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gennaio-dicembre 2015
ISSN 2239-5962
materiali foucaultiani
peer reviewed
COMITATO SCIENTIFICO
Philippe Artières, Étienne Balibar, Jean-François Bert,
Alain Brossat, Judith Butler, Edgardo Castro, Sandro Chignola, Pierre Dardot,
Arnold I. Davidson, Mitchell Dean, Didier Fassin, Domingo Fernández Agis,
Colin Gordon, Frédéric Gros, David Halperin, Jonathan X. Inda, Bruno Karsenti,
Christian Laval, Olivier Le Cour Grandmaison, Boyan Manchev, Manuel Mauer,
Achille Mbembe, Sandro Mezzadra, Brett Neilson, Peter Nyers, Johanna Oksala,
Aihwa Ong, Michael A. Peters, Mathieu Potte-Bonneville, Jacques Rancière,
Judith Revel, Michel Senellart, Jon Solomon, Vincenzo Sorrentino,
Ann Laura Stoler, William Walters, Robert J.C. Young
ISSN 2239-5962
SOMMARIO
Saggi
261 Françoise Collin Il pensiero della scrittura: différance e/o evento.
Maurice Blanchot tra Derrida e Foucault
275 Federico Rahola As we go along. Spazi, tempi e soggetti delle controcondotte
295 Paolo B. Vernaglione Michel Foucault e l’eredità della critica
Foucault – un “classico”?
di Laura Cremonesi, Orazio Irrera,
Daniele Lorenzini, Martina Tazzioli
Nell’ultimo editoriale , pubblicato un anno fa su questa rivista in aper-
1
tura del numero doppio dedicato, da una parte, alla parrhesia e all’attualità
politica della critica e, dall’altra, alla nascita della società punitiva, ci era-
vamo interrogati su due prospettive, opposte ma in un certo senso com-
plementari, che rappresentano ai nostri occhi altrettanti rischi da evitare
a tutti i costi nel lavoro che può essere fatto su, con e a partire da Foucault.
Da un lato, il rischio di ridurre un approccio, un metodo, una serie di do-
mande e di cantieri di problematizzazione dotati di una speciicità storica
e politica ben precisa a un’impresa di “attualizzazione a tutti i costi” – im-
presa che, in maniera pressoché necessaria, trasforma quindi la boîte à outils
foucaultiana in una griglia analitica che si suppone (magicamente) capa-
ce di decodiicare ogni aspetto del presente. Dall’altro lato, il rischio della
“monumentalizzazione” di Foucault, ovvero della trasformazione del suo
pensiero in un classico che sarebbe legittimo soltanto interpretare, studiare
ilologicamente nella sua genesi e nel suo accidentato sviluppo, e che non
avrebbe dunque più nulla da dirci su noi stessi e sul nostro presente – un
pensiero, perciò, inutilizzabile. Concludevamo allora sull’importanza vitale
di percorrere una strada diversa, che non si arroghi il diritto di formulare
a priori giudizi di legittimità/illegittimità o di fedeltà/infedeltà, ma che al
contempo non rinunci a intraprendere una rilessione (necessariamente a
posteriori) sugli usi di Foucault che si rivelano essere interessanti, innova-
tivi e ricchi di conseguenze e su quelli che, invece, si dimostrano sterili, ba-
nali e banalizzanti, privi di interesse e di conseguenze signiicative. In altri
termini, ci sembrava – e ci sembra – cruciale, a questo proposito, evitare
di cristallizzare una distinzione che si ha sempre più tendenza a tracciare,
ovvero quella tra un approccio interessato a sondare la coerenza storico-
ilosoica di un pensiero situato e un altro che valorizza aprioristicamente
la molteplicità degli usi che il pensiero foucaultiano suscita e continuerà
a suscitare. Evitare, insomma, il feticismo della lettera in quanto lettera così
come quello dell’uso in quanto uso, sforzandosi invece di creare le condizio-
ni propizie per un dialogo aperto e per un’ibridazione feconda tra queste
due prospettive – dialogo e ibridazione che soli possono nutrire il lavoro
del pensiero e della sperimentazione.
3
Cfr. F. Gros, Foucault est-il devenu classique?, intervento alla giornata di studi «Relire
le Foucault de la Pléiade», organizzata da Bernard Harcourt all’EHESS il 6 gennaio 2016.
Foucault – un “classico”? 7
rispetto alla politica e alla funzione del sapere e utilizzarle come armi per
affermare l’indeinita criticabilità del proprio presente signiica attingere
alle sue analisi nel tentativo di riattivarne il potenziale esplosivo, aprendo
così spazi di critica e di azione rispetto all’oggi che spetta a noi creare senza
(volerne o poterne) cercare la formulazione nei testi di Foucault. In questo
senso, ci possiamo rifare al celebre avvertimento metodologico enunciato
da Foucault in Nietzsche, la genealogia, la storia: «il sapere non è fatto per co-
noscere, è fatto per prendere posizione»4. Oggi si tratta forse di spingere
ancora oltre tale avvertimento, interrogandosi su cosa “prendere posizio-
ne” voglia dire e su come ripensare la nostra posizione all’interno della
produzione di sapere contemporaneo.
Una terza linea di rilessione insiste invece sul passaggio dall’era mo-
derna all’era contemporanea che si compie seguendo il cammino che dal
liberalismo classico conduce al neo-liberalismo odierno, in cui il terremoto
sociale prodotto da quest’ultimo colpisce sempre più sia una dimensione
interna ai singoli Stati sovrani nazionali, sia un quadro geopolitico trans-
nazionale, segnato dalla globalizzazione di capitali, merci e stili di vita, in
cui le cose acquistano più valore degli individui, ridotti a non-persone, a
prescindere dal colore della pelle o dalle fedi anelate. Così, l’indicibilità
della violenza costitutiva del potere sovrano, rimossa attraverso l’idea di
contratto sociale, dislocata in uno spazio pre-politico, forclusa dall’istanza
liberale di governo razionale, relegata a emergenza eccezionale nel pieno
dello scontro imperiale delle guerre mondiali o mondializzate, patologiz-
zata sotto forma di reazione animalesca di istinti primordiali duri a civi-
lizzarsi, scaraventata inine nelle periferie del mondo per procura, ritorna
prepotentemente nella quotidianità sotto forma di precarietà generalizzata
dell’esistenza (considerata nelle sue determinazioni di classe, razza o ge-
nere), e inisce persino per modiicare la forma stessa della politica. Con
ciò sembrerebbe che la discorsività politica in senso aureo si sia inceppata
là dove il pensiero politico declinava il realismo politico sul piano interno
e internazionale, immunizzandosi attraverso questo stesso gesto dal virus
della potenza, della forza violenta elevata a cifra sistemica. Ma questo ac-
cadeva non nel segno dell’oscillazione disgiuntiva, come si è sempre data la
dialettica tra due ottiche egemoni di lettura (o violenza sovrana o contrat-
to sociale), bensì sotto il prisma della coincidenza, ossia nella compresenza
necessaria delle due tattiche del potere politico, ricondotte a unità e allo
stesso tempo sovradeterminate dalla governamentalità neoliberale.
Soffermarsi allora sul nesso tra governamentalità e potere signiica analiz-
zare i modi in cui Foucault precisa la sua nozione di razionalità di governo,
mostrandoci l’intreccio di saperi e poteri che la costituiscono, le pressioni
normalizzanti che producono determinati e sottili effetti di soggettiva-
zione, la soglia di biforcazione con il paradigma della sovranità attraverso
il prisma delle contro-condotte e delle resistenze che la governamentali-
tà neoliberale produce. Signiica esaminare da vicino il complesso della
governamentalità neoliberale, nella sua ricostruzione storica e nelle sue
conseguenze distruttive per la società e in relazione a una certa economia
che subisce un appiattimento dirompente sulla preponderante dimensio-
ne inanziaria. Signiica altresì interrogarsi sulle trasformazioni del potere
14 Orazio Irrera, Salvo Vaccaro
1
N. Bobbio, Liberalismo vecchio e nuovo, in «MondOperaio», vol. 34 (1981), n. 11,
pp. 86-94, ora in N. Bobbio, Etica e politica. Scritti di impegno civile, a cura di M. Revelli,
Arnoldo Mondadori, Milano 2009, p. 898.
2
Ivi, pp. 888-901.
stessa cruciale congiuntura storica. Ciò che a lui interessa è mettere a fuoco
innanzitutto gli elementi essenziali della governamentalità liberale e, in se-
condo luogo, le trasformazioni che l’hanno portata ai suoi aggiornamenti
neoliberali. Perciò, pur ponendo in luce con nettezza che il neoliberalismo
ormai determina «il senso del vento»3, egli non sembra percepire il rapporto
fra l’imporsi di questo «senso del vento» e la possibile crisi della democrazia,
che Bobbio invece intravede.
Da parte mia, qui cercherò di veriicare se ci si possa accontentare di
questa impressione o se piuttosto il lavoro svolto da Foucault nel Corso del
1979 non ci solleciti a impostare diversamente la questione, ovvero innan-
zitutto a riconoscere come una caratteristica intrascurabile del liberalismo la
debolezza del suo legame con la democrazia e, in secondo luogo, a veriicare
in quale misura questa debolezza si ripresenti nel neoliberalismo.
Comunque sia, l’apparente disattenzione foucaultiana verso i destini
immediati della democrazia a prima vista sembra potersi spiegare con il suo
marcato dissenso – messo bene in luce da Senellart – verso gli allarmi per i
pericoli di «fascistizzazione» dello Stato, lanciati negli anni settanta da certi
movimenti della sinistra francese4. Ciò che, però, è interessante in proposito
è che – secondo Foucault – questi allarmi di fatto convergono con la ricor-
rente denuncia neoliberale delle tendenze alla statalizzazione della società e
delle minacce totalitarie che ne deriverebbero. Sia questa denuncia sia i timo-
ri di fascistizzazione dello Stato a lui appaiono ingannevoli soprattutto per
una ragione: perché, a suo avviso, nella nostra epoca lo Stato non è lo stru-
mento di una statalizzazione crescente e oppressiva della società, ma è piut-
tosto l’oggetto di una governamentalizzazione che lo tocca e lo oltrepassa al
tempo stesso5. Insomma, il suo dissenso verso certe enfatizzazioni negative
del ruolo dello Stato deriva dal suo riiuto di un «luogo comune critico» che
egli deinisce «fobia di Stato»6. Si tratta – a suo parere – di una «fobia» che
3
M. Foucault, Naissance de la biopolitique. Cours au Collège de France. 1978-1979, a cura
di M. Senellart, Seuil/Gallimard, Paris 2004, p. 197.
4
Ibidem; M. Foucault, Michel Foucault: la sécurité et l’État, intervista con R. Lefort, in
«Tribune socialiste», 24-30 novembre 1977, ora in M. Foucault, Dits et écrits, 1954-1988, a
cura di D. Defert et F. Ewald, Gallimard, Paris 1994, t. III, p. 387; M. Senellart, Situation
du cours, in M. Foucault, Sécurité, territoire, population. Cours au Collège de France. 1977-1978, a
cura di M. Senellart, Seuil/Gallimard, Paris 2004, pp. 385-386.
5
M. Foucault, Naissance de la biopolitique, cit., pp. 197-198; cfr. Id., Sécurité, territoire,
population, cit., pp. 112-113.
6
M. Foucault, Naissance de la biopolitique, cit., p. 193.
Foucault e la post-democrazia neoliberale 19
Nel suo Corso del 1979 Foucault non riconosce alcun legame privi-
legiato fra il liberalismo e la democrazia, limitandosi peraltro ad intendere
per “democrazia” le forme istituzionali che normalmente vengono iden-
tiicate con la “democrazia liberale”, ossia il sistema rappresentativo e lo
Stato di diritto. Tutto questo risulta in qualche modo dal fatto che la sua
indagine inquadra il liberalismo non tanto come cultura politica, quanto
come razionalità e pratica di governo. Da questo punto di vista, per lui, il
liberalismo non è altro che una “continuazione con altri mezzi” della go-
vernamentalità essenzialmente economica inaugurata dalla Ragion di Stato
e praticata dallo Stato di polizia mediante le politiche mercantiliste. In de-
initiva la governamentalità liberale trova le sue condizioni di possibilità in
un contesto storico in cui né il diritto né la rappresentatività di chi governa
né la democrazia costituiscono preoccupazioni primarie. Partendo da que-
ste condizioni, il liberalismo continuerà ad affrontare gli stessi problemi di
cui si occupava già lo Stato di polizia e a perseguire i suoi stessi obiettivi:
arricchimento dello Stato, crescita della popolazione in rapporto allo svi-
luppo della produzione, equilibrio competitivo fra i paesi8.
Impostando in questi termini la genealogia del liberalismo, Foucault
ne spiega il successo storico soprattutto col fatto che attraverso l’econo-
mia politica esso riesce a far funzionare il libero mercato come principio
di limitazione interna delle pratiche di governo tendenzialmente illimitate,
inaugurate all’epoca della Ragion di Stato. Ciò che più conta in tal senso
– secondo lui – è che l’economia politica liberale indica nel libero funzio-
namento del mercato la natura indipendente delle cose di cui il governo deve
comunque occuparsi, senza aspirare però a determinarle o a controllarle
7
Ivi, pp. 113-120 e 192-198.
8
Ivi, pp. 12-16.
20 Ottavio Marzocca
9
Ivi, pp. 16-21.
10
Ivi, p. 17.
11
Ibidem.
Foucault e la post-democrazia neoliberale 21
12
Ivi, p. 326.
13
Ivi, p. 327.
22 Ottavio Marzocca
14
Ivi, pp. 40-48.
15
Ivi, pp. 191-192.
16
Cfr. M. Foucault, Qu’est-ce que la critique? (Critique et Aufklärung), in «Bulletin de la
Société française de Philosophie», n. 2 (1990), pp. 35-63.
Foucault e la post-democrazia neoliberale 23
Una volta date per scontate l’intrinseca tendenza dello Stato a fagoci-
tare la società e la temibile parentela fra tutte le forme di statalismo vero
o presunto, una serie indeinita di cortocircuiti analitici diviene possibile,
secondo Foucault: si può arrivare a sostenere, per esempio, che gli apparati
amministrativi su cui si basa la sicurezza sociale rischino di avviarci verso
i campi di concentramento; in qualunque atto autoritario delle istituzioni
politiche si può inire per ravvisare l’annuncio del peggio; e così non ci si
sentirà più tenuti ad analizzare nella loro speciicità i problemi e i pericoli
veramente attuali19.
Comunque sia, a rendere decisamente inafidabile la critica neoliberale
dello Stato – secondo Foucault – è che essa non si interroga affatto su se
stessa; essa è del tutto indisponibile a riconoscere il peso delle condizioni
storiche in cui i suoi argomenti sono maturati. Queste condizioni – egli
dice – si sono date soprattutto negli anni trenta e quaranta del Novecento,
quando il neoliberalismo ha dovuto fare i conti non solo con le politiche
del socialismo sovietico e del nazismo, ma anche con il Keynesismo, il
17
M. Foucault, Le courage de la vérité. Le gouvernement de soi et des autres II. Cours au Collège
de France. 1984, a cura di F. Gros, Seuil/Gallimard, Paris 2009, p. 65.
18
M. Foucault, Naissance de la biopolitique, cit., pp. 192-193.
19
Ivi, pp. 193-194.
24 Ottavio Marzocca
20
Ivi, pp. 194-195.
21
Ivi, pp. 114-115 e 195-196; cfr. F.A. von Hayek, The Road to Serfdom (1944), Rout-
ledge, London-New York 2001; W. Röpke, Civitas Humana: Grundfragen der Gesellschafts und
Wirtschaftsreform, Rentsch, Erlenbach-Zürich 1944.
22
M. Foucault, Naissance de la biopolitique, cit., p. 196
23
Ivi, pp. 196-198.
Foucault e la post-democrazia neoliberale 25
24
M.C. Behrent, Le libéralisme sans l’humanisme. Michel Foucault et la philosophie du libre
marché, 1976-1979, in D. Zamora (a cura di), Critiquer Foucault. Les années 1980 et la tenta-
tion néolibérale, Aden, Bruxelles 2014, p. 46; cfr. D. Zamora, Foucault, la gauche et les années
1980, in D. Zamora (a cura di), Critiquer Foucault, cit., pp. 6-11; Id., Foucault, les exclus et le
dépérissement néolibéral de l’État, in D. Zamora (a cura di), Critiquer Foucault, cit., pp. 87-113.
25
Cfr. M. Foucault, Sécurité, territoire, population, cit., pp. 112-113, 253, 362.
26 Ottavio Marzocca
deve essere piuttosto uno Stato i cui cittadini saranno posti in dall’inizio
nelle condizioni di esercitare la propria libertà innanzitutto come liber-
tà economica26. Su questa base – sostiene Foucault – viene inaugurato
un rapporto di funzionalità diretta fra Stato di diritto ed economia di
mercato, per cui si può dire che lo Stato della Germania occidentale si
costituisca come «Stato radicalmente economico»27. Lo Stato democra-
tico, insomma, qui si proila in dall’inizio come il guardiano attento del
libero mercato, che eventualmente può operare degli interventi non tan-
to sull’economia, quanto su ciò che dall’esterno ne può compromettere
il funzionamento secondo il principio della concorrenza28.
In realtà – come emerge dalla stessa analisi di Foucault – non sono
soltanto gli ordoliberali tedeschi a teorizzare la necessità di un nesso
immediato fra Stato di diritto e libertà economica. A questo riguardo,
infatti, è imprescindibile anche l’inluentissima rilessione di Friedrich
A. von Hayek. Ferme restando le intrascurabili differenze di posizioni
che si danno fra gli ordoliberali ed Hayek, anche secondo quest’ultimo la
stabile garanzia giuridica della libertà come libertà economica è la con-
dizione costantemente necessaria della legittimità di uno Stato di diritto
democratico. Anche per lui lo Stato di diritto scongiura il rischio tota-
litario soltanto se istituisce e fa rispettare regole certe e universalmente
valide del gioco della concorrenza economica29.
Comunque sia, tanto nel caso di Hayek che in quello dei neoliberali
tedeschi, «l’idea di far valere i principi di uno stato di diritto nell’eco-
nomia» non mira semplicemente a ripudiare le esperienze nazi-fasciste
e il socialismo sovietico. In realtà, quest’idea mira «a tutt’altro» – dice
Foucault –; essa mira «a tutte le forme di intervento legale nell’ordine
dell’economia che […] soprattutto gli stati democratici» hanno comin-
ciato a praticare col «New Deal americano» e con «la pianiicazione di
tipo inglese»30. Da questo punto di vista, in sostanza, a risultare intolle-
rabile per il neoliberalismo è il fatto che delle politiche interventistiche
siano scaturite dal seno stesso di paesi liberali per antonomasia. Anche
per questo – in particolare per i neoliberali tedeschi – il libero mercato
26
M. Foucault, Naissance de la biopolitique, cit., pp. 82-86.
27
Ivi, p. 87.
28
Ivi, pp. 176-184.
29
Ivi, pp. 177-179; cfr. F.A. von Hayek, The Road to Serfdom, cit., pp. 75-90.
30
M. Foucault, Naissance de la biopolitique, cit., pp. 176-177.
Foucault e la post-democrazia neoliberale 27
Anche il ruolo che qui Foucault riconosce al diritto sembra poter su-
scitare qualche sorpresa. Egli, infatti, generalmente ne mette profonda-
mente in discussione l’importanza sia politica che euristica, poiché lo con-
sidera strettamente connesso all’idea riduttiva di potere, corrispondente al
concetto di sovranità32. In ogni caso, nel Corso del 1979 la “secondarie-
tà” del diritto viene confermata, dal momento che esso risulta comunque
meno adeguato dell’economia politica sul piano governamentale. Tuttavia
Foucault lo associa in modo esplicito anche alla democrazia, pur conside-
rando quest’ultima nelle sue canoniche forme istituzionali. Di conseguen-
za, la “secondarietà” del diritto all’interno della governamentalità liberale
inisce per rivelarsi una prova importante, per quanto indiretta, della stessa
debolezza del rapporto fra liberalismo e democrazia.
Ciò non toglie che, secondo Foucault, in certi contesti storici il diritto
instauri una netta relazione di funzionalità con la razionalità economica;
esso perciò acquista un suo rilievo sul piano governamentale come accade
nei casi della sua declinazione utilitarista, dell’approccio neoliberale tede-
sco o della prospettiva delineata da Hayek. Negli ultimi due casi si assiste
peraltro a una chiara ripresa del concetto di Stato di diritto. Va sottoline-
ato, però, che qui questo concetto viene mutuato dalla tradizione tedesca
del Rechtstaat e da quella anglosassone del Rule of Law, ossia da culture
giuridiche differenti dalla visione assiomatico-illuministica che ha prodot-
to la centralità dei diritti dell’uomo. A partire da quelle tradizioni il diritto
può essere concepito come armatura giuridica formale che deve garantire
31
Ivi, pp.85-86.
32
Cfr., tra l’altro, M. Foucault, “Il faut défendre la société”. Cours au Collège de France.
1976, a cura di M. Bertani e A. Fontana, Seuil/Gallimard, Paris 1997, pp. 23-25, 30-33.
28 Ottavio Marzocca
33
M. Foucault, Naissance de la biopolitique, cit., pp. 172-181; cfr. M. Senellart, La que-
stione dello Stato di diritto in Michel Foucault, in M. Foucault, La strategia dell’accerchiamento.
Conversazioni e interventi 1975-1984, a cura di S. Vaccaro, duepunti edizioni, Palermo 2009,
pp. 239-268; J. Raz, The Rule of Law and Its Virtue, in A. Kavanagh e J. Oberdiek (a cura
di), Arguing About Law, Routledge, London-New York 2009, pp. 181-192.
34
Cfr. M. Foucault, Naissance de la biopolitique, cit., pp. 66-70.
35
Cfr. R. Castel, L’insécurité sociale. Qu’est-ce qu’être protégé?, Seuil, Paris 2003.
36
Cfr. M. Foucault, Michel Foucault: “Désormais, la sécurité est au-dessus des lois”, intervista
con J.-P. Kaufmann, in «Le Matin», n. 225 (1977), p. 15, ora in M. Foucault, Dits et écrits,
cit., t. III, pp. 366-368.
37
Cfr. tra l’altro M. Foucault, Va-t-on extrader Klaus Croissant?, in «Le Nouvel Ob-
servateur», n. 679 (1977), pp. 62-63, ora in M. Foucault, Dits et écrits, cit., t. III, pp. 361-
365; Id., Face aux gouvernements, les droits de l’homme, in «Libération», n. 967 (1984), p. 22,
ora in M. Foucault, Dits et écrits, cit., t. IV, pp. 707-708; S. Vaccaro, I diritti dei governati, in
M. Foucault, La strategia dell’accerchiamento, cit., pp. 7-30. In proposito mi permetto di
rinviare inoltre a O. Marzocca, Perché il governo. Il laboratorio etico-politico di Foucault, manife-
stolibri, Roma 2007, pp. 50-51, 131-134.
Foucault e la post-democrazia neoliberale 29
38
M. Foucault, Naissance de la biopolitique, cit., p. 253.
39
Ivi, pp. 89-92.
40
Cfr. P. Dardot e Ch. Laval, La nouvelle raison du monde. Essais sur la société néolibérale,
La Découverte, Paris 2009, parte III, cap. 11.
41
M. Foucault, Naissance de la biopolitique, cit., p. 154.
42
Ivi, pp. 231-232; cfr. P. Dardot e Ch. Laval, La nouvelle raison du monde, cit.,
pp. 409-414; M. Nicoli, «Io sono un’impresa». Biopolitica e capitale umano, in «aut aut», n. 356
(2012), pp. 85-99; M. Nicoli e L. Paltrinieri, Il management di sé e degli altri, in «aut aut»,
n. 362 (2014), pp. 49-74.
30 Ottavio Marzocca
Interesse e rappresentanza
43
M. Foucault, Naissance de la biopolitique, cit., p. 258.
44
Ivi, p. 264.
45
Ivi, pp. 256-266.
46
Ivi, pp. 272-275.
Foucault e la post-democrazia neoliberale 31
47
Ivi, pp. 277-278; D. Hume, Of the Original Contract, in Id., Essays Moral, Political, and
Literary. Part II (1752), in Id., The Philosophical Works, a cura di Th. Hill Green e Th. Hodge
Grose (Reprint of the new edition Longman, London 1882), Scientia Verlag Aalen,
Darmstadt 1964, vol. III, pp. 455-456; D. Hume, A Treatise of Human Nature and Dialogues
Concerning Natural Religion (1739-1740), in Id., The Philosophical Works, cit., vol. II, p. 316.
48
M. Foucault, Naissance de la biopolitique, cit., pp. 275-280.
32 Ottavio Marzocca
Democrazia condizionata
49
B. Constant, De la liberté des anciens comparée a celle des modernes, in Id., Collection com-
plète des ouvrages publiés sur le Gouvernement représentatif et la Constitution actuelle de la France,
formant une espèce de Cours de politique constitutionnelle, Bechet, Paris-Rouen 1820, vol. IV,
pp. 238-274.
50
M. Foucault, Naissance de la biopolitique, cit., p. 275.
Foucault e la post-democrazia neoliberale 33
51
F.A. von Hayek, Law, Legislation and Liberty, Routledge & Kegan Paul, London
1982, vol. III, pp. 1-40; I. Berlin, Two Concepts of Liberty, in Id., Four Essays on Liberty,
Oxford University Press, Oxford 1969, pp. 129-131.
34 Ottavio Marzocca
Post-democrazia
52
Cfr. F.A. von Hayek, De la servidumbre a la libertad, intervista con L. Santa Cruz, in
«El Mercurio», 19 aprile 1981, pp. D1-D2; J. Primera, Milton Friedman y sus recomenda-
ciones a Chile, in «Cato», 17 novembre 2006, <http://www.elcato.org/autor/jos-pi-
era-0> (consultato il 18-02-2016).
53
C. Crouch, Post-democrazia, Laterza, Roma-Bari 2005, pp. 5-6.
Foucault e la post-democrazia neoliberale 35
54
J. Rancière, La Mésentente. Politique et Philosophie, Galilée, Paris 1995, pp. 141-143;
Id., Who Is the Subject of the Rights of Man?, in «The South Atlantic Quarterly», vol. 103
(2004), n. 2-3, p. 306.
55
Cfr. M. Lazzarato, La fabrique de l’homme endetté. Essai sur la condition néolibérale, Édi-
tions Amsterdam, Paris 2011.
36 Ottavio Marzocca
Ottavio Marzocca
Università degli Studi di Bari Aldo Moro
ottavio.marzocca@uniba.it
56
Cfr. M. Foucault, Le courage de la vérité, cit., pp. 152-294.
57
Ivi, pp. 33-107; M. Foucault, Le gouvernement de soi et des autres. Cours au Collège de
France. 1982-1983, a cura di F. Gros, Seuil/Gallimard, Paris 2008, pp. 137-204.
Foucault e la post-democrazia neoliberale 37
.
Foucault and the Neoliberal Post-Democracy. Beyond the “Inlationary Criticism of the State”
1
J. Bidet, Foucault avec Marx, La fabrique éditions, Paris 2014. Vi si troverà un’argo-
mentazione più articolata e documentata delle prospettive qui presentate.
2
Questo concetto di “metastruttura” è al centro dello schema di analisi sul quale
lavoro da tre decenni e che sviluppo ulteriormente nel libro sopracitato. Rinvia all’idea che
le strutture moderne di classi devono essere comprese a partire dalla strumentalizzazione
dei loro presupposti razionali, nel senso in cui, secondo Marx, il capitalismo strumentalizza
il mercato (la propria metastruttura) che esso stesso suppone e produce.
3
È l’oggetto della sezione 4 del capitolo 14 (12 nell’edizione tedesca) del Libro I del
Capitale, che tratta della “divisione del lavoro nella manifattura e nella società”, compresa
secondo la coppia mercato/organizzazione.
4
K. Marx, Il Capitale, Libro I, capitolo 24, II (parte inale), MEW 23, S. 655-656.
5
Questo è il senso generale del penultimo capitolo del Libro I del Capitale, che viene
considerato a giusto titolo come la sua conclusione generale.
Pensare Marx con Foucault e Foucault con Marx 41
6
Si veda in particolare J. Habermas, Theorie des kommunikativen Handelns, Frankfurt
am Main, Suhrkamp 1985, S. 397-426.
42 Jacques Bidet
7
Questa questione è discussa nel capitolo 3 di Foucault avec Marx.
Pensare Marx con Foucault e Foucault con Marx 43
8
Su questo tema si veda M. Foucault, La volonté de savoir, Gallimard, Paris 1996,
pp. 121-129.
44 Jacques Bidet
9
M. Foucault, Naissance de la biopolitique. Cours au Collège de France. 1978-1979, Seuil/
Gallimard, Paris 2004, pp. 300-301.
10
Per esempio, l’idea che il lavoro “socialmente necessario” si comprenda qui come
dipendente innanzitutto dalla concorrenza all’interno del settore, e che la considerazione del
“lavoro astratto”, indipendente dal suo contenuto concreto-utile speciico, riguardi la
concorrenza fra settori.
46 Jacques Bidet
fra persone libere, uguali e razionali. Tale è la “verità” del liberalismo, che
pretende, come dice Foucault, di ancorare il diritto all’economia13, un’e-
conomia naturalmente di mercato. La strumentalizzazione consiste nel fat-
to che, quando tutto diventa mercato, la forza-lavoro diventa essa stessa
merce. Il mercato, questo bene comune della nostra razionalità, diventa
allora lo strumento di una classe dotata dei privilegi di potere-proprietà, o
potere-capitale.
Marx non coglie pienamente che l’organizzazione, l’altra forma di co-
ordinazione su scala sociale che vede crescere in forza ino a neutralizzare
il mercato, porta in sé un potenziale analogo di strumentalizzazione, at-
traverso l’altro privilegio, quello del potere-sapere. In realtà, nella “moder-
nità” e sin dal suo inizio per tracce successive all’interno di ordini sociali
anteriori (in diversi luoghi del mondo, dall’Asia all’Europa), le due media-
zioni razionali, mercato e organizzazione, funzionano come i due fattori di
classe che convergono nel rapporto moderno di classe. La classe dominante
presenta così due poli, due teste, due forme di poteri.
Foucault ha considerato quest’altro potere su registri ben deiniti,
come quelli del trattamento sociale del corpo, analizzando il suo ruolo
nella costituzione del soggetto. Ma da queste ricerche particolari trae un
insegnamento più generale. Mi sembra infatti che si debba innanzitutto
riconoscergli di avere, meglio di ogni altro, chiaramente stabilito che esiste
effettivamente un altro potere rispetto a quello dei capitalisti: di aver cioè mo-
strato, contro la tradizione marxista, che i manager non sono solo i loro
delegati, né gli amministratori pubblici i loro funzionari incaricati. E che
questo potere è trasversale e struttura tutte le sfere della società. Ha in ef-
fetti contribuito all’identiicazione di questo potere riferendolo al sapere, non
alla conoscenza, ma alla competenza ricevuta, alle sue “verità” nel senso
delle pretese riconosciute, verità socialmente produttive. Mette così in luce
che questo potere-sapere è differente dal potere-proprietà per il fatto che
si esercita soltanto comunicandosi.
Se così è, la lotta di classe è proprio uno scontro fra due classi, di cui
una, oligarchica, si nutre dei propri privilegi riproducibili, di proprietà o di
competenza, e l’altra è la moltitudine popolare. Una lotta a due classi, ma
fra tre forze sociali primarie, dal momento che la dominante è a due teste. Alla
base, in quella che conviene designare come la “classe fondamentale”, ci si
13
Esso rappresenta, spiega Foucault, «l’économie juridique d’une gouvernementalité indexée
à l’économie économique» (ivi, p. 300).
Pensare Marx con Foucault e Foucault con Marx 49
trova divisi in frazioni diverse a seconda che si sia strutturati piuttosto dalla
mediazione mercantile o piuttosto dalla mediazione organizzazionale. E
anche in diversi strati a seconda che si detenga, frutto di “lotte secolari”,
una certa presa su questi meccanismi di mercato e di organizzazione – o
che ci si trovi consegnati a essi come fattori di esclusione, integrati come
esclusi, fattori sui quali Foucault ha in modo particolare concentrato il
proprio sguardo.
In alto, c’è senza dubbio una sola classe dominante, perché le due “me-
diazioni-fattori di classi”, mercato e organizzazione, esistono solamente
in costante interferenza. Esiste in effetti una “Ragione” (strumentalizzata)
soltanto nella loro interrelazione, mobile e multiforme. Non si può avan-
zare una prospettiva economica “razionale” che non sia un’articolazione
tra mercato e organizzazione, né un ordine giuridico-politico “ragionevo-
le” che non risponda alla co-implicazione della libertà tra ciascun singolo
e la libertà tra tutti. La teoria meta-strutturale presenta così una semplicità
di principio che parrebbe farne una metaisica. Essa è tuttavia il contrario,
dal momento che ciò che mette in avanti non è la “ragione”, ma la pretesa
di ragione, la pretesa moderna di governarsi attraverso il discorso comu-
nicazionale immediato distribuito fra tutti (ogni voce equivale a un’altra),
prolungato dalle due “mediazioni” che si danno come tramite, nella com-
plessità sociale, fra questa immediatezza discorsiva e la cooperazione diret-
ta che essa permette. È tutto questo insieme, immediatezza e mediatezza,
che si trova strumentalizzato nel rapporto moderno di classe, via i privilegi
del potere-capitale e del potere-sapere.
