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2.0 Introduzione
Il termine rumore, originato in acustica, viene applicato per denominare una qualsiasi variabile
fisica che fluttui nel tempo in maniera irregolare, imprevedibile. Questo in contrasto con
comportamenti oscillatorii periodici (i 'suoni' in acustica), per i quali lo stato presente può essere
utilizzato per prevedere deterministicamente lo stato futuro, e che sono detti genericamente segnali.
Il rumore è generato nella maggior parte dei casi da fluttuazioni spontanee di quantità
microscopiche, spesso legate all'agitazione termica del sistema.
Ci interessa il rumore per due motivi:
1) il rumore limita la precisione delle misure fisiche più sensibili;
2) il rumore può darci informazioni su quantità globali del sistema.
Il primo punto è abbastanza ovvio, e dedicheremo il prossimo capitolo allo studio di alcuni metodi
di estrazione del segnale dal rumore. Per chiarire il secondo punto, che è invece legato alla fisica del
sistema in esame, consideria mo il seguente esempio.
Nei circuiti elettrici che trattano segnali di basso livello è usuale osservare tracce oscillografiche
come quelle mostrate in fig.2.1: sono prodotte dalle fluttuazioni spontanee della carica elettrica, che
amplificate a sufficienza, producono differenze di potenziale variabili nel tempo in maniera casuale.
Un tipico esempio è un ricevitore radio sintonizzato su una frequenza lontana da stazioni
trasmittenti. Alzando il potenziometro del volume, si sente un fruscio (rumore) prodotto dalle
fluttuazioni del numero di elettroni nel primo stadio di amplificazione del ricevitore, e amplificato
dagli stadi successivi. L'intensità media di questo rumore è costante, e quindi questo processo può
essere definito stazionario, e si può ad esempio misurare il valore quadratico medio della
fluttuazione di tensione. Non è comunque prevedibile istante per istante il valore della tensione: al
massimo si può ricavare la sua distribuzione di probabilità. Questo ci suggerisce che lo studio del
rumore possa fornirci solo delle informazioni su proprietà globali del sistema, quali la sua
temperatura. Ci si aspetta intuitivamente che all'aumentare della temperatura del sistema, e quindi
dell'agitazione termica, cresca il livello delle fluttuazioni di quantità caratteristiche del sistema
(questo fatto è alla base della termometria di rumore, come vedremo).
Fig. 2.2: Allontanamento x di una particella dalla sua posizione iniziale in seguito a moto
browniano. Il moto è campionato ad intervalli di tempo t\t_1 = BM. La curva tratteggiata
rappresenta il valore aspettato della deviazione standard sqrt{ x^2 } = sqrt{ 2 kTB \t_1} \sqrt{
t/\t_1} al passare del tempo. La linea retta rappresenta invece il moto deterministico di una
particella con la stessa energia cinetica: v=sqrt{kTB \t_1}*t/\t_1
dv v
M =- + F(t) (2.1)
dt B
dove B è la mobilità del corpo nel fluido. Definendo il tempo di rilassamento τ1 = MB si può
riscrivere
dv v
+ = A(t) (2.2)
dt τ1
dove A(t) è l'accelerazione istantanea applicata al corpo dalle molecole del fluido. L'integrale di
questa equazione è dato da
⌠ t u/τ
v(t) = vo e-t/τ1 + e-t/τ1 e 1 A(u)du (2.3)
⌡0
Per sviluppare i calcoli, faremo delle ragionevoli ipotesi su A(t):
Hp 1) 〈A(t) 〉 = 0.
Hp 2) 〈A(t1 ) A(t2 ) 〉 = 0 a meno che non sia t1 ∼ t2 .
Hp 3) 〈A(t)2 〉 ha un valore positivo ben definito.
