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Il potere

dell’arte
nel Medioevo
Studi in onore
di Mario D’Onofrio

Saggi di storia dell’arte

Campisano Editore
IL POTERE DELL’ARTE
NEL MEDIOEVO
Studi in onore
di Mario D’Onofrio

a cura di
Manuela Gianandrea
Francesco Gangemi
Carlo Costantini

Campisano Editore
Il volume è stato in parte pubblicato
con il contributo del Magnifico Rettore,
Sapienza Università di Roma

Il testo ha superato la procedura


di accettazione per la pubblicazione
basata su meccanismi di revisione
soggetti a referees terzi

In copertina,
Bamberg, Cattedrale, Cavaliere
da W. Boeck, Der Bamberger Meister,
Tübingen 1960, tav. 28

Hanno collaborato alla redazione:


Melania Marrocco
Claudia Quattrocchi
Francesca Tota

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può essere riprodotta o trasmessa
in qualsiasi forma o con qualsiasi
mezzo elettronico, meccanico
o altro senza l’autorizzazione
scritta dei proprietari dei diritti
e dell’editore.

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Gianni Trozzi

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www.campisanoeditore.it
ISBN 978-88-98229-30-7
Indice

p. 13 Per Mario D’Onofrio


Marina Righetti
15 Premessa
Manuela Gianandrea, Francesco Gangemi, Carlo Costantini

I LUOGHI DEL POTERE


ROMA AL CENTRO DEL POTERE
23 Incorniciare la porta della chiesa come con un avorio marmoreo:
la formulazione del portale romanico a Roma (XI-XIII secolo)
Xavier Barral i Altet
39 Il valore documentale delle finiture e l’importanza
della loro conservazione: l’imitazione del passato
nella falsa cortina laterizia dipinta a Roma nel Medioevo
Giovanni Carbonara e Lia Barelli
53 L’altare di Santa Maria in Cappella a Trastevere.
Un’opera dell’XI secolo quasi sconosciuta o ignorata
Peter Cornelius Claussen
65 L’immagine della Croce nella decorazione
monumentale di Roma
Mauro della Valle
79 I pavimenti marmorei delle chiese di Roma tra IV e VII secolo:
aggiornamenti e novità
Alessandra Guiglia e Federico Guidobaldi
107 L’immagine del Salvatore nel Sancta Sanctorum a Roma
e il concetto di “Uronica”
Vinni Lucherini
119
6
Gerusalemme come Roma nelle Storie della Vera Croce
di Agnolo Gaddi in Santa Croce a Firenze
INDICE

Alessio Monciatti
131 Dalla “Theotokos” alla “Sponsa Christi”. Il portale laterale
di Santa Maria in Trastevere e l’icona della Clemenza
Alessandro Zuccari

L’ITALIA MERIDIONALE
155 Giraletti marsicani. Qualche aggiunta
alla scultura abruzzese del Duecento
Walter Angelelli
163 Disegni inediti tardosettecenteschi
della Cappella Palatina di Palermo
Maria Giulia Aurigemma
181 Per la ricostruzione della parete settentrionale
del presbiterio della Cappella Palatina a Palermo
Beat Brenk
193 Portali scolpiti nella Basilicata normanno-sveva
Lara Catalano
207 I monumenti funebri di Francesco della Rath
e di Giacomo Martono nella cattedrale di Caserta Vecchia
Eleonora Chinappi
219 Urbs Venusina nitet tantis decorata sepulchris:
note su una storia di presenze e assenze
Luisa Derosa
235 I telamoni di Castel del Monte e i loro modelli
Marina Falla Castelfranchi
243 Una committenza imperiale nel Regno di Sicilia:
l’apparato scultoreo di Castel Maniace a Siracusa
Francesca Tota

L’ORIENTE BIZANTINO
261 Marmi costantinopolitani a Cipro
Claudia Barsanti
273 Exaltation and Ecstasy between Byzantium and Early Islam
Gianclaudio Macchiarella
289 Bessarione, dall’impero bizantino al papato di Roma:

7
un documento inedito sulla sua eredità

INDICE
Simona Moretti
299 Focus sul pallio di San Lorenzo
Andrea Paribeni
313 Bibliofilia bizantina. Il fondo Olinto Valenti
nella Biblioteca dell’Accademia dei Lincei
Silvia Pedone

I DETENTORI DEL POTERE


IL POTERE RELIGIOSO: PAPI, CARDINALI, ABATI
331 Il monastero cistercense di Marmosolio e la Chiesa di Roma
a metà del XII secolo
Giulia Barone
339 Il soggiorno di papa Urbano II a Matera e un discusso affresco
nella chiesa rupestre dei Santi Pietro e Paolo
Gioia Bertelli
355 Un monumento per due. Memorie di cardinali nella Rotonda
dei Santi Cosma e Damiano (XII-XIII secolo)
Giulia Bordi
367 Chiese mendicanti e università
Corrado Bozzoni
381 Friars, Architecture, and the Business of Death
Caroline Bruzelius
393 Il papa Urbano II nel principato normanno di Capua
tra viaggi, soste e poteri
Luigi R. Cielo
407 Brevi note sui resti della Torre di Desiderio a Montecassino
Cesare Crova
419 Le cattedre “papali” nella cattedrale di Anagni
Francesco Gandolfo
431 Un papa sugli scudi: Giovanni XIII e la sua “eccentrica”
sepoltura a San Paolo fuori le mura
Giorgia Pollio
IL POTERE LAICO: SOVRANI E ARISTOCRAZIA
8
INDICE

445 I Normanni e il mare.


Notazioni sulla flotta, sugli arsenali e sulle battaglie
Giovanni Coppola
465 La rappresentazione della regalità nella Palermo
di re Ruggero II d’Altavilla
Errico Cuozzo
479 Il palazzo di Federico II a Foggia: la testimonianza epigrafica
Francesco Gangemi
497 La “riscoperta” di Roma nel patronato artistico imperiale
di V secolo
Manuela Gianandrea
513 Al tramonto della feudalità rurale del Piceno:
la rocca di Colonnato, magione dei Brunforte
Pio Francesco Pistilli
531 Smaragdos patrikios, la colonna dell’imperatore Foca
e la Chiesa di Roma. Committenze artistiche e Realpolitik
Alessandro Taddei
551 Federico II e il declassamento della sacralità imperiale
nel nuovo ordo coronationis imposto da Innocenzo III
Ortensio Zecchino

PAPATO E IMPERO A CONFRONTO


561 L’enigma delle sculture di Baldes e Berta a Cremona
Arturo Calzona
573 Immagini di omaggio imperiale ai pontefici
nel Quattrocento romano
Anna Cavallaro
581 Edilizia cultuale delle abbazie di Leno e Civate
fra Papato e Impero
Paolo Piva
593 Sacerdotium et Regnum alla Fine dei Tempi. L’Offerta
di Abramo e Melchisedec nelle pitture della cripta di Anagni
Claudia Quattrocchi
607 Monaci, papi, imperatori e laici
Silvia Silvestro
619 La Riforma “gregoriana” attraverso le miniature di Cîteaux

9
Alessia Trivellone

INDICE
IL POTERE DELL’IMMAGINE E DELLA PAROLA
QUESTIONI DI ICONOGRAFIA
635 Dignitas moritur? Lo scheletro e la corona
Stefania Macioce
647 L’iconografia di Abyssus nella decorazione dei pulpiti
medievali dell’area campano-laziale
Melania Marrocco
659 Riuso e significato simbolico: porta come Cristo,
architrave come Pietro
Arturo Carlo Quintavalle
683 Il sogno di Pasquale I: un affresco staccato
e un problema d’iconografia
Lucinia Speciale
695 La mano di Dio: una nuova lastra della recinzione
preantelamica della cattedrale di Parma
Carlotta Taddei
705 L’affresco della Déesis nell’abside della chiesa di San Zaccaria
a Caulonia: ipotesi per una diversa interpretazione semantica
Roberto Tollo
725 Reading the display of sculpture on the façade
of the narthex of San Marco in Venice
William Tronzo

DAL TESTO AL CONTESTO


737 Dentro il reliquiario: l’invenzione della Croce
di papa Sergio I (687-701)
Antonella Ballardini
755 Rappresentare il papa e l’imperatore: osservazioni
sull’illustrazione del rituale della consacrazione e
dell’incoronazione dell’imperatore nei Pontificali duecenteschi
ad uso della Curia romana
Maria Alessandra Bilotta
775
10
L’epitafio per il Plàtina di Publio Francesco Laurelio D’Amelia
Edoardo D’Angelo
INDICE

787 Lateinische Kruzifixe in der byzantinischen Polemik:


Kultkritik als Papstkritik
Ingo Herklotz
803 Dante e il sovrano edificio del mondo
Eugenio Lo Sardo
813 Teatrini della memoria. Papi, principi e abati
nel Regesto di Sant’Angelo in Formis
Giulia Orofino
825 Dalla corte all’altare: trame miniate in età carolingia
Giuseppa Z. Zanichelli

IL POTERE DEL MEDIOEVO


CRITICA, STORIOGRAFIA, METODOLOGIA
839 Una fortuna planetaria. Erwin Panofsky e la Morgan Library
Claudia Cieri Via
849 Pietro Cavallini ad Assisi
Carlo Costantini
871 Sulla storia del paliotto eburneo di Salerno. Nuovi documenti,
un disegno inedito e (forse) qualche enigma in meno
Anna Maria D’Achille e Antonio Iacobini
903 L’insegnamento della storia dell’arte oggi: scuola,
museo diffuso e didattica ‘per competenze’. Un laboratorio
di Storia dell’arte medievale nell’Abbazia di Casamari
Cinzia Mastroianni
913 «Un tale amore per il marmo»: impressioni dell’opera
dei Cosmati a Roma negli scritti di Pavel Muratov
Xenia Muratova
919 Due sguardi diversi sull’arte cristiana alle soglie del Novecento:
la polemica fra Adolfo Venturi e Baldassarre Labanca
Simone Piazza
935 Frammenti metodologici della critica di Lionello Venturi
sull’arte medievale
Stefano Valeri
MEDIOEVO E OLTRE

