltà esclusiva degli indi-
vidui di conoscere i propri interessi, e aggiungeva
che a questa definizione si poteva arrivare «du
comptoir», come Gournay, o «de la charrue», come
Quesnay.
Già in prima istanza Quesnay aveva legitti-
mato in termini compromissori l'attività capitalisti-
ca nei rami dell'industria e del commercio: osserva
giustamente Marx che le dottrine fisiocratiche sono
connesse non casualmente con la proclamazione del-
la libera concorrenza, col principio della grande in-
dustria, della produzione capitalistica. La libera con-
correnza infatti è vista come lo strumento per ri-
durre al minimo i costi di trasformazione dei pro-
dotti agricoli e di produzione degli strumenti di la-
voro agricolo: «l'emancipazione della società bor-
ghese dalla monarchia assoluta, eretta sulle rovine
della società feudale, si compie dunque solo nell'in-
teresse del proprietario fondiario feudale trasfor-
mato in un capitalista e preoccupato soltanto di

11
TURGOT, Oeuvres complètes, II, p. 507; poco oltre l'allora
intendente del Limousin ironizza sull'indignazione degli industriali
per la terminologia fisiocratica che li definisce «sterili• e osserva
che essi sono favoriti dall'eliminazione delle barriere daziarie e
dei vincoli corporativi e, per di più, sono proposti per l'esonero
dalle imposte.

31
arricchirsi» 12 • I capitalisti - e qui è l'elemento ideo-
logico, più accentuato nel conservatorismo di
Quesnay e Mercier che non in Turgot e nel più
tardo Dupont de Nemours - «sono capitalisti solo
nell'interesse del proprietario fondiario, esattamen-
te come l'economia politica, nel suo sviluppo suc-
cessivo, li fa essere capitalisti soltanto nell'interesse
della classe lavoratrice». Di qui l'equivoca adesione
alla dottrina «di una massa di signori feudali» e
l'illusorio compromesso del «dispotismo legale».
Turgot è, come scrive ancora Marx 13, «il più
avanzato», in quanto rappresenta a volte il puro
dono della natura come pluslavoro e spiega la ne-
cessità per l'operaio di cedere il prodotto eccedente
il salario con la propria separazione dalle condizioni
di lavoro. Il lavoro agricolo è definito il solo pro-
duttivo poiché è la base naturale, il presupposto per
l'esercizio indipendente di tutti gli altri lavori; il
plusvalore nasce dalla produzione, come lavoro non
pagato, e si realizza nella circolazione, con la ven-
dita del prodotto al suo valore.
Non appena il lavoro dell'agricoltore produce in
misura superiore ai suoi bisogni - afferma Turgot in
apertura delle sue Réfiexions sur la formation et la
distribution des richesses del 1766 - egli con questo
superfluo che la natura gli concede come puro dono
può comprare il lavoro di altri uomini. Costoro,

12
MARX, Teorie, cit., p. 138.
" Ib., p. 139 sgg.

32
vendendo il loro lavoro, ricavano soltanto il neces-
sario per vivere; l'agricoltore invece, oltre a mante-
nersi, riceve una ricchezza disponibile «che egli non
ha affatto comprato ma che vende». Di qui parte
il ciclo della circolazione e della nuova produzione.
L'eccedenza è lavoro non pagato, differenza fra il
salario e il prezzo dei prodotti, sulla base, ovvia-
mente, dell'ipotesi (che però è ormai un fatto sto-
rico) della separazione dei lavoratori dagli strumen-
ti di lavoro. Difatti nelle epoche più antiche pro-
prietario fondiario e agricoltore coincidevano, fin-
tanto che le terre erano ,illimitate. Ma quando ogni
terra trovò il suo padrone, quelli che rimasero senza
proprietà non ebbero altra risorsa che quella di
scambiare il loro lavoro al servizio della classe sti-
pendiata (artigiani) contro l'eccedenza dei prodotti
del proprietario coltivatore. A sua volta anche il
proprietario coltivatore assume, in cambio dell'ecce-
denza, lavoratori salariati, e cosl a poco a poco la
proprietà della terra si separa dal lavoro di coltiva-
zione. Se prima il proprietario coltivatore ricavava
il necessario (=salario) più un'eccedenza, ora il
coltivatore salariato riceve il salario, il proprietario
la rendita ( =plusvalore). Tale rendita è il dono che
«la terra concede a chi la coltiva», risulta dalla for-
za produttiva del lavoro che eccede la semplice ri-
produzione; la rendita, insomma, nasce dall'appro-
priazione, grazie alla separazione del lavoro dalle
condizioni di lavoro (del lavoratore salariato dalla
terra), di lavoro altrui. «Il coltivatore produce il

33
proprio salario, e in più il reddito che serve a retri-
buire tutta la classe degli artigiani e degli altri sti-
pendiati. Il proprietario fondiario non riceve niente
se non mediante il lavoro del coltivatore ... il col-
tivatore ha bisogno del proprietario fondiario solo
in virtù delle convenzioni e delle leggi».
Il profitto dell'imprenditore agricolo e indu-
striale, da un lato deriva in ultima istanza dal red-
dito (si tratta pur sempre di stipendiati dai proprie-
tari), dall'altro si regola su di esso, perché il pro-
fitto deve essere almeno pari alla rendita che si
ricaverebbe dall'acquisto, con i capitali impiegati
nell'impresa, di terra. Il prezzo del prodotto con-
siste nelle anticipazioni di capitale più questo pro-
fitto.
Sia Quesnay che Turgot vedono nella grande
coltura su base capitalistica la strada maestra per
lo sviluppo dell'economia, ma Turgot mette in ri-
lievo maggiore il meccanismo dell'affittanza (pro-
prietario-fittavolo-salariati) come più produttivo ri-
spetto alla conduzione diretta a salariati da parte del
proprietario; in questo modo si verifica la concen-
trazione delle terre e la cristallizazzione degli strati
operai. Mentre Quesnay esalta l'autofinanziamento
dell'impresa agricola gestita dall'affittuario, sanzio-
nando la separazione tra rendita fondiaria e pro-
cesso aziendale di accumulazione, Turgot generaliz-
za il meccanismo del credito e quindi prende in
considerazione il capitale finanziario come momento
di integrazione fra rendita e profitto ed eventual-

34
mente di subordinazione della rendita al profitto.
In Quesnay, coerentemente, la coscienza capi-
talistica si intreccia con l'ideologia feudale: il rap-
porto fondamentale di produzione è quello tra pro-
prietari fondiari e classe «produttiva» (affittuari e
salariati agricoli insieme), ciò che rischia di eterniz-
zare la classe proprietaria. Il progresso tecnico e lo
sviluppo capitalistico attraverso la produttività dif-
ferenziale delle aziende, vengono subordinati all'esi-
stenza della proprietà fondiaria, sulla quale vengono
a gravare pesi specifìci (l'imposta), ma che pure ha
privilegi permanenti (forma la classe dominante e
culmina nel sovrano assoluto, despota «legale» e «il-
luminato»). Da un lato ciò risponde all'interesse
capitaliscico di tutela della proprietà fondiaria come
strumento di accumulazione primitiva, di separazio-
ne dei produttori dai mezzi di produzione, dall'al-
tro però si scivola nel conservatorismo politico-so-
ciale e in una visione restrittiva dell'accumulazione
come autofinanziamento, nonché ci si impiglia in
contraddizioni, come l'astrazione dal commercio in-
ternazionale ( e la conseguente difficoltà di tener
alto il prezzo dei prodotti agricoli all'ingrosso).
Turgot risolve invece decisamente le difficoltà
della scuola fisiocratica considerando la terra come
merce e introducendo il capitale finanziario e il cre-
dito come mediatore dell'equilibrio economico. La
rendita diventa una funzione subordinata al profit-
to nello sviluppo capitalistico e l'opera pratica di
Turgot, come intendente del Limousin e come con-

3.5
trollore delle finanze, investe decisamente tutti 1
nodi di tale sviluppo, non solo la libertà dei grani
e la costruzione di infrastrutture, ma anche lo
scioglimento delle corporazioni, la libera concorren-
za in generale, l'abolizione dei dazi interni e delle
corvées e taluni tentativi di riforma fiscale. A livello
teorico Turgot va ben al di là del meccanismo fiscale
quesnaiano (impost>a gravante sulla rendita e disin-
teresse per le spese della sterile classe industriale),
definendo le condizioni ottimali di prosperità del-
l'intero sistema economico nel mantenimento di un
basso ~aggio di interesse, che avvantaggia evidente-
mente l'impresa sia agricola che industriale. La poli-
tica economica discende quindi dalla pressione della
nascente borghesia, di cui Turgot si fa interprete,
ma anche e contemporaneamente da un diverso ap-
proccio teorico che centra sull'individuazione del
ruolo del credito e dell'effettivo meccanismo pro-
duttivo e di classe 14 •

14
Per i testi di Turgot, commentati ampiamente da Marx nei
passi citati delle Teorie, cfr. le Réflexions, cit., nn. I-XVIII; XXVI
sgg.; XLIX sgg. spec. LXI-LXVI, LXX sgg. (nel vol. II delle
Oeuvres, cit.). Notare in particolare il paragrafo LXXXVI, in cui
si stabilisce come il profitto d'impresa debba essere leggermente
superiore all'interesse del denaro e questo alla rendita agraria; il saggio
di interesse è comunque il «termometro,- della vita economiai, per-
ché un basso saggio implica una buona valorizzazione delle terre
e abbondanza di capitali da investimento nelle imprese (nn.
LXXXVIII e LXXXIX). Si noti che i capitalisti prestatori a interesse
appartengono alla classe disponibile ( dei proprietari). Sull'atteggia-
mento di Turgot verso il commercio e l'industria è fondamentale

36
4. Elementi di sociologia fisiocratica

Sulla base della formulazione generale di


Quesnay, e con quel tanto di conservatorismo che
gli abbiamo imputato e che risulta aggravato dallo
scolasticismo dei seguaci, si sviluppa il discorso po-
litico-sociale dei fìsiocratici.
Già l'editore di Quesnay e degli altri fìsiocra-
tici, Dupont de Nemours, zelantissimo propagandi-
sta della scuola e fanatico ideologo dell'egoismo
borghese, propone il rapporto fra sviluppo econo-
mico e tutela della proprietà come fatto di «cul-
tura»: laddove l'autorità sovrana garantisce la pro-
prietà si ha cultura, l'alternativa è il «depredamen-
to» della proprietà da parte dello Stato interventi-
sta, colbertiano (ma virtualmente anche da parte
della cupidità dei non-proprietari). La tematica non
è nuova, già Locke e Ferguson avevano visto nel-
l'affermazione della proprietà privata l'inizio della
civiltà umana e in ambiente francese non erano
mancate anche altre espressioni icastiche, come quel-
la di Le Vauguyon, il quale, intervenendo nella
polemica fra Mably e, appunto, i fìsiocratici, aveva

l'elogio di Gournay, scritto nd 17.'59, in cui si raccomanda di sba-


razzare l'industria da ogni sorta di vincolo, si esalta il basso saggio
di interesse e si loda l'eclettismo contro ogni irrigidimento in «siste-
mi• (alludendo tanto al mercantilismo quanto agli = s i fisiocratici
da cui prende le distanze anche nella citata lettera a Dupont de
Nemours, che è tutto un riconoscimento dell'importanza oggettiva
dd settore commerciale e industriale); cfr. Oeuvres, I, p . .'59.'5 sgg.).

37
affermato che «nessuna società regolare può esiste-
re senza diseguaglianza, poiché nessuna società re-
golare può esistere senza cultura» 15 un'afferma-
zione che Kant stesso sottoscriverà. Ma la specifi-
cità di Dupont è nel carattere scopertamente apo-
logetico che tali formulazioni assumono, nella co-
scienza della mistificazione e nell'imbarazzata un-
tuosità della polemica 16 •
Una rielaborazione più organica e distesa del-
la tematica fisiocratica è nell'opera di Dupont, De
l'origine et des progrès d'une science nouvelle 11 :
l'autorità sovrana non è istituita per fare le leggi,
ma queste si trovano già fatte «par la main de celui
qui créa les droi ts et les devoirs » (ecco subito
l'inlìessione compuntamente deistica) - quello stesso
Dio che, mediante l'agricoltura, è «le seul produc-
teur» 18 • Le leggi sociali prescrivono esclusivamente
la conservazione del diritto di proprietà e di libertà.
Le leggi positive non sono che «atti dichiaratori di

15
Citato in WEULF.RSSE, Ler physiocrates, Paris 1931, p. 185.
" Si veda anche l'aggiunta falsificante che Dupont compie al
testo delle Réfiéxions di Turgot, laddove l'autore parlava del carat-
tere convenzionale della dipendenza dei coltivatori dai proprietari:
il nostro apologeta sostiene che ciò avviene «pour prix des avance11
foncières par lesquelles ils ont mis ces terrains en état d'etre
cultivés» - suscitando la protesta vivace di Turgot, che non voleva,
oltretutto, essere fagocitato dalla «scuola».
17
Physiocrates, p. 347 sgg., 359 sgg., 399.
18
In genere l'ordine naturale è divinizzato al punto che alcuni
autori parlano, al posto di «fisiocrazia», di «teocrazia» WEULERSSE,
cit., pp. 209-10).

38
queste leggi essenziali dell'ordine sociale. Il potere
legislativo non crea, ma dichiara».
Di qui l'opportunità di un forte potere stabile,
assoluto ed ereditario che, meglio di un sovrano de-
mocratico o aristocratico (condizionato da interes-
si particolari), può far coincidere l'interesse del paese
con quello del sovrano. Il sovrano stesso è concepito
come co-proprietario delle terre e quindi diretta-
mente cointeressato all'aumento del prodotto netto
mediante un'accorta politica economica. Come in
Quesnay la classe proprietaria è «disponibile» per il
servizio della Stato, mentre gli altri strati sociali,
<<stipendiati», figurano come governati. Si tratta evi-
dentemente di un'esigenza ancora informe e confusa
di dittatura della borghesia. I modelli sono la semi-
mitica Cina e i più contingenti entusiasmi per Cate-
rina II di Russia. Negli anni successivi della sua lun-
ga vita, Dupont de Nemours avrà modo di trasfor-
marsi in spettatore della Rivoluzione francese e in
liberale moderato, facendo da ponte fra la scuola fi-
siocratica e gli idéologues, ma egli esordi, pur nel suo
eclettismo, inclina palesemente alle soluzioni politi-
camente più conservatrici.
Il manifesto, comunque, del dispotismo legale
è L' ordre nature! et essentiel des sociétés politiques
di Mercier de la Rivière 19 • Il dispotismo «legale»
è tale e si differenzia da quello arbitrario e personale
perché si fonda sull'evidenza di un ordine essenziale

" In Physiocrates, II, p. 455 sgg., 469 sgg., 607 sgg.

39
in cui fiorisce l' état dei proprietari fondiari. E' il di-
spotismo di Euclide nella geometria, l'assiomatica
razionale del potere politico. Con una definizione
molto felice, che allude all'esaltazione globale del-
l'attività produttiva, il Baudeau la chiamerà «monar-
chia economica 20 • Per il pio abate, infatti, i concetti
tradizionali di benefìcienza, giustizia e crimine o col-
pa vanno interpretati come moltiplicazione, tutela
e diminuzione della produzione; la filosofia morale
e l'economia politica si riducono all'essere «ami des
hommes» (era l'appellativo di Mirabeau padre e
del suo giornale), cioè incoraggiatore della produzio-
ne. Non meraviglia perciò che il Mercier esclamasse:
«Pécher contre la loi, c'est pécher contro la Divini-
té» 21 e consacrasse la triade propriété, liberté, surété,
che ritornerà nell'articolo 2 della Dichiarazione dei
Diritti dell'Uomo inserita nella Costituzione del
1791. Sono proprio la liberty and property lockia-
ne, per cui Mercier sarà vantato da Diderot, pur in
dissenso sul dispotismo legale, come «l'apòtre de la
propriété et de la liberté».
La libertà sociale, inoltre, è inerente al diritto
di proprietà (cosl che attaccare l'una equivale ad at-
taccare l'altra) ed entrambi contribuiscono al be-
nessere collettivo: perciò ogni uomo diventa lo stru-
mento della felicità degli altri nella concorrenza.

,. I b., p. 6'57 sgg.


" Ib., p. 612; cfr. il gusto deocratico» della scuola e le pretesche
apostrofi di Dupont de Nemours.

40
La concorrenza degli interessi particolari fa l'inte-
resse generale, genera uno spirito di tutela della liber-
tà e della proprietà e quindi, sul piano internazio-
nale, si oppone alla guerra e sollecita una lega per im-
pedire le sopraffazioni internazionali. Nasce cosl,
come solidarietà nazionale e mondiale degli interessi
proprietari, la fraternité 22 • La triade rivoluzionaria
è già delineata!
Posizioni di tal genere erano d'altra parte cor-
renti negli ambienti fisiocratici: Quesnay aveva ri-
petutamente messo in rilievo il cosmopolitismo dei
commercianti e Turgot, d'intesa con Dupont de Ne-
mours, aveva parlato dei commerçants éclairés ( de-
siderosi, cioè, del libero scambio locale e interna-
zionale) come dei «liens des nations et les média-
teurs de la paix universelle» 23 • Sono concetti che
torneranno nel saggio kantiano sulla pace perpe-
tua, nello stesso rapporto dialettico con il concetto
di concorrenza e antagonismo economico 24 • E proprio
in Mercier troveremo un'altra bellissima anticipazio-
ne kantiana, quando, nel pieno del suo entusiasmo
per l'evidenza delle leggi naturali della propri.età, af-
ferma che tali leggi vanno osservate non per coazione
esterna, ma «par religion de for intérieur». L'interio-
rità astratta biasima qui il male come ignoranza e, vi-

" Ib., p. 626 sgg.


" TURGOT, Oeuvres, II, p. 508.
"' Sul concetto kantiano di «pace perpetuai. dr. A. ILLUMINATI,
Kant politico, Firenze 1971, cap. IV.

41
ceversa, definisce malvagità punibile l'ignoranza 25 •
L'elemento comune fra Mercier e Turgot è l'ade-
sione al meccanismo della concorrenza capitalistica:
la reciproca e positiva strumentalità degli uomini nel-
l'antagonismo commerciale, prefigurazione della «so-
cievole insocievolezza» kantiana, era stata più di-
stesamente apprezzata da Turgot nell'elogio di Gour-
nay - «l'interesse dei particolari coincide esattamen-
te con l'interesse generale e il meglio è lasciare ogni
uomo libero di fare ciò che vuole ... è impossibile
che nel commercio abbandonato a se stesso l'inte-
resse particolare non concorra con quello genera-
le» 26 •
La differenza sta però nel travestimento paterna-
listico-feudale di cui si ammanta Mercier (come Ques-
nay, Baudeau e il primo Dupont, nonché il «patriar-
cale e capriccioso» Mirabeau padre) - e che finisce
per porre limiti vistosi alla stessa elaborazione teo-
rica - mentre Turgot, come teorico e come riformato-
re (cosl come più tardi il tribuno Mirabeau figlio),
si schiera decisamente per una liberalizzazione delle

" Physiocrales, II, p. 636. L'evidenza è frutto cli una divinità


benefica che vuole gli uomini felici (ib., p. 637). Qui l'ideologia
borghese è vistosamente imprigionata dal paternalismo, che è il
principale limite dei fisiocratici, eccettuato Turgot.
" TuRGOT, Oeuvres, I, pp. 602-3, cui segue la classica argo-
mentazione liberistica sulla dissoluzione, nella concorrenza, degli
inganni, frodi, monopoli, sulla gara per il basso prezw al consumo
e la qualità delle merci, ecc. - prima idilliaca e vigorosa rivendica-
zione della concorrenza « perfetta,..

42
strutture statuali e per vincoli parlamentari all'auto-
rità del sovrano. Turgot, anzi, si dimostra preoccu-
pato per la propensione fisiocratica all'assolutismo
illuminato, che metteva in cattiva luce le verità della
scuola non solo presso gli ambienti illuministici TT
ma soprattutto presso il pubblico dei veri destinari,
la borghesia. Scrivendo all'affezionato Dupont de
Nemours il 10 maggio 1771 egli si lamenta che la
dottrina del dispotismo legale continui a «salir» le
opere degli «economisti» 28 • Lo sforzo per sciogliere
la sociologia e l'economia borghese dei fisiocratici
dalla veste feudale è evidente e riuscirà ben presto
a favorire il trapasso di alcuni elementi della scuola
al liberalismo moderato di fine secolo. Per un altro
verso anche Kant compirà l'operazione di tradurre
i contenuti economici fisiocratici in uno schema libe-
rale di Stato di diritto. n nucleo essenziale delle
dottrine fisiocratiche verrà praticamente accolto dal-
la Legislativa, tanto quanto la Convenzione si ispi-
rerà a Rousseau.
Anche l'elemento che più affascina nella dottri-
na del dispotismo legale, e cioè quella prefigurazio-

17
Sui rapporti fra fisiocratici e illuministi (specialmente Diderot)
cfr. WEULERSSE, cit., pp. 15-55; R. HuBERT, Les sciences socia/es
dans l'Encyclopédie, Paris 1923, passim, spec. pp. 173-175, 189 sgg.,
193 sgg., 214, 262, 364 (dove si mette in rilievo il contrasto per
l'eccessivo settarismo dei fisiocratici, ma anche l'affinità nd modera-
tismo politico-sociale). «Con tutta la loro ingannevole apparenza
feudale,. - afferma Marx, Teorie, cit., p. 155 - «i fisiocratici lavorano
in stretto legame con gli Enciclopedisti!,.,
21
TuRGOT, Oeuvres, III, pp. 486-7.

43
ne naturalistica dell'oggettività tecno-burocratica -
il «dispotismo di Euclide», cosi allusivo a una real-
tà trasparente, ineluttabile, da gestire «ammini-
strativamente» - è in realtà una falsa strada. Per
arrivare al trionfo dell'oggettività capitalistica la
via giusta era quella della sovranità impersonale
della legge formulata da cittadini equali, non cer-
to la buona volontà del sovrano assoluto illumi-
nato, ancora schiavo di interessi relativamente ar-
retrati e privo, comunque, della necessaria for-
za rivoluzional'ia per spazzar via i detriti del vec-
chio mondo. Anche se suggestivo e segretamente
consono alla natura del potere borghese il dispoti-
smo legale era attardato e fuorviante. All'orizzonte si
leva già il dispotismo della legge, cioè la dittatura le-
gale della borghesia. Su questa direttiva andranno
molto avanti il liberalismo di Turgot, del tardo Du-
pont e degli ideologhi, in testa a tutti il corrispon-
dente di Turgot, Condorcet, e ancora di più la scon-
volgente, contraddittoria e borghesemente rivoluzio-
naria democrazia di Rousseau.
Nell'articolo Fondation per l'Enciclopedia
( 17 57) Turgot aveva risolutamente aflermato che
«le bien général doit etre le résultat des efforts de
chaque particulier pour son propre intéret» 29 • Già
da alcuni anni, come vedremo, Rousseau nei due
Discorsi e nella prefazione del Narcisse aveva vio-

" Ib., I, p. 590.

44
lentemente polemizzato contro questo punto di vista,
identificandolo come la proiezione stessa del male
e della corruzione nel campo della teoria e della
pratica sociale.
Tuttavia entrambe le posizioni dimostreranno
una segreta affinità, al di là del baratro scandaloso
aperto dalla polemica e dalla passionalità russoviana:
entrambe convergono intorno alla ricerca e alla defi-
nizione della legge cui subordinare i mutevoli moti
dell'interesse e del sentimento - una legge astratta
e oggettiva cui corrisponde un'interiorità soggettiva
ma parimenti astratta, perché sconnesse, l'una e
l'altra, dal condizionamento sociale, o meglio, sotto
questa apparenza, condizionate dai valori e dalla
ferrea logica della nascente società borghese.
Nei :fisiocratici il trionfo storico della borghesia
è pavesato in abiti feudali e dichiarato in termini
restrittivi (identificazione del plusvalore con la ren-
dita, della dittatura borghese con il dispotismo le-
gale); in Turgot e Rousseau esso è rappresentato
politicamente ma in divergente duplicità - mediante
le riforme dall'alto e con la tutela economicistica
dell'individuo, dal primo; mediante un processo
rivoluzionario e l'esaltazione, al limite dell'utopia,
del primato della politica, dal secondo. Ma questa
impostazione valga qui soltanto come un preannun-
cio, rinviandosi a una dimostrazione più dettagliata
in merito alle ambivalenze di Rousseau.

45
5. L'idea di progresso

I fisiocratici non potevano pervenire a una


compiuta teorizzazione dello sviluppo capitalistico
per tre ordini di cause. In primo luogo, per l'incom-
prensione dell'origine del plusvalore e quindi per
una definizione dei fattori della produzione in ter-
mini di anticipazioni, costo del salario e profitto
dell'affittuario, in cui salario e profitto figurano co-
me quote fisse. Il costo di produzione viene a coin-
cidere con il valore del prodotto defalcato della ren-
dita; la riproduzione è assunta come riproduzione
semplice.
In secondo luogo la teoria dell'equilibrio ri-
proeone, a livello di sistema economico generale,
la dinamica meramente aziendale definita dai fattori
dellJ produzione (proiezione dei costi aziendali del
capitale individuale) e quindi la sua staticità. In.fine,
l'isolamento dell'agricoltura come unica sfera pro-
duttiva di ricchezza, che mette in ombra i settori
più dinamici e progressivi della vita economica.
Lo stesso Turgot, che su questi punti comin-
cia a distaccarsi dai limiti della scuola, riesce solo
parzialmente a delineare un quadro coerente dello
sviluppo; anzi, inizialmente si accontenta di una
più generica teorizzazione del progresso, che pure
acquista notevole importante per una presa di co-
scienza complessiva dell'ideologia borghese.
Nei suoi primi, precoci scritti sull'argomento
Turgot si iscrive nella linea di Pascal e Fontenelle

46
e punta sistematicamente sulla rilevazione del pro-
gresso scientifico, linea costante nelle alterne vicende
della società e delle arti ~.
La continuità delle arti meccaniche, rispetto
alla discontinuità delle arti e delle lettere, la casua-
lità della distribuzione del genio, l'accumulazione
culturale consentono di cogliere una linea regolare
di evoluzione che trova ostacolo non tanto nella
guerra e nelle rivoluzioni quanto nello spirito di
routine. Il progresso è fenomeno impersonale e
inarrestabile, che si articola attraverso le varie epo-
che storiche e le differenze nazionali, di cui Turgot
è attento studioso.
Ma l'analisi più ricca del progresso è conte-
nuta in due scritti rispettivamente del 1750 e del
1751: il Tableau philosophique des progrès suc-
cessifs de l'esprit humain (pronunciato originaria-
mente in latino alla Sorbona) e l'incompiuto Plan
du second Discours sur les progrès de l'esprit
humain, secondo dei due progettati discorsi sulla
storia universale 31 •
Turgot contrappone alle leggi costanti e cicliche
della natura l'evoluzione apparentemente casuale ma
in realtà lineare e accumulativa della storia, sulla
base di un perenne accrescimento del patrimonio

10
Ib., I, pp. 117-8, 133; sono frammenti delle Recherches sur
les causes des progrès et de la décadence des sciences et des arts
del 1749.
" Ib., 1, p. 214 sgg.; 298 sgg.

47
di conoscenze scientifiche e tecnologiche reso possi-
bile dalla scrittura. « Vediamo stabilirsi delle società,
formarsi nazioni che di volta in volta dominano o
obbediscono ad altre nazioni; gli imperi si innalzano
e cadono; le leggi, le forme di governo si succedono
le une alle altre; le arti e le scienze sono scoperte
e si perfezionano; accelerate o ritardate nel loro
progresso passano di clima in clima; l'interesse, l'am-
bizione, la vanagloria cambiano a ogni momento
la scena del mondo, inondano la terra di sangue e,
in mezzo alle loro devastazioni, i costumi si addol-
ciscono, lo spirito umano si illumina, le nazioni
isolate si avvicinano reciprocamente, il commercio
e la politica unificano infine tutte le parti del globo
e la massa totale del genere umano, attraverso al-
ternative di calma e di agitazione, di beni e di mali,
marcia continuamente, sebbene a lenti passi, verso
una maggiore perfezione».
Questa tematica del progresso che si snoda
attraverso gli antagonismi spinge inevitabilmente a
ricercare il «fìlo» che corre per questa successione
apparentemente irrazionale e casuale di fatti - quello
che con quasi identica logica ed espressione Kant
chiamerà il «filo conduttore» della storia umana
come storia del progresso dal male verso il meglio.
Turgot sottolinea l'importanza della differenziazio-
ne linguistica come sollecitazione alla separazione
degli uomini - anch'egli, come farà più tardi Kant,
riceve simbolicamente il racconto della Genesi e del
Diluvio. Ma il progresso non procede con lo stesso

48
passo presso i vari popoli, soltanto la barbarie è
sempre eguale a se stessa. Progresso è cultura e la
cultura è differenziazione e diseguaglianza (come è
pacifìco per tutti gli ideologhi dell'ascendente bor-
ghesia, da Mandeville a Kant). Il progresso è con-
nesso alla coltivazione della terra, allo stabilirsi
delle città e delle arti, alla separazione delle pro-
fessioni, alle diversità di educazione e tutto questo
accresce le diseguaglianze di condizione, che per-
mettono al genio di concentrarsi sulla ricerca scien-
tifìca e sulla creazione artistica (già Ferguson aveva
parlato degli intellettuali come tipico esempio di
divisione del lavoro e di specializzazione).
Gli antagonismi e le guerre, che si riallacciano
al progresso-diseguaglianza, si elidono reciprocamen-
te nello scontro e consentono un costante migliora-
mento delle condizioni di vita dell'umanità: le ri-
voluzioni e i conflitti scompongono e ricompongono
i corpi politici favorendo lo sviluppo di tutte le
virtualità positive, fin quando si crea una situazione
di equilibrio, sia sul piano internazionale (che è poi
l'esperienza della metà del XVIII secolo e del lento
esaurirsi delle guerre dinastiche) sia sul piano inter-
no. «I legami della società uniscono un maggior
numero di uomini, la comunicazione dei lumi di-
viene più rapida ed estesa, le arti, le scienze, i co-
stumi avanzano con passo più veloce nel loro pro-
gresso. Cosl come le tempeste che agitano i flutti
del mare, i mali inseparabili dalle rivoluzioni spari-
scono, il bene resta e l'umanità si perfeziona. In

49
mezzo a questa combinazione varia di avvenimenti
ora favorevoli, ora contrari, la cui azione contrap-
posta deve alla lunga controbilanciarsi, il genio che
la natura, pur distribuendolo ad alcuni uomini, ha
sparso comunque sulla massa totale a distanze ap-
prossimativamente eguali, agisce ininterrottamente
e i suoi effetti diventano sensibili con il tempo».
Come per molti altri autori del Settecento,
Kant compreso, Turgot si ispira alle speculazioni
sul calcolo delle probabilità per conferire uno sfon-
do metafisico e matematico alla legittimazione degli
antagonismi e dell'arbitrarietà delle decisioni indi-
viduali del produttore e del commerciante capitali-
stico 32 • Il risultato, impersonale e provvidenziale
allo stesso tempo, è difatti la giustificazione del
tempo presente, della civiltà in generale (identificata

., Su questa tematica del calcolo delle probabilità dr. A.


ILLUMINATI, Kant politico, cit., p. 55 sgg. (e n. 9), che si richiama
alla critica sorelliana della matematica sociale (vedi oltre, n. 65) e
all'acuto scritto del MORAVIA, lA scienza della società in Francia alla
fine del secolo XVIII, Firenze 1967, che ricostruisce l'evoluzione
del concetto soprattutto in Laplace e Condorcet. Proprio Condorcet
stabilisce una connessione fra metodologia probabilistica e assunzione
di un modello sociale omogeneo e razionalizzabile, deliberatamente
sottratto allo scontro delle classi e ricondotto, invece, a una poten-
ziale leadership degli intellettuali illuminati. Con il che si ratificava
la razionalità immanente della società civile borghese e l'autonomia
operativa dell'intelletto, trasfigurazione laica del rapporto fra inte-
riorità dell'anima e meccanismo della materia. Non a caso, proprio
uno dei padri del calcolo, Pascal, contrappuntava il coeur con la
machine nella devozione e giustificava l'esistenza di Dio con l'argo-
mento del pari.

50
con l'età dei lumi), delle contraddizioni esistenti
( ma che possono essere eliminate con le opportune
riforme, in primo luogo mettendo in vigore fino in
fondo quelle leggi naturali sulle quali si è costruito
il ritmo stesso del progresso fino allora). L'illumi-
nismo abolisce sl il passato, ma non ne rinnega la
logica e sviluppa nel modo più razionale quella ca-
tegoria di proprietà che è inscindibile dal progresso
stesso delle arti, della scienza, della diseguaglianza.
Si veda, da questo punto di vista, l'abbozzo del
Secondo Discorso, dove la legittimità storica della
diseguaglianza è condotta in termini che richiama-
no da vicino la celebre giustificazione kantiana con-
tenuta nel paragrafo 83° della Critica del giudizio:
fra i popoli barbari regna l'eguaglianza, ma quando
«i lavori sono divisi secondo i talenti, ciò che è di
per sé assai vantaggioso, perché tutto si fa prima e
meglio, la distribuzione dei beni e dei carichi della
società è diseguale e avviene che la maggioranza de-
gli uomini, occupata in lavori oscuri e grossolani,
non può seguire i progressi degli altri uomini, ai
quali tale distribuzione dà l'agio e i mezzi per com-
pierli». D'altra parte, in tal modo progrediscono arti
e scienze e successivamente i contatti ·interni e in-
ternazionali favoriscono la comunicazione sempre
più rapida delle scoperte.
La difesa del valore della civiltà contro la mi-
tologia sentimentale del buon selvaggio corre per
tutta l'opera di Turgot. Perché strappare l'albero,
se qualche frutto non è buono - si domanda in un

51
frammento allegato al piano del Secondo Discorso 33 •
E in una lettera a Madame de Graflìgny, autrice
delle Lettres d'une Péruvienne 34 , torna a esaltare la
necessità della diseguaglianza connessa alla civiltà
modena: «gli uomini non sono uguali, le loro forze,
il loro spirito, le loro passioni romperebbero co-
munque l'equilibrio momentaneo che le leggi po-
trebbero instaurare ... Cosa sarebbe la società sen-
za questa diseguaglianza di condizioni? Ognuno sa-
rebbe ridotto al necessario, anzi molti non lo avreb-
bero neppure. Non si può coltivare la terra senza
avere gli strumenti e i mezzi per vivere fìno al
raccolto. Coloro che non hanno avuto l'intelligenza
o l'occasione di procurarsene, non hanno il diritto
di privarne chi li ha meritati, guadagnati, ottenuti
grazie al suo lavoro. Se i pigri e gli ignoranti spo-
gliassero i laboriosi e gli abili, tutti i lavori sareb-
bero scoraggiati, la miseria sarebbe generale. E' più
giusto e utile per tutti che coloro che hanno man-
cato di spirito, o di fortuna, prestino le loro braccia
a coloro che sanno impiegarle, che possono antici-
pare loro un salario e garantire una parte del pro-
dotto futuro. La loro sussistenza sarà così assicurata,
ma anche la loro dipendenza. Non è ingiusto che
colui il quale ha inventato un lavoro prcxluttivo e
ha fornito ai suoi cooperanti gli alimenti e gli stru-
menti necessari per eseguirlo, e che pertanto ha

33
TuRGOT, Oeuvres, I, p. 333.
" Ib., I, pp. 242-3.

52
stretto con essi liberi contratti, si riservi la parte
migliore, come remunerazione per le anticipazioni».
In tal modo si creano i capitali necessari per nuove
imprese. Dove saremmo «se ognuno coltivasse il suo
campicello»? La produttività sarebbe scarsa, il com-
mercio inesistente, cosl come la divisione del lavoro.
«La distribuzione delle professioni comporta neces-
sariamente la diseguaglianza delle condizioni. Senza
di questa chi perfezionerebbe le arti utili? ... Chi
giudicherebbe le liti? Chi darebbe un freno alla fe-
rocia degli uni, un sostegno alla debolezza degli
altri». Insomma, «préférer les sauvages est une dé-
clamation ridicule» (e questo vale, presumibilmen-
te, anche per il recentissimo e scandaloso Discorso
di Rousseau, premiato a Digione, di cui anche Vol-
taire diceva sarcasticamente che esortava l'uomo a
«marcher à quattre pattes» e a «manger sa lai tue»).
Come si vede, Turgot non resta nel generico:
la civiltà che viene contrapposto alle delizie arcadi-
che del buon selvaggio è la civiltà del lavoro sala-
riato, dell'apparato statale borghese, della libertà
di contratto e del progresso culturale. Le arti pre-
suppongono la divisione e lo sfruttamento del lavo-
ro. Ciò che conta non è l'eguaglianza, ma l'accumu-
lazione dura constatazione che elegantemente
Turgot compie «en soupirant». Ma qualsiasi altro
atteggiamento non potrebbe che condurre a dei «ri-
dicules paradoxes » 35 •

" L'espressione è usata da Turgot nella celebre lettera a Hurne

53
Nelle Réfiexions l'idea del progresso è esposta
con maggior rigore e aderenza al meccanismo eco-
nomico. Inizialmente, dunque, la figura del coltiva-
tore e quella del proprietario erano unite nella stes-
sa persona; con l'esaurimento delle terre disponibili
gli ultimi arrivati (e qui cade bene il concetto di pigri-
zia o sfortuna) non hanno altra risorsa che «scambia-
re il lavoro delle loro braccia negli impieghi della clas-
se stipendiata contro l'eccedenza di derrate del pro-
prietario-coltivatore». A questo punto la terra rende
al padrone non solamente la sua sussistenza (alimen-
tazione e altri oggetti procurabili con lo scambio),
ma anche un'eccedenza con cui pagare uomini che
coltivino la terra. Si verifica così la separazione della

del 25 marzo 1767 (Oeuvres, II, p. 658 sgg.), in cui si esprime


un giudizio estremamente positivo tanto sull'Emile ( •la morale la
plus pure qu'on ait encore donnée en leçons•) quanto sul Contrai
Socia/ ( «qui me paralt fixer à jamais !es idées sur l'inaliénabilité
de la souveraineté du peuple dans quelque gouvernement que ce
soit», ma si rinnegano le idee dei due Discorsi come paradossi,
appunto, «tour de farce d'éloquence• ispirati a bizzarria e orgoglio.
E' da notare che sul piano dell'educazione Turgot sostiene di avere
idee ancora più avanzate di quelle russoiane e che non le espone
a Hume «car vous me jugeriez peut-etre encore plus fou que
Rousseau•. Dalla già citata critica alle Lettres d'une Péruvienne ri-
sulta in realtà un moderato parallelismo: ci si lamenta che i fan-
ciulli sono cresciuti in modo artificiale e non riescono ad avere
«le coup d'oeil de la nature•, si raccomanda che l'apprendimento
delle verità astratte sia graduale e preceduto dall'esperienza con-
creta; si propone che l'insegnamento della virtù sviluppi nei cuori
il germe dei sentimenti che la natura stessa vi ha posto e conclude
che •il faut souvent plus de barrières contre l'éducation que contre
la nature• (I, p. 244).

54
proprietà dal lavoro agricolo e ben presto si creano
anche differenziazioni fra i proprietari, a seconda
dell'ampiezza della famiglia, della fertilità delle ter-
re, della frammentwione delle eredità, della capacità
di far fruttare le terre e di estendere la coltivazione,
ecc. Le proprietà divengono commerciabili e sono
sottoposte alle alterne vicende del credito: i più
previdenti e fortunati accrescono la loro proprietà a
scapito dei vicini. Nel modo di coltivazione netti
progressi sono segnati nel passaggio dall'economia
schiavistica al colonato, ma soprattutto dalle varie
forme semi-feudali all'aflìtto delle terre: questa se-
parazione perfezionata della proprietà dall'impresa
garantisce rendite costanti ai proprietari e buoni pro-
fitti ai coltivatori ricchi che sono in grado di antici-
pare i capitali necessari e di impiegare nel modo più
razionale i braccianti. Se la mezzadria è la forma di
conduzione moderna caratteristica dei paesi poveri,
dove c'è scarsità di capitali, l'aflìtto è quella carat-
teristica dei paesi ricchi e si associa a tutte le altre
forme di articolazione sociale (divisione sviluppata
del lavoro, sistema del credito, grande coltura,
ecc.) 36 •
Nell'individuazione della categoria di progres-
so, peraltro ancora non scientificamente connessa
con quella di sviluppo capitalistico, è il punto più
alto dell'elaborazione fisiocratica, l'apertura maggio-
re a una visione realistica della società e della sua

" Ib., II, pp. 539-541 (Ré/l. X-XIV), 544 sgg. e 571.

55
evoluzione. Se i testi di Turgot restarono poco noti,
raggiungendo una fama inferiore a quella degli altri
scritti più direttamente economici e della sua opera
di riformatore, la lezione contenuta in essi non do-
veva andar dispersa. Ne discende infatti palesemen-
te il celebre scritto di Condorcet, amico e corri-
spondente di Turgot, l'Esquisse d'un tableau histo-
rique des progrès de l'esprit humain, steso nel 1793,
durante la prima fase del Terrore n_
Il testo, che segna il trapasso dalla fuiocrazia
all'ideologia, e quasi un presentimento di positivi-
smo, non centra formalmente sull'evoluzione della
società, bensl sulla perfettibilità dello spirito - idea
questa esplicitamente ripresa da Turgot 38 • Si evita
con questa angolatura la contraddizione latente nei
fisiocratici, fra adesione allo sviluppo capitalistico
e incapacità di esprimerlo adeguatamente in termini
teorici per la loro identificazione del plusvalore nel-
l'eccedenza agricola e per la staticità complessiva del

37
La traduzione italiana cui ci riferiremo è l'Abbozzo di un
quadro storico dei progressi dello spirito umano, Torino 1969, intro-
duzione e versione di M. 1-iinerbi, che rielabora con intelligenza
e osservazioni originali l'interpretazione di A. CENTO (Condorcet
e l'idea di progresso, Firenze 1956). Quest'ultimo testo, invero
assai ricco e documentato, è a volte poco convincente per la sua
inclinazione a recuperare Condorcet (e l'illuminismo più in generale)
a uno storicismo «umanistico» e marxisteggiante che attenua le
antinomie interne e la natura di classe dell'ideologia settecentesca.
38
Cfr. Abbozzo, p. 136, dove ci si riferisce a tal proposito a
Turgot, Price e Priestley (ma gli ultimi due dipendono, a loro
volta, dal primo, come osserva giustamente il Cento).

56
sistema. Anche Condorcet vede il passo decisivo del
genere umano verso la civiltà nella formazione di
un'eccedenza 39 ed è a partire di qui che egli articola
le tappe dell'esperienza progressiva dell'umanità,
filtrata però idealisticamente - per un idealismo ob-
bligato, stante l'insoluta contraddizione di cui so-
pra - come epifania dello spirito illuminato e marcia
trionfale della scienza e della ragione.
Premessa la perfettibilità indefinita dell'uo-
mo, Condorcet riproduce il giudizio corrente sul rap-
porto fra cultura e proprietà, sviluppo dei bisogni
e degli scambi, lavoro salariato: anzi, quest'ultimo
punto è gettato ll con una certa disinvoltura ( «per
alcuni individui, si introduce l'usanza di dare una
parte del loro superfluo in cambio di un lavoro che
serve loro per dispensarne se stessi») e introduce,
ovviamente, alla specializzazione degli intellettuali
e al sorgere della scienza 40 • La scienza è, in effetti,
il filo conduttore del progresso, il suo metro misu-
ratore e unificante; anche la politica e la sociologia
debbono essere riportate a un criterio scientifico.

" Questo punto è ben messo in rilievo nell'introduzione di


Minerbi all'Abbozzo {pp. X-XII), che vede in Condorcet il passaggio
dal giudizio meramente economico a «un decisivo concetto di
interpretazione storiografica». Stanti peraltro le categorie fisiocratiche
di «naruralità» e «immutabilità» della società e il carattere di pas-
saggio fondatore e definitivo dalla barbarie alla civiltà con l'appari-
zione semi-miracolosa dell'eccedenza, il Condorcet non può tracciare
una vera storia della società, bensi soltanto dello «spirito».
'° Abbozzo, pp. 7-8.

57
I fisiocratici hanno resa scientifica l'economia, ora
anche la s toriografìa ( in senso lato) deve adeguarsi
(«Se esiste una scienza per prevedere i progressi
della specie umana, per dirigerli, per accelerarli, la
storia di quelli che essa ha compiuto deve esserne
la prima base»). L'indagine sulla storia del progres-
so dello spirito è quindi un'arma di illuminazione,
previsione e incoraggiamento riguardo ai progressi
futuri 41 •
Nello svolgimento della trattazione Condorcet
si urta subito con i primi temi suscettibili di pole-
mica. L'occasione è il passaggio dallo stato selvag-
gio a quello civilizzato, ma a tal fìne vale anche la
discussione sui meriti degli antichi Greci e dei mo-
derni 42 • Il riferimento è naturalmente Rousseau, ma
in una certa misura vi si presuppone tutta una più
ampia polemica che è serpeggiata negli ambienti ri-
formisti e illuministi intorno agli anni 70 e che ha
avuto il punto culminante nello scontro fra Turgot
e Necker 43 • Uno dei primi atti di Turgot nel suo
effimero ministero era stata la liberalizzazione dei
prezzi del grano (17 7 4), postulato della politica eco-
nomica fisiocratica e che in effetti accelerava lo svi-

41
Ib., pp. 12-3. L'idea di maitriser l'avenir, come nota il Cento
(Condorcet, cit., p. 95) «è la gran parola che l'illuminismo pone
al centro della sua speculazione,., riconciliandosi con la storia nella
prospettiva del progresso.
" Rispettivamente alla fine della seconda epoca (Abbozzo, p. 25)
e della quarta (ib., pp. 52-3).

58
luppo capitalistico sia accrescendo le rendite agrarie
sia immiserendo larghi strati popolari e gettandoli
alla disperata sul mercato del lavoro. Il banchiere
Necker si era vivacemente opposto sul piano teorico
a questo decreto, mentre nelle campagne e nelle pro-
vincie più sfavorite divampava la «guerre des fari-
nes». Naturalmente Necker e gli agitatori che sot-
terraneamente soffiavano sul fuoco della spontanea
rivolta popolare non erano disinteressati runici dei
poveri, bensl cercavano di salvaguardare quegli in-
teressi costituiti che si vedevano minacciati dal ri-
formismo turgotiano. Il loro era insomma un miscu-
glio di permanente tradizione mercantilistica (Necker
aveva scritto un Elogio di Colbert) e di socialismo
feudale; come scrive Marx a proposito del polemista
più virulento di questo gruppo, il Linguet, essi «di-
fendevano la schiavitù contro il lavoro salariato» 44 ,
con tutta l'acutezza critica, pur nell'opposta pro-
spettiva, dei primi socialisti. Il Necker era certa-
mente un personaggio complesso, che dal punto di
vista politico conservava la sollecitudine paterna-
listica per le classi popolari propria del mercanti-
lismo, di una fase, cioè, di contrapposizione dell'au-
torità monarchica alle prepotenze feudali e di cauta
alleanza con la borghesia - di una situazione quindi
di equilibrio e di mediazione dall'alto - ed era anche
pronto, tutto sommato, a convertirsi a una politica

" Cfr., CF.Nro, Condorcet, p. 39 sgg.