Il simbolo 〈〉 indica una media su un gruppo di sistemi tut ti con le stesse condizioni iniziali (vo ad
es.). Le condizioni 1) e 2) indicano intuitivament e che gli urti molecolari sono estremamente rapidi,
con un tempo di correlazione molto breve rispetto a τ1 . La 3) indica che in ogni istante c'è una certa
forza molecolare non trascurabile, anche se a media nulla. La (2.3) ci permette di calcolare
⌠ t u/τ
〈v(t)2 〉 = vo 2 e-2t/τ1 + 2 vo e-2t/τ1 e 1 〈A(u) 〉du
⌡0
⌠ t ⌠ t (u+w)/τ
+ e-2t/τ1 e 1 〈A(u) A(w) 〉du dw (2.4)
⌡0 ⌡0
Il termine doppio prodotto si media a zero per l'Hp 1. Il termine con integrale doppio non si media a
zero, a causa del fatto che c'è un contributo finito all' integrale quando u ≈ w (vedi Hp 2). Inoltre ci
si aspetta che 〈v(t)2 〉 sia diverso da zero e che in condizioni stazionarie (cioè per t >> τ1 ) tenda ad un
valore ben definito. Questo si può vedere quantitativamente riscrivendo il termine in questione
tramite le nuove variabili r = u+w e t′ = u-w. Si ottiene quindi per l'integrale doppio
r-t′ r+t′ dr
⌠2t r/τ ⌠t
e-2t/τ1 e 1 〈A( ) A( ) 〉dt′
⌡0 ⌡-t
2 2 2
I limiti dell'integrale tra quadre possono essere estesi all'infinito, essendo i contributi all'integrale
significativi solo nell'intorno di t′ ≈ 0. L'integrale così ottenuto è la funzione di autocorrelazione di
A. E' inoltre ragionevole pensare che l'integrale sia indipendente dal particolare istante centrale r
scelto (essendo una quantità media caratteristica delle fluttuazioni in studio); potremo quindi
definire una costante K
r-t′ r+t′
⌠∞
K= 〈A( ) A( ) 〉dt′
⌡-∞
2 2
Si può allora calcolare il secondo integrale ∫0 e 2t r/τ
1 dr, ottenendo alla fine
〈v(t) 〉 =
2
vo e 1 + C ( 1 - e-2t/τ1 )
2
-2t/τ
con C = 1/2 K τ1 costante da determinare. Questa equazione è piuttosto importante, perché mostra
come per tempi piccoli rispetto al tempo di rilassamento il sistema si comporti in modo prevedibile
e reversibile: se t << τ1 si ha infatti
〈v(t)2 〉 ∼ vo 2 ,
compatibilmente con quanto aspettato dalla meccanica classica del punto materiale. Al contrario,
per t >> τ1 la velocità iniziale è stata completamente smorzata dalla viscosità, e rimane solo l'effetto
degli urti delle singole molecole che producono fluttuazioni di velocità a valore quadratico medio
costante:
〈v(t)2 〉 = C (2.6)
il moto della particella è indipendente dalle condizioni iniziali e di pura agitazione termica.
E' qui che entra in gioco la meccanica statistica, che ci assicura che in condizioni di equilibrio, nel
caso unidimensionale,
〈v(t)2 〉 = C = kT/M (2.5).
Si avrà quindi
kT
〈v(t) 〉 = vo e
2 2 -2t/τ
1 (2.6)+ ( 1 - e-2t/τ1 )
M
Questa equazione descrive quantitativamente la transizione dal moto deterministico al moto caotico.
Cerchiamo di calcolare adesso lo spostamento x della particella. Per integrare ulteriormente la (2.2)
si possono moltiplicare ambo i membri scalarmente per x, ed utilizzare le relazioni
dx 1 dx2 d2 dv dv 1 d2 x2
x(t)v(t) = x = ; 2
x =2(v +x 2
) → x = - v2
2 2
dt 2 dt dt dt dt 2 dt
ottenendo
1 d2 x2 1 dx2
2
-v =- +Ax
2
2 dt 2 τ1 dt
e mediando sui sistemi (media di ensemble)
d2 1 d kT
〈x2
〉+ 〈x2
〉 = 2 〈A x 〉+ 2 〈v2
〉 = 2
dt2 τ1 dt M
La soluzione della precedente equazione differenziale è
kT t
〈x(t)2 〉 = 2 τ1 2 - (1 - e-t/τ1 ) (2.7)
τ1
M
che di nuovo ci dà i due casi limite, deterministico all'inizio:
〈x(t)2 〉 = 〈v2 〉t2 (t << τ1 )
ed irreversibile a regime:
〈x(t)2 〉 = 2 k T B t (t >> τ1 ) (2.8)
La (2.8) è l'equazione fondamentale del moto browniano, (o "random walk") che ci mostra come la
particella si allontani dalla posizione iniziale, ma con una deviazione lenta (vedi fig.2.2),
proporzionale alla radice quadrata del tempo (invece che al tempo, come avviene per il moto
classico, deterministico).
Finora abbiamo considerato il valore quadratico medio delle fluttuazioni. Vogliamo ora studiarne lo
spettro di potenza, cioè esaminare in dettaglio la ripartizione delle fluttuazioni in componenti più o
meno veloci. Per fare questo svilupperemo la variabile y in serie di seni e coseni. Se y(t) fosse una
variabile periodica, varrebbero le seguenti equazioni, che definiscono la serie di Fourier:
⌠1/fo
T = 1/fo , ao = fo y(t) dt
⌡o
⌠1/fo ⌠1/fo
an = 2 fo y(t) cos(2 πn fo t) dt , bn = 2 fo y(t) sin(2 πn fo t) dt (2.9)
⌡o ⌡o
Se consideriamo una variabile y(t) casuale, stazionaria e a media nulla, si potranno utilizzare ancora
formalmente le (2.9), ma an e bn saranno anche esse variabili casuali stazionarie e si dovrà utilizzare
il limite per fo → 0 (ovvero T → ∞, perché non c'è più periodicità).
