Sei sulla pagina 1di 7

DIRITTO EUROPEO DEI CONTRATTI

Lezione 05/11/2018
Per concludere l’ultimo argomento vi mostro questi due articoli (codice delle assicurazioni private)
di cui parlavo la lezione scorsa. E soprattutto vedremo quelli che sono gli obblighi di
comportamento, di trasparenza che il codice delle assicurazioni private in virtù della attuazione di
una direttiva del giugno 2018 ha imposto sia alle imprese assicurative sia agli intermediari. Oggi
entrambe le figure sono riunificate sotto la denominazione di distributori del prodotto
assicurativo. Non vi è più questa distinzione fra intermediari ed imprese assicurative o emittenti del
prodotto assicurativo.
Vediamo quali sono queste regole di comportamento.
Se noi andiamo a vedere l’articolo 119bis “regole di comportamento e conflitti di interesse: “i
distributori di prodotti assicurativi operano con equità, onestà, professionalità, correttezza e
trasparenza nel miglior interesse dei contraenti”. Poi le varie lettere successive prevedono una serie
di informazioni o comunque delle regole di comportamento che gli intermediari devono adottare nei
confronti del cliente.
Passando al secondo articolo, se noi andiamo a vedere l’articolo 119ter, sempre del codice delle
assicurazioni private, impone qualcosa in più rispetto ad un generico obbligo di trasparenza o di
informazione. Se vediamo questo articolo è rubricato come consulenza e norme per le vendite senza
consulenza (dicitura che in italiano suona “strana” perché tradotta dalla lingua originale). Se
andiamo a vedere il contenuto, ci dice che “prima della conclusione di un contratto di assicurazione,
il distributore di prodotti assicurativi acquisisce dal contraente ogni informazione utile ad
identificare le richieste ed esigenze del contraente medesimo al fine di valutare l’adeguatezza del
contratto offerto, e fornisce allo stesso informazioni oggettive sul prodotto assicurativo in una forma
comprensibile al fine di consentirgli di prendere una decisione informata. Qualsiasi contratto
proposto deve essere coerente con le richieste e le esigenze assicurative del contraente”. Se noi
andiamo ad analizzare questa norma troviamo quella stessa regola di adeguatezza o di
appropriatezza che già abbiamo trattato in parte per quanto riguarda l’intermediario finanziario, ed
in parte per quanto riguarda la stipulazione del contratto quadro, cosi come per i singoli successivi
investimenti che il consulente finanziario deve attuare in ordine ed attuazione di questo contratto
quadro.
Se andiamo a vedere cosa abbiamo trattato l’ultima lezione vi ho detto che lo sviluppo e
l’affermazione di questo contratto claims made (assicurazione professionale) ha comportato
numerose problematiche. Abbiamo visto la possibile applicazione della disciplina in materia dei
contratti standard, in materia di clausole abusive ed abbiamo visto che comunque una soluzione
certa fino ad un dato momento storico (cioè 24 settembre 2018) non c’era effettivamente stata. Vi
ho anche detto che in realtà questo contratto claims made non prevede un'unica formulazione, ma
soprattutto la tecnica assicurativa ha fatto si che può essere modulato a seconda di quelle che
possono essere le esigenze dell’assicurato. Abbiamo visto inoltre che può essere inserita una
clausola di retroattività che può essere più o meno ampia (retroattività triennale, quinquennale o
decennale), o addirittura può anche essere dotato di una clausola di ultra attività (come se fosse un
modello tradizionale ma che non lo è perché vi è una barriera temporale inferiore rispetto a quella
prevista dal modello codicistico).
Quindi oggi troviamo una situazione ben precisa. Da un lato abbiamo un’offerta che è quasi
standardizzata (quasi tutte le compagnie assicurative offrono prodotti assicurativi per responsabilità
civile e professionale basate sulla formula claims made che può essere variamente modulata).
Dall’altra abbiamo una legge mercato-concorrenza (l’ultima del 2017) che ci dice che l’antitrust è
intervenuta dicendo che le compagnie assicurative non possono offrire soltanto prodotti assicurativi
claims made per la responsabilità civile e professionale ma devono offrire anche prodotti basati sul
meccanismo tradizionale, e quindi sul fatto accaduto durate il tempo dell’assicurazione. La
soluzione del mercato è offrire un prodotto basato sul meccanismo tradizionale con una bandiera
temporale che comunque mi soddisfa l’interesse a sapere fino a quando io posso o meno essere
obbligato ad indennizzare l’assicurato. Quindi se io voglio stipulare un contratto assicurazione
professionale oggi ho una varietà, sia all’interno della formula claims made sia all’interno della
formula tradizionale.