In basso, c’è allo stesso modo una sola classe, perché queste due “me-
diazioni-fattori di classe”, interferendo tra loro a tutti i livelli, strutturano
la società intera e la vita di ciascuno. È questo il principio della sua unità.
Ma questo è anche il principio delle sue divisioni in frazioni e strati diversi.
Orizzontalmente, alcuni sono implicati più di altri nel fattore mercato
(dal contadino o commerciante di ieri all’“auto-imprenditore” di oggi),
altri nel fattore organizzazione (funzionari), altri ancora in posizione
intermediaria (salariati del settore privato). Verticalmente, alcuni dipen-
dono da raggruppamenti che hanno acquisito una certa presa su questi
meccanismi di mercato o di organizzazione, mentre altri (tra gli abitanti
delle campagne, i giovani, le donne, ecc. – e gli stranieri: nel punto di in-
terferenza con l’altra dimensione della forma moderna di società, che non
è la struttura-di-classe ma il sistema-mondo) ne sono più o meno privi.
50 Jacques Bidet
14
Mi permetto di rinviare all’analisi che propongo nel quinto capitolo di
L’État-monde, PUF, Paris 2011.
15
Questo concetto è al centro delle analisi che sviluppo in due lavori di prossima
pubblicazione: Le néolibéralisme et ses sujets e Le peuple comme classe.
Pensare Marx con Foucault e Foucault con Marx 51
Jacques Bidet
Université Paris Ouest Nanterre La Défense
j.bidet@wanadoo.fr
.
Thinking Marx with Foucault and Foucault with Marx
This article is the presentation of my book Foucault avec Marx (Paris, La fabrique
éditions, 2014; London, Zed Books, 2016) aiming at studying the conditions of a
critical collaboration between their two perspectives. The Foucault of the 1970s is
reported to the Marx of Capital. They are addressed through a research program I
call the “metastructural approach” of modernity.
1
M. Foucault, Qu’est-ce que la critique?, in «Bulletin de la Société française de
Philosophie», vol. 84 (1990), n. 2, pp. 35-63, ormai in M. Foucault, Qu’est-ce que la critique?
suivi de La culture de soi, a cura di H.-P. Fruchaud e D. Lorenzini, Vrin, Paris 2015.
2
Proprio di attitudine critica, o di critica come atteggiamento, relazione pratica a un
determinato campo di sapere parla Foucault nella sua conferenza del 27 maggio 1978:
«il me semble qu’entre l’haute entreprise kantienne et les petites activités pólemico-
professionnelles qui portent ce nom de critique […] il y a eu une certaine manière de
penser, de dire, d’agir également, […] un rapport aux autres aussi et qu’on pourrait
appeler, disons l’attitude critique» (Ivi, p. 34, corsivi miei).
sia quella che da Foucault trae concetti e strumenti di lavoro, sia quella che
ha radice in altri riferimenti teorici. Ora, si può convenire sul fatto che tale
questione sia stata affrontata in due modi dallo stesso Foucault. Ad una
prima analisi del potere come forza che produce gli individui – che li fabbrica
attraverso meccanismi di nominazione, identiicazione, circoscrizione,
gerarchizzazione, atti ad ottenere corpi docili ed economicamente utili
– subentra una seconda ipotesi, più vicina, che funziona, per usare una
prima approssimazione, estendendo (o intensiicando) la categoria classica di
sfruttamento, di matrice marxista.
Nel tardo Foucault, infatti, attraverso il iltro della normalizzazione
biopolitica, il potere pare investire tutto lo spazio dei modi di vita e tutti
i luoghi dell’esperienza storica: in una battuta si potrebbe dire ch’egli
intuisce il passaggio dalla fabbrica alla società del dispositivo di cattura e
captazione del valore prodotto dal lavoro vivo. Del resto, la ricezione di
Foucault che in Italia si è determinata nei primi anni settanta in ambito
post-operaista, si gioca tutta su quest’analogia3. Ma l’analisi di Foucault
non si ferma qui, poiché deinisce altresì, un doppio movimento di estrema
importanza: individua innanzitutto una sostanziale mutazione nelle forme
della razionalità necessarie per governare la vita e guadagnare una siffatta,
onnipotente estensione o intensiicazione del dispositivo normativo; e in
secondo luogo rileva come l’insieme di tecniche che determinano l’ambiente
biopolitico, non cessi tuttavia di produrre soggetti, i quali, per quanto normati,
tengono aperta al contempo la possibilità di modi di vita autonomi,
inventivi e sperimentali.
Ora però, contro questa linea, per così dire, soggettivista, se ne sono
diffuse almeno altre due, che provano a smentire tali esiti e allontanarne
i fantasmi. Due ipotesi che io considero metodologicamente scorrette,
perché rovesciano il senso e sviliscono le potenzialità del Foucault politico.
3
Cfr. T. Negri, Quand et comment j’ai lu Foucault e S. Chignola, Une rencontre manquée ou
seulement différée: l’Italie, in Foucault, Éditions de l’Herne, Paris 2011, pp. 199-208 e 244-251.
Ambiguità di Foucault 55
4
M. Foucault, Naissance de la biopolitique. Cours au Collège de France. 1978-1979, a cura
di M. Senellart, Seuil/Gallimard, Paris 2004.
5
G. de Lagasnerie, La dernière leçon de Michel Foucault. Sur le néolibéralisme, la théorie et la
politique, Fayard, Paris 2012 e Id., Néolibéralisme, théorie politique et pensée critique, in «Raisons
Politiques», n. 52 (2013), pp. 63-76. Su queste tesi mi permetto di rimandare al mio M.
Assennato, Foucault per tutti. Lezioni di critica al neoliberismo, in <http://www.uninomade.
org/foucault-per-tutti/> (consultato il 3-02-2016).
6
Cfr. D. Zamora (a cura di), Critiquer Foucault. Les années 1980 et la tentation néolibérale,
Aden, Bruxelles 2014.
7
Per una analisi più equilibrata e fondata del rapporto tra Foucault e il neoliberismo si
rimanda qui ai testi raccolti nell’ottimo dossier intitolato Les néolibéralismes de Michel Foucault,
curato da F. Gros, D. Lorenzini, A. Revel e A. Sforzini per «Raisons Politiques», n. 52,
2013, pp. 13-108, in particolare agli articoli di M. Lazzarato (pp. 51-62), L. Paltrinieri
(pp. 89-108) e all’importante editoriale irmato dai curatori (pp. 5-12).
56 Marco Assennato
uno scettico che aveva rinunciato a trovare un senso alle cose del mondo, perfettamente
compatibile con i nuovi assetti istituzionali – che già Paul Veyne aveva
tratteggiato nel suo ricordo dell’amico scomparso8. Ma questa linea risulta
debole, facilmente falsiicabile anche semplicemente scorrendo il testo
del Corso al Collège de France: com’è d’altronde noto, infatti, Foucault
discute di ordoliberali tedeschi e di neoliberali americani, sempre tentando
di impostare un’analisi delle modiiche che sono sopravvenute nella
coscienza di sé dei governanti, attraverso differenti momenti storici9. E anche
se volessimo farne un uso attuale, saremmo costretti a riconoscere che
l’analisi del neoliberalismo in Foucault resta l’analisi di una forma innovativa
di governamentalizzazione della vita. Foucault sta parlando, insomma, del
lato disciplinare di uno speciico passaggio storico. Che ne riconosca forza
e spessore politico, che ne sottolinei la razionalità, è considerazione ovvia.
Altrimenti, si direbbe, perché discuterne?
Tuttavia già questo primo ilone di lettura ci pone una questione:
quando Foucault riconosce al neoliberalismo questo radicale riiuto
dell’invasione dell’umanità da parte dello Stato – e più in generale la capacità di
mettere all’opera un quadro analitico non totalizzante, uniicatore, sintetico,
idealistico, contrario alla ragion di Stato perché sbilanciato sull’eterogeneità
e la molteplicità delle azioni singolari – dà spazio o margine a una qualche
ambiguità? La risposta che proverò ad argomentare è: sì. Il problema però
è mettersi d’accordo su cosa sia, questa ambiguità.
Foucault destituente
8
Cfr. P. Veyne, Foucault. Sa pensée, sa personne, Albin Michel, Paris 2008, pp. 227-243.
9
Cfr. M. Foucault, Naissance de la biopolitique, cit., lezione del 10 gennaio 1979, pp. 3-28.
10
Cfr. G. Agamben, L’uso dei corpi. Homo sacer IV, 2, Neri Pozza, Vicenza 2014, in
particolare l’Epilogo, pp. 333-352, ma più in generale mi pare si dovrebbe rileggere in tal
senso tutto il ciclo agambeniano di Homo sacer, e il pensiero di Esposito almeno ino a
R. Esposito, Due. La macchina della teologia politica e il posto del pensiero, Einaudi, Torino 2013.
11
Cfr. D. Tarizzo, Dalla biopolitica all’etopolitica: Foucault e noi, in «Nóema», vol. 4 (2013),
n. 1, pp. 43-51.
Ambiguità di Foucault 57
15
M. Cacciari, Pensiero negativo e razionalizzazione, Marsilio, Venezia 1977, p. 68.
16
Cfr. su questo la seconda parte di M. Heidegger, Nietzsche, Adelphi, Milano 2000,
e ancora la pagina di Cacciari sopra richiamata.
Ambiguità di Foucault 59
Foucault e la critica
Per molte delle questioni che abbiamo attraversato sin qui, la conferenza
che Foucault ha pronunciato nel 1978 alla Societé française de Philosophie,
poi pubblicata sotto il titolo Che cosa è la critica?, mi pare illuminante. Cosa
signiica produrre lavoro critico? si chiede Foucault. E risponde: «è la
questione della quale ho sempre voluto discutere […] in direzione di una
ilosoia a-venire […] forse al posto di ogni ilosoia possibile»17. Dunque
qui la critica è qualcosa che eccede la ilosoia, la sbilancia su un esterno. O
qualcosa che, in ogni caso, si colloca in uno spazio possibile che succede alla
rilessione ilosoica classica, arenata nella dialettica del conoscere e del
potere, della razionalizzazione e del dominio.
Subito all’inizio della conferenza, Foucault dice: dobbiamo provare a
deinire la critica in sé. Una notazione interessante e curiosa, perché di solito
consideriamo la critica eteronoma ovvero come fosse «uno strumento, un
mezzo […] uno sguardo su un dominio in cui vuole fare pulizia ma in cui
non è capace di fare legge»18. Insomma, siamo abituati a pensare che non
si dia critica in sé, ma solo critica di qualcosa: della ilosoia, della scienza,
della politica, della morale, del diritto, dell’economia politica, e così via
seguitando. E invece Foucault cerca proprio questa critica in sé come ciò di
cui avrebbe voluto parlare da sempre.
Lungo la conferenza, della quale non si può qui rendere un riassunto
puntuale19, l’atteggiamento critico, viene deinito da Foucault in termini etici:
la critica è virtù fondamentale che nasce in epoca moderna, accanto alla
17
M. Foucault, Qu’est-ce que la critique?, cit., p. 34.
18
Ibidem.
19
Si rimanda tuttavia agli ottimi lavori di Daniele Lorenzini, in particolare
D. Lorenzini e A.I. Davidson, Introduction, in M. Foucault, Qu’est-ce que la critique?, cit.,
pp. 11-30; D. Lorenzini, Dall’ermeneutica del sé alla politica di noi stessi, in «Nóema», vol. 4
(2013), n. 1, pp. 1-10 e, per estensione, D. Lorenzini, La tentazione ontologica di Michel
Foucault, in «Quadranti. Rivista internazionale di ilosoia contemporanea», vol. 3 (2014),
n. 1, pp. 23-38.
60 Marco Assennato
20
M. Foucault, Qu’est-ce que la critique?, cit., p. 37.
21
Ivi, p. 39.
22
Ivi, p. 43.
23
Ivi, p. 44.
24
Ivi, p. 46.
25
Cfr. ivi, p. 44.
Ambiguità di Foucault 61
26
Ivi, p. 51.
27
Ivi, p. 55. Si veda a tal proposito la voce Généalogie, in J. Revel, Dictionnaire Foucault,
Ellipses, Paris 2008, pp. 63-64, soprattutto laddove Revel nota: «ciò signiica che la
genealogia non cerca nel passato semplicemente la traccia di eventi singolari, ma pone la
questione della possibilità degli eventi presenti» (corsivo mio).
28
M. Foucault, Qu’est-ce que la critique?, cit., pp. 55-56.
29
Ivi, p. 56.
62 Marco Assennato
30
Ibidem.
31
Ivi, p. 57.
32
Ibidem.
33
Ivi, p. 56.
34
M. Foucault, “Omnes et singulatim”: vers une critique de la raison politique, in Dits et écrits
II, 1976-1988, a cura di D. Defert e F. Ewald, Gallimard, Paris 2001, pp. 953-980.
Ambiguità di Foucault 63
sottolinea a più riprese che la sua analisi non si applica alla ragione in generale35,
e neppure alla decostruzione dell’onnipotenza presunta del processo di
razionalizzazione. Anzi, razionalizzazione è «parola pericolosa», perché tratta
«della società e della cultura come un tutto»36, perdendo di vista dunque le
contraddizioni speciiche che si producono nei vari ambiti di potere e di
sapere: «non è suficiente fare il processo alla ragione in generale. Ciò che
occorre rimettere in questione – dice Foucault – è la forma di razionalità
presente […]. La questione è: come vengono razionalizzate le relazioni di
potere? Porre una tale questione è il solo modo di evitare che altre istituzioni,
con gli stessi obiettivi e gli stessi effetti, prendano corpo»37.
Come è evidente, dunque, il fatto che la politica assuma sempre di più
carattere tecnico, burocratico, scientiico, non porta Foucault a concludere
con l’equivalenza tra razionalità e istituzionalizzazione delle pratiche sociali,
tecnica e politica. Al contrario disegna un solco profondo attraversato da
mille, speciiche e mobili, condizioni tecniche di politicizzazione del sapere. Ma ci
sono ragioni differenti che abitano questo mondo, non ricomponibili in un
unico destino. Esistono certo cattivi usi della scienza e della tecnica ma ci
sono anche ottime ragioni e usi positivi del sapere umano: quelli che spezzano
la logica del vilain pouvoir38, riaprendo le forme istituzionali della conoscenza
allo scambio e all’esame critico.
Si tratta dunque di dissociare i diversi tipi di razionalità e liberare le
loro contraddizioni speciiche, così da individuare spazi concreti di azione
politica. In ciascun dominio, in ogni spazio disciplinare, il rapporto tra
potere e libertà può sempre sbilanciarsi, aprirsi, non è destinato a chiudersi
dialetticamente. Il problema non sarà più: in forza di quale errore o illusione,
di quale destino, è possibile che la razionalizzazione e la conoscenza umana portino al
dominio, all’assoggettamento, alla riduzione dell’essere a ente? Quanto piuttosto: come
l’indissociabilità moderna di sapere e potere produce ad un tempo e nello spazio di una
medesima singolarità storica, dinamiche di assoggettamento e un «campo di possibili, di
aperture, di indecisioni, di rovesciamenti e dislocazioni eventuali» che rende ogni biopotere,
sempre, fragile39? Fin qui arrivano l’archeologia e la genealogia di Foucault. È
già tanto e siamo ormai fuori dall’impianto heideggeriano. Ma non basta.
L’ambiguità di Foucault non è ancora sazia.
35
Ivi, p. 969.
36
Ivi, p. 954.
37
Ivi, p. 980.
38
M. Foucault, Qu’est-ce que la critique?, cit., p. 62.
39
Ivi, p. 57.
64 Marco Assennato
40
Ivi, pp. 56 e ss.
41
Cfr. D. Lorenzini, Dall’ermeneutica del sé alla politica di noi stessi, cit.
42
M. Foucault, Le sujet et le pouvoir, in Dits et écrits II, cit., p. 1057.
43
J. Revel, Foucault avec Merleau-Ponty. Ontologie politique, présentisme et histoire, Vrin, Paris
2015, pp. 12-13.
Ambiguità di Foucault 65
La ricerca sul come non esser troppo governati, in altri termini, non allude
ad alcun esterno dalla governamentalizzazione, non è una fuga generica – che
sarebbe peraltro solo teorica – dal mondo della storia in uno spazio esterno
al biopotere, e neppure può essere assimilata, dice Foucault a «una sorta di
anarchismo di fondo, che sarebbe come una forma di libertà originaria,
assolutamente ribelle ad ogni governamentalizzazione»44. Non essere
governati è volontà strategica insieme individuale e collettiva che contesta speciici
modi di governo della vita attraverso forme autonome di soggettivazione.
L’atteggiamento critico dunque rinvia a qualcosa che è dell’ordine delle
«pratiche storiche di rivolta, di non accettazione di un governo reale»45.
Si tratta insomma di pensare la questione della soggettivazione autonoma
in modo non dialettico e tuttavia complesso. Si tratta di mettere al lavoro
l’ambiguità, sperimentando la dismisura dell’innovazione e della libertà
rispetto alle tecniche di cattura degli stili di vita.
Dunque: ambiguità del Foucault politico? Sì. Ma nel senso percorso già
da tutta la tradizione realista e materialista, almeno a partire da Machiavelli,
inventore di un metodo capace di mordere il tempo storico tenendosi
sempre dietro alla verità effettuale della cosa, piuttosto che perdendosi appresso
all’immaginazione di essa. Perché nel concreto della storia si danno solo
processi ambigui, insieme di dominio e spazi di libertà, campi di tensione
all’interno dei quali occorre schierarsi. Ambiguità, quindi, come «apertura
di mondo, apertura nel mondo»46. E sembra quasi di vederlo, questo
Foucault, che sottoscrive il gesto di quel poeta italiano capace ancora, nel
fuoco degli anni sessanta, del coraggio di parlar delle rose. Lettore di Adorno,
ne corresse il motto rovesciandone per doppia negazione la tragedia in
politica: non si dà vita vera “se non” nella falsa – diceva il poeta47. Perché
vita vera è quella che si conquista, trasformando le maglie del biopotere in
biopolitca, direbbe il ilosofo.
Marco Assennato
École Normale Supérieure d’Architecture Paris-Malaquais
marco.assennato@gmail.com
44
M. Foucault, Qu’est-ce que la critique?, cit., p. 65.
45
Ibidem.
46
J. Revel, Foucault avec Merleau-Ponty, cit., p. 206.
47
F. Fortini, Contro l’industria culturale. Materiali per una strategia socialista, Guaraldi
Editore, Rimini 1971 (ora in <www.lavoroculturale.org>).
66 Marco Assennato
.
Foucault’s Ambiguity
This article aims to analyze the recent interpretations of the relationship be-
tween Foucault and neo-liberalism. By extension it aims at highlighting the
potential criticism of Michel Foucault’s political thought. Three lines of in-
terpretation must be opposed: the Foucault neoliberal; the Foucault critic of
traditional political philosophy; and Foucault as a thinker of subjectivation. The
premise is methodological and holds together three words: politics – intended
as collective and plural experimentation acting on lifestyles that develop in
society; ambiguity – as a space of a realistic (or materialistic) method; and criticism
as ethico-political attitude.
1
V. Descombes, Je m’en Foucault, in «London Review of Books», vol. 9 (1987)
n. 5, p. 21 (traduzione mia).
2
M. Foucault, Perché studiare il potere: la questione del soggetto (1982), in H. Dreyfus e
P. Rabinow, La ricerca di Michel Foucault, La casa usher, Firenze 2010, p. 281.
3
M. Foucault, L’etica della cura di sé come pratica della libertà (1984), in Archivio Foucault 3.
Estetica dell’esistenza, etica, politica, a cura di A. Pandoli, Feltrinelli, Milano 1998, p. 284.
4
Cfr. le prime lezioni del corso del 1975-1976, “Bisogna difendere la società” (Feltrinelli,
Milano 1998), nonché le due conferenze del 1976 dal titolo Le maglie del potere (in Archivio
Foucault 3, cit., in particolare pp. 157-158).
70 Salvo Vaccaro
5
M. Foucault, La volontà di sapere (1976), Feltrinelli, Milano 1978, p. 122. Come
opportunamente nota Nikolas Rose, anche oggi, in era di globalizzazione neoliberale, le
crescenti diseguaglianze tra nord e sud del mondo e le relative politiche di cooperazione
conigurano un «lasciar morire in scala di massa e globale» (N. Rose, La politica della vita,
Einaudi, Torino 2008, p. 101).
6
M. Foucault, Del governo dei viventi. Corso al Collège de France (1979-1980), Feltrinelli,
Milano 2014, pp. 21 e 60. «Governo inteso in senso ampio: maniera di formare, di
trasformare e di dirigere la condotta degli individui» (M. Foucault, Mal fare, dir vero. Corso
di Lovanio (1981), Einaudi, Torino 2013, p. 15).
Foucault: dall’etopoiesi all’etopolitica 71
7
M. Foucault, Mal fare, dir vero, cit., p. 130.
8
M. Foucault, Del governo dei viventi, cit., pp. 232-233. Per il regime di direzione antica,
particolarmente cfr. p. 276.
9
Ivi, p. 85.
10
M. Foucault, La ilosoia analitica del potere (1978), in Archivio Foucault 3, cit., pp. 103-109.
72 Salvo Vaccaro
trattuale che conferisce una legittimità ex ante ad ogni esercizio del potere,
grazie ad essa impresso come necessità inesorabile. Lo spiazzamento pro-
posto da Foucault è di segno scettico, e viene deinito anarcheologia:
11
M. Foucault, Del governo dei viventi, cit., pp. 85-86.
12
«L’idea fondamentale di Foucault è una dimensione della soggettività che deriva
dal potere e dal sapere, ma non ne dipende» (G. Deleuze, Foucault, Cronopio, Napoli
2002, p. 135).
Foucault: dall’etopoiesi all’etopolitica 73
13
M. Foucault, Subjectivité et vérité. Cours au Collège de France. 1980-1981, Seuil/
Gallimard, Paris 2014, p. 287 (corsivo mio).
14
M. Foucault, L’ermeneutica del soggetto. Corso al Collège de France (1981-1982), Feltrinelli,
Milano 2003, p. 17.
15
M. Foucault, La cura di sé, Feltrinelli, Milano 1985, p. 57.
16
M. Foucault, L’ermeneutica del soggetto, cit., p. 190.
74 Salvo Vaccaro
17
Ivi, p. 67.
18
Ivi, p. 312.
19
M. Foucault, Sulla genealogia dell’etica: compendio di un work in progress (1983), in
H. Dreyfus e P. Rabinow, La ricerca di Michel Foucault, cit., p. 302.
Foucault: dall’etopoiesi all’etopolitica 75
Eccedenza e libertà
20
Tanto nella conversazione sulla genealogia dell’etica del 1983, quanto nell’ultima
intervista concessa nel 1984 pochi mesi prima della morte, Foucault si pronuncia
severamente sulla società classica greco-romana, a suo avviso né ammirevole né esemplare:
«Non un granché. […] Mi sembra che l’intera Antichità sia stata un “profondo errore”»
(M. Foucault, Il ritorno della morale, in Archivio Foucault 3, cit., p. 264). «L’etica greca del piacere
è legata a una società virile, alla dissimmetria, all’esclusione dell’altro, a una ossessione della
penetrazione, e a una specie di minaccia di essere privati della propria energia, e così via.
Tutto ciò è molto disgustoso» (M. Foucault, Sulla genealogia dell’etica, cit., p. 306).
21
M. Foucault, Sulla genealogia dell’etica, cit., p. 315. E poco oltre, sul «perfetto governo
di sé» che chiude in maniera inquietante e totalizzante la tensione tra etica e «politica
permanente tra sé e sé»: «la virtù consiste essenzialmente nel governare perfettamente se
stessi, vale a dire nell’esercitare su se stessi una padronanza esattamente uguale a quella di
un sovrano contro il quale non ci sarebbero più rivolte» (ivi, p. 320, corsivo mio).
76 Salvo Vaccaro
22
Ivi, p. 308. Diversa è la posizione di Rose (La politica della vita, cit., pp. 39-40, 152),
secondo il quale per etopolitica occorre intendere un governo degli individui declinato in
senso etico, ossia agendo su sentimenti, stili e modi di vita, pratiche valoriali, tecnologie
del sé, al ine di migliorarsi.
23
M. Foucault, Illuminismo e critica, a cura di P. Napoli, Donzelli, Roma 1997, pp. 37 e 71.
Foucault: dall’etopoiesi all’etopolitica 77
26
M. Foucault, Spazio, sapere e potere (1982), in M. Foucault, Biopolitica e liberalismo, a
cura di O. Marzocca, Medusa, Milano 2001, p. 181. «Nelle società umane non c’è potere
politico senza dominazione. Ma nessuno vuole essere comandato, anche se sono molti
gli esempi di situazioni nelle quali la gente accetta la dominazione. Se esaminiamo dal
punto di vista storico la maggior parte delle società che ci sono note, constatiamo che la
loro struttura politica è instabile. Non mi riferisco alle società extra-storiche – alle società
primitive. La loro vicenda è del tutto dissimile dalla nostra. Ma tutte le società appartenenti
alla nostra tradizione hanno conosciuto instabilità e rivoluzioni» (M. Foucault, Studiare la
ragion di stato (1979), ivi, p. 153).
27
M. Foucault, Come si esercita il potere? (1982), in H. Dreyfus e P. Rabinow, La ricerca
di Michel Foucault, cit., pp. 292, 296, 293. «Dire infatti che non può esistere una società
senza relazioni di potere non equivale a dire che le relazioni che si sono istituite risultano
necessarie, e nemmeno, in ogni caso, che il potere costituisce una fatalità irraggiungibile
nel cuore della società» (ivi, p. 294).
Foucault: dall’etopoiesi all’etopolitica 79
28
Ivi, p. 296. «Una impazienza pronta a ribellarsi» (M. Foucault, L’ermeneutica del
soggetto, cit., p. 213).
29
M. Foucault, Illuminismo e critica, cit., p. 73. L’idea di approfondire il senso
politico profondo della “volontà” emerge tanto nel dibattito del 1978, quanto nello
scritto di postfazione del 1982. Tuttavia Foucault – per il quale «il problema cruciale del
potere non è quello della servitù volontaria (come potremmo noi desiderare di essere
schiavi?)» (M. Foucault, Come si esercita il potere?, cit., p. 293) – non intende tale lemma nel
senso “volontaristico” del termine, come invece tendono a fare gli anarchici da de La
Boétie a Malatesta, quanto in forma esperienziale, pragmatica, empirica, al cui interno
quell’interrogativo è riassorbito come fattispecie secondaria dalla tensione ineludibile tra
potere e libertà. Del resto, che si possa dare «subordinazione senza alienazione» è quanto
emerge visibilmente dalle pratiche ingiuntive di obbedienza proattiva e di confessione e
dalla loro funzione nell’ascesi cristiana e nel governo dell’anima condotte nelle lezioni sul
Governo dei viventi e Mal fare, dir vero. In tal senso, cfr. M. Nicoli e L. Paltrinieri, Il management
di sé e degli altri, in «aut aut», n. 362 (2014), in particolare p. 66.
30
Sono dell’avviso che Foucault legga in maniera ristretta e unilaterale il pamphlet
del XVI secolo, come denota la battuta rievocata nella nota precedente. De La Boétie
intende, a mio parere, sottolineare la fragilità costitutiva dell’autorità, la precarietà sospesa
del potere, l’assenza di qualsiasi necessità di ordine metaisico, anzi la contingenza del suo
esercizio si lega, direi quasi proto-foucaultianamente, ad una visione ascendente della sua
dinamica dal basso verso l’alto. Espongo tali considerazioni nel mio Genealogia del potere
destituente. L’inattualità tenace di Étienne de La Boétie, in L. Lanza (a cura di), L’anarchismo oggi:
un pensiero necessario, Mimesis/Libertaria, Milano 2014, pp. 133-143.
80 Salvo Vaccaro
certa forma di volontà» che limita l’accesso alla facoltà critica non solo della
ragione, ma anche della pratica di sé, seguendo le critiche kantiane; né è in
ballo una espropriazione giuridica, «un qualsiasi spossessamento (giuridico
o politico)». In effetti, sostiene Foucault, l’uscita si rende necessaria «perché
agli uomini manca la capacità o la volontà di dirigere se stessi e perché degli
altri, con molta benevolenza, si sono offerti di prenderli sotto la loro guida.
Kant si riferisce a un atto, o piuttosto a un atteggiamento, a una modalità
del comportamento, a una forma della volontà che è generale, permanen-
te, e che non crea assolutamente un diritto, ma solo una sorta di stato di
fatto in cui allora – per benevolenza e, in qualche modo, per una forma
di cortesia leggermente venata di scaltrezza e astuzia – certuni si trovano
ad aver assunto la direzione degli altri»31. Benevolenza, scaltrezza, astuzia,
sono tante denominazioni dell’eteronomia, per così dire, “in buona fede”,
pur se fondano in un’unica scena la pratica dell’obbedienza e l’insuficienza
della ragione: si tratta di riiutare la prima sulla scena pubblica e di far valere
la seconda nella costruzione autonoma della pratica di sé, oltrepassando
decisamente la conciliazione kantiana tra obbedienza e ragionamento nella
distinzione delle due sfere, invece tanto nel privato quanto nel pubblico,
sconnettendo capacità di autonomia e relazioni di potere eteronome32. In-
somma, facendo la rivoluzione.
31
M. Foucault, Il governo di sé e degli altri. Corso al Collège de France (1982-1983), Feltrinelli,
Milano 2009, rispettivamente p. 36 e p. 37.
32
M. Foucault, Che cos’è l’Illuminismo? (1984), in Archivio Foucault 3, cit., p. 230. In
Foucault, «la libertà è deinita non come un diritto a essere ma come una capacità di fare»
(M. Foucault, Il governo di sé e degli altri, cit., p. 296).
33
M. Foucault, Il governo di sé e degli altri, cit., p. 275.
Foucault: dall’etopoiesi all’etopolitica 81
tiene veridico, che si enuncia come vero e quindi autovincolante nella pratica
autonoma di costituzione del proprio sé. Coerenza tra attitudine critica della
ragione insofferente all’obbedienza (che sia cieca o troppo illuminata tale da
accecare) e stile di vita, modalità di condotta. Un legame tra parrhesia e bios,
«maniera di vivere»34, che offre la postura di sé come esemplarità autorevole
al di qua di ogni primato sensoriale del logos o della scrittura in funzione di
autorità costituita. Un corpo parresiasta che urla il vero per proclamare, non
reclamare, la propria libertà. Anche e soprattutto a rischio della propria vita,
«perché riconosce che dire la verità è un dovere per aiutare altre persone (o
se stesso) a vivere meglio»35. In tal senso, il legame tra etopoiesi e etopolitica,
tra dimensione individuale e dimensione collettiva diviene nitido. La parrhesia
è così «la garanzia che ognuno sarà per se stesso la propria autonomia, la
propria identità, la propria singolarità politica»36.
La forza dell’interruzione tende ad aprire uno spazio eterotopico den-
tro il topos disciplinare e governamentale, al ine di giocare la soglia mobi-
le del fuori come incavo del dentro da cui proseguire l’eccedenza radicale
di senso e di immaginario rispetto ai conini del politicum possibile. L’eredità
dei cinici, lungo un percorso storico in cui ovviamente sono cambiate
condizioni e contesti di senso, viene assunta dal dissidente radicale, dal
rivoluzionario portatore di un mondo nuovo nel proprio cuore, e non
soltanto vettore di una particolare analisi ideologica del mondo o di un
progetto politico. Se la parrhesia declina il dire-il-vero anche nel senso este-
tico dell’esistenza, ossia come preigurazione visibile, come testimonianza
mondana e non trascendente della possibilità di una organizzazione della
società differente, allora «la rivoluzione ha funzionato come un principio
che ha prodotto un certo modo di vita», cioè una militanza che intesse la
vita come attività rivoluzionaria nella socialità, manifestando «direttamen-
te, nella sua forma visibile, nella sua pratica costante e nella sua esistenza
immediata, la possibilità concreta e il palese valore di un’altra vita; un’altra
vita che è la vera vita»37.
34
M. Foucault, Il coraggio della verità. Il governo di sé e degli altri II. Corso al Collège de France
(1984), Feltrinelli, Milano 2011, p. 129.
35
M. Foucault, Discorso e verità nella Grecia antica, Donzelli, Roma 1996, p. 9. «Il
corpo steso della verità è reso visibile, e risibile, attraverso un certo stile di vita: una vita
concepita come presenza immediata, eclatante e selvaggia della verità» (M. Foucault, Il
coraggio della verità, cit., p. 171).