La varianza di y(t) sarà semplicemente
〈an2〉 〈bn2〉
〈y(t)2 〉 = ∑2 + ∑2
con i fattori 1/2 provenienti dalle medie dei pesi seno e coseno. Siccome y(t) è una variabile
statistica, anche la sua fase varierà casualmente, con equiprobabilità di avere termini in fase (seno)
o in quadratura (coseno) nel suo sviluppo. Avremo quindi 〈an 2 〉 = 〈bn 2〉. Si definisce lo spettro di
potenza wy (f) della variabile casuale y(t) come
Dalla (2.15) è evidente che lo spettro di potenza delle fluttuazioni di velocità nel moto browniano è
piatto (e si dice rumore bianco) fino a frequenze f ≅ 1/τ1 , e vale
wv (f) df = 〈 v2 f〉df = 4 k T B df (2.16);
per frequenze superiori le velocità sono smorzate. E' anche possibile ritrovare il valore quadratico
medio della velocità:
kT B
⌠∞
〈v 〉 =
2
w (f)df = = kT
⌡0 v M τ1
Le (2.15) e (2.16) permettono di calcolare quantità osservabili con strumenti a risoluzione
temporale limitata: ad esempio, nel caso di osservazioni al microscopio del moto browniano, il
tempo di persistenza sulla retina è τobs≅ 0.1 s, il che equivale a dire che si è sensibili solo a
frequenze delle fluttuazioni inferiori ad una frequenza massima fobs ≅ 1/τobs<< 1/τ1 . Le fluttuazioni
di velocità osservate saranno quindi date da
4 k T τ1
⌠ fobs
〈v2 〉obs = wv (f)df = 4kTBfobs = (2.17)
⌡0 τ
M obs
essendo τobs >> τ1 , le fluttuazioni di velocità osservate sono molto inferiori a quelle intrinseche della
particella. La mancata comprensione di questo fatto ha per lungo tempo nascosto agli osservatori la
natura molecolare del moto browniano, che avrebbe dovuto generare velocità 〈 v2 〉 molto maggiori di
quelle osservate (Von Nageli 1879).
Einstein generalizzò il suo risultato sul moto browniano (2.8) ad un qualsiasi parametro θ
osservabile, libero di variare nel tempo in un sistema all'equilibrio termico. Si deve avere cioè
~
〈δθt 2〉 = 〈(θ(t) - θ(0) )2 〉 = 2 kTt (2.18)
B
~
dove B è la mobilità generalizzata del sistema rispetto al parametro θ. Se si considera la derivata di
θ rispetto al tempo (θ) si può ricavarne subito lo spettro di potenza: basta rifare il ragionamento che
dalla (2.8) ha permesso di ricavare la (2.16): si avrà cioè
. ~
〈 2 f 〉df = w[(θ)\dot](f) df = 4 k T df (2.19)
θ B
Fig. 2.3: Valore rms delle fluttuazioni di tensione per unità di banda passante prodotte dal rumore
Johnson in una resistenza. Le differenti curve si riferiscono a temperature di uso comune:
temperatura ambiente (300 K); temperatura dell'azoto liquido (77 K); temperatura dell'elio liquido
(4.2 K); temperatura ottenibile pompando sull' 3He liquido (0.3 K).
Fig. 2.4: Circuito RLC parallelo eccitato dalla corrente di rumore Di.
2.2 Il rumore Johnson
Lo stesso Einstein considerò le possibili fluttuazioni della carica elettrica in un materiale di
conduttanza G, predicendo
〈δqt2 〉 = 2 G k T t (2.20)
Carica e corrente sono l' analogo elettrico di posizione e velocità nel moto browniano (mentre la
resistenza è l'ana logo della viscosità) e si possono usare le equazioni generalizzate (2.18) e (2.19).