Il problema qual è allora? La cassazione il 24 settembre ha detto: io vi ho risparmiato tutto il
percorso attraverso cui la giurisprudenza sosteneva la nullità del patto claims made. A volte si
sosteneva che fosse un patto immeritevole, a volte si sosteneva che realizzava un abuso di
dipendenza economica a danno del professionista (tesi vecchie e superate).
La giurisprudenza oggi dice che ormai questa formula claims made da un lato non può più
considerarsi una formula del tutto straniera o atipica perché è stata prevista in materia di
responsabilità professionale medica, quindi non può essere considerato come un contratto atipico
perché ormai è stato tipizzato all’interno dell’ordinamento italiano. Questa formula è introdotta per
tutti gli ordinamenti europei.
Cosa succede se effettivamente il professionista ha stipulato una formula claims made che poi si è
rivelata inadeguata a coprire il rischio professionale di quel portatore? Ad esempio la stipula di una
polizza con retroattività triennale e non quinquennale e il fatto è avvenuto cinque anni prima
nonostante la richiesta si collocasse entro l’arco temporale della garanzia. Quindi l’assicurazione
non mi copre e sono chiamato a risarcire il terzo direttamente. Questo è il caso che è arrivato in
cassazione di un’azienda edile in cui a causa della caduta di un braccio di una gru aveva avuto danni
non soltanto a cose ma anche a persone. Qui l’assicurazione diceva che quando era accaduto il fatto,
la retroattività non era sufficiente a coprire il fatto accaduto.
Riprendendo la norma precedente: “prima della conclusione di un contratto…il distributore di
prodotti assicurativi…deve valutare l’adeguatezza del contratto offerto”, cioè le esigenze
assicurative del professionista. Se io sono un soggetto che, pur essendo in vigore l’obbligo
assicurativo, non mi sono mai fornito di una copertura assicurativa, questa esigenza assicurativa in
cosa consiste? Per garantire il passato. E quindi devo informare il contraente se sono stato
assicurato negli ultimi anni oppure no. Se io sono un esordiente appena iscritto all’albo il
distributore deve accertare pregresso, quindi sarebbe inutile offrire una polizza claims made con una
retroattività decennale. Se io sto andando in pensione mi conviene stipulare un contratto con
clausola di retroattività qualora non sono mai stato assicurato.
Quindi la soluzione qual è? Chi risponde del vuoto di copertura 1? Dobbiamo andare a cercare se
quel vuoto di copertura è frutto di un contratto inadeguato. Inadeguato perché il distributore non ha
concretamente accertato quelle che sono le esigenze assicurative di quel cliente. Da questo
comportamento negligente è derivato un danno, un danno che consiste nel fatto che si è verificato
un buco di copertura.

1
Succede il fatto ed io pur essendo assicurato subisco un vuoto di copertura, e quindi devo indennizzare direttamente
il terzo
L’articolo 119ter è una norma imperativa. Se il vuoto di copertura si è verificato per violazione di
questo articolo si può affermare che quel contratto è in contrasto con questa disposizione che ha
natura imperativa. Se io dico che allora il contratto, al quale si è verificato un buco di copertura,
quindi inadeguato ed in contrasto con l’articolo 119ter, è nullo si ha la tutela del soggetto? La
conseguenza della nullità sarebbe che se viene meno la polizza io ottengo la restituzione dei premi,
ma il vuoto di copertura si va a colmare oppure no? Io sono comunque tenuto a risarcire il danno
nei confronti del terzo.
Se il contratto fosse inadeguato e nel caso in cui la ditta sia chiamata a risarcire un milione di euro
nei confronti del soggetto sarebbe il distributore a rispondere del danno subito. Però ragionandoci
su, questi obblighi di informazione si collocano nella fase precontrattuale, quindi il distributore
sosterrà che tutt’al più può esservi una responsabilità precontrattuale. Inoltre sosterrà che posso
chiedere solo l’interesse negativo. Se chiedo l’interesse negativo non ottengo alcun risultato. Quindi
qua siamo di fronte, pur la cassazione non dicendolo espressamente, ad un'altra ipotesi in cui si ha
un risarcimento a carico degli intermediari, cioè dei distributori, che, pur essendo un risarcimento
prettamente per responsabilità precontrattuale, non potrà che avere per oggetto non l’interesse
negativo ma l’interesse positivo. Cioè come sarebbe stato quel contratto se il distributore si fosse
comportato in maniera corretta. Quindi diciamo che quella mancata informazione si contrattualizza
al pari di quello che è l’intermediario finanziario. Ed in questo caso non può che avere per oggetto
non l’interesse negativo ma l’interesse positivo. Ed in questo caso l’interesse positivo è dato da
come doveva essere il contratto se fosse stato stipulato correttamente. E quindi andrebbe a colmare
il vuoto di copertura.