36
M. Foucault, Il governo di sé e degli altri, cit., p. 193 (corsivo mio).
37
M. Foucault, Il coraggio della verità, cit., pp. 180, 181. «Un militantismo nel mondo e
contro il mondo» (ivi, p. 272).
82 Salvo Vaccaro
Salvo Vaccaro
Università degli Studi di Palermo
salvo.vaccaro@unipa.it
.
Foucault: From Ethopoiesis to Ethopolitics
38
Ivi, pp. 236 (passim, anche p. 258), 298.
39
Ivi, pp. 317, 321.
Lo sciopero della politica
Foucault e la rivoluzione soggettiva
Frédéric Rambeau
1
M. Foucault, Inutile de se soulever?, in Dits et écrits II, 1976-1988, Gallimard, Paris 2001,
p. 792; trad. it. Sollevarsi è inutile?, in M. Foucault, Archivio Foucault 3. Estetica dell’esistenza,
etica, politica, a cura di A. Pandoli, Feltrinelli, Milano 1998, p. 133.
2
Se questo processo di auto-appropriazione ha segnato, come è noto, la forma
occidentale della libertà (che Foucault cerca di disarticolare), esso è anche alla base dei
diversi fondamentalismi che pretendono di affermarsi in nome di una fede.
Lo sciopero della politica 85
3
Cfr. J. Rancière, Biopolitique ou politique, in «Multitudes», n. 1 (2000), ripreso in Id.,
Et tant pis pour les gens fatigués, Éditions Amsterdam, Paris 2009, p. 217. Cfr. anche Id., La
Mésentente, Galilée, Paris 1995, pp. 55-56; trad. it. Il disaccordo, Meltemi, Roma 2007, pp. 50-51.
4
M. Foucault, La vie des hommes infâmes, in Dits et écrits II, cit., p. 241; trad. it. La vita
degli uomini infami, Il Mulino, Bologna 2009, p. 23. Questa formulazione del 1977 sarà
rinviata da Jacques Rancière al suo autore l’anno seguente in La pensée d’ailleurs: «Ma se la
devianza o la rivolta non appaiono mai se non nella forma in cui i discorsi del potere le
costituiscono, la ilosoia non riprende con la mano sinistra quello che aveva lasciato con
la mano destra, permettendo alla ine che, attraverso il concetto di potere, si reinstauri
quel discorso di previdenza retrospettiva che riporta la grande ragione delle oppressioni
e delle rivolte alla piccola ragione dei libri di ilosoia», J. Rancière, La pensée d’ailleurs, in
«Critique», n. 369 (1978), pp. 242-245..
5
G. Deleuze, Foucault, Éditions de Minuit, Paris 1986, p. 103; trad. it. Foucault,
Cronopio, Napoli 2002, p. 127.
86 Frédéric Rambeau
di sé) a ianco di quelle del potere e del sapere? O sorge invece come
un eccesso rispetto ad esse, non tanto rispetto alla politica o alla scienza,
quanto rispetto alla logica che lega insieme queste due dimensioni del
potere politico e della verità scientiica?
La dimensione “strategica” (nel senso delle “relazioni di potere”, della
libertà come relazionalità del potere) riguarda tanto l’etica quanto la politica.
Proprio per questo l’etica, con le “pratiche di sé” o con le pratiche di libertà,
non riempie la forma del disassoggettamento aperta dall’inerenza delle
resistenze al potere, ma lasciata vuota dall’assenza di una teorizzazione della
soggettivazione politica. La soggettivazione etica non è meno strategica
dell’assoggettamento sociale. Il governo di sé non è meno strategico del
governo degli altri. Ne è (e non senza ironia) la condizione: la libertà è la
condizione ontologica del potere («se le relazioni di potere attraversano tutto
il campo sociale, è perché la libertà è dappertutto»6). Il rapporto a sé è la
condizione della governamentalità. Non ci sarebbero dunque altre pratiche
di libertà se non delle forme di governamentalità, nel senso più ampio che
Foucault attribuisce a questo concetto: «l’insieme delle pratiche attraverso
cui si può costituire, deinire, organizzare, strumentalizzare le strategie che
gli individui, nella loro libertà, possono avere tra di loro»7.
Tuttavia, certi punti di resistenza indicano sicuramente un fuori delle
relazioni di potere, un limite esterno del diagramma dei poteri, che non è certo
anteriore ai loro meccanismi, ma che deriva dal loro esercizio immanente,
eccedendoli, e quindi alla ine senza dipenderne. Il potere produce nella
logica immanente del proprio esercizio una forza che lo eccede e che in
parte va sempre al di là di esso.
Ma c’è comunque sempre qualcosa, nel corpo sociale, nelle classi, nei gruppi,
negli individui stessi che sfugge in certo modo alle relazioni di potere; qualcosa che
non è affatto la materia prima più o meno docile o resistente, ma il movimento
centrifugo, l’energia di segno opposto, l’elemento sfuggente8.
6
M. Foucault, L’éthique du souci de soi comme pratique de la liberté, in Dits et écrits II, cit.,
p. 1539; trad. it. L’etica della cura di sé come pratica della libertà, in Archivio Foucault 3, cit., p. 285.
7
Ivi, p. 1547; trad. it. cit., p. 293.
8
M. Foucault, Pouvoirs et stratégies, in «Les Révoltes Logiques», n. 4 (1977), pp. 89-97,
ripreso in Dits et écrits II, cit., p. 421; trad. it. Poteri e strategie, in Poteri e strategie. L’assoggettamento
dei corpi e l’elemento sfuggente, a cura di P. Dalla Vigna, Mimesis, Milano 1994, p. 21.
Lo sciopero della politica 87
In questo modo che essi hanno avuto di vivere la religione islamica come
forza rivoluzionaria, c’era una cosa diversa dalla volontà di obbedire alla legge
il più fedelmente possibile, c’era la volontà di rinnovare la loro intera esistenza
riallacciandola con un’esperienza spirituale che pensavano di trovare nel cuore
stesso dell’islam sciita11.
10
«Il problema dell’islam come forza politica è un problema essenziale per la nostra
epoca e per gli anni a venire» (M. Foucault, Dits et écrits II, cit., p. 708). «L’islam – che non
è solo una religione, ma un modo di vita, un’appartenenza a una storia e a una civiltà –
rischia di costituire una gigantesca polveriera su una scala che comprende centinaia di
milioni di persone. Da ieri, ogni Stato mussulmano può essere rivoluzionato dall’interno,
a partire dalle sue tradizione secolari» (ivi, p. 761).
11
M. Foucault, L’esprit d’un monde sans esprit, in Dits et écrits II, cit., p. 749.
12
Il modo di insegnamento e il contenuto esoterico dell’islam sciita separano
l’obbedienza esteriore al codice e la profondità della vita spirituale. La sua modalità
Lo sciopero della politica 89
di credenza si basa sul principio secondo il quale la verità non è stata compiutamente
realizzata dall’ultimo profeta; ma grazie al ritmo ciclico della serie degli imam, essa
illumina gli uomini: attraverso il loro operare essi potranno far tornare il dodicesimo
imam che ristabilirà, nella sua perfezione, la giustizia che ha creato la legge (e non il
contrario). Inine, la sua modalità di organizzazione riposa sull’assenza di gerarchia nel
clero, sull’importanza dell’autorità puramente spirituale e sulla indipendenza delle varie
autorità religiose.
13
M. Foucault, Inutile de se soulever?, cit., p. 792; trad. it. cit., p. 133.
90 Frédéric Rambeau
14
Foucault, L’esprit d’un monde sans esprit, cit., p. 744: «Che cos’è per noi un movimento
rivoluzionario in cui non si può collocare la lotta di classe, in cui non si possono
collocare le contraddizioni interne alla società e in cui non si può neppure individuare
un’avanguardia?».
15
M. Foucault, Inutile de se soulever?, cit., p. 793; trad. it. cit., p. 134.
Lo sciopero della politica 91
16
Ivi, p. 791; trad. it. cit., p. 133.
92 Frédéric Rambeau
17
Cfr. K. Marx, Manuscrits de 1844, Flammarion, Paris 1996, pp. 194-195; trad. it.
Manoscritti economico-ilosoici del 1844, Einaudi, Torino 2004, p. 130. Questo desiderio degli
operai di fare qualcosa di diverso dal proprio lavoro, questa emancipazione riguardo le
virtù stesse del lavoratore sono descritte da Jacques Rancière in La nuit des prolétaires.
In Savoirs hérétiques et émancipation des pauvres, egli mostra come negli anni trenta del XIX
secolo le pratiche selvagge di appropriazione intellettuale e di riqualiicazione del loro
universo materiale da parte di operai e di falegnami ilosoi (i “Socrati della Plebe” come
Ballanche o Gauny) si svolgono secondo la duplice esigenza di una “cura di sé” e di una
“cura degli altri” inscritta nella solidarietà degli esseri. Cfr. J. Rancière, Les scènes du peuple,
in Les Révoltes Logiques, 1975-1985, Éditions Horslieu, Lyon 2003, p. 37.
Lo sciopero della politica 93
18
M. Foucault, L’herméneutique du sujet. Cours au Collège de France. 1981-1982, Seuil/
Gallimard, Paris 2001, p. 2001; trad. it. L’ermeneutica del soggetto. Corso al Collège de France
(1981-1982), Feltrinelli, Milano 2003, pp. 184-185.
19
M. Foucault, L’esprit d’un monde sans esprit, cit., p. 749.
94 Frédéric Rambeau
20
M. Foucault, Le sujet et le pouvoir, in Dits et écrits II, cit., p. 1051; trad. it. Il soggetto e il
potere, in H. Dreyfus e P. Rabinow, La ricerca di Michel Foucault, Ponte alle Grazie, Firenze
1989, p. 244: «Forse oggi l’obiettivo principale non è di scoprire cosa siamo, ma piuttosto
di riiutare quello che siamo […]. Occorre promuovere nuove forme di soggettività
attraverso il riiuto di quel tipo di individualità che ci è stato imposto per così tanti secoli».
21
M. Foucault, Inutile de se soulever?, cit., p. 792; trad. it. cit., p. 133.
22
G. Deleuze e F. Guattari, L’Anti-Œdipe. Capitalisme et schizophrénie, Éditions de
Minuit, Paris 1972, p. 307; trad. it. L’anti-Edipo. Capitalismo e schizofrenia, Einaudi, Torino
1975, p. 294.
Lo sciopero della politica 95
23
La coesistenza per esempio della nuova economia delle transazioni digitali e il
risorgere dei valori tradizionali della famiglia, o di dio, o ancora la riaffermazione delle
identità etniche in un mondo tuttavia regolato da una globalizzazione che va oltre le
nazionalità e gli Stati-nazione. Cfr. F. Guattari, Chaosmose, Galilée, Paris 1992, p. 13; trad.
it. Caosmosi, Costa & Nolan, Genova 1996, pp. 11-12.
24
G. Deleuze e F. Guattari, L’Anti-Œdipe, cit., pp. 306-307; trad. it. cit., pp. 293-
294. Come l’ha mostrato Marx, la produzione «per il capitale» issa al capitalismo dei
limiti immanenti allo sviluppo assoluto della sua produttività sociale, che esso non può
superare se non riproducendosi su una scala allargata (cfr. K. Marx, Le Capital, livre III,
chapitre 15, Éditions sociales, Paris 2015, p. 263; trad. it. Il capitale, Libro III, cap. 15,
Einaudi, Torino 1975).
96 Frédéric Rambeau
Frédéric Rambeau
Université Paris 8
fredericrambeau304@gmail.com
.
The Strike in Relation to Politics. Foucault and the Subjective Revolution
In the late 1970s, Foucault regards the uprising of the Iranian people as the
demand of a dramatic change of subjectivity. Religion (Shiite Islam) appears
as the guarantee of an actual transformation in the mode of existing. In this
situation, he shows that the political strength of Islam stems from the fact that
it does not primarily speak the language of politics, but of ethics. According
to Foucault, such spiritual politics, away from Marxism, cannot be reduced to
a strategic rationalization and, therefore, provokes discontinuity from politics.
It points to the spring and the critical impulse of Foucault’s ethics. It also leads
to consider “subjectivation” as a dimension that could slip from the circle of
freedom drawn by its total immanence to power. This very issue is at stake in the
Foucaldian concept of “relation to oneself ”, and in its aporia: it is both the irst
condition of governmentality and the ultimate point of resistance against any
governmentality. It thus reveals the dificulties involved in Foucault’s skirting of
political subjectiication in favour of ethical subjectiication.
Prologo nietzscheano
1
Anche in due studi preziosi dedicati alla seconda Considerazione inattuale manca
un riferimento all’inclinazione politica che custodisce, nel giovane Nietzsche, il tema
dell’animalità: cfr. J. Salaquarda, Studien zur Zweiten Unzeitgemässen Betrachtung, in «Nietzsche
Studien», n. 13 (1984), pp. 1-45; J. Le Rider, La vie, l’histoire et la mémoire dans la seconde
considération inactuelle de Nietzsche, in «Revue internationale de philosophie», n. 1 (2000),
pp. 77-98. Egualmente, in un’ampia ricerca sulla simbologia politica dell’animalità,
pure dove si parla di Nietzsche, la questione in riferimento alla Seconda inattuale passa
inosservata: B. Accarino, Zoologia politica. Favole, mostri e macchine, Mimesis, Milano 2013,
in part. pp. 49-61.
2
Cfr. A. Kojève, Introduzione alla lettura di Hegel, Adelphi, Milano 1996.
3
M. Heidegger, Concetti fondamentali della metafisica. Mondo – finitezza – solitudine,
il Melangolo, Genova 1999.
4
F. Nietzsche, Sull’utilità e il danno della storia per la vita, Adelphi, Milano 1991, p. 8.
Ethos animale 99
6
F. Nietzsche, Sull’utilità e il danno della storia per la vita, cit., p. 16.
Ethos animale 101
Estetica ed etica
7
Ivi, pp. 6-7.
8
F. Nietzsche, David Strauss. L’uomo di fede e lo scrittore, Adelphi, Milano 1991, p. 104.
102 Pierandrea Amato
Nella serie di tentativi e di sforzi, più o meno bloccati, e chiusi su se stessi, per
restaurare un’etica del sé, così come nel movimento che, ai giorni nostri, fa sì che
ci riferiamo continuamente a tale etica del sé, ma senza però mai conferirle alcun
contenuto, penso vi sia forse da sospettare qualcosa come una sorte di impossibili-
tà, e precisamente l’impossibilità di costituire un’etica, oggi, un’etica del sé. Eppure,
proprio la costituzione di una tale etica è un compito urgente, fondamentale, poli-
ticamente indispensabile, se è vero che, dopotutto, non esiste un altro punto, origi-
nario e inale, di resistenza al potere politico, che non stia nel rapporto di sé a sé10.
9
Indaga l’intero itinerario foucaultiano, attraverso il ilo rosso dell’animalità, un
saggio di qualche anno fa: S. Chebili, Figures de l’animalité dans l’œuvre de Michel Foucault,
L’Harmattan, Paris 1999.
10
M. Foucault, L’ermeneutica del soggetto. Corso al Collège de France (1981-1982), Feltrinelli,
Milano 2003, p. 222. La produzione critica sull’ultimo Foucault recentemente, com’era
prevedibile, considerando la sequenza delle pubblicazioni delle lezioni al Collège de France,
è straripante. Mi limito allora a indicare due volumi molto utili comparsi recentemente in
Italia: S. Ferrando, Michel Foucault. La politica presa a rovescio. La pratica antica della verità nei corsi
al Collège de France, FrancoAngeli, Milano 2012; L. Bernini (a cura di), Michel Foucault. Gli
antichi e i moderni. Parrhesìa, Aufklärung, ontologia dell’attualità, ETS, Pisa 2011.
Ethos animale 103
11
M. Foucault, Metodologia per la conoscenza del mondo: come sbarazzarsi del marxismo, in Il
discorso, la storia, la verità. Interventi 1969-1984, a cura di M. Bertani, Einaudi, Torino 2001,
p. 267. Sul rapporto tra Stato e desiderio in Foucault, in particolare con riferimento a
Sicurezza, territorio, popolazione, si veda il mio Bio-politica e sovranità, in Tecnica e potere. Saggi su
Michel Foucault, Mimesis, Milano 2008, pp. 103-143.
104 Pierandrea Amato
L’idea che la libertà sia una tecnica di governo conduce Foucault a una
impasse teorico-politico, dal momento che nelle forme di potere neoliberale
ciò signiica che tenderebbe a svanire la possibilità di rintracciare un punto
di fuga; una via d’uscita dalle sue maglie mutevoli e, allo stesso tempo,
estese. La riduzione del ruolo dello Stato nella meccanica dei dispositivi
disciplinari, ad esempio, non diminuisce, al contrario, la diffusione di prati-
che di assoggettamento: nello spazio neoliberale, le tecniche di sorveglian-
za non sono meno intrusive di quelle sovrane e disciplinari. Anzi: fondate
sul consumo di libertà, si rivelano più eficienti di quelle disciplinari, per-
ché rendono pressoché impraticabile l’emergenza di pratiche di resistenza
eficaci. Il neoliberalismo, in sostanza, corrode qualsiasi legame (affettivo,
economico, politico, culturale in generale), ma, allo stesso tempo, produce
nuove forme di controllo collegate alla sua capacità discorsiva sia di ren-
dere la logica del mercato la fonte di inediti processi di verità sia di deinire
la propria isionomia come un’espressione del fondo più genuino della
natura umana.
Senza tenere conto dell’integrazione della libertà nei dispositivi di po-
tere contemporanei, non è possibile orientarsi adeguatamente tra le ma-
glie dell’ipotesi che stimola l’iniziativa foucaultiana sul pensiero antico. Se
il potere si esercita sempre sull’azione dell’altro, il neoliberalismo crea le
condizioni per cui il soggetto stesso istituisce i presupposti del proprio
assoggettamento, ostacolando l’opportunità di lasciare condensare una re-
lazione con l’altro nella quale la libertà può circolare nella forma di una
messa in discussione dei giochi di potere. È nelle maglie di questo preci-
pizio politico che emerge l’urgenza di veriicare l’accessibilità di pratiche
di resistenza fondate su un soggetto estraneo alla costituzione cartesiano-
hobbesiana (la coscienza e il diritto sovrano), tenendo presente, però, ri-
spetto alla dinamica classica, che la libertà non rappresenta più il polo
dialettico negativo in grado di ostacolare l’esercizio del potere.
Foucault studia il rapporto che nell’età classica il soggetto instaura con
la verità. In questa operazione genealogia, più speciicatamente, esamina la
nozione di cura di sé (epimeleia heautou): ne indaga la isionomia e lo svilup-
po storico, articolando un confronto critico con la nozione che più di ogni
altra tende a deinire l’auto-riconoscibilità della cultura occidentale nella
forma del rapporto che il soggetto instaura con se stesso: il conosci te stes-
so (gnoti seauton). Cartesio è il nome che L’ermeneutica del soggetto considera il
suggello storico-concettuale in cui si consuma il tramonto della cura di sé
nella cultura moderna: trionfa il soggetto che conosce se stesso mediante
Ethos animale 105
Kant e la catastrofe
diventati, in modo che, tramite questo riiuto, sia possibile elaborare nuove
pratiche di soggettivazione.
In Foucault lo studio del pensiero classico non possiede un’autono-
mia storica, ma concerne – “alla Nietzsche” – l’attualità. Allora, rical-
cando le orme del giovane Nietzsche, quando si tratta di parlare del pre-
sente, di intervenire in maniera diretta nel proprio tempo, egli fa l’unica
cosa saggia che può fare un ricercatore: diventa intempestivo e si mette
a studiare gli antichi.
È nella trama di questo complesso programma ilosoico che Foucault
si impegna nell’individuazione di un’etica del sé come modello alternativo
al programma di soggettivazione moderno deinito, da un lato, dal sog-
getto cartesiano decorporeizzato e, dall’altro, nell’economia di governo
neoliberale, da una igura della soggettività fabbricata secondo le regole
del mercato. Tuttavia, prima di sondare una faglia signiicativa di questo
programma di ricerca, ossia, la condensazione cinica della parrhesia, in
modo da apprezzarne la portata teorica e politica, è indispensabile evocare
un gesto ad esso parallelo: il ritorno a Kant da parte Foucault. Foucault,
in effetti, a partire dal 1978, esamina in tre occasioni il celebre contributo
kantiano del 1784 sull’illuminismo: Was ist Aufklärung?12. Interesse teorico
che, come vedremo, è inscritto nell’ambizione foucaultiana di considerare
la ilosoia uno strumento ostile nei confronti di una deinizione funzio-
nale della verità.
Kant, notoriamente, attraverso la mediazione dell’interpretazione di
Heidegger (si veda il Kantbuch heideggeriano del 1929: Kant e il problema
della metaisica), ha un peso cruciale nell’economia della traiettoria ilosoica
di Foucault sin dai tempi della seconda tesi di dottorato dedicata all’an-
tropologia pragmatica kantiana (1961)13; lavoro che si riversa nel 1966 nel
12
L’adozione foucaultiana del testo kantiano sull’illuminismo inizia nel 1978, in
occasione di una conferenza, Qu’est-ce que la critique?, tenuta alla Société française de
Philosophie: M. Foucault, Illuminismo e critica, Donzelli, Roma 1997. Prosegue in una
lezione al Collège il 5 gennaio 1983: M. Foucault, Il governo di sé e degli altri. Corso al Collège de
France (1982-1983), Feltrinelli, Milano 2009, pp. 11-47. E si conclude con una conferenza
americana, What is Enligthenment?, pubblicata nel 1984: M. Foucault, Che cos’è l’illuminismo?,
in Archivio Foucault. Interventi, colloqui, interviste, vol. 3, a cura di A. Pandoli, Feltrinelli,
Milano 1998, pp. 217-232.
13
Nel 1964 Foucault si limita a pubblicare soltanto la traduzione del testo kantiano:
I. Kant, Anthropologie du point de vue pragmatique, Vrin, Paris 1964. La versione del 1961,
corredata dall’ampia introduzione, è resa pubblica solo di recente: I. Kant, Antropologia dal
punto di vista pragmatico, introduzione e note di M. Foucault, Einaudi, Torino 2010.
Ethos animale 109
14
Foucault ricava da uno scritto kantiano, Quali sono gli effettivi progressi compiuti dalla
metaisica in Germania dall’epoca di Leibniz e Wolff?, pubblicato poco dopo la morte di Kant,
nel 1804, l’idea di una dimensione archeologica del sapere fondata sulla possibilità di
individuare una serie di a priori storici.
110 Pierandrea Amato
15
Cfr. S. Chignola, Il coraggio della verità. Parrhesia e critica, in Foucault oltre Foucault.
Una politica della ilosoia, DeriveApprodi, Roma 2014, pp. 171-198. Per un inquadramento
sistematico della lettura foucaultiana del saggio di Kant sull’illuminismo, si veda almeno
M. Passerin d’Entrèves, Critique and Enlightenment. Michel Foucault on “Was ist Aufklärung?”,
in «Manchester Papers in Politics», n. 1 (1996), pp. 1-28.
Ethos animale 111
16
Nel 1962, nel suo Nietzsche, Deleuze rivela i limiti del criticismo kantiano che
Nietzsche, invece, sarebbe in grado di oltrepassare: Kant non spingerebbe il suo metodo
sino all’estremo, perché non criticherebbe chi critica. In Kant, in altre parole, l’auto-critica
si rivelerebbe una sorta di auto-assoluzione. G. Deleuze, Nietzsche e la ilosoia, Feltrinelli,
Milano 1992.
17
M. Foucault, Illuminismo e critica, cit., pp. 71-72.
112 Pierandrea Amato
18
Sulla deinizione in Kant del tema delle condotte di vita, si veda N. Pirillo, Morale
e civiltà. Studi su Kant e la condotta di vita, Loffredo, Napoli 1995.
19
M. Foucault, Il coraggio della verità. Il governo di sé e degli altri II. Corso al Collège de France
(1984), Feltrinelli, Milano 2011, p. 163.
Ethos animale 113
20
P. Sloterdjik, Devi cambiare la tua vita. Sull’antropotecnica, Cortina, Milano 2010.
21
O. Irrera, Parr̄sia ed exemplum. La parr̄sia e i regimi aleturgici dell’exemplum a partire da
L’ermeneutica del soggetto di Michel Foucault, in «Noema», vol. 4 (2013), n. 1, pp. 11-31.
Si veda, inoltre, T. O’Leary, Foucault and the Art of Ethics, Continuum, London-New York
2002.
114 Pierandrea Amato
22
Cfr. L. Cremonesi, Michel Foucault e il mondo antico. Spunti per una critica dell’attualità,
ETS, Pisa 2008, in part. pp. 171-188.
23
Sulla rinuncia, come tensione ascetica fondamentale nel cinismo antico, si veda la
prima parte di un lavoro del 1969 di Arnold Gehlen, Morale e ipermorale. Un’etica pluralistica,
ombre corte, Verona 2001.
24
E.F. McGushin, Foucault’s Akesis. An introduction to the Philosophical Life, Northwestern
University Press, Evanston 2007.
116 Pierandrea Amato
Il principio di una vita dritta che deve essere parametrata sulla natura, e sola-
mente sulla natura, implica la valorizzazione positiva dell’animalità. Ed è qualcosa
che […] è singolare e scandaloso nel pensiero antico. Si può dire in generale,
molto sinteticamente, che l’animalità rappresenta un punto di assoluta differen-
ziazione per l’essere umano. È distinguendosi dall’animalità che l’essere umano
afferma e manifesta la sua umanità. Rispetto alla costituzione dell’uomo come
essere ragionevole, l’animalità provoca sempre, più o meno, un movimento di
repulsione26.
25
M. Foucault, Il coraggio della verità, cit., p. 170. Per mettere a fuoco la isionomia
del cinismo antico è indispensabile un confronto con il cinismo moderno tanto che
la questione meriterebbe una trattazione ampia che qui non è possibile articolare. Mi
limito, invece, a una breve indicazione: la dimensione dell’animalità del cinismo antico
probabilmente è il modo migliore per distinguerlo dal cinismo moderno (una igura
estrema d’individualismo). La frattura, in altre parole, si consuma innanzitutto perché il
secondo è privo di quella che potremmo chiamare la predisposizione selvaggia del primo:
se il cinico antico è il nome di uno scandalo, il cinico moderno si dimostra ben integrato
nella società da cui sostiene, solo a parole, di prendere le distanze. Sulle divaricazioni
tra cinismo antico e moderno resta indispensabile il primo libro che diede notorietà a
P. Sloterdijk, Critica della ragione cinica (trad. it. parziale), Garzanti, Milano 1992.
26
M. Foucault, Il coraggio della verità, cit., p. 254.
Ethos animale 117
e per questa ragione giunge sino alla soglia in cui umanità e animalità ten-
dono a implicarsi, lasciando svanire qualsiasi separazione tra la teoria e la
prassi nella deinizione di una forma di vita.
Rovesciando un valore fondamentale del mondo classico (l’uomo è
un essere ragionevole perché non è un animale), l’animalità gioca presso i
cinici un ruolo dirompente. Anzi, è un gesto, il divenire animale del iloso-
fo, cui è afidata la massima disapprovazione nei confronti di chi detiene il
potere: l’animalità è una missione ilosoica e un compito etico. Per questa
ragione, in fondo, il cinismo rompe gli schemi della stilizzazione classica
della vita ilosoica: il suo appello alla ilosoia si rivela un cavallo di Tro-
ia, perché evoca una forma di vita che fa coincidere animalità e ilosoia,
intrattabilità ferina e pensiero. La vraie vie diventa per il cinico una pratica
pubblica; la città è una scena dove incontrare l’altro, quando un esercizio
critico, privo di mediazione, potrebbe rischiare di restare isolato27. Il cini-
co, a ben vedere, lascia deragliare qualsiasi distinzione tra oikos e polis; tra
pubblico e privato: ciò che si fa in privato, può essere ripetuto anche alla
luce del sole; e viceversa. Senza vergogna e paura.
Se il cinico è un animale senza vergogna, la sistemazione del cinismo
all’interno della storia della ilosoia potrebbe suscitare qualche imbaraz-
zo. La vergogna è un topos ilosoico dalla durata invidiabile – almeno dal
Protagora platonico sino a Levinas – che il cinismo capovolge: ritrae tradi-
zionalmente la situazione emotiva che registra una frattura rispetto all’e-
sistente, producendo la faglia indispensabile al pensiero per diventare una
forma di critica del presente. Al contrario, proprio l’assenza di vergogna,
l’attitudine squisitamente animale del cinico, diventa una condotta etica
radicale. Nella fondazione teoretica della ilosoia platonica, la vergogna
rappresenta una scintilla del pensiero. Agli occhi del cinico, al contrario,
che sposta il problema della ilosoia su tutt’altro terreno rispetto a quello
teoretico-metaisico, la vergogna rivela una concezione della ilosoia an-
cora eccessivamente astratta e collegata all’elaborazione concettuale dei
contraccolpi della nostra corporeità.
L’assenza di vergogna del cinico è la controprova del suo disinteresse
per la teoria. Forse nessuno come Deleuze e Guattari spiegano quest’im-
27
D. Lorenzini, Foucault, il cinismo e la “vera vita”, in L. Bernini (a cura di), Michel
Foucault. Gli antichi e i moderni, cit., pp. 75-99. Inoltre, cfr. C. Van Caillie, Alterità della vita
e alterazione del mondo. Ritorno sulla igura del cinico in Foucault e la performance drag in Butler, in
«materiali foucaultiani», vol. 2 (2013), n. 4, pp. 95-114.
118 Pierandrea Amato
passe, ossia la densità politica della questione, quando lavorano, in Che cos’è
la ilosoia?, a una rivendicazione del compito esclusivo della ilosoia come
fabbricazione di concetti:
Noi non ci sentiamo al di fuori della nostra epoca, al contrario non cessiamo
di scendere con essa a compromessi vergognosi. Questo sentimento di vergogna
è uno dei temi più potenti della ilosoia […] per sfuggire all’ignobile non resta
che fare come gli animali (ringhiare, scavare, sogghignare, contorcersi): il pen-
siero stesso è talvolta più vicino all’animale che muore che non all’uomo vivo28.
Non vergognarsi per ciò che siamo diventati, impone un primo, im-
prevedibile movimento che ci dovrebbe spingere, secondo Deleuze e
Guattari, a diventare animali: l’animalità è una condizione etica collocata
al di là di qualsiasi prescrizione morale e tipo di legge che ci impone che
cosa dobbiamo fare.
Facendo i conti con il paradigma animale del cinismo, i commentatori
antichi, pur annotando l’inadeguatezza della teoria cinica, nondimeno la
giudicano inaccettabile. Ciò accade sostanzialmente al cinismo che riesce
a trasformare principi tutto sommato elementari in uno scandalo, dal mo-
mento che li incarna sino all’estremo. Ad esempio, la virtù della povertà
non rappresenta per il cinico un’aspirazione intellettuale o una consolazio-
ne morale, ma è il nome di un’esperienza di presa di distanza dal potere
che va portata sino alle estreme conseguenze: spogliarsi di tutto. Questo
atteggiamento conduce, senza mezzi termini, il problema della parrhesia dal
dire al fare, come soltanto il cinico sa fare, dimostrando che cosa dovrebbe
essere materialmente una vita ilosoica.
Il cinismo rapisce l’attenzione di Foucault perché fa della ilosoia
una pratica; «un’estetica dell’esistenza»; una storia delle forme di vita
ilosoiche. Per questa ragione, diversamente da Heidegger, che non at-
tribuisce alcun valore alla biograia ilosoica (vedi, ad esempio, le battute
del suo Nietzsche, dove si esclude qualsiasi valore alla vita del ilosofo
per mettere a fuoco la cosa del suo pensiero29), Foucault intravede nella
condotta cinica, invece, l’emergenza della verità; l’occasione dove col-
laudare e veriicare l’attendibilità del pensiero. Per questa ragione, allo-
ra, la parrhesia, la cura di sé che ne governa la manifestazione, secondo
28
G. Deleuze e F. Guattari, Che cos’è la ilosoia?, Einaudi, Torino 1996, p. 101.
29
M. Heidegger, Nietzsche, Adelphi, Milano 1994.
Ethos animale 119
Postilla nietzscheana
30
Sul valore, per il destino della ilosoia, delle ricerche foucaultiane sull’antico, in
particolare alla luce delle lezioni al Collège de France del 1984 incentrate sulla parrhesia
cinica, cfr. P. Cesaroni, Michel Foucault e la ilosoia. Una traccia di lettura dei corsi al Collège de
France, in G. Gamba, G. Molinari e M. Settura (a cura di), Pensare il presente, riaprire il futuro.
Percorsi critici attraverso Foucault, Benjamin, Adorno, Bloch, Mimesis, Milano 2014, pp. 39-46.
120 Pierandrea Amato
Se è una felicità, se è un correr dietro a una nuova felicità ciò che in un certo
senso trattiene in vita il vivente e continua a spingerlo alla vita, nessun ilosofo ha
forse ragione più del Cinico, poiché la felicità dell’animale, come perfetto Cinico,
è la prova vivente del diritto del cinismo31.