" K. MAR.x, Teorie sul plusvalore, eit., I, p. 523.

59
riformistica, come farà nel 1789. Egli vede con
acutezza il punto debole della propaganda fisiocra-
tica: l'appello all'evidenza e alla natura, e quindi
alla necessità di una diffusa istruzione popolare cui
affidare quasi automaticamente il progresso della
società, non serve a saldare gli interessi dei rifor-
matori a quelli delle masse popolari, perché all'in-
terno del terzo stato esistono contraddizioni ogget-
tive di classe ( e ancora più fra i proprietari semi-
feudali e i contadini).
Lo sviluppo delle forze produttive - rileva il
Necker negli scritti Sur la législation et le commerce
des grains (1775) e De l'administration des finances
de la France ( 1784) - contribuisce soltanto a far
sì che l'operaio impieghi un tempo più breve per
la riproduzione del proprio salario e quindi lavori
gratuitamente per il suo padrone per un tempo più
lungo. Necker non insiste qui sull'aspetto dell'accu-
mulazione del capitale e delle sue leggi, ma «sullo
sviluppo generale del contrasto fra povertà e ric-
chezza» 45 ; l'accrescimento del plusvalore relativo
rafforza il potere dei detentori dei mezzi di produ-
zione e quindi dilata le differenze di classe.
Un riflesso particolare può essere registrato nel
campo del sapere. Qui Necker riprende le conside-
razioni di Ferguson sulla specializzazione del lavoro

., Ib., p. 471; dr. anche il titolo del paragrafo (Necker. Il


tentativo di rappresentare il contrasto tra le classi come contrasto tra
povertà e riccheua ).

60
intellettuale e anticipa quelle anche più celebri di
Hegel; l'antagonismo fra la ricchezza che non lavora
e la povertà che lavora per vivere fa sorgere, difatti,
un antagonismo nel sapere. «La capacità di sapere
e di intendere è un dono generale della natura, ma
si sviluppa solo con l'istruzione; se la proprietà fosse
divisa in parti eguali, ciascuno lavorerebbe modera-
tamente e ciascuno possederebbe un po' di sapere,
perché a ciascuno rimarrebbe una porzione di tempo
da dedicare allo studio e al pensiero; ma con la dise-
guaglianza dei beni, effetto dell'ordine sociale,
l'istruzione è negata a tutti gli uomini nati senza
proprietà; poiché tutti i mezzi di sussistenza sono
nelle mani di quella parte della nazione che possiede
il denaro o la terra e nessuno dà niente per niente,
l'uomo nato senz'altra riserva all'infuori della pro-
pria forza è costretto a dedicarla al servizio dei pro-
prietari dal primo istante in cui essa si sviluppa e a
continuare cosl per tutta la propria vita, dal sorgere
del sole fino al momento in cui questa forza è esau-
rita e ha bisogno di essere rinnovata col sonno ...
E' proprio sicuro insomma che questa diseguaglian-
za di conoscenze non sia divenuta necessaria al
mantenimento di tutte le diseguaglianze sociali che
l'hanno fatto sorgere? » 46 •
Al contrario, Necker pensa proprio che il chia-
rimento al popolo di questa legge «evidente» non
porterebbe alcun vantaggio ai proprietari: «Se il
popolo fosse capace di cogliere le verità astratte,
non avrebbe contemporaneamente la facoltà di r1-
6l
flettere sull'origine dei ranghi, sulla fonte delle pro-
prietà e su tutte le istituzioni che gli sono con-
trarie? » "'.
In sostanza, le riforme fisiocratiche con una
mano alleggerivano le imposte che gravavano sui
contadini, con l'altra diminuivano i suoi redditi a
causa dell'innalzamento del prezzo del grano con-
cepito come metro fondamentale del salario reale.
Allora tanto valeva frenare simultaneamente l'arro-
ganza dei proprietari e i loro diritti (che sono pur
sempre di convenzione umana), aa un lato, la dif-
fusione dei lumi fra il popolo, dall'altro. Il pater-
nalismo mercantilistico si fa qui valere con la tra-

.. NECKER, Sur la législation, cit., in Oeuvres, Lausanne et Paris


1789, IV, p. 112 sgg.
47
Ib., Già Ferguson aveva mostrato come gli impieghi «liberali,.
coltivassero «i poteri della mente e i sentimenti del cuore,., mentre
quelli «meccanici» degradano chi li compie per procacciarsi da vivere
e come «il pensiero stesso, in quest'età di separazione,. - cioè di
crescente divisione del lavoro manuale e intellettuale - «può diventare
una specializzazione a sé (a peculiar craft)» (Essay on the History
of Civil Society, Basilea 1789, p. 279, 282, 2n-8; dr. anche A.
ILLUMINATI, Sociologia I! classi sociali, Torino 1967, p. 34 sgg.).
Su Ferguson dr. P. SALVUCCJ, Introduzione ad A. Ferguson, in
«Studi Urbinati», XLII, nuova serie B, n. 1 (1%8), p. 81 sgg., e
F. FERRAROTTI, Trattato di sociologia, Torino 1968, pp. 10-27.
Quanto a Hegel, si leggano le pagine della sezione seconda della
III parte dei Lineamenti di filosofia del diritto dedicate alla «società
civile», in cui si esamina •l'ineguaglianza dei patrimoni e delle
attitudini,.; l'ineguaglianza degli uomini posta dalla natura - si legge
nel paragrafo 200 (tr. it., Bari 1965, p. 178) - si innalza nella società
al livello dello spirito, diventa «ineguaglianza dell'attitudine, della
ricchezza e persino dell'educazione intellettuale e morale,.,

62
dizionale preminenza del bene pubblico sull'inte-
resse privato. Il contenuto reale è il mantenimento
sul piano economico di un rapporto industria-agri-
coltura più favorevole alla prima (il basso prezzo
del grano non liberalizzato teneva bassi i salari in-
dustriali), sul piano politico di un controllo centra-
lizzato sull'agitazione nobiliare e borghese che or-
mai squassava dalle radici l' Ancien Régime. Non
a caso lo stesso Necker voleva ulteriormente pun-
tellare il sistema con la religione: bando alle procla-
mazioni ateistiche e alle ambiguità deistiche, più la
miseria, la diversità di classe e il peso delle imposte
graveranno sul popolo, più sarà necessaria la conso-
lazione della religione. Non a tutti è dato di essere
un honnete homme moralmente autonomo; alla spre-
giudicatezza del borghese deve corrispondere la di-
pendenza morale e la superstizione del povero, in-
sieme, s'intende, a un intervento correttivo e miti-
gatore dello Stato 48 •
A questo realismo moderato del Necker il
Condorcet si era impetuosamente opposto già in
quegli anni, sia rimbeccando le argomentazioni eco-
nomiche del ginevrino (se possono essere posti limiti
e controlli all'attività dei proprietari agricoli, vista
la loro forza eccessiva, perché non porla anche a
quella degli industriali e dei banchieri?), sia riba-

'" NECKER, De l'importance des opznzons religieuses, 1788,


p. 34, 46, 58 sgg., 63, ecc. citate e commentate in GROETHUYSEN,
Le origini dello spirito borghese in Francia, Milano 1964, p. 346 sgg.

63
dendo la sua fiducia nella diffusione dei lumi: «più
gli uomini saranno illuminati, meglio conosceranno
i loro interessi e quindi più volentieri rispetteranno
la proprietà e le leggi» 49 •
Rivarol aveva dichiarato cinicamente: «che il
mio domestico non mi uccida nel folto del bosco,
perché ha paura del diavolo! Io non toglierò certa-
mente un tal freno a quell'animo rozzo: non poten-
do farne un honnéte homme, ne farò un devoto» 50 •
Condorcet è invece pieno di candida fiducia nel
progresso e nell'evidenza: i poveri dovranno accon-
tentarsi del sentimento dei loro diritti, del piacere
di conoscere la verità e di praticare la virtù. Un'e-
guaglianza, dunque, meramente allegorica, che la
borghesia in ascesa proponeva con entusiasmo e che
Condorcet tornerà a proporre anche negli anni della
Rivoluzione, quando già i contrasti di classe all'in-
terno del terzo stato si erano manifestati con cru-
dezza.
D'altra parte Condorcet, d'accordo con il suo
maestro Turgot, non vedeva inizialmente neppure

" UJNDORCET, Réflexions sur le commerce des blés, Oeuvres


XI, pp. 194-6, citate e commentate in CENTo, cit., pp. 40-42.
La posizione è mantenuta vigorosamente nell'Abbouo, con ferma di-
stinzione contro ogni regresso moderato all'oscurantismo e perfino
con un certo democraticismo pedagogico.
" RrvAROL, 2• lettera a Necker, Oeuvres II, p. 138 in GROE-
THUYSEN cit. Anche Voltaire, è noto, nutriva sentimenti consimili
riguardo alla provvida ignoranza in cui bisognava mantenere la
canaille.

64
la possibilità dell'eguaglianza politica: soltanto i
proprietari terrieri, in misura delle loro ricchezze,
sono i veri cittadini dello Stato e godono quindi del
diritto di voto. Nella seconda lettera di un cittadino
di New Haven arriva addirittura a dichiarare che
«nei paesi coltivati è il territorio che forma lo Stato;
è dunque la proprietà che fa i cittadini ... I non-
proprietari esistono sul territorio soltanto perché i
proprietari hanno accondisceso ad accoglierli» '1,
in cambio ovviamente di un lavoro salariato!
Durante la Rivoluzione Condorcet assumerà
coerentemente a ciò una posizione moderata, ce-
dendo di volta in volta il minimo indispensabile
alla pressione della situazione. Sarà il maestro dei
Girondini, ben fermi sulla formula: tutta la rivo-
luzione politica, nessuna rivoluzione sociale 52 ; accet-
terà a denti stretti il suffragio nniversale ma si bat-

" Cfr. CENTO, cit., pp. 23-4; la citazione di Condorcct è tratta


dal volume delle Oeuvrer (Paris 1847-49), p. 12 sgg.
" Cfr. CE.NTo, p. 61. Nel complesso il suo giudizio sull'evolu-
zione politica di Condorcct è esatto, correggendo l'acritico entusiasmo
di H. Sée, che vedeva in lui addirittura un seguace di Rousseau
e «un adepte dc la conccption démocratiquc•, un fautore della
sovranità popolare e della repubblica (Ler Idéer politiquer en France
au XVIII-e riècle, Paris 1920, p. 202 sgg.). Il rifiuto della teoria
dei contrappesi e delle diseguaglianze «che non conseguano neces-
sariamente dall'uso del dirino di proprietà• discende, per esem-
pio, pari pari dalla tradizione fui ocra tica e non costituisce in
nessuna misura un'apertura «democratica>. Quanto all'insistenza
condorcctiana sui diritti dell'uomo, essa testimonia soltanto l'ambi-
guità della nozione.

65
terà, con tutto il gruppo degli «Ideologhi», in senso
controrivoluzionario, con la vaga prospettiva di
un'egemonia dei notabili, rischiara ti dalla ragio-
ne - una riedizione più felice del dispotismo legale
di Quesnay e Mercier, fecondato dal riformismo
turgotiano e frenato dall'esperienza della «demago-
gia» rivoluzionaria. Se in polemica contro Necker
Condorcet era fìducioso nella forza liberatrice della
conoscenza dei «veri interessi», i suoi runici pense-
ranno a garantirli con strumenti meno spontanei
e si illuderarµio di trovarne nel consolato bona-
partista.
Ma ben più grave è il confronto con l'altro
ginevrino, Jean-Jacques Rousseau. Se nello scontro
con ·il Necker era vacillato il postulato fìsiocratico
dello spontaneo accordo del sistema «naturale» bor-
ghese con l'interesse della comunità, adesso si trat-
tava di una questione addirittura antropologica: il
progresso, i lumi, l'evidenza della proprietà e del
libero scambio collidevano direttamente con la fe-
licità dell'uomo in quanto tale. L'uomo di natura
si contrapponeva alla naturalità economica. Condor-
cet rispetta Rousseau, però a due riprese, sulle orme
di Turgot, lo contesta vivacemente nell'Abbozzo. E',
s'intende, un'opposizione impersonale, che nulla
concede agli intrighi della coterie holbachienne e in-
vece anticipa la critica ferma e costruttiva di Kant.
E' insomma la reazione inevitabile dell'ideologia
borghese contro chi, pur restandovi dentro, ne ave-
va denunciato le contraddizioni. Il problema era

66
quello di accettare la critica russoiana alla civilizza-
zione e insieme recuperarla nella prospettiva di una
superiore conciliazione fra natura e cultura. Non me-
raviglia cosl di leggere alla fine della seconda epoca
la considerazione che « quel passaggio doloroso e
tempestoso da una società rozza allo stato di incivi-
limento dei popoli illuminati e liberi, non è una de-
generazione della specie umana, ma una crisi neces-
saria nel suo cammino graduale verso il perfeziona-
mento assoluto». I lumi non hanno corrotto i po-
poli, anzi hanno lenito i loro vizi, quando non li
hanno del tutto eliminati. E a proposito dei Greci
Condorcet polemizza velatamente con l'esaltazione
della polis operata da Rousseau e Robespierre e
conclude piuttosto seccamente che le «eloquenti de-
clamazioni contro le scienze e le arti sono fondate
su una falsa applicazione della storia» e denotano
piuttosto una condizione di decadenza.
Condorcet si schiera su una linea di reiezione
dell'attacco russoiano argomentando che il progresso
sana esso stesso quelle contraddizioni che, d'altra
parte, sono il retaggio della barbarie originaria. Il
dubbio è respinto, la constatazione delle ombre in-
negabili è soltanto un momento della costruzione
positiva, affidata all'economia politica, alle riforme,
al meccanismo liberale.
Come scriverà Kant, il vero problema è quello
di superare la contraddizione fra la natura e il genere
umano sviluppando un'adeguata educazione del sin-
golo entro il riconoscimento del destino provviden-

67
ziale della specie: le inclinazioni che ci portano ai
vizi (la concorrenza e la discordia, l'egoismo e la
libertà di scelta) sono peraltro conformi allo scopo
della natura e occorre soltanto saper sviluppare
«un'arte che, pervenuta alla perfezione, si converta
essa stessa in natura». L'uomo doveva pure uscire
dalla rozzezza delle sue disposizioni naturali, tale
fuoriuscita è dolorosa e lo sarà fìn quando non sarà
realizzato un assetto giuridico e morale confacente:
«nel frattempo l'umanità geme a causa dei mali che
la sua inesperienza le ha procurato» 53 • Questa «chiu-
sura del cerchio» - dalla natura alla civiltà che è
progresso per la specie e infelicità per il singolo e
infine alla riconciliazione di arte e natura, progres-
so e felicità - è essa stessa il senso più profondo
della storia.
Il saggio di Condorcet si sviluppa poi piana-
mente come descrizione dei progressi della cultura
sulla base della proprietà e della diseguaglianza, ri-
prendendo i temi comuni dell'esaltazione della scien-
za, della propagazione dei lumi, dell'istruzione uni-
versale e dei diritti dell'uomo e del cittadino. L'arte

" Congetture sull'origine della storia, in Scritti politici, Torino


1%5, p. 202 sgg. Ma su questa tematica l'insistenza di Kant è
perpetua, dalle giovanili Bemerkungen fino alla Critica del giudizio;
il confronto con il ginevrino è assai istruttivo perchè chiarisce l'ideo-
logia kantiana in una serrata autocritica e supetamento e consente,
allo stesso tempo, di individuare la specificità e anche i limiti del
progressismo russoiano. Cfr. A. ILLUMINATI, Kant politico, cit.,
passim, spec. cap. II.

68
sociale consiste appunto nella conservazione di que-
sti diritti e in tal senso tutto il movimento illumini-
stico e la Rivoluzione (compreso Rousseau, che vie-
ne recepito, sia pure in modi alquanto riduttivi) si
sono mossi nella direzione di un sostanziale ristabi-
limento degli schemi naturali e immutabili della
convivenza umana. Ma come avviene che il sistema
generale dell'economia e della società, sempre più
complicato, possa conciliare l'interesse del singolo
con l'interesse generale? La risposta è, ovviamente,
il sistema fisiocratico che viene rapidamente descrit-
to 54 , con la non superflua integrazione di un caldo
elogio del liberalismo politico. Fino a questo punto
l'argomentazione non aggiunge molto al conosciuto
panorama del progressismo illuministico e delle apo-
logie di quella che chiameremmo, con Kant, la «cul-
tura della diseguaglianza». Qualche interesse porge
invece il tipo di motivazioni e la logica che sorreg-
gono il discorso - logica che rifiuta tanto l'estremiz-
zazione drammatica dei termini (come in Rousseau
e, per l'aspetto antropologico-esistenziale, in Kant
stesso) quanto l'ottimismo provvidenzialistico di
Leibniz e di Turgot. Di quest'ultimo è invece ripre-
so l'accenno al controbilanciamento probabilistico
degli eventi che rende possibile il progresso mal-
grado gli ostacoli. Ma c'è di più: su questa base
sarà possibile un'opera di ingegneria sociale, di con-

54
CoNDORCET, Abbozzo, p. 123 sgg.

69
trollo pianifìcato sulle costanti della perpetua varia-
zione storica. In questo grandioso progetto si con-
centra tutto il razionalismo degli ideologhi e si
ripropone l'illusione tecnocratica dei fìsiocrati, sep-
pure con una metodologia alquanto più scaltrita.
Se difatti l'evidenza fìsiocratica scendeva di-
ritta dalle certezze cartesiane e dal provvidenziali-
smo di Malebranche, fondandosi su un naturalismo
«ingenuo», le leggi naturali e storiche di Condorcet
hanno tutt'altra fondazione. Come rileva giustamen-
te il Cento, Condorcet esce dall'influsso di D'Alem-
bert per entrare in quello di Hume; fìnalismo e
provvidenzialismo sono rigettati e le verità sono
ridotte a semplici probabilità, verifica della costanza
nella successione di determinati fenomeni. La defì-
nizione delle leggi naturali è quindi nominalistica,
meramente pratico-funzionale: «la legge di un feno-
meno non è che l'espressione astratta di tutti i fe-
nomeni singolari di una certa classe. La causa non è
altro che questa espressione presentata sotto una
forma particolare» 55 •
Il corollario aggiuntivo di questo probabilismo
è la possibilità di conoscere quantitativamente tutti
i generi di fenomeni, cogliendone le costanti pro-
babili cosi come Newton ha fatto per l'universo:
«tutti i fenomeni sono egualmente suscettibili di

55
CENTO, cii., pp. 79-81, con riferimento a passi cli un mano-
scritto inedito cli Condorcet (lnstitut, Ms. 885 Fase. B, Fai.
2 recto).

70
c:ssere calcolati e occorrono soltanto abbastanza os-
servatori e una matematica abbastanza profonda per
ridurre tutta la natura a leggi simili a quelle sco-
perte con il calcolo da Newton» 56 • L'uomo può
cosl intervenire, prevedendo e governando il corso
degli eventi, se non individualmente, con gli sforzi
di un'intera generazione o di più generazioni, in una
spirale infinita di progresso e controllo della natura
e dei rapporti sociali 57 •
La natura umana stessa finisce con l'essere non
più una struttura conclusa, bensl un processo; le
facoltà umane sono soggette a mutamento e quindi
a positiva modificazione. Le realtà immutabili e l'ap-
pello alla natura slittano insensibilmente nel con-
cetto del farsi storico nello svolgersi del tempo.
L'accento cade sulla fattiva operosità dell'uomo,
sulla realtà come perenne conquista 58 • L'ottimismo
borghese celebra cosl i suoi trionfi e si apre ancora
- quando già altri fanno marcia indietro alla fi-
ducia nella promozione sociale e nella spontanea

56
CENTo, p. 84 (con riferimento all'inedito Institut, Ms. 885,
Fase. B, Fol. 109). Sul significato carismatico del riferimento a
Newton basti ricordare i solenni omaggi kantiani (per esempio,
nell'Idea di una storia universale dal punto di vita cosmopolitico,
la cui introduzione riconduce il compito dello storico a quello
dell'indagatore scientifico, esemplificato in quel Newton, di cui al-
trove dirà addirittura che la giustificato Dio, mostrando l'universo
retto da leggi).
"' CENTO, p. 56 (con riferimento a una prima stesura deI-
l'Abbou:o ).
" Ib., p. 88 sgg.

71
integrazione delle masse al sistema. Sistema che,
peraltro, resta un dato immutabile, le cui categorie,
anzi, permeano la metodologia stessa dell'approccio
al futuro. Infatti il probabilismo non è altro che la
proiezione «scientifica» dell'operare cieco degli ope-
ratori economici isolati in un meccanismo che fun-
ziona per bilanciamento di spinte. La smithiana
«mano invisibile» e la Provvidenza di Turgot e Kant
sono qui laicizzate nell'oggettività (non «ingenua-
mente» materialistica) delle costanti matematiche.
L'operazione è duplice: da un lato si crea una bar-
riera di scetticismo e di indeterminazione nei con-
fronti di un pericoloso materialismo ( anticipando
sul neo-kantismo degli scienziati), dall'altro si con-
solida l'operare economico irrazionale facendo mi-
rabilmente coincidere interesse particolare e inte-
resse generale - una prospettiva tecnocratica e mo-
deratamente spiritualistica. Lette in questa chiave,
le ultime parti dell'Abbozzo possono essere consi-
derate un positivo contributo alla formazione di
una compiuta ideologia borghese, assai più avanti
delle prime rozze formulazioni di Quesnay, Dupont
e Mercier.
Già in sede di esposizione dei progressi della
scienza (IX epoca) Condorcet rileva che le applica-
zioni del calcolo delle probabilità «fanno presagire
quanto possano concorrere ai progressi delle altre
scienze; qui stabilendo la verosimiglianza dei fatti
straordinari e insegnando a valutare se debbano es-
sere scartati o al contrario meritino di essere veri-

72
fìcati; là calcolando quella del ritorno costante di
quei fatti che si presentano spesso nella pratica delle
arti ... Queste applicazioni ci mostrano anche quale
è la probabilità che un insieme di fenomeni risulti
dall'intenzione di un essere intelligente, che dipenda
da altri fenomeni che coesistono con lui o l'hanno
preceduto, e quale debba essere attribuita alla causa
necessaria e sconosciuta che chiamiamo caso; parola
di cui solo lo studio di quel calcolo può farci cono-
scere bene il vero senso ... L'applicazione del cal-
colo non è forse necessaria anche alla parte dell'eco-
nomia pubblica che abbraccia la teoria delle misure,
delle monete, delle banche, delle operazioni di fi-
nanza; quella infine delle imposte, della loro riparti-
zione stabilita dalla legge, della loro distribuzione
reale che cosl spesso se ne allontana, dei loro effetti
su tutte le parti del sistema sociale?» 59 •
Questi accenni preliminari alla possibilità di
una matematica sociale (la cui presenza è diffusa in
una vasta area della tradizione illuministica, cosl
come abbiamo sottolineato, sulla scorta delle ricer-
che del Moravia, nella n. 32) si concretizzano nel-
l'apertura della X epoca - i progressi futuri dello spi-
• 60
nto umano .
«Se l'uomo può predire con sicurezza quasi
totale i fenomeni di cui conosce le leggi, se, anche

"CoNDORCET, Abbozzo, cit., p. 153 sgg. (dr. 173-4 e 181-2).


'° CoNDORCET, !b., p. 165 sgg.

73
quando esse gli sono ignote, può, in base all'espe-
rienza del passato, prevedere con grande probabi-
lità gli avvenimenti deWavvenire, perché si dovreb-
be reputare impresa chimerica quella di tracciare
con qualche verosimiglianza il quadro dei fu turi de-
stini della specie umana, in base ai risultati della
sua storia?». Le leggi che regolano i fenomeni del-
l'universo sono necessarie e costanti (nel senso hu-
miano) e parimenti i fenomeni storici danno legitti-
mamente luogo alle congetture del filosofo, «sempre
che non attribuisca loro una certezza superiore a
quella che può nascere dal numero, dalla costanza,
dall'esattezza delle sue osservazioni» (ciò che, tutto
sommato, rende equivalenti la probabilità morale
delle leggi storiche alla probabilità matematica delle
leggi naturali).
Condorcet non si limita a legittimare la sto-
riografia come svolgimento coerente di ipotesi e
neppure a dichiarare possibile, su tali basi, una pro-
spettiva di progresso, come parallelamente e con
superiore rigore logico farà Kant 61 , ma enuncia un

" KANT, Idea di una storia universale dal punto di vista cosmo-
politico ( «Le azioni umane sono determinate da leggi narurali uni-
versali cosl come ogni altro fatto della natura ... La storia di queste
manifestazioni fa sperare di essere in grado di scoprire nel gioco
della libertà umana, considerato in grandi proporzioni, un ordine
per cui ciò che nei singoli individui si rivela confuso e irregolare,
nella totalità della specie possa riconoscersi come sviluppo continuato
e costante, anche se lento, delle sue tendenze originarie») e Se il
genere umano sia in costante progresso verso il meglio ( «Nel genere
umano deve sopravvenire una qualche esperienza che, come avve-

74
piano organico di miglioramento della specie umana
nel futuro, fondandolo sulla «distruzione della di-
seguaglianza tra le nazioni», sui «progressi dell'egua-
glianza in seno a uno stesso popolo» e «da ultimo,
sul reale ·perfezionamento dell'uomo». Questa inge-
gneria sociale, di cui la matematica sociale è il pre-
supposto e il metodo, si urta immediatamente con
i limiti della diseguaglianza: essa, e il suo incre-
mento nello stato di civiltà, «è inerente alla civiltà
stessa o alle imperfezioni attuali delle arti sociali»?
Contro il pessimismo russoiano Condorcet è con-
solatorio 62 : la diseguagliama di fatto è destinata a
decrescere grazie all'arte sociale, non lasciando sus-
sistere «se non una diseguaglianza utile all'interesse
di tutti, perché favorirà i progressi della civiltà,
dell'istruzione e dell'industria, senza portare con sé
né dipendenza, né umiliazione né impoverimento» 63 ;
le diseguaglianze delle ricchezze acquisite, ereditarie
e dell'istruzione sono destinate «a diminuire conti-

nimento, mostri una sua disposizione e una sua capacità a essere


la causa del suo progresso verso il meglio ... », e il signum prognosti-
cum è, ovviamente, la reazione positiva dell'opinione pubblica davanti
alla Rivoluzione francese). Per il filosofo di Konigsberg il punto
d'arrivo (umano) è la formazione di una costituzione giuridica cosmo-
politica, di cui si accentuano simultaneamente i caratteri di risultato
spontaneo della collisione ed elisione degli egoismi antagonistici e di
funzione della razionalità e della moralità .
., Nel senso in cui Mirabeau figlio definitiva, in polemica con
i due Discorsi deprecatori di Rousseau, la scienza politica ed econo-
mica come «science des consolations», correzione degli abusi conna-
turati al vivere sociale (Esprit de Mirabeau, I, Milano 1797, p. 5).

75
nuamente, senza tuttavia annientarsi, perché hanno
cause naturali e necessarie, che sarebbe assurdo e
pericoloso voler distruggere» 64 •
Va notato, in primo luogo, che l'attenuazione
della diseguagliama si conEgura in termini tipica-
mente riformistici, senza lederne le radici «necessa-
rie», ma correggendone gli effetti: in pratica si trat-
ta di integrare l'eguaglianza civile ( e ora anche quel-
la politica, seppure un po' obtorto collo) con l'assi-
stenza sociale e forme assicurative e previderunali. In
secondo luogo, dal punto di vista ideologico, si ri-
nuncia alla crudezza delle antinomie classiche fra
cultura ed eguagliaru,a per scivolare in un sentimen-
talismo propagandiscico, a mezw strada fra la reto-
rica liberale e l'apologia volgare.
Va infìne sottolineata la peculiarità metcxlolo-
gica dell'uso del calcolo delle probabilità nell'opera
di correzione riformistica della società - la proiezio-
ne della casualità concorrenziale si fa paradossal-
mente strumento della programmata sistemazione
dei suoi effetti. Uno dei primi campi di impiego del

"' CoNDoRCET, Abbozzo, p. 166.


64
Ib., p. 171. Nel raffronto con Rousseau, Condorcet appare
assai più ovvio e superficiale. Come cercheremo di mostrare, è
antistorico contrapporre il progressismo illuministico al carattere
ciclico-nostalgico della corrente russoiana (come fa frettolosamente
il CEm-o, p. 59 n.) e anche la «ricomposizione,. fra Voltaire e
Rousseau che Condorcet opererebbe nell'Abbozzo (CENTO, p. 112
sgg.) è soltanto un espediente retorico-apologetico, il cui ottimismo
programmatico passa a lato della contraddizione più che recuperarla
a un livello superiore.

76
calcolo delle probabilità è quello assicurativo e Con-
dorcet ideologizza la questione trasformando la me-
todologia per garantire profitti ai capitali del settore
assicurativo in metodologia per ... salvaguardare
dalle disgrazie le famiglie degli uomini operosi: «(è
possibile) assicurare a colui che raggiunge la vec-
chiaia un aiuto prodotto dai suoi risparmi, ma au-
mentato da quello degli individui che, facendo il
medesimo sacri.fìcio, muoiono prima del momento
di aver bisogno di raccoglierne il frutto; procuran-
do, mercé una simile compensazione, alle donne, ai
fanciulli, per il momento in cui perdano il marito
o il padre, una risorsa eguale e ottenuta ·allo stesso
prezzo, sia per le famiglie che una morte prematura
affligge, sia per quelle che più a lungo conservano
il loro capo; da ultimo, preparando ai fanciulli che
raggiungono l'età per lavorare da soli, per fondare
una nuova famiglia, il vantaggio di un capitale ne-
cessario allo sviluppo della loro operosità, e che si
accresce a spese di coloro ai quali una morte troppo
precoce impedisce di giungere a questo termine».
Queste applicazioni del calcolo potrebbero cosl
essere utili «non solo ad alcuni individui, ma all'in-
tera massa della società, che esse libererebbero da
quella rovina periodica di un gran numero di fa-
miglie, fonte sempre rinascente di corruzione e di
miseria» 65 • E' già presente l'idea - tipicamente «voi-

., UJNDORCET, Ahbo:ao, pp. 172-3. Su altre e più fantasiose


applicazioni dd calcolo delle probabilità a fenomeni della vita sociale,

77
gare» - della prevenzione delle crisi economiche e
l'istanza più generale di un controllo tecnocratico
della vita associata, anche se, rispetto ad altri idéo-
logues, l'affiato è più fiducioso e il razionalismo
meno timoroso e conservatore. Ma la tematica del
progresso si chiude sulla migliore delle epoche pos-
sibili, lo sviluppo verso il futuro non è altro che il
perfezionamento del sistema vigente affidato all'ege-
monia degli intellettuali. Autoillusione e apologia
vanno a braccetto.
***
L'ideologia sociale elaborata con una certa gret-
tezza dai fisiocrati, con cospicui approfondimenti e

cfr. G. SoREL, Le illusioni del progresso, in Scritti politici, Torino


1963, p. 549 sgg. Il giudizio generale del Sorel sull'illuminismo è
notoriamente negativo e appartiene alla reazione irrazionalistica e
anarco-sindacalista contro il positivismo e il riformismo socialista. Tut-
tavia, malgrado l'ostilità preconcetta contro «l'ideologia dei com-
messi», non mancano osservazioni assai acute, fra le quali, proprio
a proposito delle stravaganze della matematica sociale condorcetiana,
quella che «gli uomini illuminati del XVIII secolo si pongono sem-
pre dal punto di vista di un'oligarchia istruita che governa in nome
della ragione» (p. 557). L'accusa che tutta la scienza enciclopedica
del secolo sia «un insieme di conoscenze tratte soprattutto dai libri
di volgarizzazione e destinate a illuminare la condotta dei padroni
che fanno lavorare gli specialisti» è ingiusta se riferita in blocco
all'illuminismo, non illegittima se applicata a casi singoli, fra i quali
quello di Condorcet e degli ideologhi. Anche le valutazione dell'im-
portanza di Turgot e della laicizzazione, da lui operata, del dogma
teocratico di Bossuet è senz'altro accettabile (p. 598 sgg.): i grandi
avvenimenti miracolosi sono diventati «i semplici accidenti per mezzo
dei quali il Terzo Stato persegue la sua opera impersonale» (p. 601).

78
stretti legami con la pratica da Turgot, con enfasi
propagandistica un po' facile da Condorcet è comu-
ne, con poche oscillazioni, a buona parte del pen-
siero illuministico lx,. Essa poggia sull'immediata va-
lorizzazione delle funzioni proprietarie, deriva di-
chiaratamente da Locke (con sanzioni metafisiche di
altra origine, o cartesiane o pseudo-matematiche,
con tonalità devotamente religiose o velatamente
atee), si presenta via V'ia come subordinazione all'au-
torità assoluta del re, come programma riformistico,
come accodamento moderato ma fiducioso alla rivolu-
zione borghese, esalta il progresso facendone sanzione
ideologica e strumento pratico di sviluppo del siste-
ma capitalistico. Tale ideologia, tuttavia, non esau-
risce il campo del pensiero borghese, che si pre-
senta, anzi, profondamente lacerato dalla grande po-
lemica aperta da Rousseau alla metà del secolo,
ripresa ben più sanguinosamente nello scontro fra
ala moderata e ala radicale dello schieramento rivo-
luzionario negli anni fra il 1789 e il 1794 e conclu-
sa con il colpo di Stato di Bonaparte e il compro-
messo culturale degli idéologues ,alla fine del secolo.
Da allora in poi sarà un'altra storia.

"' Per un rapido sguardo d'insieme sulle idee politiche e


sociali di Diderot, Voltaire, d'Holbach, ecc. dr. H. SÉE, Les idées
politiques en France au XVIII-e siècle, cit., passim. In partirolare
sull'antiegualitarismo cli Holbach, che ripropone la piena cittadinanza
per i soli proprietari, v. pp. 171-2.
Cfr. anche R. HuBERT, Les sciences socia/es dans l'Encyclopédie,
passim, spec. pp. 173-5, 184 sgg., 214, 262, 364, ecc.

79
Volgiamoci adesso alla seconda grande corren-
te del pensiero borghese, centrando il discorso es-
senzialmente su Rousseau e però ben cogliendo la
singolare condizione di quest'ultimo, che, da un
lato, è il segno di scandalo della contemporanea
borghesia benpensante, dall'altro è l'interprete più
rigoroso più rigoroso e geniale di quella che il Sorel
chiamava la «borghesia conquistatrice». Già Napo-
leone, da buon :figlio della Rivoluzione, si volgeva
indietro perplesso e si dice che vis-itando Ermenon-
ville dichiarasse con ,l'abituale solennità: «Il aurait
mieux valu pour le repos de la France que cet hom-
me n'eùt jamais existé ... C'est lui qui a préparé
la Révolution française».

80
Parte II

La polemica contro la società civile


e il ruolo di ]. ]. Rousseau
1. Economisti e filantropi

Le tesi dei fisiocratici o, più genericamente,


degli «economisti» (sotto la rui etichetta e limita-
tamente all'adesione alle sole idee economiche della
«scuola», senza consenso all'ideologia del dispoti-
smo legale, ritroviamo praticamente tutti gli enci-
clopedisti) non prevalsero senza contrasto. Si oppo-
sero loro le resistenze tenaci del vecchio mercanti-
lismo e dell'ideologia religiosa umanitaria, gli in-
teressi feudali vulnerati e il nuovo sentimentalismo
alla moda. L'etichetta di «filantropi» era altrettanto
vaga di quella di «economisti» e copriva, in un
nodo spesso indistricabile, loschi interessi privile-
giati e fumosi aneliti di socialismo - di un sociali-
smo, si badi bene, che essenzialmente punta alla
ripartizione egualitaria delle terre, cioè a una demo-
crazia paternalistica di piccoli proprietari 1 •

1
Sul contrasto fra economisti e filantropi cfr. A. EsPINAS, La
philosophie sociale du XVIII-e siècle et la Révolution, Paris 1898,
p. 85 sgg. (con cenni sulle origini religiose delle dottrine egualitarie),
108 sgg. e anche Sée cit. p. 306 sgg., che riassume le ricerche di
A. L1CHTENBERGER (Le socialisme au XVIII-e siècle, Paris 1895).

83
Mably e Linguet sono gli esponenti pm rnte-
ressanti di tale opposizione, che è stimolante segui-
re come momento di presa di coscienz.a della strut-
tura sociale da parte del pensiero illuministico.
Da questo punto di vista Mably è più scontato
(e sopravalutato). Egli critica il capitalismo dal pun-
to di vista del passato, mescola resistenze aristocra-
tiche con una vaga adesione alle rivendicazioni agra-
rie dei contadini. Vuole una società di piccoli pro-
prietari ( e si oppone dunque ai fisiocratici e ai fau-
tori dell'accumulazione, come Chastdlux), ma non
prende in considerazione, anzi disdegna il lavoro sa-
lariato e propone come massima audacia modelli di
parlamentarismo conservatore, con accentuata difli-
denza verso le forme assembleari. ed esaltazione del-
la divisione dei poteri. La forma dell'utopia agrario-
comunistica copre una sostanza piuttosto moderata 2
e di analoghe fantasie poterono dilettarsi intellet-
tuali e uomini politici moderati, quali Fénelon,

' Su Mably dr. SÉE cit., p. 189 sgg. Nello scritto De la législation
(I. III, cap. III) Mably smentisce risolutamente il sospetto di voler
affidare il potere legisLitivo alla moltitudine e raccomanda minuziose
procedure per la formazione delle leggi; negli Entretiens de Phocion
(3', tomo X delle Oeuvres, pp. 84-5) respinge l'idea che i salariati
possano avere diritto di voto, dato che «le travail doit nécessaire-
ment avilir leur ame», e li considera piuttosto alla stregua di
«esclaves qui n'ont point de patrie». E' tuttavia esagerata Li pre-
sentazione che ne fa J. L. TALMON, in termini di pessimismo ascetico
e messianico (Le origini della democrazia totalitaria, Bologna 1952,
p. 79 sgg.).

84
D'Argenson, Diderot 3, senza che ciò comportasse
un intervento reale, neppure a livello ideologico,
nello sviluppo del processo rivoluzionario.
Maggiore rilievo presenta la critica di Linguet,
l'infame Linguet, come protestano i fisiocratici che
lo bollano, probabilmente a ragione, di asservimento
venale alla reazione, La sua polemica contro gli idea-
li liberal-borghesi dei suoi contemporanei è in effetti
rivestita di un'apparenza reazionaria: eg1i «difende
il dispotismo asiatico contro la forma europea e ci-
vilizzata del dispotismo; difende la schiavitù contro
il lavoro salariato» (Marx). Tuttavia le sue argo-
mentazioni sono del massimo interesse e centrano
bene l'essenza del problema. La sua Théorie des
loix civiles ou Principes fondamentaux de la société
( Londra 176 7) esordisce notando come lo spirito
delle leggi sia «la consacrazione della proprietà» - il
che non è poco. Linguet rileva -ancora come nei
paesi civilizzaci i ricchi si siano impadroniti delle
condizioni della produzione, rendendo «schiavi» gli
elementi stessi della natura, cosl che chiunque vo-

' Il Code de la nature di Morelly (il più vicino al socialismo


utopistico, come osserva giustamente il TALMON cit. pp. 76-9) piacque
al D'Argenson, ministro di Luigi XV e grande protettore degli
enciclopedisti, e Diderot si compiacque di fantasie analoghe nel
Supplement aux voyages de Bougainville, imitato in un episodio di
Aline et V alcour (la •storia di Zamé,.) di Sade. Fénelon, in alcune
pagine del romanzo di Telemaco, aveva già raccordato la nuova
tematica settecentesca (influenzata anche dal mito del •buon sel-
vaggio,.) con la tradizione utopistica classica, da Platone a Moro.

85
glia parteciparne è obbligato a dare in cambio il
duro lavoro. I fisiocratici «doni della natura» sono
attribuzioni del ricco e il povero per goderne una
parte deve lavorare ad accrescerli. Le leggi tutelano
questo stato di cose, sono «una cospirazione contro
la parte più numerosa del genere umano», per tu-
telare la proprietà, anteriore alle leggi e loro stimo-
latrice. La società stessa nasce come atto di sopraf-
fazione dei più forti ( per Linguet i popoli pastori)
sui più deboli e pacifici (gli agricoltori); di qui la
proprietà, la schiavitù, le leggi, ecc. La violenza è la
prima causa della società e la regola costante del suo
mantenimento; la schiavitù della maggioranza degli
uomini e della totalità delle donne è la sua condi-
zione permanente.
La schiavitù salariata è ben colta nella sua pe-
culiarità e brutalità: la dipendenza di un uomo dal-
l'altro presuppone che il ricco, che ha spogliato an-
teriormente il povero, sia disposto a restituirgli una
parte dei frutti del lavoro in cambio di altro lavoro.
«Solo in una società pienamente sviluppata gli ali-
menti appaiono al povero affamato come un equi-
valente sufficiente della sua libertà; ma in una so-
cietà allo stadio iniziale questo scambio ineguale
farebbe orrore a uomini liberi». L'essenza della so-
cietà consiste «nel liberare il ricco dal lavoro»;
l'antica schiavitù «si è perpetuata sotto un nome
più dolce». Anzi, in questo passaggio, la condizione
dei salariati, particolarmente dei braccianti, è peg-
giorata, perché il poco di libertà personale guada-

86
gnato è compensato dal timore di morire di fame.
La libertà è libertà di essere licenziato, libertà di
morire di fame.
Lo schiavo moderno non ha più un padrone
singolo, ma un padrone impersonale, il bisogno, non
sono agli ordini di un uomo in parbicolare, ma agli
ordini di tutti in generale, di chiunque abbia del
denaro. La loro «indipendenza» è un mezzo raflina-
to per sfruttarli fino all'osso, è una «calamità» per
il lavoratore. La soppressione della schivitù non ha
prodotto altro che miseria, dissolutezza e men-
dicità 4 •
Questa polemica di Linguet, cosl come quella
degli schiavisci nord-americani contro gli abolizioni-
sti (per esempio, Galhoun e Fitzhugh), colpisce du-
ramente la società liberal-capitalistica, ma non apre
una prospettiva alternativa, anzi retrocede a un'im-
magine convenzionale di armonia statica che non ha
neppure una virtualità liberatoria rispetto al pre-
sente. La sua efficacia storica è meramenre reaziona-
ria, per quanto suggestiva possa essere l'analisi a
posteriori. La sua conclusione è in effetti il ripudio
sprezzante della propagazione dei lumi: se il libera-
lismo è in realtà ideologia dello sfruttamento, a chi
può convenire mobilitare ,le masse contro l'ordine
semi-feudale vigente? Meglio lasciare le cose come

• Per i testi di Linguet e il commento marxiano dr. Teorie


sul plusvalore, cit., p. 523 sgg.

87
stanno. senza scatenare forze incontrollabili, una
volta che le masse si siano rese conto della mistifi-
cazione illuministica. In questo disprezzo dell'uo-
mo comune Linguet concorda con Necker, ma anche
con Mably, che aveva scritto nelle Observations
sur le gouvernement et les lois des Etats-Unis
d'Amerique 5 : «la molcitudine, degradata dagli im-
pieghi e dai bisogni che la condannano all'ignoranza
e a pensieri vili e bassi, non ha né i mezzi né il
tempo di elevarsi con le sue meditamoni fino ai prin-
dpi di una saggia politica». Reazionari, mercantili-
sti e utopisti si incontrano nel disprezzo paternali-
stico delle masse, privando così la loro demistifica-
zione del progressismo fisiocratico di qualsiasi possi-
bilità di incidenza rivoluzionaria.
Soltanto con Rousseau la polemica contro la
società civile si farà rivalutazione positiva del po-
polo, sia pure di un popolo la cui essenza è il bor-
ghese nella sua duplice incarnazione di uomo e di
cittadino.

' E' la lettera I (1783), in Oeuvres VIII, 229-30, cit., in


SÉE, p. 188. Si ricordi infine che Mably, pur rifiutando la proprietà
fondiaria, ammette, in generale, il carattere naturale della proprietà,
ed esplicitamente la validità di quella personale e mobiliare.

88
2. Uno straniero fra gli uomini

.. .auch dir
erfreut die ferne Sonne dein Haupt,
die Strahlen aus der schonern Zeit . ..

F. Holderlin, Rousseau

La diversità esteriore fu notata con scandalo


compiaciuto dai contemporanei. Ma ,l'estraneità era
reale e veniva soggettivamente scandita in primo
luogo da Rousseau stesso. Sin dal suo ingresso nella
società parigina, dominata dall'esprit de fi.nesse,
dalle gerarchie sociali, dal cinismo intellettuale, il
citoyen repubblicano, sentimentale, fiero delle sue
origini e della sua indipendenza ha successo per la
sua originalità ma soffre profondamente il contra-
sto con l'arcifìciosità e l'aridità dell'ambiente 6 •
Rousseau è sprofondato in se stesso, in una società
dove invece vale il criterio della brillante esteriori-

' Molte delle considerazioni che seguono ricalcano la finissima


analisi psicologica e tematica compiuta da B. GROETHUYSEN, nei
capitoli dedicati a Rousseau degli appunti del 1907 (Philosophie de
la Révolution française, Paris 1956, p. 171 sgg.). Il merito di
Groethuysen, qui come nel libro dedicato al Ginevrino, è di mostrare
la connessione oggettiva fra la ribellione individuale di Rousseau
alla società e il dispiegarsi della rivoluzione sociale; il limite è di
non cogliere la funzionalità dell'impostazione platonico-esistenziale
alla narura borghese della rivoluzione, della dialettica di amore
solitudine all'emancipazione puramente politica insomma, lo
scambio già pre-kantiano di moralità e legalità, come coppia di
categorie borghesi.

89
tà. Ai suoi occhi la società frivola dei salotti pari-
gini, specchio e compendio dei valori e delle gerar-
chie della società dominata dall'aristocrazia e dal
dispotismo paternalistico dei «lumi», si configura
come il male; la cultura è la corruzione della bontà
e della semplicità naturali, la perdizione dell'anima.
Tutte le esperienze successive, in particolare il sog-
giorno presso madame d'Epinay e lo scatenamento
degli intrighi di Grimm (con il conseguente svilup-
po di un complesso di persecuzione), ribadiscono
sempre più fortemente questa valutazione. Rous-
seau si sente disperatamente solo e immerso in un
mondo oscuro e privo di senso, la realtà perde per
lui qualsiasi trasparenza 7 e non la riacquista che a
condizione di una fuga dalla sfera ingannevole del-
l'apparenza, del lusso, dell'invidia, del confronto ma-
levolo. Bisogna ritirarsi in se stessi per vivere real-
mente. La scoperta della solitudine risolve l'incapa-
cità di comunicazione con un'umanità artefatta e
malvagia; l'evasione in se stessi è libertà e moralità,
ricerca del vero senso della vita.
Ma Rousseau non conclude la sua esperienza

7
La scelta del termine rinvia al magistrale saggio di J. STA-
ROBINSKI, J. _T. Rousseau - La transparence et l'obstacle, Paris 1957,
che sottolinea con straordinaria efficacia la componente psicologico-
esistenziale della critica russoiana della società civile, ricomponendo
l'autore della Nouvelle Hélozse con quello del Contrat socia! e
intuendo felicemente la funzionalità dell'individualismo e dell'esal-
tazione del sentimento all'avvento dell'uomo comune, cioè del bor-
ghese - e inevitabilmente del borghese rivoluzionario, del giacobino.