La violazione dell’adeguatezza e dell’appropriatezza comporta l’emersione di interessi analoghi in
capo all’investitore e all’assicurato? Per l’investitore è un ripiego perché se faccio un cattivo
investimento la nullità gioverebbe perché otterrei indietro il premio del cattivo investimento
effettuato. L’assicurato della nullità non se ne fa niente perché gli interessa che venga coperto il
vuoto di copertura. Quindi qui gli funziona benissimo il discorso della responsabilità precontrattuale
che per oggetto non l’interesse negativo ma quello positivo, cioè la corretta esecuzione del contratto
qualora fosse stato correttamente ed adeguatamente stipulato in base ad una adeguata consulenza.
Ovviamente poi per risarcire il danno se io ometto informazioni essenziali all’impresa assicurativa,
cioè ad esempio che ho svolto attività pericolose negli ultimi dieci anni, e le ometto perché voglio
pagare un premio basso, questa negligenza non potrà che valere in questa quantificazione del danno.
Cambiamo completamente argomento. Stiamo chiudendo questa panoramica sul secondo contratto
tra professionista e consumatore.
Leggendo l’articolo 1490 del codice civile vediamo che: “il venditore è tenuto a garantire che la
cosa venduta sia immune da vizi che la rendono non idonea all’uso a cui è destinata o ne
diminuiscono in modo apprezzabile il valore”. “Il patto con cui si esclude o si limita la garanzia
non ha effetto, se il venditore ha in mala fede taciuto al compratore i vizi della cosa”. Se leggiamo
questa norma ci rendiamo conto che è riferita a beni mobili che semplicemente non funzionano
(viziati) o rovinato. Si fa riferimento quindi al classico difetto materiale del bene, cioè quel difetto
che non fa funzionare quel bene o ne comporta un valore minore rispetto a quanto pagato o ero
pronto a pagare.
In riferimento al bene che non funziona il legislatore del 42 ha previsto quali conseguenze in caso di
vizi di materiali occulti o che comunque rendono il bene non idoneo all’uso per cui è destinato o ne
diminuiscono in modo apprezzabile il valore. Ha previsto due rimendi ben precisi. Di fronte ad un
vizio materiale io posso richiedere o la risoluzione del contratto o la riduzione del prezzo.
Nella lettura in aula evinciamo dal testo che non parla di vizi ma parla di conformità.
“Si presume che beni di consumo siano conformi al contratto se coesistono le seguenti circostanze:
sono idonee all’uso al quale servono abitualmente beni dello stesso tipo; sono conformi alla
descrizione fatta dal venditore e possiedono le qualità del bene che il venditore ha presentato al
consumatore come campione o modello; presentano la qualità e le prestazioni abituali di un bene
dello stesso tipo che il consumatore può ragionevolmente aspettarsi tenuto conto della natura del
bene delle dichiarazioni pubbliche sulle specifiche dei beni fatti a riguardo dal venditore, dal
produttore o dal suo agente o rappresentante in particolare nella pubblicità o nella etichettatura”.
Un bene perfettamente funzionante in base alla vecchia disciplina non si può cambiare. Per quanto
riguarda la disciplina sulla vendita di beni di consumo, studiando il contratto di compravendita
all’interno dell’ordinamento italiano, troviamo più discipline che per molti versi non si escludono
fra di loro ma concorrono a tutelare la posizione dell’acquirente, ovvero che si diversificano a
seconda del bene oggetto della compravendita (bene mobile, bene immobile…).
In realtà nel nostro ordinamento oggi abbiamo una disciplina comune sul contratto di
compravendita (articolo 1470 e seguenti), poi abbiamo una disciplina di derivazione comunitaria,
che è rappresentata dalla vendita dei beni di consumo, poi ancora abbiamo la vendita internazionale
disciplinata dalla convenzione di Vienna del 1980 e poi abbiamo due particolari tipologie di vendita
che sono la vendita di beni mobili residenziali nonché la vendita di beni mobili in corso di
costruzione.