Dalla (2.19) si può scrivere subito lo spettro di potenza delle fluttuazioni di corrente:
wi(f)df = 〈δif2 〉df = 4 k T G df (2.21)
e, in una banda finita ∆f,
⌠
〈δi2 〉 = 〈δif2 〉df = 4 k T G ∆f (2.22)
⌡∆f
Ad alte frequenze le fluttuazioni spontanee di corrente saranno smorzate dalla capacità o
dall'induttanza del conduttore, con costante di tempo τ pari a RC o R/L: si avrà cioè (vedi (2.15))
df
wi(f)df = 〈δif2 〉df = 4 k T G (2.23)
1 + (2 πf τ) 2
la corrente Johnson che scorre nel circuito sarà dipendente dalla frequenza f, e quindi si potrà
scrivere 〈δi2 f〉 = wi(f) df. La tensione di rumore ai capi del circuito sarà 〈δV2 〉 = |Z|2 〈δi2 〉 , ma d'altra
parte sappiamo che la tensione ai capi del condensatore deve essere quella data dalla (2.26).
Avremo allora che
kT
⌠∞
= 〈δV2〉 = |Z|2 〈δi2 〉 = |Z|2 wi(f) df
⌡ 0
C
e quindi
Q2 wi(f) df
kT L
⌠∞
= f fo 2
C C ⌡0 Q 2
- +1
f
fo
Se scegliamo un filtro molto stretto intorno ad fo , wi (f) non varierà molto all'interno dell'integrale, e
si potrà riscrivere
Q d(f/fo )
wi(fo ) R
⌠∞
kT = f fo 2
⌡0
2π Q2 - +1
f f
o
L' integrale si può calcolare con la sostituzione f/fo = ex e vale π/2. Quindi
4kT
wi(fo ) = →〈δif2 〉df = 4 k T G df (2.28)
R
Abbiamo quindi ridimostrato, partendo da considerazioni di termodinamica statistica, la formula di
Johnson (2.21) per lo spettro di potenza del rumore di agitazione termica degli elettroni.
E' interessante calcolare dalle (2.22) e (2.24) quale sia la potenza di rumore disponibile da una
resistenza R a temperatura T. E' noto che dato un generatore di resistenza interna R (la nostra
resistenza in esame), si ottiene il massimo trasferimento di potenza se gli si connette un carico di
resistenza pari anche essa a R. In queste condizioni la potenza trasferita su R è P = Ri2 = R V2 /
(2R)2 = V2 /4R e quindi
Fig. 2.5: Sistema costituito da una resistenza, una antenna ed una cavità di corpo nero, utilizzato per
illustrare la relazione tra radiazione di corpo nero e rumore Johnson.
Fig. 2.6: Sistema costituito da un piccolo corpo di capacità termica C, connesso con conducibilità
termica G ad un termostato a temperatura T_0. Lungo il collegamento c'è uno scambio continuo di
fononi, che provoca delle fluttuazioni spontanee di temperatura del piccolo corpo.
1 〈V2〉
〈P 〉∆f = →〈P 〉∆f = kT ∆f (2.29).
2 4R
La potenza Johnson disponibile è quindi indipendente dalla resistenza considerata, e dipende solo
dalla temperatura e dalla banda. I numeri in gioco sono ovviamente molto piccoli: dell' ordine di
4×10-21 W/[√Hz] a 300 K e di 10-24 W/[√Hz] a 0.1 K, ma comunque osservabili.
Consideriamo ora un sistema costituito da una antenna connessa ad una resistenza, con
accoppiamento di impedenza ottimale (fig.2.5). Supponiamo inoltre che l'antenna sia all'interno di
una cavità di corpo nero a temperatura T, e che la resistenza si trovi anche essa alla stessa
temperatura. L'antenna raccoglierà dalla cavità una potenza radiativa data dalla legge di Planck
(metà, perché l'antenna può ricevere solo una polarizzazione):
1 f2
Wr df = A ΩBB(f,T) = AΩ kT df ; (hf << kT) (2.30)
2
2 c
D'altra parte l'antenna trasmetterà alla cavità la potenza di rumore Johnson generata dalla resistenza:
Wt df = kT df (2.31)
Essendo i due sistemi (cavità di corpo nero e resistenza) alla stessa temperatura, si dovrà avere un
bilancio dettagliato tra Wr e Wt , per cui sarà
f2
kT df = AΩ kT df (2.32)
c2
Da questa uguaglianza si ricava il valore della rapidità ottica per ricevitori a singolo modo, o
limitati dalla diffrazione (teorema d'antenna)
AΩ = λ2 (2.33).