11
945

INDICE
La Madonna del cancelliere Rolin: l’aletheia di Jan Van Eyck
Vincenzo Bilardello
959 Giovanni Albino e la politica filo-romana
degli Aragonesi alla luce di una xilografia “sallustiana”
dell’Hypnerotomachia Poliphili
Stefano Colonna
969 Il Capys Silvius di Masolino e la Porta federiciana di Capua
Anna Delle Foglie e Adolfo Parente
989 Un ingegnoso prete di provincia, gli oggetti dispersi
e il tesoro nascosto
Stefano Marconi
1007 Il drago di Gregorio XIII, la peste e i Turchi
Stefano Pierguidi
1015 In favore di Mariotto di Nardo
Sergio Rossi
1027 L’araldica lirico-astratta di Mathieu
Antonella Sbrilli

MARIO D’ONOFRIO:
TRACCE DI UN PERCORSO UMANO E SCIENTIFICO
1039 Con Mario nell’Istituto di Storia dell’arte dell’Università
di Roma fra gli anni Sessanta e Settanta
Valentino Pace
1051 Ritorno in Armenia
Francesco Gandolfo
1055 Mario D’Onofrio: una storia dell’arte tranquilla
Xavier Barral i Altet
1061 Il professor D’Onofrio
Manuela Gianandrea, Carlo Costantini
1069 Gli studi principali di Mario D’Onofrio

1075 REFERENZE FOTOGRAFICHE


1078 TABULA GRATULATORIA
I Normanni e il mare.
Notazioni sulla flotta, sugli arsenali e sulle battaglie
Giovanni Coppola

Abituati alla conoscenza dei Normanni d’Italia meridionale soprat-


tutto come imbattibili cavalieri «di terra», così come ne hanno traman-
dato le fonti scritte e iconografiche della penisola, riesce difficile figu-
rarceli in una dimensione strettamente marittima, nonostante gli scritti
del Cohn e, più recentemente, del Tangheroni abbiano fornito un con-
tributo prezioso alla scarsissima bibliografia di riferimento 1.
Oltre alle tattiche d’assedio e di battaglia campale, infatti, i Transal-
pini portarono con sé dalla terra natia anche l’eredità genetica di abili
navigatori, data dal sangue vichingo che scorreva nelle loro vene.
Tale retaggio, sopito da quarant’anni di conquiste sulla terraferma 2,
si risvegliò con il proposito della conquista della Sicilia da parte del
neoduca Roberto il Guiscardo e del fratello Ruggero, a partire dal 1060,
portando i Normanni ad impegnarsi per la prima volta in efficaci azio-
ni belliche sul mare, a cui seguirono, tra le altre, quelle delle imprese
crociate e nordafricane 3.
Il fatto che in Normandia esistesse una buona tradizione nautica è,
d’altronde, ben testimoniato dall’Arazzo di Bayeux 4, dove viene rappre-
sentato l’uso di navigli di ascendenza scandinava: le eschei e le esnecche,
derivanti dalle vichinghe drakkar. Entrambe possedevano scafi fini e
stretti, dal pescaggio molto basso, composti da fasciame in legno, le cui
tavole venivano assemblate insieme «a scalare», a partire dalla chiglia.
Le estensioni di quest’ultima, sia a poppa sia a prua, erano molto ac-
centuate, fino a formare due arcuature simmetriche alle estremità, vero
segno distintivo di queste imbarcazioni. La rotta era mantenuta con un
remo-timone posto su un lato della poppa, mentre la propulsione avve-
niva a vela e a remi. Questi ultimi, di tipo lungo e sottile, servivano an-
che a sondare il fondo vicino alla riva, per gli sbarchi direttamente in
spiaggia. L’eschei conteneva dai 25 ai 30 banchi di voga, per una lun-
ghezza tra i 30 e i 36 metri. Essa serviva unicamente al trasporto dei
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guerrieri, che potevano raggiungere il numero di un centinaio a bordo 5.
Sull’esnecca, invece, era possibile imbarcare anche i cavalli. Constava di
20 banchi di voga, per un totale di 40 rematori, ed aveva una lunghez-
GIOVANNI COPPOLA

za di circa 20-25 metri. L’imbarco e lo sbarco degli animali avveniva fa-


cilmente sulla riva, per la presenza di una carena dal fondo più piatto 6.
Ad agevolare le operazioni erano presenti sicuramente altre infrastrut-
ture, come sostegni e passerelle. Inoltre, c’era la possibilità di smontare
l’albero maestro per lasciare scendere i cavalli più velocemente, come
mostrato nell’Arazzo 7 (fig. 1).
La conoscenza di questi vascelli dei mari del nord non si tramandò in
Italia meridionale. Qui, il settore della cantieristica navale era ancora
debitore del tardo impero romano ed inserito in una realtà mediterra-
nea dove la continua osmosi tra i popoli generò, in epoca medievale,
pochi modelli navali comuni 8. Infatti, è ipotizzabile che abbia influito
sulla costituzione della flotta normanna la cultura marinaresca dei po-
poli assoggettati ed in particolare quella bizantina 9, poiché dalle fonti
appare chiaro che già nelle prime spedizioni contro Messina, tra il 1060
e il 1061, i Normanni impiegarono le imbarcazioni e gli equipaggi pree-
sistenti nei porti pugliesi (Otranto, Taranto e Brindisi) e calabresi
(Reggio, Tropea e Amantea) 10.
La situazione sembra cambiare verso la fine dell’XI secolo, allorché
nel 1081, in occasione della spedizione del Guiscardo nell’odierna Alba-
nia, contro l’Impero Bizantino, nei porti pugliesi vennero costruite nuo-
ve imbarcazioni 11. Evidentemente, le accresciute esigenze di controllo
sul mare al fine di arginare la pirateria musulmana, il coinvolgimento
normanno nella politica mediterranea, i progetti per la Crociata, i ten-
tativi di espansione in Grecia, rendevano necessario disporre di una
flotta più numerosa e meglio attrezzata per la guerra 12. Questa esigenza
divenne ancora più chiara con la creazione del Regno di Sicilia quando,
con Ruggero II, i Normanni vollero spingere verso il Nord Africa le lo-
ro mire espansionistiche. Del resto lo stesso re si preoccupò, nel
Catalogus baronum 13, di predisporre, per la difesa delle coste dai pirati
e dagli altri nemici, la costruzione di torri e castelli costieri presidiati co-
stantemente da contingenti militari, in modo da prevenire ogni tentati-
vo di invasione per mare 14.
Il Regno normanno doveva essere totalmente autosufficiente per
quanto riguarda le materie prime usate per le costruzioni navali: legna-
me d’alto fusto, ferro per le ancore, pece 15 e catrame per coibentare, te-
le di canapa e lino per le vele, fibre di papiro per il sartiame.
447
I NORMANNI E IL MARE. NOTAZIONI SULLA FLOTTA, SUGLI ARSENALI E SULLE BATTAGLIE

1. Ricostruzione grafica dei principali termini tecnici dell’imbarcazione normanna


2. Bayeux, Musée de la Tapisserie, arazzo, particolare raffigurante la costruzione delle navi
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La costruzione e la riparazione dei navigli era appannaggio della pro-
fessionalità scientifico-tecnologica locale, di matrice sia bizantina che
araba 16. Le maestranze operavano soprattutto nei cantieri delle grandi
GIOVANNI COPPOLA

città portuali in cui, accanto al porto commerciale, si trovava la cosid-


detta darsena (dall’arabo dar-as-sin , cioè casa di costruzione) 17. Si tratta-
va di bacini con approdi per il rifornimento delle materie prime, circon-
dati da altri edifici come depositi, magazzini e officine, dove operavano
artigiani specializzati nei lavori di carpenteria e nella confezione di stru-
menti indispensabili alla nautica 18: i carpentieri, sotto la guida del mae-
stro d’ascia, selezionavano i legnami (generalmente quercia o pino) e
procedevano alla messa in opera dell’imbarcazione; l’équipe del calafa-
to, con i segatori e i loro garzoni, che si occupava dell’impeciatura e del-
la verniciatura delle strutture; quella del cannabarius, che si interessava
dell’apparato veliero, nonché degli stalli, del sartiame e delle gomene 19;
altri artigiani costruivano i remi, le ancore, le vele e così via 20 (fig. 2).
Una rassegna dei materiali e della manodopera presente in un arse-
nale normanno è descritta compiutamente dal cronista Goffredo Mala-
terra:
«Il duca Roberto appresta la flotta per la Grecia [...]/ Dovunque spera di tro-
vare legname da costruzione:/ non si rifiuta nulla, nemmeno i prodotti più grezzi./
Si cerca di utilizzare anche cose prima trascurate./ Si mobilitano i più esperti tra gli
spaccalegna:/ da ogni parte si assoldano i maestri carpentieri./ Cadono abbattuti
gli alberi; vengono tagliati, poi li piallano/ i falegnami. Il fabbro accosta sul fuoco
il ferro./ Si forgia l’ancora, si modella la forma dei timoni./ Si va allestendo la strut-
tura della nave, inchiodata nelle commessure./ Gli operai con la stoppa chiudono
le fessure più riposte,/ e vi passano sopra la pece liquida./ Alcuni rammendano le
vele, altri danno mano alle funi./ Non si prepara una sola nave, ma si appronta una
flotta. [...]/ La flotta per il limpido mare si dirige verso Otranto» 21.
Nel Mezzogiorno normanno, uno dei principali arsenali, nonché
punto di sosta e di transito lungo la rotta tirrenica, era Napoli, dov’è do-
cumentata una darsena già in epoca ducale, che risulta attiva ancora
verso il 1186 quando, nelle fonti, viene indicata come di proprietà regia.
Il porto, detto de Arcina, cioè dell’arsenale, con i cantieri e gli opifici,
sorgeva probabilmente accanto a quello commerciale, il Vulpulum, ri-
servato al traffico di merci. Entrambi erano inglobati nella cinta mura-
ria urbana 22.
Anche Bari era sede di un arsenale: enumerando i porti della costa
pugliese, Idrisi affermava che la città era «la capitale del territorio dei
Longobardi... attrezzata per la costruzione di navi» 23.
Palermo, invece, in epoca araba (IX-XI secolo) era il crocevia, per la