Abbiamo dunque una disciplina diversificata a seconda della tipologia del bene o comunque
dell’operazione posta in essere fra le parti.
Approfondiamo la distinzione fra la disciplina sul contratto di compravendita prevista dal codice
civile e quella di derivazione comunitaria per quanto riguarda i beni di consumo.
Noi abbiamo visto che l’articolo 1490 identifica il vizio con il bene non funzionante (vizio
materiale) che rende lo stesso non idoneo all’uso a cui è destinato o che ne diminuisce in modo
apprezzabile le qualità (bene rovinato). Per quanto riguarda i rimendi nei confronti di questi vizi il
codice civile ha un’impostazione ben chiara: si tratta di vizi ablativi che non mantengono in vita il
contratto, e si mira ad ottenere la situazione che si aveva prima della conclusione del contratto. Da
un lato il compratore tenderà a chiedere la risoluzione del contratto ed ottenere la restituzione del
prezzo più il risarcimento del danno. Quindi si parla di una disciplina diretta a non mantenere in vita
quel rapporto contrattuale ma a sanzionare il venditore.
Se andiamo a vedere invece la normativa sulla vendita dei beni di consumo, notiamo che ha alle
spalle un’idea ben diversa di tutela del consumatore. È stata introdotta nel 99, ha subito varie
modifiche ma comunque rimane sempre una disciplina che ha l’obbiettivo di armonizzazione
minima della materia. Questa disciplina non parla più di vizi ma parla di difetti di conformità
(nozione che ha un carattere ben più ampio rispetto a quello del vizio materiale del bene). La
conformità del bene al contratto abbraccia non soltanto ogni malfunzionamento o difetto di quel
bene ma anche qualsiasi mancata corrispondenza fra il bene come descritto nel contratto in senso
ampio2 e quello che ho effettivamente ottenuto. Qui dunque si tende a tutelare non più il cattivo
funzionamento del bene ma la conformità del bene al contratto. In questo modo si vuole
regolamentare la fase che precede la conclusione del contratto per garantire il consumatore.

2
Cioè come desumibile dalle informazioni che il venditore o il produttore ha messo a disposizione dell’utente tramite
cartelli pubblicitari, tramite internet ecc.
Questa normativa si caratterizza anche per i rimendi. Non abbiamo più rimedi ablativi del contratto
ma abbiamo rimendi mantenutivi del rapporto contrattuale, cioè tendono a mantenere in vita tale
rapporto contrattuale. Di fatto è stata introdotta la cosiddetta gerarchia dei rimedi. In caso di
difetto di conformità ecco che il consumatore non ha più a disposizione l’alternativa di risoluzione
del contratto-riduzione del prezzo ma deve rispettare una gerarchia di rimedi, cioè dovrà chiedere in
prima battuta la sostituzione del bene o la riparazione, e soltanto quando la sostituzione o la
riparazione sono eccessivamente onerose o impossibili per il venditore, potrà chiedere la risoluzione
del contratto ed il risarcimento del danno. Badate bene che quindi il legislatore ha introdotto due
rimedi ben distinti e ne ha assegnato una gerarchia.
Quindi riassumendo si parla di una nuova normativa che ha degli elementi caratterizzanti.
Sostituisce la nozione di vizio con la nozione di difetto di conformità. È una normativa che poniamo
nel secondo contratto perché presuppone la presenza di un professionista e di un consumatore. E
che ha un’ampia applicazione ben precisa perché riguarda non tutte le tipologie di beni ma si deve
trattare di beni di consumo (e non ad un’attività produttiva). Questa normativa si caratterizza anche
quando si parla di rimedi perché predilige quelli che sono i rimedi manutentivi del rapporto
contrattuale rispetto a quelli ablativi che tendono a rescindere o risolvere il contratto, perché il
consumatore in caso di difetto di conformità dovrà chiedere in prima battuta la sostituzione o
riparazione del bene, e solo qualora queste siano troppo onerose o impossibili per il venditore il
consumatore potrà chiedere la risoluzione del contratto e il risarcimento del danno.