31
F. Nietzsche, Sull’utilità e il danno della storia per la vita, cit., p. 7.
Ethos animale 121
Pierandrea Amato
Università degli Studi di Messina
pierandrea.amato@unime.it
.
Animal Ethos. Philosophy and Politics in the Late Foucault
This paper aims to show that Foucault’s last idea, the animal ethos in Cynic
philosophy, is linked to a somatic revaluation of the truth inspired by the
young Nietzsche. Animality is not a fate but an ethical task whose objective is
to safeguard the difference that constitutes us, the otherness we always are in
relation to ourselves. Thus, in the late Foucault, animality is a tension toward the
impossible that implies a deep reterritorialization of politics, when even freedom
– freedom of the Moderns – becomes an instrument for the control over life.
Perché il fuori
1
Su questo punto, sia pure da prospettive differenti, si vedano C. Galli, Spazi politici.
L’età moderna e l’età globale, Il Mulino, Bologna 2001 e Z. Bauman, Liquid Modernity, Polity
Press, Cambridge 2000 (trad. it. Modernità liquida, Laterza, Roma-Bari 2011). Il conine
è invece inteso come un dispositivo riemergente e fondamentale nell’articolazione degli
lussi globali da S. Mezzadra e B. Neilson, Border as Method, or, the Multiplication of Labor,
Duke University Press, Durham 2013 (trad. it. Conini e frontiere. La moltiplicazione del lavoro
nel mondo globale, Il Mulino, Bologna 2014).
2
Cfr. M. Recalcati, Il complesso di Telemaco. Genitori e igli dopo il tramonto del padre,
Feltrinelli, Milano 2013; Id., Cosa resta del padre? La paternità nell’epoca ipermoderna, Raffaello
Cortina, Milano 2011.
3
Cfr. L. Boltanski e È. Chiapello, Le nouvel esprit du capitalisme, Gallimard, Paris 1999.
4
Cfr. P. Dardot e C. Laval, La nouvelle raison du monde. Essais sur la société néolibérale, La
Découverte, Paris 2009.
5
Il tema, già affrontato in L. Bazzicalupo, Il governo delle vite. Biopolitica ed economia,
Laterza, Roma-Bari, 2006, viene ulteriormente indagato e approfondito in Ead., Dispositivi
e soggettivazioni, Mimesis, Milano 2013.
La doublure di Foucault 125
6
Qui intendo per contemporanea ciò che Foucault chiama moderna, in contrappo-
sizione alla letteratura classica, caratterizzata dal venir meno di una Parola Prima, ossia
della garanzia di Dio.
126 Sandro Luce
7
M. Foucault, Qu’est-ce qu’un auteur? (1969), in Dits et écrits I, 1954-1975, Gallimard,
Paris 2001, p. 825; trad. it. Che cosa è un autore?, in Scritti letterari, Feltrinelli, Milano 2004,
p. 7.
8
Ivi, p. 826; trad. it. cit., p. 8.
9
M. Foucault, L’archéologie du savoir, Gallimard, Paris 1969, p. 142; trad. it. L’archeologia
del sapere, Rizzoli, Milano 1999, pp. 145-146.
La doublure di Foucault 127
10
M. Foucault, La pensée du dehors (1966), in Dits et écrits I, cit., p. 548; trad. it. Il pensiero
del di fuori, in Scritti letterari, cit., p. 113.
11
M. Foucault, Linguaggio e letteratura (1964), trad. it. in «materiali foucaultiani»,
vol. 2 (2013), n. 3, p. 30; su questo tema, nello stesso volume, cfr. J.-F. Favreau, La distanza
che ci separa dalla letteratura, pp. 69-90 (p. 71). Vorrei sottolineare come la igura del nega-
tivo, incarnata secondo Foucault dalla trasgressione e dal divieto, trovi una signiicativa
consonanza con il refus di Blanchot; cfr. M. Blanchot, Le refus, in Écrits politiques, Lignes/
Éditions Léo Scheer, Paris 2003, pp. 11-12.
12
Sul rapporto conlittuale con la fenomenologia si veda J. Revel, Foucault, le parole e
i poteri. Dalla trasgressione letteraria alla resistenza politica, Manifestolibri, Roma 1996, la quale
sottolinea come gli attacchi di Foucault hanno di mira prevalentemente la fenomenologia
husserliana, mentre è possibile trovare un punto di contatto, pur con le dovute differenze,
con Merleau-Ponty e con il suo tentativo di mostrare l’impossibilità di trovare un punto di
contatto tra la logica della lingua e la creazione letteraria. Decisamente tranchant è invece
Deleuze: «Il fatto è che per Foucault non c’è niente al di sotto del sapere. Tutto è sapere.
Questa è la sua rottura con la fenomenologia. Non c’è come diceva Merleau-Ponty, una
“esperienza selvaggia”, un vissuto. Piuttosto, il vissuto è già sapere» (G. Deleuze, Il sapere.
Corso su Michel Foucault (1985-1986), Ombre Corte, Verona 2014, p. 39).
13
M. Foucault, L’herméneutique du sujet. Cours au Collège de France. 1981-1982, Seuil/
Gallimard, Paris 2001, p. 16 (trad. it. L’ermeneutica del soggetto. Corso al Collège de France (1981-
128 Sandro Luce
1982), Feltrinelli, Milano 2003, p. 16), ove Foucault sottolinea come Cartesio, affermando
che è suficiente un soggetto qualsiasi capace di vedere ciò che è evidente, ha sostituito
l’evidenza all’ascesi nel punto in cui la relazione con sé interseca la relazione con gli altri
e con il mondo. Su questo tema si veda M. Foucault, À propos de la généalogie de l’éthique: un
aperçu du travail en cours, in Dits et écrits II, 1976-1988, Gallimard, Paris 2001, pp. 1202-1234.
14
M. Foucault, L’herméneutique du sujet, cit., p. 20; trad. it. cit., p. 21.
15
Ivi, pp. 27-30 e 181-185; trad. it. cit., pp. 22-25 e 167-169 (Foucault precisa come
«ci troviamo di fronte non ad un conlitto tra spiritualità e scienza, quanto tra spiritualità
e teologia»).
La doublure di Foucault 129
16
M. Foucault, La pensée du dehors, cit., p. 548; trad. it. cit., p. 113.
17
M. Foucault, Les mots et les choses, Gallimard, Paris 1966, p. 309; trad. it. Le parole e
le cose, Rizzoli, Milano 1998, p. 320.
18
M. Foucault, Préface à la transgression (1963), in Dits et écrits I, cit., p. 265; trad. it.
Prefazione alla trasgressione, in Scritti letterari, cit., p. 59.
19
M. Blanchot, L’écriture du désastre, Gallimard, Paris 1980; trad. it. La scrittura del
disastro, Edizioni Sé, Milano 1990.
20
M. Foucault, Philosophie et psychologie (1965), in Dits et écrits I, cit., p. 471; trad. it.
Filosoia e psicologia, in Archivio Foucault 1, Feltrinelli, Milano 1996, p. 104.
130 Sandro Luce
non come ciò che si oppone al pensiero, ma come ciò che è stato scisso
dalla propria attitudine critica.
Paradigmatica di come il rapporto tra esperienza e linguaggio diven-
ga attivo, produttivo di nuovi signiicati, e trovi nella letteratura un mec-
canismo di raddoppiamento21, è l’opera di Raymond Roussel, unico tra
gli scrittori “maledetti” al quale Foucault abbia dedicato un intero saggio.
Un interesse suscitato dalla speciicità di un’opera letteraria, che fonda
la trasgressione del codice del linguaggio non sulla violazione delle sue
convenzioni e delle regole grammaticali, bensì sul loro rispetto e sulla loro
proliferazione. La follia di Roussel si traduce in una scrittura anormale nel
suo essere rigorosa: le regole del procédé non hanno alcun carattere repres-
sivo, ma tendono ai limiti il processo di signiicazione, fanno esplodere
qualsiasi unitarietà del linguaggio, scavando al suo interno lo spazio nec-
essario per esprimere nuovi ed originali signiicati22. Roussel fabbrica l’im-
possibile da pensare facendo ripiegare il linguaggio su se stesso, mostran-
done la doppiezza, la maschera, la doublure, «il vuoto che si apre all’interno
di una parola»23 che, anziché costituire una proprietà dei segni verbali, apre
lo spazio per signiicati eccedenti la relazione puramente rappresentativa
tra cose e parole. Si tratta di una prospettiva di profondità, che squarcia la
correlazione perpetua ed oggettivamente fondata tra visibile ed enuncia-
bile per dischiudere un “fuori”, che non si presenta nelle vesti di una pura
esteriorità, ma come ciò che si scava dentro, nelle trame del linguaggio,
nella rete inesauribile dei segni che si intrecciano in un rapporto ininito24.
Le macchine linguistiche di Roussel, come il corpo senza organi di Artaud,
o le perversioni di Sade rimandano ad una letteratura che, lungi dall’essere
una mera forma di espressione estetica, si presenta come spazio di espe-
21
M. Foucault, Linguaggio e letteratura, cit., p. 37: «la letteratura è un linguaggio unico,
ma contemporaneamente sottomesso alla legge del doppio».
22
Per comprendere la natura “artiiciale” e “combinatoria” delle sue opere, cfr.
R. Roussel, Comment j’ai écrit certains de mes livres, Pauvert, Paris 1963, in particolare
pp. 11-35.
23
M. Foucault, Raymond Roussel, Gallimard, Paris 1963, p. 28; trad. it. Raymond Roussel,
Ombre Corte, Verona 2001, p. 46.
24
Su questo punto si veda J. Revel, Vita altra, attitudine critica, sperimentazione, in
«Iride», vol. 25 (2012), n. 66, pp. 317-327, la quale individua una strategia delle differenze,
come presupposto di un fuori, contro il rischio di “riduzione al medesimo”, tuttavia
mette in guardia dalla possibilità che questa posizione possa essere considerata un’uscita
dalla storia e dai rapporti di potere.
La doublure di Foucault 131
rienza del pensiero, indisgiungibile dalla “vita vera”, intesa non solo nei ter-
mini di un vissuto esistenziale, ma nel senso prossimo a quello dei cinici,
di una vita scandalosa attraverso la quale manifestare la propria verità e
testimoniarla attraverso la scrittura. Come sottolinea Macherey, a proposi-
to dell’opera di Roussel, essa si presenta «come il luogo di emergenza di
una verità, non nel senso psicologico dell’uomo e della sua “malattia”, ma
in quello di una verità propriamente letteraria»25, una verità – aggiungerei
– dal potenziale sovversivo poiché capace di mettere in discussione, di dis-
ordinare l’ordine del signiicante padrone, smascherandone la doppiezza,
la sua irriducibilità al rapporto tra visibile e signiicato.
Il divenire etico
25
P. Macherey, À quoi pense la littérature? Exercice de philosophie littéraire, PUF, Paris
1990, p. 179. Dello stesso autore si confronti anche la prefazione a M. Foucault, Raymond
Roussel, Gallimard, Paris 1992.
26
Cfr. M. Foucault, L’ordre du discours, Gallimard, Paris 1971; trad. it. L’ordine del
discorso, Einaudi, Torino 1972.
27
M. Foucault, Préface à la transgression, cit., p. 267; trad. it. cit., p. 61.
132 Sandro Luce
28
Ivi, p. 270; trad. it. cit., p. 64.
29
Deleuze le deinisce come «un rapporto di affezione della forza con sé, un potere
di autoaffezione, un’affezione di sé attraverso sé»; cfr. G. Deleuze, Foucault, Les Éditions
de Minuit, Paris 1986, p. 108; trad. it. Foucault, Cronopio, Napoli 2002, p. 133.
30
Ivi, p. 107; trad. it. cit., p. 133.
31
Ivi, p. 101; trad. it. cit., p. 126.
La doublure di Foucault 133
32
Ivi, p. 140; trad. it. cit., p. 174. Deleuze ne parla in termini di «una superpiega, di cui
ci testimoniano i piegamenti propri delle catene del codice genetico, le potenzialità del silicio
nelle macchine della terza generazione, così come i contorni della frase nella letteratura
moderna allorché il linguaggio può solo ricurvarsi in un perpetuo ritorno su di sé».
33
Come sottolinea Foucault nel Corso che inaugura il suo lavoro sull’etica antica:
«ho operato due spostamenti successivi: uno andava dalla nozione di ideologia dominante
a quella di sapere-potere e ora un secondo spostamento che va dalla nozione di sapere-
potere alla nozione di governo attraverso la verità» (M. Foucault, Du gouvernment des vivants.
Cours au Collège de France. 1979-1980, Seuil/Gallimard, Paris 2012, p. 12; trad. it. Del Governo
dei viventi. Corso al Collège de France (1979-1980), Feltrinelli, Milano 2014, p. 23).
34
Sulla funzione dell’intellettuale, cfr. M. Foucault, L’intellectuel et les pouvoirs, in Dits
et écrits II, cit., pp. 1566-1571; Id., La fonction politique de l’intellectuel, ivi, pp. 109-114; Id.,
Le souci de la vérité, ivi, pp. 1487-1497. Questo tema è inscindibile dalla più ampia que-
stione della critica intesa, a partire da Kant, come «l’arte della disobbedienza volontaria,
dell’indocilità ragionata»; cfr. M. Foucault, Qu’est-ce que les Lumières?, ivi, pp. 1381-1397 e
1498-1507; trad. it. Che cos’è l’Illuminismo?, in Archivio Foucault 3, Feltrinelli, Milano 1998,
pp. 217-232 e 253-261.
134 Sandro Luce
35
M. Foucault, Le gouvernement de soi et des autres. Cours au Collège de France. 1982-1983,
Seuil/Gallimard, Paris 2008, p. 60; trad. it. Il governo di sé e degli altri. Corso al Collège de France
(1982-1983), Feltrinelli, Milano 2009, p. 67.
36
Si tratta di un aspetto che Foucault sviluppa a partire dal confronto tra l’Alcibiade
e il Lachete nella lezione del 29 febbraio 1984 in M. Foucault, Le courage de la vérité. Le
gouvernement de soi et des autres II. Cours au Collège de France. 1984, Gallimard, Paris 2009, in
particolare pp. 148-152.
37
Su questo tema si veda P. Cesaroni, Verità e vita . La ilosoia in “Il coraggio della verità”,
in Id. e S. Chignola (a cura di), La forza del vero. Un seminario sui Corsi di Michel Foucault al
Collège de France (1981-1984), Ombre Corte, Verona 2013, pp. 132-160.
38
F. Gros, La parrhêsia chez Foucault, in Id. (a cura di), Foucault, le courage de la vérité,
PUF, Paris 2002, p. 165.
La doublure di Foucault 135
priori che disciplinano il linguaggio, sono legate alla modalità dell’atto e al ri-
schio al quale espongono il soggetto: verità incarnate e singolari, seppure in
relazione con gli altri. La parrhesia dei cinici apre lo spazio all’irruzione di un
ingovernabile, a qualcosa che non occupa alcun posto nell’ordine esistente,
né ha alcun sapere da trasmettere in quanto non risponde ad alcun logos, ma
è essenzialmente ergon, vita e azione. È la vita, e il modo in cui viene condotta
e trasformata, a manifestare la verità, perché sospinta oltre il conine tra ciò
che è razionale e ciò che non lo è, perché eccedente rispetto a qualsiasi sen-
so comune, potremmo dire un’esperienza limite in cui la verità, totalmente
immanentizzata, si riduce ai suoi effetti, cioè all’esperienza di una vita altra.
Attraverso le pratiche etiche dei cinici Foucault ci fa scorgere la possibilità
di una critica del tutto immanente, che coincide con il suo sapersi fare realtà
e modo di essere. Un’attitudine teorica e pratica, che rende insopportabile e
scuote la realtà così come è, ponendo le condizioni per uno scarto rispetto
all’esistente che situa le soggettività attraverso un continuo movimento di
differenziazione. La possibilità di pensare un fuori ai dispositivi di assogget-
tamento su cui si struttura l’odierna razionalità governamentale, e quindi la
possibilità di offrire una resistenza ad essi, muove dalla capacità di “mobili-
tare” l’oggetto per eccellenza di questi discorsi di verità: la vita. Vivere una
“vita vera” (vraie vie) è da intendersi nei termini di una vita combattiva, di
una prassi dissidente, di una vita che fa scandalo perché rompe con l’ethos
condiviso e indifferenziato, appellandosi ad altre verità.
Manifestare, attraverso la nostra condotta, il disaccordo – che è anche
una distanza – nei confronti dei discorsi ai quali siamo assoggettati, è una
possibilità che abbiamo di aprire varchi al loro interno, perché, come Fou-
cault aveva compreso, essi non sono mai del tutto totalizzanti, non aderisco-
no mai completamente al tessuto sociale, in essi si insinuano spesso pieghe
che vanno scoperte e attraversate, per questo «oggi l’obiettivo principale non
è di scoprire che cosa siamo, ma piuttosto di riiutare quello che siamo»39.
Sandro Luce
Università degli Studi di Salerno
sluce@unisa.it
39
M. Foucault, Le sujet et le pouvoir, in Dits et écrits II, cit., p. 1051; trad. it. Il soggetto e il
potere, in H.L. Dreyfus e P. Rabinow, La ricerca di Michel Foucault. Analitica della verità e storia
del presente, Ponte alle Grazie, Firenze 1989, p. 244.
136 Sandro Luce
.
Foucault’s Doublure. The Thought from the “Outside” and the Practices of Truth
1
Cfr. M. Foucault, Sécurité, territoire, population. Cours au Collège de France. 1977-1978, a
cura di M. Senellart, Seuil/Gallimard, Paris 2004; trad. it. Sicurezza, territorio, popolazione.
Corso al Collège de France (1977-1978), a cura di P. Napoli, Feltrinelli, Milano 2005.
2
Cfr. M. Foucault, Qu’est-ce que la critique?, in Qu’est-ce que la critique? suivi de La culture
de soi, a cura di H.-P. Fruchaud e D. Lorenzini, Vrin, Paris 2015, pp. 33-70.
3
Si pensi, per esempio, al terzo paragrafo dell’introduzione all’Uso dei piaceri: M.
Foucault, Histoire de la sexualité II. L’usage des plaisirs, Gallimard, Paris 1984; trad. it. L’uso
dei piaceri. Storia della sessualità 2, a cura di L. Guarino, Feltrinelli, Milano 1984, pp. 30-37.
4
M. Foucault, L’origine de l’herméneutique de soi. Conférences prononcées à Dartmouth College,
1980, a cura di H.-P. Fruchaud e D. Lorenzini, Vrin, Paris 2013, pp. 38-39; trad. it. mod.
Sull’origine dell’ermeneutica del sé, a cura di mf/materiali foucaultiani, Cronopio, Napoli 2012,
p. 40.
5
Cfr. A.I. Davidson, In Praise of Counter-Conduct, in «History of the Human Sciences»,
vol. 24 (2011), n. 4, pp. 25-41.
6
M. Foucault, Sicurezza, territorio, popolazione, cit., pp. 143-144.
7
Cfr. M. Foucault, Le sujet et le pouvoir, in Dits et écrits II, 1976-1988, a cura di
D. Defert e F. Ewald, Gallimard, Paris 2001, p. 1056.
8
Ivi, p. 1057.
Foucault, la contro-condotta e l’atteggiamento critico 139
Che nome dare, allora, a questa rétivité del volere e a questa intransitivi-
tà (o a questa insoumission) della libertà? Che nome dare, in altri termini, al
riiuto di un individuo di essere condotto in questo o quel modo speciico?
In Sicurezza, territorio, popolazione, Foucault risponde a queste domande co-
niando la nozione di contro-condotta11.
9
Ivi, p. 1056.
10
Ivi, p. 1057.
11
M. Foucault, Sicurezza, territorio, popolazione, cit., p. 151.
140 Daniele Lorenzini
[L]à dove c’è potere c’è resistenza e […] tuttavia, o piuttosto proprio per
questo, essa non è mai in posizione di esteriorità rispetto al potere. […] [I rap-
porti di potere] non possono esistere che in funzione di una molteplicità di punti
di resistenza, i quali svolgono, nelle relazioni di potere, il ruolo di avversario, di
bersaglio, d’appoggio, di sporgenza per una presa. Questi punti di resistenza sono
presenti dappertutto nella trama del potere13.
12
Ivi, p. 144.
13
M. Foucault, Histoire de la sexualité I. La volonté de savoir, Gallimard, Paris 1976; trad.
it. La volontà di sapere. Storia della sessualità 1, a cura di P. Pasquino e G. Procacci, Feltrinelli,
Milano 1978, pp. 84-85.
Foucault, la contro-condotta e l’atteggiamento critico 141
14
M. Foucault, Sicurezza, territorio, popolazione, cit., pp. 144-145.
15
Cfr. ivi, p. 151.
142 Daniele Lorenzini
16
M. Foucault, Qu’est-ce que la critique?, cit., p. 41.
17
Cfr. ivi, p. 37.
18
Cfr. M. Foucault, Sicurezza, territorio, popolazione, cit., pp. 153-163.
Foucault, la contro-condotta e l’atteggiamento critico 143
19
M. Foucault, Qu’est-ce que la critique?, cit., p. 37.
20
Cfr. D. Lorenzini e A.I. Davidson, Introduction, in M. Foucault, Qu’est-ce que la
critique? suivi de La culture de soi, cit., p. 17.
21
M. Foucault, Qu’est-ce que la critique?, cit., p. 37.
22
Ivi, p. 39. Cfr. anche D. Lorenzini e A.I. Davidson, Introduction, cit., p. 15.
144 Daniele Lorenzini
23
M. Foucault, Qu’est-ce que la critique?, cit., pp. 37-38.
24
Cfr. ivi, pp. 59-60.
25
M. Foucault, Le gouvernement de soi et des autres. Cours au Collège de France. 1982-1983,
a cura di F. Gros, Seuil/Gallimard, Paris 2008; trad. it. Il governo di sé e degli altri. Corso al
Collège de France (1982-1983), a cura di M. Galzigna, Feltrinelli, Milano 2009, p. 333.
26
M. Foucault, Discours et vérité précédé de La parrêsia, a cura di H.-P. Fruchaud e
D. Lorenzini, Vrin, Paris 2016, p. 103.
Foucault, la contro-condotta e l’atteggiamento critico 145
Conclusione
cenobitico non implichi la soppressione della volontà del diretto, che resta
intera e intatta, ma richieda l’identiicazione della sua volontà con quella
del direttore30. Anche in Qu’est-ce que la critique? Foucault tenta di evitare di
soffermarsi su tale nozione di volontà, senza tuttavia riuscirci del tutto.
Nella conclusione della conferenza, infatti, Foucault fa riferimento a una
«volontà decisoria di non essere governati»31 (così, in questo modo, da
queste istanze, a questo prezzo), e nella discussione ammette che è neces-
sario, in un certo senso inevitabile, porre il problema della volontà, «tanto
nella sua forma individuale quanto nella sua forma collettiva» – il proble-
ma di cosa sia questa volontà di non essere governati così. Un problema
che, spiega, «ho tentato di evitare il più a lungo possibile», a causa della
sua dificoltà, della sua delicatezza, ma soprattutto a causa dei presuppo-
sti che lo accompagnano e che derivano da più di duemila anni di storia
della ilosoia occidentale32. Problema fondamentale, tuttavia, specie se ci
rendiamo conto che i meccanismi governamentali di potere agiscono sulla
base di e grazie alla libertà degli individui – e dunque sulla base di e grazie
a un “Io voglio” originario e reiterato ad ogni istante, sebbene in maniera
spesso implicita.
Di conseguenza, l’atteggiamento critico in quanto forma moderna di
contro-condotta, in quanto resistenza anti-governamentale, si fonda sulla
possibilità di dire “Non voglio più” (essere governato, diretto, condotto
così), una possibilità che a sua volta deve essere resa visibile – ed è questo
in fondo lo scopo delle analisi storico-ilosoiche di Foucault. Tuttavia,
questa volontà di non essere governati così non va interpretata alla luce di
una concezione ilosoica tradizionale della volontà: non si tratta né di un
concetto metaisico, né di un concetto giuridico, ma di un concetto essen-
zialmente strategico, e per evitare ogni possibile confusione converrebbe
forse parlare, piuttosto, di “decisione”, di “sforzo”, di “messa alla prova”,
di “assunzione di rischio” o di “coraggio” (termini che Foucault stesso
utilizzerà nei propri lavori degli anni ottanta) all’interno di una conigura-
zione sempre speciica di rapporti di forza e pratiche di governo.
30
Cfr. M. Foucault, Du gouvernement des vivants. Cours au Collège de France. 1979-1980,
a cura di M. Senellart, Seuil/Gallimard, Paris 2012; trad. it. Del governo dei viventi. Corso al
Collège de France (1979-1980), a cura di D. Borca e P.A. Rovatti, Feltrinelli, Milano 2014,
pp. 232-233.
31
M. Foucault, Qu’est-ce que la critique?, cit., p. 58.
32
Ivi, p. 66.
Foucault, la contro-condotta e l’atteggiamento critico 147
Ciò non toglie che l’elaborazione foucaultiana, nel 1978, dei temi della
contro-condotta e dell’atteggiamento critico apra uno spazio inedito – lo
spazio dell’etica – al cuore stesso di un’analisi che è e resterà sempre politi-
ca33. La resistenza, rideinita nei termini di una condotta o di un atteggiamento,
al contempo morale e politico, che l’individuo mette in atto volontaria-
mente, coraggiosamente, dinanzi a una speciica istanza governamentale
che pretende di condurlo e per cercare al contrario di condursi autrement,
la resistenza così rideinita punta già chiaramente in direzione del valore
politico che Foucault, negli anni ottanta, attribuirà ai processi di soggetti-
vazione, ovvero di strutturazione, di creazione di un certo rapporto di sé
con sé come modalità cruciale di opposizione all’assoggettamento – alla
costituzione di sé nella forma di un soggetto assoggettato, mero ingranag-
gio dei meccanismi governamentali di potere34.
Daniele Lorenzini
Université Paris-Est Créteil
d.lorenzini@email.com
.
Foucault, Counter-Conduct, and Critical Attitude
The main objective of this article is to explore the relationship between the
notions of “counter-conduct” and of “critical attitude” in Michel Foucault’s
thought, and to show how the elaboration of these two concepts, in 1978, opens
at the very heart of his political analyses the space of ethics. It is indeed thanks to
the notions of counter-conduct and critical attitude that Foucault accomplishes
the irst, signiicant redeinition of the problem of resistance, thus inaugurating
a path which will eventually lead him, in the eighties, to study the issue of subjec-
tivation as a (possible) practice of freedom.
33
Cfr. D. Lorenzini, Éthique et politique de nous-mêmes. À partir de Michel Foucault et
Stanley Cavell, in D. Lorenzini, A. Revel e A. Sforzini (a cura di), Michel Foucault: éthique et
vérité, 1980-1984, Vrin, Paris 2013, pp. 239-254.
34
Cfr. A.I. Davidson, Dall’assoggettamento alla soggettivazione: Michel Foucault e la storia
della sessualità, in «aut aut», n. 331 (2006), pp. 3-10.
Foucault e la questione dell’ideologia
Orazio Irrera
Nella lezione del 30 gennaio del suo Corso del 1980 al Collège de
France Du gouvernement des vivants, Foucault ribadisce il suo riiuto di
analizzare «il pensiero, il comportamento e il sapere degli uomini» nei
termini di un’analisi ideologica, aggiungendo che, praticamente ogni
anno, durante ogni suo corso, è ritornato su questa esigenza di distin-
guere il suo modo di procedere da una prospettiva basata sull’ideolo-
gia, operando ogni volta un piccolo spostamento per conferire alla sua
critica nuove forme di intelligibilità1. Perché tutta questa insistenza nel
respingere così sistematicamente la nozione di ideologia, soprattutto
quella elaborata dal marxismo althusseriano? Proprio il fatto di aver
reiterato così a lungo questa esigenza la rende forse una sorta di Ver-
neinung che lascia apparire nella iligrana dei suoi libri, dei suoi scritti,
dei suoi corsi e delle sue interviste un percorso sotterraneo fatto di di-
versi momenti e differenti angoli di attacco nei confronti della nozione
di ideologia. In questo contributo ci si soffermerà in primo luogo su
alcuni punti salienti relativi a questa critica soprattutto in riferimento
alla concezione althusseriana dell’ideologia e al paradigma storiograi-
co della storia delle mentalità. Successivamente, si prenderà in esame
l’ipotesi che una prospettiva basata sulla norma come quella di Fou-
cault non sia per forza in disaccordo con una teoria più soisticata
dell’ideologia, come quella recentemente proposta da Pierre Macherey
attraverso il concetto di «infra-ideologia». Inine, si veriicherà come,
negli ultimi corsi al Collège de France, i tentativi di smarcarsi da un’a-
nalisi ideologica conducano Foucault a formulare la sua concezione dei
rapporti tra verità, soggettività e critica all’interno del suo progetto di
una genealogia del soggetto occidentale.
1
M. Foucault, Du gouvernement des vivants. Cours au Collège de France. 1979-1980, a cura
di M. Senellart, Seuil/Gallimard, Paris 2012, pp. 74-75; trad. it. Del governo dei viventi. Corso
al Collège de France (1979-1980), Feltrinelli, Milano 2014, pp. 83-84.
La critica alla concezione althusseriana dell’ideologia e al paradigma della storia delle mentalità
2
M. Foucault, L’archéologie du savoir, Gallimard, Paris 1969; trad. it. L’archeologia del
sapere, Rizzoli, Milano 1980; L. Althusser, Pour Marx, Maspero, Paris 1965; trad. it. Per
Marx, Editori Riuniti, Roma 1967; L. Althusser, Idéologie et appareils idéologiques d’État
(1970), in Positions, Éditions Sociales, Paris 1976, pp. 67-125; trad. it. Ideologie e apparati
ideologici di Stato, in «Critica marxista», settembre-ottobre 1970, pp. 23-65. Cfr. anche
D. Lecourt, Pour une critique de l’épistémologie: Bachelard, Canguilhem, Foucault, Maspero,
Paris 1974; F. Raimondi, Il custode del vuoto. Contingenza e ideologia nel materialismo radicale
di Louis Althusser, Ombre Corte, Verona 2011.
3
É. Balibar, Lettre à l’éditeur du cours, in M. Foucault, Théorie et institutions pénales.
Cours au Collège de France. 1971-1972, a cura di B.E. Harcourt, Seuil/Gallimard, Paris
2015, pp. 285-289.
4
Cfr. L. Althusser, Ideologie e apparati ideologici di Stato, cit., passim. Sulle dificoltà
nell’opera di Althusser, cfr. W. Montag, “The Soul Is the Prison of the Body”: Althusser and
Foucault, 1970-1975, in «Yale French Studies», n. 88 (1995), pp. 53-77, articolo ripreso
e rielaborato apparso col titolo Althusser and Foucault: Apparatuses of Subjection, in Id.,
Althusser and His Contemporaries. Philosophy’s Perpetual War, Duke University Press, Durham
2013, pp. 141-170; F. Raimondi, Il custode del vuoto, cit., pp. 80-150; D. Melegari, Due fratelli
silenziosi. Althusser, Foucault al bivio dell’ideologia, in «Scienza & Politica. Per una storia delle
dottrine», vol. XXVI (2014), n. 50, pp. 137-159.
Foucault e la questione dell’ideologia 151
5
Cfr. D. Lecourt, Pour une critique de l’épistémologie: Bachelard, Canguilhem, Foucault, cit.;
J.-F. Braunstein, Bachelard, Canguilhem, Foucault. Le “style français” en épistémologie, in P. Wagner
(a cura di), Les philosophes et la science, Gallimard, Paris 2002, pp. 920-963; P. Cassous-
Noguès e P. Gillot (a cura di), Le concept, le sujet, la science. Cavaillès, Canguilhem, Foucault, Vrin,
Paris 2009; L. Paltrinieri, L’expérience du concept. Michel Foucault entre épistémologie et histoire,
Publications de la Sorbonne, Paris 2012; A. Ryder, Foucault and Althusser: Epistemological
Differences with Political Effects, in «Foucault Studies», n. 16 (2013), pp. 134-153.
6
M. Foucault, La société punitive. Cours au Collège de France. 1972-1973, a cura di B.E.
Harcourt, Seuil/Gallimard, Paris 2013, p. 237; cfr. anche Id., Théories et institutions pénales,
cit., pp. 197-227; Id., La vérité et les formes juridiques, in Dits et écrits I, 1954-1975, Gallimard,
Paris 2001, pp. 1406-1514 (in part. pp. 1420-1421); trad. it. La verità e le forme giuridiche, in
Archivio Foucault 2. Poteri, saperi, strategie, a cura di A. Dal Lago, Feltrinelli, Milano 1997,
pp. 83-165. Su questo punto si veda anche la ricostruzione di M. Senellart, Situation
du cours, in M. Foucault, Du gouvernement des vivants, cit., pp. 323-350, in particolare cfr.
pp. 337-341; trad. it. Nota del curatore, in M. Foucault, Del governo dei viventi, cit., pp. 340-342.
