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PATOLOGIA CHIRURGICA 13 Ottobre 2015

Chirurgia toracica

PNEUMOTORACE

CASO CLINICO

C.M.
35 anni – maschio
Direttore concessionaria di automobili (non è una professione particolare)
Fumatore di 20 sig/die da 15 anni (pack year 15)

(PACK YEAR = numero di pacchetti die fumati x numero di anni da fumatore. E’ un’unità di misura che stima
il rischio legato alla quantità di fumo acquisito per il numero di anni per cui il soggetto ha fumato.
E’ un numero da zero ad infinito che correla direttamente con il rischio di patologie polmonari,
espressamente la patologia tumorale del polmone. La curva ha una flessione importante dopo il 20 di pack
year, valore oltre il quale aumenta la sua pendenza dando un rischio di k polmone circa 20-30 volte
superiore rispetto al soggetto mai fumatore.)

Anamnesi Familiare: ndr

Anamnesi Patologica Remota:


2001 trauma toracico sx (incidente stradale) condizionante emo-pnx e fratture costali multiple
2010 dolore improvviso emitorace sx con modica dispnea

Cosa fate?
Anamnesi e EO

EO:
- emitoraci simmetrici
- ipoespansibile l’emitorace sx
- FTV e MV ridotti al campo polmonare superiore sx

Parametri vitali (molto importanti, in questo caso sono ancora nella norma):
- Assenza di turgore giugulare
- Pressione arteriosa 130/70 mmHg
- FC 85 ritmico
- SatO2 96% in aria ambiente
- EGA in aria ambiente: PaO2 78
PaCO2 36
Ph valore normale

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Esami strumentali
- RX torace in duplice proiezione eseguito in piedi: pnx apicale sx (evidenziato da una linea bianca
determinata dalla riflessione della pleura viscerale dell’apice) di entità importante in quanto raggiunge
il 4°-5° spazio intercostale e condiziona dolore e dispnea. Seno costo-frenico sx obliterato per un
modesto versamento ematico (verosimilmente determinato dalla rottura di una bolla subpleurica,
prima causa di pnx spontaneo nel giovane; la lesione determina la fuoriuscita di aria perché mette in
comunicazione l’albero tracheo-bronchiale con il cavo pleurico, ma può anche causare il
sanguinamento di un vaso parenchimale polmonare o una lesione da strappamento di un’aderenza se il
paziente in passato ha avuto un altro pnx, come nel nostro caso. In seguito ad un primo episodio di pnx
infatti si possono essere formate delle aderenze che, se strappate, fanno sanguinare i vasi neoformati al
loro interno. Questo comporta, oltre ad una problematica di tipo respiratorio, anche una problematica
di tipo emorragico, che nel caso del nostro pz è assolutamente modesta, in quanto siamo intorno a 200-
300 ml, ma se fosse un versamento che arriva a livello della cupola diaframmatica sarebbe stimato di
almeno 500 ml e comincerebbe ad essere importante, senza tuttavia necessitare ancora di trasfusione
né rischiare un scompenso cardiocircolatorio.)

Indicazioni a procedere con il posizionamento di un drenaggio pleurico in caso di pnx:


- pz sintomatico
- pnx rilevante (oltre il 3° spazio)
- polmone staccato completamente a livello margino costale (in questo caso è staccato solo all’apice
ossia solamente 1/3 del polmone è collassato, tant’è che il paziente ha ancora una buona
saturazione)
- presenza di versamento (in associazione a pnx sarà verosimilmente di natura ematica)

Si potrebbe anche decidere per un atteggiamento detto wait and sit, rivalutando il paziente a distanza di
qualche ora e in assenza di miglioramenti decidere solo in questo momento di posizionare un drenaggio, ma
di solito non si rimanda.

Posizioniamo drenaggio pleurico -> giustificati dal fatto che il pz è sintomatico, il pnx è di entità rilevante e
c’è la presenza di versamento ematico associato.

RX di controllo: drenaggio posizionato lateralmente con la punta verso l’alto, il polmone è riespanso mentre
il versamento permane.

HRTC: eseguita con lo scopo di identificare la presenza di parenchima distrofico. Si evidenza distrofia bollosa
dell’apice (prima causa nel giovane di pnx spontaneo primitivo, dizione accademica scorretta perché
una volta resa nota la presenza di distrofia bollosa il pnx non sarà più primitivo ma secondario; sarà
primitivo finchè non ne scopriamo la causa) con bolle e pnx residuo solo all'apice. Nonostante il
posizionamento del drenaggio il polmone non è ancora a parete (ricordate che la TC si fa con
drenaggio a caduta e non in aspirazione, quindi se c’è ancora qualche piccola perdita aerea il
polmone rischia di collassare nuovamente).
Anche l’apice controlaterale è distrofico, è classico l’interessamento di entrambi i polmoni:ricordate
che la presenza di un pnx a sx è fattore di rischio per un pnx a dx.

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TP: VTS sx con bullectomia e pleurectomia parietale
Si asporta l’apice del polmone contente le bolle tramite l’utilizzo di una suturatrice meccanica Stapler, che
appone 2 triple file di punti metallici e con una lama passante nel mezzo separa il parenchima polmonare da
asportare da quello che rimarrà in sede. Si procede poi con la pleurectomia parietale parziale (dal 2° al 6°
spazio) così che la pleura viscerale aderisca alla fascia endotoracica con una reazione infiammatoria che
impedisca l’eventuale ricollasso del polmone qualora dovessero formarsi e rompersi altre bolle. Infine si
posiziona il drenaggio pleurico all’apice per permettere la fuoriuscita di sangue ed aria nonché la
riespansansione adeguata del polmone, anche grazie all’aspirazione a pressione negativa.

RX alla dimissione (drenaggio rimosso): il polmone si è correttamente riespanso.

NB: Notiamo un segno radiologico molto importante confrontando i due emidiaframmi: presenza a sx di una
pinzatura a livello della pleura diaframmatica (polmone stira il diaframma), segno radiologico indiretto del
fatto che si è creata una pleurodesi quasi completa, la quale si associa ad un basso rischio di recidiva di pnx.
Spesso questo segno non è correttamente riconosciuto.

Domanda:
Indicazioni al drenaggio di un emotorace:
Distinguiamo l’emotorace post-traumatico da quello spontaneo:
- emotorace post-traumatico che occupi più di metà del cavo pleurico (2 drenaggi)
Nel nostro caso (emo-pnx di lieve entità) si potrebbero creare dei fori alla base del tubo così che la punta
del drenaggio in alto dreni l’aria mentre il versamento venga drenato attraverso questi fori posti alla base.

EPIDEMIOLOGIA
Patologia non rara ed invalidante a causa del tasso di recidiva elevato soprattutto se sono presenti fattori di
rischio come il fumo. Il danno è congenito nella stragrande maggioranza dei casi (distrofia bollosa) ma il
fumo peggiora di molto la probabilità di rottura delle bolle.
La popolazione colpita è giovane (18-40 anni).

Fumatori: 22 v maggiore nei maschi


9 v maggiore nelle femmine
Episodi di pnx recidivanti
Soggetti alti e magri > 1.9 mt

Dopo il 1° episodio il rischio di averne un 2° è del 30-50%


Dopo il 2° episodio il rischio di avere il 3° è del 70-90%
Questo ha ripercussioni anche sulla scelta terapeutica.

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ITER DIAGNOSTICO
Dopo aver inquadrato il paziente con anamnesi ed EO si eseguono gli esami strumentali:
- RX: sensibilità 50-70% (a volte ci troviamo di fronte ad un quadro palese con collasso polmonare
quasi completo, altre volte si evidenzia solo una piccola falda apicale)
- TCHR : gold standard. (Può essere anche in questo caso più o meno eclatante, nell’immagine
mostrata si vede un polmone completamente staccato a livello margine costale, quadro drammatico
con un polmone che rimane attaccato solo a livello mediastinico dove i vasi dell’ilo polmonare lo
tengono ancora in sede. La TC evidenzia poi anche l’eventuale sofferenza del parenchima
polmonare)
- ECOGRAFIA: fino a qualche anno fa questa metodica non era utilizzata a causa di due grossi limiti
che trova in questo distretto: le strutture ossee (gabbia toracia) e l’aria (contenuto aereo del
polmone). Oggi utilizzando sonde dedicate e con il corretto training (operatore dipendente) si è
rivelata una metodica ottima grazie anche ai vantaggi indiscutibili quali rapidità di esecuzione,
possibilità di essere eseguita al letto del malato, minori limitazioni tecniche e l’aspetto
protezionistico.
Segni rilevabili:
o assenza sliding (scivolamento della pleura viscerale sulla pleura parietale, se presente il
parenchima è a parete, se c’è la presenza di aria non lo vediamo)
o assenza linee B (linee trasmesse dal parenchima polmonare)
o presenza di lung points (punto di passaggio tra una zona in cui è presente il contatto tra le due
pleure e una zona dove questo non c’è più)

RX : sbandieramento del mediastino per pnx iperteso sx.


(La radiografia NON doveva essere eseguita, la diagnosi è clinica!)
Da cosa lo capiamo?
- trachea (nastro tracheale) al di là ai processi spinosi (la trachea rimane ancorata a livello laringeo)
- aia cardiaca parzialmente traslata verso l’emitorace controlaterale
- diaframma omolaterale molto basso (segno di un’importante pressione che schiaccia il diaframma)

Cosa c’è di sbagliato? L’RX! La diagnosi è clinica, il pz rischia la vita per shock cariogeno da ridotto RV per cui
va drenato subito non aspettiamo la radiografia.
TC: vediamo un polmone non completamente espanso e una bolla piena d’aria quindi non responsabile del
pnx.
Vedere una struttura nera (aria) con contorno bianco (pareti) indica la presenza di una bolla piena, se
vediamo una zona completamente bianca si tratta o di fibrosi in esiti di rottura di una bolla o delle pareti
collassate della bolla che ha determinato pnx rompendosi. E’ essenziale per il chirurgo valutare
correttamente la TC per conoscere la sede delle bolle e soprattutto per identificare il limite tra parenchima
patologico e parenchima sano perché questo guiderà la resezione chirurgica. Sarà necessario che le suture
meccaniche cadano su parenchima sano altrimenti le perdite aeree post operatorie risulteranno essere
prolungate (> 7 giorni) causando una serie di problemi.
Un altro aspetto che la TC ci può mostrare è la presenza di enfisema sottocutaneo. Perché c’è presenza di
aria nel tessuto sottocutaneo del paziente? In questo caso è già stato posizionato il drenaggio (a livello del
2° spazio intercostale sulla linea emiclaveare) ma l’aria sottopressione fuoriesce a camicia lungo le pareti del
drenaggio andando a finire nel sottocute. Si apprezza palpatoriamente con la sensazione di neve sotto le
dita.

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PNX SPONTANEO PRIMITIVO
- distrofia bollosa (classicamente colpisce l’apice del lobo superiore o il segmento apicale del lobo
inferiore)
Dal momento in cui identifichiamo una distrofia bollosa il pnx non è più primitivo. E’ una distinzione
puramente accademica con il pnx secondario, ma in realtà non esistono pnx primitivi perché quasi sempre
ne identifichiamo la causa.

PNX SPONTANEO SECONDARIO


- enfisema polmonare (presenza di bolle enfisematose, depositi antracotici se fumatore)
- ascesso polmonare
- neoplasia polmonare

(nota: statisticamente è lievemente più frequente un pnx destro che sinistro)

RX: polmone a tenda


Il polmone è appeso alla pleura parietale tramite la formazione di aderenze per un processo infiammatorio
acuto in seguito ad uno o più pnx precedenti, asintomatici o paucisintomatici, oppure in seguito a un
intervento chirurgico. Il pz viene drenato (in questo caso a livello del 5°-6° spazio intercostale sull’ascellare
media) e all’RX di controllo vediamo che non c’è la completa riespansione alla base del polmone, segno di
perdite aeree importanti, e l’apice è pieno di bolle.
Attenzione dd tra presenza di una mega bolla e pnx: anamnesi (ad esempio pz anziano con enfisema) ed
esami strumentali (es all’RX un’area molto netta, magari circolare ci fa propendere per la presenza di una
mega bolla; ipotesi che confermiamo poi alla TCHR).

PNX APERTO E PNX CHIUSO


La comunicazione tra il cavo pleurico e l’aria ambiente determina il collasso del polmone poiché la
pressione negativa intrapleurica si azzera o diventa positiva nella forma di pnx iperteso.

Il pnx aperto è di solito traumatico: evidenziamo la presenza di una ferita a livello toracico spesso con
sanguinamento attivo e la presenza di bollicine nel sangue indice della perdita aerea.

PNX IPERTESO
Pressione nel cavo pleurico raggiunge i 20-30 mmHg.

Diagnosi clinica:
- dolore
- tosse da stiramento dei bronchi
- dispnea acuta
- cianosi
- turgore vene giugulari (RV ostacolato dal fatto che il mediastino si sposta e le cave si angolano, il
cuore batte a vuoto)
- tachicardia
- ipotensione
Ricorda che il pz giovane ha un’ottima capacità di compensazione per cui può rimanere stabile per diverso
tempo per poi improvvisamente peggiorare rapidamente.

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RX non serve! La clinica è dirimente!
E’ una condizione che può presentarsi in qualsiasi condizione di pnx: spontaneo, traumatico, secondario.
Rischio cardiogeno – respiratorio grave.
Trattamento immediato:
- in assenza di esperienza nel posizionamento di drenaggi toracici, si inserisce un ago cannula in 2°
spazio intercostale sulla linea emiclaveare (chiunque deve saperlo fare). Utilizzando un semplice ago
da accesso venoso, si va giù dritti (senza paura, se colpite il polmone causerete un pnx iatrogeno ma
se si trattava di un pnx iperteso avrete salvato una vita) e si toglie il mandrino (in questo momento
si sente un fischio per la fuoriuscita di aria, importante per essere sicuri di aver raggiunto il cavo
pleurico e non essere nel sottocute).
- Se disponibile personale con adeguato training inserire un drenaggio toracico

Successivamente si esegue RX in situazione di stabilità (ormai è un pnx normoteso).

-> Posizionare drenaggio toracico (trattamento d’elezione).

Il concetto del drenaggio è quello di inserire un tubo in cavo pleurico collegato ad un boccione di raccolta la
cui differenza di altezza permette all’aria di fuoriuscire dal cavo pleurico. A livello del boccione è presente
una valvola di sfogo che fa uscire l’aria. La presenza del menisco a livello della colonna d’acqua mostra le
variazioni della pressione intrapleurica in espirazione ed inspirazione.

PNX TRAUMATICO
Clinica:
- dispnea ingravescente (tachipnea, respiro antalgico)
- dolore legato allo stiramento della pleura parietale

EO:
- emitorace iperespanso e ipomobile o fermo (dd embolia polmonare dove il parenchima non è
perfuso ma ventilante per cui mobile)
- ipertimpanismo alla percussione
- murmure ridotto o assente
- crepitio fratture costali
Iter diagnostico:
- RX : pnx e fratture costali
- TC : pnx, fratture costali ed eventuale ematoma intraprenchimale (frequente in caso di trauma)

PNX IATROGENO
E’ un’evenienza temibile ma possibile, motivo per cui è sempre importante spiegare al pz i rischi di ogni
manovra eseguita.
Possibili cause:
- posizionamento di una vena centrale (succlavia), port -a -cath o altro (situazioni in cui spesso si
determina anche un emotorace)
- barotrauma da ventilazione meccanica
- esecuzione di una biopsia polmonare

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COSA RACCOMANDIAMO AL PAZIENTE?

Smettere di fumare? Sì (rischio aumentato anche di 20 volte se il pz continua a fumare)


Diminuire l’attività fisica? no (dopo un riposo iniziale di 10-15 gg)
Evitare voli aerei? sì (di solito si diceva per 1-3 mesi, oggi si dice di evitare per un 1 mese,
anche perché dopo 7-15 gg la cicatrice si è formata; i voli aerei sono
pericolosi per gli sbalzi pressori del decollo e dell’atterraggio)
Evitare immersione subacque? Sì (sbalzi pressori importanti perchè a 10 m c’è 1ATM in più)
Rischio recidiva? Sì

Il rischio di recidiva dopo il 1° episodio di averne un 2°: 30-55%


dopo il 2° episodio di averne un 3°: 50-85%

IMPLICAZIONI TERAPEUTICHE:
Al 1° episodio si esegue l’intervento solo in situazioni particolari.
Al 2° episodio l’indicazione all’intervento è assoluta.