Parliamo dunque di vendita di beni di consumo però si parla di una normativa che possiamo definire
transtipica. Vi spiego il perché. Nonostante il legislatore europeo faccia riferimento al contratto di
compravendita, in realtà questa normativa trova applicazione a tutti i contratti siano essi tipici o
atipici attraverso cui si realizza il trasferimento del diritto di proprietà dal venditore al compratore.
Quindi non si deve trattare per forza di un contratto di compravendita ma si può trattare di un
contratto di permuta, leasing traslativo, un contratto di somministrazione. Cioè tutti quei contratti
attraverso cui si verifica l’effetto traslativo dal venditore all’acquirente. Pensate oggi che un
problema che si pone qual è? Quando leggiamo nei cartelloni pubblicitari che con una singola rata
possiamo avere a disposizione un’autovettura o addirittura un immobile. Nella prima ipotesi quella
rata a volte viene corrisposta come corrispettivo non per l’acquisto del bene ma per il godimento del
bene, cioè io pago quel tot al mese per ottenere quella determinata macchina con assicurazione,
manutenzione ecc. Però in realtà in quel caso non si verifica il più delle volte alcun effetto
traslativo. Ed è per quest’ultimo che questa normativa non può essere applicata. Se invece si prende
come riferimento la formula rent to buy (affitta per acquistare), significa che io do un corrispettivo
come se fosse un affitto ma con la possibilità di ottenere alla fine l’effetto traslativo. In questo caso
la normativa può essere applicata. Ciò che conta dunque è l’effetto traslativo.
Andiamo ad analizzare in aula una sentenza del tribunale di Palermo. Vediamo il fatto. “Con l’atto
di citazione del 28 marzo 2012, tizio premettendo di aver acquistato in data 30 aprile 2012 dalla
concessionaria Alfa e al prezzo di 26000 € l’automobile e lamentando che fin da pochi giorni dopo
la consegna e nei mesi successivi detta vettura aveva dato molteplici segni di malfunzionamento,
tanto da dover essere svariate volte riparata presso centri di assistenza. Ha chiesto la non conformità
del mezzo ai sensi degli articoli 129 codice del consumo al contratto di vendita e per la seguente
condanna ai sensi dell’articolo 130 del codice del consumo della convenuta la sostituzione
dell’autovettura con altra della medesima marca e modello a spese della convenuta medesima oltre
che al risarcimento di tutti i danni pattuiti quantificati in complessivi € 3000”.
Tizio sta lamentando il malfunzionamento dell’autovettura. Il bene rappresenta un bene di consumo.
Perché tizio si rivolge al venditore e non al produttore? C’è differenza fra responsabilità del
produttore e vendita di beni di consumo? Il danno da prodotto difettoso è analogo al difetto di
conformità?
Quando il bene è difettoso posso agire nei confronti del produttore non perché il bene è difettoso in
sè ma posso agire nei confronti del produttore perché chiedo il risarcimento del danno a causa del
danno prodotto dal bene e che deve essere un danno riguardante la persona fisica, lesioni personali.
Allorché il bene presenta un difetto materiale ma che non arreca danno a terzi o a me stesso (esso è
soltanto un difetto o una mancanza di qualità del bene) io non potrò mai agire nei confronti del
produttore perché tale difetto rappresenterebbe solo un difetto di conformità che mi impone di agire
nei confronti del venditore.
Nel nostro caso la giustizia lamenta un malfunzionamento. Ma essendo tale rappresenta un difetto
di qualità, un difetto di conformità rispetto al contratto. Se da quel malfunzionamento fosse derivato
un danno (es. macchina che si incendiava bruciando tutte le cose al suo interno o tamponamento
causa malfunzionamento freni), in questo caso non potevo agire nei confronti del venditore ma
dovevo agire per responsabilità nei confronti del produttore perché da quel difetto mi era derivato
un danno.
Quindi la disciplina in materia di responsabilità di prodotto difettoso è una disciplina che deve
essere tenuta distinta da quella in materia di vendita di beni di consumo e che riguarda il difetto di
conformità.
E qua lo dice chiaramente.
“Secondo la prospettazione di Alfa (venditrice), alla fattispecie in esame si applicherebbe la
disciplina di cui articoli 114 e seguenti del codice del consumo attinenti alla responsabilità per
danno da prodotto difettoso, a mente della quale il produttore responsabile del danno cagionato dai
difetti del suo prodotto. E tuttavia in base alle disposizioni del titolo in esame per danno da prodotti
difettosi, è risarcibile quando il danno è cagionato da lesioni personali o la distruzione o il
deterioramento di una cosa diversa dal prodotto difettoso” (es. cade una mensola ed invece di
prendere tizio rovina il parquet)
In questo caso tizio non può che rivolgersi al venditore perché non è sussistente la materia della
responsabilità da prodotto difettoso, perché in materia di vendita dei beni di consumo dobbiamo
rivolgerci al venditore.