90
con un platonismo ererrutlco. Come Phtone seppe
volgersi dal mondo ritrovato dell'interiorità e delle
idee alla normazione dei rapporti umani e sociali,
così Rousseau, che simultaneamente ama gli uomini
e si sente straniero ad essi, risolve la contraddizione
cercando di aiutare gli uomini a ritrovare anch'essi
la loro realtà, a individuare che cosa c'è di sbagliato
nella loro vita. L'illuminazione interiore nella soli-
tudine sospinge dialetticamente Rousseau a illumi-
nare i rapporti sociali fra gli uomini per realizzare
un'effettiva trasparenza delle anime. Egli si volge
dall'introspezione psicologica alla storia e alla poli-
tica, ma sussumendo ogni progetto intellettuale e
pratico di chiarificazione alla categoria dell'anima
e dell'interiorità e scoprendo, in tal modo, i presup-
posti, sì, di una rivoluzione sociale, ma di una rivo-
luzione borghese.
Gli uomini vivono artifìciosamente, sono estra-
niaci a se stessi, gettati esistenzialmente nel mondo
dell'apparenza, schiavi dell'altrui opinione e capric-
cio, socialmente diseguali, vittime dell'amor pro-
prio, aridi e infelici. La loro vita fìtrizia riposa sulla
concorrenza nell'opinione, sulla speranza del suc-
cesso, sulla preoccupazione del futuro e il rimorso
del passato. Essi sono incapaci di godere semplice-
mente il presente, di abbandonarsi ai propri senti-
menti spontanei, sono irretiti sino in fondo nei
guasti della civiltà, della cultura del lusso e della
diseguaglianza. La scienza non riesce a schiudere
loro quella realtà da cui si sono materialmente se-

91
parati e isolati. Gli uomini si sforzano di conoscere
l'universo e non sentono più la loro anima, accumu-
lano ricchezze e non riescono a gcxlere le cose sem-
plici della vita quotidiana. Tutte le arti e le scienze
progrediscono, tranne quella di essere felici.
Quale può essere la via d'uscita? Innanzi tutto
il rifìuto delle istituzioni sociali vigenti, di tutta la
vita banale ed esteriore che convenzionalmente gli
uomini conducono, la riscoperta di se stessi, della
propria anima e della legge divina che vi regna, a
dispetto delle astruse controversie dei teologi e della
critica irriverente dei fì.losofì, dell'esperienza reli-
giosa in tutta la sua immediatezza.
Critica sociale e protesta esistenziale, sciogli-
mento dai rapporti feudali e dalla banalità quoti-
diana sono strettamente uniti - ciò che va ben com-
preso per cogliere, alla fìne, il limite borghese del
progetto russoiano di emancipazione.
Il rifìuto dell'uomo nel suo stato di abbietta
deiezione implica la ricerca del vero uomo. Dove?
Quando?

3. L'uomo della natura e la natura dell'uomo

L'uomo, dunque, si è snaturato. Deve ritor-


nare alla sua propria natura, fuggendo la società
artificiosa. Ma per riscoprire la propria essenzialità
egli deve avere un termine di riferimento e questo
deve collocarsi al di fuori dell'esistente, proprio per

92
poterlo giudicare e superare. Dalla corrotta flessione
storica e sociale occorre retrocedere a un degré 1.éro
dell'uomo 8 - l'utopia assunta coscientemente come
metro di valutazione storica e morale.
Bisogna cosl astrarre dal presente e dal sociale
per risalire all'epoca in cui l'uomo era ancora se
stesso, anteriormente alla creazione delle istituzioni
sociali e delle illusorie apparenze della convivenza
organizzata e artificiosa. La costituzione originale
dell'uomo, lo stato in cui l'ha posto la creazione di
un Dio buono è quello anteriore allo stato sociale.
L'uomo di natura dichiara la vera natura dell'uomo.
Qui troviamo la bontà, l'amore, la spontaneità dei
sentimenti. L'istinto di conservazione - l' amour de
sot non si è ancora convertito nella smania di
paragonarsi, nell'egoismo competitivo - l'amour pro-
pre; la sensibilità ( sensi e immaginazione, cuore e
intuizione) non è degenerata nello spirito riflessivo,
nella decomposizione analitica dettata dall'interesse

• J. STAJtOBINSKI, introduzione al discorso Sur l'origine de


l'inégalité, in J. J. RoussEAU, Oeuvres complètes, edizione della
Pléiade a cura di B. GAGNEBIN e M. RAYMOND, v. III, Paris 1966,
p. LVIII. Lo stato di natura è un «concetto regolativo• (E. Weil),
la scala sulla quale si può misurare lo «scartai. ( Starobinski cit.)
rappresentato da ogni stadio dillerenziato di civilizzazione, quella
definizione di humanité minimum che permette la misura esatta
dei nostri eccessi e dei nostri perfezionamenti. Cfr. anche il saggio
di STAROBINSKI, Du discours de l'inégalité au Contrai Social negli
atti del convegno di studi russoiani tenuto a Digione nel 1%2
(Etudes sur le CONTRAT SOCIAL de ]. ]. Rousseau, Paris 1964,
p. 107).

93
e dall'antagonismo. Entrambi gli aspetti, l'emula-
zione e l'intellettualismo, e il loro risvolto economi-
co, la proprietà, appaiono come snaturamento, pro-
iezione nella sfera effimera dell'esteriorità, svuota-
mento integrale dell'essenza umana. Il progresso è
allo stesso tempo sviluppo dei rapporti sociali e im-
poverimento del patrimonio naturale dell'uomo. Gli
uomini usciti dalla natura diventano malvagi e in-
felici.
La critica sociale di Rousseau si muove sul
piano esisten.male, e ciò avrà precisi risvolti pratico-
ideologici. Il problema centrale è quello della tra-
sparenza e del riconoscimento: il riconoscimento
di se stessi contraddice alla società aristocratico-feu-
dale cosl come il riconoscimento del tuo e del mio
fonda la proprietà, la ricerca del riconoscimento
l'emulazione antagonistica, e cosl via. Il rapporto
economico-sociale scaturisce dal comportamento e
quindi un diverso comportamento può ristabilire
nella società la natura dell'uomo. La volontà, che si
dilaterà a volontà generale, può determinare una
struttura sociale più giusta. La politica e l'educazione
sono gli stumenti con i quali recuperare la naturalità
dell'uomo entro la socialità ( che è ormai irreversi-
bile).
Rousseau non si arresta al mito del buon sel-
vaggio, anzi lo retrocede in uno stadio cosl remoto
da renderne improponibile una realizz.azione concreta.
Egli scrive addirittura, in un passo di enorme ri-
lievo metodologico, che lo stato di natura descritto

94
nel II Discorso «non esiste più, forse non è mai
esistito, probabilmente non esisterà mai, e tuttavia
occorre averne una nozione corretta per giudicare
bene il nostro stato presente» 9 • Allo stesso modo
Rousseau non propone minimamente, malgrado i
facili e frequenti fraintendimenti, la soppressione
delle arti e delle scienze 10 , ma si avvale del parados-
so per svelare la corruzione della presente società.
L'arbitrio del termine di paragone, la metodologia
del paradosso sono strumenti consoni al tipo com-
plessivo di impostazione russoiana: non è la fonda-
zione ( anche utopistica) del futuro sociale sulla base
della critica delle contraddizioni presenti, ma la
denuncia sentimentale del presente per una rivolu-
zione borghese, che consacri l'interiorità dell'indi-
viduo e la legalizzazione dell'individualismo econo-
mico-sociale. L1uomo della natura è la legittimazione
del borghese, il limite dell'utopia sta già nel para-

' J. J. RoussEAU, prefazione al Discours de l'inégalité, O. C.,


cit., III, p. 125.
'° Cfr. i vari scritti di giustificazione e polemica che seguono
fittamente la pubblicazione del I Discorso, per esempio le Obser-
vations (0. C. III, p. 54 e 56). Anche qui è ben chiara la coscienza
del carattere irreversibile del progresso e quindi il recupero delle
arti e delle scienze nel presente concreto. In effetti il rifiuto colpisce
l'uso aristocratico (e salottiero) delle arti e delle scienze e prevede
la loro riassunzione nella società mediante un uso borghese.
Rousseau stesso si avvarrà delle arti {letteratura e musica) per
propagandare la propria visione del mondo, irretendosi nella dialet-
tica antinomica di silenzio e tradimento. Kant coglierà benissimo
tale dramma russoiano e lo risolverà con schiettezza borghese nella
riconciliazione di natura e cultura.

95
dosso con cui si critica il mondo feudale e nella defi-
nizione delle strutture sociali in termini di rapporti
intersoggettivi. L'altro momento idealistico-borghe-
se di tale strategia sarà la pedagogia e il suo legame
ambiguamente dialettico con le istituzioni pub-
bliche.
Pur con questo limite implicito Rousseau com-
pie un'operazione ideologica di importanza incalco-
labile e che spiega gli entusiasmi e gli eccessi inter-
pretativi che lo forzano in senso socialista. Egli ro-
vescia radicalmente una parte della tradizione cri-
stiana e pone le basi teoriche per la definizione della
perfettibilità umana e per una valutazione positiva
della storia come opera cosciente dell'uomo e
questo proprio mediante la provocazione antistori-
cistica.
Secondo la nota tesi del Cassirer 11 , ripresa con
molto rilievo recentemente dal Colletti u, l'illumi-
nismo aveva ripreso l'opposizione rinascimentale
alla dottrina cristiana, e particolarmente agostinia-

11
E. c... ss1SER, La filosofia dell'illuminismo, Firenze 1952,
p. 195 sg;;., spec. 217 sgg.; che constata con precisione la natura
ipotetirn dello stato di natura, specchio critico e pierra di µaragone
della società corrotta, e rigetta l'equivoco di un Rousseau avverso
alle Rrti e alle scienze (ib. pp. 374-5). Similmente il mito de!
«buon ~elvaggio» o il raffronto topico con la Cina o la Persia servono
in realtà a contrapporre all'ordine assolutistico-feudale un modello
rivoluzionario che si reali.=rà poi nella società borghese (dr. anche
F. Ounoo, Storia dell'idea d'Europa, Bari 1964).
" Nel saggio Rousseau critico della società civile (Ideologia e
società, p. 195 sgg., spec. 197-200).

96
na, del peccato originale, cercando di superare la
defìnizione pessimistica che dell'uomo e della na-
tura avevano dato sia il protestantesimo ortodosso
che la sfida di Pascal e dei giansenisti. Tuttavia la
soluzione del problema non poteva essere trovata
a livello psicologico, nel bilanciamento sensistico
dei piaceri e dei dolori, ma soltanto nell'attività
creatrice, estetica o politica. Soprattutto Rousseau
solleva il problema al di sopra dell'essere indivi-
duale e lo rivolge decisamente all'essere sociale.
Il popolo è il frutto del sistema statale; l'infelicità,
la disperazione, la corruzione derivano dalla corrot-
ta società, dall'allontanamento dallo stato di natura,
i cui primi moti sono di per sé innocenti (come
mette polemicamente in risalto la condanna eccle-
siastica dell' Emile ). La contraddizione pascaliana fra
finito e infinito, fra miseria e grandezza umana - che
tanto aveva imbarazzato l'opinione media borghese,
più propensa ad accantonare la questione che a pren-
derla di petto - si risolve per Rousseau in una con-
traddizione storico-empirica legata all'evoluzione
della società. La miseria è il risultato di un processo
di corruzione sociale che può essere arrestato e in-
vertito con i soli mezzi umani, inerendo esso stesso
alla sfera storico-sociale. La degenerazione degli
uomini è fortemente marcata, cosl da scartare ogni
illusione moderato-riformistica, ma il soggetto di
imputabilità per tJale colpa non è più il singolo
individuo ben:sl la società umana. Il verdetto non si
abbatte più, quindi, sulla peccaminosità naturale

97
del singolo, ma sulle istituzioni inadeguate e mal-
vage, sollecitando una redenzione sociale, una tra-
sformazione radicale della società e dello Stato. La
tecxlicea si risolve in filosofia del diritto, le contrad-
dizioni della condizione umana sono affrontate sul
terreno etico-politico. Questo, almeno per un verso,
giustifica pienamente tutte le forme di lotta sociale,
legittima qualsiasi processo rivoluzionario e, in tal
senso, pone una reale connessione anche fra Rous-
seau e Marx u.
Lo stesso itinerario può essere affrontato sotto
un punto di vista appena diverso: Rousseau è per-
sonalmente ossessionato dal problema di rendere tra-
sparente la propria anima agli altri e di leggere nei
sentimenti altrui 14 , ma risolve costantemente questo
impulso al livello superiore del chiarimento dei rap-
porti intersoggettivi. La possibilità di uno sciogli-

" Or. S. CorrA, La position du problème de la politique chn.


Rousseau in Etudes cit., p. 177 sgg .. Cotta denuncia questo rove-
sciamento, riprendendo con acutezza polemica la critica di «totali-
tarismo• mossa al ginevrino dal liberalismo ottocentesco e poi recen-
temente dal Talmon. Dopo aver sottolineato con molta energia la
divergenza russoiana dalla tradizione cristiana, sia nella versione
laicizzata giusnaturalistica, sia nell'esasperazione pessimistica della
linea Machiavelli-Hobbes (in cui la natura lapsa si fa addirittura
natura deleta e invoca lo Stato come remedium peccati), Cotta
conclude, con disapprovazione, che «il est aisé de voir ... que c'est
précisément la notion d'innocence originelle qui amène Rousseau
i\. la position philosophique qui sera réprise et renouvelée par Marx•
{p. 186). Dal seguito del nostro testo apparirà il carattere esagerato
di tale interpretazione, tuttavia è proprio qui il punto in cui la
vicinanza Rousseau-Marx è più sensibile.

98
mento dell'oscuramento sociale è proprio nel corso
della storia, che cosl viene legittimata come luogo,
simultaneamente, di corruzione e di rigenerazione.
Infatti l'essenza dell'uomo non è compromessa defi-
nitivamente, ma è soltanto deteriorata la sua situa-
zione storica 15 ; la sua «caduta» non è un momento
costitutivo essenziale del singolo individuo (il pec-
cato originario), ma un accidente della storia umana.
Se è vero che il movimento della storia, il progres-
so nel senso fisiocratico, è crescita di oscurità, di de-
formazione e non miglioramento, è anche vero che
il male si produce nella storia senza alterare l'essen-
za dell'uomo. La colpa della società non è la colpa
dell'uomo essenziale, ma quella dell'uomo calato
nella vita di relazione; il male è, in tal modo, «peri-
ferico» e l'Eden recuperabile con i mezzi umani;
la salvezza sta nel rientro in se stessi.
La storia diventa il luogo della liberazione ri-

" Cfr. per esempio la conclusione del libro IV delle Confes-


sioni: «Vorrei potere, in un certo senso, render trasparente la mia
anima agli occhi del lettore, e cerco quindi di mostrargliela sotto
ogni lato, di chiarirgliela sotto tutte le luci, di fare in modo che
nulla vi avvenga senza ch'egli possa controllarlo e giudicare da sé
il principio che produce ogni impulso•. E' la democrazia del senti-
mento, l'eguaglianza delle anime sincere che può o sostituire l'azione
politica o sollecitare un processo di emancipazione borghese dall'ar-
tificiosità delle istituzioni aristocratico-assolutistiche, il mutamento
del sistema delle convenzioni.
15
Seguiamo di qui innanzi, spesso alla lettera, le osservazioni
cosl delicate e perspicaci di J. Su.ROBINSKI, J. ]. R. - la trasparence
et l'obstacle, cit., p. 13, 17, 20, 24, 42, 54, 231-3.

99
voluzionaria, ma la rivoluzione si compie in nome di
una natura umana eterna, recuperata dall'oscura-
mento del parattre e dell'amour propre, e non certo
in nome del progresso storico.
La fìlosofìa della storia culmina cosl in «espe-
rienza» esistenziale e la critica della società si river-
sa in epifania della coscienza personale, in prima
istanza nella «confessione» che rende reciprocamen-
te trasparenti le anime dello scrittore e dei sinceri
lettori. La sincerità delinea la restaurazione di un
rapporto sociale non tanto sul piano dell'azione
politica quanto su quello della comprensione umana.
Lo sbocco quindi della rivolta russoiana è,
tenacemente, il terreno etico, cioè la politica bor-
ghese. Effettivamente il ginevrino sottolinea il pri-
mato della politica, ma questa politica si confìgura
in termini assai precisi, come liberazione dell'uomo
comune borghese contrapposto all'aristocratico hom-
me de qualité. E' nell'area del diritto, del diritto
eguale borghese, che si risolve la teodicea, che si
giustifìca la natura dell'uomo. La trasparenza è l'av-
vento di una nuova immagine dell'umano distinta
e contrapposta rispetto a quelle tradizionali del-
1' honnéte homme e dell' homme de qualité, cioè del
borghese integrato alla società aristocratica e del-
l'aristocratico stesso. Il rifiuto del peccato originario
e l'affermazione positiva della nuova personalità,
paradossalmente travestita dall'appello alla perduta
semplicità, ne sono elementi costitutivi e il ricono-
scimento si compie con tutti i crismi dell'autorità

100
intellettuale e dell'auto-evidenza sentimentale. Il
primato della politica è anche primato del sentimen-
to. II soggetto è il borghese, una frazione del corpo
sociale eguale alle altre, perché egualmente dotato
di meriti personali (che pure sono diversi per qua-
lità e quantità fra i borghesi). E' insomma l'egua-
glianza politica, che pure non esclude il permanere
di diseguaglianze sociali. La dialettica del riconosci-
mento e della trasparenza si chiude sul duplic:e
piano di un diritto esterno formalizzato e di un'inte-
riorità etica. Il rifugio in se stessi si concilia con
il nuovo contratto sociale 16 •
In questo senso la trasparenza cui aspira
Rousseau pone negativamente il problema che sarà
anche di Marx, ma si differenzia profondamente
dalla soluzione marxiana. Entrambi denunciano l'a-
lienazione dell'uomo in società, ma il primo la ri-

1
' Sul «primato della politica,. in Rousseau, cfr. CoTTA, cit.,

p. 180, ( «l'affìrmation de la primauté du politique dénonce un


changement vraiment révolutionnaire de perspective existentielle et
spirituelle» ), l'introduzione di R. DERATHÉ al Contratto sociale in
]. ]. R., Oeuvres complètes cit. III, p. XCVI e le pagine di
CoLLETTI, cit., pp. 200-203.
E' però necessaria un'esatta qualificazione della contraddittorietà
(tipicamente borghese) di questo primato, per non cadere nell'errore
opposto, e simmetrico, di chi risolve tranquillamente la tensione
russoiana in una rigenerazione puramente morale, adeguando senza
scosse Rousseau e Kant. Il primato della politica non è una categoria
astratta e, ovviamente, il primato della politica borghese differisce
dal primato della politica proletaria (nel senso, per esempio, della
Rivoluzione Culturale cinese).

101
solve nel rapporto sentimentale fra individui resi
eguali dalla politica e dalla legge, il secondo mira
alla trasparenza dei rapporti sociali, cioè allo svela-
mento del feticismo della merre, alla soppressione
dei rapporti capitalistici, all'avvento di una rivolu-
2Jione sociale. L'arco di oscillazione del pensiero rus-
soiano muove dal ritrarsi nella quieta mcxlerazione
del solitario disinserito alla disponibilità, soprattut-
to dei suoi seguaci, alla rivoluzione borghese radi-
17
cale, fra il sostegno all'assolutismo di Luigi XV
e il giacobinismo di Robespierre e Saint-Just. Il pen-
siero mal"X'iano parte invece dalle V'icenàe della Ri-
voluzione francese, dalle contraddizioni dell'eman-
cipazione borghese, dalla denuncia dell'uomo comu-
ne nella sua duplicità di bourgeois e citoyen.

17
Vedi l'atteggiamento abbastanza conformistico di Rousseau
nell'XI libro delle Confessioni e la moderazione politica dei progetti
costituzionali per la Corsica e per la Polonia, che testimoniano, nel
contempo, del suo «realismo10 e della sua incertezza rivoluzionaria.
Altra testimonianza del timore di Rousseau per la rivoluzione è
nelle Observations (O. C., III, p. 56), laddove si proclama il pes-
simismo per la possibilità di rigenerazione degli uomini: «leur
coeurs une fois gatés le seront toujours; il n'y a plus de rernède,
ii moins de quelque grande révolution presque aussi à craindre que
le mal qu'elle pourroit guérir, et qu'il est blamable de désirer et
impossible de prévoin. Nel V libro delle Confessioni vi è una
condanna altrettanto aspra delle guerre civili, con riferimento alla
lotta fra borghesia e aristocrazia a Ginevra.

102
4. La cultura della diseguaglianza

Il primo dei due grandi discorsi, Sur les scien-


ces et les arts ( 17 4 9-50 ), nasce in modo controver-
so, per una drammatica ispirazione sulla strada di
Vincennes secondo l'autore, per una scelta casuale
e paradossale secondo gli amici e poi avversari enci-
clopedisti, Diderot in testa 18 • Nessun dubbio, peral-
tro, che esso apra un progetto di assoluta coerenza
che si sviJupperà lungo tutto l'arco della vita di
Rousseau. Egli risponde negativamente al quesito
dell'accademia di Digione «si le rétablissement des
Sciences et des Arts a contribué à épurer les
moeurs». Le scienze e le arti sono, ovviamente,
quelle nate nel seno delle società feudali e aristocra-
tiche e strumentalizzate al loro adornamento e al
loro sostegno; sono mezzi di corruzione individuale
e di integrazione sociale alle istituzioni malefiche di
una civiltà degenerata.
L'uomo - dichiara l'autore che si sottoscrive
citoyen de Genève 19 - ha perso nella civiltà la sua

11
Sulla questione dr. l'introduzione cli F. BouOIARDY al I
Discorro, O. C., III, p. XXVIII sgg.; l'illumina:r;ione, reale o
rivissuta nell'immaginazione, ~ il metodo cli procedere tipico cli
Rousseau, testimone dell'evidenza interna più che elaboratore cli
sistemi ordinati.
" Il termine di cittadino oscilla ambiguamente fra l'orgoglio
repubblicano e la definizione giuridica cli una condizione superiore
a quella popolare. Sul piano personale il •cittadino• Rousseau, nato,
come ricorda all'inizio delle Conferrioni, in una famiglia che si
distingueva dal popolo per il modo cli vita, si colloca a mezza

103
libertà ed eguaglianza ongrnarie: mentre le leggi
e il governo provvedono alla sicurezza e al benessere
degli uomini associati, «les Sciences, les Lettres
et les Arts, moins despotiques et plus puissans peut-
etre, étendent des guirlandes le fleurs sur les chaìnes
de fer dont iJ.s sont chargés, étouffent en eux le
sentiment de cette liberté originelle pour laquelle
ils sembloient etre nés, leur font aimer leur esclava-
ges et en forment ce qu'on appelle des Peuples
policés. Le besoin éleva les Trònes; les Sciences et
les Arts les ont affermis» 20 • Il bisogno di cui si
parla è già l'impulso artificiale del confronto, la di-
pendenza in cui gli uomini si gettano uscendo volon-
tariamente dallo stato di natura. In una nota a pié di
pagina Rousseau rileva che i popoli selvaggi, privi di
bisogni artificiali, non possono essere assoggettati se
non a condizione di costringerli ad adottare i biso-
gni dei civilizzati. L'esperienza del colonialismo gli
mostra la connessione fra acculturazione e brutale
sfruttamento, come poi avverrà per Marx (cap. 25°
del I libro del Capitale), però con la solita preva-
lenza del momento psicologico-ideale, per cui il pas-
saggio dahl'istinto di conservazione all'emulazione e
al confronto, dall' amour de sai ali' amour propre è la
somma di una serie di scelte individuali e si confi-

strada: «trop près du peuple pour en meconnaitre les besoins,


mais s'en distinguant déjà assez pour ne point desservir les intérèts
de la bourgeoisie,. (A. SooouL, in Etudes, cit., p. 418).
"' J. J. ROUSSEAU, O. C., III, p. 7.

104
gura come un blocco di rapporti intersoggettivi so-
cialmente vincolanti. Pertanto il momento dell'ege-
monia e del consenso - la funzione delle lettere,
scienze e arti - viene sopravalutato e l'attacco alla
cultura aristocratica si intreccia costantemente al
rifìuto della cultura tout court, cosl come, viceversa,
i nuovi valori borghesi (e, in realtà, la nuova cul-
tura) si confìgurano come assoluti e defìnitivi in
quanto simboli di una nuova moralità. Se l'indivi-
duo è corrotto idealmente, ideali - cioè sovrastrut-
turali - sono i colpevoli (scienze e arti) e ideale il
superamento, cioè una rivoluzione giuridico-politica,
che non altera i rapporti strutturali, materiali, eco-
nom1c1.
Il tema della trasparenza e del riconoscimento
è difatti prevalente sin dalle prime pagine: nello
stato di società ( cioè nella società presente, aris to-
cra tica) l'uomo è appiattito, snaturato, collettiviz-
zato dalla convenzioni, «on n'ose plus paroìtre ce
qu'on est», trionfa il conformismo e gli uomini di-
ventano gregge. Questa depravazione, che è insieme
corruzione individuale e massifìcazione, è il prodòt-
to del progresso, nella sua duplice componente arti-
stica e scientifìca - ma la prima ingloba tutta la sfera
del costume, l'evoluzione dell'opinion.
La nascita stessa delle scienze e delle arti è
legata al vizio, l'astronomia alla superstizione, l'elo-
quenza all'ambizione, la morale all'orgoglio, e cosl
via. Ma soprattutto esse si connettono al lusso, al-
l'ozio, alla vanità e marcano inevitabilmente l'allon-

105
tanamento della società dalla semplicità primitiva e
la sua decadenza. La prosopopea di Fabrizio intro-
duce, dopo l'elogio convenzionale, classicistico, dei
buoni tempi andati, un tema ben più profondo: il
confronto fra i valori della polis antica e quelli delle
società mercantili moderne.
Su questo verte la seconda parte del Discor-
so 21 : «Que le luxe soit un signe certain des riches-
ses; qu'il serve meme si l'on veut à les multiplier:
Que faudra-t-il conclure de ce paradoxe si digne
d'etre né de nos jours; et que deviendra la vertu,
quand il faudra s'enrichir à quelque prix que ce
soit? Les anciens Politiques parloient sans cesse de
mours et de vertu; les notres ne parlent que de com-
merce et d'argent».
Il contrasto non è retorico; esso implica l'as-
sunzione dell'unità di vita pubblica e privata della
polis come un punto di riferimento analogo ( e forse
più recuperabile) a quello dello stato di natura, in
contrapposizione alle società storiche, dominate dal-
l'oscurità e dalla concorrenza. Ricorrendo al passato
Rousseau critica il presente e apre la strada, cosl
come con la contrapposizione della «religione ci-
vile» al cristianesimo nelle opere posteriori, al pro-
gressismo del primo romanticismo che vede coscien-
temente nella nostalgia del mondo classico la pre-
figurazione di una società liberata dalla divisione del
lavoro e dall'affarismo. Il sole holderdiniano che

" I b., pp. 19-20.

106
illumina il capo di Rousseau proviene da un'era
più bella che è insieme il mito del passato (polis
o stato di natura), il presagio della rivoluzione fu-
tura e l'archetipo del divino divenire, dell'unità di
finito e infinito.
Che cosa ha rotto fa bella armonia dell'uomo
classico-naturale? Risponde il Discorso: «D'où
naissent tous ces abus, si ce n'est de l'inégalité
funeste introduite entre les hommes par la distinc-
tion des talens et par l'avilissement des vertus?
Voilà l'effet le plus évident de toutes nos études,
et la plus dangereuse de toutes leurs con.séquences.
On ne demande plus d'un homme s'il a de la
probité, mais s'il a des talens; ni d'un Livre s'il
a de la probité, mais s'il a des talens; ni d'un Libre
est utile, mais s'il est bien écrit» 22 • Nelle Obser-
vations del 1751, che insieme alla prefazione del
Narcisse fanno da ponte fra il I e il II Discorso, la
spiegazione è anche più netta: «la premiére source
du mal est l'inégalité; de l'inégalité sont venues
les richesses; car ces mots de pauvre et de riche
sont relatifs, et par tout où les hommes seront égaux,
il n'y aura ni riches ni pauvres» 23 • E nella Dernière
Réponse del 1752: «Avant que ces mots afireux de
tien et de mien fussent inventés; avant qu'il eut
de cette espéce d'hommes cruels et brutaux qu'on
appelle maitres, et de cette autre espéce d'hommes

22
Ib., p. 25.
lJ Ib., pp. 49-50.

107
fripons et menteurs qu'on appelle esclaves; avant
qu'il eut des hommes assez abominables pour oser
avoir du superflu pendant que d'autres homment
meurent de faim; avant qu'une dépendence mutuelle
les eut tout forcés à devenir fourbes, jaloux et trai-
tres; je voudrois bien qu'on m'expliquàt en quoi
pouvoient consister ces vices [degli uomini]» 24 •
La diseguaglianza è la fonte dei mali. Essa ha
basi spirituali (è la distinzione dei talenti raffrontati
con amour propre) e genera effetti spirituali, l'alie-
nazione del servo e del padrone, legati l'uno all'altro
in una dialettica di brutalità e di inganno, la durezza
del cuore, la corruzione dei costumi. Lo spettacolo
della società civile è quello della lotta ferina: a metà
strada fra l'homo homini lupus di Hobbes e il regno
animale dello spirito di cui parla Hegel stanno le
icastiche espressioni della Dernière Réponse, in cui
il moralismo russoiano si erge contro tutta l'ideo-
logia del necessario conflitto sociale. Gli uomini
vivono fra di loro «camme les lyons et les ours,
camme les tygres et les crocod:les», bestie selvaggie
nello stato di civiltà, e sarebbe preferibile vederli
retrocedere all'innocenza semiferina, se fosse possi-
bile: «J'aime encore mieux voir les hommes brouter
l'herbe dans les champs, que s'ent~vorer dans les
villes » 25 •
Lo spettacolo della miseria, i.:i particolare di

" Ib., p. 80.


,, Ib., pp. 82, 92.

108
quella miseria che è il prcxlotto storico delle storture
aristocratico-feudali, accende passi di concentrato
furore, come una nota della Dernière Réponse 26 in
cui pure è evidente la limitatezza della concezione
economica (miseria e ricchezza sono viste non come
i due poli di un processo di accumulazione, ma come
la ripartizione ingiusta di una massa statica di merci).
«Le luxe nourrit cent pauvres dans nos villes, et en
fait périr cent mille dans nos campagnes: l'argcnt
qui circule entre les mains des riches et des Artistes
pour fournir à leur superfluités, est perdu pour la
subsistance du Laboureaur; et celui-ci n'a point
d'habit précisément parce qu'il faut du galon aux
autres. Le gaspillage des matieres qui servent à la
nourriture des hommes suflìt seul pour rendre le
luxe odieux à l'humanité. Mes adversaires sont
bienheureux que la coupable délicatesse de notre
langue m'empèche d'entrer dans des détails qui les
feroient rougir de la cause qu'ils osent défendre. Il
faut des jus dans nos cuisines; voilà pourquoi tant
de malades manquent de bouillon. Il faut des li-
queurs sur nos tables; voilà pourquoi le paysan ne
boit que de l'eau. Il faut de la poudre à nos perru-

,. Ib., p. 79, nota a pié di pagina. Il riferimento alla società


aristocratica è evidente, cosl come l'indignazione del libro IV delle
Con/essioni, dichiaratamente tanto importante per la formazione
della coscienza politica russoiana, si volge tipicamente contro le
vessazioni della fiscalità e dei diritti feudali sui contadini. Qr. anche
la lettera a J. - A. Charbonnel del 1773, cit., in O. C., III, XLV,
XLVI, (C. G., t. I, p. 70).

109
ques; voilà pourquoi tant de pauvres n'ont point
de pain».
La polemica già centra Mandeville e il cinismo
economico. Il rifiuto del lusso è un elemento di per
sé borghese, comune ai fisiocratici e a Smith, ma si
inserisce in una critica più generale della società
fondata sulla diseguaglianza, il cui progresso è accre-
scimento dello sfruttamento e della concorrenza. La
critica è essenzialmente morale, quindi recuperabile
all'interno della categoria giuridica. L'indignazione
non si trasforma in critica dell'economia politica,
ma si dissolve nella postulazione ideale dell'eman-
cipazione politica. In quanto tale ha una formidabile
forza eversiva nei confronti dell'Ancien Régime, con
il quale non sono resi possibili compromessi e gra-
dualismi. Il lettore convinto dei due Discorsi potrà
bruciare tranquillamente i castelli feudali nell'estate
del 1789, con dentro i proprietari, o meglio appro-
vare che lo facessero i contadini analfabeti e rus-
soiani senza saperlo. Gli uomini del Terrore avranno
spontaneamente sulle labbra la fraseologia dei Di-
scorsi e lo scandalo dei benpensanti aristocratici
davanti a Jean-Jacques era ampiamente giustificato
Il II Discorso, Sur l'origine et les fondamens
de l'inégalité parmi les hommes, è sempre fumato
dal cittadino di Ginevra ma datato da Chambèry,
quasi a marcare l'ambiguità endemica dell'autore,
che parla ai ginevrini dalla Savoia e all'Europa
come ginevrino - quindi, in entrambi i casi, da stra-
niero, nel duplice senso di dolorosamente estraneo

110
ai valori vigenti e di uomo superiore ai pregiudizi
e ai timori, voce della verità TI.
Nella prefazione Rousseau stabilisce con chia-
rezza alcuni principi di metodo: la scienza dell'uo-
mo è la più importante, ma occorre trovare un
punto da cui farla iniziare - per cogliere lo sviluppo
della storia bisogna uscire fuori da essa, retrocedere
in un'area anteriore o esterna rispetto all'accadere
storico. Quest'area è data materialmente dai popoli
primitivi, con tutti i limiti dell'attendibilità dei rac-
conti etnografici e della genuinità dei selvaggi di og-
gi, idealmente dal cuore, dal cuore di Jean-Jacques
che è rimasto estraneo alla corruzione sociale. L'an-
tropologia, sin dalle sue origini, si connette inscin-
dibilmente con l'evidenza sentimentale.
L'immagine dello stato di natura, come abbia-
mo visto, non è una condizione storica reale, e tanto
meno l'obbiettivo di una restaurazione, ma un punto
di riferimento, uno strumento per valutare il presen-
te ed eventualmente per demolirlo. Per un rovescia-
mento che è caratteristico della meccanica del para-
dosso, l'appello alla natura si converte in una fon-
dazione della storia. Come ha giustamente notato
Starobinslci 28 , Rousseau opera un vero transfert di re-
sponsabilità e presenta i momenti costitutivi della ci-

rr Cfr. l'introduzione di J. STAllOBINSKI al Il Discorso, O. C., III,


«il ne fait cause commune avec personne, sinon avec la vérité mé-
connue, avec la vertu exilée•, la sua patria è tutta ideale.
,. Ib., LIII-LIV e LVII-LVIII, cfr. Etudes, p. 107.

111
viltà (matrimonio, linguaggio, società, proprietà,
diritto, morale) come opera umana e non dono ori-
ginale della natura o di Dio, istituzioni della liber-
tà creatrice e non elementi innati. La cultura (e il
male) nascono cosl dalla libertà umana, che nel cor-
so della storia può restaurare anche il bene. L'indi-
viduo recupera cosl il proprio senso attraverso il
dramma dell'evoluzione sociale, la cui responsabili-
tà è imputata direttamente agli attori. In tal senso
il II Discorso è insieme fondazione di una filosofia
della storia e teodicea.
Qual è il corso della civilizzazione? Starobinski
riassume cosl il filo dell'esposizione russoiana: 1)
all'origine abbiamo l'uomo ozioso, che gradualmente
scopre il lavoro e la cooperazione occasionale (pas-
saggio dall'immediatezza alla mediazione); 2 ) pri-
ma rivoluzione e passaggio allo stadio patriarcale,
insediamenti stabili e agglomerati sociali coesi - è
questa l'età dell'oro, la giovinezza del mondo, il pie-
no equilibrio fra l'istinto di conservazione e la na-
turale pietà verso il prossimo; 3) seconda rivoluzio-
ne (il neolitico), scoperta dell'agricoltura e della me-
tallurgia, divisione del lavoro e scatenamento dei
mali dell'umanità - «ce sont le fer et le blé qui ont
civilisé les hommes et perdu le genre humain». Per
una sorta di compensazione l'uomo cerca di ovviare
alla perdita di integrità dell'essere con un'intensi-
ficazione dell'avere; il possesso esclude quello degli
altri, i meno abili e i meno violenti vengono scartati
e si trasformano in poveri; 4) ultima fase, i proprie-

112
tari non sono connessi m un sistema giuridico, ma
si contendono la proprietà con la guerra (è lo stadio
hobbesiano ). Questi individui già snaturati (e qui è il
recupero, contro Hobbes, della bontà dell'uomo na-
turale) si adattano infìne all'instaurazione di un ordi-
ne civile che, con contratto iniquo, sostituisce alla
violenza sfrenata la violenza legalizzata, sancisce l'op-
pressione e lo sfruttamento della maggioranza da par-
te di una minoranza avida e ipocrita, che, per di
più, sposta la guerra dagli individui alle nazioni. Im-
postura e violenza si uniscono strettamente nella
fondazione dello Stato e nel suo inarrestabile preci-
pitare fìno al dispotismo, estremo termine della di-
seguaglianza e inizio virtuale del suo rovesciamento
rivoluzionario 29 •
Soffermiamoci più analiticamente su questo
schema, e particolarmente sulla 3° e 4° fase, che Rous-
seau affronta con un caratteristico approccio psico-
logico. L'uomo selvaggio ha passioni fiacche ( tolto
l'istinto di conservazione e la ripugnanza a far sof-
frire il prossimo), scarse conoscenze e curiosità in tel-
lettuali, conformemente ai suoi veri bisogni, non con-
serva le acquisizioni casuali e non possiede quindi né
educazione né progresso; l'ineguaglianza naturale è
debole; l'innocente ignoranza, fuori della libera scel-
ta del bene e del male, è il suo stato normale 30 • L'in-

,. O. C., III, p. LXII sgg. (commento Starobinsk.i); p. 164 sgg.


( testo di Rousseau).
'° Ib. pp. 159-162. Su questo stato di ignoranza dr. anche la

113
differenza derivante dall'assenza di stimoli e di sen-
sibilità rende impossibile rapporti di dipendenza e
differenziazioni socialri; la sopraffazione non ha vi-
gore perché non è riconosciuta e vi ci si può sottrar-
re, nel peggiore dei casi, con la fuga. Non c'è potere
senza consenso e non esistono ancora stimoli al con-
senso. Con un piccolo scarto - quanto signifìcativo -
dovunque Rousseau parla di bisogni, questi sono
sempre cristallizzati nel confronto reciproco; l'in-
differenza e l'apatia ne garantiscono la minimalità,
l'emulazione li massimizza. La fuoriuscita da un li-
vello minimo di relazioni e di bisogni è subito la fon-
te del male; sviluppo è oscuramento. Qui Rousseau
coglie un dato storico (l'incremento della cultura è
incremento della diseguaglianza), ma lo congela mo-
ralisticamente in un elogio della frugalità, materiale
e sentimentale, che implica l'idealizzazione del rap-
porto di sfruttamento.
Se analizziamo una frase famosa come quella
che apre la seconda parte del Discorso ( «Le premier
qui ayant enclos un terrain, s'avisa de dire, ceci est

lettera a Lecat (ib. p. 101), la Dernière Réponse (ib. p. 73 sgg.),


dove si esplicita che «l'ignorance n'est un obstacle ni au bien ni
au mal; elle est seulernent l'état nature! de l'hornme», le Observations
(ib. p. 55 sgg.), dove si distingue l'ignoranza feroce et brutale da
quella raisonnable, cioè l'autocontenirnento della conoscenza nei limiti
della facoltà naturali, l'indifferenza nei riguardi delle cose .,qui
ne sont point dignes de rernplir le coeur de l'hornrne, et qui ne
contribuent point à le rendre rneilleur», - douce et précieuse igno-
rance, che sdegna la vanagloria dei lumi e la presuntuosa opinione
degli altri.

114
à moi, et trouva des gens assés simples pour le croi-
re, fut le vrai fondateur de la société civile. Que de
crimes, de guerres, de meurtres, que de misères et
d'horreurs, n'eùt point épargnés au Genre-humain
celui qui arrachant les pieux ou comblant le fossé,
eùt crié à se semblables. Gardez-vous d'écouter cet
imposteur; Vous etes perdus, si vous oubliez que les
fruits sont à tous, et que la Terre n'est à personne» 31 •
L'apologo è circostanziato: la società civile ha come
contenuto la proprietà della terra cosi esaltata dai
fisiocratici e come via di costituzione la recinzione,
di cui conosciamo l'importanza per la trasformazio-
ne capitalistica in agricoltura. Tuttavia la creazione
della società civile appare non come un dato oggetti-
vo, bensl come una scelta libera e volontaria di uo-
mini degenerati e ingannati. Il tema della mistifica-
zione è correlativo al volontarismo: se la volontà
sviata dalle passioni ha corrotto l'uomo e creato una
società ingiusta, la volontà retta, superata l'emula-
zione e la dipendenza nella volonté générale, potrà
ricostruire una società giusta, rigenerando l'uomo.
La politica, sciolta dai rapporti materiali ( cui pure
si riferisce), acquista connotati morali, quella tona-
lità etica per cui, anche nell'ideologia giacobina, l'e-
mancipazione (borghese) dell'umanità si identifica
con la valorizzazione della virtù; la voce del cuore,
l'evidenza interiore del sentimento e della ragione

" Ib., p. 164 sgg ..

115
non-riflessiva, testimoniano la verità e sollecitano la
rivoluzione giuridico-politica.
Nella ricostruzione ideale del Discorso sono
la vicinanza fra gli uomini e le necessità della vita
associata a trasformare lentamente la naturale com-
passione degli uomini in tenero amore; di qui la gelo-
sia e la discordia. Anche l'esigenza di un reciproca
stima genera invidia e suscita disparità; cominciano
ad apprezzarsi determinate qualità e ciò produce di-
seguaglianza e vizio. La considerazione genera tanto
l'invidia e l'emulazione quanto le convenienze socia-
li, l'ipocrisia, il puntiglio d'onore, l'ingiuria. La
stessa cooperazione nel lavoro suscita impercettibil-
mente la reciproca dipendenza: da quando l'uomo
scopre di aver bisogno del suo prossimo e che è utile
a un singolo avere mezzi di sussistenza eccedenti,
scompare l'eguaglianza, viene introdotta la proprietà
e il lavoro sfruttato. Nelle campagne, ora ben più
fiorenti, «on vit bientot l'esclavage et la misére ger-
mer et croitre avec les moissons» 32 • Il ferro e il grano
hanno perduto l'uomo: essi simboleggiano la pri-
ma, elementare divisione sociale del lavoro, tanto
fra i vari rami prcx.luttivi, scissi dall'immediato
lavoro di riproduzione dei mezzi di sussistenza, quan-
to fra proprietari e salariati dipendenti. La ripartizio-
ne ineguale delle terre discende inevitabilmente dalla
loro cultura sistematica e in origine la proprietà san-

ll[b,p.171.

116
zione il possesso collegato al lavoro (Rousseau segue
qui fedelmente Locke). Tuttavia questo tipo di di-
ritto differisce dalla legge originaria di natura.
L'eguaglianza avrebbe potuto mantenersi in
astratto, ma la diversità dei talenti naturali ingene-
ra ben presto squilibri fra i vari rami produttivi e
fra i vari lavoratori-proprietari, e questi squilibri
con il tempo si consolidano e si combinano in modo
da cancellare completamente la primitiva eguaglian-
za.
Il nuovo stato di cose in cui gli uomini ven-
gono a trovarsi è il rovescio dell'innocenza primor-
diale. Tutte le facoltà umane sono sviluppate, spe-
cialmente la memoria e l'immaginazione (che sosti-
tuiscono il timore e la rillessione alla spontaneità
del pensare), l'interesse e l'amor proprio 13 ; il meri-
to è cristallizzato nel rango e l'individuo serrato in
una rete di bisogni artificiali e di dipendenze nei con-
fronti della natura e dei propri simili 34 , cosl da ricer-
care incessantemente l'approvazione degli altri e da
captare la loro benevolenza facendo appello agli in-

lJ Cfr. anche la nota XV (lb. pp. 219-20), dove si distingue fra

amour de soi-méme e amour propre, due passioni ben diverse di


natura e di effetti. Il primo è l'istinto di conservazione che,
diretto nell'uomo dalla ragione e modificato dalla pietà, produce
l'umanità e la virtù; il secondo è un sentimento relativo, fittizio,
nato nella società, fonte dell'onore e di tutti i mali che gli uomini
si fanno reciprocamente. L'amor proprio non esiste nell'uomo primi-
tivo, tutto volto su se stesso e indifferente al giudizio degli altri;
egli può ucciderne un altro, ma non pensare di offenderlo.
" Ib., p. 174 sgg.

117
teressi ego1st1c1, all'intimidazione o alla lusinga.
«Concurrence et rivalité d'une part, de l'autre opposi-
tion d'intérèt, et toujours le desir caché de faire son
profìt aux depends d'autrui» - questi mali sono il
corteggio inseparabile della nascente diseguaglian-
za, i primi effetti della proprietà.
Una volta esaurito il territorio coltivabile gli
uomini non possono più arricchirsi che a spese gli
uni degli altri e coloro che risultano in soprannu-
mero sono costretti a servire gli altri, favorendo
cosl più in generale lo stabilirsi di rapporti di so-
praffazione e dipendenza. I ricchi, una volta impa-
rato il gusto di dominare sui propri dipendenti, si
servono di essi per sottomettere altri uomini, «sem-
blables à ces loups affamés qui ayant une fois goùté
de la chair humaine rebutent toute autre nourriture,
et ne veulent plus que dévorer des hommes».
La fondazione psicologico-volontaristica riappa-
re nel passaggio dallo stato di guerra all'organizza-
zione sociale ingiusta. Essa si articola in un discorso
ipotetico, che è ovviamente non un evento storico,
bensl un evento regolativo, un anticipato als ab, che
riassume la dialettica di timore e inganno. L'usurpa-
zione dei ricchi esige una legittimazione, richiede un
consenso istituzionale che la garantisca da rappresa-
glie e minacce; lo stato legale, la pacifìcazione è cri-
stallizzazione dei privilegi e giustificazione del dirit-
to del più forte. L'oppressore, per non essere op-
presso, fa appello agli oppressi li trascina al suo ser-
vizio con l'inganno: propone loro un sistema di leg-

118
gi egualmente vincolanti che dovrebbe garantire sia
i ricchi che i poveri, sia i forti che i deboli, con la
creazione di un potere supremo tutelare, lo Stato.
La stanchezza della guerra e l'inganno funzionano,
gli uomini si affettano a sacrificare la propria libertà
in cambio della sicurezza e di vaghe illusioni. La so-
cietà e le leggi danno nuovi catene al povero e nuo-
ve forze al ricco, distruggono irreversibilmente la
libertà naturale e rendono irrevocabile e ,legale l'astu-
ta usurpazione originaria, assoggettando il genere
umano al lavoro, alla servitù, alla miseria. La prima
società rende necessarie le altre, le barriere nazionali
sono appena temperate dalle esigenze del com-
mercio.
II povero, per l'esattezza, diventa debole sol-
tanto quando ha accettato di non servirsi più della
propria libertà per ribellarsi alle usurpazioni del ric-
co. La sottomissione alle leggi è un puro danno per i
poveri e un vantaggio unilaterale per i ricchi. Nella
società moderna le distinzioni politiche, cioè la san-
zione giuridica del potere del ricco, ingenerano anche
le distinzioni civili. Rousseau ha di mira la società
aristocratica, con le sue diversità di ceto, anche se si
rende ben conto che l'intera articolazione sociale si
riassume in quella della ricchezza: alla fine tutto si
misura con il denaro, mezzo universale di comunica-
2Jione e raffronto 35 • Si è cominciato con le distinzioni

" Ib., p. 189.