D'altra parte, se si suppone nota la (2.33) (vedi ad esempio eq. (1.37)), il fatto che la potenza
raccolta dall'antenna (2.30) debba essere uguale alla potenza Johnson permette di calcolare
quest'ultima. Si ha così una dimostrazione indipendente della formula del rumore Johnson, che
mette in luce la profonda relazione che esiste tra questo e la radiazione di corpo nero. Se si evita poi
la restrizione a basse frequenze hf << kT, il ragionamento precedente permette di ottenere una
ragionevole generalizzazione della formula del rumore Johnson nel limite quantistico: si avrà quindi
hf
〈wf〉 df = df (2.34)
hf/kT
e -1
e per la tensione si avrà analogamente
hf
〈v2 f〉 df = 4 R df (2.35).
hf/kT
e -1
Va sottolineato che a temperatura ambiente la (2.35) e' perfettamente equivalente alla (2.21) fino a
frequenze altissime (f ≅ 1000 GHz), per cui è inusuale nell' elettronica pratica.
Il rumore Johnson può essere usato per la determinazione delle basse temperature. Una resistenza
(possibilmente di valore ben noto e stabile) viene posta in contatto con la temperatura da misurare, e
connessa all'ingresso di un amplificatore a basso rumore a guadagno noto. La tensione di rumore
all'uscita dell'amplificatore permette di ricavare la temperatura attraverso la (2.21). Ovviamente il
rumore dell'amplificatore deve essere trascurabile o va misurato indipendentemente per correggere
il risultato della misura (ad esempio misurando il rumore per resistenze di valore diverso ed
estrapolando a resistenza 0). Il vantaggio maggiore di questo metodo è il fatto che il rumore
Johnson è indipendente dalla composizione del resistore, e fornisce una misura della temperatura
assoluta senza bisogno di calibrazioni. Le imprecisioni legate alla misura della resistenza possono
venire eliminate se si misura la potenza di rumore (vedi 2.29). Un metodo che permette di misurare
fluttuazioni di frequenza (misurabili con precisione enormemente maggiore rispetto alle fluttuazioni
di tensione) e' stato elaborato da Kamper e Zimmerman (1971) usando una giunzione Josephson in
parallelo al sensore resistivo. La giunzione oscilla ad una frequenza f = 2 e V / h dove V è la
tensione istantanea ai capi della resistenza: fluttuazioni di V sono convertite in fluttuazioni di f che
possono essere misurate con grande precisione per mezzo di contatori digitali.
Pi = Ae-[(Ei)/ kT] =
∑e
-[(E )/ kT]
k
i
〈E 〉 = ∑E P = i i
∑e -[(E )/ kT]
i
Anche in questo caso si ottiene un rumore RMS crescente con la temperatura, stavolta addirittura
linearmente. E' chiaro che, ancora una volta, l'unico me todo per ridurre queste fluttuazioni consis te
nel raffreddare il sistema.
S
=
i
=
i
(2.43):
√
√
N
2 e i ∆f 2 e ∆f
si vede quindi che il rapporto segnale rumore cresce stringendo la banda di frequenze a cui si è
sensibili: infatti in questo modo si riduce il rumore, il cui valore rms è proporzionale a √{ ∆f}.
D'altra parte S/N può essere calcolato anche dalla (2.41): si ottiene ∆i = √{ 〈∆q2〉} / t = [√( ei/t)] da
cui
S it
= (2.44)
N √ e
Di qui si vede che il rapporto segnale rumore cresce con la radice del tempo di osservazione (tempo
di integrazione). E' questo un risultato molto generale, collegato al fatto che la stima dell'errore sulla
media è inversamente proporzionale alla radice del numero di misure indipendenti. Se ne deduce
anche che aumentare il tempo di integrazione equivale a restringere la banda di frequenze a cui si è
sensibili, un risultato anche questo molto generale.
Il caso dei tubi termoionici è oggi abbastanza desueto, ma lo shot noise è alla base dei modelli di
rumore nei transistor. Infatti nei semiconduttori avvengono fluttuazioni di corrente a causa della
generazione (probabilità finita di ionizzazione di un donore) e ricomb inazione (probabilità finita di
ricombinazione in un accettore ionizzato) dei portatori di carica. Ambedue i processi avvengono in
prima approssimazione indipendentemente per ciascun portatore, per cui si trattano come shot
noise. Supponiamo che i portatori abbiano una vita media τ caratteristica del processo di
generazione e ricombianzione. Sia 〈P 〉 il numero medio di lacune. Suddividiamo le lacune in un
grande numero di sottosistemi con fluttuazioni indipendenti. Supponiamo che uno di questi
sottosistemi abbia una fluttuazione ∆P = ∆Po a t = 0. Ad un istante u successivo, per definizione di
vita media, avremo 〈∆P (u) 〉 s = ∆Po exp(- u/τ) dove il simbolo 〈〉 s indica la media fatta sul
sottosistema. Allora ∆Po 〈∆P (u) 〉 s = ∆Po 2 exp(- u/τ) e quindi mediando su tutti i sottoinsiemi si
ricava la funzione di autocorrelazione del processo
〈∆P(0) ∆P (u) 〉 = 〈∆Po〈∆P (u) 〉 s〉 = 〈∆Po 2〉exp(- u/τ) (2.45)
e quindi lo spettro di potenza attraverso la (2.13):
τ
wP (f) df = 4 〈∆P 〉 2
df (2.46).