INDICAZIONI ALL’INTERVENTO:
PRIMO EPISODIO
- Perdite aeree prolungate (> 7 giorni)
- Mancata riespansione del polmone
- Pnx bilaterale (come fosse un 2° episodio perché vengono considerati due pnx distinti)
- Emo - pnx
- Pnx iperteso (rischio alto di ripresentarsi come tale)
- Professione a rischio (personale di volo, sommozzatore)
- Viaggio in regioni isolate
- Presenza di megabolle
SECONDO EPISODIO
- recidiva omolaterale
- recidiva controlaterale
La recidiva è indicazione assoluta all’intervento chirurgico! Sempre!

VATS, RUOLO NEL PNX?


E’ un intervento mininvasivo che tramite 2-3 mini accessi a livello della parete toracica, con ausilio di una
videocamera introdotta nel cavo pleurico, permette di eseguire un intervento chirurgico i cui i principi sono
gli stessi dell’intervento eseguito in open.
Si esegue:
- Ispezione parenchima polmonare
- Identificazione delle zone distrofiche (Classificazione RJA Vanderschueren)
- Resezione del parenchima patologico
- Pleurodesi
- Posizionamento del drenaggio
- Verifica della riespansione del parenchima

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Classificazione endoscopica RJA Vanderschueren (1981) in 4 stadi:

1° stadio: parenchima polmonare apparentemente normale senza lesioni evidenti, 30-40% dei pz
(probabilmente si tratta della rottura di una micro bolla in sede posteriore)
2° stadio: aderenze pleuropolmonari causate da precedenti episodi di pnx (queste aderenze sostengono il
polmone ma possono anche lacerarsi ed essendo strutture neo formate contengono vasi che
portano a sanguinamento)
3° stadio: bolle fino a 2 cm
4° stadio: mega bolla, superiore a 2 cm

PRINCIPI:
- Bullectomia: utilizzando una suturatrice meccanica Stapler che appone 2 triplici file di punti
metallici con una lama passante nel mezzo che separa il parenchima sano da quello patologico.
- Pleurodesi: determina la formazione di aderenze molto tenaci tra pleura viscerale e fascia
endotoracica se eseguita asportando la pleura parietale, mentre nel caso di pleurodesi chimica (o
talcaggio = insufflazione di talco sterile in cavo pleurico) tra pleura viscerale e parietale.

Il rischio di recidiva al 2° episodio è stimato fino all’80-90%;


- con l’intervento chirurgico di sola bullectomia abbattiamo il rischio fino al 9-25%;
- associando alla bullectomia l’intervento di pleurodesi arriviamo ad un rischio del 1-10,7% (1,7% con
pleurodesi chimica - è ancora un rischio alto ma lo abbiamo ridotto di molto).

(NB: I dati relativi al rischio dopo l’esecuzione della sola bullectomia sono tutti giapponesi, questo perché in
Giappone non eseguono la pleurodesi: sono una popolazione con un rischio di sanguinamento più alto
rispetto alla popolazione caucasica in quanto hanno minor quantità di proteine della coagulazione. Ad
esempio nel post operatorio non somministrano eparina a basso peso molecolare per evitare la TEP, ma
riescono a prevenirla solamente tramite mobilizzazione precoce e metodi pneumatici o calze elastiche. Non
eseguono la pleurodesi perché strappare la pleura porta all’esposizione e alla lesione di tutti i vasi pleurici i
quali possono sanguinare e, soprattutto se è stata somministrata eparina a basso peso molecolare o in
presenza di un sanguinamento a nappo, si può arrivare ad un emotorace massivo.)

REVISIONE DELLA LETTERATURA


Emerge che il rischio di recidiva in caso di pnx trattato con VATS è pari al 4,5%, siamo invece a 0% se
trattato con tecnica open.
Perchè allora scegliamo il trattamento VATS?
Sono spesso ragazzi giovani che non vogliono toracotomia, ma questo fattore possiamo non considerarlo. I
motivi importanti sono:
1) I lavori considerati in questa revisione sistematica sono dati vecchi (anni ’90, VATS era una metodica
nuova), oggi il rischio é del 2-3%.
2) Le sequele in termini di dolore importante sono maggiori con tecnica open

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FATTORI DI RISCHIO PER RECIDIVA DOPO INTERVENTO CHIRURGICO
- Eta < 40 anni
- Continuare a fumare
- Presenza di comorbidità (bpco, enfisema, artrite reumatoide , cancro, endometriosi, polmoniti
interstiziali)
- Perdite aeree prolungate (> 7 giorni) (verosimilmente in questi casi la sutura è caduta su una
porzione di polmone malato per cui i punti non hanno tenuto o la cicatrizzazione non è stata
ottimale e la conseguente adesione della pleura viscerale alla fascia endotoracica non è avvenuta
con la corretta tempistica, ma è avvenuta in 20-30 giorni e perciò risulta lassa)
- Se non è fatta bullectomia completa
A Varese abbiamo cercato di verificare la nostra esperienza valutando il nostro tasso di recidiva.
Innanzitutto dobbiamo codificare cosa si intende per recidiva poiché la recidiva è correlata ad una vera e
propria falda di pnx, la presenza invece di una sacca pleurica correlata alla riespansione incompleta del
polmone non è considerata tale.

1997-2010
134 pz, giovani fino a 40 anni
Tutti i pazienti sono stati sottoposti a VATS + bullectomia + pleurectomia (2°- 6° costa)
Post operatorio gestito in modo standard (drenaggio 24 french lasciato in modica aspirazione fino alla 5°
giornata e poi rimosso – a meno di perdite aeree persistenti)
Follow up (mediana) 79 mesi (interroghiamo questi pz a 3 mesi di persona e poi una volta all’anno
telefonicamente)
Outcome primitivo:
- complicanze peri operatorie
- complicanze a distanza (tasso di recidiva)
- dolore e parestesie post chirurgiche

andiamo quindi ad analizzare i fattori di rischio per la recidiva di pnx


M/F 4,6 (popolazione prevalentemente maschile)
Età 25 +/- 7 anni
Fumatori 47% (ricordate che i cannabinoidi sono un fattori di rischio aggiuntivo)
BMI 20.8 (normotipo)

Indicazione chirurgica motivata da:


60% recidiva di pnx omolaterale
20% persistenza di perdite aeree già al primo episodio
14% recidiva di pnx contro laterale
(quindi se vogliamo nel 75% l’indicazione è data dal 2° episodio di pnx)
2% pz con professioni a rischio
1% pnx spontaneo bilaterale all’esordio

Tempo operativo 1h circa


Complicanze peri operatorie: 24% dei pz (è alta come percentuale), di cui il 17% ha avuto perdite aeree
prolungate (> 7 gg)
Durata della degenza mediana 8 gg

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Mortalità 0%
Tasso di recidiva 6%, di cui 3 casi li abbiamo solo osservati e non trattati in quanto la falce d’aria era minima;
(questi casi negli altri studi non sono considerati recidive per cui se li escludessimo dallo studio dal 6%
scenderemmo 3,6%)
Intervallo mediano 43 mesi
La recidiva è occorsa a 38-40 gg o a diversi mesi 23, 32, 54, 58, 59, 71 mesi (range temporale molto ampio –
attenzione perché in letteratura non tutti hanno un follow up così lungo, per cui tanto più io osservo una
casistica tanto più dati raccolgo)
Disestesia/parestesia nel 10% dei casi
Dolore cronico 2.3% (ove per dolore cronico si intende l’aver assunto un analgesico almeno 1 volta al mese
per 6 mesi all’anno, per cui un dolore cronico non così importante come dolore; dopo la toracotomia questa
percentuale sarebbe del 10-20%).
Andando ad analizzare il trend temporale delle recidive se noi mettessimo una barra ideale tra il 4-5° anno
avremmo 4 recidive su 8 -> cambiando il follow up cambia il tasso di recidiva. (il follow up mediano degli
altri è spesso inferiore ai 4 anni, da qui capiamo il diverso tasso di recidive nei vari studi)

Trattamento delle recidive:


3 casi nulla
4 casi VATS + talcaggio
1 caso VATS + estensione pleurectomia
Nessuno dei pz rioperati ha avuto recidiva.
Analisi dei fattori di rischio per recidiva dopo intervento chirurgico:
2 fattori di rischio si mantenevano anche ad analisi multivariata
- Sesso femminile (fattore costitutivo non modificabile)
- Perdite aeree prolungate nel post operatorio (> 7 gg) (questo lo posso prevenire; posso migliorare il
tasso di recidiva facendo cadere bene la sutura su parenchima sano ed eventualmente in presenza
di parechima distrofico è possibile apporre colle o sigillanti che facilitino nell’immediato post
operatorio la sintesi delle linee di sutura)

PNX CATAMENIALE
Degli 8 pazienti recidivati 4 erano donne (50% nonostante sui 134 pz solo 26 fossero donne).
2 di queste erano già note per endometriosi, 2 erano misconosciute per endometriosi. La presenza di isole
endometriosiche a livello del cavo pleurico (in particolare a livello sovradiaframmatico) non è una
condizione tanto rara (benché fino agli anni 90 in letteratura se ne riportassero solo 50 casi).
Nella donna il 50-70% dei casi di pnx è correlato ad endometriosi, perciò è importante cercare di trattare
oltre al pnx anche questa patologia con terapia ormonale in accordo con ginecologo; di solito dopo 1-2 anni
si può sospendere terapia ormonale e se non c’è recidiva della malattia endometriosica il pnx tende a non
recidivare più).
E’ una forma di pnx che si presenta nelle 72h in prossimità del ciclo mestruale in seguito alla necrosi del
tessuto endometriosico.
In conclusione dalla nostra esperienza possiamo dire che il tasso di vere recidive è 3,7% (considerato il
follow up lungo) e che i fattori che correlano con la recidiva sono, se riconosciuti, trattabili; perciò è
necessario prevenire le perdite aeree nel periodo peri operatorio e considerare il pnx catameniale come
evento possibile nella donna in età fertile e quindi provvedere in questi casi ad un’accurata valutazione
multidisciplinare con il ginecologo.

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Clinica chirurgica- 24/11/2015
Prof Imperatori

CASO CLINICO
Donna, 52 anni, casalinga, non esposizioni professionali pregresse, ex fumatrice da 10 aa (prima 20
sig/die da 25 anni).
Aveva quindi un pack-year di 25. Il rischio di cancro al polmone è dal 20 in su, ma dopo 10 anni si
dimezza.
APR: appendicectomia in età infantile.
Obesa con BMI=33.
Malattia da reflusso gastro-esofageo e bronchiti ricorrenti.
La storia clinica recente della pz inizia da circa un mese, con dispnea ingravescente, toraco-algia
destra, febbricola (per definizione mai superiore ai 38°C) e lieve calo ponderale legato a una
sostanziale inappetenza. Si rivolge al MMG, che per prima cosa fa:
 Valutazione clinica. EO: riduzione del murmure vescicolare a dx in tutto il campo medio-basale, con
qualche rumore umido sempre al campo medio-basale destro, FVT ipotrasmesso alla base. EO
generale: pz che pur essendo obesa non è florida, anzi piuttosto emaciata e sofferente, per un
quadro che si trascina ormai da un mese.
Importante sempre caratterizzare il dolore e la dispnea (se a riposo o sotto sforzo). Cercare
sempre ulteriori informazioni per orientarvi nell’iter diagnostico e per le eventuali diagnosi
differenziali che dovete proporre.
 Il MMG imposta una antibioticotp ex adiuvantibus, con una penicillina protetta, la manda a casa e
le dice di tornare dopo una settimana.
Dopo una settimana la pz torna con un quadro clinico sostanzialmente invariato, cioè non
risponde all’antibioticotp se non per una defervescenza, cioè la temperatura scende e torna nel
range di normalità senza picchi sopra i 37.5°C. Anche il quadro obiettivo è lo stesso: murmure
ridotto alla base con qualche rumore umido.
 Chiede RX torace, che mostra una importante opacità al campo inferiore destro. Ricordiamoci che la
pz ha una storia particolare: ex fumatrice, obesa, con bronchiti ricorrenti, quindi potremmo
ipotizzare un quadro BPCO sottostante. Le caratteristiche RX di questa opacità sembrano far
propendere per un interessamento a carattere pleurico e non polmonare: è un versamento
pleurico, perché l’opacità è disposta in modo ben definito e delimitato e non sembra parenchimale.
L’aspetto è proprio tipico da versamento pleurico, cioè di qualcosa che si accumula alla base e che
risale lungo la parete. Anche all’interno del parenchima comunque c’è qualcosa di non pulito,
addensamento polmonare c’è. Il liquido oltre ad essere disposto nelle pareti anteriore e posteriore
è anche all'interno della grande scissura di destra. Vuol dire che probabilmente la pz ha un
versamento pleurico. Anche a sinistra lo sfondato non è pulitissimo, ma molto meno occupato
rispetto al destro.
 Torna dal MMG che vede RX, la rivaluta e a questo punto ha davanti varie opzioni: potrebbe essere
una patologia infiammatoria (pleurite), oppure una neoplasia (che ci potrebbe stare perché ha il
fattore di rischio del fumo, ha il versamento pleurico, con la febbre per il rilasciamento di IL e TNFα,
che poi stimolano il fattore pirogeno endogeno), oppure una patologia infettiva (empiema in un
quadro possibile di BPCO, sostenuto dai batteri delle sue bronchiti ricorrenti. Potrebbe essere
quindi un empiema metapneumonico, cioè a partenza da un processo infettivo del polmone, che
porta alla formazione di liquido reattivo a livello del cavo pleurico che si sovrainfetta a causa degli
stessi batteri). Il medico decide che la pz merita un inquadramento ospedaliero e la manda con
bollino verde direttamente in chirurgia toracica.

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In ospedale, in funzione di quella RX, sospettiamo patologia acuta o comunque subacuta, quindi la
pz esegue:
 Esami ematochimici: VES 96 mm/sec, PCR 64, GB 12270/mm³, proteine totali 5.1 g/dL, albumina
2.8 g/dL. Quindi ha un quadro infiammatorio perché ha aumento della VES e PCR, con leucocitosi
modesta ma presente, e una ipoproteinemia/ipoalbuminemia marcata (il limite di riferimento è 3.5-
5.5 g/dL. Un quadro infiammatorio, sia su base neoplastica che su base infettiva, consuma le
proteine normali).
 Esegue TC torace, che conferma il versamento pleurico destro, con lieve atelettasia del lobo
inferiore destro. C’è un evidente ispessimento pleurico (la pleura normale è spessa 20-30 micron e
quindi alla TC non si vede, se si vede è perché è ispessita), non francamente omogeneo ma
nemmeno francamente mammellonato come sarebbe tipico di una neoplasia. La pleura
mediastinica non è ispessita.
La TC comunque non fa mai fare diagnosi di certezza tra mesotelioma e pleurite. Ci sono delle
caratteristiche TC tipiche per il mesotelioma pleurico: mammellonature, disposizione
circonferenziale chiara ed evidente (che qui non c’è perché la pleura anteriore e mediastinica non
sono interessate), gettoni con diametro superiore a 1 cm. Però anche il mesotelioma non si
presenta sempre per forza con queste caratteristiche tipiche.
Quindi la TC non ci ha fatto fare diagnosi, ma la si è fatta per:
1. vedere la densità del liquido.
2. vedere il polmone, se ci fosse stata una polmonite lobare, piuttosto che una neoplasia polmonare
con un versamento pleurico reattivo (con versamento massivo difficilmente, ma con un versamento
parziale come questo avremmo potuto averla), eventuali localizzazioni al polmone controlaterale.
3. vedere se fosse stata una malattia clinicamente metastatica.
Qui la TC ci ha escluso la malattia metastatica bilaterale, ma restano aperte le HP di un
versamento neoplastico, di un mesotelioma e di una patologia infettiva.
Sicuramente la TC ci serve per misurare la densità del liquido, ovvero capire se è citrino o
corpuscolato e quindi con densità superiore, misurarne l'estensione per capire quale sia l’entità
del versamento e la stima volumetrica del versamento ci consente anche di decidere se fare una
manovra successiva che è la toracentesi, per poter valutare il liquido sia dal pdv colturale che
citologico per vedere se ci sono cellule neoplastiche nel liquido. Sapere che il versamento si
dispone posteriormente fino alla scapola ci consente di fare una stima quantitativa e qualitativa
del versamento, cosa che la sola RX non ci permette, e quindi la TC è importante.