119
per il merito personale, si finisce con l'uomo che va-
le per quanto possiede.
Se Rousseau sembra di un balzo accedere a una
visione oggettiva dell'accumulazione capitalistica e
delle funzioni statuali, subito dopo si ripiomba nel-
l'ipotesi psicologico-volontaristica: i ricchi sono di-
venuti tali e vogliono restare tali perché stimano
ciò che possiedono soltanto a patto che ne siano
esclusi gli altri. Ricchezza e miseria sono non sol-
tanto poli stabili, ripartizioni di un prodotto sta-
zionario ( sul modello della terra completamente ri-
partita), ma sono anche sentimenti correlativi. Il
povero è tale in confronto al ricco, e viceversa. E' la
malvagia emulazione a creare l'opposizione delle
fortune. Così che, quando con l'assolutismo la dise-
guaglianza tocca il culmine, tutti sono ridotti in
schiavitù e aspirano alla rivolta.
Questa rivolta non è la rivoluzione socialista
del proletariato, prodotto e vittima dell'accumula-
zione capitalistica, ma la rivoluzione concorde del
terzo stato, che intende rovesciare le diseguaglianze
civili feudali, l'oppressione assolutistico-monarchica,
le più stridenti diversità di reddito e che vuole ri-
stabilire un secondo stato di natura, mediato da un
ritorno allo stato di guerra (la sommossa, che è un
atto perfettamente giuridico, inverso e simmetrico
a quello che ha fondato la società civile e che co-
stantemente serve a mantenerla). Rousseau preco-
nizza la rivoluzione borghese radicale ( come sarà
realizzata dai giacobini durante il terrore) e l'instau-

120
razione di una società fondata sulla legittima dise-
guaglianza dei meri ti nell'eguaglianza della legge 36 •
Infatti, già in apertura del Discorso, il cittadi-
no di Ginevra aveva distinto la diseguaglianza mo-
rale o politica da quella naturale o fisica ( cioè la dif-
ferenza delle qualità del corpo e dello spirito). La
diseguaglianza morale, autorizzata dal diritto posi-
tivo, è contraria al diritto naturale «toutes les fois
qu'elle ne concourt pas en meme proportion avec
l'inégalité Physique» (e quindi è contro natura che
uno sciocco comandi a un uomo savio, che un pugno
di uomini sia straricco mentre la moltitudine affa-
mata manca del necessario).
E' vero, quindi, che Rousseau demistifica l'in-
ganno contenuto nelle leggi vigenti sotto la loro ap-
parente imparzialità - esse non sono altro, dirà inci-
sivamente in un frammento r,' che «l'art de mettre
le grand et le riche à l'abri des justes représailles
du pauvre» -, è vero che condanna anche quella
società civile che è alla base non soltanto dell' ancien
régime ma anche del futuro sistema borghese 38 , tut-
tavia lo sbocco di questa critica, coerentemente ai
suoi presupposti sentimentali e volontaristici, è l'in-
staurazione di un sistema di leggi giuste, che garan-
tiscono adeguatamente le diversità di merito e un
modo di produzione fondato sulla proprietà privata,
seppure limitata e stagnante. C'è una diversità fra

,. Ib., pp. 193-4; cfr. p. 131.


" Ib., p. 4%.

121
l'ideale russoiano (e l'utopia giacobina) da un lato,
la reale società borghese dall'altro, e c'è quindi una
risonanza dell'affiato rivoluzionario del Discorso che
va al di là della fondazione dello Stato di diritto.
Come negarlo? Come non amare Rousseau? Ma non
al punto da chiudere gli occhi davanti a una realtà
oggettiva che travalica le intenzioni soggettive di
Jean-Jacques e dei suoi seguaci rivoluzionari. In
effetti il modello russoiano va al di là delle società
borghesi concrete, esso è un modello regolativo,
ideale, che supera le sue immediate articolazioni e,
tanto più, i mediocri compromessi di una borghesia
pavida e retrocedente davanti alle contraddizioni
sociali e alle lotte rivendicative operaie.
Il modello russoiano è quello di una società
borghese regolata democraticamente dalla legge e
fondata su una scala meritocratica. E' il riconosci-
mento civile dell'insopprimibile diversità delle atti-
tudini, dell'unicità della persona umana, dell'evi-
denza irripetibile del sentimento. Una società in cui
la legge garantisca a ognuno eguali opportunità e
rispetto del talento personale. Le diversità non
vanno apprezzate di per sé (l'evidenza e l'unicità
del sentimento è al di qua di ogni possibile giudizio),
ma in relazione ai servizi oggettivi. La diseguaglian-
za naturale, di per sé invalutabile, si traduce in dise-
guaglianza di prestazioni, queste sl valutabili e re-
munerabili. Ognuno riceve cosl secondo i propri
meriti, secondo il proprio lavoro (ma in una società
dove continua a esistere la proprietà privata). «Les
122
rangs des Citoyens doivent etre clone réglés, non
sur leur mérite personnel, ce qui seroit laisser au
Magistrat le moyen de faire une application presque
arbitraire de la Loi, mais sur les services réels qu'ils
rendent à l'Etat et qui sont susceptibles d'une esti-
mation plus exacte» 38 •
Non solo, quindi, lo schema non prelude affat-
to a una società di tipo comunista, ma neppure a
un'ipotesi di società socialista ( dittatura del prole-
tariato), fondata sul principio «a ciascuno secondo
il proprio lavoro» 39 • Siamo piuttosto in presenza,
come si vedrà più dettagliatamente anche in seguito,
a un progetto di «società aperta», molto moderna,

" Nota XIX al II Discorso (ib., p. 223, dove si invoca la giu-


stizia distributiva contro l'égalité rigoureuse de l'Etat de Nature.
39
DELLA VOLPE, come è noto, ha sostenuto la contrapposizione
fra egualitarismo livellatore alla Babeuf ed egualitarismo russoiano,
che tien conto delle difierenze tra individuo e individuo, anticipando
la problematica della marxiana Critica del Programma di Gotha
(Rousseau e Marx, Roma 1962, pp. 15-6, p. 77 sgg.). CoLLETTI
(Ideologia e società, p. 255 sgg.) sostiene che, mentre Rousseau
punta sulla necessità del riconoscimento sociale dei meriti dell'indi-
viduo, Marx, al contrario, fa appello al riconoscimento sociale dei
suoi bisogni. Rousseau, quindi, prende atto delle differenze sociali
per convalidarle, Marx per sopprimerne gli svantaggi. Il punto di
vista corretto per criticare l'utopia meritocratica è quello della Ri-
voluzione Culturale cinese, cioè dello sviluppo della lotta di classe
sotto la dittatura del proletariato contro il rinascere continuo delle
distinzioni di rango anche dopo la socializzazione dei m=i di pro-
duzione - distinzioni che ovviamente si fondano sull'istanza di rico-
noscimento del «merito» e del «talento» e deprecano qualsiasi «li-
vellamento». Ciò non toglie che l'utopia russoiana fosse progres-
siva rispetto non solo alla società aristocratica, ma anche a molte
concrete società borghesi.

123
malgrado un certo arcaismo economico, ma assolu-
tamente di tipo non socialista, strutturata intorno
alla proprietà e governata dalla dittatura della legge
come metafora della dittatura della borghesia rivolu-
zionaria. Il miraggio di un' «equa» ripartizione delle
terre e di un «giusto» sistema di ricompense pro-
porzionali al merito conserva tutto il suo valore
dirompente nei confronti dei privilegi aristocratici
e dell'egoismo pratico borghese - di quella borghe-
sia che si limitava ad accumulare ricchezza, rinun-
ciando alla trasformazione rivoluzionaria delle isti-
tuzioni, degli honnetes hommes, insomma - ma evi-
dentemente non si può pensare a qualcosa che era
completamente fuori dell'orizzonte mentale di Rous-
seau e delle tendenze politico-sociali del tempo.
Rousseau batte il compromesso riformistico fra
aristocrazia e borghesia arretrata, ma soltanto a fa-
vore del radicalismo borghese; condanna la cultura
feudale e quella addomesticata dell'illuminismo mo-
derato «> per proporre una rivoluzione culturale bor-
ghese, fondata sul volontarismo e la virtù, e le cui
articolazioni concrete ritroveremo nell'Emilio e nel
Contratto sociale.
Ma è bene, a questo punto, seguire l'evoluzione
del pensiero russoiano negli anni fra il 175 4 e la
stesura di queste altre due opere.

"' Per una denuncia dettagliata, seppure astiosa, dell'opportu-


nismo degli illuministi, dr. le citate Illusioni del progresso di
SOREL, che raffronta il riformismo del 700 a quello socialdemo-
cratico.

124
5. La critica della società civile

Lo sviluppo logico del paradosso dei due Di-


scorsi è la critica della società civile e dell'ideologia
corrente. Coerentemente ai presupposti critica e pro-
getto si configurano come istanza morale tanto
per scardinare radicalmente e con adeguata efficacia
propagandistica il modello consensualmente accet-
tato da classe dominante e philosophes, quanto per
fondare un nuovo modello che estenda e generalizzi,
nella legge, l'interiorità dell'uomo astratto, la volon-
tà buona e la moralità assoluta del borghese rivolu-
zionario.
La voce «economia politica» dell' Enciclo pe-
41
dia ribalta lo schema fisiocratico dello sviluppo
economico e civile. O meglio, se la categoria di pro-
prietà è tutt'altro che respinta, anzi solennemente
dichiarata «vrai fondement de la société civile, et le
vrai garant des engagemens des citoyens», se il di-
ritto di proprietà è «le plus sacré de tous les droits
des citoyens, et plus important à certains égards que
la liberté meme» "2, d'altra parte è invertito l'ordine
di priorità fra legge naturale economica e legge posi-

" Per il testo dr. O. C., III, p. 241 sgg.; per il commento
di R. DERATHÉ, p. LXXII sgg.
" Ib., p. 263; dr. pp. 269-70, dove si ricorda a ogni buon
conto che «le fondement du pacte socia! est la propriété, et sa
premiere condition, que chacun soit maintenu dans la paisible
jouissance de ce qui lui appartient,. - ciò che rimanda direttamente al
par. 134 del cap. XI del lockiano Saggio sul governo civile.

12,
tiva politica. Le esigenze dello Stato e un fisco ispi-
rato alla giustizia distributiva comandano l'econo-
mia politica; l'obbiettivo non è lo sviluppo della pro-
duzione ma l'equilibrio delle condizioni; il nemico
non è la stagnazione economica ma il lusso. Tutto
il tono del saggio è arcaicizzante, filo-agricolo e anti-
commerciale; Rousseau affronta invero il tema «non
en économiste ... mais en moraliste soucieux avant
tout de prévenir les maux et les vices qui naissent
de l'abondance, le luxe et l'inégalité» 43 •
Tuttavia occorre una qualificazione più esatta
e pertinente delle intenzioni di Rousseau, la cui
preoccupazione essenziale è precisamente la rottura
delle diseguaglianze della società aristocratica. C'è
un lungo, esemplare passaggio a tal proposito, che
svela l'obbiettivo reale del discorso: non la crescita
economica ma una crescita civile che passa, innanzi
tutto, per l'eliminazione delle storture sociali, di quel
tipo di ingiustizie che era l'eredità del feudalesimo.
L'elemento decisivo per un buon ordinamento - af-
ferma Rousseau - è quello di vedere chi ne trae
vantaggio, se la collettività o i soli ricchi. «Tous les
avantages de la société ne sont-ils pas pour les
puissans et les riches? tous les emplois lucratifs ne
sont-ils pas remplis par eux-seuls? toutes les graces,
toutes les exemptions ne leur sont-elles pas réser-
vées? et l'autorité publique n'est-elle pas toute en

0
Come osserva lliRATHÉ, O. C., III, p. LXXX.

126
leur faveur?». Un ricco può commettere dei reati,
e non è molestato o è solo blandamente ammonito.
Se vuole essere protetto, tutta la forza dello Stato è
a sua disposizione. E il bello è che ciò è completa-
mente gratuito: i favori «sont le droit de l'homme
riche, et non le prix de la richesse». Ben diverso è
il quadro della vita del povero: «plus l'humanité
lui doit, plus la société lui refuse: toutes les partes
lui sont fermées, meme quand il a droit de les faire
ouvrir». E si esemplifica: corvées arbitrarie, fiscalità
esosa, devastazione dei campi e delle ricchezze da
parte dei prepotenti, mancanza di assistenza, perse-
cuzioni se ha la sventura di avere donne che piac-
ciono a un potente vicino ... Un quadro tipicamen-
te ancien régime, pur se la fraseologia e la passione
che l'anima resta tuttora applicabile in situazio-
ni diverse, nelle aree sottosviluppate, ma anche in
tante occasioni della vita quotidiana. Sarebbe però
banale parlare di «attualità» di Rousseau: il suo
affiato umanitario ha un senso politico preciso, cioè
costituisce una critica feroce della società aristocra-
tica del suo tempo, la cui risonanza generica con-
tinua a valere dovunque, in qualsiasi forma, perduri
un'oppressione di classe. La conclusione dell'argo-
mentazione verte infatti sul patto sociale «iniquo»
che già conosciamo; le parole del ricco alludono sia
alla costituzione della società civile che allo stabilirsi
del rapporto salariale, coinvolti nella stessa condan-
na cosl come erano stati associati nella stessa esal-
tazione da Turgot e dai fisiocratici. «Vous avez

127
besoin de moi, car je suis riche et vous etes pauvre;
faisons clone un accord entre nous: je permettrai que
vous ayez l'honneur de me servir, à condition que
vous me donnerez le peu qui vous reste, pour la
peine que je prendrai de vous commander» 44 •
La correzione di questo stato di cose è possibile
proprio perché il diritto di proprietà non è anteriore
ala società, ma procede da essa, quindi è suscetti-
bile di organizzazione legislativa, con il fine di pre-
venire l'estrema diseguaglianza delle fortune, la
concentrazione delle terre, l'urbanesimo, l'ipertrofia
del commercio e dell'industria.
Come per tutti gli altri aspetti, anche il restri-
zionismo economico è in diretta opposizione alla
dottrina fisiocratica, esposta sull'Enciclopedia negli
articoli Fermiers e Grains di Quesnay; è un tema
che ritornerà anche in seguito, per esempio nel pro-
getto di costituzione per la Corsica 45 • D'altra parte

" Ib., pp. 271-3. Il passaggio conclusivo è richiamato, con una


lieve modifica per applicarlo al rapporto di lavoro salariato, da
K. MARX in una nota del XXX capitolo del primo libro del Capitale.
" Cfr. O. C., III, p. 901 sgg.; per le circostanze del lavoro
v. l'introduzione di S. STELLING-MICHAUD, ib., p. CXCIX sgg. In questo
testo spicca l'esaltazione dell'agricoltura come mcxlo di vita più
«umano» e base materiale dell'indipendenza, l'identificazione della
democrazia con la diffusione omogenea sul territorio di piccole co-
munità autosufficienti ed egualitarie; in contrapposizione vengono
condannate le città, il commercio, il oonsumo opulento. In conclu-
sione, Rousseau non vuole bandire la proprietà «parce que cela est
impossible», ma solo contenerla, «la renferrner dans !es plus étroites
bornes», subordinarla al bene pubblico - ciò che, fra l'altro, comporta
la pratica soppressione del denaro, la sostituzione delle imposte con

128
la categoria di proprietà è mantenuta, precisamente
come categoria sociale, inerente al patto di associa-
zione; occorre trovare una mediazione fra il livella-
mento e la mediocrità delle proprietà e il diritto di
proprietà in quanto tale 46 , e tale mediazione è possi-
bile soltanto nel quadro dell'esplicazione della vo-
lontà generale, entro uno Stato sociale, che prov-
veda a correggere politicamente l'egoismo cieco de-
gli uomini. Si rimanda cioè a una rivoluzione che
è insieme politica e morale: politica, perché non
investe sino in fondo le radici della proprietà, mo-
rale, perché fa appello al cuore dell'individuo, senza
socializzarlo realmente, perché investe idee e senti-
menti, senza scardinare il fondamento materiale del-
la società, i rapporti di produzione. L'esito bor-
ghese-spiritualistico sta in fondo al travaglio e alle
incertezze di questa impostazione pur polemica con-
tro l'ordine e l'ideologia costituiti.
Ben più penetrante e coerente è l'attacco che

presta.z10m m natura. Il potere civile è esercitato secondo due pos-


sibili modalità: una legittima, mediante l'autorità legalmente costi-
tuita e operante, l'altra abusiva, mediante le ricchezze. Queste due
forme sono in genere distinte: la prima resta apparente, la seconda
sostanziale; i magistrati sono corrotti e manovrati dai ricchi. Questo
passo (ib., p. 939) denota abbastanza chiaramente la contrapposi-
zione fra la volontà generale e i privilegi costituiti - contrapposizione
peraltro del tutto volontaristica, non essendo eliminata la base mate-
riale e giuridica dell'egoismo.
46
Su tutta la questione della proprietà e della ricchezza in
Rousseau, dr. utilmente R. PouN, Le sens de l'égalité et de
l'inégalité chez J. J. Rousseau, in Etudes, cit., p. 149 sgg.

129
Rousseau muove ai philosophes e agli hormétes
hommes nella prefazione al Narcisse, che egli stesso
nelle Confessioni definisce una delle sue opere mi-
gliori e che è stata fortemente rivalutata e popola-
rizzata nel citato studio del Colletti <1_
Questo testo del 1752, che fa da ponte fra il I
e il II Discorso, esordisce con un attacco diretto,
quasi offensivo, ai tutori ideologici della società
civile: «il n'est ni parent, ni citoyen, ni homme; il
est philosophe». E dall'esponente consapevole (il
filosofo illuminista, integrato nella sfera dell'appa-
renza, dei salotti aristocratici) si scende anche alla
coscienza media della società civile, quell' honnete
homme che era un po' il simbolo della borghesia
moderata, come ha ben mostrato il Groethuysen, ma
che era rivendicato esplicitamente anche da Voltaire:
«il faut renoncer à la vertu pour devenir un honnete
homme».
Qual è la logica di questo rovesciamento, che
investe tutta la tradizione hobbes-mandevilliana e
i valori correnti dell'ideologia illuministica 48 ? «En
Europe le gouvernement, les loix, les coutumes,

n O. C., II, p. 695 sgg.; per le pagine di CoLLETII, dr. Ideo-


logia e Jocietà, p. 218 sgg.
" Su Voltaire come esponente degli honnéteJ hommeJ leggi le
concise ma ottime osservazioni di G. DELLA VOLPE, RouJJeau e
Marx, cit., pp. 167-8. Per il GROETHUYSEN ci si riferisce alle cit.,
Origini dello Jpirito borgheJe in Francia. Cfr. anche A. ILLUMINATI,
Kant politico, cit., capitoli IV e V, per i rapporti Rousscau-Kant-
Smith.

130
l'intérèt, tout met les particuliers dans la nécéssité
de se tromper mutuellement et sans cesse; tout leur
fait un devoir du vice; il faut qu'ils soient méchants
pour ètre sages», mentre presso i selvaggi «ce mot
de propriété qui coùte tant de crimes à nos honnètes
gens» (altro colpo!) «n'a presque aucun sens parmi
eux ... l'estime publique est le seu1 bien auquel
chacun aspire» (come, del resto, nella polis classica).
«Plus les hommes commercent ensemble, plus ils
admirent leurs talens et leur industrie, plus ils se
friponnent décemment et adroitement, et plus ils
sont dignes de mépris». Gli scrittori esaltano tutti
gli stimoli e i meccanismi che stringono i nodi della
società mediante l'interesse personale, che «mettent
tout dans une dépendence mutuelle, leur donnant
des besoins réciproques ... et obligent chacun d'eux
de concourir au bonheur des autres pour pouvoir
faire le sien». Questa tesi, che aveva avuto i suoi
rappresentanti più noti in Diderot ( «le monde est
la maison du fort» ), Mercier, Mirabeau, è impugnata
e capovolta con asprezza: gli uomini sono messi nel-
l'impossibilità di vivere senza ingannarsi, tradirsi e
distruggersi reciprocamente. La concorrenza non è
altro che lotta animale, giungla aggravata dalla per-
fidia. Come si dirà nella prima redazione del Con-
tratto sociale, «le bonheur de l'un fait le malheur
de l'autre» 4'} •

.. O. C., III, p. 283. Di qui l'inevitabile stato di guerra che


non è, come voleva Hobbes, inerente allo stato di natura, bensì

131
Il grande mito dell'homo novus borghese - il
selvaggio e lo stato di natura - riappare qui nella sua
forma più esasperatamente paradossale: il rivolu-
zionario borghese si ritrae davanti alla logica della
società che contribuisce a instaurare, sogna che un
giorno sarà superata da un'umanità socializzata per
spontanea comunicazione delle virtù individuali sot-
to una legge giusta, ma vittima di questa contraddi-
zione ripiega romanticamente sul cuore. L'uomo
- conclude la prefazione del Narcisse ed è conclu-
sione ben illuminante sulle modalità della criti-
ca della società civile, sulla sua inflessione etico-spi-
ritualistica - è nato per agire e pensare, non per ri-
flettere, perché la riflessione non serve che a ren-
derlo infelice, senza renderlo migliore o più saggio.
Due aspetti colpiscono in queste pagine, che
pure sono le più avanzate e dure che Rousseau ab-
bia concepito contro la psicologia «acquisitiva» del
borghese. Il primo, come abbiamo rilevato, è di or-
dine psicologico-morale: il rifiuto della società bor-
ghese e della sua oscurità coincide con il rifiuto della
divisione del lavoro e del pensiero analitico, con un
appello al sentimento dell'uomo indiviso, al cuore e
alla virtù, unici sollievi all'infelicità del civilizzato,

proprio alla società civile, al dispiegamento degli egoismi e degli


antagonismi. Nella società civile gli uomini «se rapprochent entre
eux parce que tous s'éloignent (du bien général)»; cfr. anche il
commentario a B. de Saint-Pierre, ib., p. 601 sgg. Sul raffronto
con la kantiana ungesellige Geselligkeit vedi CclLLEITI, Ideologia
e società, cit., p. 235.

132
unici momenti di trasparenza reciproca delle anime.
Siamo qui davanti all'individuo astratto, pre-sociale,
al soggetto ideale del contratto sociale presentato
autobiografìcamente, nella sua solitudine esistenziale
e nella sua ebbrezza vitalistica.
Il secondo aspetto, di natura più sociologica,
è la concentrazione della critica sulla categoria degli
honnetes hommes e dei philosophes che li rappre-
sentano intellettualmente e li giustificano. L' honnete
homme non è il borghese puro e semplice, ma il bor-
ghese rallié alla società aristocratica, il nobile di to-
ga, il grande proprietario fondiario, il burocrate, il
commerciante protetto dallo Stato, il finanziere, l'in-
tellettuale integrato, il benpensante e l'uomo d'or-
dine - tutti coloro che sacrificano al proprio meschi-
no benessere i diritti e i sentimenti dell'umanità.
L'unica forma di profitto che Rousseau conosca espli-
citamente è quella teorizzata dai mercantilisti - profit
upon alienation, e quindi a spese del prossimo. Re-
spingendo questa teoria e respingendo i ceti bor-
ghesi inseriti nella società mercantilistica, o meglio
nel faticoso districarsi della società civile borghese
dalle strutture mercantilistiche che ne avevano un
tempo assicurato il decollo, Rousseau appoggia di
fatto un altro tipo di borghesia, il terzo stato rivo-
luzionario deciso a spazzare via tutte le vecchie bar-
dature feudali e mercantilistiche per instaurare il
proprio potere. La reiezione del moderatismo poli-
tico della borghesia arretrata si fa sostegno della
borghesia avanzata attraverso il radicalismo politico,

133
al paternalismo aristocratico si contrappone il senti-
mentalismo e la virtuosa intransigenza, l'elogio della
piccola proprietà è ideologicamente una giustifìca-
zione dell'autentico spirito della proprietà borghese
quanto la riforma agraria del 1789-94 è la base
dello sviluppo capitalistico della Francia nel secolo
XIX. Tutti i bastioni dell'ancien régime sono battuti
in breccia: dalla politica di gabinetto e dalle guerre
dinastiche 50 al :fiscalismo iniquo e ai diritti feudali
sopravviventi, dalla rudimentale legislazione ( una
«ragnatela» che acchiappa i poveri e lascia passare
i ricchi) al lusso e alla dissipazione. Ogni smaccata
diseguaglianza e ogni forma di consumo cospicuo
sono fustigati, la proprietà è giudicata nefasta, ma
ormai per l'uomo civilizzato la proprietà (giusta),
regolata dalle leggi, si associa inesorabilmente alla
virtù. La critica sentimentale della diseguaglianza va
a parare nella ricostruzione positiva di una società
modellata sulle esigenze dell'individuo. Il sentimento
si converte dialetticamente nel rispetto della legge -
ed è questa straordinaria osmosi di razionalismo e
spiritualismo che esammeremo nel prossimo
paragrafo.

"' Vedi soprattutto, nel commentario a Saint-Pierre, lo Jugement


sur le projet de paix perpétuelle, O. C., III, p. 591 sgg., con il
caratteristico timore finale per i mezzi rivoluzionari che dovrebbero
assicurare la sostituzione del federalismo borghese alle guerre di-
nastiche.

134
6. La libertà civile come ricostruzione della società

Osserva il Groethuysen 51 come occorra un'edu-


cazione puramente negativa per mantenere l'uomo
nella sua naturale bontà impedendo al male di cor-
romperlo. Tuttavia ciò può riuscire soltanto isolan-
do artificialmente il bambino dalla società reale. In
verità è impossibile ristabilire lo stato di natura,
l'innocenza e l'eguaglianza primitiva. Il problema
effettivo è quello di trasformare le istituzioni sociali
per garantire una vita comunitaria liberata dalle
miserie della presente società civile. L'educazione
privata si affianca, ma non sostituisce la metamor-
fosi politica, che è la vera soluzione.
Il male attuale si manifesta nella dipendenza
reciproca degli uni dagli altri, dipendenza di potere
e di bisogni artificiali. Ognuno conduce un'esistenza
in funzione degli altri, dell'apparenza, quindi contro
natura. L'unico modo per mantenere la comunità
sociale e la libertà dei suoi membri è quello di so-
stituire alla volontà dell'uomo la volontà imperso-
nale della legge. Sottratti alla dipendenza reciproca
e al capriccio arbitrario, gli uomini si assoggettano
liberamente alla legge che, nella sua fermezza e ri-
gorosità ha l'oggettività delle leggi della natura. La
società regolata dalla legge è in pratica un ritrovato

" Nella citata Philosophie de la Révolution française, p. 185 sgg.


che d'ora innanzi parafrasiamo largamente, con citazione letterali di
passaggi delle pp. 199-202.

135
stato di natura, in cui gli uomini dipendono da cose
(prima fenomeni naturali, poi fenomeni giuridico-
morali), non da altri uomini.
Il problema politico consiste allora nel trovare
una forma di governo che metta la legge al di sopra
degli uomini. Dove sola regna la legge, tutti obbedi-
scono e nessuno comanda, il popolo è libero, obbe-
disce ma non serve. Per ottenere questo stato di
cose il popolo stesso deve farsi legislatore, solo la
volontà generale può formulare le leggi, poiché essa
stessa è impersonale e disinteressata, rappresenta
tutti i singoli non come somma di egoismi, ma come
esplicazione dell'istanza di universalità che è nell'in-
teriorità dell'uomo.
Ma il popolo non può piegarsi alla legge per
effetto della violenza; occorre un contratto libera-
mente consentito, ma non del popolo con un estra-
neo, bensì fra tutti i membri del popolo, così che
ogni singolo obbedendo alla legge obbedisca a se
stesso, come frazione omogenea della volontà ge-
nerale.
Scartando il pactum subiectionis a favore del
solo pactum associationis Rousseau recupera l'uni-
versalità e la cogenza dell'assolutismo di Hobbes
52
come attributi della democratica volontà generale ,

" Rispetto alla tradizione giuridica Rousseau compensa la


critica giusnaruralistica (da Erasmo a Grozio) all'esasperazione pro-
testante dei concetti di peccato originario e predestinazione con la
critica hobbesiana, antigiusnaturalistica, che riaffermava la superio-

136
contrapponendosi all'equilibrio lockiano fra indivi-
duo e società e a tutte le formule liberali che ne
derivano, incorrendo nell'ovvia accusa di totalitari-
smo democratico 53 e nell'altrettanto ovvio elogio
di prefìguratore della dittatura dd proletariato 54 •

rità e la cogenza assoluta del sovrano sui singoli membri del corpo
sociale. Se però Rousseau, come Hobbes, svaluta l'innatismo di
Grozio e Locke, i diritti umani preesistenti alla società (e non dd
tutto, peraltro), netta è anche la differenziazione fra il Ginevrino,
fautore della sovranità popolare, e l'apologeta inglese dell'assolutismo.
E questo specificamente sul piano giuridico-politico, a parte l'ovvia
alternatività delle concezioni antropologiche.
Come infatti ha dimostrato Orro VON GrERKE (Giovanni Althu-
sius e lo sviluppo delle teorie politiche giusnaturalistche, Torino
1943, p. 85 sgg.), se Hobbes e Rousseau convergono nel rifiutare
la distinzione dualistica fra pactum societatis (con cui gli uomini si
uniscono per regolare in comune la loro sicurezza e conservazione)
e posteriore pactum subiectionis (con cui trasferiscono il potere
nelle mani del sovrano), l'inglese riassorbe interamente il primo nel
secondo, cosl che il popolo stesso si spoglia di ogni diritto rispetto
al sovrano (persona fisica o giuridica), e il Ginevrino, al contrario,
«con un gesto rivoluzionario• elimina dalla dottrina conrrattualistica
il pactum subiectionis e attribuisce la sovranità esclusivamente al
popolo, degradando l'institution du gouvernement a commission.
Sopprimendo la bilateralità del rapporto società-governo, quest'ultimo
è perennemente subordinato alla volontà della collettività; l'assem-
blea sovrana diviene l'organo di una «rivoluzione permanente».
" La democrazia totalitaria, secondo la tesi dd Talmon, è una
forma appena laicizzata di messianismo politico, macchiato di iper-
razionalismo, perfezionismo, eccetera. In questa notte scura sono
accomunati tutti gli illuministi, ma Rousseau con particolare furore.
E' quasi meglio la concezione crociana delle ideologie come religioni.
" Al Rousseau «anarchico• delle correnti conservatrici, dai
moderati suoi contemporanei agli ideologhi e a Comte, rischia di
affiancarsi un Rousseau in qualche modo anticipatore della democrazia
socialista.

137
L'individuo resta libero, sottomesso comensualmen-
te a un contratto in cui si impegna a non far parte
a sé ma ad obbedire alla legge e quindi a superare
il proprio interesse particolare nell'interesse gene-
rale. Questa nuova libertà è la libertà civile o di
convenzione, che riprcxiuce a un livello molto più
alto la libertà naturale e consente di proiettare la
prima natura dell'uomo su un diverso piano del-
1'esistenza.
Alla libertà e autosufficienza dell'individuo iso-
lato nello stato di natura succede, dopo la degene-
razione della «società civile» ingiusta e oppressiva,

Le conclusioni del pur equilibrato e assai lillportante saggio di


COLLETTI su Rousseau critico della società civile (Ideologia e società,
pp. 250-5) sono, a tal riguardo, alquanto sconcertanti: «Spingiamo
il discorso alle sue estreme conclusioni. La nostra tesi è che la
teoria 'politica' rivoluzionaria, cosl come si è venuta svolgendo dopo
Rousseau, è già tutta prefigurata e contenuta nel Contrai/o sociale;
ovvero, per essere più espliciti, che per quanto concerne la teoria
'politica' in senso stretto, Marx e Lenin non hanno aggiunto nulla
a Rousseau, salvo l'analisi (certo assai importante) delle basi econo-
miche' dell'estinzione dello Stato». Il che, più che sopravalutare
il democraticismo russoiano, sembra suonare riduttivo dell'imposta-
zione marxista-leninista, che ha a suo fondamento uno schema di
dittatura del proletariato qualitativamente eterogeneo (e non solo
per le « basi economiche,.) rispetto ai mcxlelli di potere borghesi.
E basti qui accennare sommariamente alla ricomposizione di politica
ed economia, alla politica al posto di comando (che è qualcosa di
ben diverso dal primato della politica in Rousseau), del ruolo della
lotta di classe prima e dopo la socializzazione dei mezzi di prcxluzione,
della prevalenza di una classe sulle altre, ecc. Tutti aspetti che ren-
dono mar11inalc la somiglianza di talune istituzioni meramente giu-
ridico-politiche.

138
la libertà civile di un'«unità frazionaria», dell'uo-
mo singolo come parte di un tutto sociale sotto-
messo alla legge.
L'uomo di natura era buono spontaneamente,
viveva irriflessivamente la vita dei propri sentimen-
ti; nell'ordine civile deve conquistare un altro tipo
di bontà, deve comportarsi secondo un codice mo-
rale, una religione civile che articola l'affiato cri-
stiano in un «catechismo del cittadino». La felicità
e la virtù del singolo consistono nella coincidenza
con quelle della collettività. Le buone istituzioni
sociali sono quelle che, in qualche modo, «snatura-
no» l'individuo, togliendogli l'esistenza assoluta per
conferirgliene una relativa, socializzandolo. L'uomo
si realizza rendendosi omogeneo alla collettività;
la patria è la verità del cittadino. Crolla l'isolamento
del singolo, la trasparenza è recuperata nel mutuo
rapporto dei cittadini, culminante nella dolce eb-
brezza delle feste civiche, della fraternità degli animi
e nella stima reciproca.
Rousseau ha cosl creato due tipi di uomo, due
modelli ideali. Da un lato, l'uomo di natura, che
vive solo per se stesso e coltiva la propria anima,
dall'altro, l'uomo civile, la cui individualità si fonde
nella comunità e i cui sentimenti sono all'uniscono
con quelli dell'intero popolo. In entrambi i casi
viene respinto il tipo di vita contemporaneo, la so-
cietà degli uomini egoisti, esteriorizzati e concor-
renti.
Il primo tipo di uomo è quello che ritroviamo

139
rientrando in noi stessi, è la perpetua possibilità di
evasione individuale nella solitudine e nella profon-
dità del cuore. E' la via che concretamente sceglie
Rousseau, egli stesso uomo di natura, unica isola di
sincerità nell'oceano della corruzione e della bana-
lità quotidiana.
Il secondo tipo, l'uomo civile, è soltanto un
progetto, per il momento, l'evasione e la fusione
nella collettività, come polo opposto all'interiorità;
l'abbandono integrale alla comunità come essere
morale equivale alla discesa negli abissi dell'io ed
entrambi sono alternativi all'esteriorità della vita
contemporanea, alla sua assenza di autenticità e di
amore.
Queste due soluzioni simmetriche e, come
vedremo poco oltre, complementari - hanno come
duplice risonanza lo spirito rivoluzionario e il sog-
gettivismo romantico, entrambi discendenti, con
diverse sfumature, dal nuovo valore inerente al-
l'uomo in quanto tale. Sociologicamente l'estrania-
zione rispetto alla società aristocratica produce un
avvicinamento al popolo e un'esaltazione della soli-
tudine. Il popolo si configura come un ente mo-
rale parallelo alla vera natura: l'oscillazione fra
questi due sbocchi è l'eredità che Rousseau lascia
alle generazioni successive.
Sul significato oggettivamente rivoluzionario
dell'esaltazione russoiana del valore intrinseco del-
l'anima e del merito Groethuysen ha osservazioni
particolarmente acute e illuminanti. E' proprio l'in-

140
tensità dell'accento che poggia sul «vissuto», sul 0

l'irripetibilità dell'esperienza filtrata direttamente


nella sfera del sentimento, senza previa interpreta-
zione intellettuale, cioè il momento romantico-esi-
stenziale, che viene riportato a significazione
politica.
«Se si considera l'anima come esistente di per
sé e distaccata da ogni relazione con gli uomini e
con le cose, si dà anche un nuovo valore a ciò che
avviene entro l'anima. Trasferendo allora questa
nozione sull'uomo, lo si considera come staccato da
ogni società, come esistente di per sé; egli acquista
cosl un valore intrinseco, un valore indipendente
da ogni società. Non è più la società che determina
il suo valore, secondo il rapporto in cui si trova con
essa, secondo il rango che vi occupa o la funzione
che esercita. Egli porta il suo valore dentro se stes-
so». Agli occhi della società è ministro o artigiano,
ma questa è soltanto un'esistenza apparente. L'au-
tenticità e la singolarità dell'io si contrappongono
alla realtà esistente, la realtà dell'apparenza, del-
l'oscurità, della mistifìcazione. Il valore-uomo viene
a collisione con l'ordine sociale e postula il suo
rovesciamento, per realizzare una società realmente
umana. «L'uomo, cosl come l'ha fatto la natura,
deve restare il dato primo, e il problema consisterà
nel costruire una nuova società, a partire dal valore
che occorre attribuire all'uomo come tale, all'uomo
tout court». Quest'uomo è anche l'uomo comune,
non più il pensatore solitario o il sapiente, ma

141
l'uomo di massa, il cui pensiero e il cui sentimento
sia stato coltivato e che richiede il riconoscimento
del proprio merito, non il privilegio della qualità.
«Si arriva cosl alla nozione di una democrazia fon-
data sulle capacità. Se è l'intelligenza a dover re-
gnare, bisogna cercare là dove essa si trova, e dare
a ciascuno la possibilità di intraprendere tutte le
carriere. Al di là delle differenziazioni dei talenti c'è
però una sostanziale eguaglianza al livello della sen-
sibilità e del sentimento; ogni uomo, quali che siano
le sue attitudini, ha il suo valore, che va ricono-
sciuto in quanto tale. La democrazia russoiana non
ignora le differenze, ma privilegia l'omogeneità sen-
timentale, esalta l'accontentarsi del proprio stato.
In questo gli uomini del popolo hanno meglio con-
servato la naturalezza originaria: la democrazia, per-
tanto, deve basarsi sul valore che rappresenta l'uo-
mo semplice, l'uomo naturale, cosl come lo si ritro-
va ancora nel popolo».
Questa ricostruzione del pensiero politico rus-
soiano operata dal Groethuysen ha il merito di sot-
tolineare fortemente il momento spiritualistico e ro-
mantico del ginevrino, il suo legame organico con
la prospettiva meritocratico-populistica delle pro-
poste politiche.
Enfatizzazione del sentimento e del merito,
esaltazione del common man, ideologia della legge
eguale sono tre aspetti inscindibili della stessa im-
postazione, che è poi quella dell'emancipazione bor-
ghese dell'uomo. All'uomo di qualità dell'ancien

142
regime si contrappone il borghese senza qualità,
l'uomo comune e per certi aspetti - Groethuysen ha
ragione anche l'uomo di massa 55 • Insomma, il
borghese (non l'honnéte homme, ma il borghese
rivoluzionario). Il miracolo (ma anche il paradosso)
di Rousseau è quello di mantenere l'uomo di natura
entro l'uomo civile, la singolarità dell'anima ( «parte
maggiore del tutto», secondo la classica ripresa del
misticismo platonico - agostiniano) entro l'imperso-
nalità della legge. L'uomo comune, il protagonista
della libertà civile, è il borghese che sintetizza na-
tura e comunità, o meglio presenta come equilibrio

" Quando DELLA VOLPE contrappone all'uomo comune (borghese)


l'uomo di massa o sociale per eccellenza, cioè il proletario (Rousseau
e Marx, cit., p. 22), coglie a fondo il limite piccolo e medio
borghese del progetto russoiano di emancipazione e lo riconduce
al segno storicamente concreto di classe della sua concezione dell'in-
dividuo-valore o persona (con tutto il relativo sfondo platonico-
cristiano). Tuttavia va detto che anche la definizione di uomo di
massa per il proletario è ambigua. II proletariato non è «popolo»
loul courl, ma una classe determinata che riaggrega intorno a sé
la grande maggioranza del popolo. Al livello generico di «massa»
o di «popolo», anche il borghese può tentare una direzione populi-
stica e autoproclamarsi in una buona fede rappresentante del «po-
polo». In tal senso Groethuysen coglie bene la potenzialità «popo-
lare,. dell'uomo comune russoiano, come si è definito storicamente
nelle masse giacobine degli anni del Terrore. Malgrado le molte
affinità i sanculotti non sono il proletariato rivoluzionario, e simil-
mente il popolo russoiano non è il popolo, per esempio, di cui
si parla nei documenti del PC cinese. II che, peraltro, vuol dire
che il proletario non è semplicemente l'uomo di massa. Altrimenti
si rischia di riscoprire la vicinanza di Rousseau al socialismo, una
volta eliminati «alcuni» aspetti della sua dottrina politica.

143
drammatico la polarità di soggettività e oggettività,
di irrazionalità e impersonalità.
Qual è l'itinerario reale di Rousseau, al di sot-
to di questa superficie variegata di virtù repubbli-
cane e romantica sensibilità? Come si risolve il pro-
blema interpretativo i cui dati sono stati pur cor-
rettamente esposti sia dal Groethuysen che dallo
Starobinski?

7. L'anima e la legge

I punti essenziali per lo svolgimento del pen-


siero di Rousseau sono tre: l'interiorità dell'uomo e
l'assolutezza della sua singolarità (insomma, la rie-
dizione laicizzata dell'anima platonico-cristiana), l'og-
gettività della legge come forma di convivenza civile,
la sussunzione della singolarità dell'individuo nella
legge come trasfigurazione dell'esistenza morale.
L'accento posto da Rousseau sull'individuo è
vistoso e storicamente ben accertato; in esso trove-
rà giustificazione l'attivismo romantico ma anche la
libera iniziativa economica capitalistica. L'eguaglian-
za degli individui è concepita in funzione della liber-
tà, cioè del pieno dispiegamento dei meriti, dei ta-
lenti, dell'ineffabile particolarità sentimentale del
singolo - il quale è concepito come persona pre-socia-
le, persona originaria, «principio e fine di quell'ego-
tismo ch'è l'amore umanitario (in quanto laicizzazio-
ne tipica della caritas )» 56 • L'uomo naturale resta alla

144
base di tutto il discorso, e quest'uomo naturale è in
realtà il borghese in tutto il vigore della sua lotta
per l'emancipazione politica e la valorizzazione in-
tellettuale e sentimentale. Ciò che è interno all'in-
dividuo è il vero valore, l'esteriorità è disvalore -
un tema che a Kant riprenderà, selezionando il mo-
mento etico-legale rispetto alla carica passionale e
rivoluzionaria di Rousseau.
La legge è il pronunciamento della volontà gene-
rale su una materia generale (Contra! socia!, Il, 6),
è la considerazione delle azioni e dei soggetti in mo-
do astratto, cosi da unire l'universalità delle volontà
particolari. In tale maniera il singolo non obbedisce
a un altro singolo, ma a un dettato impersonale,
che, a sua volta, non si applica ai singoli casi, ciò
che potrebbe generare ingiustizie, ma a tutti i casi
in generale.
L'uomo naturale si ritrova, teoricamente, nella
legge, perché all'astrattezza sostanziale della sua
posizione corrisponde equamente l'astrattezza della
legge. La doppia universalità di natura e di legge si
rivela un reciproco rinvio: l'assolutezza della legge
di natura viene imprestata alla legge civile ( con lo
stesso suggello deistico), il legalismo umano viene
proiettato all'indietro nella descrizione dello sta-
to di natura. Alla bontà dell'uomo naturale corri-
sponde quella della legge.

,. Cfr. Rousseau e Marx, cit., pp. 21-22.

14.5
Ma la conversione dello stato di natura nel
giusto stato civile non è affatto automatica: non
solo essa passa attraverso tutto il travaglio dolo-
roso descritto nel Discorso sull'ineguaglianza, ma
richiede una radicale trasformazione di tutto l'es-
sere dell'uomo, la sua rifusione su un piano comple-
tamente diverso da quello dell'ordinaria sociabilità
(cioè della convivenza ingiusta dell' ancien régime ).
E qui viene il passo famoso, a proposito del quale
Marx ha espresso il suo isolato ma importantissimo
giudizio su Rousseau o1_ Recita dunque il 7° capitolo
del II libro del Contra! socia!, a proposito della
funzione del legislatore: «Celui qui ose entrepren-
dre d'instituer un peuple doit se sentir en état de
changer, pour ainsi dire, la nature humaine; de tran-
sformer chaque individu, qui par lui-meme est un
tout parfait et solitaire, en pa.rtie d'un plus grand
tout dont cet individu reçoive en quelque sort sa
vie et son etre; d'altérer la constitution de l'hom-
me pour la renforcer; de substituer une existence
partielle et morale à l'existence physique et indé-
pendente que nous avons tous reçue de la nature.
Il faut, en un mot, qu'il ote à l'homme ses forces
propres pour lui en donner qui lui soient étrange-
res et don t il ne puisse faire usage sans le secours
d'autrui. Plus ces forces naturelles sont mortes et
anéanties, plus les acquises sont grandes et durables,

" Or. K. MARX, Un carteggio del 1843 e altri scritti giovanili,


Roma 1954, p. 76.

146
plus aussi l'institution es solide et parfaite: En sor-
te que si chaque Citoyen n'est rien, ne peut rien,
que par tous les autres, et que la force acquise par
le tout soit égale au supérieure à la somme des for-
ces naturelles de tous les individus, on peut dire que
la législation est au plus haut point de perfection
qu'elle puisse atteindre».
E nella prima stesura, il cosiddetto Manoscrit-
to di Ginevra 58 , aveva scritto con termine ancora
più duro: «(il faut qu'il) mutile en quelque sorte
la constitution de l'homme pour la renforcer». Nel-
l'Emilio il rapporto fra individuo naturale e mem-
bro della società politica è cosi presentato: «L'hom-
me nature! est tout pour lui: il est l'unité numéri-
que, l'entier absolu qui n'a de rapport qu'à lui-meme
ou à son semblable. L'homme civil n'est qu'une uni-
té fractionnaire qui tient au dénominateur, et dont
la valeur est dans son rapport avec l'entier, qui est
le corps socia!. Les bonnes institutions sociales sont
celles qui savent le mieux dénaturer l'homme, lui
oter son existence absolue pour lui en donner une
relative, et transporter le mai dans l'unité commune;
en sorte que chaque particulier ne se croit plus un,
mais partie de l'unité, et ne soit plus sensible que
dans le tout. Un Citoyen de Rome n'étoit ni Caius
ni Lucius; c'étoit un Romain ... Cela n'a pas grand
raport, ce me semble, aux hommes que nous con-
• 59
n01ssons » .