7
M. Foucault, Théories et institutions pénales, cit., p. 233. Cfr. anche Id., Leçons sur la volonté
de savoir. Cours au Collège de France. 1970-1971, a cura di D. Defert, Seuil/Gallimard, Paris 2011;
trad. it. Lezioni sulla volontà di sapere. Corso al Collège de France (1970-1971), Feltrinelli, Milano 2015.
152 Orazio Irrera
8
L. Althusser, Que faire?, 1978, manoscritto inedito, p. 10, citato in F. Raimondi, Il
custode del vuoto, cit., p. 177. Su questo punto, cfr. anche W. Montag, Althusser and Foucault:
Apparatuses of Subjection, cit., pp. 155ss.
9
M. Foucault, Mal faire, dire vrai. Fonction de l’aveu en justice. Cours de Louvain, 1981,
a cura di F. Brion e B.E. Harcourt, Presses universitaires de Louvain, Louvain 2012,
p. 7; trad. it. Mal fare, dir vero. Funzione della confessione nella giustizia. Corso di Lovanio (1981),
Einaudi, Torino 2013, p. 9.
Foucault e la questione dell’ideologia 153
10
F. Hulak, Michel Foucault, la philosophie et les sciences humaines: jusqu’où l’histoire peut-elle
être foucaldienne?, in «Tracés. Revue de Sciences humaines», n. 13 (2013); J. Revel, Machines,
stratégies, conduites: ce qu’entendent les historiens, in Au risque de Foucault, Éditions du Centre
Georges Pompidou, Paris 1997, pp. 109-128; J. Le Goff, Foucault et la nouvelle histoire, in Au
risque de Foucault, cit., pp. 129-141; L. Paltrinieri, L’expérience du concept, cit., pp. 168-181.
11
L. Febvre, Projet d’enseignement pour le Collège de France, Paris 1928, citato in
A. Burguières, La notion de “mentalité” chez Marc Bloch et Lucien Febvre: deux conceptions, deux
iliations, in «Revue de synthèse», n. 111-112 (1983), p. 340 ; J. Le Goff, Les mentalités:
une histoire ambiguë, in J. Le Goff e P. Nora (a cura di), Faire l’histoire, vol. III, Nouveaux
Objets, Gallimard, Paris 1974; J. Revel, Mentalités, in A. Burguières (a cura di), Dictionnaire
des sciences historiques, PUF, Paris 1986, pp. 450-456.
12
Si vedano i testi raccolti in Histoire de la folie à l’âge classique de Michel Foucault.
Regards critiques, 1961-2011, IMEC Éditions/Presses universitaires de Caen, Caen 2011;
J. Revel, Le moment historiographique, in L. Giard (a cura di), Foucault. Lire l’œuvre, Jérôme
Million, Grenoble 1992, pp. 83-96; A. Farge, Michel Foucault et les historiens: le malentendu, in
«L’Histoire», n. 154 (1992), pp. 74-76.
13
P. Veyne, Comment on écrit l’histoire, Seuil, Paris 1971, in part. pp. 119-138; Id.,
L’idéologie selon Marx et selon Nietzsche, in «Diogène», n. 99 (1977), pp. 93-115.
154 Orazio Irrera
Volevo smarcarmi da due metodi […], anzitutto da ciò che si […] chiama
storia delle mentalità e che sarebbe […] una storia situata su un asse che va dall’a-
nalisi dei comportamenti effettivi alle espressioni che possono accompagnare
questi comportamenti, sia che questi li precedano, sia che li seguano, sia che li
traducano, sia che li prescrivano, sia che li mascherino, sia che li giustiichino, ecc..
D’altra parte, volevo anche smarcarmi da ciò che si potrebbe chiamare una storia
delle rappresentazioni o dei sistemi rappresentativi, cioè una storia che avrebbe,
che potrebbe avere, che può avere due obiettivi. Il primo sarebbe l’analisi […]
del ruolo che possono giocare le rappresentazioni sia in rapporto all’oggetto rap-
presentato, sia in rapporto al soggetto che le rappresenta: un’analisi, diciamo,
che sarebbe l’analisi delle ideologie. E poi […] l’analisi delle rappresentazioni in
funzione di una conoscenza – di un contenuto di conoscenza o di una regola, di
una forma di conoscenza – considerata come criterio di verità15.
14
P. Veyne, Foucault révolutionne l’histoire, in Comment on écrit l’histoire, cit., seconda
edizione, 1978, pp. 201-242; trad. it. Foucault rivoluziona la storia, in P. Veyne, Michel Foucault.
La storia, il nichilismo e la morale, Ombre Corte, Verona 1998, pp. 7-65.
15
M. Foucault, Le gouvernement de soi et des autres. Cours au Collège de France. 1982-1983,
a cura di F. Gros, Seuil/Gallimard, Paris 2008, p. 4; trad. it. Il governo di sé e degli altri. Corso
al Collège de France (1982-1983), Feltrinelli, Milano 2009, p. 12.
16
M. Foucault, Le gouvernement de soi et des autres, cit., pp. 4-5 (trad. it. cit., pp. 12-13).
Foucault e la questione dell’ideologia 155
17
P. Macherey, Le sujet des normes, Éditions Amsterdam, Paris 2014. La traduzione dei
brani successivamente riportati è nostra.
156 Orazio Irrera
18
Ivi, p. 57.
19
Ivi, p. 52.
20
Ibidem.
21
L. Althusser, Idéologie et appareils idéologiques d’État, cit., pp. 101ss. (trad. it. cit., pp. 48ss.).
Foucault e la questione dell’ideologia 157
sullo statuto di questo rapporto che, per un verso, resta immaginario, poi-
ché «produce degli effetti situati sul piano dell’immaginario», dal momento
che esso accompagna di fatto delle rappresentazioni deformate del reale;
mentre, d’altra parte, esso non può essere interamente ridotto alla semplice
rappresentazione. Un tale rapporto è quindi anche reale nella misura in cui
corrisponde alla «forma necessaria secondo la quale le condizioni di vita
degli uomini […] si manifestano alla coscienza»: è a questo titolo, d’altron-
de, che tale rapporto è produttivo: produce «una certa maniera di essere al
mondo», associata all’«essere soggetto» di cui l’ideologia è «in ultima istan-
za la causa o il principio motore»22. Così, se vi sono rappresentazioni che
possono dirsi ideologiche e immaginarie, questo accade solo alla ine del
processo di ideologizzazione, quando esse assumono l’aspetto di rappre-
sentazione e si conigurano in modo speciico all’interno di una situazione
storicamente determinata.
Questa maniera di concepire la produttività dell’ideologia implica
quindi uno spostamento ulteriore della prospettiva: non si tratta più di
partire dalle idee, dalle rappresentazioni, dalle concezioni del mondo, ma
dalle modalità secondo le quali le idee e le rappresentazioni sono inserite e
prodotte entro la dimensione materiale ed effettiva delle pratiche. Questo
permette a Macherey di avanzare l’idea che «ciò che Althusser ha cercato
di fare per il concetto di ideologia, Foucault dal canto suo l’avrebbe fatto
per il concetto di norma: ovvero mostrare che ciò che è implicato, nell’uno
come nell’altro termine, sono delle logiche pratiche di comportamento,
delle maniere di agire e non dei sistemi formali di rappresentazioni che
costituiscono un ordine a parte e che di fronte alla realtà sociale manten-
gono una relazione di esteriorità, su uno sfondo fatto di trascendenza e di
proibizione»23.
Per questa ragione, per Althusser, vivere nell’ideologia signiica con-
dursi in questa o quest’altra maniera, adottando tale o talaltro compor-
tamento. L’ideologia fa quindi agire ed è a questo titolo una azione sulle
azioni degli altri che consiste, in ultima analisi, a inserire certe azioni all’in-
terno di pratiche collettive socialmente organizzate. D’altra parte, secondo
Macherey, con l’idea di «governo» di Foucault ci troveremmo di fronte a
un quadro teorico molto simile, nella misura in cui si tratta di intendere il
22
P. Macherey, Le sujet des normes, cit., pp. 54-55.
23
Ivi, p. 59.
158 Orazio Irrera
potere come ciò che «struttura il possibile campo di azione degli altri»24.
Così, le idee degli uomini che sembrano dirigere le loro pratiche si rivela-
no in realtà silenziosamente e preliminarmente orientate dall’ideologia, la
quale, non essendo più basata su ciò che avviene nella testa delle persone,
organizza uno spazio regolato di pratiche in cui questi individui diventano,
senza rendersene conto, soggetti. L’ideologia predispone dunque tutto un
ventaglio di pratiche possibili e ammissibili secondo una razionalità che si
incarna nel modo di essere del soggetto stesso, al di qua della sua coscienza
e delle sue rappresentazioni. Ad essere in gioco è quindi la strutturazione
di un soggetto attraverso la preventiva costituzione di un campo di virtua-
lità e di possibilità che devono predeterminare sia i suoi comportamenti
effettivi, sia le sue idee.
Secondo Macherey questa produzione di virtualità costituisce il terre-
no privilegiato di intervento sia della norma, sia dell’ideologia. Tanto l’una
quanto l’altra si riferirebbero non tanto a ciò che esiste effettivamente (per
esempio un’azione già compiuta in base alla quale si tratterebbe di punire
l’agente), bensì a ciò che virtualmente può esistere, la cui esistenza, cioè, è
diagnosticata e calcolata in anticipo. Ognuno è quindi esposto permanen-
temente a essere giudicato non per gli atti che ha commesso, ma per quello
che potrebbe fare e per quello potrebbe essere, per mezzo di un criterio di va-
lutazione stabilito da certe norme. Questa valutazione attraverso la norma
(la cui azione, nei termini in cui l’intende Macherey, è comparabile a quella
dell’ideologia) le determinazioni occasionali in fatti di natura tramite mecca-
nismi di essenzializzazione e di idealizzazione. Inoltre, in questo contesto,
sono le scienze umane a schedare, archiviare e marcare tutti i fenomeni che
costituiranno poi il bersaglio della cattura delle norme e del loro potere di
controllare, sorvegliare e prevenire.
Per realizzare questa impresa di normalizzazione, bisogna che l’azio-
ne della norma o dell’ideologia «sia completamente immanente al campo
all’interno del quale essa produce i suoi effetti, in quanto il primo risultato
della sua azione, che ne condiziona in ultima istanza tutti gli altri, è proprio
la costituzione di questo campo. Se l’ideologia (o la norma) trasformano,
non è penetrando progressivamente un terreno preesistente al suo inter-
24
M. Foucault, Le sujet et le pouvoir, in Dits et écrits II, 1976-1988, Gallimard, Paris 2001,
p. 1056; trad. it. Il soggetto e il potere, in H. Dreyfus e P. Rabinow, La ricerca di Michel Foucault.
Analitica della verità e storia del presente, Ponte alle Grazie, Firenze 1989, pp. 245-254, in part.
p. 249.
Foucault e la questione dell’ideologia 159
25
P. Macherey, Le sujet des normes, cit., p. 93.
26
Ivi, pp. 57-58.
27
Su questo punto, cfr. P. Gillot, Althusser et la psychanalyse, PUF, Paris 2009.
160 Orazio Irrera
28
P. Macherey, Le sujet des normes, cit., p. 63.
29
Ivi, pp. 299-301.
30
Ivi, p. 222.
Foucault e la questione dell’ideologia 161
31
Ivi, p. 226.
32
Ivi, p. 230.
162 Orazio Irrera
33
Su questo punto si veda il terzo capitolo «Le Sujet productif. De Marx à Foucault»
(pp. 149-212) di Le sujet des normes, già apparso autonomamente in traduzione italiana un
anno prima dell’uscita del libro in Francia. P. Macherey, Il soggetto produttivo. Da Foucault a
Marx, Ombre Corte, Verona 2013.
34
M. Foucault, La société punitive, cit., p. 234. Su questo si veda anche J. Pallotta,
L’effet-Althusser sur Foucault: de la société punitive à la théorie de la reproduction, in Ch. Laval,
L. Paltrinieri e F. Taylan (a cura di), Marx & Foucault. Lectures, usages, confrontations, La
Découverte, Paris 2015, pp. 132-133.
Foucault e la questione dell’ideologia 163
35
P. Macherey, Le sujet des normes, cit., pp. 301-302.
36
Ivi, pp. 351-352.
37
Su questo punto cfr. D. Lorenzini, Éthique et politique de soi. Foucault, Hadot, Cavell et
les techniques de l’ordinaire, Vrin, Paris 2015.
38
P. Macherey, Le sujet des normes, cit., p. 351.
164 Orazio Irrera
39
Per possibili linee di sviluppo a partire dalla prospettiva di Macherey, cfr. O. Irrera,
Michel Foucault et les critiques de l’idéologie. Dialogue avec Pierre Macherey, in «Methodos», n. 16
(2016).
40
Cfr. S. Luce, Dall’ideologia all’ordine del discorso: l’interpellazione di Althusser, le parole di
Foucault, in «Filosoia politica», n. 2 (2014), pp. 311-324.
41
Cfr. M. Foucault, Du gouvernement des vivants, cit., p. 8 (trad. it. cit., pp. 18-19).
Foucault e la questione dell’ideologia 165
42
Cfr. ivi, p. 79 (trad. it. cit., p. 89).
43
Cfr. ivi, pp. 73-74 (trad. it. cit., p. 83).
44
Cfr. ivi, p. 74 (trad. it. cit., p. 83).
45
Solo a titolo di esempio si veda, ancora una volta, P. Veyne, Comment on écrit l’histoire,
cit., pp. 119-138.
46
M. Foucault, Du gouvernement des vivants, cit., p. 75 (trad. it. cit., p. 84).
166 Orazio Irrera
47
Ivi, pp. 75-76 (trad. it. cit., p. 85). Su questo passaggio essenziale si vedano le
osservazioni che Foucault aveva già fatto nella conferenza alla Société française de Philosophie,
il 27 maggio 1978. In particolare, cfr. M. Foucault, Qu’est-ce que la critique? suivi de La
culture de soi, a cura di H.-P. Fruchaud e D. Lorenzini, Vrin, Paris 2015, pp. 39-40.
48
Cfr. M. Foucault, L’origine de l’herméneutique de soi. Conférences prononcées à Dartmouth
College, 1980, a cura di H.-P. Fruchaud e D. Lorenzini, Vrin, Paris 2013; versione italiana,
Sull’origine dell’ermeneutica del sé, a cura di mf/materiali foucaultiani, Cronopio, Napoli 2012;
L. Cremonesi, A.I. Davidson, O. Irrera, D. Lorenzini e M. Tazzioli, Da dove viene il sé? La
forza del dir-vero e l’origine dell’ermeneutica del sé, in «aut aut», n. 362 (2014), pp. 116-133.
Foucault e la questione dell’ideologia 167
M. Foucault, Du gouvernement des vivants, cit., p. 78 (trad. it. cit., p. 87). Su questo
49
51
Cfr. M. Foucault, Subjectivité et vérité. Cours au Collège de France. 1980-1981, a cura di
F. Gros, Seuil/Gallimard, Paris 2014. La traduzione dei brani successivamente riportati
è nostra.
52
Su questo punto cfr. anche F. Gros, Soggetto morale e sé etico in Foucault, in Foucault e le
genealogie del dir-vero, a cura di L. Cremonesi, O. Irrera, D. Lorenzini e M. Tazzioli, Napoli,
Cronopio 2014, pp. 17-31.
Foucault e la questione dell’ideologia 169
Nella lezione del 18 marzo 1981, Foucault passa in rassegna tre moda-
lità di concepire questo rapporto tra i discorsi e le pratiche reali: «il raddop-
piamento della rappresentazione», «la denegazione ideologica» e inine «la
razionalizzazione universalizzante». Secondo la modalità della denegazio-
ne ideologica, il discorso ilosoico sul matrimonio costituisce «l’elemento
attraverso cui il reale non viene detto»53, e la sua natura prescrittiva serve
solo da giustiicazione ideologica che occulta, che impedisce di cogliere,
che «schiva», una realtà materiale sottostante. Quest’ultima sarebbe inine
costituita dalla scomparsa delle strutture economico-politiche della polis
e dalla crisi delle sue istituzioni familiari, per cui la perdita di potere e
la mancanza di sicurezza derivate dall’affermazione dell’Impero, avevano
fatto sì che la vita coniugale si fosse costituita come unico rifugio possibi-
le. Questo processo subirebbe, nel discorso ilosoico, uno «spostamento
verso l’idealità»54, trasformando una pratica reale già esistente e causata da
altri processi, in un obbligo morale da prescrivere. Nondimeno, Foucault
giunge a respingere anche questa prospettiva perché in fondo il reale che
verrebbe occultato e taciuto dal discorso, non è il reale di cui il discorso
ilosoico intende effettivamente parlare, ma «la causa che l’analisi ideolo-
gica attribuisce, retrospettivamente e ipoteticamente al reale». In questo
senso, si presuppone che «sotto una forma capovolta, l’idea che l’esistenza
di un discorso è sempre funzione del rapporto del discorso alla verità […],
in rapporto a quel che sarebbe l’essenza, la funzione, la natura in qualche
maniera originaria, autentica, del discorso fedele al suo essere, che è il di-
scorso che dice il vero»55.
Al posto di questo rinvio ideologico a una dimensione della realtà
altra rispetto al discorso (per spiegare il rapporto che esso intrattiene con
la realtà), Foucault ribadisce che «il reale non contiene in esso stesso la
ragione d’essere del discorso»56, ovvero il fatto che tale realtà non ha per
forza bisogno di un gioco di veridizione che si articoli con essa, che la
determini secondo il gioco del vero e del falso. La verità si afferma come
evento, non sopraggiunge necessariamente per giustiicare l’adeguamento
di un discorso vero alla realtà. Da questo punto di vista la verità è sempre
contingente: è ciò che Foucault chiama «una sorpresa epistemica»57. Per
53
M. Foucault, Subjectivité et vérité, cit., p. 242.
54
Ivi, p. 243.
55
Ivi, p. 244.
56
Ivi, p. 237.
57
Ivi, p. 238.
170 Orazio Irrera
intraprendere quella che Foucault designava come «una storia politica della
verità», non ci si doveva allora domandare se questo gioco di veridizione,
questo discorso vero sia adeguato al, e necessitato dal, reale, ma: «quali
effetti di obbligo, di costrizione, di incitazione, di limitazione sono stati
suscitati dalla connessione di pratiche determinate con un gioco vero/fal-
so, un regime di veridizione anch’esso speciico»? Bisogna inine chiedersi
«a quali obblighi si trova legato il soggetto di questa pratica dal momento
che la separazione (partage) del vero e del falso vi svolge un ruolo? A quale
obbligo vero/falso si trova legato il soggetto di un discorso vero dal mo-
mento che si tratta di una pratica deinita?»58.
In un quadro più ampio, relativo alle lezioni inali di questo Corso, le
tre modalità di concepire il rapporto tra discorsi e pratiche (di cui fa parte
la «denegazione ideologica») sono opposte da Foucault al particolare sta-
tuto pratico-discorsivo che storicamente avevano assunto in epoca impe-
riale i cosiddetti aphrodisia rispetto alla condotta matrimoniale e sessuale: si
tratta delle technai peri ton bion, delle arti di vivere, ovvero quelle “tecniche”
che prendono ad oggetto la vita, l’esistenza59. Tali tecniche sono pensate
da Foucault come procedure regolate e consapevoli volte a operare su un
soggetto determinato un certo numero di trasformazioni in funzione di
alcuni ini da raggiungere. Nella fattispecie, esse si esercitano sul bios, ov-
vero sulla vita in quanto soggettività, esistenza irriducibile tanto alle pro-
prie determinazioni biologiche, quanto a un qualsivoglia statuto sociale, a
una professione o a un mestiere. Rispetto a una prospettiva ideologica e
al modo di porre la questione “ilosoico-politica” che abbiamo visto nel
Corso del 1980, la prospettiva del modello antico di soggettivazione pre-
suppone invece una ricerca continua e indeinita che mira alla padronanza
di sé nelle mutevoli circostanze dell’esistenza individuale e collettiva. Di
conseguenza, nell’Antichità greco-romana, la sfera delle attività sessuali
è inserita da Foucault in un campo di problematizzazione più ampio, nel
quale la padronanza e il governo di sé diventano la condizione impre-scin-
dibile per l’esercizio del potere sugli altri, acquisendo dunque un valore
anche politico60.
Prendendo le mosse da queste analisi è quindi possibile leggere nella
loro iligrana anche uno spostamento relativo alla nozione stessa di verità
58
Ivi, p. 239.
59
Cfr. ivi, p. 253.
60
Cfr. ivi, pp. 280-293.
Foucault e la questione dell’ideologia 171
61
Su questo punto cfr. L. Cremonesi, A. I. Davidson, O. Irrera, D. Lorenzini e
M. Tazzioli, Da dove viene il sé?, cit.; O. Irrera, La verità come forza. Dir-vero, potere e soggettività
nell’ultimo Foucault, in Foucault e le genealogie del dir-vero, cit., pp. 33-57.
62
Cfr. S. Luce, Dall’ideologia all’ordine del discorso: l’interpellazione di Althusser, le parole di
Foucault, cit., in part. pp. 320-324.
172 Orazio Irrera
Orazio Irrera
Université Paris 1 Panthéon-Sorbonne
orazio.irrera@univ-paris1.fr
.
Foucault and the Problem of Ideology
In his course On the Government of the Living, Foucault afirms that he has always
refused to analyze thought, behavior, and knowledge in terms of ideology. He adds
that almost every year, in each one of his courses, he has revisited this need for
distinguishing what he is doing from a perspective based on ideology, even as he
modiies the angle of attack each time by giving his critique new forms of intelligi-
bility. In this article, I analyze the major points of this critique, especially those that
bear on the Althusserian conception ideology, as well as on the historiographical
paradigm of the history of mentalities. Next, I suggest that a perspective based
on the norm, such as the one developed by Foucault, does not necessary diverge
from a more sophisticated theory of ideology, as, for example, Pierre Macherey
has recently developed with the concept of “infra-ideology”. Finally, I will look
at how Foucault, in the inal courses at the Collège de France, once again tries to
distinguish what he is doing from an analysis of ideologies. Here he formulates his
conception of the relations between truth, subjectivity, and critique as part of the
larger project of a genealogy of the subject in the West.
1
Cfr. A. Barry, T. Osborne e N. Rose (a cura di), Foucault and Political Reason. Liberal-
ism, Neo-Liberalism and Rationalities of Government, The University of Chicago Press, Chi-
cago 1996; P. Miller, P. Rose e N. Rose, Governing Economic Life, in «Economy and Society»,
n. 19 (1990); di recente B. Golder (a cura di), Re-Reading Foucault. On Law, Power, and Rights,
Routledge, London 2013; in senso critico T. Lemke Neoliberalismus, Staat und Selbsttechnolo-
gien: Ein kritischer Überblick über die governmentality studies, in «Politische Vierteljahresschrift»,
vol. 41 (2000), n. 1.
2
N. Chomsky e M. Foucault, The Chomsky Foucault Debate: On Human Nature (1971),
Norton & Company, New York 2006.
Storicizzazione radicale, genealogia della governamentalità e soggettivazione politica 175
Par “gouvernementalité”, j’entends l’ensemble constitué par les institutions, les procédures, analyses
et rélexions, les calculs et les tactiques […]. Deuxièmement, par “gouvernementalité”, j’entendes la
tendance, la ligne de force qui, dans tout l’Occident, n’a pas cessé de conduire […] vers la prééminence
de ce type de pouvoir […]. Enin, par “gouvernementalité”, je crois qu’il faut entendre le processus […]
par lequel l’État […] s’est trouvé petit à petit “gouvernementalisé” 4.
3
M. Foucault, L’ordre du discours, Gallimard, Paris 1971, pp. 59-60. Cfr. anche il
concetto di événementialisation in Qu’est-ce que la critique?, in «Bulletin de la Société française
de Philosophie», vol. 84 (1990), pp. 42-45, 48.
4
M. Foucault, Sécurité, territoire, population. Cours au Collège de France. 1977-1978, Seuil/
Gallimard, Paris 2004, pp. 111-112.
176 Laura Bazzicalupo
Questo passo molto citato oscilla tra aderenza alla dispersa concretez-
za dei poteri che trova una aggregazione nominalistica nel termine (j’en-
tends l’ensemble), totalizzazione epocale (dans tout l’Occident, n’a pas cessé de
conduire vers la prééminence de ce type de pouvoir) e teleologia tendenziale (la ligne
de force, le processus): con il rischio di autorappresentarsi nel cerchio della
razionalizzazione storica. E se c’è razionalizzazione non ci sono che due
possibilità: o la tecnocrazia che ci piega alla razionalità “trionfante” o la
valorizzazione simbolica delle nozioni, per cui le veridizioni sono o reazio-
narie o progressiste5. E si perde la politicità del modo foucaultiano di fare
storia: la sua genealogia del modo in cui la verità si istituisce coincide con una
politica della verità, delle condizioni di accesso al reale.
L’agire politico coincide con il posizionamento al livello delle forze attive
e conlittuali. E la genealogia è il punto di vista che “vede” il conlitto, lo scar-
to differenziale che emerge di volta in volta nelle relazioni governamentali se
genealogicamente analizzate6. Il problema peraltro non è solo relativo sola-
mente al tema della governamentalità. Anche gli scritti sulla epimeleia seauton
e talvolta anche quelli sulla parrhesia sembrano tradire, con la loro doppia
faccia verso la storia delle idee e verso l’evento della soggettività eroica, l’e-
venemenzializzazione: vi si prendono in esame (come peraltro già in Nascita
della biopolitica) teorie, dottrine, testi letterari e ilosoici prevalenti su eventi
o strutture materiali che rendono possibili quei testi e la loro eficacia. Così
che è da quelle teorie o testi letterari e non da queste condizioni di possibilità
materiale e concreta che emerge un soggetto etico-libero problematicamente
fondato sulla cura di sé sulla distanza rispetto alla propria soggettivazione epi-
stemica. La stessa ipotesi di una parrhesia trans-storica e cripto-idealtipica ap-
pare “fondata” e può sconcertare in un autore che afferma che non esistono
costanti nella storia7. La relazione tra politica e storia è in Foucault altra cosa
rispetto agli ideal-tipi: anche malgré lui, è più fedele alla immanenza dell’agente
al campo d’azione. Quell’immanenza cieca che, signiicativamente, aveva af-
fascinato Foucault nell’anti-governamentalità liberale: la opacità della totalità
del mercato come condizione della scelta del libero agente economico, il cui
campo di azione è un incrocio di contingenze e precarie necessità.
5
M. Foucault, Sur l’archéologie des sciences. Réponse au Cercle d’épistémologie, in Dits et écrits
I, 1954-1975, Gallimard, Paris 2001, p. 756.
6
H. Dreyfus e P. Rabinow, Michel Foucault, Beyond Structuralism and Hermeneutics, The
University of Chicago Press, Chicago 1982; cfr. M. Foucault, The Subject and Power, ivi.
7
Cfr. S. Chignola, Phantasiebildern / Histoire iction: Weber, Foucault, in P. Cesaroni e
S. Chignola (a cura di), La forza del vero, ombre corte, Verona 2013, pp. 30-70; J. Revel,
Passeggiate, piccoli excursus e regimi di storicità, ivi, pp. 161-179.
Storicizzazione radicale, genealogia della governamentalità e soggettivazione politica 177
8
M. Foucault, Qu’est-ce que la critique?, cit., pp. 35-63; Id., Qu’est-ce que les Lumières?
(1984), in Dits et écrits II, 1976-1988, Gallimard, Paris 2001, pp. 1381-1397.
9
M. Foucault, Le gouvernement de soi et des autres. Cours au Collège de France. 1982-1983,
Seuil/Gallimard, Paris 2008, p. 13.
Storicizzazione radicale, genealogia della governamentalità e soggettivazione politica 179
14
Ivi, p. 148.
15
Ivi, p. 156.
16
H. Dreyfus e P. Rabinow, Michel Foucault, Beyond Structuralism and Hermeneutics, cit., p. 22.
Storicizzazione radicale, genealogia della governamentalità e soggettivazione politica 181
17
A.I. Davidson, The Emergence of Sexuality. Historical Epistemology and the Formation
of Concepts, Harvard University Press, Cambridge (Mass.) 2001, p. 179: «combination of
certain techniques for analyzing concepts and of certain techniques for writing their
history». Cfr. anche Id., Introduction. Régimes de pouvoir et régimes de vérité, in M. Foucault,
Philosophie. Anthologie, Gallimard, Paris 2004, pp. 381-392.
Storicizzazione radicale, genealogia della governamentalità e soggettivazione politica 183
19
M. Foucault, L’ordre du discours, cit., p. 40.
20
M. Foucault, Surveiller et punir. Naissance de la prison, Gallimard, Paris 1975, p. 31:
«lo studio della microisica del potere […] come modello gli si conferisce la battaglia per-
petua piuttosto che il contratto che opera una cessione, o la conquista che si impossessa
di un dominio». Cfr. M. Senellart, Michel Foucault: “gouvernementalité” et raison d’État, in AA.
VV., Situations de la démocratie, Seuil/Gallimard, Paris 1993, pp. 276-298.
Storicizzazione radicale, genealogia della governamentalità e soggettivazione politica 185
il modello bellico alle teorie contrattualiste proprio per cogliere, nel ri-
sentimento segreto degli sconitti, nella loro contro-storia la persistenza
di una irriducibile conlittualità21. Il discorso storico (storico partigiano,
storico politico, certo non ilosoico-storico), quello di marca tucididea,
si sottrae ad ogni universalità; rilevando i posizionamenti antagonisti,
opera, effettua (non si può non pensare alla verità effettuale di Machiavelli)
la disposizione delle parti, la verità come vittoria di parte (la wirkliche
Historie di Nietzsche22).
Superluo ricordare che con il passaggio dal potere/battaglia al po-
tere/governamento la relazione di potere si fa più complessa: entrano in
gioco i fattori oblativi, le modalità della cura, i ini protettivi-incrementativi
della vita in senso ampio biopolitici e viene messa in gioco la funzione
produttiva di soggettivazione del potere governamentale, non frontalmen-
te contrapposto al potere del governato… e la lotta? Essendo il governo
azione sulle azioni degli altri si valorizza una forma di libertà dipendente e
«conseguentemente non c’è alcun affrontamento faccia a faccia di potere e di libertà che
sia reciprocamente esclusivo»23. La genealogia, l’abbiamo detto, si trova
di fronte ai dispositivi governamentali che includono relazionalmente in
reciproca dipendenza i poli del conlitto. Pur radicalizzando il punto di
vista genealogico, mirato alla discontinuità, quest’ultima (che testimonia lo
strutturale fallimento dell’assoggettamento) resta inclusa nel dispositivo e
non trova emersione nella forma dell’affrontamento. Non potremo vede-
re lo scarto rispetto all’assoggettamento, il discontinuo della resistenza se
non come ininito rinvio di assoggettamento e soggettivazione.
Libertà, ma senza affrontamento: piega, dunque. Ma cessa per questo
la lotta delle verità che caratterizzava il discorso dello storico? Rivendicando
nello stesso saggio, la stretta relazione dell’analisi empirica con le relazioni di
potere legate al presente, Foucault insiste “nel considerare come punto di par-
tenza le forme di resistenza opposte alle differenti forme di potere. Per usare
un’altra metafora esso (metodo) consiste nell’utilizzare queste resistenze come
un catalizzatore chimico che permetta di mettere in evidenza le relazioni di
potere, di localizzare la loro posizione, di scoprire i loro punti di applicazione e
i metodi utilizzati. Piuttosto che analizzare il potere dal punto di vista della sua
21
M. Foucault, “Il faut défendre la société”. Cours au Collège de France. 1975-1976, Seuil/
Gallimard, Paris 1997, pp. 48-53.
22
M. Foucault, Nietzsche, la généalogie, l’histoire, cit., p. 159.
23
M. Foucault, The Subject and Power, cit., p. 249 (corsivo mio).
186 Laura Bazzicalupo
24
Ivi, p. 239.
25
Michel Senellart (M. Senellart, Michel Foucault: “gouvernementalité” et raison d’État, cit.)
sottolinea il ritorno alla molteplicità della battaglia al di fuori di ogni teleologia rivoluziona-
ria e di ogni struttura binaria di contrapposizione; Foucault ci dice che ogni strategia di
affrontamento mira a diventare una relazione stabile di governo e di “vincere” la resisten-
za. Provvisoriamente, s’intende, perché la relazione di governo solleverà altra resistenza.
26
M. Foucault, The Subject and Power, cit., p. 315.
27
Ibidem.
Storicizzazione radicale, genealogia della governamentalità e soggettivazione politica 187
28
Ivi, p. 244: «Forse oggi l’obiettivo principale non è di scoprire che cosa siamo, ma
piuttosto di riiutare quello che siamo».
188 Laura Bazzicalupo
Laura Bazzicalupo
Università degli Studi di Salerno
l.bazzicalupo@unisa.it
.
