La responsabilità penale è quella in cui incorre un pubblico
ufficiale o un incaricato di pubblico servizio che compia
uno dei reati contro la pubblica amministrazione previsti dal codice penale,
fra questi in particolare sono da ricordare
• il peculato (art. 314 c.p.),
• la malversazione a danno dello Stato (art. 316 bis c.p.); • la concussione (art. 317 c.p.); • la corruzione (art. 318 c.p.); • l’abuso d’ufficio (art. 323 c.p.); • la rivelazione di segreti d’ufficio (art. 326 c.p.); • l’omissione o rifiuto di atti di ufficio (art. 328 c.p.); • la falsità in atti (artt. da 476 a 480 c.p.); • l’interruzione di pubblico servizio (art. 311 c.p.).
Tutti i pubblici dipendenti, inoltre, sono penalmente
responsabili per i reati comuni commessi nello svolgimento della propria attività professionale.
Il reato compiuto deve avere i caratteri
• della nominatività, ovvero della sua previsione esplicita da parte di una norma penale; • della personalità, ossia essere compiuto da una persona fisica ed essere ad essa imputabile; • dalla presenza di dolo o (per i reati comuni) di colpa; • dal nesso di causalità; • dall’assenza di scriminanti. Il pubblico dipendente si vede inoltre attribuita la responsabilità civile per i fatti compiuti a danno di terzi, ai sensi dell’art. 2043 del Codice Civile, che ritiene responsabile
chiunque, con un proprio comportamento doloso o colposo,
cagioni ad altri un danno ingiusto.
La dottrina prevalente ritiene che ai sensi dell’art. 28 della
Costituzione questa responsabilità gravi sia in capo al dipendente che in capo alla sua amministrazione di appartenenza, a cui dunque i danneggiati possono rivolgersi direttamente per avere ristoro, salva la possibilità di quest’ultima di rivalersi successivamente sul proprio dipendente autore del fatto illecito.
Gli elementi essenziali della responsabilità civile sono:
• l’imputabilità, ovvero il compimento del fatto nell’esercizio di funzioni pubbliche; • la lesione di un diritto altrui (ora, con sentenza della Cassazione n. 500/99 lesione di interesse giuridicamente rilevante, non giustificata nelle realizzazione dell’interesse pubblico); • la produzione di un danno ingiusto; • la presenza di dolo o colpa; • il nesso di causalità. La responsabilità disciplinare è attribuita a tutti i dipendenti pubblici, sia pure con caratteri diversi a seconda del tipo di amministrazione di appartenenza (amministrazione statale, amministrazione militare, enti locali territoriali, enti pubblici non territoriali).
Essa si concreta in capo al dipendente pubblico a seguito
della lesione dell’ordinamento interno della propria amministrazione di appartenenza ed alla violazione dagli obblighi previsti nell’ambito del proprio rapporto di impiego con quest’ultima.
Tradizionalmente questa forma di responsabilità veniva
inserita nell’ambito del rapporto di supremazia speciale dell’amministrazione nei confronti del dipendente pubblico e le norme ad essa relative – che trovavano la loro matrice comune nel t.u. 5 gennaio 1957, n. 3 – si distinguevano per una tipica connotazione autoritativa.
Oggi le modifiche introdotte dal d. lgs. 3 febbraio 1993, n.
29 hanno tradotto anche il tema del potere disciplinare e della relativa responsabilità nell’ambito della privatizzazione del rapporto di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni, rinviando per alcuni aspetti della relativa disciplina anche ai contratti collettivi. La responsabilità amministrativa patrimoniale, veniva tradizionalmente distinta nelle tre specie della responsabilità amministrativa in senso stretto, della responsabilità contabile della responsabilità formale.
Quest’ultima, prevista a carico dei dipendenti degli enti
territoriali minori, è stata abolita con la legge 8 giugno 1990, n. 142, che ha abrogato il t.u. 3 marzo 1934, n. 383, nella parte che la prevedeva.
Le altre due forme di responsabilità sono invece state di
recente ridisciplinate dalla legge 14 gennaio 1994, n. 20 e successive modificazioni (e, per quanto riguarda i comuni delle Province di Trento e di Bolzano, dalla l. p. 4 gennaio 1993, n. 1) che hanno disegnato un regime di sostanziale unificazione della disciplina delle due responsabilità in questione.
La responsabilità amministrativa è attribuita a tutti coloro
che sono legati alla pubblica amministrazione da un rapporto di impiego o di servizio, in riferimento ai casi in cui con la loro condotta dolosa o colposa cagionino un danno erariale, ovvero danneggino in qualsiasi maniera il patrimonio della pubblica amministrazione o ne consentano comunque il danneggiamento. La responsabilità contabile è invece attribuita agli agenti dello Stato o degli altri enti territoriali che sono tenuti ad un rendiconto o comunque a coloro che si ingeriscono a qualsiasi titolo nel maneggio di pubblico denaro e si concreta nella responsabilità emergente dall’esame sul giudizio e sul conto redatto dal contabile. Essa si presenta dunque soltanto se il funzionario a cui viene imputata svolge funzioni contabili (di diritto o di fatto) ed è relativa alle irregolarità riscontrate nell’esame e nel giudizio sul conto da egli reso e ai danni da queste prodotti all’erario.
In generale, si può dire che la responsabilità amministrativa
patrimoniale si configura in capo al pubblico dipendente o al funzionario quando sussistono una serie di elementi costitutivi, che sono (si veda ad esmpio Corte dei conti, sez. II, 24 maggio 1990, n. 142): un comportamento commissivo od omissivo contrario a diritto; un evento dannoso per l’erario consistente in un pregiudizio economicamente valutabile; il nesso di causalità fra condotta antidoverosa ed evento dannoso; l’elemento soggettivo rappresentato dal dolo o dalla colpa, che l’art. 1 della l. n. 20/1994 ha precisato dover essere colpa grave.