 La toracentesi è importante farla in questo caso? Sì.


Se fosse un empiema (cioè un versamento infetto) la tp antibiotica non è sufficiente, risulta poco
efficace perché a livello del cavo pleurico di antibiotico ne arriva molto poco (diversamente dal
polmone, che essendo un organo molto vascolarizzato riceve tanto antibiotico). Se fosse
veramente un empiema, aspettare di vedere come va con il solo antibiotico porta a un grave
ritardo diagnostico. Quindi può avere senso nelle forme iniziali dare il solo antibiotico? Sì, ma se la
situazione non si risolve e la pz ha una storia clinica che dura da 20-30gg invece no, perché se
fosse davvero un empiema rischia l'evoluzione in fibrosi, la cicatrizzazione creata dall'organismo
per difendersi e isolare i batteri. Potrebbero essere eliminati i batteri, magari con l’aiuto
dell’antibiotico, e il pz guarisce, ma con una cicatrice come esito che non fa espandere più il
polmone, problema che configura il quadro del fibrotorace.
Quindi non ha senso insistere con antibioticotp a caso, ma bisognerebbe comunque fare una
toracentesi per eventualmente fare una antibioticotp mirata, che già ha più senso rispetto a un
antibiotico “casuale”. In più con la toracentesi caratterizzo il liquido come citrino, siero
emorragico, purulento ecc e fare anche una coltura dei batteri eventualmente presenti, oppure
trovare delle cellule tumorali e fare diagnosi di neoplasia. Se questo fosse un mesotelioma o un
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tumore metastatico del polmone, un adenocarcinoma con una carcinosi pleurica (se fosse un
tumore del polmone con carcinosi pleurica, questo fa diventare uno stadio 4, perché la carcinosi
pleurica è un M1a, nella vecchia classificazione era un T4, in questa nuova è un M1a). Quindi
conviene farla per non ritardare la diagnosi.
La pz quindi fa la toracentesi ed esce un liquido siero-corpuscolato non emorragico, che risulta
negativo sia dal pdv citologico che batterico che micobatterico.
Ricordatevi che la TBC non è un processo così raro, tanto più in soggetti con fattori di rischio quali
la malnutrizione, condizioni sociali disagiate o esposizione a qualcuno che poteva avere la TBC, e
quindi è un problema da lasciare aperto. Il 2-5% dei versamenti pleurici a Varese sono tubercolari,
quindi non molti, ma ci sono.
Quindi la toracentesi è positiva perché ci ha dato le caratteristiche del liquido come siero-
corpuscolato, non franco pus. Risultava però negativa in citologia e colturali. Ricordatevi però che i
tempi di coltura per un micobattere sono lunghissimi (60 giorni prima di poterlo definire negativo,
in alcuni laboratori anche 90 giorni), però si può fare il microscopico diretto (andare a vedere se si
vede il micobattere proprio fisicamente al microscopio, cosa abbastanza difficile), oppure si può
fare una PCR per la ricerca del DNA del micobattere (è sensibile di sicuro; specifico per la famiglia,
ma non per l’agente patogeno) che ci dà il risultato in meno di 48h.

 A questo punto visto che la storia si protrae da più di 40 giorni si decide di sottoporla a intervento
chirurgico, che ci permette di guardare direttamente nel cavo pleurico, di fare toilette chirurgica per
fare pulizia e consentire la riespansione del parenchima polmonare, e di fare dei campionamenti
bioptici sia per esami colturali che per l’istologico sul tessuto e non solo sul versamento, avendo
quindi una probabilità più alta di arrivare a una diagnosi di certezza.
 RX torace in prima giornata postop: si è riespanso il polmone di destra, quindi intervento con la
toilette è stato efficace nel ripulire il versamento, sia per la componente liquida sia perché si è fatta
una pleurectomia, cioè l’asportazione della pleura ispessita che costituiva la parete di una sacca
empiematosa. In 10 giorni si ha anche la conferma istologica. Il colturale, fatto sia sul
campionamento pleurico che sul versamento, risulta negativo perché la pz aveva fatto comunque
un antibiotico aspecifico, che aveva dato un impatto sulla defervescenza e che aveva reso
comunque più deboli i batteri, che non crescevano più ma c’erano. Quindi l’antibiotico può anche
confonderci le idee, va fatto ma tenendo presente che può non essere solo polmonite, ma avere un
empiema che può necessitare di terapia chirurgica a seconda dello stadio in cui si trova.
 RX dopo 4 mesi: risoluzione del quadro con restitutio ad integrum e ricomparsa dello sfondato.
L’empiema pleurico, verosimilmente metapneumonico cioè sostenuto da un processo infettivo
polmonare, si è risolto con l’aiuto sia della terapia antibiotica, sia dell’intervento chirurgico con la
toilette e l’asportazione della pleura parietale ispessita.

Empiema pleurico
L’empiema pleurico è una patologia legata alla presenza di versamento empiematoso o purulento
nel cavo pleurico, che è correlata ad elevata morbilità e mortalità: è una patologia per cui si ha
fibrotorace, ma che può portare anche a morte, perché se il processo infettivo continua,
depaupera le riserve energetiche del pz e alla fine i pz vanno incontro addirittura a shock settico.
Più della metà dei casi hanno una base metapneumonica, cioè insorgono sulla base di una
polmonite (sia di comunità, in pz BPCO o enfisematosi, anche nei bambini, sia in ospedale perché
la polmonite è una complicanza in tutti i contesti ospedalieri, problema importante perché spesso
sostenuto da batteri multiresistenti e quindi il pz va curato in modo anche aggressivo).

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Il 50-70% dei portatori di polmoniti sviluppano un versamento pleurico, di cui poi il 20% ha
evoluzione empiematosa.

Eziologia:
 Polmonite nel 50% dei casi.
 Contaminazione del cavo pleurico post-chirurgia (toracica, esofagea, cardiaca).
 Ascesso subfrenico: passaggio dell’infezione dal cavo peritoneale per ascessi epatici, splenici,
pancreatiti.
 Fistola bronco-pleurica, condizione assai temibile per cui si fistolizza un bronco ed esce in cavo
pleurico non solo aria ma anche del liquido infetto, ad esempio in polmoniti con la formazione di un
pio-pneumotorace, cioè un’infezione empiematosa associata al PNX.
 Infezioni di organi adiacenti: esofago con mediastinite che filtra poi in cavo pleurico e causa
empiema, osteomieliti, tiroiditi in gozzo plongeant.
 Post traumatico, con due meccanismi principali: l’accumulo di sangue in un emotorace post
traumatico può sovrainfettarsi, oppure perché il trauma è aperto con contaminazione diretta
dall’esterno del cavo pleurico ad esempio per una ferita da arma bianca che porta contaminazione e
empiema post traumatico.

Vie di infezione: via aerea, traumi toracici, setticemie (con diffusione dell’infezione per via
ematogena), ascessi subfrenici, rotture esofagee o interventi di chirurgia toracica.

Stadiazione: ci sono 3 stadi dell’empiema:


1. Essudativo: è presente materiale ancora liquido e deposito fibrinoso su entrambe le superfici
pleuriche.
2. Fibrino-purulento: dopo alcune settimane si ha la formazione di setti di fibrina con raccolte saccate.
È un tentativo di difesa da parte dell’organismo di confinare l’infezione, in modo simile all’ascesso.
3. Organizzato: proliferazione abbondante di fibroblasti sulle superfici pleuriche (entrambe, sia
parietale che viscerale), con formazione della cotenna pleurica, che tende ad isolare gli organi
(polmone da una parte e parete dall’altra), lasciando in mezzo la raccolta infetta che poi può anche
riassorbirsi, ma le cotenne che diventano spesse anche qualche cm incarcerano il parenchima
polmonare, riducendo la capacità di espansione della gabbia toracica e la capacità ventilatoria del
parenchima, con il rischio di perdere più della metà del polmone in termini di volume e capacità
ventilatoria, anche i modo definitivo. È la condizione che si definisce fibrotorace.
L'evoluzione nei vari stadi è importante perchè ci fa capire qual è il trattamento migliore per il pz e
qual è la prognosi del nostro malato. La mortalità per lo stadio 1 è circa dello 0%, per lo stadio 2
<2%, per lo stadio 3 >2%; confrontatelo con la mortalità post chirurgica per un intervento
maggiore di lobectomia polmonare, che è dell’1-1.5% (accettabile fino al 3%): avere mortalità del
2-4% è tantissimo per una patologia non maligna come l’empiema.

Sintomi:
 Rialzo termico ma con iperpiressia che può avere carattere diverso: febbricola, oppure anche
esordio con puntate di iperpiressia importante (38-39°C), dipende qual è l’eziopatologia, perché se
è su base infettiva diretta come polmonite è probabile che si abbia la curva tipica piretica a dente di
sega. Se invece è subacuto come in un BPCO ci può essere una presentazione subdola con
febbricola.
 Dolore toracico: altro segno caratteristico dell’empiema perché il processo infiammatorio interessa
la pleura parietale che è innervata e quindi causa dolore. Un dolore irradiato posteriormente o alla
scapola indica un processo che interessa la pleura (di varie origini, anche neoplastico).

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 Tachicardia perché il pz con un processo infettivo ha un aumento della frequenza cardiaca, che può
anche essere dovuto al fatto che l’incarceramento è sia del polmone che del mediastino e quindi
causa compressione delle camere destre del cuore con un RV ridotto che viene compensato dalla
tachicardia.
 Dispnea: è dovuta al versamento che impedisce una corretta espansione, ma è un sintomo
variabile, perché i pz si adattano. Un BPCO che già viaggia sul filo dello scompenso diventa
facilmente dispnoico, invece un pz giovane con polmonite lobare può non essere dispnoico, un
anziano diventa dispnoico più facilmente ecc. capire il tipo di pz che abbiamo davanti.
 Decadimento della condizioni generali: come tutti i processi infettivi-infiammatori cronici porta uno
scadimento generale, come quello neoplastico. La cachessia si abbina bene sia alle neoplasie che
alle patologie flogistiche croniche come l’empiema. Si avrà calo ponderale e ipoalbuminemia,
entrambi segni di un processo cronico.

Mostra RX di un altro caso, con versamento massivo a destra, e radiologicamente si vede un dato
molto caratteristico, cioè si vedono i livelli del versamento pleurico (liquido vs parenchima areato
risparmiato), ma anche dei livelli all’interno del versamento stesso: il liquido più denso e
corpuscolato è più pesante e sta sotto, quello citrino è più leggero e sta sopra.

Obiettivi del trattamento:


 Trattare l’infezione, perché è comunque un processo sostenuto da batteri quindi l’antibiotico
dobbiamo darglielo, anche se abbiamo fatto una toilette meccanica.
 Drenare completamente il liquido purulento, perché se lasciamo nel cavo pleurico la causa non
aiutiamo di certo la guarigione del pz.
 Favorire la riespansione del polmone, perché se il polmone si espande e torna a parete, non c’è più
la camera pleurica che può riempirsi di liquido e dare origine all’infezione. Bisogna rendere il
polmone elastico e quindi se la pleura viscerale è ispessita dobbiamo rimuoverla.
 Evitare la cronicizzazione e l’insorgenza delle complicanze.

Principi del trattamento:


 Stadio 1: abbinare la tp medica alla tp chirurgica meno invasiva possibile per ottenere i nostri
obiettivi.
Tp antibiotica sicuramente, e se possibile mirata dopo toracentesi e identificazione del battere,
per evitare di dare un antibiotico a cui il battere è resistente.
La toracentesi deve essere in un tempo il più iniziale possibile dopo che mi è venuto il dubbio di un
empiema metapneumonico, senza dare un antibiotico ex adiuvantibus e star lì ad aspettare 15
giorni per vedere come va.
Bisogna anche migliorare il decadimento generale del pz con un adeguato supporto nutrizionale,
anche con infusioni EV o enterale con sondino naso digiunale.
Altra cosa importante è riespandere il polmone: FKT respiratoria di supporto, perché ci permette
di drenare la porzione di parenchima atelettasico e di ventilarlo ed evitare che ci siano
sovrapposizioni infettive anche lì che poi innescano un circolo vizioso polmonite-atelettasia-
infezione-empiema. In terapia intensiva a questo scopo si usano i ventilatori, con il supporto della
ventilazione a pressione positiva o altre tipologie particolari di ventilazione.
Poi c’è la parte chirurgica: o una toracentesi massiva o il posizionamento di un drenaggio pleurico
con l’evacuazione del materiale purulento, già in uno stadio 1 ho un versamento corpuscolato e
mettere solo un piccolo drenaggio non serve a nulla, perché mi porta via solo la componente
liquida del versamento e lascia la componente densa e corpuscolata che è la più ricca di batteri e
quindi non risolvo niente. Non basta un drenaggio pig tail di 7-8 FRENCH, ma devo mettere un
drenaggio di 24-28 F, che permettono alla raccolta di uscire se è ancora liquida e non saccata.

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In un drenaggio di 7-8 F basta un po’ di fibrina per chiuderlo, se è francamente citrino può avere
un senso, ma di solito l’empiema è già più avanzato e bisogna drenarlo bene.
Lo scopo del drenaggio è evacuare il materiale purulento, aiutare con una depressione
intrapleurica in aspirazione negativa la riespansione del polmone e eventualmente eseguire dei
lavaggi o con semplice soluzione fisiologica (che diluisce la componente fibrino-corpuscolata e
viene poi aspirata o dallo stesso drenaggio o se sono stati messi due drenaggi da uno entra e da
uno esce per fare un lavaggio in continuo, ma ne basta anche solo uno) o con antisettici o
antibiotici per incrementare la detersione sia meccanica che chimica. Però se gli antisettici hanno
dimostrato una qualche utilità, gli antibiotici invece a livello locale se vengono rimossi subito
servono molto poco, perché il contatto di pochi minuti non funziona (funziona se il contatto tra
antibiotico e battere è prolungato, ma se continuo a lavarlo via non serve a niente). Funzionano i
lavaggi con la rifampicina nell’empiema tubercolare, in primis perché è specifico e poi perché sta lì
col drenaggio clampato.
Un’altra possibilità è il trattamento con fibrinolitici: urochinasi e streptochinasi, gli stessi usati per
la fibrinolisi dei vasi arteriosi. Hanno la possibilità di lisare la fibrina, che costituisce i setti e i
depositi lungo la pleura viscerale e parietale. Gli inconvenienti di questa terapia sono i costi e il
rischio emorragico associato, perché ad esempio una polmonite ascessualizzata che fistolizza nel
cavo pleurico e dà un pio-PNX e io gli do l’urochinasi causerò un’emorragia massiva di quel
polmone fistolizzato. Utilità non indifferente però è dimostrata negli empiemi metapneumonici
pediatrici.
Mostra lo Schema AACP (associazione americana pneumologia): ci sono alcuni punteggi per
costruire uno score di rischio per il pz. Ogni evento patologico può essere schematicamente
inquadrato con un’oggettivazione del rischio in punteggi e quindi in categorie. Sommatoria degli
score ci fa dare un giudizio probabilistico di mortalità o, come in questo caso, di cattiva prognosi,
ovvero di intervento chirurgico maggiore dopo empiema metapneumonico. Il posizionamento di
un drenaggio può aiutare la categorizzazione dei pz in 4 diverse classi. La presenza di vari fattori
possono sbilanciare o meno il rischio del malato. Questo è uno score non più utilizzato che vi ho
portato solo come esempio.
Quel che dovete ricordare è che un empiema in stadio 1 deve essere trattato aggressivamente non
solo con antibiotico, ma almeno anche con un grosso drenaggio. Cioè: fate la toracentesi, se
vedete pus chiamate il chirurgo e fategli mettere il drenaggio pleurico. Se l’empiema si cronicizza,
cioè dura più di 20 giorni, allora la tendenza alla guarigione spontanea anche col drenaggio diventa
molto scarsa. Questo soprattutto perché i processi di fibrotorace, cioè di ispessimento della
pleura, sono irreversibili.