Radical Historicising, Genealogy of Governmentality, and Political Subjectivation
29
M. Foucault, Politics and Ethics. An Interview, in P. Rabinow (a cura di), The Foucault
Reader, Pantheon Books, New York 1984, p. 375: «I would more or less agree with the
idea that in fact what interests me is much more morals than politics or, in any case,
politics as an ethics».
Spectator novus: trasigurazione e straniamento in Foucault,
Hadot e Ginzburg
Laura Cremonesi
1
Si veda, in particolare, A.I. Davidson, L’arte di leggere lentamente. Discussione de Il ilo
e le tracce di Carlo Ginzburg, in «Iride», vol. 20 (2007), n. 51, pp. 381-386 e C. Ginzburg e
A.I. Davidson, Il mestiere dello storico e la ilosoia, in «aut aut», n. 338 (2008), pp. 178- 202.
2
Cfr. P. Hadot, La physique comme exercice spirituel ou pessimisme et optimisme chez Marc
Aurèle e Une clé des Pensées de Marc Aurèle: les trois topoi philosophiques selon Epictète, in
Exercices spirituels et philosophie antique, a cura di A.I. Davidson, Albin Michel, Paris 2002,
pp. 145-164 e 165-192; trad. it. Marco Aurelio: la isica come esercizio spirituale, ovvero ottimismo
e pessimismo e Una chiave dell’Eis heauton di Marco Aurelio: i tre topoi ilosoici secondo Epit-
teto, in Esercizi spirituali e ilosoia antica, a cura di A.I. Davidson, Einaudi, Torino 2002,
pp. 119-133 e 135-154.
3
Cfr. P. Hadot, Exercices spirituels, in Exercices spirituels et philosophie antique, cit., pp.
19-74; trad. it. Esercizi spirituali, in Esercizi spirituali e ilosoia antica, cit., pp. 35-38.
Spectator novus 191
4
P. Hadot, La physique comme exercice spirituel, cit., p. 150; trad. it. cit., p. 122.
5
Marco Aurelio, Eis heauton, VI, 3; traduzione di Pierre Hadot, ivi, p. 145; trad. it.
cit., p. 119.
6
Marco Aurelio, Eis heauton, III, 11.
7
P. Hadot, La physique comme exercice spirituel, cit., p. 152; trad. it. cit., p. 124 (Hadot
cita Marco Aurelio, Eis heauton, VI, 13).
192 Laura Cremonesi
8
G. Ginzburg, Straniamento. Preistoria di un procedimento letterario, in Occhiacci di legno.
Nove rilessioni sulla distanza, Feltrinelli, Milano 2011, pp. 15-39.
9
V. Šklovskij, Una teoria della prosa, De Donato, Bari 1966.
Spectator novus 193
10
Ivi, p. 18.
194 Laura Cremonesi
Hadot, discovering the form that “renders all the details necessary”, allows us to read the
Meditations coherently, transforms our experience form that of reading a disconnected journal
to one of reading a rigorously structured philosophical work12.
11
C. Ginzburg, Straniamento, cit., p. 34.
12
A.I. Davidson, Introduction. Pierre Hadot and the Spiritual Phenomenon of Ancient Phi-
losophy, in P. Hadot, Philosophy as a Way of Life. Spiritual Exercises from Socrates to Foucault,
Blackwell, Malden 1995, p. 12.
Spectator novus 195
Hadot commenta:
Anche per Hadot, quindi, ad esser centrali nello sguardo dello spectator
novus sono l’idea dell’abitudine, che rende meccanica la nostra percezione,
e quella del distacco, che permette di modiicare la nostra prospettiva, idee
che costituiscono anche il nucleo dello straniamento.
13
Seneca, Lettera 64, 6, brano citato in P. Hadot, L’homme antique et la nature, in Études
de philosophie ancienne, Les Belles Lettres, Paris 2010, p. 314; trad. it. L’uomo antico e la natura,
in Studi di ilosoia antica, a cura di A.I. Davidson, ETS, Pisa 2014, p. 275.
14
Ivi, pp. 314-315; trad. it. cit., pp. 275-276. Si veda anche P. Hadot, Le sage et le
monde, in Exercices spirituels et philosophie antique, cit., pp. 343-360; trad. it. Il saggio e il mondo,
in Esercizi spirituali e ilosoia antica, cit., pp. 179-192.
196 Laura Cremonesi
15
In particolare M. Foucault, Le gouvernement de soi et des autres. Cours au Collège de
France. 1982-1983, a cura di F. Gros, Seuil/Gallimard, Paris 2008, pp. 3-39; trad. it. Il go-
verno di sé e degli altri. Corso al Collège de France (1982-1983), a cura di M. Galzigna, Feltrinelli,
Milano 2008, pp. 11-47 e Qu’est ce que les Lumières?, in Dits et écrits II, 1976-1988, a cura di
D. Defert e F. Ewald, Gallimard, Paris 2001, pp. 1381-1397; trad. it. Che cos’è l’Illuminismo?,
in Archivio Foucault. Interventi, colloqui, interviste, vol. 3, a cura di A. Pandoli, Feltrinelli, Mi-
lano 1998, pp. 217-232.
16
I. Kant, Risposta alla domanda: cos’è illuminismo?, in Scritti di storia, politica e diritto, a
cura di F. Gonnelli, Laterza, Roma-Bari 2007, pp. 45-52.
Spectator novus 197
Il punto di rottura possibile del presente è ciò che Foucault chiama l’attualità
– l’attualità: la rottura intima del presente. L’attitudine è ciò che introduce una
disgiunzione tra il presente e l’attualità. Il nostro presente è ciò che permane; la
nostra attualità è ciò che interrompe il nostro presente attraverso l’introduzione
di una differenza possibile che è importante identiicare18.
17
J. Revel, Passeggiate, piccoli excursus, regimi di storicità, in P. Cesaroni e S. Chignola (a
cura di), La forza del vero. Un seminario sui Corsi di Michel Foucault al Collège de France, Ombre
Corte, Verona 2013, pp. 161-179.
18
Ivi, p. 178.
19
M. Foucault, Qu’est ce que les Lumières?, cit., p. 1393; trad. it. cit., p. 228.
198 Laura Cremonesi
20
M. Foucault, La philosophie analytique de la politique, in Dits et écrits II, cit., pp. 540-541;
trad. it. La ilosoia analitica della politica, in Archivio Foucault, vol. 3, cit., pp. 103-104.
Spectator novus 199
[Guys realizza una] trasigurazione che non è annullamento del reale, ma gio-
co dificile tra la verità del reale e l’esercizio della libertà […]. Per l’atteggiamento
moderno, il grande valore del presente è indissociabile all’accanimento con cui lo
si immagina, con cui lo si immagina diversamente da come è e lo si trasforma, non
per distruggerlo, ma per captarlo in quello che è. La modernità baudelairiana è un
esercizio in cui l’estrema attenzione al reale è messa a confronto con la pratica di
una libertà che rispetta quel reale, e al tempo stesso lo vìola21.
21
M. Foucault, Qu’est ce que les Lumières?, cit., p. 1389; trad. it. cit., pp. 224-225. Il
riferimento è a C. Baudelaire, Le peintre de la vie moderne, in Œuvres complètes, a cura di
C. Pichois, Gallimard, Paris 1976, t. II, pp. 683-724; trad. it. Il pittore della vita moderna, in
Opere, a cura di G. Raboni e G. Montesano, Mondadori, Milano 1996, pp. 1272-1319.
200 Laura Cremonesi
Foucault tiene a sottolineare che, per Baudelaire, questa trasigurazione del re-
ale rimane di natura puramente estetica e non può essere realizzata nell’ambito
socio-politico. Per Foucault, invece, questa operazione appartenente all’ambi-
to estetico sembra capace di offrire un modello possibile per la pratica iloso-
ica nella sua funzione critica. Se poi proseguiamo la lettura del Pittore della vita
moderna, che nel testo sull’Illuminismo kantiano Foucault affronta in modo
relativamente rapido, ci imbattiamo in una deinizione dello sguardo di Guys
che ci riporta al nostro punto di partenza. Baudelaire scrive infatti:
Si immagini un artista che sia sempre, con il suo spirito, nello stato del con-
valescente, e si avrà la chiave del carattere di G. Ora, la convalescenza è come un
ritorno all’infanzia. Il convalescente possiede in sommo grado, come il bambi-
no, la facoltà di interessarsi vivamente alle cose, anche a quelle all’apparenza più
banali. […] Il bambino vede tutto in una forma di novità; è sempre ebbro. Nulla
somiglia tanto a quella che chiamiamo ispirazione, quanto la gioia con cui il bam-
bino assorbe la forma e il colore22.
Tre spunti, questi, di natura diversa ma dotati di inalità analoga, che pos-
sono quindi costituire, oggi, degli utili punti di partenza per pensare nel suo
versante critico il lavoro ilologico, storico e ilosoico, inteso non solo come
accurato strumento di indagine del proprio oggetto, ma anche nella sua utilità
attuale e nel suo rapporto mobile con il presente.
Laura Cremonesi
Università degli Studi di Pisa
cremonesilaura@gmail.com
.
Spectator Novus: Transiguration and Estrangement in Hadot, Foucault, and Ginzburg
3
Cfr. R. Descartes, Meditazioni metaisiche (1641), Laterza, Roma-Bari 1997.
4
Cfr. M. Foucault, L’ermeneutica del soggetto. Corso al Collège de France (1981-1982),
Feltrinelli, Milano 2003, pp. 3-36.
5
A. Fontana, Il paradosso del ilosofo, cit., p. 89. È Blanchot che parla, a proposito della
scrittura di Foucault, di un «grand style baroque» (M. Blanchot, Michel Foucault tel que je
l’imagine, Fata Morgana, Paris 1988, p. 11).
“Drammatizzare” la scrittura 205
6
Cfr. M. Foucault, Prefazione, in Follia e discorso. Archivio Foucault 1. Interventi, colloqui,
interviste. 1961-1970, Feltrinelli, Milano 1996 [2014], p. 50.
7
Cfr. M. Foucault, La scena della ilosoia (1978), in Il discorso, la storia, la verità. Interventi
1969-1984, Einaudi, Torino 2001, pp. 213-240.
8
E. Husserl, Meditazioni cartesiane (conferenze pronunciate nel 1929), Bompiani,
Milano 2009.
9
A. Fontana, Il paradosso del ilosofo, cit., p. 90.
10
Ibidem.
206 Arianna Sforzini
Foucault fa giocare nello stile delle proprie analisi una teatralità del di-
scorso che è come il mimo inquietante della potenza rappresentativa della
ragione cartesiana (che Foucault stesso descrive bene studiando l’archeo-
logia della nozione di rappresentazione ne Le parole e le cose17). È evidente
che, se si può parlare di una scrittura “per scene” da parte di Foucault,
queste scene non sono “rappresentazioni” vere della realtà, mimesis, ma
un modo per mettere in questione le rappresentazioni vere comunemente
accettate e far emergere le verità altre nascoste dietro la presunta sovranità
“chiara ed evidente” del soggetto trascendentale. Dal momento che la ra-
zionalità classica procede per costruzione di quadri, di categorie, di ordini
rappresentativi del mondo, un’analisi condotta sì per scene, ma che rompa
il legame tra teatralizzazione e rappresentazione, può giocare un ruolo di
critica verso le forme tradizionali del sapere e del discorso occidentale18.
16
Ivi, pp. 94-95.
17
M. Foucault, Le parole e le cose, Rizzoli, Milano 1967 [BUR, 1998], pp. 61-92.
18
Cfr. M. Heidegger, L’epoca dell’immagine del mondo (1938), in Sentieri interrotti, La
Nuova Italia, Firenze 1997, pp. 71-101.
208 Arianna Sforzini
19
J. Derrida, Cogito e storia della follia, in La scrittura e la differenza, Einaudi, Torino 1971
[1990], p. 44.
20
Cfr. J. Revel, Foucault, le parole e i poteri, Manifesto libri, Roma 1996.
21
Cfr. M. Foucault, Scritti letterari, Feltrinelli, Milano 1971 [2004].
“Drammatizzare” la scrittura 209
22
A. Fontana, La scena, in AA. VV., Storia d’Italia, vol. 1, I caratteri originari, Einaudi,
Torino 1972, pp. 794-862.
23
Si veda anche A. Fontana, Un’educazione intellettuale, in «aut aut», n. 362 (2014), pp. 7-34.
24
A Fontana, Il paradosso del ilosofo, cit., p. 95.
210 Arianna Sforzini
In un testo scritto nel 1969 su Logica del senso di Gilles Deleuze, Fou-
cault deinisce in questi termini la novità della ilosoia deleuzeana:
25
M. Foucault, Ariane s’est pendue, in Dits et écrits I, cit., p. 796 (traduzione mia).
26
Ivi, p. 799 (traduzione mia).
27
M. Foucault, Theatrum philosophicum, cit., p. 967 (traduzione mia).
“Drammatizzare” la scrittura 211
28
M. Foucault, La scena della ilosoia, cit., pp. 213-214.
212 Arianna Sforzini
29
M. Foucault, Il governo di sé e degli altri. Corso al Collège de France (1982-1983), Feltrinelli,
Milano 2009, pp. 15-16.
30
In un’intervista del 1980 a M. Dillon Foucault afferma: «Je ne suis pas véritablement
historien. Et je ne suis pas romancier. Je pratique une sorte de iction historique. D’une
certaine manière, je sais très bien que ce que je dis n’est pas vrai. […] J’essaie de provoquer
une interférence entre notre réalité et ce que nous savons de notre histoire passée. Si je
réussis, cette interférence produira de réels effets sur notre histoire présente. Mon espoir
est que mes livres prennent leur vérité une fois écrits et non avant. Mon espoir est que
mes livres prennent leur vérité une fois écrits et non avant» (M. Foucault, …, in Dits et
écrits II, 1976-1988, Gallimard, Paris 2001, p. 859).
“Drammatizzare” la scrittura 213
31
S. Davidson, Michel Foucault. Cérémonie, Théâtre, et Politique au XVIIe siècle, in Acta
I. Proceedings of the Fourth Annual Conference of XVIIth Century French Literature, University
of Minnesota, Minneapolis 1972, pp. 22-23. Il testo è disponibile online: <http://
progressivegeographies.com/2013/10/10/foucaults-1972-lecture-at-minnesota-
summary-now-available/> (consultato il 4-02-2016). L’episodio della rivolta dei Nu-Pieds
verrà ripreso nel Corso al Collège de France del 1971-1972; cfr. M. Foucault, Théories et
institutions pénales. Cours au Collège de France. 1971-1972, Seuil/Gallimard, Paris 2015.
32
S. Davidson, Michel Foucault. Cérémonie, Théâtre, et Politique au XVIIe siècle, cit., p. 22.
214 Arianna Sforzini
33
M. Foucault, Il governo di sé e degli altri, cit., p. 73.
34
M. Foucault, Mal fare, dir vero. Funzione della confessione nella giustizia. Corso di Lovanio
(1981), Einaudi, Torino 2013, p. 202.
35
M. Foucault, Linguaggio e letteratura, in «materiali foucaultiani», vol. 2 (2013), n. 3, p. 53.
“Drammatizzare” la scrittura 215
Arianna Sforzini
Université Paris-Est Créteil
arianna.sforzini@univ-paris-est.fr
.
A “Dramatic Style” of Thought. Foucault’s Theatrum Politicum
36
M. Foucault, Le langage en folie, in La grande étrangère. À propos de littérature, Éditions
de l’EHESS, Paris 2013, pp. 54-55: «Je crois qu’on pourrait dire ceci, qu’au fond, nous
ne croyons plus de nos jours à la liberté politique, et puis le rêve, le fameux rêve d’un
homme désaliéné est tombé maintenant dans la dérision. De tant de chimères, que
nous est-il resté? Eh bien, la cendre de quelques mots. Et notre possible, à nous autres
hommes d’aujourd’hui, notre possible, nous ne le conions plus aux choses, aux hommes,
à l’Histoire, aux institutions, nous le conions aux signes. […] Au XXe siècle on écrit
– je pense bien entendu à la parole littéraire –, on écrit pour faire l’expérience et pour
prendre la mesure d’une liberté qui n’existe plus que dans les mots mais qui là s’est faite
rage. Dans un monde où Dieu est mort déinitivement et où on sait malgré toutes les
promesses, de droite et de gauche, de la droite et de la gauche, qu’on ne sera pas heureux,
le langage est notre seule ressource, notre seule source».
37
M. Foucault, Che cos’è l’Illuminismo?, in Estetica dell’esistenza, etica, politica. Archivio
Foucault 3. 1978-1985, Feltrinelli, Milano 1998, pp. 229, 231.
38
M. Foucault, Linguaggio e letteratura, cit., p. 53.
216 Arianna Sforzini
I.
In un articolo del 1971 intitolato Gli usi sociali del corpo, il sociologo Luc
Boltanski evoca l’esistenza di una «cultura somatica»1 che si diffonde in
maniera differenziata tra le classi sociali. Egli nota in particolare che «il
linguaggio che serve a esprimere le sensazioni morbose e, più in generale,
a parlare della malattia, costituisce l’esperienza che i soggetti sociali hanno
della malattia e allo stesso tempo la sua espressione». Questo signiica che
il linguaggio medico-scientiico informa il modo in cui i malati si presen-
tano, ma anche quello in cui essi possono voler cercare, opponendosi a
questo linguaggio medico-scientiico, il loro linguaggio, per deinirsi, se
non proprio al di fuori della medicina, almeno ai suoi margini. L’esperien-
za della malattia non si riduce dunque alle condizioni di possibilità o di
impossibilità del «colloquio approfondito», ma afiora allo stesso modo in
tutto un linguaggio della malattia, la cui portata non si riduce all’annuncio
terapeutico della nosologia della malattia, nella diagnosi, ma deve essere
restituita all’interno dell’esperienza dello stesso malato. È possibile affer-
mare, almeno come punto di partenza di questa nostra analisi, che la storia
contemporanea della medicina potrebbe interpretarsi come l’affermazione
della soggettività del paziente di fronte a quella del medico. È stato spesso
rilevato che, nel corso della seconda metà del ventesimo secolo, il paziente
è diventato così attivo nella relazione terapeutica da risultare ormai come
una persona che si cura da sé (autosoignant), capace attraverso il suo sapere
e i protocolli tecnici a sua disposizione, di dializzarsi da solo. Come viene
sottolineato da Claudine Herzlich e Janine Pierret, «chi si cura da solo at-
traverso la propria condotta afferma il suo diritto a tenere un discorso spe-
1
L. Boltanski, Les usages sociaux du corps, in «Annales. Économies. Sociétés.
Civilisations», vol. 26 (1971), pp. 205-233.
ciico sul suo corpo malato»2. Che si parli di «homo medicus» come fa Pa-
trice Pinell3 o di «homosanitas» come per Daniel Delanoe e Pierre Aiach4,
si tratta in ogni caso di sottolineare in che modo, specialmente nel quadro
delle malattie croniche, al paziente è richiesto di partecipare e di afiancare
il medico per il mantenimento della propria salute. Patrice Pinell, in parti-
colare, mostra come la nozione di «homo medicus» sia apparsa tra le due
guerre, durante le prime campagne di prevenzione lanciate dalla Lega contro
il cancro (Ligue contre le cancer), quando si cercava di coinvolgere il pubblico
e di fare di ogni malato un «medico ausiliario». Egli sottolinea quanto la
formazione di un pubblico di malati ideali, che aveva a disposizione un
solido linguaggio medico, sia stata esplicitamente richiesta proprio in vista
del governo dei malati da parte dei medici nella lotta contro il cancro.
II.
2
C. Herzlich e J. Pierret, Malades d’hier, malades d’aujourd’hui, Payot, Paris 1984, p. 271.
3
P. Pinell, Naissance d’un léau. Histoire de la lutte contre le cancer en France (1890-1940),
Metailié, Paris 1992.
4
D. Delanoe e P. Aiach, L’ère de la médicalisation. Ecce homosanitas, Economica, Paris
1998.
Il dir-vero come elemento del “morire bene”? 219
5
G. Vigarello, Le sain et le malsain. Santé et mieux-être depuis le Moyen-Âge, Seuil, Paris
1983, p. 306.
6
D. Memmi, Faire vivre et laisser mourir. Le gouvernement contemporain de la naissance et de
la mort, La Découverte, Paris 2003, p. 284.
7
Ivi, p. 288.
8
Cfr. D. Fassin, L’espace politique de la santé. Essai de généalogie, PUF, Paris 1996; Id., Les
enjeux politiques de la santé. Études sénégalaises, équatoriennes et françaises, Karthala, Paris 2000.
9
D. Fassin, Les enjeux politiques de la santé, cit., p. 10.
10
D. Fassin, L’espace politique de la santé, cit., p. 39.
220 Guillaume le Blanc
come nel caso dell’epidemia di Aids, la politica è messa alla prova dalla
salute. A questo titolo la politica è contemporaneamente sia la politicizza-
zione della salute dispiegata nel quadro nazionale di una sanità pubblica,
di un ministero della salute, sia la politicizzazione della salute riaffermata
da nuovi collettivi come Act Up, Aides, se si pensa all’Aids, ma potremmo
tranquillamente aggiungere Medici senza frontiere, Médecins du Monde in altri
contesti, secondo nuove forme di militanza che, come viene sottolineato
da Dominique Memmi, si concentrano sulla «sorte riservata al corpo»11.
d) La politicizzazione della malattia come elemento centrale della pub-
blicizzazione della malattia si sviluppa per mezzo del corpo dei malati nella
dimensione della vulnerabilità. Con questo si intende che la difesa del cor-
po minacciato, oggetto non per forza della politica della sanità pubblica e
della politica dei nuovi attori politici (associazioni e simili), è soprattutto
una difesa del corpo vulnerabile. Il riferimento alla vulnerabilità, che circo-
scrive un nuovo gioco di linguaggio proprio alle società a noi contempora-
nee, non rinvia necessariamente a una ontologia della vita del corpo mor-
tale, come una lettura depoliticizzata della storia dell’Aids potrebbe farci
credere. Tale riferimento fa apparire piuttosto una nuova coscienza sociale
della fragilità, che si organizza secondo due ingiunzioni, fatte parallela-
mente alla situazione della malattia e del malato posto davanti alla malattia
stessa, ovvero da un lato l’inserimento di un capitolo «sanità pubblica»
che modiica la situazione che genera vulnerabilità, dall’altro, l’inserimen-
to di un capitolo «comportamentale» individuale che deve modiicare la
risposta degli individui nei confronti della situazione di vulnerabilità alla
quale essi sono esposti. Questo equivale a dire che la vulnerabilità, come
categoria, non riguarda tanto i rischi connessi al corpo degli individui. La
logica del riferimento alla vulnerabilità è pertanto duplice. Da una parte,
essa intende agire sull’ambiente che circonda i corpi per modiicarne certe
proprietà o per gestirle: se esiste un rischio alimentare, in funzione della
considerevole diffusione sul mercato di prodotti ricchi di grassi, carboi-
drati e sodio, tale logica si sforzerà di limitare la produzione di grassi, di
carboidrati e di sodio negli alimenti preconfezionati grazie all’elaborazione
di codici di buona condotta presso i gruppi industriali e i poteri pubblici.
D’altra parte, essa mira a modiicare le condotte alimentari individuali,
sviluppando logiche del mangiar bene. La vulnerabilità «permette così di
aggiornare il lavoro del corpo sociale per affrontare un rischio e contener-
11
D. Memmi, Faire vivre et laisser mourir, cit., p. 283.
Il dir-vero come elemento del “morire bene”? 221
III.
12
M.-H. Soulet, La vulnérabilité, une ressource à manier avec prudence, in La vulnérabilité
saisie par les juges en Europe, Éditions Pedone, Paris 2014, p. 23.
13
M. Foucault, Interview de Michel Foucault (1984), in Dits et écrits II, 1976-1988,
Gallimard, Paris 2001, p. 1512; trad. it. Intervista, in Discipline, poteri, verità, a cura di M.
Bertani e V. Zini, Marietti, Genova-Milano 2008, p. 197.
14
D. Defert, Une vie politique, Seuil, Paris 2014, p. 95.
222 Guillaume le Blanc
15
Ivi, p. 92.
16
M. Foucault, Qu’est-ce que la critique?, in Qu’est-ce que la critique? suivi de La culture de soi,
Vrin, Paris 2015, p. 39; trad. it. Illuminismo e critica, Donzelli, Roma 1997, p. 40.
Il dir-vero come elemento del “morire bene”? 223
malato a disporre della verità della sua malattia, lungi dall’identiicarlo con
essa, gli conferisce al contrario la possibilità di disidentiicarsene.
È questa posta in gioco che è possibile analizzare più nel dettaglio
riferendosi alla creazione di Aides. Si tratta di circoscrivere qui una delle
modalità della soggettività malata nella storia di Aides (come momento di
una problematizzazione della malattia Aids) che costituisce la presa di pa-
rola e la sua capacità di testimoniare la malattia in quanto critica del potere
medico. Daniel Defert propone una distinzione interessante, nel solco di
Foucault, tra la confessione e la testimonianza: «Non chiamo confessione
una parola collettiva»17. La confessione riguarda il sacramento della con-
fessione e si dà in una pastorale: «dimmi chi sei», che può avere la forma
di una pastorale cristiana (confessa i tuoi peccati), ma che può ugualmen-
te assumere la forma di una pastorale medica, congiungendo l’esistenza
supposta scandalosa del malato e il male della malattia, oppure in modo
più neutro, favorendo autobiograie di moribondi, di malati terminali, che
sono, per riprendere l’espressione di Dominique Memmi, «autobiograie
da istituzione», cioè racconti di sé che confermano le attese dell’istituzione
medica, rivelando nella narrazione la struttura benevola del governo dei
malati in ospedale.
La testimonianza riguarda una pratica completamente diversa e acqui-
sisce senso attraverso l’emergenza di una parola collettiva che essa stessa
rende possibile. La confessione riguarda il sé, la testimonianza costruisce
un «noi». Si tratta di costituire, grazie alla testimonianza, una politica di noi
stessi nel senso in cui Foucault, nella versione americana di Che cos’è l’Illu-
minismo?, parla di «ontologia critica di noi stessi»18 che egli deiniva come
la produzione di un «ethos» riferito alla critica dei limiti storici che assog-
gettano gli individui e alla capacità di superarli. Ora, la testimonianza di un
malato affetto da Aids deve mettere in crisi l’appropriazione della verità
della malattia da parte del potere medico proprio nello stesso momento
in cui intende promuovere una propria cultura omosessuale. Si tratta nello
stesso tempo di riiutare il monopolio del possesso della verità che ha il
medico e di dire che cosa ne è, in termini di esistenza, del «noi» omoses-
suale sconvolto dalla malattia. Là dove l’attenzione mediatica si sofferma
17
D. Defert, Une vie politique, cit., p. 97.
18
M. Foucault, What is Enlightenment?, in Dits et écrits II, cit., p. 1396; trad. it. Che cos’è
l’Illuminismo?, in Archivio Foucault 3. Estetica dell’esistenza, etica, politica, a cura di A. Pandoli,
Feltrinelli, Milano 1998, p. 231.
224 Guillaume le Blanc
sulla magrezza del malato, sui sarcomi di Kaposi, sulla necessità di indos-
sare una tuta speciale per entrare in contatto coi malati, l’obiettivo è quello
di fare emergere l’esistenza di persone portatrici del virus, di restituire
visibilità a coloro che la vergogna sociale relega nell’invisibilità.
Il testo fondatore della costituzione di Aides precisa proprio questi
obiettivi. Esso si presenta come una lettera indirizzata da Daniel Defert ad
alcuni amici il 25 settembre 1984 cui seguono alcuni spunti di rilessione
e di iniziativa. L’obiettivo è la de-medicalizzazione dell’Aids: «Sapevo che
la questione dell’Aids non poteva essere ridotta ancora per molto tempo a
una questione medica»19. Solo questa de-medicalizzazione dell’Aids poteva
introdurre certe rivendicazioni sul modo di essere omosessuali. Il testo
enuclea quattro elementi: a) La questione dell’Aids non può più essere
considerata solo come una questione medica. b) Si tratta di istituzionaliz-
zare il rapporto con la malattia e, in maniera più generale, con la vulnera-
bilità là dove la cultura gay si è invece costruita attorno ai valori della salute
e della giovinezza. c) Ci si deve rendere conto del nuovo sapere che si sta
costituendo per i gay e riiutare l’arbitrio della parola del medico: «La co-
munità sarà presto la popolazione più informata dei problemi immunitari,
la più allertata sulla semiologia dell’Aids, e i medici limiteranno sempre più
i loro scrupoli a tacere o meno la cosa al malato»20. d) Si devono ripensare
i rapporti tra sessualità e identità riiutando la chiusura dell’identità omo-
sessuale entro la sola pratica sessuale per riaprirla a tutti gli affetti, ino a
includervi il rapporto con la morte. Bisogna quindi reinventare la sogget-
tività gay de-familiarizzando il suo rapporto con la morte e la sessualità:
«non tornerò a morire dalla mamma. Rischiamo di lasciarci rubare una
parte essenziale dei nostri legami affettivi. De-familiriazziamo la nostra
morte così come la nostra sessualità»21.
In questo testo fondatore di Daniel Defert è notevole che, a partire
dalla deinizione di un inventario dei bisogni dei malati, si proponga una
politica di sostegno che si sviluppa allo stesso tempo nella direzione di
risposte istituzionali, di lavori di ricerca e di informazione, il cui obiettivo
è chiaramente la trasformazione della soggettività gay tramite l’appropria-
zione della verità della malattia. Da qui si vede che il dir-vero è un elemen-
to fondamentale se non del vivere bene almeno del morire bene. La que-
19
D. Defert, Une vie politique, cit., p. 97.
20
Ivi, p. 233.
21
Ivi, p. 234.
Il dir-vero come elemento del “morire bene”? 225
22
Ivi, p. 236.
23
Ivi, p. 242.
24
Ivi, p. 243.
226 Guillaume le Blanc
IV.
soggetto del malato per giungere così alla prova inale della disidentiica-
zione che sembra permettere la pratica parresiastica da parte dei malati?
Può esistere una parrhesia dei soggetti malati che possa operare come una
pratica di disidentiicazione rispetto allo spazio della malattia e dunque
rispetto al riferimento alla soggettività malata? La soggettività del malato
può essere una cosa diversa da una soggettività malata grazie alle pratiche
del sé che si rapportano al dir-vero della malattia? È proprio questa la
posta in gioco pratica che, come abbiamo visto, la creazione del collettivo
Aides presuppone, ma può benissimo essere la posta in gioco pratica di
ogni soggetto colpito da una qualunque malattia. In che modo il soggetto
può essere così diverso dal malato ino a giungere al potere di opporsi al
medico o a una équipe medica?
Questo problema così formulato dal punto di vista del malato e del
suo ethos, può essere riformulato anche dal punto di vista della medicina
a partire dalle seguenti questioni. La medicina può affrancarsi da un’erme-
neutica del sé, ovvero, da un insieme di tecniche di confessione che co-
stringono il malato a dire chi sia? Egli lo può e lo deve dire davvero? Sono
queste due questioni che, inine, bisogna considerare in quanto ciò che le
unisce è proprio il problema comune del riferimento alla verità. Ovvero, la
verità della malattia comporta, come sua conseguenza obbligata, la verità
del malato? Bisogna passare da una all’altra? Quel che può rendere ne-
cessario un tale passaggio è che, per meglio gestire il trattamento medico,
sembra si debba risalire alla psicologia del malato, interessarsi per esempio
alle ragioni che egli può avere avuto per non seguire un certo trattamento.
I dispositivi medici oggi sembrano essere, per questa ragione, dei disposi-
tivi psicologici che fanno parlare il malato, spesso per governarlo meglio,
per disporre di lui nel migliore dei modi.
Questa generalizzazione della parola del malato è legittima per diverse
ragioni: a) Dal punto di vista dello stesso dispositivo, il riferimento alla
parola del malato può ripristinare la sua singolarità. La medicina è preser-
vata come la clinica contro il suo punto di svolta esclusivamente tecnico,
ritenuto disumanizzante. b) La presa di parola del malato riequilibra la
dissimmetria di potere e sapere tra il medico e il paziente, quando una
volta essa era sbilanciata solo a favore del medico. Essa contribuisce a
una riformulazione del contratto terapeutico sulla base dello scambio di
due competenze. Occorre ovviamente affrettarsi a restituire questa presa
di parola del malato all’interno del dispositivo medico nel quadro di una
228 Guillaume le Blanc
26
M. Foucault, Le sujet et le pouvoir, in Dits et écrits II, cit., p. 1051; trad. it. Il soggetto e il
potere, in H. Dreyfus e P. Rabinow, La ricerca di Michel Foucault, Ponte alle Grazie, Firenze
1989, p. 244.
27
Cfr. M. Foucault, Le courage de la vérité. Le gouvernement de soi et des autres II. Cours au
Collège de France. 1984, Seuil/Gallimard, Paris 2009; trad. it. Il coraggio della verità. Il governo di
sé e degli altri II. Corso al Collège de France (1984), Feltrinelli, Milano 2011.