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sua posizione al centro del Mediterraneo, dei paesi musulmani d’Africa,
di Spagna e di Levante e quelli cristiano di occidente. La città vantava

I NORMANNI E IL MARE. NOTAZIONI SULLA FLOTTA, SUGLI ARSENALI E SULLE BATTAGLIE


la presenza di un arsenale ben attrezzato, che rimase in funzione fin-
tanto che poté usufruire della ricchezza mineraria e del legname d’alto
fusto del luogo, ampiamente diffuso a quell’epoca, tanto da alimentare
i flussi commerciali verso il Maghreb, sin dall’VIII secolo 24. Con l’esau-
rirsi progressivo delle risorse 25 e con la necessità di importare da altri si-
ti le materie prime, l’arsenale decadde progressivamente, a vantaggio di
quello della fiorente Messina.
Infatti, la città sullo Stretto iniziò a svolgere un ruolo di primo piano
prima durante la contea e poi con il Regno, in quanto scalo intermedio
lungo il percorso tra l’Occidente e l’Oriente del Mediterraneo, passag-
gio tra la parte insulare e continentale del Regno e preferito dalle navi
che trasportavano merci e pellegrini 26. Il nuovo centro cantieristico po-
teva contare sul ferro delle miniere delle alture sopra la città; del legna-
me dei boschi di Randazzo e dell’Etna, delle Caronie, di Nicosia, e del-
la pece proveniente da Mascali e dalla vicina Calabria 27. Una delle ra-
gioni della sua ascesa, inoltre, fu la facilità di approdo,
«dato che non vi è nave, di qualsiasi stazza essa sia, che non possa gettar l’an-
cora nei pressi della spiaggia in modo da procedere allo scarico delle merci pas-
sandole di mano in mano fino alla terraferma», ma anche la capienza dell’arsenale
poiché «è da qui [Messina] che ormeggiano e salpano le imbarcazioni provenienti
da tutti i paesi costieri dei Rum [cioè dei cristiani]» 28.
Nonostante la presenza dei grandi centri cantieristici citati, il
Mezzogiorno possedeva porti e scali anche di piccole e medie dimen-
sioni, dalla cui presenza dipendevano le fortune delle città che li ospi-
tavano e del vicino entroterra. La fitta rete di approdi leniva l’appren-
sione per il mare grosso e per le intemperie, infatti erano provvidenzia-
li in caso di capricci improvvisi del mare e dei venti 29.
Per quanto concerne le tipologie di imbarcazioni presenti nella flot-
ta normanna, nonostante le fonti offrano informazioni poco dettagliate
e spesso termini generici 30, si distinguono tra le navi da guerra le libur-
ne e le galee.
La liburna 31 era un tipo di nave da guerra del tardo impero romano,
molto agile, proveniente dal popolo dei Liburni, abitanti della Dalma-
zia meridionale. Da essa derivò il dromone, ovvero la principale nave
bizantina, nata tra il IV e il V secolo circa, che ne conservò le caratteri-
stiche essenziali. Pertanto, per descrivere la liburna, occorre rifarsi al
450
dromone, anch’esso citato nelle fonti normanne 32, la cui struttura ven-
ne descritta dettagliatamente dall’imperatore bizantino Leone VI, detto
il Filosofo o anche il Saggio (866-912), nei Tactica, la sua opera sulla stra-
GIOVANNI COPPOLA

tegia militare 33. La nave in questione era lunga circa 40 metri e larga cir-
ca 7, la cui chiglia era generalmente in legno di quercia, mentre il fa-
sciame era composto da tavole in legno di pino o faggio. L’impermea-
bilizzazione era data dal «calafataggio», imbevendo di pece fibre di ca-
napa o stoppa e inserendole tra il fasciame. La propulsione, invece, po-
teva avvenire sia a remi sia a vela. Il dromone più diffuso era una nave
bireme, cioè dotata di due file sovrapposte di remi su ciascun fianco,
generalmente con 25 banchi di voga per fila, e poteva contenere circa
200 uomini, tra ciurma, soldati pronti per il combattimento, il capitano
e gli altri ufficiali che permanevano sul ponte di coperta 34.
Quando il vento era favorevole si procedeva navigando a vela, fissa-
ta alle estremità dell’albero centrale. Essa poteva essere rettangolare,
anche detta «alla quadra», oppure triangolare «alla latina» (in realtà
corruzione linguistica dell’espressione «alla trina»), più capaci di strin-
gere il vento 35.
La direzione della rotta veniva data, in mancanza di un timone vero
e proprio, da due pale disposte obliquamente sui fianchi della poppa,
azionate mediante cordami o cavicchi 36. A causa della conformazione
lunga e stretta, inoltre, a bordo non c’era spazio per immagazzinare
grosse riserve di cibo e acqua, pertanto non permetteva una lunga per-
manenza a largo 37. Il dromone, rispetto alla liburna, aveva le fiancate
più basse e l’assenza dello sperone subacqueo, cioè il tipico rostro ro-
mano 38 (fig. 3).
La galea 39 soppiantò lentamente il dromone a partire dal XII secolo.
Imbarcazione di origine bizantina, essa era adatta per le ricognizioni co-
stiere e per le operazioni militari. Dal punto di vista morfologico, era
caratterizzata da una lunghezza che variava tra i 40 e i 45 metri, come il
dromone ma, rispetto a quest’ultimo, anche da una sottigliezza di circa
5 metri, risultando snella e veloce proprio come un pesce (galeos, in gre-
co significa pesce spada). Lo scafo, inoltre, aveva bordi bassi ed era pri-
vo di ponte di copertura per quasi l’intera lunghezza, eccettuate solo le
zone estreme della poppa e della prua. Ciò, da un lato, alleggeriva la na-
ve, dall’altro costringeva gli uomini a stare perennemente allo scoperto
e ad agire in uno spazio molto angusto. A poppa trovavano posto l’al-
loggio degli ufficiali e il ponte di comando, mentre la prua era munita
di un lungo sperone non subacqueo, come invece era il rostro delle na-
451
I NORMANNI E IL MARE. NOTAZIONI SULLA FLOTTA, SUGLI ARSENALI E SULLE BATTAGLIE
3. Galea normanna con vela alla latina

vi romane, ma sporgente fuori dall’acqua, sulla stessa linea del bordo,


al fine di frantumare, durante uno scontro navale, prima i remi del ne-
mico e poi lo scafo 40.
La propulsione, come per il dromone, era realizzata sia a remi che a
vela. La galea era munita di un solo ordine di remi, di norma con 25
banchi di voga su ciascun lato, dove trovavano posto, per ogni banco,
due persone, necessarie per manovrare remi di otto metri di lunghezza
e del peso di circa sessanta chili 41. L’uso dei remi rimaneva indispensa-
bile per le manovre nei porti, nei combattimenti singoli e nelle battaglie
navali di grandi flotte militari 42.
Lungo i fianchi dell’imbarcazione, inoltre, si trovava il cosiddetto po-
sticcio, cioè un telaio rettangolare leggermente aggettante fuori bordo,
che fungeva sia da alloggiamento degli scalmi, cui erano assicurati tutti
i remi del palamento, sia, in assetto di guerra, da camminamento per la
guardia armata: in questo caso, veniva protetto con pelli o scudi, che di-
fendevano gli uomini dai colpi nemici durante la fase dell’abbordaggio.
Inoltre, sulle cime degli alberi erano predisposte le «coffe», piattaforme
452
semicircolari dotate di ringhiera, utili sia durante i combattimenti sia
come punti di osservazione per le vedette 43.
Se manovrabilità e velocità ne costituivano i pregi, la galea aveva di
GIOVANNI COPPOLA

contro una limitata capacità di carico, rendendola inadeguata a traver-


sate oceaniche: la forma stretta e lunga dello scafo, considerato il nu-
mero dei passeggeri, doveva limitare fortemente l’ingombro dei banchi
e delle scorte alimentari tali per un periodo di tempo troppo lungo 44.
Inoltre, sotto la linea di galleggiamento, la galea presentava un pescag-
gio poco profondo: se da un lato costituiva un vantaggio per approdi in
baie con fondali bassi e per tagliare velocemente tranquille superfici
marine, dall’altro creava problemi in condizioni di mare grosso, limi-
tandone l’uso in mare aperto.
Tra le navi da guerra figuravano nella flotta normanna anche altre ti-
pologie:
– la saetta: una nave a remi, piccola e sottile, con un solo rematore
per banco, molto veloce, adatta, durante le battaglie, per le comunica-
zioni rapide e per i servizi di spionaggio 45.
– la galea trireme: un tipo di imbarcazione diversa dall’omonima ro-
mana 46. Era in sostanza una galea in cui ogni banco di voga era dotato
di tre remi, anziché di uno solo, manovrati da altrettanti uomini, sedu-
ti l’uno accanto all’altro sullo stesso scanno. Al tal fine, gli scalmi dei re-
mi corrispondenti a ciascun banco venivano ravvicinati, raggruppati,
appunto a tre a tre. La trireme, infine, in quanto galea, era munita di ro-
stro dalla parte della prua, mentre a poppa era presente lo stesso dop-
pio timone dei dromoni 47.
– il gatto, citato per la prima volta da Amato di Montecassino 48, era
una nave di cui non si conoscono le precise caratteristiche strutturali,
ma è molto probabile fosse a metà strada tra una nave da guerra e una
nave da carico 49 e che fungesse da sostegno e da rifornimento per le na-
vi più veloci. Infatti, il gatto doveva avere un aspetto più tozzo e pan-
ciuto, la propulsione sia a vela che a remi, ma in numero ridotto per ri-
sparmiare spazio. Esso era destinato, al trasporto di materiali quali ci-
bo, acqua, armi di scorta ma soprattutto i cavalli 50.
Infatti, per i Normanni era fondamentale trasportare in nave le ca-
valcature da guerra, determinanti per la riuscita dell’attacco frontale.
A tal fine erano indispensabili attrezzi specifici, come montacarichi e
sottopancia, affinché gli animali non si ferissero con urti violenti du-
rante la traversata. È ipotizzabile che essi conoscessero una forma pri-
mitiva dei cosiddetti uscieri, ovvero imbarcazioni con grandi portelli
453
I NORMANNI E IL MARE. NOTAZIONI SULLA FLOTTA, SUGLI ARSENALI E SULLE BATTAGLIE
4. Bayeux, Musée de la Tapisserie, arazzo, particolare raffigurante il trasporto in nave dei
soldati e dei cavalli