 Stadio 2: trattamento chirurgico attivo in videotoracoscopia e toilette pleurica con eventuale


asportazione di quei foglietti pleurici ispessiti.
Si esegue: lisi delle aderenze che creano un inizio di saccatura, aspirazione del liquido pleurico
purulento (mandandolo sempre ad analizzare per un esame colturale e citologico, facendo sempre
attenzione al fatto che ci possono essere empiemi che insorgono su tumori ad es. su mesoteliomi
o su adenoca polmonari e quindi uno non esclude l’altro e vanno fatti sia colturale che citologico),
asportazione della fibrina, abbondanti lavaggi intraoperatori con soluzione fisiologica perché la
toilette meccanica è essenziale, posizionamento del drenaggio (1 o 2).
Quali sono i vantaggi della VATS? È indicata in fase precoce, è un intervento poco invasivo rispetto
alla toracotomia, ha una minor morbilità e mortalità (vero è che questo dato è inficiato dal fatto
che di solito operiamo in toracoscopia pz meno gravi), è meno traumatica, ha un miglior controllo
del dolore in postoperatorio, cosa importante perché se il pz ha dolore non respira, e se non

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respira non ventila, e se non ventila si instaura un circolo vizioso di atelettasia-infezione-recidiva
dell’empiema. Addirittura in alcuni casi può essere eseguita in anestesia locale.

 Stadio 3: intervento in toracotomia, perché entrare in un fibrotorace in toracoscopia è praticamente


impossibile, perché le coste in un fibrotorace si avvicinano così tanto da ridurre lo spazio
intercostale quasi a zero.
Il primo tempo in un approccio toracotomico è la costectomia=resezione costale, poi si fa la
decorticazione pleurica: asportazione della cotenna pleurica sia parietale che viscerale per
permettere al polmone di riespandersi, rottura dei setti, lavare abbondantemente, mettere
drenaggi.
Una volta tolti i setti di fibrina il polmone tornerà ad avere la sua elasticità, ma la parete toracica
che si era fibrotizzata tenderà a non riespandersi come era all’inizio e quindi residuerà un
fibrotorace che farà sì che la restitutio ad integrum non sia mai del 100%.

Mostra TC dello stesso pz di prima (quello coi livelli): si vedono bene le sacche con una
componente liquida e una aerea. Il pz è arrivato da noi in shock settico, le condizioni generali
controindicavano un approccio toracotomico, non aveva però ancora fibrotorace perché
l’emitorace destro era espanso tanto quello sinistro. Abbiamo fatto un intervento in toracoscopia
a 4 accessi, poi il pz è stato seguito con stretto monitoraggio e in seconda giornata postop aveva il
polmone ancora addensato ma che era tornato a ventilare. Poi dopo 2 mesi si notava una
restitutio ad integrum non eccezionale come quella della signora di prima, ma il pz comunque era
tornato ad avere delle condizioni cliniche stabili e sostanzialmente eupnoico.

Mostra RX e TC di un empiema in stadio 3: versamento massivo, prima viene drenato, ma residua


ancora del versamento perché c’è una raccolta saccata che non fa riespandere il parenchima
polmonare. Il versamento persisteva da mesi e aveva avuto il tempo di formarsi la cotenna
pleurica e di saccare il liquido, quindi drenandolo era uscito abbondante pus e di liquido residuo ce
n’era poco, ma nonostante il drenaggio fosse nella raccolta e fosse stato messo in aspirazione per
aiutare l’espansione della camera pleurica in realtà non bastava. Quindi intervento di
pleurectomia e decorticazione con una buona restitutio ad integrum.

Altro caso pediatrico, di un ragazzino di 8 anni: storia di polmonite trattata con tp antibiotica ma
non guarita, in PS peggiora il versamento pleurico e viene posizionato un drenaggio: il versamento
si riduce ma il polmone continua a non espandersi. Alla TC si vede una situazione disastrosa con un
fibrotorace massivo con addirittura le coste embricate. L’emitorace ha un’espansione che è la
metà del controlaterale: si esegue costectomia con decorticazione. Il bambino guarisce essendo un
bambino e quindi con grandi capacità di riadattamento, ma l’emidiaframma del lato malato resta
molto più in alto del controlaterale e si vede che gli manca una costa. Gli spazi tenderanno,
essendo un bambino, a riallargarsi un po’, ma avrà un discreto deficit residuo dovuto al ritardo
diagnostico e all’arrivo allo stadio 3.

Indicazione alla decorticazione in toracotomia: raccolte infette con ispessimenti pleurici in un


polmone coartato.

Mostra immagine di un empiema necessitatis: una pz con versamento pleurico modesto che
fistolizza non verso l’interno, ma verso la cute. Il processo infettivo iniziava a livello dello sfondato
costo-frenico ma poi procede nella parete: si incide la regione dove c’era la raccolta ed esce del
pus, c’è una erosione costale perché l’infezione evolveva verso un’osteomielite. Dentro si trova un
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calcolo, che derivava verosimilmente da una colecistectomia laparoscopica di 10 anni prima.
Probabilmente la colecisti si era rotta, il calcolo a livello sottodiaframmatico aveva causato
un’infezione ma essendo il diaframma una membrana non impermeabile c’era stato un passaggio
del calcolo che aveva causato poi l’empiema. Caso sicuramente più unico che raro ma è successo
veramente.

Altro tipo di empiema: empiema in esito di pneumonectomia. È una complicanza temibile dopo
gli interventi asportazione del polmone, perché togliere il polmone vuol dire lasciare il cavo
pleurico vuoto, questo si riempie di liquido e di sangue e questo versamento se si superinfetta (o
come complicanza postop o perché c’è una fistola bronco-pleurica) va incontro a un empiema di
tutto il liquido. La carica batterica è elevatissima e deve essere toilettata tempestivamente, prima
drenando il liquido infetto perché se ha una fistola bronco-pleurica si rischia anche l’inondazione
del polmone controlaterale, e poi facendo una fenestrazione pleurica, cioè togliendo una costa e
lasciando che il cavo pleurico guarisca per seconda o terza intenzione dall’interno con tessuto di
granulazione. Ci può mettere tra i 6 e i 18 mesi a guarire. Può essere di aiuto, ma non in fase
iniziale, la VAC therapy, che sostanzialmente mette sotto vuoto la zona e riduce la carica batterica
(stessa cosa degli addomi aperti).

Conclusioni
Il trattamento dell’empiema pleurico è certamente correlato ad una diagnosi tempestiva, perché
se si fa diagnosi in fase precoce lo si tratta in modo meno invasivo con minori conseguenze per il
malato. Il ritardo diagnostico comporta quasi sempre un intervento più importante a fronte di un
risultato peggiore.
Il rischio di una diagnosi tardiva è di mettere a rischio la vita del pz, e questo è legato a shock
settico e cachessia.
Lo stadio dell’empiema vi aiuta ad orientarvi sulla prognosi e sul trattamento più utile per quel
malato. Stadio 1: drenaggio, stadio 2: VATS e pleurectomia, stadio 3: toracotomia, resezione
costale e decorticazione pleurica. Nell’empiema post pneumonectomia invece: fenestrazione
toracica, costectomia, pulizia e guarigione per seconda-terza intenzione.

Mostra il video del trattamento di un versamento pleurico saccato, non alla base. Il tentativo di
difesa è stato quello di consolidare e isolare l’infezione in una sacca. La telecamera in
videotoracoscopia mostra un ispessimento francamente emorragico, ma pieno di deposito di
fibrina, che interessano in questo caso solo la pleura parietale, ma se interessa anche la viscerale
fa sì che il polmone si espanda con molta più difficoltà. Con la pinza da biopsia si fa il
campionamento per colturale e citologico, bisogna tentare di prendere anche il polmone. Poi si fa
la detersione meccanica, una vera e propria pulizia fino ad arrivare al parenchima polmonare che
deve essere liberato dalla cotenna che lo riveste. Meno tessuto fibrinoso si lascia, più la capacità di
recupero di quel cavo pleurico è alta.

La decorticazione pleurica o pleurectomia non vuol dire asportare solo la fibrina posta sulle pleure,
ma vuol dire asportare tutto, sia il foglietto parietale che viscerale, esponendo la fascia
endotoracica da una parte e il polmone dall’altra, facendo sì che la capacità di riespansione torni
ad essere ottimale. Questo comporterà la formazione di aderenze, ma con polmone espanso,
perché non ci sarà più l’effetto cuscinetto della pleura viscerale che scorre sulla parietale.
Quantomeno le aderenze non saranno assolute, ma non è come avere un cavo pleurico fisiologico
coi due piani che scivolano uno sull’altro. È un compromesso che va bene soprattutto una volta
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raggiunto uno stadio 3. La formazione di aderenze di questa importanza sarebbe poi un problema
nel caso dovessi per altro motivo riaccedere al cavo pleurico del nostro pz.

Mostra TC di un empiema con bolle di aria all’interno del versamento, che sono segno della
presenza di batteri che producono gas.

Scala in settimane dei 3 stadi e del trattamento relativo: lo stadio 1 dura 1-2 settimane, ma prima
di arrivare alla diagnosi c'è una parte di “periodo nebbia” della storia del pz, che non sappiamo
mai bene da quanto dura. Il passaggio allo stadio 2 avviene in 3-5 settimane, che è dove al
massimo dovremmo arrivare ad intervenire. Poi dalla quinta settimana in avanti si passa in stadio
3 e lì bisogna fare interventi più demolitivi. Quindi dal sospetto di un empiema abbiamo al
massimo 4-5 settimane per intervenire. Non ritardate la diagnosi. Dallo stadio 3 in avanti la VATS
non funziona più.

Domanda: ma quindi in stadio 1 è meglio mettere un drenaggio o fare una toracentesi?


Risposta: la toracentesi la devi fare comunque perché devi asportare il liquido e campionarlo, poi
se invece che essere una toracentesi diagnostica cerchi di fare una toracentesi che sia anche
terapeutica asportando tutto può avere un senso, ma se è un versamento già purulento la sola
toracentesi non ti risolve il problema, devi mettere il drenaggio. Certo che se è già in uno stadio
francamente purulento allora andrà in toracoscopia perché siamo già in uno stadio 2 e il drenaggio
da solo non basta. Quindi se fai una toracentesi e tiri fuori liquido purulento la toracoscopia la devi
fare. Ma in uno stadio 1 se fai solo la toracentesi e non metti il drenaggio rischi di avere comunque
uno stadio peggiorativo. Quindi è meglio mettergli il drenaggio e evitare che passi in stadio 2 e
quindi debba fare per forza la VATS.

CHIRURGIA TORACICA 03.11.15

INTERSTIZIOPATIE

Caso clinico:
Donna di 64 anni la quale giunge in PS con una storia di dispnea ingravescente, progressiva
(evoluzione negli ultimi 15 gg) e debilitante, tanto da arrivare in insufficienza respiratoria acuta in
PS. Valutata dal medico di PS presenta un quadro di insufficienza respiratoria normocapnica ma
ipossiemica (45-48 mmHg) e una saturazione che si aggirava intorno all’ 85% in AA che recuperava
abbastanza bene in O2 terapia con pochi litri. In APR non aveva nulla di rilevante (ex fumatrice da
20-30 anni, casalinga).
Quadro all’ Rx del torace: diffusa riduzione della radiotrasparenza, più accentuata alle basi; un
quadro importante di impegno.
Iter diagnostico: abbiamo i criteri per definire un’ insufficienza respiratoria acuta; una volta trattato
inizialmente dal medico di PS, viene chiamato il medico specialista che prima di tutto auscultala pz
(non ci sono rumori umidi). Ipotesi DD (fatte tenendo conto solo dell’ RX): embolia polmonare ( non
possiamo escluderlo a priori), processo infettivo (pz però apiretica e non espettorazione muco-
purulenta), ards (però non è tipica del pz che arriva dal domicilio, può capitare, magari poi si scopre
che il pz è stato dimesso giorni prima da un altro ospedale dopo un intervento, ma di regola è una
complicanza ospedaliera in pz che hanno avuto uno stress respiratorio di vario tipo); la paziente non
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prende farmaci che possono dare fibrosi polmonare (es. AMIODARONE). Quindi andiamo dalla
patologia cronica ostruttiva (che è andata incontro a riacutizzazione), alla patologia infettiva ( che
però non ci sta perché non ha un quadro infiammatorio tipico), a una TEV, a una fibrosi polmonare;
potrebbe starci con una linfangite neoplastica (ndr. sempre in riferimento al quadro dell’ Rx).
Nell’ iter diagnostico poi chiediamo Ddimero (alto), emocromo, screening autoimmunitario, ECG
(negativo), spirometria (non in acuto),diffusione del CO, Tc ad alta risoluzione, HRCT nel sospetto di
una interstiziopatia, se le condizioni lo consentono (saturazione sale a 92-94%) fibrobroncoscopia.
La paziente in questione fa una TC del torace: si evidenzia un quadro polmonare con un minimo
versamento, un quadro diffuso, prevalentemente alle basi, con un quadro di aree a nido d’ ape, è
quindi un quadro interstiziale.
La tc ci chiarisce almeno sul fatto che è un quadro interstiziale, poi quale sia la causa ci si può arrivare
se il radiologo che la referta è un esperto in patologie polmonari.
La paziente poi è finita direttamente sul tavolo operatorio per fare una biopsia polmonare perché
nel giro di 48 ore è stato necessario intubare la malata. Quindi, quelle manovre e quell’iter che
dovrebbe essere seguito nell’ambito delle interstiziopatie polmonari (perché il quadro è interstiziale
diffuso) purtroppo è stato accelerato dall’aggravarsi delle condizioni cliniche. Era una donna che
aveva una condizione sostanzialmente di anamnesi quasi muta di ipertensione arteriosa e il
polmone a palparlo era ispessito, non era soffice e morbido come un polmone normale, non aveva
un quadro ispettivo tipico della bronchite cronica del forte fumatore con tutti i depositi antracotici,
non era il polmone tipico del tumore al polmone o della BPCO. Questo era un polmone da
interstiziopatia che ispettivamente è normale, quasi roseo, ma alla palpazione è quasi come
cartapesta: rigido, duro, fibrotico. E’ un’intertiziopatia polmonare.

UTILITA’ E RISCHI DELLA BIOPSIA CHIRURGICA

Il ruolo del chirurgo in una patologia pneumologica teoricamente dovrebbe essere zero, anche se il
vostro collega diceva che la biopsia chirurgica consente all’anatomo-patologo di fare una diagnosi
di certezza; però questo è un salto logico nell’iter diagnostico, perché salta l’aspetto radiologico, che
invece è indispensabile seguire. Perché però è importante la biopsia chirurgica? Perché in una quota
di pz variabile, fra il 20 e il 40% dei pz con interstiziopatia polmonare, la biopsia chirurgica ha un
ruolo importante perché consente di inquadrare in modo preciso la patologia e di fornire quindi la
terapia migliore al nostro paziente.