,. J. J. ROUSSEAU, o. C., III, p. 313.


" O. C., IV, p. 249.

147
Il filo del discorso è dunque chiaro: nella giu-
sta repubblic-a ( e nella vagheggiata polis che viene
contrapposta alla moderna corruinone della società
aristocratica) l'uomo è una frazione, un'entità arti-
ficiale in senso positivo, che riceve il suo contenuto
dalla comunità e dalla legge e non più dai suoi im-
pulsi naturali, irrealizzabili nella vita di società. Le
mezze misure, cioè il camuffamento degli istinti spon-
tanei e corrotti dall'egoismo mediante la legge in-
giusta, la mezza socializzazione della «società civile»
hobbes-mandevilliana, sono la condizione peggiore
per l'uomo, che non è più il buon selvaggio e non è
ancora il buon cittadino. D'altra parte, Rousseau
oscilla continuamente fra i due poli opposti dello
snaturamento radicale dell'uomo e del rifiuto della
società per la solitudine e l'interiorità; il primo ter-
mine si configura come lontana e forse impossibile
utopia, il secondo come scelta esistenziale e perso-
nale. Ma questa alternanza fra il lago di Bienne e
Sparta non è un problema psicologico di Jean-
Jacques, è una componente essenziale, una contrad-
dizione tipica della coscienna borghese. Marx l'ha
analizzata con molta precisione nele celebri pagine
della Questione ebraica, sulle quali con perplessità
invero poco giustificata è tornato recentemente il
Colletti I,().

Descrivendo la genesi della società moderna,


dominata dal grande capitale, Marx osserva come

60
UJLLETTI, Ideologia e società, p. 255 sgg.

148
la costituzione dello Stato politico e la dissoluzione
della società civile negli individui indipendenti e
antagonistici siano contestuali. Lo Stato politico si
manifesta come riconoscimento dell'uomo egoista,
membro della società civile, esaltazione della liber-
tà della proprietà. «L'uomo in quanto membro della
società civile, l'uomo non politico, appare perciò
necessariamente come l'uomo naturale. I droits de
l'homme appaiono come droits naturels, dacché l'at-
tività autocosciente si concentra nell'atto politico ...
La rivoluzione politica dissolve la vita civile nelle
sue parti cosritucive, senza rivoluzionare queste par-
ti stesse né sottoporle a critica. Essa si comporta ver-
so la società civile, verso il mondo dei bisogni, del
lavoro, degli interessi privati, del diritto privato,
come verso il fondamento della propria esistenza,
come verso un presupposto non altrimenti fondato,
perciò, come verso la sua base naturale. Infine l'uo-
mo, in quanto è membro della società civile, vale
come uomo vero e proprio, come l'homme distinto
dal citoyen, poiché egli è l'uomo nella sua imme-
diata esistenza sensibile individuale, mentre l'uomo
politico è soltanto l'uomo astratto, artifìciale, l'uomo
come persona allegorica, morale. L'uomo reale è
riconosciuto solo nella figura dell'individuo egoista,
l'uomo vero solo nella figura del citoyen astratto».
E qui segue la citazione del passo già segnalato di
Rousseau, come esemplificazione dell'astrazione del-
l'uomo politico. «L'emancipazione politica» - con-
clude Marx - «è la riduzione dell'uomo, da un lato,

149
a membro della società civile, all'individuo egoista
indipendente, dall'altro, al cittadino, alla persona
morale». Soltanto quando l'uomo reale riassume
in sé il cittadino astratto e diviene membro della
specie nella sua vita empirica, organizzando le pro-
prie forze come forze sociali, soltanto allora l'eman-
cipazione umana è compiuta e si attua la ricomposi-
zione di politica ed economia (ancora definite come
«forze sociale» e «forza politica»).
Naturalità e astrattezza si ricongiungono come
doppia proiezione di una scissione radicale dell'uomo
fra esistente immodifìcato e virtuoso dover-essere.
La socializzazione russoiana è segnata come socializ-
zazione allegorica, superamento soltanto volontari-
stico dell'egoismo individuale; il bourgeois è trasfì-
gurato nel cielo della politica. «il compimento dell'i-
dealismo dello Stato fu contemporaneamente il com-
pimento del materialismo nella società civile».
In questo senso, anche se Rousseau spesso con-
testa la vuota generalizzazione operata dal cristiane-
simo e intravede in essa una funzione dell'egoismo
(si dichiara di amare l'umanità per essere esonerati
dall'amare i propri vicini), è innegabile che Marx
ha colto nel giusto vedendo nel Ginevrino non sol-
tanto la posizione dell'uomo astratto come contrad-
dizione, ma anche il perfezionamento del meccani-
smo di astrazione nelle forme del contratto e del-
la legge eguale. Il Rousseau nostalgicamente or-
ganicista critica, sl, la dissociazione della società
civile capitalistica, ma si propone di ricomporla

150
sotto il dominio di un'universalità legale che è
la più compiuta espressione istituzionale del mer-
cato borghese - l'insieme delle condizioni di convi-
venza e concorrenza degli individllli atomizzati. Non
è casuale che Marx esemplifìchi la sua critica dei
diritti dell'uomo e del cittadino proprio sulla base
della più «radicale» Costituzione borghese, quella
del 179 3 che maggiormente riflette l'ispirazione rus-
soiana dei giacobini.
In una serie di passi delle varie versioni del-
l'Emilio e del Contratto sociale 61 Rousseau dichiara
sino in fondo la contraddizione dell'uomo moderno,
quest'essere «double» o meglio «composé», che uni-
sce i vizi dello stato sociale agli abusi dello stato di
natura, sempre in bilico fra la condizione di homme
e quella di citoyen, fra di loro inconciliabili, misero
per la contraddizione fra i suoi doveri e le sue incli-
nazioni. «Donnez-le tout entier à l'etat ou laissez-le
tout entier à lui-meme», se volete farlo uno e felice.
E' apparentemente un dilemma senza via d'uscita,
o meglio dal quale Rousseau esce alternacivamente
con due soluzioni di politica pedagogica, l'educazio-
ne pubblica e l'educazione privata e spontanea del
fanciullo, dell'uomo nuovo. I due termini sono ete-
rogenei perché non medi,ati (e non mediabili stante il
limite borghese di Rousseau), anche se è storica-

" J. J. RoussEAU, O. C., III, p. 510 (cfr. n. a p. 1526 e 475),


per i frammenti politici, per l'Emilio, IV, p. 57 e 248 (cfr. n. alle
pp. 1296-8).

151
mente importante che la separazione sia dichiarata.
L'esistenza della separazione è precisamente il mo-
mento borghese, la coscienza sofferta della separa-
zione il lascito positivo che Rousseau tramanda alla
critica proto-romantica del capitalismo.
L'impossibilità di uscire positivamente dalla
contraddizione fra uomo naturale e uomo politico
risulta chiaramente dall'analisi del contenuto «na-
turale» dell'uomo, che la legge dovrebbe garan-
tire o sviluppare. Malgrado tutto il rifiuto del-
1'amour propre, tale contenuto è pur sempre la
proprietà - «la persona e i beni», afferma in
un luogo famoso il Contratto sociale, con significa-
tiva endiadi che l'eguaglianza non distrugge ma
invera in un equilibrio reciproco. L'eguale distribu-
zione delle ricchezze è dichiaratia un'utopia, che non
può essere sostenuta neppure in via di ipotesi, con-
traddicendo alla natura delle cose 62 ; tutti i diritti
civili sono fondati su quello di proprietà, tanto che
abolito quest'ultimo nessun altro potrebbe sussiste-
re e regnerebbe soltanto la tirannia e la forza 63 ; la
proprietà, in tal senso, è ancora più importante della
libertà 64 • L'eguaglianza non significa «que les degrés

" O. C., III, p. 522 .


., Ib., p. 483.
" Il patto sociale deve difendere e proteggere «la personne et
!es biens de chaque associé» (ib., p. 360- C. S., I, 6); il diritto di
proprietà «est le plus sacré de tous !es droits des citoyens, et plus
important ìì certains égards que la liberté meme ... Il faut se ressouve-
nir ici que le fondement du pacte socia! est la propriété, et sa

152
de puissance et de richesses soient absolument les
memes», ma che la potenza si eserciti. «en vertu du
rang et des loix» e che la ricchezza sia tale che «nul
citoyen ne soit assez opulent pour en pouvoir acheter
un autre, et nul assez pauvre pour etre contraint de
se vendre» 65 - insomma una società di piccoli pro-
duttori indipendenti, di poche ·industrie e di scarso
sviluppo tecnologico, senza sviluppo del lavoro sala-
riato e della meccanizzazione 66 •
Si capisce allora in quale senso il giusto con-
tratto sociale non distrugga l'eguaglianza naturale
ma, al contrario, sostituisca un'eguaglianza morale
e legittiima all'ineguaglianza fisica originaria, così
che gli uomini naturali diseguali «en force ou en
génie» possano divenire eguali «par convention et
de droit» La legge che opera un simile miracoloso
(i/.

ristabilimento dell'eguaglianza naturale 68 , anzi addì-

premierc condition, que chacun soit maintenu dans la paisible


jouissance de ce qui lui appartient,. (art. Economie politique, ib.,
p. 263 e 269-70); infine la prima idea che bisogna instillare in
Emilio (0. C., IV, p. 330) «est clone moins celle de la liberté que
celle de la propriété,. proprietà-lavoro in senso squisitamente
lockiano.
"' C. S., II, 11 (0. C., III, pp. 391-2).
" Oltre al capitolo qui sopra citato, dr. anche l'articolo Econo-
mie politique, il progetto di costituzione per la Corsica e alcuni fram-
menti politici, per esempio quello dedicato a Le luxe, le commerce
et les arts, che pone come obbiettivo la ripartizione fra piccoli
proprietari di una produzione nazionale autosufficiente (ib., p. 524);
per la condanna della meccanizzazione del lavoro, ib., p. 525 e 556.
" C. S., I, 9 (0. C., III, p. 367).
'" «C'est la loi ... qui rétablit dans le droit l'égalité naturelle
entre les hommes,., nel Mss. di Ginevra, ib., p. 310.

153
rittura un suo raddrizzamento, la legge che opera
ininterrottamente come controtendenza alla divari-
cazione spontanea delle ricchezze e del potere@ è
concepita come un meccanismo di concorrenza per-
fetta che assicura l'armonia degli interessi sottopo-
nendoli al controllo politico razionale della volontà
generale. Volendo conciliare due elementi inconci-
liabili - l'universalità reale dell'uomo e della società
e il diritto di proprietà - Rousseau deve spaccare in
due l'uomo, deve scindere il bourgeois dal citoyen,
concepire il primo in termini di «natura», il secondo
come formalità, come ideale di virtù astratta. Bontà
e malvagità si confìgurano, rispettivamente, come
conformità e difformità dalla legge 70 : questa regola
esternamente le azioni, come i costumi, la virtù,
le regolano internamente 71 • Il costume è il momento
della sensibilità reso costante e collettivo dalla tra-
dizione e che costituisce la motivazione profonda
della volontà. La coincidenza con la comunità è il
bene - e non l'adesione alla sua dissociazione anta-
gonistica, come per la teorizzazione fisiocratica del-
l'egoismo concorrenziale - ma la comunità di cui si
tratta è pur sempre una comunità illusoria, un essere
morale costituito dall'aggregazione di atomi indivi-
duali, di blocchi non socializzati di «persona e beni».

" «C'est parce que la farce des choses tend toujours à détruire
l'égalité que la farce de la legislation doit toujours tendre à la main-
tenir», Mss. di Ginevra, ib., p. 332.
70
I b., p. 483 (dai frammenti politici).
" Ib., p. 555.

154
La comunità è concepita come comunità inter-
classista e la sua direzione, a parte lo scarto inevi-
tabile fra la volontà generale retta e le sviate volontà
particolari, è del tutto oggettiva. L'amministrazione
delle cose sostituisce il governo degli uomini. Nel
II libro dell'Emilio la dipendenza dalle cose, cioè
la legge di natura, è contrapposta, secondo le note
modalità, alla dipendenza dagli uomini, che caratte-
rizza la società civile iniqua. Il primo tipo di dipen-
denza non possiede alcun rilievo morale, e quindi
non genera vizi e non attenta alla libertà; la dipen-
denza dagli uomini, invece, è disordinata e genera
spontaneamente i vizi: «c'est par elle que le maitre
et l'esclave se dépravent mutuellement». L'unica
via d'uscita, come sappiamo, è sostituire la legge
all'uomo, «armer les volontés générales d'une farce
réelle supérieure à l'action de toute volonté parti-
culiére». Se le leggi possedessero l'inflessibilità di
quelle naturali, «la dépendance des hommes rede-
viendroit alors celle des choses, on réuniroit dans
la Répub1ique tous les avantages de l'état naturel
à ceux de l'état civil, on joindroit à la liberté qui
maintient l'homme exempt de vices la moralité qui
l'éleve à la vertu» 72 • L'oggettività della legge, cioè,
la riproposizione della legalità naturale come legi-
slazione positiva non solo manterrebbe la libertà
originaria ( con i vantaggi della socialità), ma l'in-
nalzerebbe a cosciente moralità. La morale come

n O. C., IV, p. 311.

155
la natura sono attinte da un lato nel cuore dd
singolo, dall'altro nella sfera dell'oggettività della
legge, nell'impersonalità dell'amministrazione sosti-
tuita all'uso egoistico del potere e della violenza.
Questa amministrazione oggettiva e legale della
comunità è possibile soltanto se la struttura politica
corrisponde qualitativamente all'interiorità della
persona, cioè se entrambe prescindono dall'interes-
se egoistico e garantiscono la pacifìca convivenza
dei naturali istinti di conservazione. All'appariscen-
te negazione dell'egoismo fisiocratico è sotteso un
rifiuto altrettanto netto di qualsiasi interesse di
classe. Il corpo morale dello Stato è qualcosa di
più della somma degli individui naturalmente buo-
ni, rievoca l'organicismo della polis classica e per-
tanto si contrappone alla dissociata società civile dd
nascente capitalismo. Ma il nuovo progetto di so-
cietà è un mito interclassista, un'ideale democrazia
che, nella pratica, risponde agli interessi della bor-
ghesia radicale. La sua astratta artificialità non è
soltanto il frutto dell'incompiuta socializzazione del-
l'uomo, della mancata risoluzione, anzi dell'accan-
tonamento delle contraddizioni di classe, ma è fun-
zionale a una classe, la borghesia, che è storicamente
in grado di presentare il suo proprio interesse come
interesse generale, come regola statuale vincolante
e non solo come armonia impersonale degli interessi.
E' proprio qui che Rousseau va più avanti di Smith
e dei fìsiocratici, riconoscendo, come farà paralle-
lamente anche se più parzialmente Hume, il ruolo

156
del momento statuale nella regolazione del ricambio
organico fra uomo e natura.
Sotto questo profilo è di estremo interesse af-
frontare la problematica dell'Emilio, il cui paralle-
lismo con il Contratto sociale, innegabile, rischie-
rebbe altrimenti di costituire un enigma o almeno
uno straordinario caso di duplicità.

8. Emilio, ovvero l'uomo senza qualità

Proprio in apertura dell'E:mile, con una di


quelle formule contrappositive che marcano gli avvii
delle grandi opere russoiane 73 , troviamo l'aspetto
più positivo e aperto della dottrina del Ginevrino -
l'antropologia ottimistica. «Tout est bien, sortant
des mains de l'auteur des choses: tout dégénére
entre les mains de l'homme». Sono affermazioni
di questo genere che hanno provocato la condanna
ecclesiastica e parlamentare del libro ed è risponden-
do alle critiche malevole di chi si richiamava alla
naturale peccaminosità e malvagità dell'uomo che
Rousseau ha ribadito con più forza la carica progres-
sista del suo pensiero.

n L'inizio dell'Emi/e (ib., p. 246) non a caso richiama infatti


l'altra apertura declamata, quella del Contrai socia/: «L 'homme est
né libre, et par-tout il est dans !es fers,. (O. C., III, p. 3,1). In
entrambi i casi la cifra retorica accentua la rapidità della degrada-
zione dal bene naturale al male storico, suggerendo nel oontempo
la necessità di una radicale svolta per restaurare la primitiva felicità.

157
Nella lettera all'arcivescovo di Parigi, A. C.
de Beaumont, l'argomentazione sulla natura.le bontà
dell'uomo è molto serrata e ampia e coscituisce la
più completa esposizione di quella che il Cassirer
ha chiamato la «teodicea» russoiana: «Le principe
fondamenta! de toute morale, sur lequel j'ai raisonné
dans tous mes Ecrits, et que j'ai dévéloppé dans
ce dernier avec toute la clarté dont j'étois capable,
est que l'homme est un etre naturellement bon,
aimant la justice et l'ordre; qu'il n'y a a point de
perversité originelle dans le coeur humain, et que
les premiers mouvements de la nature sont toujours
droits. J'ai fait voir que l'uniique passion qui naisse
avec l'homme, savoir l'amour de soi, est une passion
indifférente en elle-meme au bien et au mal; qu'elle
ne devient bonne ou mauvaise que par accident et
selon les circostances dans lesquelles elle se deve-
loppe. ]'ai montré que tous les vices qu'on impute
au coeur humain ne lui sont point naturels; j'ai dit
la maniere dont il naissent; j'en ai, pour ainsi dire,
suivi la généalogie, et j'ai fait voir comment, par
l'altération successive de leur bonté originelle, les
hommes deviennent enfin ce qu'ils sont» 74 • I vizi e
le virtù nascono nel confronto reciproco degli uomi-
ni, il male e lo scatenamento delle passioni malvagie
nascono dalla «fermentazione» dell'amour de sai in
amour propre. Ma la causa principale della degene-
razione dell'uomo è l'ordine sociale ingiusto, che

" O. C., IV, pp. 935-6.

158
spiega simultJaneamente i vizi indiv,iduali e i mali
della società: «d'où j'ai condus qu'il n'étoit pas
nécessaire de supposer l'homme méchant par sa
nature, lorsqu'on pouvoit marquer l'origine et le
progrès de sa méchanceté», cioè in misura dello
sviluppo parallelo (a livello beninteso cli popolo,
non di singolo) dei lumi e dei vizi 75 •
Questa impostazione è assai fertile, sia dal
punto di vista politico che propriamente educativo:
essa è difatti la base di qualsiasi progetto rivolu-
zionario diretto a mutare la società per migliorare
l'uomo e di qualsiasi progetto educativo che miri a
sviluppare la spontaneità del fanciullo. E' questo
il grande contributo progressivo che Rousseau lascia
al marxismo e a ogni forma di pedagogia antirepres-
siva. Senza tali premesse sarebbe difficile immagi-
nare il rovesciamento della tradizione autoritaria e
dell'assolutismo, tanto politico quanto pedagogico.
Ma sono anche premesse dalle quali è possibile svi-
luppare diversi tipi di progetti. Policicamente l'.affer-
mazione della bontà originaria dell'uomo può portare
all'individuazione dell'alienazione feudale e alla ri-
vendicazione della libertà e proprietà borghesi come
elementi naturali, quindi da far valere imprescritti-

75
Jb., pp. 966-7; nel resto della lettera è una diflusa giustifi-
cazione delle tesi sulla religione naturale enunciate dal Vicario
savoiardo, con una plausibile argomentazione mirante a con-
vincere l'interlocutore della non-dannosità di un cristianesimo demi-
tizzato. In alcuni punti (cfr. specialmente pp. 995-6) è palese l'anti-
cipazione della riduzione kantiana della religione all'interiorità morale.

159
bilmente e in modo rivoluzionario (è la via del Con-
tratto sociale) o può aprire la strada al discorso sulla
riappropriazione della natura storica dell'uomo e sul
suo arricchimento contro l'alienazione borghese (e
sarà l'itinerario di Marx dai Manoscritti del 1844
alla critica dell'economia politica e al Manifesto dei
comunisti). Analogo - e complementare - il bivio che
la bontà originaria pone all'educatore.
Fra tutti i possibili sviluppi non-repressivi
della personalità del fanciullo Rousseau opera infat-
ti, come vedremo, una scelta precisa; la sua «edu-
cazione negativa» innesta in realtà, sulla tabula rasa
o meglio sulla naturale sanità morale di Emilio, un
sistema organico di princìpi che riflette l'ambivalente
ideologia dell'uomo e del cittadino, in stretta omo-
logia al costituirsi della società giusta nel Contratto
sociale.
Già nelle prime pagine il contrasto fra la na-
tura ancora vergine del fanciullo e la corrotta socie-
tà che lo circonda crea una caratteristica antinomia:
bisogna «élever un homme pour lui-meme» o «pour
les autres»? Un compromesso è impossibile. «Forcé
de combattre la nature ou les institutions sociales,
il faut opter entre faire un homme ou un citoyen;
car on ne peut faire à la fois l'un et l'autre» 76 • Ogni
forma di società parzi,ale si contrappone inevitabil-
mente a quella generale; l'universalismo gener1w
diverge dal patriottismo e Rousseau non esita, in

" Ib., p. 248 sgg.

160
nome dd citoyen, a condannare il cosmopolitismo
aristocratico: «Dé:6.ez-vous de ces cosmopolites qui
vont chercher au loin dans leurs livres des devoirs
qu'ils dédaignent de remplir autour d'eux. Tel
philosophe aime les T artares pour et.re c.hlspensé
d'aimer ses voisin» n_ L'universalismo che viene
condannato è dunque una mistificazione, una falsa
proiezione dell'essenza comune degli uomini. La
sensibilità naturale dell'uomo giustifìca il patriotti-
smo, che è quasi un'estensione collettiva dell'istinto
di conservazione (e a tal titolo è invero un snatu-
ramento molto sui generis quello che fa dell' homme
il citoyen ), mentre il cosmopolitismo è l'ideologizza-
zione della fraternità degli uomini, lo snaturamento
della pietà naturale in rapporto intellettuale fra pri-
vilegiati e oppressori ( ricordiamo anche la polemica
contro l'universalismo astratto del Cristianesimo in
nome della religione civile).
Segue il noto passo sul cittadino come unità
frazionaria contrapposto all'unità immediata e asso-
luta dell'uomo di natura. Ma quello che viene dopo
è ancora più interessante, a patto che lo si legga con
attenzione. «Celui qui veut conserver la primauté
des sentiments de la nature, ne sait ce qu'il veut.
Toujours en contradiction avec lui-meme, toujours
Botant entre ses penchans et ses devoirs il ne sera
jamais ni homme ni citoyen; il ne sera bon ni pour

n Ib., p. 249; dr. anche l'articolo Economie politique (0. C.,


III, p. 254) e la prima versione del Contrai socia/ (0. C., III, p. 287).

161
lui ni pour les autres». E' insomma il famoso essere
«double» o meglio «composé» la cui miseria è de-
nunciata assai efficacemente nelle pagine introduttive
della prima versione dell'Emile, il c. d. manoscritto
Favre 78 • Il raffronto fra questi due testi è assai utile
perché permette di sciogliere l'ambiguità di fondo
di Rousseau e di stabilire un corretto rapporto fra
pedagogia privata ed educazione pubblica.
Non dobbiamo infatri limitarci a rilevare la
denuncia russoiana dell'alienazione dell'uomo nella
società civile, oppure la contraddizione fra patriotti-
smo e cosmopolitismo (che comunque va specificata
storicamente come contrapposizione fra patriottismo
borghese e cosmopolitismo filosofico-aristocratico).
Il testo definitivo dell'Emilio infatti esemplliìca con
una frase famosa, una clausola ricorrente in Rous-
seau: : «Ce sera un de ces hommes de nos jours;
un François, un Anglois, un Bourgeois; ce ne sera
rien». Colletti l'interpreta come denuncia dell'aso-
cialità delle istituzioni borghesi vigenti ed esigenza
di una reale socializzazione dell'uomo. Questo è
vero solo in parte, e occorre seguire più sottilmente
la nascita di questa formula.
Innanzi tutto essa va ricollegata all'invettiva
della prefazione al Narcisse, scagliata contro l'intel-
lettualismo dei philosophes, contro l'universalizza-
zione astratta dei sentimenti naturali ( «~1 n'est ni
parent, ni citoyen, ni homme; il est philosophe» ).

11
O. C., IV, p. 57.

162
Variante di grande rilievo è anche quella presentata
dal manoscritto Favre 79 : «nous sommes paysans,
Bourgeois, Rois, Gentrilhommes, Peuple, nous ne
sommes ni hommes ni Gitoyens». Qui è evidente la
contrapposizione delle figure della società aristocra-
tica (gli stati, gli intellettuali, il borghese come ceto
corporativo e non come terzo stato) alla coppia
hommel citoyen; la contraddizione principale non è
fra homme e citoyen, ma fra le figure «composés»
(mal socializzate, troppo e non abbastanza snaturate)
e i due estremi. Homme e citoyen possono comple-
tarsi in una società giusta, sono irrevocabilmente
scissi laddove l'umanità è cristallizzata in ceti ille-
gittimi, in pseudo-distinzioni nazionali (è chiaro che
l'Anglois e il François non sono -affatto cittadini di
una nazione, ma sudditi di re, schiavi di aristocra-
zie). La pura natura è scomparsa così come è scom-
parsa la pura cittadinanza. Lungi dal contrapporsi,
esse sono sottoposte allo stesso destino. Leggiamo
infatti il manoscritto Favre: «L'homme de la natu-
re a disparu pour ne jamais revenir, et celui qui
s'éloigne le plus d'elle est celui que l'art néglige le
plus»; e nell'Emilio: «L'instiitution publique n'exi-
ste plus, et ne peut plus exister; parce qu'où il n'y
a plus de patrie il ne peut plus y avoir de citoyens».
La conclusione è la stessa, ricerca della migliore
educazione privata, come educazione n~tiva, che

" lb., p. 57 (manoscritto Favre); pp. 249-50 per la versione


definitiva.

163
cioè sottragga l'individuo alla corruzione esterna (è
quindi una spontaneità relativa, la spontaneità della
natura ,interiore contrapposta alla passiva ricezione
delle influenze sociali) e cosl lo predisponga a un'e-
ventuale società riformata. Una buona educazione
privata non contrasta, ma prefigura (e forzatamente
sostituisce) la futura educazione pubblica che sarà
possibile con l'instaurazione rivoluzionaria di un
nuovo contratto sociale. Ma quale sarà quest'educa-
zione? Come conciliare l'irreversibilità delle istitu-
zioni sociali (e la loro dinamica, addirittura la loro
trasformazione rivoluzionaria) con il recupero della
condizione naturale, della spontaneità del cuore pro-
tetto negativamente dagli effetti nocivi dell'ambien-
te? La risposta russoiana è molto coerente e del
tutto priva di risvolti utopistici.
Non solo, come è ovvio, l'idea stessa di «na-
tura» - su cui si basa l'educazione di Emilio - è la
spontaneità borghese, la singolarità asociale elevata
a categoria metafisica, ma tutta l'impostazione peda-
gogica mira a sviluppare un tipo di uomo che corri-
sponde alla logica interna del sistema borghese. Emi-
lio, con la sua educazione negativa, è il prototipo del-
1'uomo senza qualità che si contrappone all'homme
de qualité della società aristocratica, dell'uomo in
generale, disponibile alla mobilità sociale, che si
contrappone all'uomo legato al rango e alla corpo-
razione. Con il sistema attuale di educazione l'uomo
viene adatt:ato a un ordine sociale dove «toutes les
places sont marquées»: «si un particulier formé

164
pour sa piace en sort il n'est plus propre à rien» IK>.
Sono quindi frequenti i casi di disadattamento, di
confusione in una compagine sociale che è teorica-
mente rigida ma che praticamente non corrisponde
più alle esigenze reali della società. La vecchia so-
cietà feudale-aristocratica è sconvolta dallo sviluppo
del capitalismo e i suoi membri sono mal inseriti,
soffrono insieme dei vizi del vecchio regime e dei
vizi del nuovo, della rigidità e assurdità dei ranghi
e dell'egoismo della concorrenza. Il richiamo alla
natura serve a Rousseau per adattare radicalmente
l'uomo alla società che si va delineando, a quella
società borghese avvenire di rui il Contratto sociale
(ecco il rapporto!) costituisce la regolazione giuri-
1

dico-politica.
«Dans l'ordre nature! 1es hommes étant tous
égaux leur vocation commune est l'état d'homme,
et quiconque est bien élévé pour celui-là ne peut
mal remplir ceux qui s'y rapportent. Qu'on destine
man éleve à l'épée, à l'église, au barreau, peu m'im-
porte. Avant la vocation des parens la nature l'ap-
pelle à la vie humaine. Vivre est le métier que je
lui veux apprendre. En sortant de mes mains il ne
sera, j'en conviens, ni magistrat, ni soldat, ni pretre:
il sera prémiérement homme; tout ce qu'un homme
doit etre, ,il saura l'etre au besoin tout aussi bien
que qui que ce soit, et la fortune aura beau le faire
changer de place, il sera toujours à la sienne ... Il

"° Ib., p. 251 sgg.

165
faut donc généraliser nos vues, et considérer dans
nòtre éleve l' homme abstrait, l'homme exposé à
tous les accidens de la vie humaine. Si les hommes
naissoient attachés au sol d'un pays, si la meme
saison duroit toute l'année, si chacun tenoit à sa
fortune de maniére à n'en pouvoir jamais changer,
la pratique établie seroit bonne à certains egards;
l'enfant élevé pour son état n'en sortant jamais, ne
pourroit etre exposé aux inconveniens d'un autre.
Mais vu la mobilité des choses humaines; vu l'esprit
inquiet et remuant de ce siécle qui bouleverse tout
à chaque génération, peut-on concevoir une méthode
plus insensée que d'élever un enfant comme n'ayant
jamais à sortir de sa chambre, comme devant etre
sans cesse entouré des ses gens? ... » (al contra-
rio) ... «on doit lui apprendre à se conserver étant
homme, à supporter les coups du sort, à braver
l'opulence et la misére, à vivre s'il le faut dans les
glaces d'Islande ou sur le brulant rocher de Malthe».
E' questa una precisa descrizione delle condi-
zioni di inserimento di un giovane nella società bor-
ghese, in una società, cioè, a livelli elevati di mobi-
lità orizzontale e verticale, di rapide trasformazioni
tecnologiche, una società in cui la dote principale
non è il possesso di una professionalità cristallizzata,
ma la capacità di adattamento sociale e professio-
nale, la velocità di apprendimento e di convertibi-
lità delle dori naturali. Il talento serve a erogare
un lavoro astratto e quindi deve essere coltivato con
la massima elasticità, in un quadro di riferimento

166
perennemente mobile. La pedagogia sconta il pas-
saggio da una società gerarchizzata per ranghi a una
società di classi mobili: «l'éducation naturelle doit
rendre un homme propre à toutes les conditions
humaines» 81 • Ogni fìss~ione del comportamento a
schemi rigidi è pertanto controproducente: «la seule
habitude qu'on doit laisser prendre à l'enfant est
de n'en contracter aucune» 82 • Bisogna che l'adole-
scente si svincoli dal sistema di ceto, «en sorte qu'il
ne se place dans aucune classe, mais qu'il se retrouve
dans toutes» 83 •
Emilio non è un selvaggio destinato a vivere
in un deserto, «c'est un sauvage fait pour habiter
les villes» - è il prototipo del borghese rivoluzio-
nario o almeno capace di adattarsi a condizioni di
vita rivoluzionate, è il momento di corrispondenza
fra la spontaneità del cuore e il progetto di riforma
sociale integrale. Nel III libro dell'Emile 85 questo
tema è affrontato con straordinario vigore. Inna.n2i
tutto Rousseau riepiloga l'itinerario dell'uomo astrat-
to ( «Jusqu'ici je n'ai point distingué les états, les
rangs, les fortunes, et je ne les distinguerai gueres
plus dans la suite, parce que l'homme est le meme
dans tous les états» ), poi ammonisce ( «Ne voyez-

" lb., p. 267.


" lb., p. 282.
"' Ib., p. 510.
"' lb., p. 484.
" lb., pp. 468-71; dr. anche p. 237 (mss. Favre).

167
vous pas qu'en travaillant à le former exclusivement
pour un état, vous le rendez inutile à tout autre; et
que s'il plah à la fortune, vous n'aurez travaillé
qu 'à le rendre malheureux? » ).
Fin qui siamo rimasti a livello della considera-
zione di eventi individuali, inerenti, per la loro stes-
sa accidentalità, al meccanismo della mobilità socia-
le, ma appunto accidentali, casuali, imprevedibili.
Oltre a questi, però, è facile predire un rovescia-
mento complessivo non di questa o quella posizione
di rango, ma di tutto il sistema dei ranghi. Il tono
della pagina sale alla profezia: « Vous vous fìez à
l'ordre actuel de la société, sans songer que cet
ordre est sujet à des révolurions inévitables, et
qu'il vous est impossible de prevoir ni de prevenir
celle qui peut regarder vos enfans. Le Grand devient
petit, le riche devient pauvre, le monarque devient
sujet ... Nous approchons de l'état de crise et du
siécle des révolutions» - e che l'allusione centri l'im-
minente crollo dei regimi assolutistici ce lo conferma
in nota l'·autore stesso. Cosa resterà da questo scon-
quasso? «Il n'y a de caracteres inéfaçables que ceux
qu'imprime la Nature, et la nature ne fait ni princes,
ni riches, ni grands Seigneurs». Dalla rivoluzione
borghese emergerà, quindi, l'uomo di natura, il ro-
vescio dell'homme de qualité; Emilio maturo sarà
fra gli assalitori della Bastiglia, fra i giacobini, sol-
dato delle armate rivoluzionarie o napoleoniche.
Per il momento Rousseau è più cauto, gli con-
siglia semplicemente di apprendere un lavoro ma-

168
nuale, per cavarsela in ogni circostanza. L'autore
stesso non vive orgogliosamente della copiatura di
spartiti musicali, per non dovere niente a nessuno,
per sottrarsi alla sfera della corruzione e dell'ap-
parenza?
Lavorare è un dovere indispensabile per l'uo-
mo sociale, dato che nella società si v,ive a spese
degli altri e occorre ricambiarli con il lavoro. «Riche
ou pauvre, puissant ou foible, tout citoyen oisif est
un fripon» - la condanna del parassitismo sociale
è qui analoga a quella smithiana che associava preti,
cortigiani e prostitute e suona sprezzante rifìuto del
borghese alla variopinta e cenciosa turba feudale-ari-
stocratica ma anche logica introduzione alle Wor-
khouses, esaltazione del lavoro subordinato o ob-
bligatorio, quali che poi fossero le aspirazioni ,arti-
gianali del Rousseau stesso. Egli infatti prosegue
con un elogio del lavoro manuale indipendente che
farà riflettere e vergognare Kant ( «entrando nella
bottega di un artigiano ,arrossisco»): «de toutes les
occupations qui peuvent foumir la subsistance à
l'homme, celle qui le rapproche le plus à l'état de
Nature est le travail des mains: de toutes les con-
dicions, la plus indépendante de la fortune et des
hommes est celle de l'artisan», che sfugge alle an-
gherie feudali gravanti sul pur nobile mestiere del
contadino. L'interlocutore si scandalizza e Rousseau
risponde su due piani, etico il primo ( «je lui veux
donner un rang qui l'honore dans tous les tems» ),
realistico il secondo (voi l'educate a essere soltanto
169
un Lord, un marchese, «et peut-etre un jour moins
que rien» ). Educazione borghese contro educazione
aristocratica.
Si potrebbe a questo punto obbiettare: ma
quest'unione della polivalenza dell'educazione e del-
le attitudini sociali e lavorative all'esaltazione del
lavoro manuale, sia pure nella forma storicamente
determinata (e condizionata) del lavoro artigiano,
non prefigura la categoria del lavoro comunista,
quale esce anche dalle recentri esperienze e prospet-
tive della Rivoluzione Culturale? Non va Rousseau
al di là del proprio tempo, confermando cosl le tesi
di chi scorge in lui un precursore del socialismo,
del riconoscimento sociale dei meti:iti?
Abbiamo già visto il senso di questa poliva-
lenza, che è la formazione tecnico-professionale adat-
ta alla mobilità del lavoro nella società capitalistica
( e in ciò Rousseau prelude, cosl come nel suo mo-
dello meritocratico che vi è strettamente connesso,
alle forme più sviluppate e riformistiche del sistema
borghese); il lavoro manuale vi è conformemente
concepito sotto specie morale. «La lettre tue et
l'esprit vivifìe» - esordisce Rousseau, tanto per es-
sere chiari. «Il s'agit moins d'apprendre un métier
pour savoir un métier, que pour vaincre les préjugés
qui le méprisent. Vous ne serez jamais réduit à
travailler pour vivre. Eh! tant-pis, tant-pis pour
vous! Mais n'importe, ne travaillez point par néces-
sité, travaillez par gloire. Abbaissez-vous à l'état
d'artisan pour etre au-dessus du votre. Pour vous

170
soumettre 1a fortune et les choses, commencez par
vous en rendre indépendant. Pour regner par l'opi-
nion, commencez par regner sur elle». L'adozione
di un lavoro «purement méchanique, où les mains
travaillent plus que la tete» è la risposta voluta-
mente provocatoria offerta '<lll'rnstabilità della for-
tuna e alla mobilità sooiale - nel primo C'<lSO con una
sfumatura di sfida stoica, nel secondo con un sostan-
ziale adattamento, della cui opportunità si vuol con-
vincere anche l'interlocutore, il genitore presumi-
bilmente aristocratli.co che si può permettere l'a:lu-
cazione privata di un figlio. L'utilità reale di que-
sto lavoro è del tutto ipotetica - «il lui faut un
métier qui put servire à Robinson dans son isle»,
dirà con un viferimento, come vedremo, oltremodo
significativo 86 • Il mestiere (artigiano) ideale è quello
del falegname, nomade e capace di una compiuta
elaborazione, anche artistica, del prodotto, il s.imoolo
stesso dell'indipendenza dalle circosbanZe - quel fa-
legname proprietario dei mezzi di produzione che,
non a caso, Kant prenderà come esempio di citta-
dino elettoralmente attivo, in conttiapposizione al
lavoratore salariato, quel tipo di folegname che sarà
ben esemplificato dall'amico e ospite di Robespierre,
il giacobino Duplay 117 •

,. Ib., p. 474.
cr Kant distingue il falegname proprietario dei m=i di produ-
zione, l'artifex che vende il proprio opus mediante alienazione, dal
falegname subordinato, l'operarius che presta la propria opera contro

171
E anche questo tipo lavorativo particolare e
ricco di implicazioni è assunto in forma accentuata-
mente simbolica: «nous ne sommes pas seulement
apprentis ouvriers, nous sommes apprentis hom-
mes ... notre ambition n'est pas tant d'apprendre
la menuiserie que de nous élever à l'état de menui-
sier» 88 • Sotto l'elogio traspare il carattere allegorico;
l'apprendimento del mestiere è, sl, un' «inraiazione
al dovere dell'uomo civile di essere utile agli altri,
alla libertà e alla dignità» 89 , ma nel senso di rivalu-
tare il lavoro in astratto, la sua possibilità, non i
lavoratori come classe. Il lavoro diventa cosl un at-
tributo dello spirito, non il mezzo di sostentamento
del proletariato rivoluzionario e la realizzazione di
un'umanità liberata dallo sfruttamento, un dovere
del singolo solitario (e sostanzialmente asociale),
non l'esplicazione di una comunità omogenea.
Il lavoro che entra nell'educazione di Emilio è
lavoro in laboratorio, non unità di lavoro e studio.

un salario (Scritti politici, cit., p. 260 n. e 501 ). Sul Duplay,


osserva A. SoBOUL (La Rivoluzione francese, Bari 1966, I, p. 267) che
egli, «se per le sue origini apparteneva ancora al mondo del lavoro,
percepiva nondimeno da dieci a dodicimila lire di rendita dando case
in affitto . . . egli incarna l'ambiguità giacobina», riassume in sé
quella media borghesia radicale che faceva da trami te fra le forze
vive del popolo e gli interessi complessivi della borghesia, riflettendo
tutte le relative contraddizioni .
.. RoussEAu, o. c., IV, pp. 4n.s.
" Cfr. la nota di P. BouRGELIN, ib., p. 1445, dove pure signifi-
cativamente si commenta che «il faut apprendre la condition humaine.
Il convient d'apprendre à etre Robinson».

172
Parallelamente il lavoro manuale è svalutato nelle
sue forme concrete, nei suoi connotati di classe.
Abbiamo visto la perplessità di fronte al nobile
mestiere del contadino, lodato ma non imitato, per-
ché il suo raccolto è «à la discretion d'autrui»; cosa
pensasse Rousseau dei disoccupatri è evidente dal
citato attacco ai «fripons». Non migliore è l'atteg-
giamento verso gli operai di fabbrica: «Le gens qui
passent exactement la vie entiére à travailler pour
vivre n'ont aucune idée que celle de leur travail ou
de leur interest et tout leur esprit semble etre au
bout de leur bras». E' vero che l'ignoranza e la roz-
zezza non sono vizi, ma «il n'est pas moins vrai
qu'un esprit cultivé rend seul le commerce agréable,
et c'est une triste chose pour un pére de famille qui
se plait dans sa maison d'etre forcé de s'y renfermer
en lui-meme, et de ne pouvoir s'y faire entendre à
personne». E' per questo che Emilio non dovrà cer-
carsi una sposa «dans la lie du peuple»; oltretutto
i popolani, per odio contro l'ingiustizia che subi-
scono dagli altri ceti, tendono a credere giusti i
propri vizi ed educherebbero malissimo i propri
figli 90 • A parte l'evidente riflesso della non sempre

90
Ib., p. 767; dr. il passaggio ancora più netto a p. 477: «Enfin
je n'aimerois pas ces stupides professions dont !es ouvriers, sans
industrie et presque automates, n'éx=nt jamais leurs mairu qu'au
meme travail. Les tisserans, lesa faiseurs de bas, le scieurs de pierre;
à quoi sert d'employer à ces métiers des hommes de sens? C'est
une machine qui en mene une autre• - atteggiamento non dissimile
da quello di Ferguson (l'ilotismo operaio) o dei fisiocratici. Per

173
felice convivenza con Thérèse Levasseur, esce qui
un giudizio sulla classe operaia e sugli strati infe-
riori del «popolo» ( certo, oggettivamente ancora
non costituiti in classe rivoluzionaria) non molto
dissimile da quello di Mably - che d'altronde Rous-
seau era ben lungi dal disapprovare, accusandolo
anzi di plagio delle proprie idee.
La coppia polivalenza-lavoro manuale va quin-
di letta a rovescio di una superficie interpretazione,
suona apologia del lavoro borghese e accettazione
della divisione borghese del lavoro a partii.re da una
defìnizione locki,ana della proprietà-lavoro, quindi
con una valutazione positiva dell'attività lavorativa
(contro il parassiitismo aristocratico), ma con un
inevitabile riconoscimento della sua duplice forma,
imprenditoriale ed esecutiva. Il modello del lavoro
astratto, diretto e polivalente è quello stesso degli
economisti classici: Robinson Crusoe 91 •

Mirabeau padre, infatti, gli operai «non devono essere calcolati che
come macchine, necessarie allo sfruttamento ma che richiedono un
mantenimento giornaliero e dispendioso,. (citato in WEULERSSE,
Les physiocrates, p. 64); Dupont de Nemours dice addirittura «dieci-
mila di quelle macchine che si chiamano operai,., preoccupandosi
soltanto della loro capacità di scatenare una sommossa popolare (cit.
ib., p. 202) e commentando altrove che essi servono come le foglie,
una stagione verdi e che poi «cadono disseccate ai piedi dell'albero
concimando il terreno per la riproduzione dell'anno seguente,. (cit.
ib., p. 302).
91
O. C., IV, 455 sgg. Nella nota (ib., p. 1430) P. BouRGELIN
osserva che Robinson è «le héros normatif, l'homme abstrait, qui se
suffit à lui-merne, aussi voisin de l'homme nature! qu'il se peut,

174
E difatti, partendo da questa ipotesi-limite
( «c'est sur ce meme état qui'il doit apprécier tous
les autres» ), Emilio viene a scoprire l'efficacia della
cooperazione sociale, della divisione del lavoro e
della conseguente solidarietà organica fra gli uomini,
la produzione di un'eccedenza sui bisogni elemen-
tari come fonte di diseguagHanza ma anche di svi-
luppo, la mutua dipendenza dei lavoratori particola-
ri (non «par le coté moral» ma rin relazione alla «in-
dustrie et arts mécaniques» ). Impara inoltre che il
lavoro incorporato nelle merci ne accresce il prezw,
anche se deve apprezzare piuttosto il valore d'uso
intrinseco, il ferro più dell'oro (ciò che peraltro non
va liquidato come «curieuse économie politique»,
secondo il perplesso commento di Bourgelin, ma im-
plica un polemica contro il lusso nient'affatto ignota
a Smith e comunque coerente al rifiuto dei valori
della società aristocratica, tipica applicazione di asce-
tismo borghese-protestante).
E' vero che il precettore incita Emilio a for-
giare degli strumenti che possa portare dappertutto
con sé - il mito del falegname nomade - ma gli spie-
ga concretamente anche che «nulle société ne peut
e~ster sans échange, nul échange sans mésure com-
mune, et nulle mésure commune sans égalité. Ainsi
toute société a pour prémiére foi quelque égalité
convencionelle soit dans les hommes soit dans les

quoiqu'héritier de notte culture ... On dernande à tmile de s'iden-


tifier à l'Homme, à l'individu sans rapport sociaun.

175
choses. L'égalité conventionelle entre les hommes,
bien differente de l'égalité naturelle rend nécessaire
le droit positif, c'est-à-dire le gouvemement et les
loix» - quanto ai dettagli della politica e dell'eco-
nomia policica Emilio dovrà conoscere soltanto ciò
che del governo «se rapporte au droit de propriété»
e capire che «la monnoye est le vrai lien de la
société».
Sono parecchie cose insieme e tutte essenziali:
che l'eguaglianza civile dei prcxluttori di merci è le-
gata alla commensurabilità delle merci mediante un
equivalente generale, che tale eguaglianza «conven-
zionale» (il cui rapporto con quella «naturale» è la-
sciato qui indeterminato) implica un governo che
protegga la proprietà ( scoraggiando peraltro il lus-
so). Tutta l'ideologia borghese è qui posta sulle
radici dell'indipendenza individuale del singolo pro-
duttore, della proprietà-lavoro lockiana (con annes-
sa robinsonata ), dell'egualitarismo piccolo-borghese
e della polemica contro il lusso feudale. Rousseau
ricorre addirittura a un piccolo socio-dramma per
imprimere meglio a Emilio questi concetti 92 •
A Emilio viene indicato un appezzamento di
terra, lo si induce a piantarvi delle fave e a curarle.
Una mattina trova il campo sconvolto, perduto «le
doux fruit de ses soins et de ses sueurs», in cui
aveva riposto «son tems, son travail, sa peine, sa

., Ib., p. 330 sgg.