aperti poco sopra la linea di galleggiamento, per facilitare l’imbarco e lo


sbarco, diffusisi nel Mediterraneo a partire dal tardo XII secolo 51. Una
volta a bordo, gli equini venivano ospitati in strutture progettate appo-
sitamente per tenerli sospesi con delle cinghie e in queste condizioni, gli
animali potevano ferirsi anche gravemente (fig. 4).
In mancanza di queste strutture, i fianchi bassi delle galee rendevano
agevole lo sbarco degli animali direttamente sulle banchine, o transi-
tando su semplici passerelle, oppure saltando direttamente nelle acque
basse, in modo simile a quello illustrato nell’Arazzo di Bayeux 52. In casi
eccezionali si arrivava addirittura a modificare la morfologia degli ap-
prodi: conquistata Bari, il Guiscardo si fermò per due mesi a Otranto,
dove fece tagliare un monte per facilitare la discesa a mare e l’imbarco
dei cavalli sulle navi 53.
Tuttavia, a bordo rimaneva il problema dello spazio disponibile.
454
Esso limitava fortemente il numero degli animali trasportabili, che non
doveva superare la ventina 54, i quali, a loro volta, potevano compro-
mettere la stabilità delle imbarcazioni nel corso della navigazione.
GIOVANNI COPPOLA

Infatti, al rientro dalla prima spedizione siciliana, i soldati di Ruggero


I furono costretti a uccidere parte delle loro cavalcature perché con il
mare grosso c’era il rischio che esse rendessero difficoltoso il viaggio o
che lo ritardassero 55.
Per governare le imbarcazioni erano necessari equipaggi specializza-
ti e, come accennato, nei primi anni della conquista i Normanni si ser-
virono di manodopera locale che, oltretutto, doveva possedere una
buona conoscenza delle coste e dei fondali mediterranei. Marinai cala-
bresi, ad esempio, sono menzionati nelle operazioni su Messina e su
Bari; calabresi e pugliesi a Palermo nel 1071; a Salerno, soldati latini,
greci e saraceni 56.
L’equipaggio di una nave medievale era generalmente composto da
nostromi, da un timoniere, da marinai, mozzi e vedette, sotto la giuda di
un comandante, a cui erano sottoposti ufficiali e sottoufficiali. Come
mostrato dall’Arazzo di Bayeux, il personale di bordo era diviso in tre
parti: nella parte posteriore, a poppa, si trovava il timoniere, che aveva
la responsabilità del governo della nave; nella parte centrale trovavano
posto i rematori; infine, nella parte anteriore, a prua, c’era la vedetta, col
compito di avvistare nemici od eventuali minacce. Tra i nostromi, un uo-
mo era addetto a manovrare la vela, un altro si occupava dell’albero 57.
Col nome di ammiraglio 58, invece, si indicava, fino alla prima metà
del XII, una figura chiave nell’amministrazione centrale del Regno,
stretto collaboratore del Conte e successivamente Re di Sicilia, che po-
teva essere investito, tra gli altri, anche del compito di guidare la flot-
ta regia in guerra 59.
La navigazione si svolgeva nella maggioranza dei casi in prossimità
delle coste, non in alto mare, non solo per lo scarso spazio delle imbar-
cazioni da guerra, ma anche perché la vicinanza dei litorali, dei porti e
dei rifugi, consentiva di reagire con prontezza in caso di improvvisi
cambiamenti di vento e di mare e di ovviare al rischio di essere colti di
sorpresa da flotte nemiche 60. Inoltre, per questioni strategiche, alcune
rotte si svolgevano di notte: talvolta si trattava di semplici sortite, in cui
si cercava di eludere la guardia nemica 61, altre volte, invece, di veri e
propri scontri, come quello tra Ruggero I e l’emiro di Siracusa, nel
1085 62. Raramente vengono menzionate fiaccole disposte sugli alberi
delle imbarcazioni per segnalare agli altri natanti la propria presenza,
come nel caso dell’assedio di Bari del 1071 63; più probabilmente, in al-

455
cune zone franche sicure, le luminarie erano impiegate nella navigazio-

I NORMANNI E IL MARE. NOTAZIONI SULLA FLOTTA, SUGLI ARSENALI E SULLE BATTAGLIE


ne civile. Dovevano esistere anche dei fari lungo il litorale che indica-
vano la linea di costa per la navigazione notturna o per condizioni di
tempo sfavorevole, come quello documentato a Canne, alla foce
dell’Ofanto, o a Messina, che era chiamata la città del Faro 64.
Sebbene le carte nautiche si diffusero soprattutto a partire dal XIII se-
colo, per l’epoca normanna, è ipotizzabile l’esistenza di appunti o com-
pilazioni, frutto di rilevamenti costieri realizzati empiricamente a vista,
sia con l’ausilio dell’ago magnetico, che secondo la stima delle distanze
percorse 65. La bussola 66, detta anche compasso, nota già verso la fine
dell’XI secolo, venne perfezionata nel XIII secolo. L’insicurezza dei mari
aumentava l’importanza del ruolo svolto dai marinari, che in condizio-
ni disagevoli diventava fondamentale: il saper calcolare le condizioni
del mare, la forza e la direzione del vento, il carico, l’apparecchiatura
velica e quella dei remi. Spesso ci si orientava con le stelle e infatti, col
sopraggiungere dei mesi invernali, in condizioni di scarsa visibilità, si
preferiva lasciare la preziosa flotta al riposo in porti riparati, come quel-
lo di Trapani, di Mazara o Lampedusa 67, in attesa della primavera, pe-
riodo dell’anno più favorevole alla navigazione.
I Normanni, abili nell’arte dell’assedio terrestre, non si allontanaro-
no, almeno agli inizi della conquista del Sud Italia, da questa tipologia
di attacco anche quando si trattava di città costiere. Infatti, essi adotta-
rono quello che Aldo Settia ha definito felicemente «blocco anfibio»,
che prevedeva, oltre ai consueti mezzi ossidionali terrestri, l’indispen-
sabile uso della flotta, al fine di impedire, sia dal lato di terra che dal la-
to del mare, l’arrivo di aiuti e rifornimenti, così da logorare material-
mente e psicologicamente gli abitanti per indurli alla resa 68.
Le prime spedizioni navali normanne in Sicilia, che tra il 1060 e il 1061
fruttarono la conquista di Messina, si caratterizzarono per una relativa
facilità, probabilmente perché in quella circostanza, l’impiego della
flotta era servito a traghettare da una riva all’altra le forze di terra 69. La
conquista della città comportò diversi sbarchi, ognuno dei quali aveva
il suo preciso obiettivo, nei quali furono coinvolti sia la flotta di
Ruggero I che quella costituita da Roberto il Guiscardo in Puglia, per
un totale di cinquantotto navi. Il primo sbarco mirò a una perlustrazio-
ne delle mura, il secondo ad un raid nella zona nord-est dell’isola e il
terzo all’attacco definitivo della città, indebolita da cinque mesi di bloc-
co 70. Tali manovre possono essere considerate come un vero e proprio
456
GIOVANNI COPPOLA

5. Bayeux, Musée de la Tapisserie, arazzo, particolare raffigurante la flotta normanna in


Magno navigio (durante la grande traversata)

esempio di «operazioni combinate», per l’uso simultaneo di forze ter-


restri e forze marittime (fig. 5).
La stessa tattica fu seguita per la conquista di Bari che, tra il 1068 e il
1071, fu sottoposta ad un assedio incrociato per mare e per terra: nell’a-
gosto del 1068, mentre l’esercito di Roberto il Guiscardo circondava la
parte interna del capoluogo pugliese, ponendo il suo accampamento e
i suoi uomini all’uscita delle porte, l’ingresso del porto veniva bloccato
con una serie di imbarcazioni legate tra loro con catene di ferro, in mo-
do da impedire la fuga o il passaggio di imbarcazioni nemiche 71.
Intanto, un’altra parte della flotta compiva ricognizioni lungo le coste
per intercettare eventuali soccorsi agli assediati. Nonostante queste mi-
sure, alcune imbarcazioni baresi riuscirono ad eludere il blocco e a
chiedere aiuto a Costantinopoli. L’imperatore Romano IV Diogene in-
viò una flotta capitanata da un condottiero normanno chiamato
Gocelino, passato alla parte bizantina. Questi, entrando in città di not-
te, si avvicinò alle coste baresi con le fiaccole accese, per dare segnale
del loro arrivo agli assediati. La flotta normanna, però, intercettati i ne-
mici, decise di scontrarsi di notte e, disponendosi in assetto di combat-
timento, andò incontro ai Greci 72. La nave di Gocelino venne conqui-
stata con un arrembaggio tanto violento che, nello scontro, perirono
circa centocinquanta soldati normanni, annegati sotto il peso delle ar-
mature. Tuttavia i Normanni ebbero la meglio e la città uscì stremata
dalla fame, dopo tre anni di assedio, con il duca Roberto che «multum
simul et novitate triumphi/Aequorei gaudet» 73.
Quest’ultimo infatti, fiducioso della nuova forza marittima, spedì la