Il dir-vero come elemento del “morire bene”? 229
diffusa nel contesto della democrazia ateniese del V secolo a.C., ma è solo
successivamente che si è sviluppata nell’ambito della morale. Nel contesto
politico della polis ateniese, la parrhesia designa il diritto di ogni cittadino
libero, maschio e adulto, di parlare davanti all’Assemblea e di esprime-
re liberamente il proprio parere su ogni questione di pubblico interesse.
La parrhesia dà la possibilità a ogni cittadino di dire tutto28. Il tema del
ilosofo-re mise un freno alla diffusione di questo ambito del dir-tutto.
Dal momento che la città per essere ben governata deve essere in mano ai
ilosoi, la parrhesia viene distinta dall’isegoria: «Non è perché tutti possono
parlare che ognuno può dire il vero»29.
Il fatto che la parrhesia sia stata sottratta al demos produce effetti impor-
tanti: a) La verità è una questione di potere nel senso di una tecnologia di
governo piuttosto che un semplice affare dei governati. b) I governati non
sono più considerati soltanto capaci di dire il vero ma, in quanto tali, anche
di riconoscerlo. O se lo sono non possono esserlo all’interno del campo
politico, ma solo costituendosi come ilosoi. c) Foucault mostra che la
parrhesia diventa un valore ilosoico quando smette di essere un diritto
politico garantito a tutti i cittadini30.
Da questa analisi storica si può notare che il concetto di parrhesia è
impiegato secondo due usi distinti, ma che, in contesti storici differenti,
come ad esempio il nostro, possono incontrarsi. Esso deinisce per tutti
un dovere di veridizione nei confronti della città, un obbligo democratico
di dir-vero. Ma deinisce anche una maniera di condursi come soggetto
morale. La parrhesia, come viene sottolineato da Foucault, è agganciata alla
polis e all’ethos. È una differenziazione al contempo politica ed etica che
presuppone di conoscere non solo il vero bene della città, ma anche il pro-
prio bene. In termini foucaultiani, la parrhesia è una tecnologia di governo
di sé. È una trasigurazione etica della politica così come una trasigurazio-
ne politica dell’etica.
In cosa questo ragionamento di Foucault risulta pertinente per pensa-
re il nostro problema, l’esperienza della déprise de soi del malato all’interno
delle forme di sapere-potere medico? Solo di recente il dir-vero è diventa-
to un valore per la medicina. Ma occorre innanzitutto osservare che esso
28
Ivi, p. 33. Cfr. D. Lorenzini, Éthique et politique de soi. Foucault, Hadot, Cavell et les
techniques de l’ordinaire, Vrin, Paris 2015, p. 250.
29
Ibidem.
30
Ivi, p. 246.
230 Guillaume le Blanc
è stato per molto tempo un valore del medico piuttosto che del malato.
Dire il vero al malato si impone sempre più come il dovere etico per ec-
cellenza da parte del medico. Se le modalità etiche di questo dire il vero
sono oggetto di discussione, l’imperativo etico di dire il vero è diventato
un’evidenza. L’obbligo di dire il vero al malato sulla natura della malattia
da cui è affetto si inscrive nella nuova economia del sapere-potere medico
di oggi. Tale obbligo può essere considerato come la maggiore clausola
del rispetto che si deve all’integrità del paziente. Ma può essere anche ana-
lizzato come una prospettiva supplementare sull’assegnazione di potere
del medico nei confronti del paziente. Allo stesso modo questo obbligo
può valere come effetto di giurisdizione (juridicisation) della relazione tera-
peutica, che impone nuove assegnazioni di responsabilità al medico. Tutto
questo sarebbe stato inimmaginabile senza il contro-potere che gli stessi
pazienti e collettivi di pazienti hanno saputo opporre alle équipe di medici.
Tuttavia alla ine di questa analisi resta la questione di cosa diventano le re-
lazioni tra verità e malato. Se è possibile affermare che la verità del malato
non si confonde con quella della malattia, sembra che la critica dell’identi-
icazione del malato con la verità della sua malattia presupponga, a rigore,
la prova dell’affrancarsi rispetto allo statuto di malato, imposta, in termini
più affermativi, dalla malattia. L’ultima posta in gioco di una parrhesia del
malato sarebbe allora la capacità di vivere come tutti gli altri. È quello che
sembra promettere la pratica di un dir-vero dei malati.
Guillaume le Blanc
Université Paris-Est Créteil
guillaume.le-blanc@orange.fr
.
Truth-Telling as an Element of “Dying Well”? About the Creation of Aides in France
tell the truth to her patient about the nature of her illness. In this new economy
of medical power-knowledge, however, what kind of relations are established
between the patient and truth? I argue that the main stake of a practice of truth-
telling on the side of the patients lies in their ability to live like everybody else.
1
M. Foucault, La société punitive. Cours au Collège de France. 1972-1973, Seuil/Gallimard,
Paris 2013, p. 230.
2
Ivi, p. 240.
3
Ivi, p. 242.
4
Ivi, p. 201: «La coppia sorvegliare-punire si instaura come rapporto di potere
indispensabile alla issazione degli individui sull’apparato di produzione, alla costituzione
delle forze produttive e caratterizza la società che possiamo chiamare disciplinare».
5
M. Foucault, Le pouvoir psychiatrique. Cours au Collège de France. 1973-1974, Seuil/
Gallimard, Paris 2003, p. 11; trad. it. Il potere psichiatrico. Corso al Collège de France (1973-
1974), Feltrinelli, Milano 2004, p. 21.
6
In questo senso, Il potere psichiatrico riprende e sposta le analisi che in Storia della follia
erano state dedicate alla nascita del manicomio. Foucault si spiega molto chiaramente su
questo punto nella lezione del 7 novembre (pp. 14ss.; trad. it. cit., pp. 24ss.).
7
M. Foucault, La société punitive, cit., p. 14: «[…] per fare l’analisi di un sistema penale,
quello che in primo luogo dev’essere delineato è la natura delle lotte che, in una società,
si svolgono attorno al potere. È quindi la nozione di guerra civile che deve essere messa al
centro di tutte queste analisi sulla sfera penale».
8
Ivi, pp. 242-243.
9
La pratica manicomiale che Foucault designa come «proto-psichiatria» è «quella
che si sviluppa tra gli ultimi anni del XVIII secolo e i primi venti o trenta del XIX,
prima dell’apparizione del grande ediicio istituzionale costituito dal manicomio, e
che in Francia possiamo collocare nel corso del decennio 1830-1840, più esattamente
nel 1838, allorché viene promulgata la legge sull’internamento e l’organizzazione dei
grandi ospedali psichiatrici» (M. Foucault, Le pouvoir psychiatrique, cit., p. 27; trad. it. cit.,
pp. 35-36).
Disciplinare e guarire 235
10
Ivi, pp. 42 e 44; trad. it. cit., pp. 48 e 50.
11
Ivi, pp. 50-51; trad. it. cit., p. 57.
236 Philippe Sabot
Emerge così, nel cuore dell’esercizio del potere disciplinare, una nuova
forma di individualizzazione che non è più l’individualizzazione ascen-
dente propria del potere sovrano, che isolava l’individualità del sovrano
rispetto alla molteplicità indistinta dei suoi sudditi, ma piuttosto una «in-
dividualizzazione tendenziale molto forte in relazione alla base»12, relativa
cioè alle singolarità somatiche.
È di nuovo importante sottolineare che l’istituzione psichiatrica non
è il terreno privilegiato di elaborazione o lo spazio chiuso di questa forma
di individualizzazione propria al potere delle discipline. Essa vi trova al
contrario le sue proprie condizioni di possibilità. Questo signiica allora
che la nuova economia dell’esercizio del potere che Foucault designa nel
suo Corso come “disciplina” viene in dall’inizio a sovradeterminare l’e-
sercizio terapeutico della nascente psichiatria, afiancandolo in qualche
modo con una dimensione extra-terapeutica che la spiega e la condiziona.
Questa dimensione extra-terapeutica dell’operazione terapeutica in opera
nella clinica psichiatrica rinvia esattamente a queste procedure d’indivi-
dualizzazione e di assoggettamento che sono dirette verso la sottomis-
sione di una forza, verso la padronanza continua di una volontà indocile,
caratteristica della follia13.
La posta in gioco di queste analisi de Il potere psichiatrico appare allora
in tutta la sua chiarezza. Si tratta di sottomettere la psichiatria a una ge-
nealogia delle sue pratiche che, anziché appoggiarsi a una pratica e a un
sapere medici già dati, che garantivano in qualche modo la loro neutralità
oggettiva attraverso il riferimento a una norma scientiica di verità, rinvia
direttamente i suoi obiettivi più evidenti (la guarigione dei malati) a una
scena di affrontamento, a tattiche e a manovre che trovavano nell’esercizio
12
Ivi, p. 57; trad. it. cit., p. 64. Questa analisi delle forme di individualizzazione
relative alle modalità di esercizio del potere, per come essa è presentata nella lezione
del 21 novembre 1973, è ripresa in Sorvegliare e punire, in particolare attraverso l’idea che
«le discipline segnano il momento in cui si effettua quello che potremmo chiamare il
rovesciamento dell’asse politico dell’individualizzazione». Cfr. M. Foucault, Surveiller et
punir. Naissance de la prison, Gallimard, Paris 1975, pp. 225-226; trad. it. Sorvegliare e punire,
Einaudi, Torino 1976 (1993), pp. 210-211.
13
Foucault cita così Pinel e la deinizione che egli dà della terapia psichiatrica:
«l’arte di soggiogare e domare, per così dire, l’alienato, ponendolo in una condizione di
stretta dipendenza da un uomo che, per le sue qualità isiche e morali, sia in grado di
esercitare su di lui un imperio irresistibile e di mutare il concatenamento vizioso delle
sue idee» (M. Foucault, Le pouvoir psychiatrique, cit., p. 10; trad. it. cit., p. 20).
Disciplinare e guarire 237
14
Ivi, p. 57; trad. it. cit., p. 64.
15
Ivi, p. 9; trad. it. cit., p. 19.
16
Ibidem: «a caratterizzare il folle, a rendere possibile l’individuazione della follia
del folle [a partire dall’inizio del XIX secolo], è proprio l’irruzione di tale forza, è il fatto
che si scateni in lui una determinata forza, una forza che non viene dominata, forse non
dominabile […]».
238 Philippe Sabot
17
Ivi, p. 21; trad. it. cit., p. 29.
18
Ibidem; trad. it. cit., p. 30.
19
Ivi, p. 22; trad. it. cit., p. 30. Il racconto di Pinel è ripreso da Foucault nella lezione
del 14 novembre 1973, prima di essere analizzato in modo dettagliato nelle pagine
successive.
20
Ivi, p. 30; trad. it. cit., p. 38.
Disciplinare e guarire 239
21
Ibidem; trad. it. cit., p. 39.
22
Il manoscritto della lezione del 14 novembre 1973 precisa, a proposito della
nozione di “scena” qui impiegata, che deve essere intesa non già come un «episodio
teatrale», ma come «un rituale, una strategia, una battaglia» (ivi, p. 34; trad. it. cit., p. 43).
Questo non esclude una certa drammatizzazione nell’esercizio strategico dell’operazione
psichiatrica che riposa in larga parte su una manipolazione della realtà.
23
Ivi, p. 22; trad. it. cit., p. 30 – citazione estratta dal racconto di Pinel.
240 Philippe Sabot
24
Ivi, p. 23; trad. it. cit., p. 32.
25
Cfr. supra, nota 12.
26
M. Foucault, Le pouvoir psychiatrique, cit., p. 23; trad. it. cit., p. 31.
Disciplinare e guarire 241
pretende ancora di avere quel potere che ha perduto, che pretende e vuole
essere re quando ormai non lo è più27. La dichiarazione del medico che
dice al re «che non è più sovrano» è dunque una dichiarazione di guerra:
l’operazione terapeutica si dispiega sullo sfondo di un affrontamento, di
una lotta condotta (in nome della guarigione del folle) contro l’insieme di
comportamenti indotti dalla dichiarazione avversa («sono il re»), contro
l’ostinata volontà che afferma un potere irreale, e di conseguenza, la realtà
del potere della stessa follia.
La posta in gioco della lotta che ha luogo all’interno del manicomio, la
cui inalità è la guarigione del folle (da intendere come la vittoria sulla sua
follia), è quindi proprio la realtà stessa28. La razionalità pratica del tratta-
mento degli alienati nella proto-psichiatria dipende strettamente da questa
posta in gioco che investe l’intento terapeutico e ordina il disciplinamento
dello spazio manicomiale. Si tratterà infatti, in questo spazio, di fare fun-
zionare la realtà stessa come potere, non semplicemente come ciò che è
simmetrico rispetto a questa irrealtà affermata come reale dalla follia (que-
sto signiicherebbe riconoscergli una certa realtà e dunque fare il gioco del
folle, o persino a considerare la stessa follia solo come un gioco…), ma
come un supplemento di realtà, facendo funzionare la realtà stessa come
sovra-potere (sur-pouvoir):
lo psichiatra, almeno per come comincia a funzionare nello spazio della di-
sciplina manicomiale, sarà decisamente signore della realtà […]. Lo psichiatra è
ormai colui che deve conferire al reale quella forza stringente grazie alla quale il
reale potrà impadronirsi della follia, attraversarla per intero e farla sparire come
follia. Lo psichiatra è diventato colui il quale – ed è proprio questo aspetto a dei-
nirne la funzione e il compito – dovrà assicurare al reale il supplemento di potere
necessario afinché possa imporsi alla follia, ma anche chi, inversamente, dovrà
togliere alla follia il potere di sottrarsi al reale29.
27
Oppure quando non lo è. Foucault sottolinea infatti che «troviamo sempre una
certa affermazione di onnipotenza» (ivi, p. 147; trad. it. cit., p. 140). Questa può esprimersi
specialmente sotto forma di mania di grandezza o di delirio di sovranità: si crede di essere
e lo si afferma.
28
Questo punto è affrontato da Foucault a partire dalla lezione del 12 dicembre
1973 e si articola a una questione generale relativa alla coppia disciplinare-guarire: «Come
e in quale misura può essere attribuito un effetto terapeutico a uno spazio, a un sistema
disciplinare [come il manicomio]? […] Ma in che modo si ritiene che questo spazio
disciplinare possa guarire?» (ivi, p. 128; trad. it. cit., p. 124).
29
Ivi, pp. 131-132; trad. it. cit., p. 127.
242 Philippe Sabot
Ritroviamo qui l’idea che la follia si presenta come forza sregolata, de-
lirio pericoloso, potere che minaccia il reale stesso quando gli attribuisce la
forma delirante dell’irreale. Per affrontare questa minaccia e ridurla, il potere
psichiatrico si sforza dunque, nel suo movimento generale così come nelle
sue tattiche disciplinari particolari, di essere «un operatore di realtà, una sorta
di intensiicatore di realtà intorno alla follia»30. La microisica disciplinare, con
le sue registrazioni regolari, con la sua messa in sorveglianza degli individui,
si impone allora come presa sul reale. E si presenta essa stessa come la rea-
lizzazione di un supplemento di realtà, di un sovrappiù di realtà, che cerca di
rendere la realtà ancora più reale della realtà stessa, al ine di opporsi all’irrealtà
che la volontà del folle intende far passare per la realtà nel suo insieme31.
Questa analisi di Foucault conferma in un certo senso che l’atto di nascita
della psichiatria moderna non deve essere cercato nello slancio umanitario e
paciicatore della liberazione dei folli, ma piuttosto nel ricondurre, all’interno
del campo manicomiale e dentro il dispositivo psichiatrico, una scena di af-
frontamento in cui si prende parte a una lotta per il reale, e in nome del reale.
La posta in gioco terapeutica della manovra della psichiatria è quindi in questo
senso subordinata a quello di una presa di potere sul reale, cioè sulla frontiera
tra realtà e irrealtà, poiché è su questa frontiera che si tiene il delirio dell’alie-
nato ed è questa stessa frontiera a minacciare l’ediicio del potere psichiatrico.
Resta allora da precisare quale può essere l’operatore di questo potere psi-
chiatrico, esposto all’inquietante porosità tra realtà e irrealtà. Ma soprattutto, la
matrice disciplinare del potere psichiatrico, come quella che Foucault analizza
nel suo Corso del 1973-1974 e per come appare in correlazione con una follia
intesa come volontà indocile e minacciosa (ino a puntare l’ordine del reale),
è una disposizione autosuficiente per opporsi a questa minaccia? Questo in-
terrogativo nasce dalla lettura delle lezioni successive dedicate a precisare la
natura delle operazioni che permettono allo psichiatra di assicurare la sua pa-
dronanza della realtà. Uno dei due operatori privilegiati di questa padronanza
è il corpo dello psichiatra.
30
Ivi, p. 143; trad. it. cit., p. 136.
31
Da questo punto di vista, il principio di visibilità permanente, la messa in
sorveglianza generalizzata e anonima che ordina la macchina panoptica del manicomio,
contribuisce, nella forma della massima esposizione del reale (sempre sottomesso a uno
sguardo possibile), a questo effetto terapeutico della realtà stessa, dal momento che è
imposta come un potere in grado di costringere. Su questo punto cfr. ivi, pp. 103-104;
trad. it. cit., p. 103.
Disciplinare e guarire 243
la prima realtà che il malato deve incontrare, e che è in un certo senso ciò
attraverso cui gli altri elementi di realtà saranno costretti a passare, è costituita dal
corpo stesso dello psichiatra. Ricordatevi le scene di cui vi ho parlato all’inizio:
ogni terapeutica comincia con la comparsa dello psichiatra di persona, in carne
e ossa, che si erge d’un tratto davanti al malato – ciò avviene sia il giorno dell’ar-
rivo di questi in manicomio, sia in quello in cui comincia il trattamento – e che,
in virtù del prestigio di un corpo che dovrà essere, si dice, senza difetti, dovrà
imporsi grazie alla sua sola presenza plastica, alla sua sola imponenza. Questo
corpo dovrà imporsi al malato come realtà, o come ciò attraverso cui passerà la
realtà di tutte le altre realtà. È a un corpo del genere che il malato dovrà essere
sottomesso32.
La padronanza della realtà passa quindi dalla realtà del corpo dello
psichiatra che giunge a innescare e a rendere possibile il cerimoniale della
cura, che assomiglia esso stesso a un rituale di sovranità che impone alla
volontà folle questo sovrappiù di realtà, questo prestigio di una realtà so-
32
Ivi, p. 179; trad. it. cit., p. 171.
244 Philippe Sabot
33
Ivi, p. 173; trad. it. cit., p. 164.
34
Ivi, p. 81; trad. it. cit., pp. 84-85.
Disciplinare e guarire 245
35
Ivi, p. 82; trad. it. cit., p. 86.
36
Ivi, p. 179; trad. it. cit., p. 171.
246 Philippe Sabot
Philippe Sabot
Université Lille 3
philippe.sabot@univ-lille3.fr
.
Discipline and Cure. “Reality” as the Stake of Psychiatric Power According to Foucault
Following the analyses that Foucaut leads in the early 1970s about the proto-
psychiatric clinic, in particular in the course The Psychiatric Power, we strive to show
the game of power and counter-power which this clinic is the ground et “Reality”
is the main issue and the tactical impulse. It is thus to operate reality itself as
power to give to reality the power of reality. The question is then whether and
how a power of disciplinary type may respond to this issue. What is the effect of
real of disciplinary power ?
37
Ivi, p. 134; trad. it. cit., p. 130.
38
Ivi, p. 233; trad. it. cit., p. 207.
The government of the mob?
Produzione del resto e suo eccesso
Martina Tazzioli
P
« rima non vi erano che dei soggetti, dei soggetti giuridici […] adesso
ci sono corpi e popolazioni. Il potere è divenuto materialista»2: così, ne
Le maglie del potere, Foucault sintetizzava il modo in cui nelle società con-
temporanee la vita è diventata il centro di tecniche politiche di regolazio-
ne, capitalizzazione e calcolo. Questa “presa” calcolata sulla vita, deinita
con il neologismo di biopolitica da Foucault, ha tuttavia, se seguiamo la
genealogia tracciata da Foucault stesso, un oggetto primario su cui va a
esercitarsi che non è la vita in quanto tale ma la popolazione. Ora, a che
tipo di “presa” sulla vita ci troviamo di fronte nelle forme di biopolitica
attuali, quando la realtà della popolazione non è il livello su cui si esercita
la regolazione della molteplicità?
Cosa è una popolazione? Da chi è formata? «Una molteplicità di in-
dividui», la deinisce Foucault in Sicurezza, territorio, popolazione, nella lezio-
ne dell’11 gennaio, «che sono ed esistono fondamentalmente ed essen-
zialmente in quanto biologicamente legati alla materialità all’interno della
quale vivono»3. E questa molteplicità, per essere oggettivata come “po-
polazione”, viene assunta, riferita e governata rispetto a un certo spazio
– quello della città ma soprattutto, storicamente, lo spazio della nazione,
che seppur mai direttamente al centro dell’analisi di Foucault, fa da cornice
e viene presupposto nelle rilessioni sul funzionamento dei dispositivi di
1
M. Foucault, La société punitive. Cours au Collège de France. 1972-1973, Seuil/Gallimard,
Paris 2013.
2
M. Foucault, Les mailles du pouvoir (1976), in Dits et écrits II, 1976-1988, Gallimard,
Paris 2001, p. 1013.
3
M. Foucault, Security, Territory, Population. Lectures at the Collège de France, 1977-1978,
Palgrave Macmillan, Basingstoke 2009.
sicurezza nel Corso del 1978. Uno spazio, dunque e una serie di determi-
nazioni, caratteristiche biologiche che deiniscono le «curve di normalità»
rispetto a cui ogni fenomeno deve essere governato o «delimitato all’in-
terno dei limiti accettabili», senza comprendere la totalità dei soggetti in
quanto tale ma, piuttosto, ciò che Foucault deinisce «il livello pertinente
della popolazione»4.
Su questo punto è importante aprire una breve parentesi, che in realtà
necessiterebbe di un intervento a parte, per dire che una serie di auto-
ri, tra cui Stephen Legg e Ian Hacking, hanno mostrato come “insiemi-
popolazioni” sono stati costruiti, soprattutto a partire dalla seconda metà
del XIX secolo, su una base differente da quella nazionale: statistiche sulle
patologie o le devianze che si riferivano a una parte della popolazione
nazionale, a sotto-popolazioni deinite appunto a partire da determinati
fenomeni fuori norma, da mappare, diagnosticare, calcolare5. Ma anche
in questo caso di popolazioni prodotte su base non nazionale, e rispetto a
cui non è così scontato rintracciare un referente spaziale deinito, ciò che
importa all’interno di questa problematizzazione su popolazioni migranti,
è l’omogeneità, la serie di elementi in comune che caratterizzano anche
queste sotto-popolazioni non nazionali – omogeneità data per l’appunto
dalla stessa patologia o fenomeno che si intende mappato. È precisamente
questo presupposto che, come vedremo, viene a cadere quando guardiamo
a coloro che vengono governati in quanto migranti.
La popolazione, dunque, si presenta come l’immancabile correlato
che deinisce l’azione stessa di governo, la sua supericie di presa. A tal
proposito merita ricordare che nonostante spazio e soggetti siano indisso-
ciabili nel funzionamento di una tecnologia di governo si tratta certamente
di un governo attraverso lo spazio, ma che nella prospettiva foucaultiana
ha come suoi oggetti e punti di presa condotte e individui, presi singolar-
mente o come facenti parte di un gruppo: «non si governa mai uno stato
né un territorio, né una struttura politica, si governano persone, individui
o collettività»6. Le tecniche di governo che si esercitano sulla popolazione
e costituiscono quella molteplicità di individui come un insieme governa-
4
Ivi, p. 92.
5
I. Hacking, Biopower and the Avalanche of Printed Numbers, in «Humanities in Society»,
n. 5 (1982), pp. 279-295; S. Legg, Foucault’s Population Geographies. Classiications, Biopolitics
and Governmental Spaces, in «Population, Space, Place», n. 11 (2005), pp. 137-156.
6
M. Foucault, Security, Territory, Population, cit.
The government of the mob? 249
7
Ivi, p. 34.
8
Ivi, pp. 64-65.
250 Martina Tazzioli
questo governo del resto in eccesso non sia però fondato principalmente
sull’esclusione.
Questa rilessione sul governo di soggettività e collettività resistenti o
irriducibili all’insieme popolazione coniugata con una messa in discussio-
ne del paradigma dell’esclusione mi sembra sia una lente analitica che ben
ci aiuta ad analizzare la funzione stessa della produzione e del governo dei
“resti”, e dunque anche del governo delle migrazioni. Ora, nell’assumere i
meccanismi di penalità come “analizzatori dei meccanismi di potere” Fou-
cault va a guardare i soggetti su cui questi agivano nella Francia del XVIII
secolo e soprattutto il tipo di soggettività che, producendo, presuppone-
vano: ciò che emerge è una “contro-società” fatta di voleurs, vagabondi,
delinquenti e più in generale modalità di esistenza colpevoli di esercitare
un “illegalismo per dissipazione”; vale a dire, un riiuto del lavoro, della
produttività e dunque dei meccanismi disciplinari di presa sul tempo degli
individui, che mirano a “issare” i corpi agli apparati di produzione.
Un dressage disciplinare, attraverso cui si cerca di garantire da un lato la
produttività all’interno dei meccanismi di produzione capitalista; e dall’al-
tro una “presa” sul tempo della vita e una regolarità, e dunque governabi-
lità, rispetto ai modi di vita di coloro che si sottraggono – fuggendo, mi-
grando o riiutando ogni operosità. Ne La société punitive, Foucault deinisce
quell’eccesso da governare descrivendo come l’irriducibile alla popolazione
resista ai meccanismi di issazione dei corpi e agli apparati di produzione.
Per meccanismi di issazione, Foucault intende l’insieme di tecniche di
dressage, regolamenti, coercizioni corporali, istituzioni di incarceramento
o pedagogiche che funzionano come dispositivi di cattura di una poten-
ziale forza-lavoro recalcitrante; una vita che non accetta “di sintetizzarsi
in forza lavoro”.
Credo sia importante far apparire il modo in cui l’oggetto governabile
“popolazione” non racchiude né include tutti i soggetti che sono comun-
que oggetto di tecniche di governo, di classiicazione e di partage. Un eccesso
per sottrazione: nel Corso del 1978 una molteplicità – le peuple – irrecupe-
rabile all’interno dell’insieme omogeneo popolazione; ne La société punitive
una “contro-società”, una “contro-collettività”9 che corrisponde ai vari
comportamenti “irregolari”, di diserzione nei confronti del dressage pro-
duttivo. In tale prospettiva, le pratiche di mobilità non autorizzata fanno
parte proprio di quelle forme di riiuto della presa sulle vite esercitata dai
meccanismi di produzione – nel duplice senso di produzione dei soggetti
9
M. Foucault, La société punitive, cit., p. 219.
252 Martina Tazzioli
lettini dei migranti arrivati nei porti siciliani quest’anno (oltre che i numeri
dei morti); ma un governo che conta per selezionare, escludere, tracciare
partages e dividere gruppi esistenti per formarne altri.
Chiaramente bisogna distinguere, la “selezione” durante gli arrivi sulle
coste italiane, ciò che viene deinito il management delle rotte migratorie
– e dunque il passaggio di un numero rilevante di persone lungo un certo
percorso – o quella che è la gestione di un campo di rifugiati e dunque di
un insieme per niente omogeneo di persone in un luogo circoscritto e go-
vernato da regole precise. Un governo che, per quanto sia estremamente
produttivo – attraverso un’incessante creazione di nuovi proili giuridici,
di spazi ad alto monitoraggio, di controlli a distanza e criteri di partizio-
ne – deve essere tuttavia in parte distinto dall’accezione di governo di cui
Foucault traccia la genealogia in Sicurezza, territorio, popolazione associandola
nel contesto moderno e contemporaneo a un oggetto su cui il governo ha
presa – la popolazione – e alla sua messa a valore, alla sua massimizzazio-
ne. Difatti, nel governo di coloro che vengono classiicati e gestiti come
migranti, per quanto il migration management venga promosso in nome di
una “migrazione ben regolata”, non vi è uno stato ottimale o ideale, una
stabilità o un potenziamento desiderabile. Al contrario, vi è sempre un
eccesso presentato come il limite del governabile.
Ora vorrei soffermarmi ancora un momento su questa produzione
di collettività divisibili che caratterizza il regime delle migrazioni. Innan-
zitutto, le politiche migratorie non possono essere analizzate indipenden-
temente da un governo dei numeri: si può dire, in effetti, il governo delle
migrazioni è prima di tutto un governo dei e attraverso i numeri. Ma appunto,
come ricordavo sopra, numeri solo inizialmente e apparentemente equi-
valenti che sono assemblati per essere divisi, differenziati. Gruppi tempora-
neamente governabili, in cui ciascuno dei soggetti che li compongono andrà
poi a far parte di nuove molteplicità divisibili, o di proili migratori in
costruzione.
“The mob” è il termine usato da alcuni autori per designare l’eccesso
ingovernabile che le politiche di cittadinanza e di mobilità intendono re-
golare. The mob rappresenta l’antinomia del popolo, l’eccesso e il tumulto
che è percepito come minaccia per le forze democratiche. Tuttavia, nel
caso delle migrazioni non è suficiente arrestarsi al livello di quello che può
essere una molteplicità ingovernabile, anche per il proprio essere numeri-
camente eccedente – e dunque appunto the mob: infatti a essere in gioco è
254 Martina Tazzioli
12
A. Appadurai, La paura dei piccoli numeri, in Sicuri da morire. La violenza all’epoca della
globalizzazione, Meltemi, Roma 2005.
256 Martina Tazzioli
13
D. Fassin, Ripoliticizzare il mondo. Studi antropologici sulla vita, il corpo e la morale, ombre
corte, Verona 2014, p. 37.
14
Ivi, p. 140.
15
Intervista con UNHCR Tunisia, Zarzis, agosto 2014.
The government of the mob? 257
16
M. Tazzioli, Spaces of Governmentality. Autonomous Migration and the Arab Uprisings,
Rowman & Littleield, London 2014.
258 Martina Tazzioli
Martina Tazzioli
Université Aix-Marseille
martinatazzioli@yahoo.it
.
The Government of the Mob? The Production of Remnant and Its Excess
Focusing mainly on the Lectures at Collège de France The Punitive Society and
Security, Territory, Population, this article considers the issue of subjects and
multiplicities that remain outside population and that cannot be assimilated, and
they are produced as remnants in excess. While in Security, Territory, Population
the issue of who remains outside the population is relatively unexplored, in this
article I show that by reading that Lecture series in the light of the analysis
of popular illegalisms done by Foucault ive years before in The Punitive Society
The government of the mob? 259
enables bringing to the fore that unruly subjectivities and remnants in excess are
actually the constitutive outside of populations. In the inal section, the article
explores how they very notion of population is not appropriate for designating
the production and the government of migrant groups in border-zones and
suggest to look at them as temporary divisible multiplicities.
3
M. Blanchot, Notre épopée, in «La nouvelle revue française», n° 100 (aprile 1961)
[nota non presente nella versione pubblicata, ma presente nella versione dell’archivio
privato di Françoise Collin – NdT].
264 Françoise Collin
così come alla nebulosità del differire – della différance – poiché sia l’uno
che l’altro nascondono o civilizzano i suoi iati.
Ma è anche la consistenza e la coerenza unitaria del personaggio che vi
era interrogata, l’“io” (je) o ancora l’“egli” (il) sostituendosi al “me” (moi) –
e cercando anche a volte rifugio nel “questo, ciò” (ça) (Lacan oblige). Ogni
movimento è in preda all’altro non identiicabile. Lo scrittore conosce l’ar-
bitrarietà della sua necessità.
Si può ipotizzare che l’esperienza violenta della guerra avesse, per
questa generazione, rimesso in causa violentemente la rappresentazione
dell’Uno propria all’Illuminismo. Anche se questo fantasma conosceva
sulla scena politica una seconda vita o una sopravvivenza nell’utopia co-
munista – mentre Mosca e poi Pechino continuavano ad essere alternativa-
mente dei punti di riferimento per una parte dell’opinione pubblica (ino
alla caduta del muro di Berlino).
Se ne trovano d’altronde gli echi e i sussulti nell’opera stessa di Blan-
chot, che cede politicamente ai successivi canti delle sirene marxiste e del
maggio 1968, dopo essere stato succube (come si sa ormai), prima della
seconda guerra mondiale, di quelle dell’estrema destra. Come se ricercasse
nella vita dei punti dove ancorarsi – delle forme di salvezza – di cui la sua
opera tuttavia decostruisce costantemente l’immagine, il miraggio.