176
personne enfìn». La violazione della proprietà-lavoro
gli farà conoscere il sentimento dell'ingiustizia su-
bita. Ma a strappare le fave germoglianti è stato
il giardiniere, supposto precedente occupante della
terra e interessato a un'anteriore coltivazione di
meloni. Emilio deve riconoscere il suo buon diritto
(è un'altra proprietà-lavoro, antecedente) e tutto si
risolve con un compromesso: il giardiniere cede
una parte della terra in cambio di metà del raccolto
delle fave. Jean-Jacques ha fatto scoprire in tal
mcxlo a Emilio la categoria di colonìa, entro la più
generale coscienza proprietaria.
Il lavoro, dunque, vale per Rousseau come
discriminante pedagogica anti-aristocratica, è il fon-
damento di una rivoluzione culturale, ma non di
una rivoluzione culturale proletaria, bensl borghese.
Scontata l'irrevocabilità dello stato di natura, Rous-
seau rivaluta perfino il progresso civile e destina il
suo uomo di natura ad abitare le città, affrontandone
la corruzione con l'usbergo della sua coscienza e
della sua polivalente attitudine al lavoro astratto.
In attesa della costituzione di un giusto contratto
sociale è l'educatore a riconciliare riflessione e sen-
sazione, mediato e immediato, natura e cultura 93 •

93
C&. anche J. STAROBINSKI, J. ]. Rousseau cit. p. 220. Che tale
funzione sia attribuita all'educatore non deve sorprendere: respin-
gendo la lotta delle classi come strumento di risoluzione delle con-
traddizioni sociali, tale funzione deve essere assegnata a istituzioni
artificiali e individualizzanti, la pedagogia e il contratto.

177
Il rapporto fra l''Emile e il Contrai socia! non
si risolve quindi con un'alternativa fra due diverse
possibilità storiche 94 , ma con una complementarità
che si oppone soltanto ai cattivi compromessi poli-
tico-educativi. Prendiamo il capitolo sulla religione
civile nel Contrai socia/ 95 , che è stato letto un po'
unilateralmente come rifiuto del Cristianesimo e del-
la rdigione dell'uomo astratto. Afferma qui Rous-
seau che ci sono due tipi di religione: la religione
dell'uomo e quella del ci/ladino. La prima, «sans
temples, sans autels, sans rites, bomée au culte pu-
rement intérieur du Dieu Supreme et aux devoirs
éternels de la morale, est la pure et simple Religion
de l'Evangile, le vrai Théìsme, et ce qu'on peut
appeller le droit divin naturel» - insomma, la rdi-
gione professata dal Vicario savoiardo e che ritro-

" Per esempio, come per il DERATHÉ, nell'introduzione al C. S.


(0. C. III p. XCVIII), che contrappone come incomponibili i due
tipi di educazione, l'éducaJion puhlique des republiques e l'éduca-
tion domestique des monarchies, senza coglierne la reciproca fun-
zionalità di varianti della rivoluzione borghese radicale (che escludo-
no, questo sl, i cattivi compromessi, funzionali alla «società civile•,
cioè al riformismo aristocratico).
"' C.S., I. IV, cap. VIII (O.C. III p. 460 sgg., spcc. 464-9); per
l'interpretazione dd CoLLEITI, cfr. Ideologia e società, p. 238 sgg., che
vede nell'opposizione russoiana al cristianesimo astratto quasi la
denuncia della scissione homme-citoyen (che pure si ripresenta al più
alto livello proprio nd discorso complementare dell'Emile e del
ContTat social, come reciproca funzionalità dell'interiorità dd singolo
e oggettività della legge, istanza dd riconoscimento del merito ed
eguaglianza «convenzionale• ad essa proporzionale!).

178
veremo nella Religione entro i limiti della sola ra-
gione di Kant. La seconda è la religione nazionale,
il «droit divin civil ou positif», sancito gelosamente
dallo Stato e funzionale a:l patriottismo. Vi è poi
un terzo tipo, misto, che dà agli uomini due orienta-
menti contrastanti, facendone cattivi devoti e catti-
vi cittadini, «la religion du Pretre», esempio classi-
co il cattolicesimo. Rousseau condanna recisamente
quest'ultimo tipo, che spezza l'unità sociale e mette
l'uomo in contraddizione con se stesso; deplora l'in-
tolleranza delle religioni nazionali, pur approvando
la fusione in esse del culto divino e dell'amore per
le leggi. Resta la religione dell'uomo o evangelica,
che spinge gli uomini a riconoscersi come fratelli,
che tuttavia distacca gli uomini da questo mondo e
li rende indifferenti al concreto funzionamento della
società, legittimando in tal modo qualsiasi sopruso
e tirannia. Rousseau propone pertanto come solu-
zione l'adozione di una religione civile che non pos-
sieda dogmi, ma favorisca i sentimenti di socievo-
lezza, sancisca alcuni princìpi etico-religiosi senza
intolleranza e santifichi le leggi e il contratto sociale.
La religione civile cosl intesa concilia il meglio del-
l'Evangelo e della religione nazionale; l'rinteriorità
morale vi si risolve senza contrasto nella sottomis-
sione alla legge giusta. La compenentrazione di
spirito cristiano epurato e repubblica borghese è
perfetta: entrambi si fondano sull'interiorità del-
l'uomo e la spontaneità coscienziale. Il Vicario sa-
voiardo illumina gli uomini buoni nella società cor-

179
rotta, la religione civile li associa nella giusta so-
91
cietà •

06
Altro testo interessante è un appunto non utilizzato della
lettera a De Beaumont (O.C. IV p. 1019), in cui Rousseau, dopo
aver protestato cli non voler invitare i popoli a scuotere il giogo dd-
l'oppressione ( «ce qui ne leur est pas possibJe,. ), li incita a ridiventare
uomini nello spirito, anrora durando la loro schlavitù, e a scuotere
i vizi, non potendo scuotere i padroni: «s'ils ne peuvent plus etre des
Citoyens, ils peuvent encore etre des sages,.. Come lo schlavo Epit-
teto, essi sapranno «etre libres et bons dans !es fers,. - ma è evidente,
sotto il pessimismo e forse la rispettosa dissimulazione, l'aperrura al
futuro.
E' inutile qui ricordare i numerosi passaggi in cui Rousseau
definisce nell'interiorità la vera narura dell'uomo ponendo la co-
scienza e il rientro in se stessi come l'asse cli rutta la vita e dei rap-
porti sociali (dr. specialmente la professione cli fede dd Vicario sa-
voiardo nel IV libro dell':f'.mile, ib., p. 565 sgg. e la V lettera morale,
ib., p. 1106 sgg.), con un'evidentissima anticipazione dell'etica kan-
tiana dell'intenzione e della riproposizione dei principi religiosi
come posrulati della ragion pratica. Un'interessante conferma della
conciliazione fra Evangelo e religione civile esce particolarmente da
due passi, il primo tratto dalla professione, in cui il deismo morale
si articola in forme culturali regolate dalle leggi dello Stato ( «Quant
au culte extérieur, s'il doit etre uniforme pour le bon ordre, c'est
purement une affaire de police, il ne faut point de révélation pour
cela», p. 608 - la religione che emerge dalle esigenze morali della
coscienza accetta disciplinatamente le forme che Kant chiamerà «sta-
rutarie» ), il secondo, tratto da una lettera a M. de Franquières del
1769, che, dopo il paragone fra Socrate e Cristo, enuncia la suggesti-
va tesi dello sviluppo del Cristianesimo storico dalla sconfitta cli un
tentativo cli rivoluzione politica, cosl che Cristo «ne pouvant faire
par lui-meme une révolution chez son peuple, il voulut en faire une
par ses clisciples dans l'Univers», p. 1146). Nascendo il Cristianesimo
da una religione civile abortita insieme al progetto cli emancipazione
rivoluzionaria, esso non è inconciliabile, sotto il profilo etico e inte-
riorizzato della professione cli fede e con adeguata fungibilità culruale,

180
Analogamente l'educazione privata di Emilio
prelude alla giusta società: in quest'ultima si avrà
però un'educazione pubblica. Vengono scartate le
soluzioni intermedie, gli esempi di cattiva socializ-
zazione, che lacerano l'unità dell'uomo, laddove essa
tende a ricomporsi dialetticamente attraverso il pro-
cesso della crisi rivoluzionaria e della resurrezione
della natura nei nuovi rapporti della polriticità bor-
ghese e dell'eguaglianza convenzionale proporzio-
nale ai meriti. L' homme abstrait è il contenuto con-
creto del citoyen.

con il contratto sociale che garantisce, oltre tutto, proprio la perso-


na, l'anima nella sua duplice estrinsecazione endiadica di persona
e beni.

181
Parte III.

Il secolo delle rivoluzioni


La fine del 700 apriva quel siècle des révolu-
tions che Rousseau aveva profeci.camente annunciato
e in cui si sarebbero realiz~ate e sviluppate le con-
traddizioni insite nel processo di emancipazione bor-
ghese. Il pensiero sociale al volgere di secolo si ca-
ratterizza per una serrata rielaborazione della tema-
tica russoiana e per il tentativo di adattarla alle esi-
genze delle varie frazioni della borghesia che si
contendono il potere nel corso della rivoluzione.
Sulla fondamentale base borghese ( che era d 'altron-
de coerente all'essenziale della .lezione russoiana) si
articolano due varianti principali che hanno i loro
esponenti più tipici nei giacobini e negli idéologues,
con alcune varianti secondarie o addirittura indi-
viduali. Ma prima di esaminare, sia pure sommaria-
mente, questi filoni del tardo illuminismo, giova
riepilogare un momento alcune categorie comuru
dell'ideologia sociale settecentesca.

1. Natura, cuore e ragione

In Pascal il cuore si contrappone alla ragione


e all'ordine sociale, solo il primo sente Dio e ha

185
ragione; la natura corrotta impone il compromesso
fra pece e giustizia, così che, per evitare l'anarchia
e la guerra perenne, «non essendosi potuta rendere
forte la giustizia, si è giustificata la forza». Di tutta
la scienza, che tanto orgogli06i rendeva gli spiriti
dd tempo, Pascal mette in rilievo e sviluppa teori-
ca.men te qud calcolo delle probabilità che finisce
per rendere plausibile, anche in termini di oggetti-
vità matematica, le opzioni indimo6trabili del cre-
dente. L'assoluta certezza dell'interiorità, il coeur,
ha come corrispondente la totale strumentali:z.zazio-
ne e fungibilità delle scienze e l'infinito automatismo
della devozione; la fanciullezza del cuore si accop-
pia alla riduzione (veramente si dice «impecori-
men to») dell'orante a «macchina» 1 •
Nella tradizione illuministica le cose stanno
diversamente, almeno a prima vista. La ragione o
la stretta unione dd cuore non corrotto con la retta
volontà sono la «natura», natura spontaneamente
buona o al di qua dd bene e dd male, e si contrap-
pongono alla civiltà irrazionale o degenerata. Il con-
cetto di peccato originale si sfalda lentamente a li-
vello di opinione media, come Groethuysen ha mo-
strato in modo magistrale 2, e con esso cade uno dei

' ar. PASCAL, Pensieri, Torino 1962, pp. 149-50, 154, 70-o, 63-6,
67-9; il grande mistico coglie perfettamente la natura del potere e
della ricchezza nella società aristocratica, ma a differenza di Rousseau
non si ribella ( «Essere vestiti con eleganza non è semplice vanità:
significa mostrare che molte persone lavorano per noi. Essere messi
con eleganza significa mostrare la propria forza,., pens. 336).

186
pilastri giustificativi dell'assolutismo; l'honnéte hom-
me disconosce l'immagine negativa della natura pec-
caminosa e l'assolutismo sia divino che regio, chie-
dendone una costituzionalizzazione contrattualistica,
fuoriesce dalla dialettica di grazia e caduta (o l' alle-
gorizza laicamente, al modo di Rousseau). L'appello
alla natura è ormai franco e deciso, e suona come
rifiuto delle sovrastrutture aristocratico-feudali, del
formalismo e dell'intolleranza religiosa, dell'ap-
parato burocracico e soffocante di un mercantilismo
che aveva ormai esaurito la sua funzione storica
di promozione del nascente capitalismo. Nello stes-
so tempo natura è il riconoscimento di una legalità
immutabile, deisticamente provvidenziale, indipen-
dente dalle sviate volontà degli uomini (l'ordre na-
ture! et essentiel des sociétés politiques per i fisio-
cratici), oppure da ristabilir-sii volontaristicamente
attraverso l'eliminazione degli egoismi particolari
(la volonté générale russoiana) - in entrambi i casi
la legittimazione della dittatura della borghesia.
Ma se è naturale il cuore e la ragione che si ri-
bellano alle istituzioni, se sono naturali le leggi in-

2
B. GROETI-IUYSEN, Le origini dello spirito borghese cit., parrim,
spec. p. 136 sgg., 168 sgg., 234, 249, ecc. Di particolare rilievo le con-
cessioni del clero nel fuoco della polemica antigiansenista, per esem-
pio l'Avertirrement du Clergé del 1no, cit. ib., p. 200: «Debbono i
giorni dell'uomo trascorrere nella tristezza e nell'amarezza, e non sa-
rebbe la vita che un funesto dono della Provvidenza? Lungi da noi
un pensiero tanto ingiurioso alla bontà di Dio!,.,

187
staurate per via riformistica o rivoluziooaria, al-
trettanto ovvio e naturale è il rapporto che si sta-
bilisce fra l'autonoma soggettività dcll'individuo
pre-sociale ( il produttore indipendente fisiocratico e
il suo /or intérieur, l' homme russoiano con il suo
sentimento e il suo istinto di conservazione) e l'og-
gettività dell'ordinamento economico o delle leggi.
Questo rapporto riproduce, pur con tante differen-
ze, la polarità pascaliana di coeur e machine, che
era l'ultima e più drastica formulazione del duali-
smo cristiano. Che poi il coeur abbia qualcosa da
vedere in particolare con gli imprenditori capitali-
stici fisiocratici e con i piccoli prcxluttori cari a
Rousseau, e che la categoria di machine abbracci
pacificamente gli operai (per Dupont de Nemours
quanto per Emilio), subentrando all'impecorimento
del credente l'ilotismo (Ferguson) del salariato - que-
sta è proprio una di quelle curiose coincidenze che
la rivoluzione industriale regala all'ideologia cri-
stiano-borghese.
L'istanza del riconoscimento del singolo acqui-
sta infatti connotati precisi, che rinviano all'anima
in generale, ma al soggetto economico in particola-
re; l'individuo è, innanzi tutto, l'elemento di liber-
tà e di arbitrio che concorre all'equilibrio armoni-
co e impersonale del meccaniismo della prcxluzione
e dello scambio. Il singolo è infinitamente libero e
il sistema è completamente indifferente alle scelte
individuali, perché è il frutto dell'equilibrio stati-
stico dei singoli atti. Entrambi gli estremi sono giu-

188
stifìcati, il sentimento vale l'automatismo, gli inte-
ressi pre-sociali si conciliano provvidenzia1istioa-
mente con il miracolo delle leggi di mercato o con
il miracolo della volonté générale.
L'appello alla natura si rivela cosl tutt'altro
che un fatto di ragione, è anzi la proiemone fetici-
stica della mancanza di controllo razionale dei pro-
duttori sul mercato, sulle condizioni di produzione.
L'oggettività della legge, la sua superiorità a inte-
ressi egoistici o di classe, il suo carattere inevitabil-
mente benefico diventano un postulato indimostra-
bile, una petizione di principio, il trionfo della for-
malità e della buona volontà.
Su questa base il naturalismo dei fisiocratici
e il volontarismo russoiano hanno un'identica ma-
trice di classe e la stessa logica mistificata, oscillan-
do fra un soggettivismo falsamente libertario (ma
in realtà l'individuo è vincolato al modo di produ-
zione) e un'impersonalità astratta che è in realtà con-
creta tutela dell'egoismo individuale. Diverse però
sono le linee di sviluppo tendenziale: già nel corso
della Rivoluzione francese l'eredità fisiocratica pas-
sa alla Gironda, agli idéologues e infìne al liberali-
smo moderato, quella russoiana ai giacobirn, a Ba-
beuf e alle frazioni democratiche e radicali dell'era
della Restaurazione.
Anche ai nostri giorni la divaricazione perma-
ne: in un certo senso i fìsiocracici sono gli antenati
dell'illusione tecnocratica - il potere assoluto coniu-
gato alla scienza razionale, il comando della razio-
189
nalità capitalistica inteso come razionalità assioma-
tica del potere politico, l'efficientismo borghese co-
me panacea sociale mentre Rousseau continua a
essere l'ispiratore di tutte le Yarianti ideologiche e
propagandistiche della dittatura democratica della
borghesia, la fonte di ogni p!"ogetto di Stato sociale,
di ogni modello meritocratico. In tal senso l'eredi-
tà russoiana è anche la più aperta alle contraddizio-
ni, senza cessare di essere borghese: contiene, ap-
punto, quella stessa contraddizione per cui la repub-
blica democratica, nella famosa frase di Lenin, è
insieme la forma più compiuta di dittatura della
borghesia e il <' terreno più favorevole» per la lotta
per il socialismo.
Il regno della legge, la mano invisibile smi-
thiana, l'ordine naturale dei fisiocratici e lo Stato
di diritto kantiano sono quindi formulazioni omo-
loghe della stessa istanza borghese, cioè proiezioni
dell'antagonismo sociale e della scissione di società
civile e società politica che caratterizzano il modo di
produzione capitalistico - da un lato l'oggettività rei-
ficata, la formalizzazione dell'ar:archia in imperscru-
tabile provvidenza, dall'altro l'appello a rientrare in
se stessi, l'imperativo categorico, la simpatia. Entw
questa eredità comune dell'ideologia borghese sette-
centesca si articolano le distinzioni storiche, che
diventano lotta drammatica delle varie fazioni bor-
ghesi nella Rivoluzione francese e si stemperano poi
nei bilanci e nei ripensamenti di fine secolo, parti-

1()[\
colarmente in Kant 3 e nel moderatismo della Re-
staurazione. La fermezza del giudizio illuministico,
il franco riconoscimento ( e addirittura la polemica
interna russoiana) delle antinomie del progresso
capitalistico si disgregano però, al volgere di secolo,
da un lato nella piatta ideologia, dall'altro nella
sofferta coscienza della scissione dell'uomo. L'eco-
nomia «volgare» e il primo romanticismo ereditano
in modi opposti il patrimonio delle analisi e pro-
spetti ve sociali dell'età dei lumi e i frutti del con-
flitto rivoluzionario.

' Il rapporto Rousseau-Kant è stato oggetto di larghissima


letteratura. Qui si ricordi appena qualche pwito: Kant riprende dal
Ginevrino le categorie della legge morale e dell'interiorità coscienziale,
da un lato, della legge esterna e sovrana dall'altro. Il suo atteggia-
mento antropologico è opposto a quello russoiano ( teoria del «male
radicale» insito nell'uomo simultaneamente all'imperativo categorico
e come istanza a trasgredirlo) e si accoppia organicamente all'autorita-
rismo pedagogico e al moderatismo politico. Ma al di là di queste
di1Ierenze pur cospicue, l'affinità del discorso è il dato prevalente; le
contraddizioni russoiane sono composte in una visione complessiva del
progresso della specie attraverso gli antagonismi e nella separazione
di questo dalla felicità dell'individuo. Il singolo vive moralmente
( senza dover essere necessariamente felice), la specie progredisce gra-
zie alla libera concorrenza, allo sviluppo della cultura e della dise-
guaglianza, all'ordinamento giuridico-statuale. La critica di Rousseau
alla società presente è recuperata come denuncia, ma compensata con
la fiducia provvidenzialistica nel miglioramento della specie. La cultura
è come la lancia di Achille, che ferisce e risana. Più ampiamente
dr. A. ILLUMINATI, Kant politico, passim, spec. le conclusioni.

191
2. La reazione a Rousseau: l'idéologie

Il movimento degli idéologues, che segna, se-


condo una felice espressione di Sergio Moravia, il
«tramonto dell'illuminismo» 4, è l'espressione intel-
lettuale, e spesso programmaticamente tale, di una
corrente di opinioni e di interessi insieme frutto e
stimolo della prima fase della Rivoluzione francese.
Cosl come i loro immediati antecedenti, i fisiocra-
tici, essi cercano di gestire «illuministicamente»,
con le idee e dall'alto, il processo evolutivo della
società, trovando e via via logorando gli strumenti,
di volta in volta, della monarchia costituzionale,
della repubblica girondina, del consolato bonapar-
tista; sempre travolti nelle loro illusioni (e talvolta
pagando di persona, come Bailly e Condorcet), sem-
pre risorgenti, perché in fin dei conti il loro pro-
gramma borghese, sfrondato da generose utopie e
ambiziose pretese di potere, era poi quello che più
rozzamente altri realizzavano. Di qui la perenne
oscillazione fra opportunismo e astrattezza, fra mac-
chinosità delle proposte e passiva accettazione delle
soluzioni escogitate fuori del loro controllo. Quel
che restava fermo era il concetto di una dittatura

• S. MORAVIA, Il tramonto dell'illuminismo, Bari 1968. Nel libro


son_o riportati i testi che vengono citati nelle pagine seguenti, in
particolare S1EYÈS, Qu'est-ce que le Tiers Etat, Paris 1789, p. 1'7,
163; CoNDORCET, Lettres d'un hourgeois de New-Haven, in Oeuvres,
Paris 1847-49, IX p. 84; CABANIS, OeuVTes, Paris 1956, II p. 484
(dr. MORAVIA pp. 121-3, 196 n. 202, 131, 200, 242, n., 311).

192
dei notabili borghesi, abbellita e mediata dall'ege-
monia dei detentori e dei valori di «cultura»: i
supernotabili dovevano essere, ovviamente, gli idéo-
lo gues stessi, il cui corpo era organizzato con gli
stessi criteri di «gruppo di pressione» che aveva
contraddistinto la «scuola» fisiocratica, con gli stessi
esiti di antipatia organizzata e di turlupinatura da
parte dei «politici».
Se sul piano politico l'azione degli idéologues
fu velleitaria e scarsamente autonoma (anzi, fu
strumentaliizzata da altre forze e per contenuti par-
zialmente differenti, come nella farsa del 18 bru-
maio, in cui il complicato Sieyès fu giocato dal bru-
tale Bonaparte e dall',astuto Fouché - due giacobini
convertiti all'efficientismo borghese), cospicuo fu il
loro contributo all'organizza2Jione culturale ( ordina-
mento della scuola secondaria e dell'università, pro-
grammazione della ricerca scientifica e delle scienze
sociali, istituzionalizzazione de11e varie branche del
«sapere» borghese, classificazione dei dati statistici,
normazione metodologica, ecc.) e ,interessante la
polemica giuridico-politica.
A parte le idee d.i Condorcet sul progresso,
che abbiamo già sommariamente esposto e analiz-
zato, il maggiore interesse verte appunto sulle pre-
se di posizione relative all'organizzazione politico-
sociale - ciò che testimonia l'inevitabile spostarsi
dell'asse intellettuale sulla soluzione dei problemi
pratici posti dal1a rapida evoluzione della situazione
contemporanea.

193
Un elemento centrale della Linea degli idéolo-
gues è la polemica contro certi aspetti di Rousseau
che virtualmente contrastavano al pieno trionfo del-
la borghesia. Per esempio, già nel famoso saggio
Qu'est-ce que le Tiers Etat?, cavallo di battaglia
della borghesia costituzionale agli Stati Generali del
178 9, Sieyès si schiera contro la concezione russoia-
na della volonté générale e riduce la nazione ad
assemblage des individus, le cui leggi sono il ri-
sultato della somma delle volontà individuali, me-
diate dalla borghesia éclairée, addirittura da un vero
e proprio parti philosophique; parallelamente le
diseguaglianze di proprietà e di «industria» sono
parificate a quehle d'età, di sesso, di altezza, sem-
plici distinzioni «di natura», che non intaccano
l'eguaglianza civiile. Ancora nel 1793 un altro espo-
nente degli idéologues, Daunou, contrappone ai con-
cetti russoiano--giacobini del bonheur e dell'intérét
public la doverosità delle garanzie degli intéréts
particuliers e riaffermava che «l'inégalité des jouis-
sances n'est pas une invention politique, mais une
loi de nature; et qu'il faut, ou que cette inégalité
subsiste, ou que la nature des choses et des hommes
soit évidemment comprimée».
Lo scontro è poi frontale a partire dal maggio
1793, fra gli esponenti politici dell'idéologie, i gi-
rondini, e l'erede spirituale di Rousseau, Maximilien
Robespierre, ed è scontro fra l'onnipotenza e il cu1-
to della volontà generale, da un lato, l'elaborazione,
dall'altro, di una scienza politica fondata su norme

194
«razionali», oggettive, cui adeguare i meccanismi
costituzionali e le istituzioni; alla régénération rus-
soiano-giacobina fondata sul «cuore» e sulle «pas-
sioni» si contrappone il riformismo graduale della
«ragione» e delle misure «positive», riformismo ge-
stito dal ceto moderato, possidenti e intellettuali.
Condorc:et, in partricolare, ritiene che la tecnica po-
litica non sia un empirico tentativo di accordare
l'essere con il dover-essere, ma un'oggettiva appros-
simazione a strutture e norme oggettive, cosi da eli-
minare quanto vi è di «arbitrario» nell'ordine
deUa società, grazie all'iniziativa e alla media-
zione di quehla che Lavoisier chiamava «la parcie
instruite et impartiale de la Narion». In tal senso
veniva precisata e sviluppata la tesi del Sieyès, che
sottolineando il carattere di «arte» della costruzione
dello Stato, aveva discinto il compito dello scien-
ziato - constatare l'esistente - da quello del legisla-
tore - fissare il dover-essere. Questa fissazione do-
veva, essa stessa, possedere carattere scientifico,
oggettivo, in ultima istanza aderire a quello che
era pur sempre l'ordre nature! et essentiel dei fisio-
cratici. D'altro lato Sieyès era più ragionevolmente
portato ad accentuare il momento politico come
«arte del possibile», la legge come «architettura so-
ciale», e quindi a negare l'immediatezza della volon-
té générale in nome tanto della mediazione di una
scienza razionale quanto della rappresentanza degli
interessi; la «naturalità» non è più una struttura
quasi fisica, ma un principio giuridico-costituzionale

195
che regge i rapporti mtersoggetuv1, «tout est re-
présentation dans l'ordre social ... ».
Tutta questa tematica, per certi aspetti non
ignota a Rousseau, ma da lui risolta ron ben altra
tensione e apertura verso le esigenze di eguaglianza
sociale, era del resto diffusa largamente alla vigilia
immediata della Rivoluzione, la cui «filosofia», per
dirla con il Groethuysen 5, mirava a conciliare il
principio dell'onnipotenza del corpo sovrano (con
lo slittamento dal monarca al popolo, da Hobbes a
Rousseau) con il liberalismo garantista lockiano;
l'obbiettivo dell'onnipotenza delle leggi diviene così,
caratteristicamente, la tutela dei diritti dell'uomo,
la sfera collettiva viene costruita come protezione
delle altre sfere, le sfere individuali protette dallo
Stato. Il diritto viene in tal modo concepito in ter-
mini teleologici, rome intesa fra gli uomini per uno
scopo comune. La società umana è, sì, un ordre
nature!, ma insieme (e qui l'empirismo di Sieyès era
più efficiente dello scientismo astratto di Condorcet)
una costruzione volontaristica e razionale - che era
poi l'aspetto più polemicamente marcato dal Rous-
seau. Il centro di tale concezione, citiamo ancora
il Groethuysen 6, si riassume nel fatto che «l'uomo

' GROETHUYSEN, Philosophie cit. p. 286, che poco prima (p.


237) aveva più drasticamente espresso lo stesso concetto affermando
che nella Costituzioni rivoluzionarie il diritto si concretizzava essen-
zialmente nella libera proprietà.
' Ib., pp. 229-30; si noti che, per la fusione delle intenzioni della
Provvidenza e dell'attività generico-culturale dell'uomo, un simile pro-

196
è un tutto la cui struttura l'orienta in una direzione
determinata e che, inserito in un universo perse-
guente un complesso di fini superiori ai suoi, lascia
agire questo universo in sé e vi si immette in qual-
che modo, pur svolgendo il ruolo assegnatoli dalla
natura»; la libertà si attua in questa conciliazione
del bisogno e dell'ordine.
Al livello intermedio dehla letteratura di pro-
paganda che accompagna la convocazione degli Stati
Generali la questione del diritto è posta in termini
più concretamente evidenti e concentrare sullo spi-
noso aspetto dell'eguaglianza, su cui continua a far
scuola, più che non Rousseau, la concezione che
aveva trovato espressione nell'articolo Égalité del
Dictionnaire philosophique di Voltaire ( «Il genere
umano è siffatto che non può sussistere, se non vi
è una grande infinità di uomini utili che non pos-
seggono assolutamente nulla . . . L'eguaglianza è
dunque la cosa più naturale e insieme la più chi-
merica»). Con il solito ridimensionamento l'egua-
glianza è vista quasi esclusivamente come eguaglian-
za civile e non sociale ( spesso neppure politica). I
diritti naturali non sono concepiti che come diritti
formali - spiega il Sée 7 - e si appLicano essenzial-

cesso teleologico si manifesta anche nella concezione kantiana della


società e del diritto (cfr. l'Idea di una storia universale dal punto di
vista cosmopolitico e il paragrafo 83' della Critica del giudizio).
7
H. SÉE, Les idées politiques en France au XVIII-e siècle, cit.,
pp. 227-8, 237-8, con particolare riferimento alle Vues générales sur
la Constitution française, 1789, Lb. 39/1278, pp. 33-4, 67 sgg., di

197
mente alla situazione legale dei cittadini. A riprova
sono citati alcuni passi della letteratura di agitmione
del 1788-89: per il Cerotti la vern eguaglianza de-
gli uomini consiste unicamente nel diritto che essi
possiedono tutti alla conservazione della vita, alla
libertà della persona, alla proprietà dei beni, con la
conseguenza che «una camera composta di soli pro-
prietari è la sola diga che si opponga al torrente del-
le dispute che nascono dall'eguaglianza dei diritti e
dalla diseguaglianza delle condizioni»; per il Ker-
saint «un buon governo è quello che mantiene il
più egualmente possibile fra i cittadini la riparti-
zione dei beni riservati all'uomo nello stato di so-
cietà». Le varie Dichiarazioni dei diritta dell'uomo
e Costituzioni, monarchico-moderate, ultra-democra-
tiche e direttoriali non aggiungono molto a queste
esigenze e le ratificano con appena qualche sfuma-
tura fraseologica.
Ma dietro queste controversie dottrinarie pre-
mono le tensioni di classe: quando il fabbricante di
carte da parati Réveillon esprime in un'assemblea
elettorale analoghe considerazioni e conclude che
un operaio può benissimo vivere con 15 soldi al
giorno, i suoi salariati rispondono incendiando la

Ll.RUTTI, e al Bon Sens di KERSAINT, 188, Lb. 39/751, pp. 13-14. Sulla
propaganda elettorale per gli Stati Generali del 1789 e i Cahiers de
doléances, cfr. SoBOUL, La Rivoluzione francese cit., I. p. 113 sgg. e
II pp. 650-2 (bibliografia); importanti considerazioni sul tema in
TOCQUEVILLE, L'Ancien Régime et la Révolution, ed. Lefebvre, Paris
1952 (nelle Oeuvres Complètes, v. II), varie traduzioni in italiano.

198
fabbrica e scontrandosi cruentemente con la gendar-
meria - è il primo episodio rivoluzionario a Parigi.
Il Terzo Stato, ovviamente, non era un blocco omo-
geneo, ma si mantenne tale fìno allo scoppio della
Rivoluzione con il cemento della comune opposi-
zione ai privilegiati e della civendicazione dell'egua-
glianza civile, salvo a dissolversi nella lotta di classe
una volta conquistati i primi obbiettivi unificanti 8 •
La borghesia stessa, trascurando per il momen-
to i contadini e l'esiguo strato degli operai salariati,
era socialmente assai articolata: ai «borghesi» pro-
priamente detti, gli honnétes hommes per eccellenza,
redditieri che vivevano del profitto capitalizzato o
delle rendite defila proprietà fondiaria, si contrap-
ponevano il gruppo assai variegato di coloro i quali
esercitavano professioni liberali o pubbliche fun-
zioni di livello intermedio, e poi la grande borghesia
d'affari, ala marciante di tutta la borghesia, il grup-
po degli artigiani e dei bottegai legati in diversa
misura ai modi tradizionali di prcxluzione. Se que-
st'ultimo strato sfumava rapidamente nel semi-pro-
letariato, i redditieri borghesi e alcune frazioni della
borghesia d 'a.ffuri già si compenetravano con talune
sezioni della media nobiltà e della nobiltà di toga.
Di qui le divergenze politiche e ideologiche:
il conservatorismo politico fìsiocratico (a differenza
dal programma economico, comune a tutto l'illu-

' Cioè a partire dal 1790.

199
minismo, eccetto Rousseau, e a tutto il blocco rivo-
luzionario, tolta la parentesi del Terrore) caratte-
rizza lo strato semi-parassitario e la frazione agrn.rio-
capitalistica della borghesia.
Ideologia e Gironda, che pure proseguono
idealmente i contenuti e la metodologia intellettua-
listico-riformatrice dei fisiocracici, sono piuttosto
espressione ddla grande borghesia d'affari, il mo-
mento apertamente liberale, destinato a essere scon-
fessato quando lo richiedano le esigenze della so-
pravvivenza e dell'egemonia di classe.
Il progressismo russoiano e giacobino - con il
suo singolare intreccio di radicalismo politico e di
conservatorismo economico - è l'ideologia della pic-
cola borghesia e di taluni gruppi coscienti di conta-
dini e di operai, anche se i frutti di questo radica-
lismo, dei metodi del terrore rivoluzionario, cadran-
no inevitabilmente e giustamente nelle mani della
borghesia. L'unità della borghesia come classe e la
sua vittoria storica passeranno attraverso la vittoria
dei giacobini russoiani e il loro successivo sterminio,
mentre il ruolo storico delle ideologie più aperta-
mente borghesi, da Quesnay a Condorcet, resterà
sostanzialmente marginale, o meglio regressivo nelle
fasi di sviluppo rivoh.raionario, vacuo in quelle di
consolidamento borghese (Consolato e Impero), rile-
vante soltanto in particolari fasi di transizione (le
riforme turgotiane, il 1790-1, Termidoro e Diret-
torio).
E' negli anni del compromesso (illusorio) fra

200
monarchia e borghesia costituente che gli idéologues
si presentano come guide deBa nazione, con lo stesso
piglio oltranzista dei fisiocratici ai tempi di Luigi
XV, e con gli stessi magri risultati. La gestione
girondina della guerra e degli inizi della Repubblica
sarà rovinosa e già le dichiarazioni programmatiche
anti-egualitarie di quegli anni mostrano un tono
chiaramente difensivo, davanti alla pressione delle
masse popolari e a:ll',insidia del giacobinismo.
Tuttavia non mancano ancora i compromessi,
sulla linea della difesa del comune interesse bor-
ghese: se il 26 aprile 1791 la municipalità parigina,
diretta da Bailly, frequentatore del circolo degli
idéologues a Auteuil, attacca duramente gli operai
che cercano di coalizzarsi e «taxent arbitrairement
le prix de leurs journées», trascinando i loro com-
pagni con minacce e violenze e conclude con un'in-
terpretazione squisitamente classista dei prindpi im-
mortali» dell'89 ( «Tous les citoyens sont égaux en
droits; mais ils ne le sont point et ne le seront jamais
en facultés, en talens et en moyens: la nature ne
l'a pas voulu» ), il 14 giugno dello stesso anno l'as-
semblea costituente approvava il progetto di legge
contro i sindacati presentato dal giacobino Le Cha-
pelier, che ripropone alla lettera le argomentazioni
degli intellettuali e politici moderati ( condanna del-
l'uso della violenza, esaltazione della libertà del con-
tratto individuale e della famigerata «Ebertà di
lavoro»), rafforzate da un richiamo di tono russoiano
all'indivisibilità del potere ( «il ne doit pas etre

201
penms aux citoyens de certains professions de
s 'assembler pour leur prétendus intérets com-
muns ... Il n'est permis à personne d'inspirer aux
citoyens un intéret intermédiaire, de les séparer de
la chose publique par un esprit de corporations») 9 •
Questa non è affatto ipocrisia: almeno da parte
del proponente c'è una lettura autentica dell'inter-
classismo russoiano e della relativa estraneità ai
problemi «corporativi» di queste machines operaie,
di questi bruti meccanizzati, rispetto ai qua.Li l'auto-
re dell'Emile, come abbiamo visto, nutriva senti-
menti non dissimili da quelli dei fisiocratici. La su-
periorità della volonté générale sulla volonté de tous
si concretizza come dittatura della borghesia sul pro-
letariato, scioglimento dei sindacati, esclusione dei
non abbienti dal diritto di voto e dall'elettività;
l'unità contrapposta al particolare si rovescia nella
particolarizzazione dell'unità, in perfetta coerenza
alla natura presociale dell'homme abstrait, il tutto
superiore alle parti si converte miracolosamente nel-
la parte maggiore del tutto - trionfo dell'anima e
della persona borghese.
D'altra parte, basta guardare al contesto po-
litico: il 21 giugno il re fugge ed è arrestato a
Varennes, ma la borghesia teme lo scatenamento di
reazioni popolari e si stringe alla monarchia, abba-
stanza screditata per non essere più temibile, anco-

' Testi citati in G. MARANINI, La rivoluzione francese nel


«Moniteur•, Milano 1962, pp. 203-8.

202
ra necessaria come diga all'anarchia. Ne approfit-
tano i moderati, e perfino i realisti, per ricattare
i repubblicani sbandierando la minaccia del caos
sociale. «Tout changement dan la constitution est
fatai, tout prolongement de la révolution est dé-
sastreux» - ammonisce Barnave il 15 luglio - «Vous
avez rendu tous les hommes égaux devant la loi ...
un pas de plus dans la ligne de la Hberté, serait
la destruction de la royauté; dans la Hgne de la
légalité la destruccion de la propriété. Sii l'on voulait
encore detruire quand tout ce qu'il fallait détruire
n'existe plus ... trouverait-on encore une aristocra-
tie à anéantir, si ce n 'est celle des propriétés? » 10 •
Si ristabilisce cosl artifìciosamente un clima di
unanimità e di sortiisi fra borghesia moderata e ben-
pensante e monarchia costituzionaleggiante, del tipo
di quella che aveva caratterizzato fa fase delle illusioni
immediatamente anteriore alla convocazione degli
Stati Generali, quando il cahier del Terzo Stato pa-
rigino, ispirato da Bailly, aveva auspicato (ben pri-
ma del 14 luglio!) l'abbattimento pacifico della
Bastiglia e l'erezione sull'area sgombrata dalle ma-
cerie di una colonna «d'une architecture noble et
simple, avec cette inscripcion: A Louis XVI, restau-
rateur de la liberté publique» 11 • Ma i tempi di que-
sta beata fraternità sono passati; il nuovo livello di

" Ib., p. 233.


11
Ib., p. 36 sgg. spec. 50. Per un commento alle vicende poli-
tiche seguite alla fuga di Varennes cfr. SoBOUL, cit., I, p. 216 sgg.

203
compromesso è segnato dai sospetti reciproci fra
costituenti e re, dalla tensione fra borghesia e masse
popolari. All'indomani del discorso di Barnave
Bailly farà massacrare i dimostranti repubblicani al
Campo di Marte ( 17 luglio 1791 ): il tempo delle
belle illusioni e delle minacce verbali è finito, ma
questo apre un solco incolmabile fra moderati e
giacobini, che a questo punto non marciano più e
scelgono una veemente opposimone.
Ne diventano il bersaglio la politica estera av-
venturista dei girondini e sul piano interno i La-
fayette e i Bailly (del quale ultimo ci si ricorderà
a tempo debito durante il Terrore). Anche intel-
lettualmente lo stacco dei giacobini russoiani dagli
idéologues si fa più netto: non a caso Robespierre
nel 1792 farà togliere dalla sala della società dei
giacobini i busti di Mirabeau e di Helvétius, patroni
spirituali degli idéologues, e il secondo anche «ètre
immoral, un des plus cruels persécuteurs de ce bon
Jean-Jacques Rousseau».
Con l'acutizzarsi della Rivoluzione gli idéolo-
gues escono di scena, talvolta in modo drammatico,
condividendo la sorte dei loro amici girondini ( che
sviluppavano coerentemente il liberalismo economi-
co in liberalismo politico); la loro ultima stagione
di gloria tornerà con il Termidoro e il Direttorio,
quando la loro egemonia intellettuale e le loro
ingenue speranze politiche coroneranno lo scontro
confuso fra le esigenze permanenti della borghesia
rivoluzionaria ( ormai assai moderatamente) e le esa-

204
gerazioni controrivoluzionarie dei monarchici e della
;eunesse dorée, aristocratica e sotto-proletaria.
Il conservatorismo degli idéologues si manife-
sta peraltro entro l'adesione alla legalità repubbli-
cana e si articola in una serie interm.inahile di pro-
getti di riforma costituzionale, il cui unico sbocco
concreto sarà il sostegno al colpo di Stato bonapar-
tista, che paradossalmente significherà anche la loro
definitiva esclusione da ogni ruolo politico attivo.
Di qualche interesse sono i punti d'arrivo della po-
lemica anti-russoiana: Madame de Stael ( che, in-
sieme a Constant, farà da tramite fra gli ultimi illu-
ministi e il primo liberalismo venato di romantici-
smo) ripropone nelle Réfl,exions del 1795 una «ari-
stocratie naturelle» fondata sulla proprietà e sulle
lumières e Boissy d' Anglas acuisce magistralmente
le divergeme fra la Costituzione (d'ispiramone par-
zialmente russoiana) del 1793 e quella direttoriale
dell'anno III: «un pays gouverné par les proprié-
taires est dans l'ordre socia!; celui où les non-pro-
priétaires gouvernent est dans l'état de nature»
- dove si sposa esplicitamente la causa della «società
corrotta» contro la régénération russoiano-robespier-
rista, interpretata polemicamente rome «barbarie».
Coloro che avevano tentato inutilmente di chiudere
la Rivoluzione nel 1791 con il sangue del Campo di
Marte e la Costituzione conservatrice e censitaria
accettavano ora con gioia la società gaudente di Ter-
midoro e cercavano di consolidarne le precarie strut-
ture con ingegnose architetture; torna in auge Sieyès

205
e al mito «sovversivo» della natura e del cuore si
contrappone una «ragione» privata ormai di qual-
siasi carica riformatrice. Lo sbocco, peraltro, sarà
amaro per le ambizioni di Sieyès e consorti, giocati
clamorosamente dal 18 brumaio in poi. Resterà la
consolazione del consolidamento economico della
borghesia (che era poi l'essenziale): proprio al vol-
gere del secolo Cabanis, nel tessere l'apologia del
regime consolare, torna ad avanzare il modello di
una repubblica aristocratica retta dalle lumières con-
tro la democrazia immatura e dispotica e rassicura
smaccatamente «propriétaires et capitalistes entre-
prenans» che «le fruit de vos spéculations restera
dans vos mains; il deviendra la juste récompense
de vos efforts», garantendo che «tout se fait pour le
peuple et au nom du peuple; rien ne se fait ni par
lui ni sous sa dictée irréfléchie».
Il rovesciamento di Rousseau è compiuto - un
rovesciamento, s'intende, parziale, in quanto la de-
mocrazia era pur sempre una democrazia borghese
e l'istanza del cuore e del sentimento, non a caso,
si trasmette proprio agli idéologues De Stael e
Stendhal, pionieri della nuova passionalità roman-
tica. Julien Sorel scende da Rousseau quanto
Iperione.

206
3. La democrazia giacobina

La ricerca storica contemporanea, da Mathiez


a Lafebvre a Soboul, ha chiarito largamente il ruo-
lo contraddittorio svolto dai giacobini, punta avan-
zata della rivoluzione borghese e strumento indi-
spensabile per la demolizione del vecchio ordine da
un lato, elemento di freno per 1o sviluppo del gran-
de capitale dall'altro, e quindi l'inevitabile loro
vocazione all'autodistruzione, tanto più in quanto
veniva loro a mancare una base sociale omogenea.
Una volta sconfìtta la controrivoluzione all'-intemo
e frenata l'avanzata della coalizione ai confini, il
loro destino era segnato e la caduta venne accelerata
dall',isolamento in cui si trovarono rispetto alle mas-
se popolari a causa dell'imposizione del calrruere
sui salari e sui prezzi - ovviamente efficace il primo,
inoperante il secondo. Il problema fondamentale
delle classi popolari - di una vera e propria classe
operaia si può parlare molto difficilmente - era il
potere d'acquisto del salario e più genericamente il
costo della vita u; nel 1789 1'88% del reddito po-
polare è vincolato al prezro del pane, che diventa
cosl, ancor più che al tempo della «guerra delle'
farine» ( di cui abbiamo già visto i riflessi teorici
nella polemica Turgot-Necker), l'elemento decisivo

11
Tale aspetto venne riconosciuto per primo dal Mathie:z:, con
il suo importante studio sulla Vie chère; per la formulazione attuale
e i dati si fa riferimento a SoBOUL, cit., I, p. 39 sgg.

207
nello scatenamento delle agitazioni popolari. E' la
fame a mobilitare i sanculotti e i giacobini si carat-
terizzano non per l'abbandono di una piattaforma
borghese, ma per l'introduzione nel contesto della
democrazia borghese radicale di ascendenza russo-
iana di una viva preoccupazione pratica per le sorti
del popolo, per il consolidamento del suo livello di
sussistenza - ciò che d'altronde era consono al popu-
lismo sentimentale dell'autore del Discorso sull'ine-
guaglianza, che aveva contrapposto con colori. cosl
commoventi il lusso dei ricchi alle miserie del po-
polo, la depravazione dei privilegiati all'austera sem-
plicità dell'uomo comune.
La contraddizione, già presente in Rousseau,
fra istanza egualita6a e impero della legge bor-
ghese si riattiva drammaticamente nei giacobini
come contraddizione fra tutela della proprietà e li-
mitazione dei suoi effetti: davanti alle istanze po-
polari, interpretate sia pure in modo avventuristico
e ambiguo da Hébert, Chaumette, Fouché, il grup-
po dirigente giacobino risponde con un tentativo tat-
tico di legalizzare e regolamentare entro limiti accet-
tabili l'espropriazione delle ricohezze eccessive (de-
creti di ventoso, requisizioni, maximum). In tal mo-
do, però, il processo rivoluzionario era congelato
fra la delusione (e in germinale 1 794 con la repres-
sione) e i rigurgiti di moderatismo, non contenibili
soltanto con il ricorso alfa ghigliottina 13 •

" I b., p. 320 sgg.; 361-5.