1 + (2 πf τ) 2
Di solito si ha
〈∆N2〉 = βNo (2.48)
dove No è il valore di equilibrio del numero di portatori e β è una costante quasi indipendente da No ,
ma dipendente dalla statistica dei portatori di carica nel materiale. Le fluttuazioni in numero
possono essere rivelate facendo scorrere una corrente Io nel campione. Si ha subito che i = (Io /N o ) N
e quindi
io 2 4 io 2 τ
wi(f) = wN(f) = 〈∆N 〉 2
(2.49)
No2 No2 1 + (2 πf τ) 2
oppure
4 βio 2 τ
wi(f) = (2.50).
No 1 + (2 πf τ)2
Queste formule sono utili per lo studio del rumore nei rivelatori infrarossi a fotoconduzione (vedi
cap.5).
dτ/ τ
g(τ) dτ = ; τ0 < τ < τ1 = τ0 e(αy1 ) (2.53)
ln(τ1 /τ0 )
Si troverà quindi lo spettro di potenza delle fluttuazioni di corrente mediando gli spettri (2.50) sulle
costanti di tempo τ possibili, pesando con la distribuzione di probabilità g(τ) data dalla (2.53).
Avremo cioè
4 βio 2 ⌠∞ τ
〈wI(f) 〉 = g(τ) dτ
No ⌡τ0 1 + (2 πf τ) 2
e quindi
4 βio 2 1
〈wI(f) 〉 = [ arctan(2 πf τ1 ) - arctan( 2 πf τ0 ) ]
No ln(τ1 /τ0 ) 2 πf
e nell' intervallo 1/τ1 << 2 πf << 1/τ0
βio 2 1
〈wI(f) 〉 = (2.54).
No ln(τ1 /τ0 ) f
Abbiamo quindi trovato uno spettro 1/f causato da una distribuzione uniforme di trappole nello
strato di ossido.
Fig. 2.7: Spettri di rumore di un amplificatore a MOS-FET (e di uno a J-FET. Ad alte frequenze
domina il rumore bianco (rumore Johnson), mentre a basse frequenze domina il rumore 1/f. Questo
è molto più marcato nell'operazionale a MOS-FET, a causa dello strato di ossido isolante
superficiale contenente trappole per elettroni di conduzione.
Fig. 2.8: Combinazione serie/parallelo di resistenze utilizzata per sostituire una singola resistenza e
ridurre significativamente il rumore 1/f.
Esempio tipico di componenti elettronici affetti da Flicker noise sono i transistor MOSFET, in cui
viene utilizzato uno strato di ossido metallico (biossido di silicio di solito) per ottenere l'isolamento
tra gate e canale. In fig.2.7 si confrontano gli spettri di rumore di un amplificatore operazionale con
ingresso a MOS-FET e di un amplificatore operazionale con ingresso a J-FET. E' anche
comunemente sperimentato che componenti elettronici con chip di dimensioni minori sono
maggiormente affetti da rumore 1/f: infatti il rapporto tra superficie e vo lume attivo è superiore per
componenti più piccoli. I componenti realizzati per segnali ad alte frequenze sono generalmente
molto piccoli, in modo da ridurne la capacità. Non sarà quindi utile usarli a basse frequenze, perché
mostreranno un rumore di origine 1/f molto maggiore che non i componenti ottimizzati per le basse
frequenze.
Tuttavia è stato dimostrato che il rumore 1/f è ben più generalmente diffuso, ed esiste anche nella
conduzione di corrente all'interno del materiale (bulk conduction, Hooge 1972). La spiegazione
precedente, che invoca effetti di superficie, è probabilmente corretta nel caso dei MOSFET, ma
assolutamente inadeguata in generale. Una relazione empirica per il rumore 1/f in campioni di
materiali perfettamente omogenei è
α ∆f
∆G 2
〈 〉= (2.55)
G N f
dove G è la conducibilità del materiale, α è una costante empiricamente determinata, dell'ordine di
2 ×10-3 , ed N è il numero totale di portatori di carica. La (2.55) è stata verificata per frequenze
comprese tra 5 ×10-5 Hz e 10 KHz. Componenti affetti da rumore 1/f di questo genere sono le
resistenze a carbone. Queste sono costruite con un impasto di un grande numero di grani conduttori,
con cattivo contatto elettrico dall'uno all'altro. La resistenza di ciascuno di questi contatti fluttua nel
tempo. E' chiaro che queste resistenze vanno evitate in tutti i circuiti a basso rumore, preferendo
resistenze a filo (che però sono induttive) o a strato metallico.