La scrittura letteraria articola allora la sua posta in gioco in termini
nuovi. La linearità tradizionale dell’intrigo – che assicura il passaggio pro-
gressivo di un cominciamento verso una ine attraverso la risoluzione del
suo nodo è, negli anni cinquanta e sessanta, rimessa in discussione dal-
le manifestazioni di ciò che è chiamato nouveau roman. Nella casa editrice
Seuil, la rivista Tel Quel diretta da Philippe Sollers – e che frequentarono
alternativamente sia Derrida che Foucault –, ma anche la rivista Écrire e la
collezione diretta da Jean Cayrol, aprono e assicurano la scena di questa
mutazione mentre, nella casa editrice Minuit, Jerome Lindon ne sostiene
un’altra linea pubblicando Samuel Beckett, Robert Pinget, Alain Robbe-
Grillet e Nathalie Sarraute, tra altri. È anzitutto nella letteratura che la “de-
costruzione” manifesta la disfatta dell’Uno come Totalità e l’irriducibilità
del tempo alla storia.
Il racconto attesta allora dell’irricevibilità di una linea narrativa di tipo
dialettico che conduce l’intrigo dal cominciamento verso la sua ine come
verso un compimento. Rompendo con ogni modello progressivo, non pri-
vilegia, o non solamente, la circolarità, ma la ripetizione e la dislocazione,
Il pensiero della scrittura 267
Differenza e evento
4
[Françoise Collin si riferisce qui, ironicamente, all’opera derridiana Ogni volta unica,
la ine del mondo (2003), Jaca Book, Milano 2005 – NdT.]
Il pensiero della scrittura 269
sensato – della follia – che anima Foucault e che lacera anche la narrazione
blanchotiana attraverso il grido, il gesto senza seguito, o il silenzio.
È ciò che Blanchot identiica in Foucault come “l’esigenza della di-
scontinuità” laddove la différance derridiana o la decostruzione tende inini-
tamente a ricostruire la continuità, a costo tuttavia di non arrivare mai al-
l’“indecostruttibile”: uno iato, un arresto «che potrebbe ben guastare tutta
la macchinazione», ma che tuttavia non la guasterà.
Il dibattito con Foucault sarà protratto da Derrida, anche dopo la
morte di quest’ultimo, segno evidente dell’importanza che gli accorda. In
una conferenza pronunciata nel 1991 all’ospedale Sainte-Anne, pubblicata
negli atti del convegno e poi in Resistenze della psicoanalisi, vi ci torna per giu-
stiicare, più precisamente, la sua posizione. Tuttavia, in questo contesto, la
posta in gioco non è l’articolazione tra differenza ed evento, ma l’articola-
zione tra ragione e follia, nel loro rapporto alla psicoanalisi che considera
essere stata trascurata, addirittura misconosciuta, da Foucault.
Per quest’ultimo infatti, la psicoanalisi ricondurrebbe attraverso for-
me modiicate la distinzione tra normale e patologico, ratiicando indiret-
tamente ancora la teoria cartesiana del “genio maligno”.
essere chiarita a questo punto dalla polemica – il dialogo tra sordi – tra
Derrida e Foucault, tra il movimento della différance o del differire come
perpetuo rinvio, che assicura una forma di continuità e lo iato dell’evento,
fonte al massimo di contiguità, «pezzi e frammenti come se fosse il tutto»,
quando la scrittura si circoscrive nel compimento di un libro, nient’altro
che un libro, parodia del Libro, sapendo che «Achille non raggiungerà mai
la tartaruga» (M. Blanchot).
Qualsiasi cosa ne sia delle analisi o dei commentati letterari e iloso-
ici che si possono fare dell’opera di Blanchot – e che si sono moltiplicati
all’ininito – la lettura o la rilettura dei suoi frammenti di pensiero e dei
suoi racconti è, in effetti, ogni volta, nella nudità del faccia a faccia, l’op-
posizione dell’“eterna ripetizione” e al tempo stesso dell’“evento”: poiché
qualcosa succede che non è dell’ordine della “disseminazione”. Questa
ambiguità irrisolta è costitutiva dell’opera e ne costituisce il suo fascino.
In effetti, l’opera dispiega “la inalità senza ine” della scrittura – rac-
conto e/o pensiero – il suo ininito differire, ma attestandone gli iati che la
fratturano o la frammentano: attestandone lo scontro con l’evento.
Evento la cui violenza, articolata da Blanchot anzitutto nella vicinanza
con Georges Bataille, tra eros e morte, è attestata nel suo interesse per Fou-
cault, prima di trovare, in un confronto, piuttosto tardivo, con l’opera di
Levinas, amico di sempre, la sua formulazione più serena, legata all’alterità,
quando qualcosa accade, che è “qualcuno”, riconducendo e scongiurando
allo stesso tempo l’innominabile: un volto, come colui che non è mai visto.
Così la scrittura blanchotiana è, al contempo, ininito differire e messa a
nudo dell’interruzione: “grido” e “mormorio”. Questa tensione insupera-
bile la rende affascinante.
.
The Thought of Writing: Différance and/or Event. Maurice Blanchot between Derrida
and Foucault
In this study, Françoise Collin proposes to measure what could be taken into play
between his irst reading of Blanchot (Maurice Blanchot et la question de l’écriture,
Paris, Gallimard, 1971) and his current interpretation (2011). The book in 1966
tries to approach (in light of Derrida’s notion of writing) Blanchot’s work in its
Il pensiero della scrittura 273
1
As we go along: il riferimento è a Wittgenstein («And is there not also the case where we play
and – make up the rules as we go along? And there is even one where we alter them – as we go along»;
L. Wittgenstein, Ricerche ilosoiche, Einaudi, Torino 1983, § 83); l’invito (forse implicito)
è di spostare l’accento dalla “puntualità” delle regole alla luidità di una situazione, un
gioco, una forma.
Situazioni
2
Cfr. A. Badiou, L’essere e l’evento, Il Melangolo, Genova 1995. Si tratta di un approccio
articolato e complesso, che schiacciare su un solo testo, peraltro importante, come L’essere
e l’evento è senz’altro riduttivo. Inoltre, a partire da Logiques des mondes (Seuil, Paris 2006),
il lavoro dello stesso Badiou registra una signiicativa correzione di rotta, ripensando
l’evento non solo come rottura e cominciamento radicale ma come «un’alterazione locale
di una molteplicità data» (dove il ricorso al termine “alterazione” suggerisce un’analogia
con la transitività indicata da Wittgenstein). Resta però l’impressione complessiva di una
reductio, un precipitare del molteplice in un momento dato che cancella la dimensione
protratta e molteplice che la stessa alterazione può assumere. Il riferimento a Badiou vale
comunque come stilizzazione, punto di massima visibilità di una tendenza rintracciabile
anche in altri autori. Cfr. J. Rancière, Il disaccordo, Meltemi, Roma 2007; B. Honig, Antigone,
Interrupted, Cambridge University Press, Cambridge 2013; E. Isin, Acts of Citizenship, Zed
Books, London-New York 2008.
3
Cfr. S. Mezzadra, Moltiplicazione dei conini e pratiche di mobilità, in «Ragion pratica»,
n. 41 (2013).
As we go along 277
4
Cfr. G. Deleuze e F. Guattari, Mille piani. Capitalismo e schizofrenia, Castelvecchi,
Roma 2006, pp. 706-707.
5
Cfr. S. Mezzadra, Kobane è sola?, 2014, in < http://www.euronomade.info/?p=3332>
(consultato il 15-01-2016).
278 Federico Rahola
Controconcetti
13
H. Lefebvre, La produzione dello spazio, Moizzi, Milano 1976.
14
M. Foucault, Sicurezza, territorio, popolazione. Corso al Collège de France (1977-1978),
Feltrinelli, Milano 2005, pp. 151.
15
Mi riferisco in particolare a quella che è stata deinita perspective by incongruity,
l’accostamento incongruo che getta luce sulla convenzionalità arbitraria delle norme
sociali (cfr. P.P. Giglioli, Introduzione all’edizione italiana, in E. Goffman, La vita quotidiana
come rappresentazione, Il Mulino, Bologna 1969).
As we go along 281
[T]he tactical immanence of both resistance and counter-conduct to their respective ields
of action should not lead one to conclude that they are simply a passive underside, a merely
negative or reactive phenomenon, a kind of disappointing after-effect […], the productivity of
counter-conduct […] goes beyond the purely negative act of disobedience16.
16
A.I. Davidson, In Praise of Counter-Conduct, in «History of the Human Sciences»,
vol. 24 (2011), n. 4, p. 27.
17
Ivi, p. 28.
As we go along 283
18
Ivi, p. 27 (tondo mio). La versione italiana del passaggio cui fa riferimento Davidson
è leggermente diversa: «Movimenti che si danno come obiettivo un’altra condotta, nel
senso che vogliono essere condotti in un altro modo, da altri conduttori […]. Ma sono
anche movimenti che cercano di sfuggire alla condotta altrui, che cercano di deinire per
ciascuno la maniera di condursi» (M. Foucault, Sicurezza, territorio, popolazione, cit., pp. 144-145).
19
«Queste rivolte di condotta possono pertanto essere speciiche nella loro forma e
nel loro obiettivo, ma non sono e non restano mai autonome, qualunque sia il carattere
decifrabile della loro speciicità» (M. Foucault, Sicurezza, territorio, popolazione, cit., p. 147).
20
J. Butler, Critica della violenza etica, Feltrinelli, Milano 2006.
284 Federico Rahola
lo più a gruppi e comunità che, oltre a voler essere condotti in modo di-
verso, a volte mostrano di volersi condurre da soli. Lavorando su ciò che
Foucault non dice (e anzi nega), credo che la portata sovversiva di questo
concetto, il suo straordinario potenziale politico, si giochi tutto in una tale
affermazione plurale di autonomia e di autogestione. Solo se deinito col-
lettivamente, as we go along, l’atto di (decidere come) condursi diventa una
pratica, chiamando in causa, oltre a un’idea posizionale di sé e degli altri,
una speciica produzione di spazio (un’area in cui stabilire insieme come
condursi) e una particolare temporalità: quali esattamente? Rispondendo a
questa domanda è possibile intravedere quanto Foucault non lascia vede-
re, e cioè la portata costituente delle controcondotte, di quelle situazioni
protratte nel tempo, quelle insurrezioni carsiche e progressive, in cui la
cooperazione dà vita a qualcosa di nuovo e di diverso.
Avremmo quindi un soggetto collettivo, una rivendicazione di autono-
mia che si traduce in pratiche condivise, attraverso una serie di situazioni
di dialogo e interazione calate nel tempo e nello spazio. E l’eco è sempre
quella di un intreccio tra “ilogenesi e ontogenesi”, biograia individuale e
storia comune, che deinisce, per esempio, lo statuto dell’improvvisazione
nei termini più generali di una speciica pratica culturale afroamericana.
Come in una jam session, diventare un soggetto collettivo implica questa for-
ma di cooperazione: la conduzione «di sé attraverso sé nell’articolazione dei
suoi rapporti con l’altro» – così si esprimerà Foucault nel Résumé del corso
del 1981 su soggettività e verità, parlando però di “governo” e riferendosi
alla soggettivazione imposta dall’invenzione del matrimonio21.
Ma affermare che l’obiettivo degli ultimi corsi di Foucault sia stato
quello di gettare luce sui processi attraverso cui diventare soggetti collet-
tivi (o diventarlo collettivamente) è sicuramente una forzatura. E occorre
anzi riconoscere che la posta in palio del viaggio intorno al soggetto che
dall’ermeneutica arriva ino al governo di sé (e degli altri) è essenzialmente
individuale, nel tentativo di riscoprire nel mondo classico modelli di una
soggettività – questa sì, autonoma – da opporre alle forme e alle tecno-
logie di assoggettamento. L’ultimo corso, sin dal titolo, lascia però la que-
stione aperta, sia nei termini sospesi di un’ultima parola non detta sia in
quelli letterali di una particolare apertura al mondo, alla polis, propria della
parrhesia cinica. Forse è solo uno spiraglio, ma l’idea è che “il governo di sé
21
M. Foucault, Subjectivité et vérité. Cours au Collège de France, 1981, Seuil/Gallimard,
Paris 2014.
As we go along 285
È possibile cogliere qui un’eco del lavoro di Mikhail Bachtin sul mon-
do alla rovescia, l’abbassamento materiale e corporeo che deinisce lo spa-
zio-tempo del carnevale come speciico momento rituale di sovversione/
22
Sono queste, forse, le ultime parole “pubbliche” di Foucault, espresse come note
inali al corso del 1984, due mesi prima di morire. Cfr. M. Foucault, Il coraggio della verità.
Il governo di sé e degli altri II. Corso al Collège de France (1984), Feltrinelli, Milano 2011, p. 331.
23
M. Foucault, Sicurezza, territorio, popolazione, cit., p. 151.
24
Ivi, p. 153.
25
Ivi, p. 160.
286 Federico Rahola
26
Cfr. M. Bachtin, L’opera di Rabelais e la cultura popolare. Riso, carnevale e festa nella
tradizione medievale e rinascimentale, Einaudi, Torino 1979.
27
A.I. Davidson, In Praise of Counter-Conduct, cit., p. 31.
28
Ivi, p. 37.
29
Ciò ovviamente non signiica che l’orizzonte delineato dall’“armatura del
neoliberalismo” sia privo di conlitti. Al contrario, il conlitto si dissemina, partendo
spesso dai “margini”, e la sua portata evenemenziale e potenzialmente destituente
sembra accentuarsi: molte piazze si sono incendiate; regimi che parevano inespugnabili
hanno vacillato o sono stati abbattuti. E tuttavia, anche quando la potenza destituente
delle insurrezioni si è dispiegata, un secondo dopo aver deposto “tiranni locali” di vario
genere, queste rivolte si sono trovate a fronteggiare i regimi a geograia variabile imposti
dalla global governance neoliberale. All’interno di questa “razionalità”, dificile da localizzare
(perlomeno in termini convenzionali di sovranità), è però possibile rintracciare una
matrice “pastorale”: l’enfasi sui comportamenti (all’insegna di benchmark, best practices);
l’imposizione di forme canonizzate di condotta attraverso il sacriicio e l’austerità; la
dimensione espiatoria e il ricatto “morale” somministrati attraverso l’indebitamento;
As we go along 287
l’indirect rule e il governo “attraverso le differenze” di sistemi misti o parziali che, dietro
un universalismo oggettivo, omnes et singulatim, impongono striature e gerarchie all’interno
di territori in precedenza formalmente omogenei. Cfr. Graeber 2011; Lazzarato 2012;
Teubner 2008. Se quindi tracce del potere pastorale sono recuperabili nella macchina mista
«sovrano-governamentale» (S. Mezzadra e B. Neilson, Conini e frontiere. La moltiplicazione
del lavoro nel mondo globale, Il Mulino, Bologna 2014) della governance globale, il campo delle
lotte antipastorali sembra arrestarsi su una soglia in cui alla portata destituente subentra
un’impasse costituente. In una congiuntura rappresentata come stasi, nel “vuoto” della
crisi riempito dal momento costituente dei dispositivi con cui la si governa, a svanire
sembra essere la tensione costituente che deinisce quanto qui, a partire da Foucault, si
intende per controcondotte.
30
F. Gros in M. Foucault, Il coraggio della verità, cit., p. 331.
288 Federico Rahola
sciato. C’è qui, forse, un’eco della (oggi in troppo abusata) opposizione
tra tattiche e strategie tratteggiata da De Certeau, e pure di manifesti “an-
tropofagici” di stampo modernista34, ma soprattutto un’idea speciica di
concatenamento che Foucault, nel 1978, poteva solo preconizzare. Il rife-
rimento in questo caso è a una relazione che in termini astratti (e rovescia-
ti) può essere utile leggere nella prospettiva suggerita da Deleuze e Guatta-
ri di una matrice o piano (l’assiomatica del capitale) che articola e rimodella
di continuo le relazioni tra economia e spazi – politici, giuridici, culturali
– imponendo una serie di processi modulari, più precisamente “isomori-
ci”: un asse sincronico e parallelo di analogie, similitudini e trasformazioni.
Isomorismo, però, non signiica affatto riproduzione speculare o eterno
ritorno dell’uguale: «Non c’è niente di più errato che confondere isomor-
ismo e omogeneità: al contrario, isomorismo vuol dire favorire e quasi
incitare la continua produzione di eterogeneità»35.
Deriva da qui l’idea del capitale come macchina della differenza, pia-
no assiomatico attraversato da processi paralleli che riproducono regimi di
disuguaglianza. Il fatto è che un tale rapporto isomorico, orientato verso
la differenza, sembra emergere anche dalle controcondotte, dalla loro “in-
ternalità marginale” rispetto al piano canonizzato e imposto delle condotte.
Si tratterebbe quindi di un rapporto che “fa la differenza” agendo isomor-
icamente rispetto all’assiomatica del capitale. Ed è su questo piano che le
controcondotte si allontanano dal momento dell’evento e dalla sua portata
destituente. Se, come si è visto, ragionare in termini di evento signiica appel-
larsi a un atto singolare che disarticola il quadro, che spezza unilateralmen-
te ogni simmetria, l’insieme di pratiche che deiniscono le controcondotte
sembrano invece lavorare su un orizzonte diverso e molteplice, in termini di
tempi protratti, di spazi condivisi, di processi di soggettivazione.
Non si tratta certo di ritracciare qui le traiettorie del débat sui “modi
di costituzione della soggettività” (o sulla “produzione della soggettività”,
dove il genitivo ha un valore duplice, oggettivo e soggettivo36). Solo di
34
E. Viveiros de Castro, Métaphysiques cannibales, PUF, Paris 2009.
35
Cfr. G. Deleuze e F. Guattari, Mille piani, cit., p. 676.
36
Cfr. A. Negri, Fabbriche del soggetto, XXI Secolo, Livorno 1987; S. Zizek, Il soggetto
scabroso. Trattato di ontologia politica, Raffaello Cortina, Milano 2003; É. Balibar, Citoyen sujet
et autres essais d’anthropologie philosophique, PUF, Paris 2011; J. Rancière, Il disaccordo, cit.;
J. Read, The Micro-Politics of Capital. Marx and the Prehistory of the Present, State University
of New York Press, Albany 2003; S. Mezzadra, Nei cantieri marxiani. Il soggetto e la sua
produzione, Manifestolibri, Roma 2014.
290 Federico Rahola
suggerire come al suo interno, e su una rotta per certi versi inaugurata dal
lavoro dello stesso Foucault37, emerga l’idea di un soggetto “dislocato”,
che confuta ogni impossibile ipotesi unitaria ricollocandola in un campo
in tensione, nel punto di incrocio tra dispositivi di assoggettamento e pra-
tiche di soggettivazione. Concepire questo rapporto in termini isomorici,
pensare cioè che assoggettamento e soggettivazione agiscano in un con-
catenamento (essenzialmente su uno stesso piano di analogie e trasforma-
zioni) signiica allora allontanarsi dall’evento e situarsi in una dimensione
processuale, in divenire: considerare i processi di soggettivazione come
immanenti all’assoggettamento, ma in grado di imprimervi una logica di
differenza. Isomorismo, da questo punto di vista, implica la possibilità di
pensare le pratiche di soggettivazione come “dentro e contro”; di “gio-
care” le logiche dei dispositivi di assoggettamento contro il loro stesso
principio di funzionamento. In questi termini, anziché instaurare una sim-
metria o un loop, le controcondotte (in quanto interne e marginali rispetto
all’universo delle condotte) indicano il modo (più che il momento) in cui,
nel tempo e nello spazio, il gioco si rovescia e lo specchio si infrange, resti-
tuendo lo scarto o l’eccesso determinato dalle pratiche di soggettivazione
rispetto ai dispositivi di assoggettamento. Si tratterà poi di uno scarto, un
salto in avanti che, nella prospettiva dell’assiomatica del capitale, dovrà
essere sempre recuperato, riproducendo il concatenamento. Ma questa è
un’altra storia, o la stessa storia da un’altra parte del bosco…
Qui, sulla scia di ciò che Foucault lascia forse intuire parlando di con-
trocondotte, in gioco è la possibilità di pensare tali pratiche non solo in
quanto evento ma anche come situazione (protratta, contraddittoria, di-
slocata nel tempo e nello spazio), e non solo come processo individua-
le ma anche in una dimensione articolata, “orchestrata” e quindi plurale,
collettiva. Proiettare questo scarto, questa produzione di soggettività che
è produzione di differenza (qualcosa di non molto lontano dall’idea di
différance in Derrida) nell’atto di condursi insieme in modo diverso (ovvero in ciò
che deinisce la dimensione politica delle controcondotte) chiama in causa
un terreno e un processo molteplici e comuni, e conferisce una particolare
tensione costituente, temporale e spaziale, a tali situazioni. Credo sia que-
sto il potenziale politico delle controcondotte (declinate rigorosamente al
plurale), per come viene delineato en passant e subito accantonato o negato
37
Cfr. M. Foucault, Perché studiare il potere: la questione del soggetto, in H.L. Dreyfus e
P. Rabinow (a cura di), La ricerca di Michel Foucault, Ponte alle Grazie, Firenze 1989.
As we go along 291
38
G. Simondon, L’individuazione psichica e collettiva, DeriveApprodi, Roma 2006.
39
Genericità che, nell’intervento sulle eterotopie del 1966 su France Culture, era
attenuata dal tentativo di mostrane le determinazioni concrete di luoghi precisi e reali,
localizzabili su una carta, con un tempo determinato, «che si può issare e misurare
secondo il calendario di tutti i giorni».
292 Federico Rahola
40
M. Foucault, Spazi altri, Mimesis, Milano 2001, p. 34.
41
Cfr. T. Ingold, Ecologia della cultura, Meltemi, Roma 2004; F. Rahola, Texture as a
Practice, in I. Buonacossa e J. Grima (a cura di), Cosmic Jive: Tomàs Saraceno, the Spider Session,
Genova 2014.
42
H. Lefebvre, La rivoluzione urbana, Armando, Roma 1973.
As we go along 293
43
D. Harvey, Città ribelli, Il Saggiatore, Milano 2013, p. 17.
44
H. Lefebvre, La produzione dello spazio, cit., vol. I , p. 59.
45
Cfr. E. Soja, Thirdspace. Journeys to Los Angeles and Other Real-and-Imagined Places, Basil
Blackwell, Oxford 1996.
46
Cfr. A.M. Brighenti (a cura di), Urban Interstices. The Aesthetics and the Politics of the
In-between, Ashgate, London 2013.
294 Federico Rahola
Federico Rahola
Universita degli Studi di Genova
federico.rahola@unige.it
.
As we go along. Spaces, Times, and Subjects of the Counter-Conducts
This paper explores the ideas of time, space and subjectivity that are inscribed in
a series of contemporary collective practices of conducting oneself differently,
and in particular in the struggle of resistance that took place in Kobane. It shows
that these “infra-ordinary” practices are both autonomous (individualizing) and
plural (common) and suggests that we should consider them as “counter-con-
ducts”, i.e. as speciic situations in which we collectively choose how to conduct
ourselves and we produce as we go along new spaces to be constructed, new times
to be inhabited and new subjects to become.
47
G. Perec, L’infra-ordinaire, Seuil, Paris 1989, p. 7.
Michel Foucault e l’eredità della critica
Paolo B. Vernaglione
Essere critici
la sua opera potrebbe essere deinita come Storia critica del pensiero. Con que-
sta deinizione non si deve intendere una storia delle idee che sarebbe, nello
stesso tempo, un’analisi degli errori che possono essere rilevati a posteriori; o
neanche un deciframento dei misconoscimenti a cui sono legati e da cui potreb-
2
Cfr. M. Foucault, Illuminismo e critica, Donzelli, Roma 1997.
298 Paolo B. Vernaglione
be dipendere quello che pensiamo oggi. Se, con pensiero, intendiamo l’atto che
pone un soggetto e un oggetto nelle loro diverse possibili relazioni, allora una
storia critica del pensiero sarebbe un’analisi delle condizioni in cui si formano o
vengono modiicate certe relazioni tra il soggetto e l’oggetto, nella misura in cui
queste ultime sono costitutive di un sapere possibile3.
3
M. Foucault, Archivio Foucault 3, 1978-1985. Estetica dell’esistenza, etica, politica, a cura
di A. Pandoli, Feltrinelli, Milano 1998, pp. 248 e ss.
Michel Foucault e l’eredità della critica 299
4
Cfr. P. Virno, Quando il verbo si fa carne. Linguaggio e natura umana, Bollati Boringhieri,
Torino 2003; Id., E così via, all’ininito. Logica e antropologia, Bollati Boringhieri, Torino 2010;
Id., Saggio sulla negazione. Per un’antropologia linguistica, Bollati Boringhieri, Torino 2013.
302 Paolo B. Vernaglione
5
Cfr. M. Foucault, Introduzione all’«Antropologia» di Kant, in I. Kant, Antropologia dal
punto di vista pragmatico, Einaudi, Torino 2010, pp. 9-94.
Michel Foucault e l’eredità della critica 303
6
F. Nietzsche, Sull’utilità e il danno della storia per la vita, Adelphi, Milano 1999.
7
Cfr. M. Foucault, Nietzsche, la genealogia, la storia (1971), in Microisica del potere,
Einaudi, Torino 1977.
8
W. Benjamin, Tesi di ilosoia della storia, in Angelus Novus. Saggi e frammenti, a cura di
R. Solmi, Einaudi, Torino 1976, pp. 72-83.
304 Paolo B. Vernaglione
Ciò accade forse perché ciò che si progettava negli scorsi anni set-
tanta, e che alla luce di un progetto si pensava, si discuteva e si realizzava,
si traduce nell’immediatezza di un gesto assoluto, senza che un’identità
metta capo ad una forma di vita o ad un soggetto. Gli effetti di questa
mutazione, che è insieme antropologica, psichica e governamentale, cioè
che riguarda il mutamento dei rapporti tra saperi, poteri e soggetti, sono
al cuore della differenza tra le forme di resistenza e di soggettivazione del
ventesimo secolo e quelle con cui è iniziato il ventunesimo secolo. Questa
differenza però non nasce solo in ragione della distanza dagli scorsi anni
settanta, né dall’aver immaginato in questi anni una classe che non c’è,
come nella vulgata reazionaria che riesuma la “centralità” del lavoro, bensì
dal non poter rinunciare al soggetto, laddove, oggi più di ieri, è urgente,
con Nietzsche e con Foucault, «rischiare la distruzione del soggetto della
coscienza nella volontà, indeinitamente dispiegata, di sapere»10. Laddove
infatti la realtà si struttura e si destruttura in molteplici pratiche di desog-
gettivazione, mantenere al centro dell’analisi del capitalismo la tendenza
alla costituzione di un soggetto, o di una soggettivazione di classe che non
consente più una dinamica di organizzazione, risulta contraddittorio in
ordine alle reali composizioni sociali, come alla loro evanescenza.
La proposta di un soggetto dei conlitti, benché disposta nell’auto-
nomia e nell’indipendenza da apparati di Stato, di mercato e della socie-
tà civile, che è oggi il vero soggetto di governo, non fa che riprodurre
un proilo identitario in luogo dei molti proili già organizzati altrove:
nelle fabbriche del sapere, nelle attività di comunicazione, nel dominio
sul lavoro e sulla cura, se è vero, come ha scritto l’economista Christian
Marazzi, che il dispositivo biopolitico è una macchina antropogenetica di
regolazione dei corpi11.
Perché quel rapporto è un indice rilevante della distanza tra un’analiti-
ca del presente, invocata come compito da Foucault, e la realtà dei conlitti,
a partire da un passaggio di generazione che non riconosce una genealogia
tradizionale; che non sente di appartenere alla storia del movimento ope-
raio, né alla vicenda dei gruppi anarchici; né proviene dalla storia delle lotte
per i diritti civili, o da quella del sindacalismo statunitense più di quanto
percepisca la iliazione con il mutualismo del primo Novecento.
10
M. Foucault, Archivio Foucault 1, 1961-1970. Follia e discorso, a cura di J. Revel,
Feltrinelli, Milano 2014.
11
Cfr. C. Marazzi, Il comunismo del capitale. Finanziarizzazione, biopolitiche del lavoro e crisi
globale, Ombre corte, Verona 2010.
Michel Foucault e l’eredità della critica 307
12
M. Foucault, La volontà di sapere. Storia della sessualità 1, Feltrinelli, Milano 20018, p. 120.
13
Ivi, p. 121.
14
Ivi, p. 125.
308 Paolo B. Vernaglione
di trasformazione della vita umana; questo non signiica che la vita sia stata
integrata in modo esaustivo a delle tecniche che la dominano e la gestisco-
no; essa sfugge loro senza posa»15.
Dunque il regime biopolitico che le società neoliberali hanno prodot-
to e rafinato, a differenza del potere sovrano, non si esercita in un con-
trollo totalizzante sulla soggettività, bensì nelle discontinuità operate nel e
dal soggetto, all’interno di questo regime, nel tentativo di prelievo sulla vita
che “sfugge senza posa” a quelle tecnologie di cattura. E sfugge proprio
perché la vita è assunta come oggetto e posta in gioco del governo.
Da una parte infatti norme, regole, discipline e tecnologie di controllo
hanno la funzione di governare la vita integralmente, di non lasciare alcuna
piega, alcuna percezione, alcun affetto, alcuno strato di soggettività alla
nuda vita in cui il bios incontra la zoé. Ma, d’altra parte, la vita fugge via in
quanto luogo di affezioni e percezioni, sostrato dell’organico e luogo delle
mutazioni. E questo insieme di istinti e qualità, impressioni ed espressioni
che si cerca di catturare e governare, costituiscono una volontà di sapere e
una possibilità del soggetto che, nell’esteriorità dell’esistenza, può sottrarsi
all’insieme dei dispositivi in cui si produce la sua libertà. Questa volontà
“affettiva” in senso lato, può essere assimilata a qualcosa come una libertà
anteriore a qualsiasi esercizio di potere. Come più volte Foucault ha affer-
mato, laddove si esercita, un potere di assoggettamento incontra una forza
contraria, una volontà di diaspora, di dispersione, di riiuto.
Ora, ciò che è importante, e che non fa ricadere tale costituzione delle
forze nella dialettica di assoggettamento e soggettivazione, è che al presen-
te assoggettamento e soggettivazione, non si muovono su piani simmetrici
e non si conigurano secondo un modello proiettivo per cui ogni assog-
gettamento produce un soggetto come sua rappresentazione. E i rapporti
di forza non si organizzano in un simbolismo che ne compone le igure e
le direzioni, ma producono conlitti nella dispersione, nella disparità, nella
differenza di potenziale che si genera nella contingenza, nell’occasione di
scontro, nell’alea del gioco.
Dunque la realtà non coincide con la possibilità, che si crea piuttosto
nelle soglie di irrealizzazione, nelle zone di dispersione, nelle vie di fuga
da quel reale che produce sia i dispositivi che i soggetti, che organizza i
dispositivi come soggetti e dispone le prassi di soggettivazione. C’è sem-
pre squilibrio tra la realtà del potere sulla vita e le possibilità autonome di
15
Ivi, p. 126.
Michel Foucault e l’eredità della critica 309
16
Cfr. G. Agamben, Il tempo che resta. Un commento alla lettera ai Romani, Bollati
Boringhieri, Torino 2000, pp. 55 e ss.
310 Paolo B. Vernaglione
17
C. Marazzi, Il comunismo del capitale, cit.
18
Cfr. G. Agamben, Il Regno e la Gloria. Per una genealogia teologica dell’economia e del
governo, Bollati Boringhieri, Torino 2009.
312 Paolo B. Vernaglione
19
M. Foucault, Nietzsche, la genealogia, la storia, cit., p. 51.
20
Ivi, p. 54.
Michel Foucault e l’eredità della critica 313
mento dato nella storia degli spazi alternativi, non fonda una politica, non
inaugura una permanenza, non libera affatto da ciò che ha sovvertito.
Desoggettivarsi si può divenendo inattuale, tramontando, cercando
la scomparsa, cancellando le tracce della propria venuta al mondo nell’a-
nimale, che non pretende alcuna posterità, che disdice la iliazione, che
disloca le forze. Cioè trovando un’essenza che dissolve le sostanze, altera
le forme, disdice il discorso. Tanto più quanto «il sapere chiama oggi a fare
esperienza su noi stessi»21.
La critica del capitalismo nell’epoca della mobilitazione delle capacità
e degli affetti potrebbe prodursi a partire da questa costellazione, cui non
si tende ma che è reale; che non si organizza ma si deterritorializza; che
è presa in un divenire altro. Da qui una politica della vita, spazi che sono
eterotopie, luoghi del fuori in cui avviene la libertà; un divenire animale
nella temperie oltreumana del gioco e dell’arte di cui possiamo essere liberi
produttori.
Paolo B. Vernaglione
Università degli Studi di Roma “La Sapienza”
paolo.vernaglione@uniroma1.it
.
Michel Foucault and the Inheritance of the Critique
What has happened to the critical nature of people? This script tries to
investigate this question. If Foucault has described his work as a “critical history
of thinking”, today we need to ask ourselves in which conditions critiquing is
possible. Furthermore we need to ask “what does it mean to be critical”? This
bunch of questions seems to be derived from Kant’s prior answer to “What
is Enlightenment”? But today this issue is a matter of legacy, referred to the
multiple ways in which the “power over life” is exercised.
21
Ivi, p. 53.