208
Come ha osservato efficacemente il Soboul, il
governo rivoluzionario del Terrore non solo non
ebbe un carattere di classe, ma si distinse e contrap-
pose al pur confuso movimento di classe dei sancu-
lotti, cercando di costruire un regime interclassista
fondato su una concezione spiritualistica dei rap-
porti sociali, sul primato dell'astratta virtù e del
patriottismo. Il suo crollo era inevitabile e segnava,
teoricamente, il limite invalicabile del progressismo
russoiano, incapace di fuoriuscire dalla dimensione
cristiano- borghese ma troppo radicale per le esi-
genze storiche della grande borghesia 14 • le peculia-
rità che dividevano il modello russoiano dei rapporti
pubblici dal liberalismo lockiano e condorcetiano,
la sua dimensione «plebea» 15 , restavano subalterne
alla logica della democrazia borghese ed erano quin-
di destinate a fallire davanti alle precise esigenze
della borghesia. D'altra parte, anche la tendenza rus-

" Ib., pp. 401-3 ( «Robespierre e Saint-Just ... erano troppo


coscienti degli interessi della borghesia per allearsi interamente
con i sanculotti, ma anche per trovare grazia presso la borghesia»).
" Sulla narura «plebea» (e insieme subalterna al modello bor-
ghese) della dimensione pubblica (Oelfentlichkeit) giacobina vedi un
interessante accenno nell'introduzione di Storia e critica dell'opinione
pubblica di J. HABERMAS (Bari 1971 ), da collegarsi alle considerazioni
sul dominio dell'opinione non-pubblica nel modello russoiano del
Contra! social (ib., p. 119 sgg.), cioè della prevalenza (presunta «non
borghese») del momento pubblico sulla sfera privata, della risoluzione
dell'homme in citoyen. Ma questa è precisamente un'illusione spiri-
rualistica, che solo il neo-liberalismo di Habermas può segnalare
con preoccupato sgomento, come anticipazione della moderna mani-
polazione delle coscienze.

209
soiana alla democrazia diretta su base interclassista
era irrealizzabile: Rousseau la riteneva praticabile
esclusivamente nei piccoli Stati, la Costituzione del
1793 la recepisce in misura minima e d'altronde
essa fu sospesa per tutto il periodo del Terrore, che
costitul un modello tipico di governo d'assemblea
intorno a una leadership carismatica collettiva ( e
transeunte).
Dal punto di vista teorico non troviamo nei
giacobini formulazioni innovatrici rispetto alla dot-
trina russoiana: Robespierre dichiara che «il s'agit
bien plus de rendre la pauvreté honorable, que de
proscrire l'opulence» 16, citando subito dopo l'ine-
vitabile tugurio di Fabrizio, come nel Discorso sulle
scienze e le arti, critica l'eccessiva tutela della pro-
prietà nella Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del
cittadino del 179 3 integrandolo con la salvaguardia
della dignità di tutti i cittadini, con la limitaziione
del diritto di proprietà con il rispetto dell'altrui di-
ritto, insomma con la contrapposiizione degli hommes
(i borghesi comuni) ai riches (i borghesi privilegiati).
Viva è anzi la preoccupazione di scartare esaspera-
zioni «estremistiche»: nel febbraio 1794 Robespier-
re pone l'obbiettivo di sostituire in Francia la mo-
rale all'egoismo, la probità all'onore, i prindpi alle
usanze, l'amore della gloria a quello del denaro, la
verità all'apparenza, la virtù repubblicana al vizio
delle epoche dispotiche, ma allo stesso tempo am-

" Cit., in MARANINI, La rivoluzione francese, cit., pp. 399-400.

210
monisce che la democrazia non significa riunione
permanente del popolo per regolare gli affari pub-
blici, ma «un État où le Peuple souverain, guidé
pas des lois qui sont son ouvrage, fait par lui-meme
tout ce qu'il peut bien faire, et par des délégués tout
ce qu'il ne peut pas faire lui-meme». Si rivendica la
virtù della polis classica, ma si definiscono realistica-
mente i poteri della dittatura democratico-borghese 17 •
E nel ventoso, simultaneamente a quei decreti che
sanciscono il massimo di espropriazione legale della
ricche-zza (ma sempre come punizione dei controrivo-
luzionari), Robespierre difende i commercianti con-
tro l'estremismo delle società popolari sanculotte,
accusandole di fare il gioco della reazione: «Si le
marchand est nécessairement un mauvais citoyen, il
est évident que personne ne peut plus vendre; aussi
cet échange mutue! qui fait vivre les membres de la
société est anéanti, et par conséquent la société est
dissoute» - ciò che ricalca, a parte le evidenti esi-
genze del realismo politico, l'ammonimento del pe-
dagogo a Emilio ( «nulle société ne peut exister sans
échange») 18 • E in generale sul piano economico po-
co possiamo trovare che vada al di là di un indistinto
sentimento di frugale eguaglianza o di misure d'emer-
genza (calmieri, requisraioni a scopi bellici, tasse
straordinarie); appena qualcosa di più nelle richie-
ste hébertiste di economia regolata o in brillanti

" Ib., pp. 527-8.


" Ib., p. 354.

211
misure occasionali, come il pane repubblicano di
Fouché 19 •
Le novità, o meglio le accentuazioni originali
sono quelle che si riferiscono ai metodi di lotta poli-
tica e al riconoscimento morale della dignità delle
masse. Per il primo aspetto è esemplare la forza
con cui Saint-Just contrappone il potere democratico
ai vari livelli di compromesso borghese con la mo-
narchia 21>, la sua coscienza del carattere irreversibile
e ininterrotto della rivoluzione, l'idea della demo-

19
Tutta la fase del proconsolato di Fouché a Nevers e a
Moulins è di grandissimo interesse sia per il radicalismo delle
prese di posizione economiche, politiche e filosofiche - dall'uniforma-
zione del tipo di pane, alle requisizioni livellatrici e alla celebre
iscrizione, che tanto scandalizzò lo spiritualista Robespierre, .. la
mort est un sommeil éternel» sia per la straordinaria coerenza
fra tale radicalismo e la sua successiva carriera di difensore degli
interessi borghesi contro le minacce di destra e di sinistra. Il carat-
tere «tenebroso,. tanto volentieri attribuito a Fouché è nient'altro
che la personalizzazione, singolarmente veristica, dell'ambiguità delle
contraddizioni borghesi in uno dei suoi esponenti più lucidi.
"' La base teorica dell'argomentazione è data dall'estraneità del
re al patto sociale, dato che il contratto è pactum associationis fra
i cittadini e non pactum subiectionis (in senso hobbesiano) nei ri-
guardi del tiranno; di conseguenza il re è fuori della legge e viene
colpito secondo una legge di guerra, come nello stato di natura;
politicamente si rileva con molta giustezza che la rivoluzione comin-
cia soltanto quando il tiranno finisce (Cfr., SAINT-JusT, Discorsi
alla Convenzione, Milano 1952, p. 15 sgg. e MARANINI, cit., p. 354
sgg.). Gli fa eco Robespierre, negando che possa esistere pace o
convivenza fra l'oppressore e l'oppresso (cioè la cattiva socializza-
zione di cui parlava Rousseau, il patto iniquo); occorre essere in-
flessibili con gli oppressori per compassione verso gli oppressi
(MARANINI, cit., p. 357 sgg.; 369 sgg.).

212
crazia come dittatura spietata della maggioranza po-
polare sulla minoranza controrivoluzionaria e sulla
palude degli opportunisti 21 ; per il secondo aspetto
è ancora Saint-Just a trovare gli accenti più persua-
sivi, ad annunciare che «la felicità è un'idea nuova in
Europa» e che sul suolo repubblicano non devono
esservi più né oppressori né infelici, che «gli infelici
sono le potenze della terra», i soli che abbiamo il di-
ritto «di parlare da padroni ai governi che li trascu-
rano» 22 .
Ma non sono soltanto i grandi leader giacobini
a parlare questo linguaggio: la dimensione «plebea»
della democrazia rivoluzionaria coinvolge diretta-
mente gli strati popolari, che spesso sono anche più
avanzati. EsemplaTe è la fiera dichiarazione di una de-
legazione del faubourg Saint-Antoine nel mar-

21
«On ne fait pas les révolutions à moitié» - esclama Saint-Just
introducendo il progetto di riorganizzazione dell'esercito rivoluzio-
nario 1'11 febbraio 1793 (MARANrNr, cit., p. 372) e nel grande di-
scorso dell'8 ventoso (26 febbraio 1794) ribadisce che ciò che
costituisce una repubblica è la distruzione integrale di ciò che le si
oppone e che tale processo non conosce tregue: «Ceu.x qui font
des révolutions à moitié, n'ont fait que se creuser un tombeau»
(ib., p. 536 e 542). Altri passi significativi nel discorso del 19 ven-
demmiaio dell'anno II (10 ottobre 1793 ), in cui dopo aver ricor-
dato che la Repubblica ha prevalso sulla monarchia per diritto
di conquista e come dittatura della maggioranza e che ogni opposi-
zione moderata è fuori della legge (e quindi «il faut opprimer !es
tyrans» }, si conclude con epica semplicità: «Ceux qui font des
révolutions dans le monde, ceux qui veulent faire le bien, ne
doivent dormir que dans le tombeau» (MARANINI, p. 452 sgg.}.
21
SAINT-JusT, Discorsi, cit., p. 83 e MARANINI p. 543.

213
zo 1792: «Oui, M. M., les courtisans, les rois, les
ministres, la liste civile passeront; maiis les droits
de l'homme, la souverainété nationale et les piques
ne passeront jamais» 23 - dove i vincitori della Basti-
glia e futuri sanculotti affiancano agli istituti demo-
cratico-borghesi la forza del popolo in armi, il mo-
mento della rivoluzione in permanenza, la confusa
istanza di un diritto alla felicità e all'eguaglianza
sociale gestito direttamente.
E in ultima analisi anche il programma di Ba-
beuf poco aggiunge al radicalismo russoiano-giacobi-
no in materia di organizzazione della società. Vi
ritroviamo infatti i soliti motivi dell'egualitarismo,
della volontà unitaria del popolo, della rigenerazio-
ne, della frugalità; importante è la teorizzazione
esplicita di quella che era soltanto una pratica incon-
fessata dai giacobini, la dittatura provvisoria di
una minoranza rivolU2Jionaria in nome dei veri
interessi del popolo - una dittatura esercitata grazie
alla prevalenza delle istituzioni comunali di Parigi
su una Convenzione ormai screditata e fisicamente
falcidiata. La virtù è associata non solo all'egua-
glianza civile ma al comunismo della distribuzione
e al comunismo agrario, e quindi garantita non sol-
tanto dal patriottismo e dall'educazione ma anche
da determinate condi2'lion~ economico-sociali 24 • In

MAKANINI, cit., p. 281.


23

" Sulla congiura di Babeuf vedi le pagine fondamentali di


G. LEFEBVRE, Il Direttorio, Torino 1952, p. 38 sgg., ripreso in

214
questo è un notevole progresso rispetto ai giacobini,
la cui avversione alle leggi agrarie e a redistribu-
zioni non occasionali delle proprietà non è soltanto
tattica bensl strategica e ideologica, mirando Marat,
Robespierre e Saint-Just alla limitazione e non al
rimescolamento totale o alla soppressione della pro-
prietà agricola 25 e fermo restando lo scarso interesse
che tutti i rivoluzionari (Babeuf compreso) nutro-
no per la proprietà industriale, sottovalutata o di-
sprezzata al pari del loro maestro Rousseau.
Dal punto di vista economico la comunità babu-

SoBOUL, cit., II, p. 486 sgg.; altre considerazioni interessanti nel


pur fazioso TALMON, Le origini della democrazia totalitaria, cit.,
p. 247 sgg. Documento fondamentale è la narrazione di BuoNARROTI
(Congiura per l'eguaglianza o di Babeuf, tr. it., Torino 1946), sul
quale esistono ottimi studi di Cantimori, Galante Garroni e Saitta.
"' Più ancora delle ripetute dichiarazioni pubbliche di Robe-
spierre e Saint-Just contro la legge agraria e la chimera dell'egua-
glianza dei beni attribuibili in parte anche alla preoccupazione
per le speculazioni reazionarie è importante esaminare anche i
frammenti politici di Saint-Just (per es., in Discorsi, cit., p. 146),
dove nel ribadire il concetto di proprietà come diritto sociale, base
della necessaria indipendenza di tutti i cittadini, si respinge la
ripanizione delle terre e si propone la fissazione di un duplice
limite, minimo e massimo, di proprietà agricola, cosl da dare a
ognuno i m=i sufficienti al proprio sostentamento e da costringere
il ricco a vendere l'eccedente, alimentando cosl il commercio. Si con-
cilia in tal modo la naturalità della proprietà ( «principio della vita
sociale») con l'ideale di frugale mediocrità, eguaglianza e dignità
dei cittadini. Sempre nello stesso ambito di democraticismo inter-
classista la soluzione di Babeuf è evidentemente più avanzata e
e aperta all'avvenire, ma resta parimenti estranea ai reali processi
di sviluppo del capitalismo.

215
vrista si sarebbe fondata su un'onorevole mediocrità,
la messa in comune delle terre e dei beni immobiliari,
la soppressione del denaro, il lavoro obbligatorio, la
pianificazione di una produzione limitata alle strette
necessità e, nei limiti del possibile, autarchica. La
natura spontaneamente buona del cuore umano
avrebbe garantito l'affermazione graduale di questo
sistema dopo una fase transitoria di costrizione contro
i ricchi e i reazionari. Siamo, come si vede, ancora nel
clima del Progetto di costituzione per la Corsica, ag-
giornato evidentemente con l'esperienza rivoluzio-
naria ma ancora remoto dall'idea della lotta di clas-
se; l'idea di un'educazione pubblica dei fanciulli e del-
l'adozione della religione naturale strutturata in
dogmi sanzionanti il nuovo ordine sociale riflettono
altri momenti dello schema russoiano e ripropongono
l'ideale della polis. Anche se non mancano in Babeuf
motivi più avawati - per esempio una valutazione
positiva delle macchine e del lavoro industriale - il
maggiore interesse del suo pensiero riguarda la prassi
dittatoriale-rivoluzionaria, destinata a influire, attra-
verso Buonarroti e Blanqui, sul movimento democra-
tico e socialista del XIX secolo, mentre la concezione
della società resta all'interno del progressismo
russoiano-giacobino, ,appena corretto con un recu-
pero di elementi di comunismo utopistico la cui proie-
zione nel futuro sarà assai mediata e sfumata.

216
4. Il pensiero controrivoluzionario

E' osservazione assai giusta di Lefebvre 26 che,


nella sua dipendenza dall'empirismo storicista e con-
servatore degli inglesi, in particolare di Hume, Ben-
tham e Burke, il pensiero controrivoluzionario non
si qualifica apertamente come irrazionalistico, bensl
cercava un tipo diverso di rapporto fra la ragione e
l'esperienza scientifica e storica, privilegiando l'empi-
ria rispetto alla generalizzazione astratta e fondendo
il pragmatismo con le tendenze che allora prevale-
vano nelle scienze naturali, il vitalismo e, per certi
aspetti, il preformismo 27 • Considerando l'essere vi-
vente come il frutto di una germinazione spontanea
e progressiva dovuta a una forza irrazionale chiama-
ta vita, Burke parlava per analogia della società rome
di una pianta o di un animale, di cui l'individuo non
sarebbe che uno degli organi, di modo che l'autorità
sociale si imporrebbe a lui come una condizione della
sua esistenza, a cui egli non sarebbe ·in grado di sot-

,. G. Ll.FEBVRE, Napoleone, tr. it., 1969, Bari 1%9, p. 16 sgg.,


che sviluppa anche un'interessante analisi del rapporto fra Rivolu-
zione francese, controrivoluzione e romanticismo; cfr. anche SoBOUL,
cit., II, pp . .57~, dove si richiama l'assonanza di certo sentimen-
talismo controrivoluzionario e romantico con quello russoiano. Lo
studio più esteso sull'ideologia e la pratica ( non correlate) della
controrivoluzione è quello di J. GoDEO'IOT, La contrerévolution,
1789-1804. Paris 1961.
v Sul contenuto e il significato culturale di queste teorie
biologiche facciamo riferimento a F. }ACOB, La logica del vivente,
tr. it., Torino 1971, p. 6.5 sgg., 109 sgg.

217
trarsi più che alle sue esigenze corporali. E' diffuso
nello stesso tempo il preformismo, cospicuamente in-
fluente su Kant 28 , che spiega la st.abilità dei caratteri
eredi tari con la teoria della presenza nel seme ma-
schile o femminile dell'animale sviluppato in minia-
tura, contenente a sua volta, in un sistema di scatole
cinesi, tutta una serie infinita di germi-animaletti.
Lo sviluppo, anche quello storico, si fonda quin-
di su predisposizioni naturali ineluttabili, che rinviano
a una decisione originaria della Provvidenza e sfug-
gono alla razionalizzazione astratta operata volonta-
risticamente dall'uomo. Lo studio della storia, delle
tradizioni, delle istituzioni si sostituisce all'idea della
ricostruzione integrale della società e della «rigene-
razione»; la continuità si contrappone alla rottura; la
cauta riforma, che asseconda il funzionamento orga-
nico dell'esistente, è migliore della rivoluzione che
spezza meccanicamente i delicati congegni sociali sen-
za ricreare nuovi equilibri. Il mito della tradizione su-
bentra a quello della natura, ma senza un rifiuto della
ragione, così che il pensiero controrivoluzionario,
almeno in Inghilterra e in Francia, pur collegandosi
al nascente romanticismo non segna una frattura
netta con le correnti illuministiche, di cui recupera
le tendenze conservatrici, le perplessità anti-fisiocra-

" Cfr., specialmente i saggi Delle diverse razze di uomini e


Determinazione del concetto di rav.a umana (Scritti politici, cit.,
p. 105 sgg. e 177 sgg.). In Kant preformismo e vitalismo si intrec-
ciano come teleologia.

218
tiche (Necker, Linguet, Rivarol), la componente vi-
talistico-teleologica che era parte integrante del pen-
siero scientifico, da Bichat a Cuvier, e che si era
potentemente riBessa in Kant, cerniera fra Aufkla-
rung e idealismo.
Anche la nascente economia politica, con la
teoria ricardiana della rendita decrescente e con il
pessimismo malthusiano, sembrava dar torto alle il-
lusioni progressiste di Turgot e Condorcet e segnare
i limiti invalicabili dell'ascesa della pace e del benes-
sere. Ma paradossalmente la controrivoluzione tro-
va ispiratori e sostegni nel campo stesso dell'illu-
minismo, mobilita contro la rivoluzione, identificata
piuttosto sommariamente nel razionalismo di stampo
cartesiano, quelle forze sentimentali e meta.fisiche che
erano state alla base della polemica russoiana con-
tro i philosophes o della restaurazione etico-religiosa
di Kant. In tal modo, però, il movimento di restaura-
zione manteneva la risonanza di alcuni dei filoni più
profondi del pensiero settecentesco e li trasmetteva
alla rielaborazione romantico-storicistica, spesso affac-
ciando, per ragioni di polemica reazionaria contro
l'ascesa della borghesia, la tematica delle sofferenze
popolari e dei contrasti di classe. Il socialismo «feu-
dale», dopo i primi preavvisi in Llnguet e Necker,
fiorisce proprio sul tronco della controrivoluzione,
con interessanti riBessi anche sul pensiero sociolo-
gico.
La connessione con il dibattito interno dell'illu-
minismo è palese in Mallet du Pan, che riceva le con-

219
trastanti influenze di Voltaire e di Linguet, si sposta
su posizioni moderate, peraltro non troppo dissimili
da quelle che poi si affermeranno con il Termidoro,
respinge le tesi ridicole dei complotti massonico-filo-
sofìci alla Barruel e vede tutte le ragioni dello sfa-
sciamento dell'ancien régime, temendo non tanto la
repubblica quanto la vittoria dei non-proprietari, di-
venta il cervello del partito monarchico nel 1789-90
e la sgradita coscienza critica dell'emigrazione negli
anni successivi; sostanzialmente è un riformatore
illuminato, avverso ai sanculotti ma attaccato al ra-
zionalismo e ai «lumi» 29 •
Ben diverso l'atteggiamento dei «teocrati»,
Louis de Bonald e Joseph de Maistre. Quest'ultimo è
indubbiamente il più celebre e, grazie anche alla qua-
lità della sua scrittura, il più popolare nella tradizio-
ne reazionaria, fino ai nostri giorni. Nella sua giovi-
nezza de Maistre è massone, adepto delle tendenze
mistiche che facevano capo a Saint-Martin, riforma-
tore nello stile dell'assolutismo illuminato della sua
Savoia, approva i primi atti dell'Assemblea Costi-
tuente, che interpreta come realizzamone di un com-
promesso moderato fra potere regio e legittime esi-
genze liberali. Subito dopo, peraltro, si manifesta
la sua opposizione alla rivolll11ione, accelerata
anche dall'invasione francese in Savoia e Piemonte;
nei suoi primi scritti manifesta il timore che la ca-

" Su Mallet du Pan, dr., GoDECHOT, cit., p. 75 sgg. e N. MAT-


TEUCCI, ]. Mallet du Pan, Napoli 1957, passim.

220
duta dei privilegi dell'aristocrazia corrisponda allo
sfasciamento di un sistema valido di funzioni e
valori e all'avvento dell'odiosa gerarchia della
ricchez2ia.
Nelle Considérations sur la France del 1796
egli enuncia pienamente la sua teoria della contro-
rivoluzione: tutta l'Europa si trovava nel 1789 in
uno stato di profonda decadenza morale e religiosa,
frutto della Riforma protestante, dell'illuminismo e
della corruzione dei costumi. La Francia non è più
colpevole degli altri Stati e la soluzione della crisi
non è la punizione della Francia a opera delle po-
tenze della Coalizione ma una generale restaurazio-
ne morale e religiosa, prima ancora che politica. Non
si chiede dunque ,il ristabilimento integrale dell'an-
cien régime, i cui difetti hanno proprio portato alla
rivoluzione, ma la costruzione di un regime teocra-
tico la cui ispirazione, caso mai, risale al Medioe-
vo.
Già nella prima frase della Considérations vie-
ne esposta un'ideologia della Provvidenza che giu-
stilica le rivoluzioni come momenti di un disegno im-
perscrutabile di sconvolgimento e redenzione del-
l'umanità, elementi «satanici» di un piano «divi-
no»: «Nous sommes tous attachés au trone de
l'Etre supreme par une chaìne qui nous retient sans
nous asservir. Dans les temps de révolution, la
chaìne qui lie l'homme se raccourcit brusquement,
son action diminue et ses moyens le trompent. Ja-
mais la Providence n'est plus palpable que lorsque
221
1'action supérieure se substitue à celle de l'homme
et agit toute seule, c'est ce que nous voyons dans
ce moment».
La storia è giustificata come teatro della Prov-
videnza, ma questa non è la pura e semplice traspo-
sizione di Bossuet, bensl una legittimazione (invero
singolare) dell'accadere umano contro la dispera-
zione degli uomini, solo perché attua direttamente
e rapidamente, senza media.2Jioni, i progetti di Dio.
Insomma, la Provvidenza è un criterio relati-
mente più storicistico che non i complotti massonici
ipotizzati dalla pubblicistica controrivoluzionaria cor-
rente per spiegare la rivoluzione. Sotto questa cate-
goria provvidenziale viene anche sussunta la natura
dell'uomo, che la ragione deve conoscere e alla
quale deve adeguare le istituzioni. Ma questa natu-
ra non è più quella russoiana, all'uomo di natura
si sostituisce l'uomo sociale, voluto e determinato
dalla storia (che, appunto, è provvidenziale); ma
allora la ragione non deve distruggere l'esistente,
bensl glorificarlo, accettare i «pregiudizi» come pro-
dotti storicamente giustifìcaù e funmonali alle esi-
genze perenni dell'uomo (qui de Maistre rivela l'in-
fluenza di Burke ). La fede è cosl la base della
ragione, la monarchia e il papato le costanti fonda-
mentali delle società storiche, la guerra stessa, al
pari della rivoluzione, è lo strumento con cui si
attua dialetticamente il corso cli una storia provvi-
denziale che guida gli uomini ben più di quanto
costoro la controllino. L'infallibilità del Papa e il

222
potere assoluto del re sono i simboli stessi della
trascendenza della Provvidenza sulle vicende umane.
Rovesciando sistematicamente Rousseau ( ma
conservandone tuttavia alcune istanze, come quella
dell'unicità del potere contro ogni bilancia feudale)
de Maistre afferma che l'uomo storicamente non è
mai stato libero, ma anzi schiavo, per lo meno fino
all'avvento del Cristianesimo mitigatore, che l'uo-
mo è un essere 'insieme morale e corrotto ( ciò che
è assonante con la teoria kantiana del «male radi-
cale» e dell'imperativo categorico) e che quindi de-
ve essere governato, se non vuole restare insieme
socievole e insocievole; per evitare l'urto continuo
degli egoismi occorre quindi l'esercizio legittimo e
giusto di una sovranità illimitata, che si esprime
simbolicamente nella sentenza del tribunale e nella
scure del boia.
Ribaltando inconsapevolmente la kantiana un-
gesellige Geselligkeit - l'insocievole socievolezza del-
l'antagonismo borghese - de Maistre rifiuta con or-
rore la legge della concorrenza capitalistica e ogni
sua giustificazione armonico-provvidenzialistica, ma
batte l'accento sulla subordinazione dell'individuo
alla società intesa come entità a se stante e in rap-
porto reciprocamente funzionale con il potere so-
vrano: «l'homme étant clone nécessairement associé
et nécessairement gouvemé, sa volonté n'est pour
rien dans l'établissement du gouvemement, car dès
que les peuples n'ont pas le choix et que la souve-
raineté résulte directement de la nature humaine, les

223
souverains n'existent plus par la grace des peuples;
la souveraineté n'étant plus le résultat de leur vo-
lonté que la société meme ... Le peuple est fait
pour le souverain, et le souverain est fait pour le
peuple; et l'un et l'autre sont faits pour qu'il ait
une souveraineté», come i vari pezzi dell'orologio
sono costruiti in funzione l'uno dell'altro e tutti
insieme per indicare l'ora.
In questa giustificazione funzionalistica del-
l'esistente già traspare un tipo di ipostasi quasi he-
geliano, dove il popolo figura quale prcxìotto dello
Stato, ma la motivazione provvidenzialistica è più
aperta, cosl come il rinvio, alternativo a Rousseau,
al peccato originario, con conseguente dislocazione
della volonté générale fuori dell'umanità corrotta,
ma come fondamento autoritario della sua ricompo-
sizione sociale e redenzione morale e religiosa 30 •

" Per i testi citati cfr. GoDECHOT, cii., p. 94 sgg., J. DE MAISTRE,


Du Pape, Paris s. d. (classiques Gamier), spec. pp. 21-2, 142 sgg.,
149, 151, 267 sgg.
Per la prospettiva filosofica e antropologica sono importanti
le Soirées de Saint-Pétersbourg ou Entrétiens sur le gouvernement
temporel de la Providence (tr. it., Le serate di Pietroburgo, Milano
1971 ), in cui de Maistre ricapitola le sue teorie sul rapporto fra
male e punizione, storia e provvidenza, governo e popolo e polemizza
lungamente contro i capisaldi del pensiero razionalista, da Bacone a
Locke, da Voltaire a Rousseau, respinge il mito del buon selvaggio
(il selvaggio è un civilizzato degenerato per le colpe della sua civiltà),
elogia le superstizioni come avamposto della religione, difende
l'idealismo contro il materialismo richiamandosi al modello platonico
e svalutando la scienza e ancor più le ambizioni politico-<:ulturali
degli scienziati.

224
Meno brillantemente profetico, ma pm siste-
matico e analitico, Bonald si ricollega per molti
versi alla tradizione illuministica conservatrice, so-
prattutto ai fisiocratici, malgrado la sua indifferenza
per i problemi dello sviluppo economico e la sua
avversione alla concorrenza borghese e ai valori con-
nessi. Nella sua monumentale Théorie du pouvoir
politique et religieux, uscita simultaneamente alle
Considérations di de Maistre, ma caratterizzate da
una maggiore rigidità monarchica e da un minore
abbandono alla Provvidenza, egli delinea i prin-
dpi essenziali di una «sociologia dell'ordine» che ha
i suoi pilastri nel potere assoluto e nella religione.
Per certi versi Bonald, che personalmente ebbe
una collocazione molto autonoma nelle file dell'emi-
grazione e accettò di reinserirsi cautamente nel re-
gime napoleonico, ricalca il filo del ragionamento
russoiano: l'uomo è buono, «tel qu'il est sorti des

Questa Summa del pensiero reazionario non fuoriesce, tutta-


via, dall'ideologia illuministica, ai cui filoni marginali anzi si appa-
renta, testimoniandone in forma estrema e paradossale la componente
platonizzante e restando completamente esrranea (sebbene de Maisrre
conosca e citi, caso raro per l'epoca, Kant) al nascente idealismo.
Il rapporto fra de Maistre e l'illuminismo (che non fu tutto razio-
nalismo rivoluzionario) è analogo a quello che si stabill all'interno
della massoneria fra progressismo materialistico e laico e spirituali-
smo «illuminato» alla Saint-Martin. L'ideologia settecentesca vede
il conflitto triangolare fra razionalismo democratico, razionalismo
conservatore e platonismo ed è in tale contesto che affonda le sue
radici anche il pensiero controrivoluzionario, in cui de Maistre
si distingue per un costante riferimento al dogma cattolico, ma
senza un vero e proprio irrazionalismo.

225
mains de son créateur» (con esplicita citazione
dall'Emile), e perciò tende a conservarsi, cioè a man-
tenere uno stato conforme alla sua natura, e a con-
servare Dio (come religione). Conservazione signi-
fica conservazione del prossimo, come immagine di
sé, quindi predominio della socialità sulle volontà
particolari, sugli amori particolari, sulle fone par-
ticolari, ciò che esige una volontà generale, una forza
generale, un amore generale. Questo predominio
(che rimanda, in qualche modo, a una reinterpreta-
zione della dialettica russoiana di amour de soi e
amour propre) non è garantito dalla religione na-
turale e dalla famiglia, che sono unità di produzione
degli uomini, non di conservazione, bensl esclusiva-
mente da istituzioni socialmente più complesse e
definite, il cristianesimo e la monarchia. Il re - per
restare sul piano della conservazione politica della
socialità - rappresenta quest'amore generale, è «le
pouvoir général ou socia! conservateur», non diret-
tamente l'assunzione di una volonté particulière ( di
per sé déréglée, come qualsiasi altra) come simbolo
della volonté générale, né tanto meno il detentore
di una force particulière, sempre insufficiente a in-
terpretare la force générale. Il re, pertanto, non è
il potere esecutivo o quello legislativo o quello giu-
diziario, ma il potere generale conservatore che,
per fare eseguire le leggi, espressione della volontà
generale conservatrice, agisce per mezzo della forza
generale: «ainsi, volonté générale manifestée par
des lois fondamentales; pouvoir général exercé par

226
un roi, agent de la volonté générale; farce générale
ou publique, action du pouvoir général, formèrent
la constitution de la société de conservation, ou de
la société policique générale».
Questa è l'unica forma della société constituée,
rispetto alla quale si collocano, quasi come «opposti
estremismi», due cipi di société non constituée, cioè
disorganica, retta da rapporti non-necessari fra gli
uomini, la repubblica (pluralità di volontà partico-
lari) e il dispotismo ( volontà particolare di uno solo).
Qui il Bonald sfìora la tematica della forma regi-
minis che Kant chiama negli stessi anni «repubbli-
cana», cioè preferibilmente monarchica ma fondata
sul predominio della legge impersonale e contrap-
posta al dispotismo democratico o dittatoriale, co-
munque totalitario.
Bonald condanna decisamente l'individualismo,
a partire dalla concezione generale della storia, espo-
sta nell'introduzione alla Théorie e in cui con straor-
dinario vigore si capovolge il dottrinarismo illumi-
nistico corrente: «dans tous les temps, l'homme a
voulu s'ériger en legislateur de la société réligieuse
et de la société politique, et donner une constitution
à l'une ou à l'autre: or, je crois possible de démon-
trer que l'homme ne peut pas plus donner une
constitution à la société religieuse ou politique, qu'il
ne peut donner la pesanteur aux corps, ou l'étendue
à la matière, et que bien loin de pouvoir constituer
la société, l'homme, par son intervention, ne peut
qu'empecher que la société ne se constitue, ou, pour

227
parler plus exactement, ne peut que retarder le
succès des eflorts qu'elle fait pour parvenir à sa
constitution naturelle», cioè quella corrispondente
alla nature des choses; non solo l'uomo non deter-
mina ( «consti tue») la società, ma è la società a de-
terminare l'uomo, mediante l'educazione sociale.
«L'homme n'existe que pour la société et la société
ne le forme que pour elle: il doit donc employer au
service de la société tout ce qu'il a reçu de la nature
et tout ce qu'il a reçu de la société, tout ce qu'il est et
tout ce qu',j,} a. Servir la société c'est l'administrer»;
la volontà generale che riassume la socialità non può
d'altronde risiedere nel popolo, che ne è invece il
naturale suddito; gli uomini singoli non hanno di-
ritti, ma doveri, e il popolo in quanto tale, cioè
conformemente ai rapporti necessari della società,
ha solo il diritto di essere governato.
E' questa, ancora, un'originale rielaborazione
di temi fisiocratici (le leggi come espressione di
rapporti necessari di cui l'autorità civile compie ap-
pena una dichiarazione) e russoiani (l'unità e indi-
visibilità del potere, il singolo come unità frazio-
naria, lo snaturamento politico dell' homme nel
citoyen ), con un ribaltamento del soggetto della so-
vranità dal popolo al sovrano assoluto, vincolato per
altro dall'oggettività delle cose, una mescolanza,
sotto la fraseologia fìsiocratico-russoiana, della lex
naturalis cristiana e dell'assolutismo hobbesiano co-
me tutela della pace. Non a caso, quindi, viene con-
dannato l'individualismo come esplosione del parti-

228
colarismo antagonistico e del bellum omnium contra
omnes e la società, la cultura vengono poste come
repressione delle volontà individuali sviate, supera-
mento dello stato selvaggio e perfino, esistenzialmen-
te, durata e conservazione contro un processo di in-
dividualizzazione in cui «tout s'y rétrécit et s'y
concentre dans la vie présente».
Alla base della società «constituée» non tro-
viamo quindi l'atomismo individualistico, ma le
unità familiari, le distinzioni funzionali dei ceti e
delle professioni, le corporazioni di mestiere, le co-
munità locali relativamente autonome e dirette dai
notabili, l'articolazione dei gruppi intermedi in ge-
nerale, la ricchezza (soprattutto la rendita agraria),
incorporata però al ceto, non assunta come criterio
astratto, materiale, praticabile a qualsiasi parvenu
(di qui la condanna del regime censitario dell'anno
III, per cui il potere politico è attribuito alla ric-
chezza e non al ricco, al denaro e non al proprietario
fondiario).
Conclude l'arco della tematica bonaldiana un
duplice ricorso a Rousseau: l'esaltazione, invero
strumentale e paternalistica, del cuore e del senti-
mento, come fonte di sottomissione alla tradizione
all'autorità (cioè una polemica da destra contro l'il-
luminismo, in termini analoghi a quelli che Jean-
Jacques conduceva da sinistra) e una considerevole
valutazione dell'individualità dei popoli ricondotta,
in contrasto con la teoria di Montesquieu sulle in-
fluenze climatiche, al ruolo delle istituzioni nazio-

229
nali. In questo caso l'aperta citazione da Rousseau
pone in rilievo il rapporto fra il pre-romancicismo
del cittadino di Ginevra e il nascente tradizionali-
smo romantico-nazionale dell'era napoleonica 31 •
Complessivamente la teoria sociologica di Bo-
nald è di grande interesse, nella misura in cui con-
testa le fondamenta del contrattualismo giuridico
borghese e pone l'accento sulla priorità dell'elemen-
to sociale sulla volontà individuale. Certo, a ren-
derlo acuto (e storicamente ingiusto) contro le fin-
zioni giuridiche e le ipotesi di lavoro giusnaturali-
stiche e russoiane è l'esigenza controrivoluzionaria;
la teoria della conservazione sociale nasce dal con-
servatorismo politico e la scoperta della natura re-
pressiva delle società storicamente coscituite è in
funzione della volontà di repressione della rivolu-
zione democratico-borghese. Tuttavia in tal modo
Bonald arrichisce la definizione della società, inse-
rendo, non senza curiose contamin~oni, una mag-
gior dose di concretezza nei modelli settecenteschi
e preludendo per vari aspetti allo storicismo e al-
l'identificazione hegeliana di reale e razionale (con
le connesse conseguenze di conservatorismo po-
litico).

" Su L. de Bonald, dr. GooECHOT, cit., p. 106 sgg. e la scelta


antologica della T héorie du pouvoir politique et religieux, sui vi de:
Théorie de l'éducation sociale, a cura di C. Capitan, Paris 1966,
pp. 19-20, 21, 23, 24, 31, 33, 37-8, 41-3, 49, 50, 53, 58, 61, 64,
66, 99, 161-2, 169, 239 sgg.; 267, 276-9.
Sul rapporto di de Maistre e Bonald con Comte, dr. FERRAROTTI,
Trattato di sociologia, cit., pp. 74-5.

230
Nasce virtualmente da Bonald tutto il filone
sociologico dei gruppi intermedi, dell'organicismo
sociale, del recupero del tradizionalismo come criti-
ca dell'atomismo liberale (e magari della lotta di
classe marxista) in nome di una visione «funziona-
le» della società, dei valori dell'integrazione sociale,
dell'equilibrio fra innovazione e repressione. Con
tutti i pesanti limiti che derivano dalla loro posi-
zione politica, i teorici della controrivoluzione, scar-
tando il piano del misticismo e dell'irrazionalismo
e collegandosi al moderatismo illuministico e alla
tradizione mercantilistica, gettano le basi di una
sociologia dell'ordine che, spoglia dei suoi aspetti
teocratici più epidermici, eserciterà un'influenza
sotterranea, e neppure tanto, nel secolo e mezzo
avvenire. E, viceversa, contribuiscono a chiarire ge-
neticamente la natura controrivoluzionaria di tanta
parte della moderna sociologia ...
Al primato russoiano della politica e al volon-
tarismo borghese i controrivoluzionari contrappon-
gono il primato dell'esistente e l'adeguazione al
reale; tuttavia sarebbe un errore interpretarlo come
una nostalgia anacronistica del medioevo. Come il
classicismo rivoluzionario di David e Robespierre,
e prima ancora il richiamo russoiano all'organicismo
della polis, è un simbolo dei tempi nuovi, cosl il
vagheggiamento reazionario dell'organicismo medie-
vale è un'altra variante dell'ideologia borghese; a
questo punto le relazioni e le coincidenze di Bonald
con i fisiocratici, il suo riconoscimento della strut-

231
wra portante ~ società nei grandi proprietari
fr.mdiari rappresentano ahbastmz.a bene il lato mo-
derato e 6nancbe arcairo del compromesso apitali-
\r: w de:~' epoca della Rest.aurarione.
Se i fisiocratici • travestivano» in drappi feu-
dali la fonnaziooe del plusvalore e di una classe
capi taL.s rica, i reazionari ronferiscooo una patina
medievale al potere statuale come ulteriore garan-
zia dd regime borghese contro i non-proprietari
e in~ ieme momento ideale di equilibrio fra interessi
parzialmente divergenti ( rendita agraria e pro6.tto
industriale e commerciale). Non a caso pedino Na-
poleone ( che d'altronde fece entrare Booald all 'Ac-
cademia) ricorse sempre più frequentemente a mo-
tivi feudali e aristocratici, non solo nell'etichetta di
corte, ma anche nel Codice civile, per non parlare
della reintroduzione del Cattolicesimo, del tutto
parallela al rilancio di moda dello spiritualismo,
nella versione estetizzante di Oiateaubriand o nelle
scelte politico-culturali di Fontaoes.
Sotto questo profilo ( che è più di Bonald che
di de Maistre) vi è sostanziale unità fra teocrazia
sociale, moderatismo politico e restaurazione reli-
giosa: un miscuglio che con pur sensibili varianti
caratterizzerà i primi decenni del XIX secolo senza
segnare un reale ritorno all'indietro. I controrivo-
luzionari della fine del 700 sono più prossimi all'il-
luminismo che alla nuova sensibilità romantica e al
miscicismo del secolo nascente.

232
5. Il problema del male - de Maistre, Sade, Kant

Nella delicata cornice neoclassica pietrobur-


ghese, fra canali maestosi, banchine di granito, dol-
cissimi crepuscoli, de Maistre conversa piacevol-
mente, con la sottile tristezza dell'esule e scivola
quasi inavvertitamente nel problema del male: per-
ché esiste la sofferenza su questa terra e perché, in
tal caso (si osserva ragionevolmente), investe indi-
stintamente i buoni e i malvagi? Il male, afferma
il ministro di Sardegna presso lo zar, è sulla terra,
è giustissimo che vi sia e Dio non può esserne
l'autore; gli uomini lo subiscono come punizione
collettiva ( nessun uomo è punito in quanto giusto
o ingiusto, ma in quanto uomo e viceversa fortuna
e felicità spettano non all'uomo virtuoso ma alla
virtù); il male fìsico è entrato nell'universo attra-
verso la colpa delle creature libere e va concepito
come rimedio ed espiazione di quella colpa.
La ricompensa della virtù e la punizione del
vizio non possono verificarsi individualmente nel-
l'ordine temporale e con tempestività, perché que-
sto annullerebbe la libera volontà e quindi la mo-
ralità dell'uomo.
L'uomo, perciò, è imputabile in quanto genere
e individualmente porta il peccato originario come
patrimonio genetico ( «ogni essere che abbia facoltà
di riprodursi può produrre soltanto un essere simile
a se stesso» - è la lezione teologico-antropologica
che de Maistre trae dal prefonnismo biologico del-

233
l'epoca): ma anche se ognuno singolarmente trova
la sua espiazione nella morte e nelle malattie, la col-
pa generale si attualizza soltanto in alcuni casi e
non sempre è scoperta e punita. Essenziale alla na-
tura umana è la punizione, ma non una punizione
naturale e infallibile (la mano che cade al ladro),
bensl una punizione umana, legale, casuale. L'uomo
morale non può essere sicuro in anticipo del premio
o del castigo, e d'altra parte il conferimento del
castigo (con tutti i limiti di validità giudiziaria) è
segno della redenzione umana, della convivenza so-
ciale che si manifesta come repressione cosciente
del male (e in quanto tale, però, repressione par-
2Jiale, fallibile). Del resto, la casualità dei mali na-
turali (che sono le leggi naturali della repressione
della peccaminosità) e la fallibilità dei giudi2i crimi-
nali e dei supplizi (che ne sono le leggi sociali) non
è impugnabile da nessuno, perché nessun uomo è
completamente giusto e quindi «nessuno ha il di-
ritto di rifiutare la sua parte di miserie umane».
La Provvidenza, quindi, agisce attraverso il
potere sovrano di punire i delitti - non tutti i delitti,
ma alcuni, quanto basti all'esempio morale e alla
redenzione del peccato - e in tal modo mantiene
la coesione della società, controbilancia con la re-
pressione la spontanea tendenza degli uomini e del-
le classi alla dissociazione, all'antagonismo, alla cri-
minalità. Al trionfo dell'anarchia e della corru-
zione - che corrispondono agli istinti antropologici
più profondi - si contrappone sul piano fisiologico

234
la malattia ( come castigo della deviazione fisica), il
supplizio inflitto per via giudiziaria ( come sanzione
sociale del delitto). Chi mantiene visibilmente la
coesione sociale, collocandosi così all'esterno dei
rapporti umani, come loro garante sacer, sacro e
maledetto, è il boia.
La repressione sociale si scinde in due figure,
entrambe ereditarie e in diverso modo estranee al
consorzio umano, il re e il boia, chi pronuncia (o in
nome di chi si pronuncia) e chi esegue il castigo
della sovversione. Ma il boia non è abbastanza con-
siderato; con un brano di altissiima letteratura, con
il taglio drammatico con cui Buffon e Leopardi
descrivono la sofferenza delle forme vegetali di vita,
con cui Sade esalta ,il crimine, con cui Kant nega al
singolo la felicità materiale e assegna alla specie ogni
progresso, de Maistre esalta il boia.
«Appena l'autorità gli ha fìssato una dimora,
appena egli ne ha preso possesso, le altre abitazioni
arretrano fìno al punto in mi non vedranno più la
sua. In mezzo alla solitudine e al vuoto che gli si
è creato intorno, egli vive solo, con la sua famiglia
e i suoi bambini che gli fanno conoscere la voce
dell'uomo: senza loro ne conoscerebbe soltanto i
gemiti ... Un lugubre segnale è dato; un ministro
abbietto della giustizia viene a bussare alla sua porta
e ad avvertirlo che c'è bisogno di lui; egli parte,
arriva in una piazza pubblica gremita di una folla
pigiata e palpitante; gli consegnano un avvelena-
tore, un parricida, un sacrilego: egli lo afferra, lo

235
stende, lo lega su una croce orizzontale, alza il
braccio: allora si fa un silenzio orribile, e non si
sente più che il grido delle ossa che scoppiano sotto
la sbarra, e le urla della vittima. Lo stacca dal pati-
bolo; lo porta su una ruota: le membra fracassate
sono legate ai raggi, la testa pende, i capelli si riz-
zano e la bocca, spalancata come una fornace, emette
solamente di tanto in mnto poche parole sanguino-
lente che invocano la morte. Ha finito; il cuore gli
batte, ma di gioia; si elogi>a, dicendo a se stesso:
«nessuno arrota meglio di me». Scende, tende la
mano sporca di sangue, e la giustizia vi butta di lon-
tano qualche monet:a d'oro che egli si porta via pas-
sando fra una doppia siepe di uomini che si sco-
stano per l'orrore. Si mette a tavola, e mangia; poi
a letto, e dorme. E il giorno dopo, svegliandosi, non
ricorda più quel che ha fatto il giorno prima. E' un
uomo? Sì: Dio lo accoglie nei suoi templi e gli
permette di pregare. Non è un criminale; tuttavia
nessuna lingua accetta di affermare che è un uomo
virtuoso, un onesto, che è degno di stima, ecc.
Nessun elogio morale gli si può tributare, perché
ogni elogio morale presuppone un rapporto con gli
uomini, mentre egli non ne ha alcuno.
«E tuttavia ogni grandezza, ogni potere, ogni
sudditanza si basano sul boia: egli costituisce l'or-
rore e il legame dell'associazione umana. Togliete
dal mondo questo agente incomprensibile, e nello
stesso istante l'ordine lascia il posto al caos, i troni

236
si inabi55ano e la società scompare» 32 •
Dietro il vigore pittoresco del quadro c'è in
realtà una vena idillica. De Maistre rievoca con no-
stalgico fervore uno spettacolo terribile ed esem-
plare che ormai non esiste più. Non che sia scom-
parso la tortura e l'esecuzione capitale, ma è svanita
l'individualità e l'atroce «moralità» dell'atto. Già
la ghigliottina aveva massificato e svalorizzato emo-
zionalmente la morte; numerose testimonianze ci
parlano dell'indifferenza popolare nel 1794. Il rea-
zionario de Maistre si sarebbe ritratto con orrore
e disgusto dai carnai burocratici delle camere a gas
naziste ed è dubbio che si sarebbe sentito confor-
tato nelle sue tesi dall'Algeria o dal Vietnam. In fìn
dei conti il boia ha valore proprio nella misura in
cui, isolato (per fortuna, si dice altrove, ne basta
uno per provincia) compie alcuni gesti atroci, in
forma rituale e saggiamente distanziata nel tempo,
per ribadire simbolicamente la natura repressiva dei

" De MAISTRE, Le serate, cit., p. 32 sgg., dr. 379 (il boia «è


la pietra angolare della vostra società; poiché il delitto è venuto
ad abitare sulla vostra terra,. - afferma un immaginario extra-terre-
stre «levate dal mondo l'esecutore e ogni ordine scomparirà
con lui,.).
Per le altre opinioni citate dr., ib., p. 24, 26, 28-9, 63, 80 sgg.,
449-50, 495-6; sull'ereditarietà della nobiltà e del peccato, dr.,
pp. 526-30; sulla malattia connaturata al male radicale dr., pp. 67-8.
L'opposizione fra il rito-spettacolo dell'esecuzione capitale e
l'anonimato dei massacri moderni è lucidamente intuita nel Marat-
Sade di Peter Weiss, che non a caso pone in bocca a Sade un
elogia del supplizio in termini demaistriani.