Stiamo parlando di un gruppo eterogeneo di patologie che vanno da forme poco aggressive a forme
molto aggressive (quindi con una prognosi infausta) i cui trattamenti, che sono generalmente
pneumologici, medici, corticosteroidi, immunosoppressori possono arrivare, in una quota
abbastanza vasta di pz, addirittura ad una tp chirurgica, ovvero al trapianto polmonare, quindi ha
una terapia che ha un ampio spettro; ovviamente non possiamo pensare, con una scarsità di
polmoni da trapiantare, di portare al trapianto tutti quelli che hanno un’interstiziopatia polmonare,
ma bisogna sapere selezionare e indicare quelli che si possono avvalere di quello e quelli che si
possono avvalere di una tp meno invasiva.
Il problema delle interstiziopatie è che sono spesso e volentieri molto simili da un pdv clinico, di
anamnesi, di storia, allora è essenziale ricordarsi che possono esistere e ricordarsi delle differenze
che ci sono fra l’una e l’altra in termini di anamnesi e quindi fare delle domande tipo:
 “Respira i fumi della cucina?”;
 “Ripete determinate azioni?”;
 “E’ esposto a determinati allergeni?”.

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Ricordiamoci la polmonite dell’agricoltore in chi era esposto al fieno, ricordiamoci quelle da
ipersensibilità legate ad esempio a chi ripete la pulizia dei sottotetti dove ci vanno i piccioni, le cui
deiezioni hanno un alto carico batterico e di allergeni e portano a delle interstiziopatie da allergeni
legati proprio a questa esposizione da animali.

Quindi se uno sa e se conosce che fra le varie interstiziopatie ci sono anche quelle da ipersensibliltà
cerca di focalizzare l’anamnesi per capire se c’è qualcosa di reiterativo nella vita di quella pz; quindi
è giusto chiedere se fa la casalinga e se ripete costantemente alcune cose.

Ci sono quelli che hanno delle interstiziopatie da respiro reiterato di metalli: chi lavora l’alluminio,
per esempio, continua a tagliare alluminio per 20-30 anni e respira polveri di alluminio. Il berillio lo
stesso. Per cui poi nella biopsia l’anatomo-patologo ci parlerà di elementi metallici rifrangenti
compatibili con quella che è l’esposizione professionale.

Tutto questo porta a un danno acuto e a un danno cronico. L’evoluzione del danno acuto e quello
cronico, cioè la fibrosi, porta a un quadro molto simile indipendentemente dai punti di partenza.

La diagnosi si basa su una corretta e accurata raccolta anamnestica, che è fondamentale in questo
tipo di malattie e se il pz, raramente succede, arriva in insufficienza respiratoria e finisce in RIA (loro
hanno avuto 4-5 casi in oltre 10 anni di esperienza) bisogna raccogliere l’anamnesi dei parenti.
Ovviamente se c’è un problema iperacuto allora l’iter diagnostico dovrà essere altrettanto rapido.

La vecchia classificazione, ormai superata, delle interstiziopatie polmonari è del 2002. E’ uscita
quella nuova nel 2013: la bronchiolite obliterante che prima veniva citata, adesso è diventata la
COP; cambiano i nomi, ma non voglio entrare in questi dettagli perché è del tutto inutile, però, il
fatto che ci sia un’evoluzione anche in terminologia di queste patologie è un po’ sinonimo della
confusione che c’è stata fino a ieri nella gestione di queste malattie, perché il quadro clinico,
radiologico e istologico non sempre era ben definito e questo comportava degli errori diagnostici e
quindi degli errori terapeutici.

L’identificazione da parte della OMS, che si è avvalsa delle società scientifiche internazionali, di
quadri anatomo-patologici precisi, ha consentito da qui di risalire al quadro clinico-radiologico e al
conseguente inquadramento anche prognostico.
E’ quindi dalla anatomia patologica che loro hanno potuto mettere un punto fermo e risalire a quello
che c’era prima (la storia) e a quello che c’era dopo (l’evoluzione della storia naturale, della prognosi
fausta o infausta, responsiva o non responsiva alla terapia).

Giustamente prima mi è stato chiesto se la pz faceva tp con amiodarone; è giusto perché una delle
cause di interstiziopatia è anche quella farmacologica, è un’interstiziopatia di tipo iatrogeno. Quindi
è fondamentale arrivare a coprire tutti gli aspetti della vita di questi pz.

Nelle linee guida inglesi della British Thoracic Society il punto chiave in questo tipo di patologie è la
HRCT: non è l’esame di per sé, ma l’interpretazione che ne fa il radiologo, perché l’esame di per sé
rimane un esame e non ci dice niente. L’HRCT è certamente un punto che ci consente di indirizzare
ad una diagnosi che sarà clinico-radiologica e che si potrà avvalere di un secondo step mini-invasivo
cioè il BAL, ma può eliminare dall’ipotesi di biopsia chirurgica il 60-80% dei malati, perché il quadro
radiologico è tipico e quindi i colleghi pneumologi e i colleghi radiologi, parlandosi e mettendo
insieme l’aspetto clinico e l’aspetto radiologico, arrivano ad una diagnosi.
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L’aumento del tessuto interstiziale e la sede del danno comportano il punto chiave della
eziopatogenesi delle interstiziopatie polmonari, che possono poi manifestarsi in modo acuto o in
modo cronico. Quelle acute possono poi evolvere in quelle croniche, quelle croniche avranno avuto
delle fasi acute o subacute, magari non sempre clinicamente evidenti. Il tutto è legato però a diversi
aspetti di tipo sia istologico (cellulare) che a diversi riscontri dal pdv clinico.
La fase iniziale è quella tipica dell’alveolite; la fase finale cronica è quella tipica della fibrosi.
La malata nel tempo di 48 h è andata in RIA e intubata perché era nella fase non acuta dell’alveolite,
ma era già nella fase evoluta in fibrosi.

Questo è quello che suggeriscono le linee guida americane dell’evoluzione della interstiziopatia. Non
entriamo nel dettaglio, ma ricordatevi di valutare il vostro malato distinguendo l’aspetto acuto,
l’aspetto cronico, gli eventuali infiltrati che alla RX si vedono (nella nostra pz si vedevano) diffusi
prevalentemente alle basi e l’aspetto eventualmente di noduli che ci possono orientare verso altre
interstiziopatie. Laddove c’è una patologia nodulare può farvi venire in mente, ad esempio, delle
granulomatosi a livello polmonare.
Quindi cercare di guardare, anche chi pneumologo o radiologo non è, quelli che sono i quadri più
importanti.

Se c’è un danno acuto possiamo pensare alle infezioni, alle inalazioni, ai farmaci, allo shock, a
reazioni allergiche. Questi dati ovviamente nella nostra pz, nella prima fase, potevano esserci.
Questo è il quadro anatomo-patologico: edema interstiziale, la fibrina, gli pneumociti di II tipo
reattivi, fino ad arrivare alla necrosi dell’interstizio polmonare che comporta una insufficienza
respiratoria per necrosi di parenchima polmonare.
Quindi, potrebbe in qualche modo giustificare il quadro della nostra paziente questa prima fase? Sì.
E allora, come qualcuno di voi prima citava, c’era la Wegener fra le ipotesi che potevano essere
chiamate in causa, perché è una di quelle che evolve con un quadro di necrosi tissutale con
insufficienza respiratoria acuta.
Anche l’ipotesi neoplastica: la linfangite interstiziale e la carcinomatosi a livello parenchimale
portano a quei quadri radiologici e la pz aveva qualche fattore di rischio (ex fumatrice).

Ovviamente nella forma delle infezioni bisogna fare anche un prelievo colturale, non solo quello
anatomo-patologico.
Laddove c’è un’interstiziopatia ad esordio acuto non escludiamo la patologia infettiva, anche se la
pz era paucisintomatica, apiretica e non aveva un quadro infiammatorio conclamato.

Potrebbe esserci una sovrainfezione in una pz diventata anergica per via, ad esempio, di una
sottostante neoplasia -> il fatto di non aver avuto iperpiressia non vuol dire che non fosse
infiammatoria-infettiva.
Anche nell’aspetto acuto ci sono malattie come quelle asmatiche, quelle farmacologiche, la Churg-
Strauss, la polmonite eosinofila, ecc..tutte forme poco frequenti ma che dovranno essere prese in
considerazione dallo pneumologo che valuterà questo tipo di pz.

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Forma evolutiva (fibrotica)
Il quadro anatomopatologico cambia: ci sono depositi di collagene, si ha rimodellamento del
parenchima polmonare e ciò si apprezza palpatoriamente perché la microscopia corrisponde a
quella che, palpatoriamente, è la macroscopia.
Ovviamente la differenza di aree di fibrosi fino ad arrivare al polmone a nido d’ape permette di
orientarci verso una diagnosi piuttosto che ad un’altra.
Il rimodellamento a nido d’ape (honeycombing) è caratterizzato da una parenchima polmonare in
cui gli alveoli sono praticamente inesistenti e quindi è stata sostituita tutta la superficie ventilatoria
dalla fibrosi che porta il pz ad un’insufficienza respiratoria irreversibile, perché in questa fase il
parenchima polmonare non tornerà più a ricostituire quegli alveoli che sono stati completamente
distrutti, per cui il parenchima non ventilerà più. È quindi una patologia con un’evoluzione infausta:
quando si arriva a questo quadro, che può essere anche diagnosticato radiologicamente, bisognerà
avere la consapevolezza che la biopsia chirurgica, avendo un simile quadro radiologico, non
aggiunge nulla di più anzi, può aggravare, accelerare o riacutizzare la patologia.
Da tenere in considerazione forme come:
 UIP (polmonite interstiziale comune, Usual Interstitial Pneumonia);
 Langerhans (intende forse la Istiocitosi polmonare a cellule di Langerhans).
 Polmonite da ipersensibilità,
 Polmonite interstiziale linfoide -> la si riconosce perché c’è una ricca quantità di linfociti;
 Polmoniti eosinofile -> qui la reazione del sistema immunitario del pz può essere valutata anche
a livello sistemico (non sempre, ma è una possibilità) e, soprattutto, può essere valutata con il
BAL e qui lo pneumologo gioca un ruolo essenziale perché facendo il BAL può misurare 1) il
numero di cellule presenti; 2) fare l’analisi percentuale delle singole componenti (eosinofili,
neutrofili ecc.). questo può orientare lo pneumologo verso una diagnosi di certezza (quasi): se
c’è un’eosinofilia nel liquido di lavaggio bronchiale allora sarà una polmonite eosinofila.
 Forme granulomatose e, fra queste, la più frequente è la Sarcoidosi. Tra queste forme di
polmonite interstiziale granulomatosa bisogna ricordarsi SEMPRE della Tubercolosi.
Quest’ultima non è la forma più frequente di presentazione della tubercolosi, non è nemmeno
la forma di interstiziopatia più frequente, ma è da ricordare. Quindi davanti ad un quadro
radiologico caratterizzato da un aspetto interstiziale sfumato e dei granulomi, fare la ricerca del
Bacillo di Koch (sull’espettorato, oppure tramite la Mantoux o il quantiferon).
 Forme dovute alle polveri. È importante, perché se all’interno si trovano la polvere di silice
piuttosto che altre sostanze, anche metalliche, si entra nell’ambito delle interstiziopatie
professionali, e l’anamnesi è molto utile perché unisce l’interstiziopatia alla causa professionale
e questo permette, al di là degli aspetti medico-legali, di allontanare il soggetto dall’esposizione
di questi metalli (se ancora ci lavora).
Ce ne sono un’infinità e, fino a quando gli anatomopatologi non si sono messi d’accordo, purtroppo
si arrivava a diagnosi difformi da centro a centro, e quindi il trattamento non era congruo.
Sono comunque un quadri un po’ nebulosi... è vero che l’anatomopatologo, una volta che ha il pezzo
bioptico, può arrivare ad una diagnosi, ma è difficile anche per loro (figuriamoci associare il quadro
clinico a quello radiologico).
Diagnosi
In verde i passaggi FONDAMENTALI
 Anamnesi, E.O., esami ematochimici, RX torace
 TC ad alta risoluzione (HRTC)
 BAL
 Biopsia (in casi selezionati. Essa NON è la regola!!!)

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 Mostra la TC di un altro pz con quadro interstiziale diffuso. Pz maschio, di circa 75aa, con quadro
interstiziale prevalentemente periferico.
Fare o meno una biopsia (penso che il senso del discorso sia questo) può dipendere molto dal fatto
che, se il radiologo e l’anatomopatologo tramite il lavaggio bronchiolo-alveolare si mettono
d’accordo sul fatto che si tratti, ad esempio, di una sarcoidosi perché magari il pz ha l’enzima ACE
alto, allora lo si può etichettare come sarcoidosi (senza fare la biopsia), gli si può fare una tp a base
di corticosteroidi e, con una regressione clinica e radiologica del quadro, significa che era stata fatta
una corretta diagnosi.
A meno che non si abbia la certezza assoluta che si tratti di un’altra patologia come, ad esempio, pz
in cura con amiodarone che ha sviluppato un’interstiziopatia che è regredita dopo la sospensione
del farmaco, in tutti casi che rimangono “non risolti” dal punto di vista clinico-radiologico la
broncoscopia DEVE essere eseguita con un BAL fatto a regola d’arte, ossia 60 ml di fisiologica a
temperatura ambiente iniettata e riaspirata per 3 volte (quindi alla fine sono 180ml) -> va fatta con
attenzione perché vuol dire affogare il pz, quindi la fisiologica deve essere aspirata tutta! Inoltre,
attenzione alla distinzione tra lavaggio bronchiale e lavaggio bronchiolo-alveolare, perché nel
lavaggio bronchiale si aspira solamente la fisiologica che si è iniettata, mentre nel bronchiolo-
alveolare si occlude la via aerea distale che ci interessa e si riaspira la fisiologica; infatti, il concetto
chiave è che bisogna posizionarsi in periferia con lo strumento in modo da chiudere l’accesso
all’altro bronco (cioè non ci si posiziona prima della carena, ma si fa in modo di chiudere con lo
strumento inserito l’ingresso del bronco che mi interessa studiare, iniettare la fisiologica e
riaspirare. Quindi non lo si fa ad, esempio, in trachea, perché altrimenti non si fa un lavaggio
bronchiolo-alveolare, si farebbe un lavaggio “delle vie aeree”).

Se, come avviene nel 60-80% dei casi, il radiologo e lo pneumologo raggiungono collegialmente una
diagnosi, allora ci si può fermare, la biopsia non è indispensabile. Questo è importante ricordarselo,
perché i rischi della biopsia in questi malati non sono pochi! Ciò è anche sostenuto dalle linee guida
americane dell’ATS (american thoracic society), europee (european respiratory socienty) e
giapponesi.
Quando FIP (fibrosi polmonare idiopatica) necessita di un passaggio successivo?
 Quando le cause non sono note
 Quando c’è un sospetto di una UIP (polmonite interstiziale usuale) alla TC ad altra risoluzione
 Quando c’è una combinazione “strana” che non consente di definire un quadro clinico oppure
l’associazione tra la TC e la biopsia (ma la biopsia non va fatta dopo?)
È importante arrivare alla diagnosi di fibrosi polmonare idiopatica, perché è quella che ci fa fare
diagnosi di “end-stage disease” ed è quella che condiziona la prognosi.
Esistono i criteri radiologici che sia il radiologo che lo pneumologo devono conoscere, quindi
seppure il contesto è complesso, il quadro tipico della TC esiste! Perciò si può arrivare ad una
diagnosi dalla radiologia. Ad esempio, i segni tipici della UIP: honeycombing, opacità reticolari
diffuse, “ground glass” (vetro smerigliato) non predominante.
La UIP è una patologia che ha una prognosi infausta, perché tra le polmoniti interstiziali è il passo
immediatamente precedente alla FIP (fibrosi polmonare idiopatica), tant’è che oggi vengono
accorpate nella valutazione delle casistiche internazionali, dato che entrambe hanno prognosi
infausta.

Mostra immagini di un altro quadro di UIP, con una ridotta presenza di favo d’ape ma una maggiore
componente reticolare.

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Quando si fa un BAL è indispensabile ricordarsi quali siano i valori di riferimento, che lo pneumologo
dovrebbe conoscere e anche voi se avete fatto clinica medica. Ad esempio, se il rapporto CD3/CD4
si inverte, ci farà pensare ad una sarcoidosi (secondo me intendeva dire CD4/CD8).