Facciamo un po' di ripasso.
Secondo l’articolo 129.
1) Il venditore ha l'obbligo di consegnare al consumatore beni conformi al contratto di vendita.
2) Si presume che i beni di consumo siano conformi al contratto se, ove pertinenti, coesistono
le seguenti circostanze:
a) sono idonei all'uso al quale servono abitualmente beni dello stesso tipo;
b) sono conformi alla descrizione fatta dal venditore e possiedono le qualita' del bene che il
venditore ha presentato al consumatore come campione o modello;
c) presentano la qualita' e le prestazioni abituali di un bene dello stesso tipo, che il
consumatore puo' ragionevolmente aspettarsi, tenuto conto della natura del bene e, se del
caso, delle dichiarazioni pubbliche sulle caratteristiche specifiche dei beni fatte al riguardo
dal venditore, dal produttore o dal suo agente o rappresentante, in particolare nella
pubblicita' o sull'etichettatura;
d) sono altresi' idonei all'uso particolare voluto dal consumatore e che sia stato da questi
portato a conoscenza del venditore al momento della conclusione del contratto e che il
venditore abbia accettato anche per fatti concludenti.
Il soggetto preso in esempio prima lamentava il malfunzionamento della vettura acquistata. Tale
malfunzionamento aveva portato a 95 giorni di ricovero dell’autovettura. In questo caso il soggetto
può chiedere la sostituzione o la riparazione, di fatto, la scelta spetta al consumatore. È anche vero
che io non posso ottenere la sostituzione se questo rimedio è eccessivamente oneroso rispetto alla
riparazione. Allo stesso modo non posso ottenere la riparazione se tale riparazione risulta essere
eccessivamente onerosa rispetto alla sostituzione. Qua si tratta di un’autovettura del costo di 30000
€, ha presentato un difetto di conformità (malfunzionamento). Se ci concentriamo solo sul
malfunzionamento, in fin dei conti il consumatore ha ottenuto il soddisfacimento dell’interesse o
no? Si, perché è rimasto 95 giorni senza macchina però ottenendo una vettura sostitutiva (di
cortesia). Qua quindi possiamo dire che in questo caso la sostituzione è eccessivamente onerosa
rispetto alla riparazione perché io già di fatto la riparazione l’ho effettuata.
Ma il giudice qua su cosa si è impuntato? E la soluzione qual è?
La prima soluzione è: l’autovettura è riparata e al massimo ti concedo un risarcimento del danno;
l’alternativa è rappresentata dal concedere la sostituzione.
In questa situazione il 1490 poteva essere utilizzato, ma qua c’è qualcosa in più che è possibile
utilizzare. Anche se mi ripari la macchina io ti chiedo la sostituzione perché il bene deve essere
conforme al contratto, e tale conformità si ricava anche dai messaggi pubblicitari che evidenziano le
caratteristiche dell’auto ricercate da determinate tipologie di consumatori. Nel nostro caso una
macchina promessa con la caratteristica di poter sostenere lunghi viaggi, non è stata in grado di
soddisfare tale requisito. Quindi nonostante il bene sia divenuto nuovamente funzionante grazie alla
riparazione, il giudice concede la sostituzione perché risulta falsa l’informazione e l’autovettura non
presenta le caratteristiche tecniche che erano state enfatizzate dal venditore.
Qua oltre alla tutela del consumatore vi è anche una tutela della concorrenza. Perché enfatizzando
caratteristiche che non rispecchiano il bene si va ad operare in concorrenza sleale rispetto alle altre
imprese. Di fatto nel caso in questione non c’era alla fine il danno o perlomeno la conformità era
stata ripristinata, ma è stato sanzionato il messaggio pubblicitario attraverso cui quel soggetto si era
accaparrato una fetta di mercato.
Quindi se andiamo a vedere questo difetto di conformità tende a regolamentare l’attività
precontrattuale posta in essere dal venditore e tutte le informazioni che il venditore manda e mette
nel mercato e che servono a acquisire una cerchia di consumatori.

Potrebbero piacerti anche