Un metodo per ridurre il rumore 1/f delle resistenze e' quello di utilizzare combinazioni
serie/parallelo di resistenze. Con una singola resistenza, in cui scorre una corrente i, la fluttuazione
di tensione ai capi di R sarà ∆V = i ∆R, e quindi lo spettro di potenza delle fluttuazioni di tensione
sarà wV(f) = i2 wR (f). Supponiamo ora di costruire R utilizzando un parallelo tra N serie di N
resistenze, ciascuna di valore R (fig.2.8). Se i è la corrente totale, la corrente in ciascuna delle serie
sarà i/N e quindi lo spettro della tensione di rumore ai capi di ciascuna delle resistenze sarà w1 V(f) =
i2 wR(f) / N2 . Siccome le resistenze fluttuano indipendentemente, lo spettro della tensione di rumore
ai capi di ciascuna della serie sarà N w1 V(f). Ci sono N di queste serie in parallelo, ciascuna
fluttuante in modo indipendente: quindi lo spettro delle fluttuazioni di tensione ai capi del sistema è
ridotta di un fattore N rispetto allo spettro delle fluttuazioni ai capi della singola serie. Otteniamo
quindi per il sistema completo uno spettro di tensione w1 V(f) = i2 wR(f) / N2 = wV(f)/N 2 . Il valore
rms delle fluttuazioni di tensione è quindi ridotto di un fattore N. E' evidente che questo metodo
funziona perché il rumore 1/f è proporzionale alla corrente che scorre nella resistenza: riducendo la
corrente si riduce il rumore. Il metodo infatti non riduce il rumore Johnson (che è indipendente dalla
corrente) ed il sistema serie/parallelo avrà esattamente lo stesso rumore Johnson della singola
resistenza.
Un'altra sorgente di rumore 1/f sono i contatti elettrici. Quando due corpi conduttori relativamente
grandi (ad esempio sferici) dello stesso materiale vengono pressati insieme, si può costruire un
modello che prevede rumore 1/f nella resistenza di contatto (Hooge et al. 1969). E' pratica comune
trovare rumore 1/f in contatti semiconduttore metallo (specialmente se mal eseguiti).
Una tipica traccia di rumore 1/f è mostrata in fig.2.9, a confronto con una di solo rumore bianco. E'
evidente che, a causa del maggior contenuto di basse frequenze, il rumore 1/f tende maggiormente
ad allontanarsi dalla media.
Fig. 2.9: Confronto tra rumore 1/f (sopra) e bianco (sotto). Ambedue i rumori hanno la stessa
varianza e sono limitati alla banda 1 Hz \div 100 Hz. A causa della preponderanza delle basse
frequenze il rumore 1/f tende a deviare per lunghi periodi dalla media. Questo rende impossibile
ridurlo aumentando il tempo di integrazione.
Fig. 2.10: Misura di un gradino di tensione eseguita in presenza di rumore bianco (a sinistra) e
rumore 1/f (a destra). E' evidente che nel secondo caso il rapporto segnale / rumore non migliora
aumentando la durata della misura.
Questa proprietà rende impossibile ridurre l' errore di misura aumentando il tempo di integrazione o
riducendo la banda come si fa per ridurre il rumore bianco (Johnson, Shot, ... vedi equazioni 2.43 e
2.44). Per dimostrare quanto appena detto, basta supporre di voler misurare una corrente i affetta da
rumore 1/f. L' errore di misura sarà
∆i = 〈∆i2 〉 1/2 =
⌠ fmax
fmax
wI(f) df =
√ ⌡ fmin √ A ln
fmin
Ora la minima frequenza a cui si è sensibili è dell'ordine di 1/T dove T è il tempo totale di misura,
mentre la massima frequenza a cui si è sensibili è dell'ordine di 1/τ, dove τ è la costante di tempo
dello strumento di misura. Il rapporto T/τ = n è il numero di dati indipendenti che si vogliono
ottenere, il suo inverso è la risoluzione temporale percentuale. Si ha quindi
∆i = √ A ln n (2.56),
dipendente solo dalla risoluzione temporale percentuale che si vuole ottenere, e non dal tempo
totale di misura. Ben diverso è il caso del rumore bianco: in tal caso
__________ __________
∆i = 〈∆i2 〉 1/2 = = = (2.57)
√ A′∆f √ A′(fU - fL) √ A′(n-1)/ T
e quindi, a parità di risoluzione temporale percentuale, si può ridurre l'errore di misura aumentando
il tempo di integrazione. In fig.2.10 si mostra un esempio in cui la stessa misura viene eseguita nel
caso di rumore bianco e di rumore 1/f.