Se le sottopopolazioni linfocitarie sono alterate allora bisognerà pensare che sono altre forme.
Tutto questo ovviamente fa parte di un background culturale specialistico, ma voi dovete almeno
conoscere i principi.
Perché faccio il BAL? Perché se ci sono dei dati alterati rispetto alla norma posso avere delle
indicazioni fondamentali.
-Nell’ IPD (intersiziopatie polmonari diffuse) linfociti sono aumentati, soprattutto i linfociti T, questo
è un dato che deve essere chiaro, il rapporto CD4/CD8 è chiaramente aumentato;
-Nella attualmente chiamata COP criptogenetica il rapporto è diminuito;
-Nella UIP il rapporto è diminuito e i linfociti sono aumentati.
La combinazione di questi dati aiuta lo pneumologo o il radiologo ad arrivare ad una diagnosi di
certezza finale, non è solo uno, ma intersechiamoli anche nei vari aspetti dell’uno o dell’altro esame.
Se la valutazione collegiale non consente di arrivare a una diagnosi di ragionevole certezza, allora
entra in gioco la biopsia, che può essere anche non chirurgica, ma può essere anche una criobiopsia,
proposta negli ultimi anni, ovvero biopsia di un frustolo di tessuto che viene congelato con una
macchina che preleva una carota di tessuto polmonare congelato, con costi biologici per il malato
molto più bassi perché si può fare in broncoscopia, oppure si possono fare dei prelievi trans
bronchiali, o per via trans parietale o arrivare alla biopsia chirurgica.
I primi due sono quasi del tutto abbandonati perché danno poca soddisfazione: la biopsia toraco-
branchiale, oltre che essere mal tollerata, dà una scarsa quantità di materiale e non consente quasi
mai all’anatomopatologo di arrivare ad una diagnosi di certezza, probabilmente aggiunge più
elementi di confusione che non di certezza e la stessa cosa avviene per quella trans parietale, perché
il problema è cadere su zone di tessuto che abbiano non solo la fibrosi ma che abbiano deposito di
berillio, piuttosto che di silice piuttosto che altri quadri.
E’ la biopsia chirurgica che può offrire il confronto tra parenchima in evoluzione, tra quello sano e
quello francamente patologico fibrotico, allora i principi della biopsia chirurgica sono quelli di
arrivare ad avere un quadro che è completo ed evolutivo della storia naturale di questa malattia.
La biopsia chirurgica viene definita dalle linee guida ancora il gold standard diagnostico quando non
si ha un quadro clinico radiologico (20-40% dei casi), nonostante gli endoscopisti bronchiali spingano
per la criobiopsia.
Non viene usata in tutti i casi ma in quelli in cui il quadro clinico radiologico e broncoscopico non è
chiaro.
Tuttavia i pazienti che hanno malattia molto avanzata, quelli fibrotici, che sono quelli un po’ più
difficili, sono quelli il cui quadro radiologico dice fibrosi ma nulla di più, sono quei malati che con la
biopsia chirurgica corrono molti rischi in termini di morbilità e mortalità.
Allora bisogna valutare il rapporto rischio/benefici, perché fra i benefici c’è il fare la diagnosi corretta
e dare la terapia corretta, tra i rischi ci sono la morbilità e la mortalità legata alla manovra che io
vado a fare, perché se ho mortalità dopo lobectomia polmonare dell’ 1-2% per tumore al polmone,
qui la mortalità è molto più alta per fare delle piccole banali biopsie polmonari, perché il malato è
molto diverso.
Il beneficio è di avere una biopsia utile nel cambiare una terapia o comunque nel fare impostare la
terapia corretta, cosa che avviene nel 18-65% dei casi, quindi nemmeno nella stragrande
maggioranza delle biopsie chirurgiche poi si arriva a cambiare la terapia, a volte addirittura in 1/5
dei malati, e allora forse la biopsia è stata sbagliata, perché non ha cambiato la terapia preimpostata,
che è risultata corretta comunque.
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In questo lavoro il gruppo di Liverpool dice che dopo una diagnosi definitiva, ha cambiato la terapia
nel 59% dei casi diagnosticati con biopsia.
Ma il 55% di questi aveva avuto una diagnosi non specifica comunque, quindi la terapia può anche
non essere cambiata dalla biopsia o può essere adattata anche solo in base alla radiologia e al BAL.
Quindi fare a tutti in modo indistinto la biopsia chirurgica non ha senso.
I rischi si misurano in termini % di mortalità, che sono più alte delle mortalità di pneumonectomia
per cancro.
Le casistiche internazionali di gruppi di riferimento dicono che la mortalità è del 9% a 30 giorni e del
10,6% a 90 giorni; questi malati si complicano, non escono più dall’ospedale e muoiono a 60-70
giorni.
Il 10%, quindi su 10 biopsie, 1 è stata inutile per il malato, anzi ha portato danni.
Di fronte a dei tassi di mortalità più alti dell’intervento resettivo maggiore polmonare bisogna porsi
una domanda: è utile o non è utile? Perché se non è utile è inutile eseguirla.
Quali sono i casi selezionati?
Quelli in cui c’è agreement sul fatto che non abbiamo la diagnosi, quindi siamo tutti d’accordo che
una eventuale biopsia positiva con diagnosi di certezza ci possa far cambiare la storia naturale della
malattia perché fa somministrare al paziente la terapia giusta, che può andare fino al trapianto di
polmone: ovviamente bisognerà ragionare in termini di età e se per esempio ho un ragazzo di 40
anni con un’interstiziopatia polmonare acuta o subacuta, ho uno spazio di terapia fino al trapianto,
se ho un ottantenne con interstiziopatia che al trapianto non ci andrà perchè è fuori dai criteri per
il trapianto, quindi se devo fare del cortisone lo faccio indipendentemente dalla biopsia chirurgica,
anche con un quadro radiologico magari identico, perché poi bisognerà collocare la terapia e le
scelte da paziente a paziente.

Quando bisogna fare la biopsia chirurgica?


-Nei pazienti in cui è utile e in cui il rischio è accettabile
-Prima che si inizi la terapia medica altrimenti ho un quadro alterato (fare terapia sotto
corticosteroide è poco utile)
Devo eseguire più biopsie e in lobi diversi, quindi si entra prevalentemente a destra perché ci sono
più lobi e ci sono più scissure ed è più facile farla; se l’approccio è open, cioè toracotomico,
ovviamente l’intervento è ancora più invasivo e a scopo bioptico diagnostico sarebbe da evitare per
dolore, complicanze,sanguinamenti,..
Il ruolo della videotoracoscopia è quello di offrire dei buoni livelli di successo e l’accuratezza
diagnostica in questo ambito è in quasi il 100% dei casi, con prelievi mirati, perché ispettivamente
o palpatoriamente sento dove il parenchima è malato, dove è più granulomatoso o con micronoduli
superficiali, ispessito,..
Il tutto a fronte di morbidità e mortalità che devono essere contenute e quindi se seleziono bene il
malato i tassi si abbassano.
Toracoscopia: si introduce la telecamera a livello di 7, 8 ,9 spazio intercostale e con gli strumenti si
vanno poi ad eseguire dei prelievi bioptici.
Dal 100% di accuratezza si può scendere fino al 70% perché se vado su quadri parenchimali fibrotici
avrò un quadro descrittivo di fibrosi polmonare, che però è un quadro finale, non è l’interstiziopatia
polmonare, a meno che sia una fibrosi idiopatica.

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Problematiche:
-se il malato è troppo compromesso e non è in grado, nemmeno sotto ventilatore, di reggere la
ventilazione monopolmonare (quando intervengo devo far collassare il polmone per agevolare le
operazioni), la probabilità che la sutura dopo la sezione tenga sono molto basse
-a volte ci sono talmente tante aderenze e quindi l’accesso toracoscopico è difficile, perché ci sono
aderenze pleuroparenchimali o il polmone è talmente iperespanso e non collabisce perché fibrotico
e non ho lo spazio per introdurre gli strumenti nel cavo pleurico, o a volte il polmone è così fragile
che basta toccarlo e si lacera e comincia a sanguinare e a perdere aria.
Per valutare con un criterio il più oggettivo possibile il rischio e la fragilità del malato da sottoporre
a questo tipo di intervento è stato messo a punto uno score da un gruppo toracico spagnolo, che è
un punteggio di rischio per pazienti da sottoporre a biopsia chirurgica.

Hanno identificato 4 variabili indipendenti di mortalità a 90 giorni:

1. Età anziana (>67): il pz è più fragile perché ha più comorbidità


2. Il fatto che fosse in T.I.: perché evidentemente l’insufficienza respiratoria era più grave.
3. Terapia immunosoppressiva (non provvisoria): anche questo vuol dire che il pz aveva già un quadro
evolutivo
4. Intervento chirurgico open: perché evidentemente le condizioni locale del polmone erano
compromesse
E, come vedete, hanno identificato per ciascuna di queste un punteggio. La sommatoria di questi
punti creava 4 classi di pz:
 classe A _ 0 pt  2%
 classe B _ 1-2 pt 
 classe C _ 2,5-3 pt 
 classe D _ >3 pt  86%
e, in effetti, la sommatoria portava ad un incremento progressivo e proporzionale di quello che era
il tasso di mortalità.
NON ha senso operare un pz in classe D, che ha una mortalità quasi del 90%.
Noi, con la nostra casistica (perché con i nostri pneumologi abbiamo visto più di 800 interstiziopatie,
non è una patologia così rara; siamo stati interpellati per sottoporre a biopsia chirurgica circa 150
pz) abbiamo voluto validare e verificare se quel punteggio predittivo di mortalità fosse o meno
efficace, anche in una casistica diversa; loro infatti l’hanno proposto sulla loro casistica.
Abbiamo valutato la mortalità a 90gg su 151 pz consecutivi, ricoverati da noi dal 1997 al 2012.
Già si vede una cosa: la FEV1 dei nostri malati non era così compromessa: l’89% di FEV1 predetta
rispetto alla popolazione non è la FEV1 tipica di un pz in insufficienza respiratoria, siamo su valori
ancora accettabili.
3% avevano tp immunosoppressiva; 13% erano in tp steroidea (ricordatevi che la tp steroidea in
teoria andrebbe iniziata dopo la biopsia; questo però avviene perché a volte il pz peggiora nel
frattempo della biopsia, o soprattutto all’inizio si prova tp steroidea e se il pz non risponde lo si
manda dal chirurgo a far la biopsia); 14% erano in O2-terapia, che non è un dato trascurabile; 4%
erano in T.I.
Nel 93% dei casi abbiamo operato questi pz in VATS (Video-toracoscopia), in 10 in open, che vi
ricordo è un altro fattore di rischio.
Abbiamo potuto fare 2-3 biopsie in circa 2/3 dei malati, in 1/3 siamo riusciti a farne solo una,
soprattutto in quei casi in cui il pz era più compromesso (toracotomie).
Complicanze intraoperatorie: 0 (nonostante siano polmoni fragili, non ci sono state morti o
emorragie gravi)

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Questa è la distribuzione per istologia definitiva: la sommatoria di fibrosi polmonare idiopatica fa
22,5%
 7 casi (4,6%) di diagnosi non descrittive
 Nel 95,4% dei casi abbiamo fornito una diagnosi di certezza  nella bilancia costi-benefici,
almeno nella maggior parte dei casi siamo arrivati a una diagnosi di certezza
Quanto è costato ai nostri malati?
Morbidità _ 16,6%: non è una morbidità elevatissima
Mortalità a 90gg _ 2,6%: 4 pz deceduti, di cui 1 per infarto (e probabilmente non c’entra nulla, ma
bisogna considerarlo), 3 di insufficienza respiratoria
Se andiamo a confrontare i nostri dati con quelli di Fibla, una cosa attira la vostra attenzione: la
distribuzione dei nostri pz per classi di rischio è sbilanciata rispetto a quella di Fibla: abbiamo molti
più malati in classe A e classe B (44% e 23%), pochi in classe C e D (2% e 2%); questo significa che
noi abbiamo già fatto una selezione prima, per non sottoporre a intervento chirurgico i pz più
compromessi.
Quindi noi non abbiamo una casistica direttamente confrontabile in termini di rischio assoluto,
perché i nostri avevano un rischio più basso: lo si vede dal fatto che l’età non era così alta, la FEV 1
non era così compromessa, e pochi pz erano in T.I. o han fatto un intervento chirurgico open.
La mortalità: abbiamo avuto il 2% di morti sulla classe A (come nella casistica Americana), 0% sulla
classe B (0 su 35 quindi, contro il 12% americano: differenza notevole), 33% si in classe C sia in classe
D.
Abbiamo validato il loro sistema?
Sostanzialmente sì, nel senso che anche noi abbiamo verificato come nelle classi avanzate, C e D,
l’intervento chirurgico abbia un costo sociale e per il pz notevole, con una mortalità del 33%.
Quindi ha senso operare, per il nostro pdv, i pz che hanno o nessuno o uno solo dei fattori di rischio
che vi ho riportato.
Quindi in conclusione anche noi possiamo sostenere che una corretta selezione del malato, che noi
abbiamo in parte fatto inconsciamente, ha un senso; e che nei pz con tanti fattori di rischio, in cui il
gioco non vale la candela, l’intervento bisognerebbe evitarlo.
Si aggiunga che, nel nostro caso, abbiamo cambiato la terapia in 80 pz, cioè il 53% dei casi; quindi in
quella forbice che era 18-63%, noi cadiamo nel quartile in cui la biopsia ha cambiato la tp, quindi è
stata utile.
Quindi a fronte di un 2,6% di mortalità totale, e di un 53% che ha subito un cambio totale di tp, nel
nostro bilancio rischi-benefici probabilmente siamo stati dalla parte giusta.
Attenzione al fatto della mortalità nelle classi più ad alto rischio.

CONCLUSIONE
Valutate questa patologia collegialmente, discutetene se siete pneumologi, radiologi, MMG,…
Immaginate di essere MMG e di avere tra i vostri assistiti un ragazzo giovane con un quadro di
interstiziopatia: non precludetegli il trapianto di polmone, temporeggiando o prendendo delle
decisioni terapeutiche (come dare un po’ di cortisone e vedere come va); affidatelo a degli esperti.
La stessa cosa vale per il medico di medicina d’urgenza, che accetta un malato che arriva in
insufficienza respiratoria con un quadro radiologico tipico: pensiamo a questo gruppo di patologie,
che non è così raro.
Nella nostra casistica a 5aa, tutti compresi, 86% di sopravvivenza; a 10aa 71%. Età media: 54 anni.
L’attesa di vita, per un 54enne, non è l’86% di arrivare vivo a 59 anni; quindi sono patologie che
impattano la storia naturale di questi soggetti; perché a 54 anni l’attesa è di 15-20aa, non di 5aa. E
anche a 10aa hanno perso il 30%  è una patologia che impatta sull’aspettativa di vita, non è una
patologia banale.
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Se poi andiamo a vedere i dati della UIP (Polmonite Interstiziale Usuale), la sopravvivenza mediana
è di 118 mesi: cioè a 10aa il 50% è morto; una strage.
Se andiamo a vedere i pochi casi di fibrosi polmonare idiopatica la sopravvivenza mediana è di 93
mesi, ancora meno, perché è l’evoluzione della UIP.
UIP e fibrosi idiopatica sono quelle che impattano di più nella storia naturale di queste malattie, e
sono quelle che si possono avvalere (se l’età lo consente) del trapianto.
C’è un nuovo farmaco, da qualche anno, che è stato sperimentato in centri selezionati ed è ora
disponibile anche a Varese, che però può fare della tage therapy, rallenta ma non riesce a far
regredire le interstiziopatie.
Quindi se il pz ha meno di 50 anni ricordiamoci dell’ipotesi trapianto; la chirurgia entra in gioco
nuovamente ma questa volta con scopo terapeutico.
Se il pz ha invece un’interstiziopatia da esposizione, da ipersensibilità, riscontrabile con raccolta
anamnestica accurata, bisogna sottrarre il pz da quell’esposizione; questi pz, una volta non più
esposti, magari con cicli di qualche mese di cortisone regrediscono, soprattutto se non si tratta di
interstiziopatie da metalli pesanti.

Il caso clinico presentato all’inizio era una UIP.