237
legami sociali e la correzione sovrana della malvagità
latente nell'uomo. E' l'ultimo artigiano, felice della
finitezza del suo «capolavoro» in un'incipiente età
di spersonalizzazione e parcellizzazione: di qui il
tono patetico che affiora sotto il paradosso. La cui
importanza socio-antropologica, del resto, appare
evidente: si tratta di una coerente estremizzazione
della premessa della malvagità umana che è la prin-
cipale alternativa ( in quella fase storica dell'ideo-
logia) alla teodicea russoiana. Se l'uomo non è na-
turalmente buono (e mantenendosi la considerazione
cristiano-borghese di un rapporto fra natura e indi-
viduo pre-sociale che accomuna rivoluzionari bor-
ghesi e controrivoluzionari), i due fattori di socializ-
zazione e redenzione che sorreggono la cultura sono
inevitabilmente il boia e la guerra.
E sulla guerra, appunto, de Maistre ha pagine
memorabili 13 , che partono dalla duplice considera-
zione della permanenza del fenomeno bellico mal-
grado tutti gli sforzi di razionalizzazione dell'operare
internazionale e del permanere dell'umanità e della
generosità nel cuore del militare, una volta riposta
la spada nel fodero. La guerra, cioè, si confìgura
come un fenomeno periodico e intermittente della
storia umana, nei cui intervalli si ristabilisce un
clima di fraterna convivenza; il modello è quello
delle guerre dinastiche, delle guerre limitate del
XVIII secolo, che coinvolgono soltanto soldati di

33
Sulla guerra dr. DE MA1sTRE, cit., p. 376 sgg. spec. 395-9.

238
professione, per interessi estranei ai loro ( e quindi
estremamente tecnicizzate ed emotivamente «neu-
tre»). Sotto questo profilo che ignora le guerre
«patriottiche», la propaganda, la strage massificata
(così come ,il boia era remotissimo dal genocidio
pianificato) - è agevole il passaggio a una considera-
zione generalissima della legge di morte e distruzio-
ne che governa il mondo, e di cui la guerra è sol-
tanto un «capitolo». Sono pagine che hanno imme-
diati raffronti nella letteratura settecentesca, nei
naturalisti e nei filosofi, con risvolti non ignoti
anche al pessimismo laico; qui, però, il senso di
questo ciclo eterno non risiede in una legge imma-
nente alla materia, bensì nella dialettica provviden-
ziale di peccato e redenzione.
«Nel vasto campo della natura vivente regna
una violenza manifestia, una specie di rabbia decre-
tata, che arma tutti gli esseri in mutua funera; ap-
pena oltrepassata la soglia del regno dell'insensibile
vi trovate di fronte al decreto della morte violenta
scritto sui confini stessi della vita. Già nel regno
vegetale si comincia ad avvertire la presenza di que-
sta legge: dall'immensa catalpa all'umile graminacea,
quante sono le piante che muoiono e quante quelle
che sono uccise? Ma appena entrate nel regno ani-
male, la legge assume di colpo una spaventosa evi-
denza. Una forza, nello stesso tempo nascosta e pal-
pabile, si rivela continuamente occupata a rendere
forzatamente vulnerabile il principio della vita. In
ogni grande divisione della specie animale essa ha

239
scelto un certo numero di animali, incaricandoli di
divorare gli altri: cosl esistono insetti da preda,
pesci e quadrupedi da preda. Non vi è un solo istan-
te in cui un essere vivente non sia divorato da un
altro. Al di sopra di queste numerose razre animali
è posto, la cui mano distruttrice non risparmia alcun
essere vivente». L'uomo è un super-distruttore, che
non si ciba soltanto degli altri animali ma li utilliza
per molteplici scopi o li uccide per divertimento.
Già qui si passa dal naturalismo all'agghiacciato
moralismo ( «le sue mense sono coperte di cada-
veri»).
Questo massacro universale è dunque una leg-
ge di vita, che però applicata all'uomo svela una
logica superiore: «Quale essere sterminerà allora
colui che tutti stermina? Egli stesso. E' l'uomo in-
caricato di sgozzare l'uomo. Ma come potrà ubbi-
dire a questa legge, lui che è un essere morale e mi-
sericordioso, lui nato per amare, lui che piange sugli
altri come su se stesso, che nel pianto trova anche
conforto e inventa anche finzioni pur di piangere?».
La guerra - che è ovviamente tale mezzo - deve con-
ciliare la natura misericordiosa dell'uomo (o meglio
l'aspetto positivo, buono, che coesiste nella natura
umana con il principio malvagio) con la legge del
massacro che, nel caso degli uomini, vale come mor-
tificazione provvidenziale della peccaminosità innata.
La guerra scaturisce quindi dagli uomini nor-
mali, non è lo scontro di masse impazzite e assetate
di sangue, ma è l'omaggio forzato a una legge supe-

240
riore: «non sentite la terra che grida e invoca san-
gue? Non le basta il sangue degli animali e neppure
quello dei colpevoli versato dalla spada delle leggi.
Se la giustizia umana uccidesse tutti i rei, non vi
sarebbe guerra; ma essa non può raggiungerne che
un numero limitato e spesso li risparmia senza pen-
sare tuttavia che la sua feroce umanità contribuisce
a rendere necessaria la guerra ... La terra non ha
gridato invano: la guerra divampa. L'uomo, colto
all'improvviso da un furore divino, estraneo all'odio
e alla collera, avanza sul campo di battaglia senza
sapere quel che vuole e nemmeno quel che fa»,
trionfa la cieca obbedienza e «cosl si attua perenne-
mente la grande legge della distruzione violenta de-
gli esseri viventi, dall'animaletto quasi invisibile
all'uomo. La stessa terra sempre intrisa di sangue
non è che un immenso altare sul quale tutto ciò
che vive deve essere immolato all'infìnito, senza
misura, senza tregua, fìno alla consumazione delle
cose, fìno all'estinzione del male, fìno alla morte del-
la morte» 34 • La guerra, dunque, «è divina in se

... E si confronti, tanto per cogliere il comune tono tardo-illu-


ministico, con la pur tanto più solitaria e ateistica conclusione del
leopardiano Cantico del gallo silvestre, in Opere, Milano ed. VIII, 1965,
I, pp. 970-1 ): «In qualunque genere di creature mortali, la massima
parte del vivere è un appassire. Tanto in ogni opera sua la natura
è intenta e indirizzata alla morte: poiché non per altro cagione
le vecchiezza prevale si manifestamente, e di sl gran lunga, nella
vita e nel mondo. Ogni parte dell'universo si affretta infaticabilmente
alla morte, con sollecitudine e celerità mirabile. Solo l'universo medesi-

241
stessa, poiché è una legge del mondo».
Questa posizione ha un singolare riscontro nel-
la logica interna del pessimismo antropologico kan-
tiano 35 - come opposizione di matrice religiosa al-
1'ottimismo spiritualistico di Rousseau, peraltro an-
ch'egli esaltatore in certi modi della guerra come
stimolatrice di virtù e attività 36 •

mo apparisce immune dallo scadere e languire: perocché se nell'autun-


no e nel verno si dimostra quasi infermo e vecchio, nondimento sempre
alla stagione nuova ringiovanisce. Ma siccome i mortali, se bene in
sul primo tempo di ciascun giorno racquistano alcuna parte di
giovan=a, pure invecchiano tutto dl, e finalmente si estinguono;
cosi l'universo, benché nel principio degli anni ringiovanisca, non-
dimeno continuamente invecchia. Tempo verrà, che esso universo,
e la natura medesima, sarà spenta. E nel modo che di grandissimi
regni ed imperi umani, e loro meravigliosi moti, che furono
famosissimi in altre età, non resta oggi segno né fama alcuna: pari-
mente del mondo intero, e delle infinite vicende e calamità delle
cose create, non rimarrà pure un vestigio; ma un silenzio nudo,
e una quiete altissima, empieranno lo spazio immenso. Cosi questo
arcano mirabile e spaventoso dell'esistenza universale, innanzi di
essere dichiarato né inteso, si dileguerà e perderassi•.
La tematica è indubbiamente diversa e opposta la prospettiva
teorica, ma lo sgomento cosmico sotteso è analogo e rappresenta il
momento della crisi dei valori illuministici nell'epoca post-rivoluzio-
naria; solo che per Leopardi è assente l'ideologia regressivo-consola-
trice che smorza e mistifica l'angoscia demaistriana.
" Cfr., I. KANT, La religione entro i limiti della sola ragione,
tr. it., Modena 1941, spec., p. 157 sgg., l'Antropologia prammatica,
tr. it., Torino 1921; per i passaggi sulla guerra una sommaria rasse-
gna nel cap. IV di A. ILLUMINATI, Kant politico, cit.
,. «L'indifférence philosophique rassemble à la tranquillité de
l'Etat sous le despotisme; c'est la tranquillité de la mort; elle est
plus destructive que la guerre meme•, mentre lo stesso fanatismo,
«quoique sanguinaire et criiel, est pourtant une passion grande et

242
Per Kant l'uomo è malvagio per natura, nel
senso che è dotato simultaneamente della consape-
volezza di massime morali assolute e della libertà di
trasgredirvi; questa possibilità-tendenza è anteriore
a ogni esperienza, è il peccatum originarium ante-
riore al peccatum derivatum ( nel rapporto di nou-
menon a phaenomenon ). L'uomo, consapevole, in
quanto persona, della legge morale ha tuttavia adot-
tato per massima di allontanarsi occasionalmente da
questa legge. L'imperativo categorico e la libertà del-
l'uomo presuppongono il male radicale in lui, sog-
gettivamente necessario anche per l'uomo migliore.
Con Paolo si ripete che nemo est iustus. L'uomo
può redimersi dal peccato, non fondarsi sulla giu-
stizia; la redenzione si compie nella restaurazione
della purezza del movente morale, in un cambia-
mento di cuore, in una rivoluzione dell'intenzione,
in un capovolgimento della perversione (cui corri-
sponde, esteriormente, il mutamento dei costumi,
l'osservama della legalità come virtus phaenomenon ).
Il peccato «è una potenza nel mondo che noi
conosciamo, nel mondo dell'uomo indipendente-

forte qui éleve le coeur de l'homme, qui lui fait mépriser la mort,
qui lui donne un ressort prodigieux et qu'il ne faut que mieux
diriger pour en tirer !es plus sublimes vertus» (nota al IV capitolo
dell'Emile, in J. J. RoussEAU, O. C., cit., IV, pp. 632-3).
La contrapposizione fra guerra e pace come attività e passività
è un tema preromantico che scende diritto fino a Hegel e legittima
la guerra sul piano della teleologia della specie e della realizzazione
della persona-passione.

243
mente dal modo in cui emerge nei singoli uomini ...
Il peccato è il peso specifico della natura umana in
quanto tale ... non è una caduta, o una serie di
cadute nella vita dell'uomo, ma la caduta che, con
la sua vita di uomo è già avvenuta», ed è quindi
tutt'uno con la fondazione della libertà dell'uomo:
la storia della libertà comincia con il male c10
che è una perdita per l'individuo ma un guadagno
per la specie. Infatti se l'individuo può in tal modo
corrompersi (e qui si giustifica Rousseau), la specie
progredisce proprio grazie alla collisione e all'elisio-
ne reciproca di quelle passioni e disposizioni umane
che il filosofo deve considerare realisticamente. Le
stesse disposizioni naturali che portano ai vizi sono
conformi allo scopo della natura che provvidenzial-
mente, attraverso gli antagonismi sociali e le soffe-
renze dello stato di civiltà, sviluppa le capacità cul-
turali dell'umanità come specie e costringe gli uo-
mini all'osservanza esteriore della legalità, come uni-
ca possibile forma di convivenza, di regolazione del-
la «socievole insocievolezza», e anche come prope-
deutica alla realizzazione della moralità interiore,
che però è fatto individuale, intenzionale.
Mandeville è cosi riconciliato con Rousseau in
un'antropolgia di origine religiosa e finalizzata alle
categorie del progresso borghese. La complessa so-
luzione kantiana, che arriva allo Stato di diritto e al
regime concorrenziale (ricalcato esplicitamente dai
fisiocratici) attraverso l'accettazione delle passioni
umane e la scissione del piano fenomenico da quello

244
noumenico, è ben diversa da quella demaistriana
- che è ancora la tradizionale impostazione dello
Stato come remedium peccati; tuttavia in entrambi
gli autori va osservato il rifiuto del modello di uomo
russoiano e la conseguente definizione di una dottri-
na repressiva nel campo pedagogico e politico-sta-
tuale ( anche se Kant accetta la componente liberale
della Rivoluzione francese).
Perciò anche Kant glorifica la guerra e il boia,
come fattori di una cultura che è cultura della dise-
guaglianza e dell'infelicità individuale (ma progresso
per la specie). L'uomo vuole la concordia, ricorda
l'Idea di una storia universale, ma la natura più
saggia gli impone la discordia che sviluppa le eccel-
lenti disposizioni naturali insiste nell'uomo; la cul-
tura è frutto dell'insocievolezza e della disciplina
imposta coattivamente dalla concorrenza, dalla peda-
gogia, dallo Stato; l'uomo ha bisogno di un padrone
che limiti il suo egoismo, e tale padrone è la legge,
applicata da un sovrano, nei limiti dell'impersona-
lità e della perfezione consentite all'uomo (e quindi
come approssimazione indefinita, progresso storico
dal male al meglio nel campo della costituzione giu-
ridica).
L'uomo, questo «legno storto», vuole la pace,
ma la natura si serve, per migliorarlo, proprio della
guerra: nello scritto steso in favore di un progetto
di Pace perpetua si tesse paradossalmente l'elogio
della guerra, mediante la quale la provvidenza so-
spinge l'uomo «a tentativi dapprima imperfetti, e

245
da ultimo, dopo molte devastazioni, rivolgimenti, e
anche per il continuo esaurimento interno delle sue
energie, spinge a far quello che la ragione, anche
senza cosl triste esperienza, avrebbe potuto sugge-
rire: cioè di uscire dallo stato eslege di barbarie ed
entrare in una federazione di popoli, nella quale
ogni Stato, anche il più piccolo, possa sperare la
propria sicurezza e la tutela dei propri diritti non
dalla propria forza o dalle proprie valutazioni giu-
ridiche, ma solo dalla forza di questa grande confe-
derazione di popoli».
La guerra ( e si intende esplicitamente la guerra
nazionale, borghese, in polemica con le futili guerre
mercenarie e dinastiche, cosl care invece al più con-
servatore ma meno sanguinario de Maistre), cosl
come l'antagonismo sociale della concorrenza bor-
ghese, «per quanto sia un gran male è nella nostra
specie, come è anche l'impulso a passare dallo stato
rozw di natura a quello civile, a guisa di un mecca-
nismo provvidenziale, per cui le forze opposte con
il mutuo attrito si logorano, ma tuttavia vengono
dall'urto o dall'intervento di altri motivi conservate
a lungo in un regolare procedere». E' la guerra che
ha spinto gli uomini a colonizzare il mondo, ad ad-
domesticare certi animali, a !ì,.viluppare il commer-
cio, a esaltare certe virtù, cosl che, a onta dei mali
che essa comporta, il filosofo deve annetterle una
«dignità intrinseca».
E infine nella Critica del giudizio «la guerra
stessa, quando è condotta con ordine e col sacro

246
rispetto dei diritti civili, ha in sé qualcosa di subli-
me, e rende il carattere del popolo che la fa in tal
modo, tanto più sublime per quanto più numerosi
sono stati i pericoli a cui si è esposto e più coraggio-
samente vri si è affermato; mentre invece una lunga
pace di solito dà il predominio al semplice spirito
mercantile, e quindi al basso interesse personale,
alla viltà, alla mollezza, abbassando lo spirito pub-
blico», con chiara anticipazione del passo hegeliano
degli scritti jenensi, in cui si esalta l'impersonalità
delle guerre moderne come momento di riconosci-
mento nazionale e come mantenimento della «salute
morale dei popoli nella loro indifferenza contro le
determinatezze e contro il consistere e il consolidarsi
delle stesse, come l'agitarsi dei venti preserva dalla
putredine cui una calma duratura ridurrebbe i laghi,
una pace duratura o addirittura eterna i popoli» n_
Le differenze con de Maistre sono evidenti:
la guerra è provvidenziale, ma non come punizione
perpetua dei peccati, bensì come strumento parados-
sale di progresso civile e sollecitazione a uno stato
giuridico nazionale e internazionale. Tuttavia è an-
che evidente la connessione fra il giudizio pessimi-
stico sulla natura peccaminosa dell'uomo e la neces-
sità di un così sanguinoso strumento di reintegra-
zione sociale della specie. La teologia provvidenzia-

ri Cfr., par. 28" della Critica del giudizio (tr. it., Bari 1949,

pp. 114-5) e G. F. fIEGEL, Scritti di filosofia del diritto, (tr. it.,


Bari 1962, p. 210, 236, 65).

247
listica si radica nella distruzione della felicità e an-
che della vita individuale; la guerra, se per gli uo-
mini è un'impresa inconsiderata (recita ancora, nel
paragrafo 83°, la Critica del giudizio), «forse na-
sconde profondamente qualche disegno della ~ -
za suprema1'>, per conciliare la libertà con la legalità
negli Stari, e la loro unione in un sistema moral-
mente fondato, e per sviluppare al più alto grado i
talenti che servono alla cultura, cioè allo sviluppo
illimitato delle facoltà umane, senza riguardo alla
felicità individuale e al quieto appagamento in una
condizione mediocre.
Diversissima è anche la concezione kantiana
del diritto da quella del de Maistre, e tuttavia l'elo-
gio del boia è meno paradossale se lo si raffronta
al rigorismo etico-giuridico della Dottrina del dirit-
to - la feroce tutela della proprietà, la definizione
della legge penale come imperativo categorico in
cui non deve insinuarsi l'idea del vantaggio e della
felicità (meglio che muoia un uomo solo piuttosto
che si corrompa tutto il popolo), la ferrea applica-
zione della legge del taglione: la morte come puni-
zione dell'assassinio (eccetto che nel caso dei neo-
nati illegittimi, eo ipso estranei alla condizione giu-
ridica!), la schiavitù come sanzione del furto ( che
«rende incerta la proprietà di tutti gli altri»), la
castrazione per i delitti di stupro e pederastia, l'esi-
lio perpetuo da qualsiasi società per i reati di be-

248
stialità 38 • Non siamo poi molto lontani dall'esem-
plarità spettacolare dell'arrotamento demaistriano né
da un'ideologia della società e della legge come
repressione!
Sulla stessa base antropologica - cioè sulla de-
fìnizione dell'uomo in termini di malvagità origina-
ria - si fonda, con la bizmrria di una condimone pato-
logica ma anche con una lucidità e una coerenza non
comuni, l'argomentazione di Sade.
Sade è un Rousseau alla rovescia, parte dal-
l'uomo presociale assolutizzato, ma dall'uomo mal-
vagio, dallo stato di guerra come stato naturale del-
l'umanità. L'ostilità permanente e reciproca degli
uomini, che Rousseau pone come fase degenerativa,
successiva alla perversione dell' amaur de sai in
amaur prapre, è assunta come condizione primitiva
dell'umanità; la falsa socializzazione, il patto iniquo
è la condizione normale della convivenza organiz-
zata e della legge. Manca l'amaur de sai legittimo
(perché, appunto, l'uomo è spontaneamente egoista
e malvagio), e manca la restaurazione- instaurazione
della bontà nella sottomissione alla legge, il con-
tratto sociale giusto.
All'uomo naturale malvagio corrisponde la pe-

'" ar., KANT, S. P., cit., pp. 555-o, 521 sgg. e anche il fram-
mento contenuto nella Moralphilosophie. Refiexionen (ed. Accademia,
XIX, n. 7008, p. 225): «Oti ha un diritto nei riguardi di chiunque
può importunarlo in tutti i suoi piaceri e cacciarlo dall'altare. Tutta
la forza del Cielo sta dalla parte del diritto•.

249
renne ingiustizia della società, il trionfo della legge
della reciproca disttuzione come strumento della
natura provvidenziale per la perpetuazione del tutto
ai danni delle parti. La passione-distru2Jione, il pia-
cere come uccisione dell'altro si configurano quali
tragiche parodie del provvidenzialismo borghese di
Kant e del provvidenzialismo teocratico di de
Mais tre.
Recita l'avvio di Justine: «Le chef-d'oeuvre
de la philosophie serai t de développer les moyens
dont la Providence se sert pour parvenir aux fìns
qu'elle se propose sur l'homme, et de tracer, d'après
cela, quelques plans de conduite qui puissent faire
connaìtre à ce malheureux individu bipède, la ma-
nière dont il faut qu'il marche dans la carrière épi-
neuse de la vie, afìn de prévenir les caprices bizzares
de cette fatalité à laquelle on donne vingt noms
dillérents, sans etre encore parvenu ni à la connaìtre,
ni à le definir». Nel piano generale della Natura (di
cui si cerca, kantianamente, un «filo conduttore) il
bene o il male singolo sono indifferenti, anzi vi si
verificano les infortunes o les malheurs de la vertu
e vi si contempla la prospérité du vice, cosi da vani-
ficare qualsiasi pretesa morale come accordo con
una volontà sovrannaturale.
Lo stato di natura è l'eguaglianza, con la vio-
lenza le si sostituisce la diseguaglianza di potere e di
ricchezza, con la violenza è legittimo ristabilirla. La
società è ingiusta: il cosiddetto «interesse generale»
non è che l'insieme degli interessi particolari, ma

250
i più deboli e poveri non hanno nessun interesse
da difendere; ad essi quindi giova uscire dalla so-
cietà e tornare allo stato di natura e di guerra, al
banditismo e al crimine, ciò che non è del resto in-
congruo per uomini i quali nacquero tutti «isolés,
envieux, cruels et despotes».
La società è composta in realtà da esseri deboli
e da esseri forti, e lo stato di guerra è per entrambi
preferibile al «pacte injuste d'une société, enlevant
toujours trop à l'un et n'accordant jamais assez à
l'autre; donc l'etre vraiment sage est celui qui, au
hasard de reprendre l'état de guerre qui régnait
avant le pacte, se déchaìne irrévocablement contre
ce pacte, le viole autant qu'il peut, certain que ce
qu'il retirera de ces lésions sera toujours supérieur
à ce qu'il pourra perdre, s'il se trouve le plus faible;
car il l'était de meme en respectant le pacte; il peut
devenir le plus fort en le violant; et si les lois le
ramènent à la classe dont il a voulu sortir, le pis-
aller est qu'il perde la vie, ce qui est un malheur
infìniment moins grand que celui d'exister dans
l'opprobre et dans la misère».
Il crimine, d'altronde, la distruzione, si oppon-
gono alla virtù e alla pace come il principio di atti-
vità a quello di passività; sono i vizi a mantenere
l'equilibrio nell'universo, che nello stato di tranquil-
lità preoipiterebbe nel caos (ricordiamo la morta
palude contro cui si scagliano Rousseau, Kant e
Hegel, l'elogio demaistriano della guerra!). E d'al-
tra parte la violenza aperta, brutale, del forte sul

251
debole non è che la forma diretta dell'oppressione
che la ricchezza, mediatamente, esercita sulla po-
vertà; il bandito equivale al banchiere.
Se in Justine abbiamo la giustificazione spie-
tata dello stato di guerra, del vizio come stimolo
cosmico-sociale, della rivolta criminale - insomma,
la descrizione della società borghese-concorrenziale
come condizione perenne dell'uomo, con una chance
per il bandito - e tutto ciò con una revisione pessi-
mistica dello schema russoiano, in Juliette e soprat-
tutto nella notevole Philosophie dans le boudoir
abbiamo addirittura degli schemi della società fu-
tura, dei progetti utopistici che si inseriscono di
pieno diritto fra i numerosi di cui sono fitti gli anni
fra il Termidoro e la Restaurazione - da Restif de
la Bretonne a Fourier.
I due schemi alternativi, ma in fondo omogenei,
che Sade propone sono il dispotismo puro e l'anar-
chia assoluta - in entrambi i casi la piena libertà del
vizio e della violenza funzionale al piacere. L'omo-
geneità è data dal riconoscimento esasperato del-
1' anarchia borghese: nel primo caso come legge del
più forte, che schiavizza i deboli e fa dell'esercizio
del potere il principale stimolo della sua sensualità,
nel secondo caso la sfera del piacere è depoliticizzata
e tutti possono equamente concorrere al soddisfa-
cimento degli istinti malvagi.
Questo secondo schema sadico-libertario è il
più interessante e viene presentato nella Philosophie
come una rivoluzione sessuale ante litteram, un rin-

252
caro sul comunismo babuviano (siamo negli anni
del Direttorio), un complemento della democrazia
diretta con la liberazione da ogni repressione etica.
Naturalmente è solo la proiezione universalizzante
dell'egoismo borghese e finanche del privilegio ari-
stocratico, la democratizzazione dell'arbitrio feudale,
anarchismo da gran signore. Ma le argomentazioni
non sono spoglie di interesse: si coglie, per esem-
pio, il carattere repressivo della legge «eguale», sia
pure nella forma (anch'essa preveggente!) della pro-
testa della «devianza» contro la «normalità»: «E'
un'ingiustizia spaventosa esigere che uomini di ca-
rattere ineguale si pieghino a leggi eguali: ciò che
conviene all'uno non conviene affatto all'altro» - e
perciò si richiedono «leggi miti», flessibili nel caso
di irrefrenabile inadattamento (l'impunità del no-
bile generalizzata a tutte le possibili patologie degli
uomini).
La pena di morte è condannata, perché l'ucci-
sione è giustificabile soltanto se con essa l'uomo sod-
disfa una passione, ingiustificabile come fredda ven-
detta della legge impersonale. Il furto è giustilìcato
come strumento di livellamento sociale: il povero
non è obbligato a rispettare la proprietà del ricco
perché non ha nulla per cui esigere rispetto dal ric-
co; l'immoralità in genere è glorificata «poiché
lo stato morale di un uomo è uno stato di pace e di
tranquillità, mentre la condizione immorale è uno
stato di movimento perpetuo che lo avvicina all'in-
dispensabile condizione rivoluzionar,ia, nella quale

253
bisogna che il repubblicano tenga sempre il governo
di cui è membro» - qui l'elogio sensistico dell'agita-
zione si unisce con 1a oitazione quasi letterale di
• Just 39 .
Sarnt-
Malgrado le apparenze e le suggestioni liber-
tarie, Sade appartiene di diritto al pensiero contro-
rivoluzionario, per l'individualismo aristocratico e
l'antropologia pessimistica portata a giustificazione
di una violenza reazionaria di classe regredita al li-
vello biologico-esistenziale. Sotto il materialismo li-
bertario trapela l'egoismo borghese piegato e subli-
mato a misticismo: sulla propensione di Sade al di-
vino hanno scritto in modo compuntamente defini-
tivo Bataille, Klossowski e Zolla. Anche il raffronto
con il dualismo kantiano, dopo Adorno e Horkh-
eimer è topico, anzi piuttosto banale e impreciso
nella sua forma generica di critica dell'illuminismo.
L'analog1a più incisiva è però fra Sade e de
Maistre: come il sadismo ( quale ideologia) è il ro-
vescio del misticismo tradizionale, le due dottrine
politiche e sociali sono l'una il rovescio dell'altra,
positivo e negativo di una stessa fotografia. All'uo-
mo normale e integrato (perché socialmente repres-

,. Per i testi citati cfr. D. A. F. DE SADE, Justine, Paris 1962,


spec. pp. 43, 60-1, 99, 310-1, 348-9; Le opere (antologia, tr. it.,
Milano 1962), pp. 298 sgg. e 382 sgg. La storia cli Zamé (ib.,
p. 138 sgg.), tratta dal romanzo AJine et Valcour, è invece un
esempio cli puro russoianesimo e si iscrive nel filone delle narrazioni
ispirate al mito del buon selvaggio, nel solco del Supplément au
voyage de Bougainville di D. Diderot.

254
so) di de Mais tre, che però è poteruiialmente ingiu-
sto peccatore, si oppone l'uomo anormale in dichia-
rata rivolta contro la repressione, ma che l'esercita
spietatamente sul prossimo, che realizza la sua li-
bertà monadica negando quella degli altri. Al boia
pubblico come simbolo della repressione generale
si oppone il torturatore privato come simbolo della
violenza individuale ( e coerentemente Sade rifìuta
la legittimità del boia pubblico, che non uccide per
suo piacere). Partendo dall'identica ossessione me-
tafisica per il male de Maistre e Sade proclamano i
diritti della repressione, il primo nella forma della
legge tradizionale e del sovrano legittimo, il secon-
do oscillando fra il dispotismo e l'atomizzazione
anarchica della violenza.

6. L'eredità di Rousseau

L'esperienza della Rivoluzione scompone e ri-


compone le tendenze ideologiche della borghesia
settecentesca, discrimina i rivoluzionari radicali dai
moderati e dai controrivoluzionari, ma soprattutto
pone in luce la differenza fra la problematica del-
l'eguaglianza civile e politica e quella dell'eguaglian-
za sociale. Negli anni del riflusso rivoluzionario
emergono i primi confusi barlumi di una coscienza
proletaria e di un'ideologia socialista.
Per quanto Rousseau non fosse affatto un so-
cialista ( e crediamo di averlo dimostrato, contro

255
ogni facile tende112a a sopravalutare singoli elemen-
ti del suo discorso, sciolti dal contesto e dalla lo-
gica complessivi), è evidentemente da Rousseau che
partono i primi tentativi di riflessione sulla strut-
tura di classe della società post-rivoluzionaria e sui
suoi nuovi, caratteristici antagonismi. Particolar-
mente nell'arretrata Germania il messaggio russoia-
no acquistava carattere eversivo non solo del feu-
dalesimo, ma anche dell'intreccio fra assolutismo
e liberalismo conservatore, fra reazione aristocratica
e collaborazione borghese subalterna. Di Rousseau,
anche in polemica con la mediazione moderata kan-
tiana, si riprende l'ottimismo antropologico e la
denuncia della scissione moderna fra individuo e
società, in un senso che però travalica i limiti del-
l'impostazione radical-borghese del Ginevrino.
In Schiller, per esempio, almeno prima del
suo approdo a un olimpico moderatismo da «anima
bella», la lezione di Rousseau, congiuntamente
all'adesione alle dottrine kantiane, produce interes-
santi riflessioni sulla società moderna, caratterizzata
dal predominio dell'utile, dell'egoismo di tutte le
classi, dalla separatezza dell'intelletto: all'unità del-
la polis greca (fondata sulla democrazia e sulla
fusione di ideale e reale) si contrappone l'infelicità
dei moderni, vittime «della divisione delle scien-
ze ... delle classi, delle occupazioni», della frattura
fra piacere e lavoro, mezw e scopo, sforzo e com-
penso. L'uomo è legato a un piccolo frammento
del tutto, non ha nell'orecchio «che il monotono

256
rumore della ruota che gira» e «invece di espri-
mere nella sua natura l'umanità, diventa soltanto
una copia della sua occupazione, della sua scienza».
Qui Schiller, probabilmente seguendo le preoccu-
pazioni analoghe di Ferguson, dà concretezza all'or-
ganicismo elegiaco del primo romantricismo con un
preciso riferimento all'economia politica. E anche
attraversè> l'e~rienza della kantiana Critica del giu-
dizio, che si rifaceva ai fondatori scozzesi dell'eco-
nomia politica, Schiller tocca amaramente problemi
che Rousseau aveva eluso e si avventura quindi su
un terreno più avanzato: «per sviluppare le mol-
teplici contraddizioni naturali nell'uomo non vi era
altro mezzo che contrapporle le une alle altre. Que-
sto antagonismo di forze è il grande strumento della
cultura,, ma è anche solo uno strumento; perché
fìn tanto che l'antagonismo dura, si è solo sulla via
verso la cultura».
La, soluzione kantiana è ancora accettata ma
se ne calcola tutto il prezzo, insomma si registra con
perplessità la contraddizione di fondo della società
borghese fra progresso, sviluppo delle forze produt-
tive da un lato, sfruttamento e infelicità dall'altro.
Sotto un altro profilo Schiller contrappone le due
categorie di «ingenuità» classica (armonia di natura
e ragione) e di «sentimento» moderno (la nostalgia
dell'ar:i1onia nella scissione, la salute contemplata
da un malato). Non si tratta soltanto di due cate-
gorie estetiche: l'ingenuità, per esempio, è la con-
dizione in cui è impensabile «uno sviluppo del
257
diritto di proprietà tale, che una parte degli uomini
possa andare in rovina». D'altra parte Schiller ac-
cetta la teleologia kantiiana, la storia è progresso verso
il meglio, non si tratta di rimpiangere la perduta
Arcadia, l'antico appagamento nel finito (la Befrie-
digung auf einem bornierten Standpunkt di cui par-
la Marx in un passo famoso dei Grundrisse a pro-
posito della kindische alte W elt ), ma di 1>rocedere
verso uno stadio più elevato in cui tomino a con-
giungersi cultura e natura, inclinazioni spontanee e
legge, grazia e dignità, ideale e reale. Questa lon-
tana meta può essere anticipata da un'educazione
estetica fondata sul libero gioco; la remota armonia
può realizzarsi già ora nella classe degli intellettuali,
l'insieme delle «anime belle», che «senza lavorare
siano attive» e insieme esenti dalla ~!azione
astratta; «solo una simile classe può conservare la
bella totalità della natura umana, la quale viene
distrutta momentaneamente da ogni lavoro e dure-
volmente da una vita di lavoro». Come Ferguson,
Schiller denuncia l'alienazione del lavoro, ma pro-
pone come unica soluzione la formazione di una
minoranza che ne sia esente e anticipi la futura
armonia come testimonianza estetico-creativa. La
svolta moderata personale vi è ovviamente impli-
cita 40 •

'° Per i testi citati cfr., le Lettere sull'educazione estetica del-


l'uomo, e i saggi Grazia e dignità e Poesia ingenua e sentimentale
(in Saggi estetici, Torino 1951, passim, spec., p. 203 sgg., 367 sgg.,
377, 397, 412-3, 436, 457, ecc.). Le considerazioni più interessanti

258
Più lineare e drammatica la testimonianza di
Holderlin. La duplice esperienza di Kant e Rousseau
(e il simultaneo intreccio del sodalizio con Hegel e
Schelling) sboccano in una limpida contrapposizione
fra unità greca e moderno dissidio, ricalcando quasi
alla lettera le espressioni schilleriane, cosl dense
di riferimento alla specifica condizione operaia. E
cosl in A~chipelagus, con un lirismo secco e inten-
mente politico:
Aber weh! Es wandelt in Nacht, es wohnt, wie im Orkus
Ohne Gottliches unser Geschlecht. Ans eigene Treiben
Sind sie geschmiedet allein und sich in der tosenden Werkstatt
Horet jeglicher nur und viel arbeiten clie Wilden
Mit gewaltigem Arm, rastlos, doch immer und immer
Unfruchtbar, wie clie Furien, bleibt clie Miihe der Armen.
Bis, erwacht vom angstigen Traum, clie Seele den Menschen
Auft,-eht, jugendlich froh, und der Liebe segnender Othem
Wieder, wie vormals oft bei Hellas' bliihenden Kindern,
Wehet in neuer Zeit und iiber freieren Stime
Uns der Geist der Natur, der fernherwandelnde, wieder
Srillcweilend der Gott in goldnen Wolken erscheinet 41 •

su Schiller e Holderlin dal punto cli vista marxista sono quelle cli
Lukàcs.
" F. H6LDERLIN, Poesie (a cura cli G. Vigolo, con testo a
fronte), da cui citiamo la bella traduzione: «Ma vaga ahimè nella
notte, vive come nell'Ade / Senza il Divino la nostra progenie.
Al suo agire convulso / Incatenata e ognuno nel fragore dell'offi-
cina / Solo ode se stesso, e molto lavorano i bruti / Con pcxleroso
braccio, insonni, ma sempre, ma sempre / Sterile come le Furie
resta il sudore dei miseri. / Fino a che desta dal sogno d'angoscia
l'anima umana / Non sorga con giovane gioia e il santo soffio
d'amore / Come già un tempo non torni nei figli in fiore dell'Ellade /
A spirare in nuova epoca e sopra più libera fronte / Lo spirito della
natura, l'Idclio, dopo tanto migrare, / Calmo sostando tra nuvole
d'oro cli nuovo ci appaia» (pp. 114-5).

259
L'antagonismo di classe, la scissione dell'uma-
nità è tradotta liricamente in opposizione fra «not-
te» e «divino» - ciò che annuncia già la posteriore
conversione alla mitopoiesi, la sublimazione della
rivoluzione fallita in misticismo e follia (che sono
però anche un rifìuto dell'integrazione schilleriana
con l'alibi dell'anima bella, un gesto di fivolta in-
dividuale). Ma il taglio è caratteristico, cosl come
l'utilizzaz;ione di uno schema fraseologico russoiano
nel fìnale dell'Iperione ( «Tu vedi artigiani, non
uomini, pensatori, non uomini, signori e servi, gio-
vani e anziani, ma non uomini») a denuncia espli-
cita di una condizione di classe.
Holderlin, ben più di Rousseau, vive l'aprirsi
delle nuove contraddizioni di classe ed è schiacciato
dal carattere individuale della sua ribellione ( «Statt
offner Gemeine sing' ich Gesang» ), fìno al silenzio
dei lunghi decenni di follia, quando ripiega sull'im-
mediatezza della natura, della vita vegetale e della
quiete dello spirito ( «Die prachtige Natur erheitert
seine Tage, / Und ferne steht des Zweifels dunkle
Frage» ), ma pure si fuma con il nome del rivolu-
zionario comunista Buonarroti, l'erede e biografo
di Babeuf.
Marx, che come gli altri esponenti della gio-
vane sinistra hegeliana molto amava Holderlin, ri-
chiama il nostalgico appello di Schiller schone
W elt, wo bist du? - in un contesto caratteristico, e
cioè proprio in quelle pagine dei Grundrisse in cui
prefìgura la società comunista, l'uomo comunista

260
come il prodotto di tutta la dolorosa storia di con-
traddizioni e progresso delle forze produttive nel
capitalismo, della distruzione del modo di produ-
zione capitalistico e della reintegrazione di quella
forma di unità che, a livelli più bassi, già era stata
sperimentata nella polis ellenica. E' questo un bi-
lancio dell'organicismo russoniano e protoromanti-
co, scartato come falsa socializzazione (già nella
Questione ebraica), recuperato come istanza cui però
solo una prospettiva socialista (e non democratico-
borghese) può conferire senso e realtà.
Marx premette che presso gli ancichi non tro-
viamo mai un'indagine sui modi più efficaci di accre-
scere la produzione, ma il loro interesse si volge
piuttosto a stabilire quale forma di proprietà crei
i migliori cittadini: «Ora, la ricchezza da una parte
è una cosa, si realizza in cose, in prodotti materiali
cui l'uomo si contrappone come soggetto; dall'altra,
come valore, essa è semplicemente un comando su
lavoro altrui, non a scopo di dominio, ma per il
godimento privato, ecc. In tutte le forme essa si
presenta in forma oggettiva, si tratti di una co-
sa o di un rapporto mediato da una cosa che
si trova al di fuori dell'~ndividuo e casualmente
accanto a lui. Perciò l'antica concezione secondo
cui l'uomo quale che sia la sua limitata determina-
zione nazionale, religiosa, politica, è sempre lo sco-
po della produzione, sembra molto elevata nei con-
fronti del mondo moderno, in cui la produzione
si presenta come scopo dell'uomo e la ricchezza co-

261
me scopo della produzione. Ma in fact, una volta
cancellata la limitata forma borghese, che cosa è la
ricchezza se non l'universalità dei bisogni, delle
capacità, dei godimenti, delle forze produttive, ecc.
degli individui, creata nello scambio universale? Che
cosa è se non il pieno sviluppo del dominio dell'uo-
mo sulle forze della natura, sia su quelle. della co-
siddetta natura, sia su quelle della propria natura?
Che cosa è se non l'estrinsecazione assoluta delle
sue doti creative, senza altro presupposto che il
precedente sviluppo storico, che rende fine a se
stessa questa totalità dello sviluppo, cioè dello svi-
luppo di tutte le forze umane come tali, non mi-
surate su di un metro già dato? Nella quale l'uomo
non si riproduce in una dimensione det~rminata,
ma produce la propria totalità? Dove non cerca di
rimanere qualcosa di divenuto, ma è nel movimento
assoluto del divenire? Nell'economia politica bor-
ghese - e nella fase storica di produzione cui essa
corrisponde - questa completa estrinsecazione della
natura interna dell'uomo si presenta come un com-
pleto svuotamento, questa universale oggettivazione
come alienazione totale, e l'eliminazione di tutti gli
scopi determinati unilaterali come sacrifìcio dello
scopo autonomo a uno scopo completamente ester-
no. Perciò da un lato l'infantile mondo antico si
presenta come qualcosa di più elevato; dall'altro
lato esso lo è in tutto ciò in cui si cerca di ritrovare
un'immagine compiuta, una forma, e una delimita-
zione oggettiva. Esso è soddisfazione da un punto

262
di vista limitato; mentre il mondo moderno lascia
insoddisfatti, o, dove esso appare soddisfatto di se
stesso, è volgare» 42 •
La nostalgia moderna per l'età classica contiene
quindi un elemento positivo di denuncia delle con-
traddizioni del progresso capitalistico, e ciò è tanto
più valido quando, come in Rousseau, si accompagni
a una valutazione ottimistica della creatività del-
l'uomo (pur nella rappresentazione metafisica della
«natura» umana primigenia). Ma la soluzione con-
creta che Rousseau dà delle antinomie della società
moderna è nient'altro che il perfezionamento della
«società civile», l'integrale scissione homme-citoyen,
la definizione di una pratica razionale e di una so-
vranità popolare come «cielo della politica» - in-
somma, partito della polis, il cittadino di Ginevra
è arrivato alla democrazia borghese rivoluzionaria.
Il contratto sociale in cui si condensa la ribellione
alla società civile hobbes-mandevelliana e al patto
iniquo che la governa è l'anticipazione della società
civile matura, ricorda Marx nell'Introduzione del
1857; il nesso contrattuale tra soggetti per natura
indipendenti esprime l'individuo sciolto dai vincoli
naturali, dalle forme sociali feudali, disponibile a
un'espansione illimitata (che però, nella forma bor-
ghese, è illimitato svuotamento e alienazione) .

., K. MAxx, Lineamenti fondamentali della critica dell'economia


politica, Fire= 1970, II, p. 111 sgg. (nell'originale tedesco,
Berlin 1953, p. 387 sgg.).

263
Dove il sentimento della sc1ss10ne (e la radi-
calità storicamente determinata dello scossone socia-
le alle strutture feudali) vige in tutta la sua lette-
raria intensità - in Holderlin, nel primo Schiller -
il preannuncio della tematica socialista è più evi-
dente; dove opera un tentativo di ricostruzione
della società, dove l'immediato naturale è· ritrovato
con le tipiche mediazioni strumentali dell'educazione
e del diritto, l'esito borghese è inevitabile. L'auto-
nomia del sentimento e della volontà si traducono
immediatamente nelle categorie della politica e del
mercato capitalistici - la nazione, l'individuo come
produttore, elettore, soggetto di diritto, contraente
del rapporto di lavoro. Rousseau è cosl tutto dentro
la sfera ideologica borghese: il suo mondo non è
affatto il migliore dei mondi possibili (come lo è
per i fisiocratici, una volta eliminati gli ostacoli
alla libertà di concorrenza), ma lo sarà quello creato
dal nuovo contratto sociale. La sua spartana mitiz-
zazione della virtù e della frugalità non è affatto
ignara dell'agonismo dell'uomo di merito e di ta-
lento, ma l'affarista borghese, il capitano d'indu-
stria si presenta con le vesti smaglianti dell'uomo
di passione.
Un messaggio ideologico, tuttavia, va spesso
al di là dei suoi destinatari, soprattutto quando l'au-
tore viva radicalmente una condizione di contrad-
dizione storica. Non dobbiamo perciò stupirci se il
messaggio di Rousseau sia stato forzato al di là
dell'orizwnte della rivoluzione borghese, dalla tra-

264
dizione babuvista e socialista utopistica, dallo Sturm
und Drang e dal primo romanticismo tedesco - pur
lasciando Marx abbastanza freddo. Ciò deriva diret-
tamente dall'intensità dell'esperienza russoiana e
dalla sua collocazione storica centrale nel processo
di rivoluzione democratico-borghese (e dell'interru-
zione e riflusso che ne perpetuò la nostalgia e la
speranza), ma non giustifica una «riabilitazione»
socialista e addirittura pretese di «precorrimenti» di
marxismo che, oltre tutto, svuoterebbero l'effettivo
significato storico di transizione che possiede il pen-
siero di Rousseau. Sulla cui più precisa posizione nel
dibattito illuministico abbiamo in questo lavoro cer-
cato di fare maggior luce.

265
INDICE

PRIMA PARTE

p. 7 I fisiocratici e il trionfo del progresso


1. La ragione e l'evidenza, p. 9;
2. Il naturale diritto alla proprietà, p. 17;
3. Il contenuto economico, p. 21;
4. Elementi di sociologia fisiocratica, p. 37;
5. L'idea di progresso, p. 46.

SECONDA PARTE

81 La polemica contro la società civile e il ruolo


di J. J. Rousseau
1. Economisti e filantropi, p. 83;
2. Uno straniero fra gli uomini, p. 89;
3. L'uomo della natura e la natura dell'uo-
mo, p. 92;
4. La cultura della diseguaglianza, p. 103;
5. La critica della società civile, p. 125;
6. La libertà civile come ricostruzione della
società, p. 135;
7. L'anima e la legge, p. 144;
8. Emilio, ovvero l'uomo senza qualità,
p. 157.

TERZA PARTE

183 Il secolo delle rivoluzioni


1. Natura, cuore e ragione, p. 185;
2. La reazione a Rousseau: l'idéologie,
p. 192;
3. La democrazia giacobina, p. 207;
4. Il pensiero controrivoluzionario, p. 217;
5. Il problema del male - de Maistre, Sade,
Kant, p. 233;
6. L'eredità di Rousseau, p. 255.
Finito di Stampare
il 13 ottobre 1972
nello S.T.E.U. di Urbino
Stabilimento Tipografico Editoriale Urbinate

Potrebbero piacerti anche