457
sua flotta in Sicilia, alla volta di Palermo, nel luglio del 1071, con l’in-
tento di attaccarla dal mare. Qui, coadiuvato dalla flotta di Ruggero, il

I NORMANNI E IL MARE. NOTAZIONI SULLA FLOTTA, SUGLI ARSENALI E SULLE BATTAGLIE


duca decise di schierare al largo del porto palermitano su un lato le na-
vi del fratello, sull’altro le proprie, composte da una ciurma di
Calabresi, Pugliesi e secondo il cronista Guglielmo di Puglia, anche dei
Greci e dei Baresi da poco arruolati 74. La flotta palermitana, rafforzata
da navi africane, si schierò in assetto di combattimento, ricoprendo le
navi di feltri rossi, per evitare che i lanci di pietre, di giavellotti o mate-
riali incendiari potessero danneggiare le imbarcazioni 75. Dopo un’ini-
ziale resistenza da parte musulmana, i Normanni iniziarono ad avere la
meglio, riuscendo a catturare e ad affondare alcune navi, mentre la
maggior parte fuggì a colpi di remi. Una volta giunti al porto, i battelli
scampati all’assalto normanno furono incatenati in modo tale da for-
mare una barriera, ma solo per breve tempo, in quanto il duca e i suoi
riuscirono ad impossessarsene e ad incendiarne la maggior parte.
Successivamente, lo scontro si spostò sotto le mura e l’esito fu la con-
quista della città attraverso l’uso delle scale d’assalto.
Pertanto, come emerge da questi episodi, le imbarcazioni, unite con
catene di ferro, venivano impiegate come preciso strumento ossidiona-
le, alla stessa stregua delle macchine da guerra e dei piantonamenti mi-
litari terrestri 76.
Durante gli scontri navali veri e propri, invece, una volta schierata la
flotta in assetto di guerra, le navi nemiche cercavano, avvicinandosi
pian piano, di danneggiarsi il più possibile con le armi da getto, quali
pietre, giavellotti, frecce, cartocci di calce viva, spruzzi di olio bollente
o di fuoco greco, se si trattava di bizantini. Le pietre più grosse poteva-
no essere lanciate mediante mangani o altre macchine situate a prua.
Una volta in prossimità delle navi avversarie, balestrieri ed arcieri pren-
devano posto sui posticci delle galee procedendo nel lancio di proiettili
e sostanze incendiarie. A questo punto si tentavano lo speronamento e
l’abbordaggio, con il conseguente combattimento corpo a corpo 77.
Durante le azioni militari, i vogatori si avvicinavano alle navi nemiche e
partecipavano al combattimento insieme agli altri armati, in quanto era-
no forniti di elmo, corazza e spada, per intervenire all’occorrenza 78.
La flotta, inoltre, poteva anche servire per compiere raid costieri che,
diffondendo il panico, scoraggiavano ulteriormente l’invio di aiuti da
parte delle comunità vicine 79, come avvenne a Taormina nel 1079 80, a
Siracusa nel 1085 81 e ad Amalfi nel 1131 82.
458
Le spedizioni marittime si moltiplicarono nel corso del XII secolo, so-
prattutto quando Ruggero II volle intraprendere la conquista del Nord
Africa, sfruttando i dissidi interni tra i principi musulmani e la dipen-
GIOVANNI COPPOLA

denza di questi ultimi dai rifornimenti di grano siciliano. Con la con-


quista di Gerba 83, nel 1135, l’isola divenne un vero centro di pirateria
normanno, da cui partivano gli attacchi e i saccheggi alle navi musul-
mane, guidati dall’ammiraglio Giorgio d’Antiochia, esperto delle coste
d’Ifriqiya.
Con la conquista di Tripoli, nel 1146, la flotta normanna, forte di 200
navi, si impadronì della città in tre giorni 84 e da quel momento in poi gli
atti di pirateria cedettero il posto ad una politica di espansione più sta-
bile e duratura, puntando al controllo sulle rotte commerciali musul-
mane. Infatti, con lo sbarco e conquista di Mahdia, nel 1148, la domina-
zione normanna in Africa raggiunse la sua massima estensione e
Ruggero II divenne anche signore del mare, tanto che «tutta l’Africa tre-
mava davanti a lui» 85.

NOTE
1
W. Cohn, Die Geschichte der sizilischen Flotte 1060-1266, Aalen 1978; M. Tangheroni,
Commercio e navigazione nel Medioevo, Roma-Bari 1996.
2
Infatti, come scrive il poeta Guglielmo di Puglia, al momento del loro arrivo in Italia me-
ridionale, nei primi anni dell’XI secolo, i Normanni non si interessarono subito di naviga-
zione: Guglielmo di Puglia, La geste de Robert Guiscard, a cura di M. Mathieu, Palermo
1961, III, v. 132, p. 170, Istituto Siciliano di studi Bizantini e Neoellenici. Testi e monumen-
ti, 4. Si veda anche M. A. Bragadin, Le navi, le loro strutture e attrezzature nell’alto medioe-
vo, in La navigazione mediterranea nell’Alto Medioevo, Settimane di Studio del Centro
Italiano di Studi sull’Alto Medioevo, XXV (Spoleto 14-20 aprile 1977), Spoleto 1978, pp.
389-408.
3
Per un quadro storico generale si rimanda a F. Chalandon, Storia della dominazione nor-
manna in Italia ed in Sicilia, Alife 1999-2002: I, 8, pp. 225-247 (Sicilia); I, 14, pp. 426-439 e
II, 4, pp. 178-187 (Nord Africa); I, 12, pp. 352-353 (Prima Crociata); II, 14, pp. 473-499
(Terza Crociata).
4
Cfr. L. Musset, La Tapisserie de Bayeux, La-Pierre-Qui-Vire 1989, scena 38, pp. 196-199;
scena 39, pp. 200-203; scena 40, pp. 204-205.
5
É. Ridel, Les navires de la conquête. Construction navale et navigation à l’époque de
Guillaume le Conquérant, Cully 2010, pp. 18-21; Musset, La Tapisserie..., scena 39-39, pp.
200-201. Sull’Arazzo di Bayeux viene rappresentata anche una terza tipologia di imbarcazio-
ne: piccola, probabilmente di tipo germanico, con pochi uomini a bordo. La Ridel ipotizza
che essa fosse destinata a piccole tratte e che fosse stata utilizzata durante la traversata della
Manica per trasportare viveri e altri beni di prima necessità Cfr. Ridel, Les navires..., pp. 12-
15. Per il riferimento iconografico di veda: Musset, La Tapisserie..., scena 38, pp. 198-199.
6
Ridel, Les navires..., pp. 23-27; Musset, La Tapisserie..., scene 38-39, pp. 196-203.
7
Ivi, scene 39-40, pp. 202-203.
8
Bragadin, Le navi..., p. 390.
9
Nei porti bizantini pugliesi e calabresi si trovavano numerosi e differenti tipi di imbar-
cazioni, da quelle per fini propriamente commerciali, a quelle utilizzabili per il combatti-
mento. Anche se la concentrazione di navi non doveva essere significativa, le autorità greche

459
ne avevano munito i principali porti in modo tale da garantire non solo la difesa dell’estesa
e vulnerabile fascia costiera, ma anche da intraprendere azioni offensive contro i nemici