CHIRURGIA TORACICA 11.11.15

il trauma toracico
Oggi ci concentriamo un pochino su quelli che sono quelli che sono gli aspetti più specifici del
trauma toracico e del suo trattamento.
Cominciamo con un caso clinico. Un paziente che il 15 di luglio è giunto alla nostra attenzione per
un trauma della strada (auto contro moto), un ragazzino di 16 anni studente che in APR non aveva
nulla di particolare, è stato ritrovato sul ciglio della strada incosciente, con i parametri vitali
pressochè stabili, è stato intubato sul posto e trasportato presso il pronto soccorso (non di Varese
ma di Milano).
All’arrivo il paziente era tachicardico con una frequenza di 100 battiti al minuto, SpO2 del 95% ma
da intubato con ventilazione meccanica, un’emoglobina di 12, all’auscultazione un MV ridotto -
assente bilateralmente e la presenza di un enfisema sottocutaneo toracico bilaterale con vaste
ecchimosi all’emitorace di destra.
Cosa facciamo?
Allora il paziente è stato trasportato in pronto soccorso i primi sospetti che avete: valutate questo
fatto che si tratta di un incidente con una dinamica molto importante, auto contro moto e trovato
sul ciglio della strada incosciente…Enfisema sottocutaneo bilaterale, tachicardico e saturazione del
95% si è vero una saturazione buona ma il paziente è intubato.
Secondo voi conduce la clinica o la radiologia in questo caso? Ovvio che se abbiamo a disposizione
delle indagini diagnostiche radiologiche usiamole. Quindi ok fare la radiografia del torace perché in
prima istanza è la più veloce, la più semplice e poi ok fare l’Eco Fast perché adesso in p.s. si usa
spesso facendo rapidamente una valutazione contemporanea toracica e addominale.
Ma in questo caso quindi arriva un ragazzo giovane con questi parametri per cui valutate voi
conduce più la clinica o la radiologia? La clinica.
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La clinica di dice che c’è un enfisema sottocutaneo toracico bilaterale, c’è tachicardia, desaturazione
quindi qualcosa che non va c’è.
Infatti giustamente visto che era una situazione di urgenza è stato posizionato un drenaggio pleurico
bilaterale (20 French - fate conto che un French corrisponde più o meno a 0,3 mm)con fuoriuscita a
destra di 200 cc di sangue e aria, a sinistra invece solo aria.
I parametri del paziente sono stabili ma c’è stato un netto e progressivo peggioramento
dell’enfisema sottocutaneo quindi pur avendo posizionato i drenaggi l’enfisema sottocutaneo si è
esteso a tutto il corpo quindi dal capo fino a livello dello scroto. Quindi?
Dalla clinica pensiamo che ci sia un PNX bilaterale perché ho un enfisema sottocutaneo, posiziono
quindi i drenaggi ma la situazione anziché migliorare peggiora. Perché aumenta l’enfisema
sottocutaneo…e se aumenta cosa vuol dire? Che evidentemente perde ancora aria e che la perdita
è importante. Quindi o i drenaggi non funzionano oppure i drenaggi non sono sufficienti a drenare.
Quindi essendo i parametri stabili il paziente poteva essere portato in TC. La TC non è stata fatta
subito proprio per la clinica: prima si mette il paziente in sicurezza, si mettono i drenaggi e quando
i parametri sono stabili si porta il paziente in TC. È stata fatta la TC ora ve la mostro e mi dite cosa
vedete.
In che distretto siamo? Cosa vedete? Siamo nel distretto toracico, si vede enfisema sottocutaneo, a
livello toracico si vede polmone di destra infarcito di sangue, i drenaggi sono in sede. L’enfisema
scende percorre tutta la parete toracica bilateralmente fino ad arrivare alla parte inferiore
dell’addome. Paziente intubato si vede il tubo endotracheale posizionato. Si vede la contusione
polmonare bilaterale. Fratture costali bilaterali.
Il bilancio della tac fu questo: frattura dalla prima alla sesta costa sinistra , frattura del processo
trasverso di C7, grave enfisema sottocutaneo e dei tessuti molli, PNX bilaterale con un collasso quasi
completo del polmone di destra, pneumatocele del lobo medio di sinistra, versamento pleurico
basale bilaterale.
Quindi abbiamo fatto una TC, i drenaggi sono in sede però continuano a non dare soddisfazione
perché le perdite sono tante quindi cosa possiamo fare?
I drenaggi sono in sede ma la clinica del malato non migliora. Quindi? Potrebbe essere una
perforazione tracheale ma alla TC non evidenziata. Perforazione in un altro distretto? Lesione
addominale? No perché l’aria va verso l’alto ma una lesione del genere non è stata refertata (né
colon, né stomaco, né esofago).
Le perdite aeree ci sono ancora… i drenaggi possono non funzionare. A destra è uscito 200 cc di
sangue ed è poco vista la situazione disastrosa alla TC. Quindi abbiamo cambiato bilateralmente i
drenaggi aumentando calibro 32 F a dx perché la situazione era peggiore e a sx 28 F. sono usciti
ulteriori 500 cc e abbondante aria da dx. paziente inviato in T.I. con progressiva riduzione
dell’enfisema. Ha fatto RX torace di controllo dle corretto posizionamento e a dx persisteva PNX a
sinistra invece era migliorato.
Aumenta di nuovo enfisema sottocutaneo e a dx a RX torace persiste PNX. Quindi cosa facciamo?
Toracoscopia…subito meglio di no a un ragazzo di 16 anni. Quindi si mette nuovo drenaggio a destra
(i parametri sono stabili, non è in pericolo di vita quindi si aspetta a intervenire). Abbiamo
controllato con broncoscopia che non ci fosse perdita dalle vie aeree ma endoscopicamente non si
vede nulla di rilevante. A dx il parenchima polmonare all’RX di controllo sembra riespandersi.
Si rifà la TC e si vede che i drenaggi sono nel cavo pleurico, però se a sx il polmone è riespanso a dx
non totalmente e c’è pure lo pneumatocele che continua ad aumentare di dimensioni (26x23x48).
Il paziente comincia a diventare febbrile (38-39°C); ricordate che comunque il paziente è ricoverato
in T.I. dove ci sono tante tipologie di malati e le malattie infettive sono facilmente trasmissibili. Però
il paziente è febbrile, è stabile, il drenaggio a dx perde ancora aria. Quindi si decide di intervenire
con atteggiamento più aggressivo: approccio chirurgico. Abbiamo tentato un approccio
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conservativo ma ora non si può rimandare. Quindi si era deciso di effettuare un intervento chirurgico
con tecnica mininvasiva per togliere la fonte del problema. Si parla con i genitori si firmano i consensi
la sera prima e il mattino dopo i drenaggi non scaricano. Si fa la TC: c’è stata completa espansione
del parenchima polmonare a destra…il problema si è risolto da solo: il soggetto giovano ha
buonissima riserva e ottimo spirito di compensazione. Il pz viene trasferito nel nostro reparto e ha
avuto un netto miglioramento. A Settembre ha fatto controllo TC a distanza con completa
risoluzione del quadro a dx. Sta ripensando di comprare la moto…
Domande: da cosa dipende la risoluzione? Dalla chiusura del pneumatocele per cicatrizzazione. È
veramente un miracolo nel senso che con un quadro così l’evoluzione è stata ottimale, in un
soggetto di 50-60 anni non sarebbe stato così semplice.
Concentriamoci sul trauma toracico.
I traumi in generale e il trauma toracico sono tantissimi e aggravati ancora da una elevatissima
mortalità in tutto il mondo. I traumi rappresentano infatti la terza causa di morte nel mondo
occidentale. I traumi maggiori del torace possono colpire diverse strutture e diversi organi: vanno
dai tessuti molli, al tessuto scheletrico, polmone, esofago, diaframma. Si dividono
fondamentalmente in due grosse categorie:
- traumi penetranti
- traumi contusivi : non vi è collegamento con il mondo esterno né con il cavo pleurico; le forze
applicate possono essere dirette (danno nel punto in cui si applica la forza d’impatto) e indirette (il
danno avviene a distanza dal punto di impatto per applicazione di forze di accelerazione e
compressione)
-

quali sono quelli che possono causare le maggiori lesioni? I contusivi perché possono portare
molte più lesioni; il trauma penetrante da arma da taglio o fuoco determinano un danno più o
meno grave a seconda dell’organo che viene interessato (può anche comportare quindi
sanguinamento massivo) ma in realtà il trauma contusivo può causare lesioni in molti più organi
(come abbiamo visto nel ragazzo di prima).
Descrive un’immagine TC con trauma chiuso bilaterale condizionante emoPNX dx, contusione
bilaterale polmonare e fratture costali multiple. (Ci fa cercare i vari reperti nell’immagine.)
Altro caso: uomo di 74 anni con ferite multiple da arma da taglio sia a livello toracico che addominale
con emotorace massivo sx.
I traumi penetranti sono tali quando si ha soluzione di continuo tra la cavità toracica e l’ambiente
esterno, sono causati in genere da armi da fuoco, da taglio e oggetti penetranti di vario tipo; la
gravità del trauma dipende dalla profondità della lesione e dal coinvolgimento degli organi
intratoracici.
Immagine rx di pnx da trauma penetrante. Cosa vedete? Aiutatevi con la TC corrispondente. Si vede
tutto più radiopaco per la presenza si falda di liquido da emotorace; alla TC si vede la linea di
demarcazione che risale lungo tutta la parete toracica; presenza di PNX.
In questa rx? È un pnx iperteso: la trachea è deviata lateralmente, si ha sbandieramento del
mediastino con cuore che normalmente è nella sede centrale ora è spostato. Cosa determina? Il
paziente è tachicardico e ipoteso, potrebbe desaturare, iperfonesi plessica, assenza del MV,
emitorace iperespanso e ipoespansibile. Il pz è tachicardico e ipoteso per spostamento del
mediastino.
Pneumopericardio da arma da taglio. Qual è? È questa falda di versamento di sangue nel pericardio.
La paziente aveva tentato di accoltellarsi con questa arma da taglio: il trauma ha causato
penetrazione di cute, sottocute, muscolo: aveva trapassato lo sterno fino ad arrivare al pericardio.

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La terapia del trauma toracico è essenzialmente conservativa: nell’85-90% dei casi i traumi toracici
si risolvono con posizionamento del drenaggio pleurico, osservazione clinica e ricovero in T.I. perché
sono malati complessi dal punto di vista clinico. Nel 10-15% è necessaria invece la chirurgia: nel 10%
dei casi dei traumi toracici chiusi e 15-30% dei traumi aperti.
Quando ci troviamo di fronte a un trauma interveniamo con un protocollo standardizzato a livello
mondiale: Advance Trauma Life Support. Si fonda sul principio che ci deve essere per forza un
trattamento standard perché sono pazienti gravi che bisogna tentare di far sopravvivere basandosi
sul fatto che per altro i decessi possono verificarsi in tre periodi temporali ben distinti:
1. si verifica in secondi o minuti: la morte è causata da lesioni dell’encefalo, misollo spinale, cuore e
grossi vasi. Come possiamo prevenirlo e agire? Solo con la prevenzione, trattamento impossibile.
2. Minuti, ore: emopnx, lesioni organi addominali, fratture ossee soprattutto quelle del bacino che
provocano emorragie maggiori e lesioni diffuse. È l’unico momento in cui il Trauma Team può agire:
Golden Hour.
3. Giorni o settimane: sepsi, MOF, complicanze da lesioni traumatiche non trattate adeguatamente

Il 50% dei decessi avviene sul luogo dell’incidente o durante il trasporto, il 30% in sala operatoria e
il 20% successivamente nelle settimane dopo.
L’unico modo per aumentare la sopravvivenza è il trattamento tempestivo.
A: AIRWAY Priva valutazione: pervietà vie aeree e preservare colonna cervicale.
B: BREATHING: respiro
C: CIRCULATION: fermare le emorragie, valutare stato emodinamico
D: DISABILITY: valutare lo stato neurologico
E: EXPOSURE: esposizione e controllo ambiente circolante (soprattutto controllo T)
Dopo avere svolto i diversi punti ci si avvale delle indagini diagnostiche: RX o Eco fast che sono le
più semplici da eseguire (Eco fast anche portatile), TC torace o total body.
Nel 78% dei casi i traumi del torace colpiscono le strutture ossee causando quindi fratture
soprattutto costali. Le fratture costali sono frequenti nel trauma toracico chiuso, sono più frequenti
nell’adulto perché il bambino ha la parete toracica più elastica, sono associate ad altre lesioni
addominali, ossee, polmonari. Hanno una mortalità tutto sommato elevata, nell’anziano hanno
incidenza del 60% e possono causare gravi complicanze, dopo i 65 anni il rischio di morte aumenta
del 5% ad ogni anno di età. La polmonite è la complicanza più frequente.
Le fratture costali si dividono in:
- Complete: interessamento a tutto spessore dell’osso;
- Incomplete: non a tutto spessore
- Composte: le strutture fratturate conservano la loro struttura anatomica
- Scomposte: quando si ha disassamento dei monconi
- Quali sono le più pericolose? Scomposte perché possono causare lesioni degli organi.

Le diverse sedi delle fratture costali:


- Prime tre coste: sono rare ma si associano a traumi della colonna cervicale, de plesso brachiale e
vascolari (carotide, succlavia); sono le più pericolose ma rare perché sono più protette (quando
fratturate significa che il trauma è stato molto violento);
- Frattura dalla IV alla IX: sono le più frequenti e sono multiple e possono determinare volet costale;
possono essere associate a lesioni dei vasi intercostali; possono dare emotorace e contusione
polmonare;
- Frattura dalla X alla XII costa possono dare lesioni addominali ma anche a reni e milza.

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Quindi se dovessi dire: si presenta paziente con frattura della XII costa. Che fate? Eco addome
quando la clinica è stabile se no TC.
Descrizione immagine RX: trauma contusivo da caduta occidentale con frattura della VI, VII, VIII
costa (scomposte) con lieve falda di pnx dx, e versamento basale dx. Come si contano le coste?
Partendo da una radiografia del torace A-P si parte da un emitorace ricercando la prima costa e poi
da riferimento si prosegue contando le altre. Gli esiti del trauma non sono stati poi così severi (lieve
falda di pnx e versamento esile basale dx) quindi abbiamo deciso di sottoporre paziente ad
osservazione clinica e di effettuare eco addome perché comunque c’era una frattura dell’VIII costa
e a un controllo rx torace a 24h. perché? Per vedere se è aumentato il pnx o se si è risolto. A 24 h
l’rx mostra: peggioramento pnx, netto incremento di versamento; si posiziona quindi drenaggio
pleurico a dx, riespansione del parenchima polmonare e il versamento è nettamente diminuito.
La paziente è stata dimessa 9 giorni dopo con completa risoluzione del quadro polmonare
ovviamente senza risoluzione delle fratture costali. Il callo osseo si forma in 30-40 giorni.
Questo è il caso di una donna di 81 anni in TAO: caduta accidentale con fratture costali multiple da
VI, VII,VIII con falda di pnx. Guardando l’rx cos’ha la paziente: TAO perché? Ha un pacemaker.
Fratture scomposte con disassamento dei monconi ed emotorace. TC torace conferma abbondante
versamento ematico a dx; si posiziona drenaggio con fuoriuscita di 1300 cc di sangue. È stata
eseguita eco addome, osservazione, somministrata tp antalgica e dimissione con completa
risoluzione del quadro.
Quando si hanno fratture costali multiple si ha un volet toracico: dislocazione completa della parete
toracica che determina un respiro paradosso, diminuisce funzionalità respiratoria, riduzione della
compliance polmonare, alterazione Va/Q, insufficienza respiratoria.
Quali sono le due complicanze maggiori? la polmonite e la sepsi, soprattutto negli anziani che hanno
male non respirano, c’è ristagno delle secrezione. Questo è il caso di uomo di 34 anni che ha subito
un trauma della strada con fratture costali multiple a dx determinanti un volet toracico, emopnx dx
e frattura della scapole. Vedete come le coste si sono completamente disassate dalla parete toracica
e addirittura un moncone penetra nel cavo pleurico andando a lesionare parenchima polmonare
determinando quindi emopnx. Drenaggio pleurico, come sempre, riespansione polmonare. Questa
compressione sul paremchima polmonare cosa può determinare? Il torace non è più in grado di
sostenere la meccanica respiratoria causando ipossia, insufficienza respiratoria. Il paziente è stato
trattato con toilette del cavo pleurico e riposizionamento dei monconi ossei, è stato dimesso con un
parziale miglioramento del quadro: le fratture costali si consolidano nel tempo, la parete toracica
non torna mai come prima ma ritrova una sua stabilità con il passare del tempo.
Segni e sintomi:
- Le fratture costali causano dispnea e dolore che incrementa con tosse e respiro profondo
- Deformità o instabilità della parete toracica
- Crepitio osseo nella sede della frattura alla palpazione
- Ecchimosi localizzata nella sede della frattura

Spesso però segni e sintomi sono riconducibili alle complicanze presenti quindi emopnx e pnx.
Segni e sintomi del volet toracico:
- Alterazione della morfologia del torace
- Movimento paradosso del torace durante la respirazione
- Tachipnea
- Dispnea
- Dolore localizzato nella sede della frattura accentuato dagli atti respiratori

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Nell’ algoritmo diagnostico-terapeutico delle fratture costali di cosa dobbiamo tener conto?
- Dinamica del trauma: per capire quale zona può essere interessata e quali possono essere le possibili
complicanze
- Tipologia e sede della frattura
- Numero delle fratture
- Importante tener conto dell’età del paziente e dell’eventuale terapia in corso (antiaggregante ad
esempio) e comorbidità
- Controllo del dolore
- Valutazione delle complicanze

La TC se il paziente non è sintomatico non si fa ma si fa monitoraggio stretto.