Dal punto di vista pratico, è ovvio che la presenza di rumore 1/f implica che vanno evitate misure
fatte in DC o a basse frequenze. Quando è possibile è sempre preferibile utilizzare segnali a
frequenza relativamente alta, in modo da diminuire l'effetto del rumore 1/f ad un livello inferiore al
rumore Johnson. Metodi per convertire segnali continui (e quindi pesantemente affetti da rumore
1/f) in segnali alternati a frequenza abbastanza alta sono detti a chopper, o a modulazione (vedi
paragrafo 3.3).
=
4k5
T5 ⌠ x2
x4 ex 1/2
dx df (2.63)
〈(∆W)2〉df AΩ
√ √ c h 2 3 √
⌡ x1 (ex -1)2
5
5 ⌠ x2
x4 (ex -1+ε) 1/2
〈(∆W)2〉df
= 4k
√ A Ω ⌡ x1
T ε dx df (2.65).
√ √ 2
c h 3 (ex
-1)2
Un qualsiasi rivelatore opera in un ambiente (il telescopio, i filtri etc.) che emette radiazione
termica, detta di background: questa è sovrapposta alla radiazione da misurare e può essere anche
molto maggiore.
Un esempio tipico è quello dell'emissione termica degli specchi di un telescopio. Questi emettono
come corpi grigi con emissività dell'ordine di qualche per cento (ma dipendente dalla lunghezza
d'onda). A temperatura ambiente (300 K) la loro emissione è perfettamente trascurabile nel visibile,
ma è enorme a lunghezze d'onda del medio infrarosso, alcuni ordini di grandezza superiore
all'emissione tipica di sorgenti astrofisiche. Per evitarla si usa un metodo differenziale, che consiste
nell'osservare alternativamente la sorgente (misurando Ssorg. + Sspecchio ) e una zona di riferimento
fuori dalla sorgente (dove si misura solo Sspecchio ). Se l'emissione dello specchio fosse perfettamente
stabile si potrebbe semplicemente fare la differenza nei due casi, e ricavare così l'emissione della
sorgente. Purtroppo non è così. Anche se il rumore del rivelatore è trascurabile, resta sempre il
rumore fotonico associato all'emissione termica dello specchio, che fa fluttuare Sspecchio da un istante
al successivo. L'effetto può essere calcolato utilizzando la 2.65. Misure limitate dalle fluttuazioni
della radiazione di background (in questo caso l'emissione dello specchio, ma più in generale
l'emissione dell'ambiente, dell'atmosfera, ...) si dicono realizzate in BLIP (Background limited
photodetection). E' chiaro che l'unico modo per ridurre il rumore della misura in questo caso
consiste nel ridurre la temperatura dello specchio, visto che la 2.65 dà un andamento
approssimativamente del tipo T5/2 .
Il rumore fotonico del rivelatore comprende quindi due contributi: il rumore intrinseco della
radiazione da misurare ed il rumore del background. Normalmente la radiazione di background è di
tipo termico (ad esempio il laboratorio emette radiazione di corpo nero a 300 K), e si vogliono ora
calcolare le sue fluttuazioni, che seguiranno la legge (2.65). Se la radiazione incide sul rivelatore
attraverso un filtro con trasmissione E(ν), efficienza di assorbimento A(ν) e proviene da un corpo
grigio con emissività η(ν) si ha in ε(ν) = E(ν) A(ν) η(ν).
Va rimarcato il fatto che nel visibile e ultravioletto il carattere ondulatorio della radiazione è
trascurabile, e le fluttuazioni sono quasi perfettamente poissoniane. I calcoli del rumore fotonico
saranno sempre fatti usando la (2.60). Inoltre in queste bande l'emissione di background
dell'ambiente è di solito resa trascurabile (l'emissione termica lo è sicuramente, perché siamo nella
regione x >> 1, e di solito il background è costituito da radiazione diffusa dall'atmosfera verso il
rivelatore, come ad esempio le luci di città).
Nell'infrarosso lontano e millimetrico sono importanti sia il contributo corpuscolare che quello
ondulatorio, ed è anche particolarmente importante l'effetto della radiazione di background: tutti i
corpi a temperatura ambiente emettono cospicuamente radiazione nell' infrarosso lontano. Un
esempio tipico è quello di un rivelatore bolometrico sensibile alla banda 1 ÷1.4 mm, che osserva la
radiazione ambiente (corpo nero a T = 300 K) con una efficienza totale ε = 0.1: si ottiene dalla
(2.65)
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