I NORMANNI E IL MARE. NOTAZIONI SULLA FLOTTA, SUGLI ARSENALI E SULLE BATTAGLIE


dell’Impero, come, ad esempio, avvenne contro gli Arabi di Sicilia nel 964, nel 1025 e nel
1038. È noto, inoltre, che il porto di Monopoli perse dodici imbarcazioni in uno dei com-
battimenti che si tennero in occasione dell’assedio di Bari, il che lascia pensare che le navi
bizantine fossero attrezzate per il combattimento. Cfr. Lupus Protospatarius, Ignoti civis
Barensis Chronicon, a cura di L. A. Muratori, in Rerum Italicarum Scriptores (d’ora in poi
R.I.S.), Milano 1724, 1, V, p. 153. Sulle imbarcazioni bizantine vedi: R. H. Dolley, Naval
Tactics in the Heyday of the Byzantine Thalassocracy, in Atti dell’VIII Congresso di Studi
Bizantini (Palermo, 3-10 aprile 1951), I, Roma 1953, pp. 324-339; H. Ahrweiler, Byzance et
la mer: la marine de guerre, la politique et les institutions maritimes de Byzance au VIIe-XVe
siècles, Paris 1966.
10
Amato di Montecassino, Storia de’ Normanni di Amato di Montecassino volgarizzata in
antico francese [Ystoire de’ li Normant], a cura di De Bartholomeis, in Fonti per la Storia
d’Italia, 76, Roma 1935, V, 8, p. 231: a Reggio il Duca prepara la prima spedizione verso
Messina radunando «li chevalier de la citè e li home de mer». Ivi, V, 13, p. 234: per la secon-
da spedizione un gran numero di Normanni vindrent de Pouille en Calabre. Per la conquista
di Bari, tra il 1068 e il 1071, il Guiscardo si servì di marinai calabresi: cfr. Guglielmo di Puglia,
La geste..., II, vv. 485-486, p. 158. Questa forma di «reimpiego» è attestata anche nel 1071
contro Palermo, dove fu coinvolto il grosso della marineria proveniente da Bari, conquistata
poco prima della seconda città siciliana. cfr. Romualdo Guarna, Romualdi Salernitani
Chronicon, a cura di C. A. Garufi, in R.I.S., Città di Castello 1909-1935, 2, VII, 1, p. 188.
11
Goffredo Malaterra, De rebus gestis Rogerii Calabriae et Siciliae comitis et Roberti
Guiscardi Ducis Fratris eius, a cura di E. Pontieri, in R.I.S., 5, Bologna 1927, III, 14, pp. 65-66.
12
Sulle imprese mediterranee dei Normanni consultare: Il Mezzogiorno normanno-svevo e
le Crociate, Atti delle XIV giornate normanno-sveve (Bari 17-20 ottobre 2000), a cura di G.
Musca, Bari 2002, in particolare i saggi: M. Gallina, La “precrociata” di Roberto il Guiscardo:
un’ambigua definizione, pp. 29-47; S. Tramontana, Ruggero I e la Sicilia musulmana, pp. 50-
64; R. Hiestand, Boemondo I e la prima Crociata, pp. 65-94; A. De Simone, Ruggero II e
l’Africa islamica, pp. 95-129; S. Fodale, Ruggero II e la seconda Crociata, pp. 131-143.
Fondamentali per l’epoca rogeriana sono due biografie: E. Caspar, Ruggero II e la fondazio-
ne della monarchia normanna di Sicilia, Roma-Bari 1999 [titolo originale: Roger II. (1101-
1154) und die Gründung der normannisch-sicilischen Monarchie, Innsbruck 1904; rist.
Darmstadt 1965]; H. Houben, Ruggero II di Sicilia. Un sovrano tra Oriente e Occidente,
Roma-Bari 1999 [titolo originale. Roger II. Von Sizilien. Herrscher zwischen Orient und
Obzident, Darmstadt 1997].
13
E. Cuozzo, Catalogus Baronum. Commentario, Istituto Storico Italiano per il Medio Evo
(Fonti per la Storia d’Italia, 101**), Roma 1984, pp. 198-202, 206-207, 221-223, 226, 231-
233, 235.
14
Come si legge nella Chronica di Santa Maria de Ferraria, cfr. Ignoti Monachi Cistercensis
S. Mariae de Ferraria, Chronica, a cura di A. Gaudenzi, in Monumenti storici, I, Cronache,
Napoli 1888, p. 27 (Società Napoletana di Storia Patria). Cfr. anche E. Cuozzo, Quei male-
detti normanni, Cavalieri e organizzazione militare nel mezzogiorno normanno, Napoli 1989,
pp. 82-83.
15
Il geografo arabo al-Idrisi, infatti, riporta che il territorio italo-meridionale produceva
una gran mole di pece, tanto da poterla esportare: cfr. Al-Idrisi, Il libro di re Ruggero,
Palermo 1994, p. 37.
16
In epoca normanna si registra una generale continuità nelle produzioni artigianali del-
l’epoca precedente, anche in quelle legate alla cantieristica navale, come la produzione tessi-
le, la lavorazione del ferro, la carpenteria: R. Licinio, L’artigiano, in Condizione umana e ruo-
li sociali nel Mezzogiorno normanno-svevo, Atti delle Giornate normanno-sveve (Bari, 17-20
ottobre 1989), a cura di G. Musca, Bari 1991, pp. 164-166.
460
17
Tangheroni, Commercio e navigazione..., pp. 211-212. Il gran numero di ancoraggi e por-
ti attrezzati lungo le coste del Mezzogiorno, lascia supporre che esistessero anche cantieri di
ridotte dimensioni e d’importanza locale, se non addirittura strutture provvisorie montate
GIOVANNI COPPOLA

sulle spiagge, per la costruzione di imbarcazioni più o meno grandi.


18
Sugli arsenali regi e il consumo di legname nella Sicilia medievale, si veda: H. Bresc, Una
flotta mercantile periferica: la marina siciliana medievale, in Studi di storia navale, Firenze 1975,
pp. 7-24; P. Corrao, Arsenali, costruzioni navali ed attrezzature portuali in Sicilia (secoli X-XV),
in Arsenali e città nell’Occidente europeo, a cura di E. Concina, Firenze 1987, pp. 33-50.
19
Cfr. M. Scarlata, Ciurme, patroni e navi nel Mediterraneo (secoli XIII-XV), in I mestieri.
Organizzazione, Tecniche, Linguaggi, Atti del II Congresso internazionale di Studi Antropo-
logici Siciliani (Palermo 26-29 marzo 1980), Palermo 1984, p. 93-98. In Tunisia, a Teboulba,
a una trentina di chilometri a sud di Monastir, ancora oggi è possibile vedere in attività uno
di questi complessi di cantieristica nautica che fa uso esclusivamente del legno per la realiz-
zazione di imbarcazioni.
20
Tangheroni, Commercio e navigazione..., p. 217.
21
Goffredo Malaterra, De rebus gestis..., III, 14, pp. 65-66. Per molti versi la carpenteria
navale aveva straordinarie somiglianze con quella per la costruzione di macchinari ossidio-
nali e, infatti, sembra che in qualche caso le imbarcazioni venissero smontate e i pezzi reim-
piegati: nel corso di assedi in località particolarmente aride e prive di boschi d’alto fusto, il
legno delle imbarcazioni veniva riciclato per la costruzione di macchine da guerra oppure di
strutture abitative per i signori R. Rogers, Latin Siege Warfare in the Twelfth Century, Oxford
1997, pp. 202-203. Sulla lavorazione del legno e sulla carpenteria medievale si veda: G. Cop-
pola, La costruzione nel medioevo, Salerno 1999, pp. 133-161.
22
L’effettiva collocazione del porto di Arcina è ancora discussa, qui si fa riferimento alle
tesi di: G. Galasso, Napoli e il mare, in Itinerari e centri urbani nel Mezzogiorno normanno-
svevo, Atti delle X Giornate normanno-sveve (Bari 21-24 ottobre 1991), a cura di G. Musca,
Bari 1993, pp. 27-37.
23
Idrisi, Il libro..., p. 96. Inoltre, in alcune Consuetudini della città di Bari in uso alla fine
del XII secolo si legge che i navigli utilizzati di solito erano di stazza piuttosto limitata, tra le
venti e le trenta tonnellate. Tali piccole imbarcazioni riuscivano lo stesso ad affrontare sia i
facili attraversamenti verso le vicine coste dell’Albania, della Dalmazia e della Grecia, sia ver-
so le più lontane e pericolose mete levantine e nordafricane. Cfr. T. Massa, Le Consuetudini
della città di Bari. Studi ricerche, Bari 1903, pp. 194-195.
24
Idrisi, Il libro..., p. 31; I. Peri, Uomini, città e campagne in Sicilia dall’XI al XIII secolo,
Roma-Bari 1978, pp. 4-7, 15-18; Tramontana, Palermo e la terra, in Itinerari e centri urbani...,
pp. 86-87.
25
Cfr. F. Porsia, Miniere e minerali, in Uomo e ambiente nel Mezzogiorno normanno-svevo,
Atti delle VIII Giornate normanno-sveve (Bari, 20-23 ottobre 1987), a cura di G. Musca,
Bari, pp. 241-273.
26
I. Peri, Uomini, città e campagne in Sicilia dall’XI al XIII secolo, Roma-Bari 1978, pp. 14-
17; S. Tramontana, Messina normanna, in Nuovi annali della Facoltà di Magistero del-
l’Università di Messina, 1, 1983, pp. 629-640; Pispisa, Messina, Catania..., p. 149.
27
Peri, Uomini, città..., pp. 15-18. In particolare, sull’attività portuale di Messina: Pispisa,
Messina, Catania..., pp. 147-157; Tangheroni, Commercio e navigazione..., pp. 212-213.
28
Idrisi, Il libro..., p. 36. Anche Ibn Jubayr (Valencia 1145-Alessandria d’Egitto 1217) al-
tro noto viaggiatore arabo, visitando il porto di Messina qualche decennio più tardi, ne dà
pressappoco la stessa interpretazione. Riportiamo qui un passaggio del suo rendiconto di
viaggio: «Le port est un des plus merveilleux, parce que le gros navires peuvent approcher
de la côte jusqu’à presque la toucher. On jette du bateau à la rive une poutre sur laquelle on
va et on vient. Les portefaix y montent avec leurs charges et, de ce fait, on n’a pas besoin de
barques pour charger ou décharger les navires à moins qu’ils soient à l’ancre un peu plus
loin. On voit donc les navires rangés le long de la côte comme le sont les chevaux dans les
relais ou les écuries. C’est la grande profondeur de l’eau dans le port qui permet cela». Ibn
Jubayr, Rihla (Relation des péripéties qui surviennent pendant les voyages), Voyageurs arabes,

461
par P. Charles-Dominique, Paris 1995, p. 344.
29
Anche gli altri porti pugliesi di Brindisi, Otranto e Taranto, che del resto vantavano una

I NORMANNI E IL MARE. NOTAZIONI SULLA FLOTTA, SUGLI ARSENALI E SULLE BATTAGLIE


lunga tradizione, erano trafficati sin dall’XI secolo in ragione della loro vicinanza all’Orien-
te, costituendo scalo privilegiato per quanti, mercanti, pellegrini o mercenari, si recavano
nelle terre dell’Impero in cerca di fortuna o verso i luoghi sacri alla Cristianità. Dopo la
creazione del principato di Antiochia, inoltre, questi porti conobbero una nuova espansio-
ne dovuta all’incremento dei traffici con l’Oriente crociato. Per la conquista di Antiochia:
Hiestand, Boemondo I..., pp. 65-94; F. Cardini, N. Lozito, B. Vetere, Boemondo. Storia di un
principe normanno, Galatina 2003. Sui traffici tra porti pugliesi e coste orientali: P. Corsi,
Bari e il mare, in Itinerari e centri urbani..., pp. 91-119; B. Vetere, Brindisi e Otranto, Itine-
rari e centri urbani..., pp. 427-449; Von Falkenhausen, in Taranto, Itinerari e centri urbani...,
pp. 451-475.
30
Cohn, Die Geschichte..., pp. 87-88.
31
Roberto il Guiscardo parte alla volta di Durazzo nel 1081: «decies et quinque liburnis
Adria sulcatur». Guglielmo di Puglia, La geste..., IV, vv. 200-201, p. 214. Le truppe di
Ruggero II si allontanano dalla costa amalfitana in cerca di bottino «cum liburnis quattuor»:
Cfr. Alessandro di Telese, Alexandri Telesini abbatis Ystoria Rogerii regis Sicilie, Calabrie et
Apulie, in L. De Nava - D. Clementi (a cura di), Roma 1991, 112, III, 24, p. 71 (Fonti per la
Storia d’Italia).
32
Goffredo Malaterra racconta che durante le prime mosse della conquista siciliana:
«Nostri denique tantum modo germundos et galeas (...) habebant». Cfr. Goffredo Malaterra,
De rebus gestis..., II, 8, pp. 31-32. Secondo M. Amari, i Germundos di cui parla Malaterra sa-
rebbero la lezione erronea di Dermundos che è a sua volta la corruzione di Dromone. Cfr. M.
Amari, Storia dei Musulmani di Sicilia, Firenze 1868, III, 2, p. 66. Alberto di Aquisgrana, in-
vece, nella sua Historia Ierosolimitana, racconta a proposito di Adelaide del Vasto, terza mo-
glie di Ruggero I il Gran Conte e sposa in seconde nozze di Baldovino I re di Gerusalemme,
che al momento di partire per la Terra Santa nel 1113 «fuerunt ei duo dromones triremes»:
Albert of Aachen, Historia Ierosolimitana. History of the Journey to Jerusalem, a cura di S.B.
Edgington, Oxford 2007, XII, cap. 13, p. 842. Per la storia di Adelaide si veda: Chalandon,
Storia della dominazione..., I, 14, pp. 412-422.
33
Cfr. J. H. Pryor - E. M. Jeffreys, The Age of the Dromon: the Byzantine Navy ca 500-1204,
Leida-Boston 2006.
34
Cohn, Die Geschichte..., pp. 89-91; Bragadin, Le navi..., pp. 392-395.
35
Ibidem, pp. 394-395; Tangheroni, Commercio e navigazione..., pp. 187-189. Le forme
miste di velatura, cioè combinazione dell’uso di vele quadre e vele triangolari, fu introdotta
solo a partire dal XIII secolo: l’albero maestro portava una grossa vela quadra, mentre l’al-
bero di bompresso (anteriore) e quello di mezzana (posteriore) la vela triangolare. Tutto ciò,
ovviamente, consentì una maggiore manovrabilità e adattabilità ai repentini cambiamenti di
tempo anche con un numero ridotto di equipaggio.
36
Solo nel XIII secolo cominciò ad essere adottato il timone che usiamo ancora oggi, for-
mato da una sola pala verticale, incernierata sul filo della poppa e governata mediante una
sovrastante barra orizzontale. Questo nuovo timone giunse nel Mediterraneo attraverso gli
arabi. Cfr. Bragadin, Le navi..., pp. 394-395.
37
Tra gli altri consigli forniti dal trattato di Leone VI per una serena permanenza in ma-
re, oltre a un buon rifornimento d’acqua, c’era quello di non dimenticare timoni e remi di ri-
serva, cime, tavole di legno, corda da miccia, pece e catrame, ovvero tutti quegli accorgimenti
necessari per le riparazioni di una nave, come asce, trivelle e seghe.
38
Bragadin, Le navi..., pp. 392-393.
39
Nelle operazioni di ricognizione dello stretto di Messina nel 1060, il Guiscardo utilizzò
«galéez subtilissime et molt velocissime». Cfr. Amato di Montecassino, Storia de’ Norman-
ni..., V, 14, p. 235. Durante l’assedio di Bari, tra il 1068 e il 1071, la città mandò un suo rap-
presentante a chiedere aiuto all’Imperatore bizantino: «Et lo Duc sot que Besantie retornoit,
462
més non sot que retornoit o plus de nefs. Et manda troiz galées pour lo prendre; de liquel
galée furent prise dui de Bisantie, e la tierce torna à lo Duc’». Cfr. Ivi, V, 27, p. 250. Dopo la
presa di Bari, il Guiscardo spedisce la sua flotta in Sicilia nel luglio del 1071. Da Messina si
GIOVANNI COPPOLA

diresse verso Palermo, salendo su una galea: «et lo Duc Robert, (...), estoit salli en la galèe;
laquelle estoit acompaingnié de x gat et xi autres nez». Ivi, VI, 14, p. 277. Per l’assedio di
Trapani il Guiscardo si servì di «splendentes galeas». Cfr. Goffredo Malaterra, De rebus ge-
stis..., III, 11, pp. 62-63. In età Ruggeriana le menzioni nelle fonti si fanno più frequenti. Ad
esempio, Al Nuwayri, scrittore musulmano, racconta che Ruggero II mandò in aiuto a Rafì
ibn Makan, della tribù berbera di Dahmân, 24 galee, a Gabés, in Tunisia. Cfr. An Nuwayri,
Biblioteca arabo-sicula, a cura di M. Amari, Torino-Roma 1880, cap. 48, ad annum 511 (5
maggio 1117-23 aprile 1118), p. 184; Amari, Storia..., III, 2, p. 370. Nel 1147, Ruggero partì
alla volta del Nord Africa con 250 galee. Cfr. Ibn Al Atir, Biblioteca arabo-sicula..., cap. 35,
ad annum 543 (22 maggio 1148-10 maggio 1149) pp. 119-121.
40
Bragadin, Le navi..., pp. 398-399; Cohn, Die Geschichte..., pp. 92-95; R. H. Dolly, The
Warships of the Later Roman Empire, in “Journal of Roman Studies”, 38, 1948, pp. 47-53; D.
P. Waley, Combined Operations in Sicily, A.D. 1060-78, in “Papers of the British School at
Rome”, 9, 1954, pp. 118-125.
41
Bragadin, Le navi..., p. 400.
42
Tangheroni, Commercio e navigazione..., pp. 196-198.
43
Bragadin, Le navi..., pp. 400-401.
44
Goffredo Malaterra, De rebus gestis..., II, 45, p. 52: commeatibus et caeteris quae expe-
ditioni congruebant apparatis; si trattava in genere di botti con vino e acqua, di barili con ci-
bi essiccati o salati, carne e pesce, legumi, sacchi di biscotti, cioè pagnotte ben cotte, frutta
secca. Solo lo scalo lungo la rotta poteva assicurare derrate fresche: Tangheroni, Commercio
e navigazione..., pp. 237-239.
45
Cohn, Die Geschichte..., pp. 95-96.
46
Usata contro i Veneziani a Durazzo: Guglielmo di Puglia, La geste..., V, vv. 156-157,
p. 244. A differenza di quella altomedievale, la trireme romana era caratterizzata da tre ordi-
ni di remi, uno sull’altro. Cfr. Bragadin, Le navi..., pp. 400-401.
47
Ibidem.
48
Nel 1061, al momento del primo sbarco in Sicilia, i gatti facevano parte della flotta ara-
ba. Cfr. Goffredo Malaterra, De rebus gestis..., II, 8, pp. 31-32. Durante lo sbarco di Roberto
il Guiscardo a Palermo nel 1071, invece, il Duca salì su una galea accompagnata da «x gat et
xi autres nez».Amato di Montecassino, Storia de’ Normanni..., VI, 14, p. 277. Goffredo
Malaterra, racconta che nel 1081, durante la battaglia di Durazzo, i Veneziani incendiarono
una nave normanna, «quam cattum nominant». Cfr. Goffredo Malaterra, De rebus gestis...,
III, 26, pp. 72-73. Il cattus viene menzionato anche da Alberto da Aquisgrana in occasione
della Crociata, verso la fine del XII secolo, aggiungendo con ovvia esagerazione che era in
grado di trasportare mille uomini: Albert of Aachen, Historia Ierosolimitana..., XII, 17,
p. 849. I gatti vengono nominati anche negli Annales Pisani, nell’anno 1136, al momento del-
l’attacco ad Amalfi da parte dei Pisani: «Rogerius, Sicilie rex, cum septem milia militum et
sexaginta galeis et gattis et navibus cum multitudine peditum Salerni permanentes, civitates
captas succurrere non audente». Cfr. B. Marangone, Annales Pisani, in M. Lupo Gentile (a
cura di), R.I.S., VI, 2, ad annum 1136, p. 9; C. Manfroni, Storia della marineria italiana, I,
Livorno 1897, p. 456; Waley, Combined Operations..., pp. 120-121.
49
Le navi da carico erano fondamentali per il supporto di una flotta da guerra. Roberto il
Guiscardo, nel 1084, contro i Veneziani a Durazzo: «Duxit praeterea naves oneraria qua-
rum/lex erat, has et equis sumptuque replevit et armi set variis rebus, quas aequoris exigit
usus». Guglielmo di Puglia, La geste..., V, vv. 147-149, p. 244. Grazie ai ritrovamenti dell’ar-
cheologia subacquea, il mare di Marsala ha restituito un relitto arabo-normanno di notevole
importanza. Gli studi sono ancora in corso, tuttavia, dal dissabbiamento marino, sono emer-
si 15 metri di struttura a fasciame, anfore e frammenti di terracotta risalenti al XII secolo. Si
tratta probabilmente di una feluca, un’imbarcazione bassa e veloce, utilizzata per la pesca o
per il commercio. Cfr. C. Mocchegiani Carpano, Archeologia subacquea. Note di viaggio nel-

463
l’Italia sommersa, Roma 1986, p. 160.
50
Cohn, Die Geschichte..., pp. 91-92; Bragadin, Le navi..., pp. 402-407.

I NORMANNI E IL MARE. NOTAZIONI SULLA FLOTTA, SUGLI ARSENALI E SULLE BATTAGLIE


51
Il termine «usciere» andrebbe ricondotto a «uscio», in riferimento ad una sorta di ac-
cesso appositamente studiato per farvi accedere i cavalli. Questa tipologia era già nota agli
Arabi nel X secolo e fu sperimentata dalle flotte delle città marinare italiane a partire dal XII
secolo, soprattutto in occasione delle Crociate. Tangheroni, Commercio e navigazione...,
p. 201; Waley, Combined Operations..., pp. 121-122; J. H. Pryor, Transportation of Horses by
Sea during the Era of the Crusades: Eighth Century to 1285 AD. Part II: 1228-1285, in “The
Mariner’s Mirror”, 68, 1982, pp. 103-125.
52
Musset, La Tapisserie..., scene 39-40, pp. 202-205. Nell’esercito di Guglielmo il Con-
quistatore militarono mercenari di diverse etnie: «Apulus et Calaber, Siculus quibus jacula
fervet». È probabile quindi che abbiano istruito il capo Normanno sulle tecniche del tra-
sporto di cavalli sperimentata nel Mezzogiorno. Cfr. Guy di Amiens, De Bello Hastingensi
Carmen, a cura di H. Petrie, in Monumenta Historica Britannica, London 1848, p. 861;
Waley, Combined Operations..., pp. 124-125.
53
Goffredo Malaterra, De rebus gestis..., II, 43, p. 51.
54
Solo per fare un esempio, in occasione della seconda spedizione in Sicilia si menziona-
no 270 cavalieri distribuiti in 13 navi, dunque circa una ventina su ciascuna imbarcazione:
Amato di Montecassino, Storia de’ Normanni..., V, 15, pp. 235-236.
55
Ivi, V, 10, p. 232.
56
Per Messina: ivi, V, 11, p. 234; ivi, VI, 13, pp. 275-276. Per Bari: Guglielmo di Puglia,
La geste..., II, vv. 485-486, p. 158. Per Palermo: Amato di Montecassino, Storia de’
Normanni..., VI, 13, pp. 275-276; Guglielmo di Puglia, La geste..., III, vv. 235-236, p. 176.
Per Salerno: Amato di Montecassino, Storia de’ Normanni..., VIII, 14, p. 354.
57
Circa l’equipaggio: Tangheroni, Commercio e navigazione..., pp. 228-239; Ridel, Les na-
vires..., pp. 50-53. Per le immagini dell’Arazzo cfr. Musset, La Tapisserie..., scene 38-39, pp.
196-203.
58
Il termine di ammiraglio come capo di una flotta, ovvero di amiratus derivato da émir,
non trova nessuna giustificazione razionale e la sua trasformazione semantica adottata dalle
marine medievali resta per certi versi inspiegabile. A tal proposito si veda: L.-R. Menager,
L’Émirat et les origines de l’Amirauté (XIe-XIIIe siècles), Paris 1960, pp. 78-80; 105-109.
59
Ibidem.
60
Waley, Combined Operations..., p. 121; Tangheroni, Commercio e navigazione..., p. 196.
61
Inoltre, nel 1061, durante la seconda spedizione su Messina Ruggero I, con 13 navi e
270 uomini, attraversa lo stretto di notte per eludere il blocco della flotta musulmana: Amato
di Montecassino, Storia de’ Normanni..., V, 15, pp. 235-236.
62
Goffredo Malaterra, De rebus gestis..., IV, 2, pp. 85-86; II, 10, p. 32.
63
Ivi, II, 43, p. 50.
64
Per Canne: R. Iorio, Siponto e Canne, in Itinerari e centri urbani..., p. 421. Per Messina:
Goffredo Malaterra, De rebus gestis..., II, 8, p. 32. Nel corso del XII, con la riorganizzazio-
ne delle infrastrutture regnicole, dovettero moltiplicarsi anche i fari litoranei, così come av-
veniva per le altre potenze marittime: Tangheroni, Commercio e navigazione..., p. 221.
65
L’ago calamitato era già conosciuto alla fine dell’XI secolo, ma si trasformò in una vera
e propria bussola solo verso la fine del Duecento: Ibidem, pp. 192-193. Per le carte nautiche
si veda: G. Ferro, Carte nautiche dal Medioevo all’Età moderna, Genova 1992.
66
Si trattava di una scatola che custodiva un ago associato alla rosa dei venti divisa in ri-
quadri, prima otto, poi sedici e anche trentadue.
67
Cfr. Waley, Combined Operations..., p. 30. Cfr. Idrisi, Il libro...,: sul porto di Trapani,
p. 43: «...sistemato nel lato meridionale, è tranquillo e senza risacca, e ciò rende possibile al-
la maggior parte delle imbarcazioni di svernarvi al sicuro dalle tempeste dato che nella baia
il movimento delle onde è calmo anche quando il mare aperto è agitato»; sul porto di Mazara,
p. 37 «...lungo le sue mura scorre il Mazara nel quale sostano le navi per fare il carico e sver-
464
nano le barche»; per quello di Lampedusa, p. 27: «... il porto è sistemato sulla costa sud-oc-
cidentale e capace di dar riparo sicuro dai venti a numerose imbarcazioni da guerra».
68
Cfr. A. A. Settia, Gli strumenti e la tattica della conquista, in I caratteri originari della con-
GIOVANNI COPPOLA

quista normanna. Diversità e identità nel Mezzogiorno (1030-1130), Atti delle XVI Giornate
normanno-sveve (Bari, 5-8 ottobre 2004), a cura di G. Musca, Bari 2006, pp. 109-150, in par-
ticolare p. 140.
69
Una volta raggiunta la sponda siciliana, i Normanni rispedirono indietro le imbarcazio-
ni. Cfr. Goffredo Malaterra, De rebus gestis..., II, 10, p. 32; Amato di Montecassino, Storia
de’ Normanni..., V, 15, p. 236.
70
Ivi, VI, 13, pp. 275-276; Goffredo Malaterra, De rebus gestis..., II, 45, pp. 52-53;
Guglielmo di Puglia, La geste..., III, vv. 187-204, p. 174; Romualdo Guarna, Romualdi
Salernitani Chronicon..., p. 188.
71
Amato di Montecassino, Storia de’ Normanni..., V, 15, p. 248-255; Goffredo Malaterra,
De rebus gestis..., II, 40, pp. 48-49; Guglielmo di Puglia, La geste..., II, vv. 522-528, p. 160;
Lupus Protospatarius, Ignoti civis..., 1, V, p. 153.
72
Goffredo Malaterra, a differenza di Guglielmo di Puglia e di Amato di Montecassino,
afferma che la flotta normanna era capitanata da Ruggero, venuto in soccorso del fratello.
Goffredo Malaterra, De rebus gestis..., II, 43, p. 50; Guglielmo di Puglia, La geste..., III, vv.
111-141, pp. 170; Amato di Montecassino, Storia de’ Normanni..., V, 27, pp. 248-250.
73
Guglielmo di Puglia, La geste..., III, vv. 136-137, pp. 170.
74
Ivi, III, vv. 235- 236, p. 176.
75
Goffredo Malaterra, De rebus gestis..., II, 36, pp. 46-47; Amato di Montecassino, Storia
de’ Normanni..., VI, 13-17, pp. 275-278; Guglielmo di Puglia, La geste..., III, vv. 225-254, pp.
176-178: Le galee musulmane coperte di feltri rossi e gialli evocherebbero i versi del poeta
siciliano Ibn Hamdis (1053-1133). Cfr. Biblioteca arabo-sicula..., III, 2, p. 355.
76
Ai successi già citati, seguirono altri vittoriosi assedi anfibi, tra cui quello di Salerno nel
1076, di Taormina nel 1079, di Bari nel 1129, di Amalfi nel 1131 e di Napoli nel 1137. Per
Salerno: Goffredo Malaterra, De rebus gestis..., III, 4, pp. 58-59; Amato di Montecassino,
Storia de’ Normanni..., VIII, 14, p. 354; Guglielmo di Puglia, La geste..., III, vv. 425-441, pp.
186-188. Per Taormina: Goffredo Malaterra, De rebus gestis..., III, 15. Per Bari: Romualdo
Guarna, Romualdi Salernitani Chronicon..., p. 216. Per Amalfi: Alessandro di Telese,
Alexandri Telesini abbatis..., II, 8-9, p. 27. Per Napoli: Falcone di Benevento, Chronicon
Beneventanum, a cura di E. D’Angelo, Firenze 1998, 1134.2.1, p. 169.
77
Tangheroni, Commercio e navigazione..., pp. 198-199.
78
Bragadin, Le navi..., p. 396.
79
Nell’assedio di Trapani, del 1076, è ricordato un raid per fare bottino di bestiame:
Goffredo Malaterra, De rebus gestis..., III, 11, p. 63.
80
Goffredo Malaterra, De rebus gestis..., III, 15, p. 66: «Comes, Tauromenium obsidens,
viginti duobus castellis vallavit [...] et navalibus copiis a procinctu maris cingens, ut nullo la-
tere pateret aditus ad castrum [Tauromenii], volentibus hostibus aliquid intoducendi vel
educendi».
81
Ivi, IV, 2, pp. 85-86; Rogers, Latin Siege Warfare..., p. 99.
82
Alessandro di Telese, Alexandri Telesini abbatis..., II, 9, p. 27.
83
Ibn Abi Dinar, Biblioteca arabo-sicula, raccolta da M. Amari, III, Palermo 1998, pp. 661-
662; Ibn El Athir, Biblioteca arabo-sicula..., II, p. 364. Per il quadro storico generale si veda:
Chalandon, Storia della dominazione..., II, 4, pp. 178-187.
84
At Tigani, Biblioteca arabo-sicula..., II, p. 496-497; Ibn Abi Dinar, Biblioteca arabo-sicu-
la..., II, p. 293.
85
Ibn Abi Dinar, Biblioteca arabo-sicula..., III, pp. 659-661.

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