Fratture costali semplici: se sono meno di 3, composte, dalla IV alla IX (meno complicanze)paziente
è asintomatico e ha basso rischio di complicanze (giovane, non ha comorbidità, non in TAO) il
paziente è dimissibile ma importante valutare possibili lesioni associate. indicazione al riposo,
terapia antalgica orale FANS o paracetamolo e rivalutazione con rx in duplice proiezione a distanza
di 10-15 giorni dal trauma. Perché? Per vedere che non ci siamo delle complicanze tardive.
Fratture costali complicate >3, prime e ultime coste, scomposte, pz stabile: osservazione clinica e
attento monitoraggio clinico-radiologico, valutare sempre possibili complicanze, somministrare tp
antalgica per via orale, ev, o addirittura con peridurale o sottocutanea o intercostale. Le fratture
costali complicante sono le più dolorose e compromettono molto la dinamica respiratoria. Quindi
oltre alle complicanze costali si associa la compromissione della meccanica respiratoria che
comporta lesioni flogistiche infiammatorie correlate. Se possibile associare sempre una FKT
respiratoria per aiutare il paziente a effettuare respiri profondi e migliorare la funzionalità
respiratoria.
Caso clinico: uomo di 65 anni vittima di caduta accidentale con fratture costali sx dalla IX alla XII
costa, frammenti dislocati nella parete toracica con contusione renale sx. vedete le fratture costali
scomposte e questi sono i monconi che si sono staccati e sono andati all’interno del cavo pleurico.
TC di valutazione che conferma le fratture costali e una faldina di pnx. Il paziente è sottoposto a
estrazione dei monconi ossei dai tessuti molli della parete toracica di sx.
Volet costale: cosa fare?
- Monitoraggio clinico-radiologico
- Assistere la ventilazione con O2 ad alti flussi fino ad arrivare ad intubazione orotracheale e ricovero
in T.I. se presente un deficit respiratorio
- Prevenzione di complicanze precoci e tardive: polmonite e sepsi (più frequenti cause di mortalità nel
volet costale)
- Tp antalgica
- Fkt respiratoria
- Utilizzo degli stabilizzatori costali? È una cosa un po’ più tecnica; la domanda che ci si pone è
mettiamo i fissatori costali (barre metalliche in titanio) per riallineare i monconi o no? Noi nella nostra
U.O. in tutti i casi presentati non sono stati usati e i pz al follow up a breve e a lungo termine non si
sono verificate complicanze. Molti sostengono invece che sembrano migliorare la stabilizzazione e
determinare una risoluzione in tempo più breve. Nella nostra esperienza il trattamento conservativo
si è sempre dimostrato efficace.

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Ricordate sempre che in caso di fratture costali un inadeguato controllo del dolore può
compromettere la ventilazione alveolare e peggiorare la funzionalità respiratoria causando
atelettasia accumulo di secrezioni fino ad arrivare a insufficienza respiratoria con polmonite.
Sempre controllare con adeguata terapia antalgica e la fisioterapia respiratoria.
Conclusione: bisogna sempre eseguire adeguata osservazione del paziente e del trauma,
impostare adeguato trattamento del trauma che va dall’osservazione al ricovero al
posizionamento dei drenaggi; impostare un’adeguata terapia antalgica e non sottovalutare
possibili complicanze precoci e tardive. Ricordarsi sempre la rivalutazione a distanza anche in
caso di fratture ossee semplici.
Domande: In caso di volet costale si fa mobilizzazione esterna? No, non si usano corsetti o cose del
genere.
Mostra video in toracoscopia di risoluzione pnx da frattura costale.

Clinica Chirurgica Chirurgia Toracica Prof. Imperatori


28 ottobre 2015

Malformazioni / tumori
Caso Clinico:
Uomo di 30 anni in buone condizioni generali, panettiere, non fumatore.
APR: trauma toracico sei mesi fa, senza esiti.
Riscontrata neoformazione voluminosa.
All’ispezione: in regione xifoidea presenza di tumefazione del diametro di 10 cm, la cute sovrastante è
rosea e normotrofica.
Alla palpazione: tumefazione di consistenza duro-lignea, a superficie irregolare, non dolente né dolorabile
ala palpazione, fissa sui piani superficiali e profondi.
La crescita è stata osservata nei trascorsi 6 mesi
Ipotesi diagnostiche:
Tumore primitivo della parete toracica
Tumore metastatico, per contiguità o a distanza, e il tumore primario potrebbe essere a sede
occulta.
Ematoma organizzato (conseguente al trauma pregresso, sospetto sulla base della superficie
irregolare più che per la consistenza.)
Osteomielite condro-sternale. E’ vero che la consistenza della superficie poco è compatibile però
potrebbe presentarsi così. Domanda: se avesse osteomielite non dovrebbe avere dolore? Risposta:
non sempre. Attenzione che la regola di presentazione con dolore e fistolizzazione cutanea con
fuoriuscita di pus non è sempre valida. Nel 90% dei casi sì. Nel 10% dei casi si presenta in modo
meno chiaro, in modo clinicamente meno manifesto. Dobbiamo tenere a mente anche l’ipotesi
meno frequente piuttosto che fossilizzarci sulla prima diagnosi che viene in mente.
Tumore polmonare infiltrante la parete toracica
Di fronte a queste ipotesi cosa facciamo? Iniziamo un iter diagnostico:
 Rx
La proiezione antero-posteriore mostra un aumento del profilo mediastinico rispetto al normale
con un maggior sviluppo della massa nell’emitorace destro.
La proiezione latero-laterale da più informazioni. Permette di apprezzare la sua estensione in
profondità e definire i margini posteriori della massa. Il tavolato sternale a livello del corpo è
modificato. A livello di manubrio e della parte superiore del corpo dello sterno si distinguono bene i
2 tavolati mentre sotto si vede che c’è qualcosa di anomalo. Quindi qualcosa che interessa lo sterno

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c’è. Inoltre si osservano all’interno della massa zone più bianche, più dense alla radiografia quindi
calcifiche o comunque a densità maggiore.
 Tc senza e con MdC
Il MdC è assolutamente necessario davanti a una massa del genere.
Conferma che l’accrescimento è esofitico ma anche mediastinico. Si osservano le calcificazioni di cui
si parlava e alterazione di densità. Le camere cardiache destre risultano schiacciate. Ma il paziente
ricordiamo che era asintomatico per quanto riguarda l’attività cardiocircolatoria. Evidentemente
essendo giovane compensava ancora.
A questo punto davanti a delle immagini del genere delle ipotesi che avevamo detto prima quali
sono più probabili? E’ più probabile una forma sarcomatosa. A 30 anni che tipo di sarcoma?
Osteosarcoma, condrosarcoma, liposarcoma. A sostegno di questa ipotesi ci sono il fatto di non
essere doloroso né dolorabile e di essere osteomielitico cioè di avere lesionato e alterato l’osso.
Non ha però un aspetto infiltrativo, i sarcomi invece tendono ad essere infiltranti. Si vede sempre
una linea nera di separazione tra le camere cardiache e il pericardio e la massa. Quindi non ha una
tendenza infiltrativa, nemmeno nei confronti del polmone, ma c’è una crescita espansiva con un
atteggiamento compressivo nei confronti del polmone. Questo è un dato da tenere a mente.

 Scintigrafia
Essendo una patologia che interessa il distretto osseo può essere utile la scintigrafia perché
potrebbe essere una patologia multilocale, un mieloma e quella sternale potrebbe essere una
localizzazione di una patologia diffusa.
C’è una captazione a livello della neoformazione. La captazione è condrosternale quindi sia ossea
che articolare. Quindi potrebbe essere un condrosarcoma cioè un tumore che origina dalle
articolazioni.
 ECG e Ecocuore vista la sede servono per vedere l’eventuale infiltrazione del mediastino.
ECG risulta essere nei limiti
Nell’Eco cuore nelle camere sinistre la funzione è conservata (FE=60%), le camere destre invece
sono improntate ma senza evidenza d’infiltrazione. Non si vedono nemmeno alterazioni del circolo
polmonare. Questo probabilmente perché la crescita era stata lenta, se fosse stata più rapida
rischiava di causare un deficit del cuore destro.
 Marker tumorali.
Anche se il paziente è giovane bisogna indagare i Marker per il tumore del polmone. Risultano
negativi.
 Biopsia
Necessaria perché se Rx e TC confermassero che si tratta di una neoformazione o se permanesse il
dubbio che lo fosse, serve per escludere o confermare la natura neoplastica. Se fosse un ematoma
mi darebbe coaguli ma mi consentirebbe di escludere la natura neoplastica. Quindi è sempre utile.
L’Agobiopsia è eseguita sotto guida ispettiva: il materiale risulta insufficiente per un orientamento
diagnostico, si riscontrano solo poche emazie e fibrina.
Nonostante questo viene data indicazione per intervento chirurgico resettivo. Quindi senza ulteriori
approfondimenti viene portato al tavolo operatorio. Sareste stati d’accordo? Risposta di una studentessa:
sì, anche se fosse solo a scopo palliativo perché alla lunga per effetto massa avrebbe potuto
compromettere la funzione cardiocircolatoria.
Il razionale della scelta era che non c’erano caratteristiche di patologia linfomatosa (per la quale non è
indicata la chirurgia ma tp radio/chemioterapica), né di patologia diffusa (in un mieloma diffuso il quadro
scintigrafico sarebbe stato differente), né segni di infiltrazione locale. L’esclusione di questi elementi
avvaloravano le ipotesi di una massa primitiva e un approccio chirurgico.
Il problema della chirurgia di una massa di tali dimensioni non è solo legato alla sede e quindi
all’asportazione della massa stessa ma alla ricostruzione della parete toracica. La rimozione di una massa di
10 cm a cui vanno aggiunti i margini di sicurezza comporta di chiudere una falda di 20 cm che può avere
conseguenze sul piano funzionale, meccanico e respiratorio significative.

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L’operazione prevede un’ampia toracotomia anteriore, il paziente è posto in decubito obliquo, appoggiato
su fianco sinistro. Si esegue exeresi della neoformazione, si asportano i 2/3 inferiori dello sterno e le
cartilagini costali corrispondenti.
Si crea una grande cavità, legato al fatto che nell’asportazione è necessario garantire un margine di
sicurezza di 3 cm. Si vedono le coste sezionate, il moncone sternale, sotto ci sono pericardio e pleura, i
muscoli retti dell’addome sezionati. All’esame estemporaneo i margini sono indenni. Si posiziona una
protesi di PTFE e poi abbiamo … i muscoli pettorali, incrociandoli per chiudere la falda pericardica, e infine
abbiamo fatto delle incisioni di scarico sulla cute a forma di stella per permettere ai piani di scorrere e
quindi di essere avvicinati con una tensione inferiore.
Si conferma la crescita espansiva e non infiltrativa della massa che appare come se fosse capsulata. E
questo ci da la certezza di essere stati radicali. All’apertura il contenuto è misto cartilagineo-neoformato e
cistico. Quindi è vero che alla palpazione era dura ma poi aprendola aveva una componente liquida.
Diagnosi definitiva: Condrosarcoma discretamente differenziato di grado 2.
Ricordatevi che nel condrosarcoma il valore prognostico è legato essenzialmente a 2 aspetti:
 Il primo legato al tumore stesso ovvero il grading del tumore
 Il secondo è la radicalità chirurgica, perché il trattamento del condrosarcoma è sempre chirurgico
Esistono 4 gradi, i primi 2 sono i più frequenti, basso grado e grado intermedio. Il grading come sapete
dall’AP, dipende dal numero di atipie, dal numero di mitosi e dalla presenza di cellule giganti e anaplastiche
cioè indifferenziate.
Ovviamente man mano che si passa dal primo al quarto grado la prognosi di questi pazienti peggiora perché
la tendenza all’infiltrazione e alla diffusone aumenta. E’ il tumore più frequente della parete toracica.
Rappresenta circa il 50% di tutte le neoformazioni della parete toracica. Prevalente nella terza, quarta e
quinta decade. Ha un carattere di crescita progressivo e lento ma non sempre rimane limitato. Tende alla
recidiva quindi i pazienti dovranno essere monitorati. Tende alla recidiva quando i margini di resezione
sono infiltrati, quindi quando non si ottiene la radicalità chirurgica. Avete dimestichezza con i concetti di R0,
R1, R2? R0 quando la malattia è stata asportata dal punto di vista oncologico in modo radicale. R1 quando
c’è residuo microscopico di malattia. R2 quando c’è residuo macroscopico. La resezione chirurgica è il
trattamento standard anche perché è un tumore poco radio- e anche poco chemio-sensibile. Può avere un
ruolo nel ridurre il residuo di malattia R1 o R2 dopo intervento. Nel nostro caso il pz è stato sottoposto solo
a follow up. La recidiva varia dal 10 al 75% dei casi in relazione all’interessamento dei margini di malattia
residua. La sopravvivenza è comunque molto alta, dal 65 al 90% a 5 anni.
Immagine TC di follow up: si vede che i 2 muscoli pettorali sono tenuti insieme dalla sutura, davanti alla
protesi di goretex.
Fotografia della cicatrice chirurgica.
La meccanica respiratoria è stata in parte preservata perché l’integrità del torace è stata garantita dal 1/3
prossimale dello sterno lasciato in sede e dalla continuità della gabbia toracica sul piano mediano. Quindi
questo paziente come riabilitazione respiratoria ha fatto solo quella normale. (Quando si asporta tutto lo
sterno e la meccanica respiratoria è totalmente compromessa, le ricostruzioni sono molto più complesse:
bisogna mettere un neo sterno che può essere rappresentato o da protesi metalliche o di titanio a cui si
possono ancorare con delle barre le coste o da cemento-protesi create in sede che sono molto più
maneggevoli ma offrono rischi maggiori di infezioni nel post operatorio o trapianto di sterno da cadavere.
Nel caso si possa programmare l’intervento si fa in relazione alla disponibilità di sterno che però deve
subire una preparazione di 40 giorni prima di essere usare.)
Domanda: le coste tagliate non vengono ri-ancorate? Restano fluttuanti? Risposta: dipende, dipende dal
numero di coste, dipende se la meccanica respiratoria viene alterata o no. Bisogna essenzialmente
garantire una rigidità toracica, ancorando il piano costale a qualcosa che tenga. Le protesi in PTFE non sono
il massimo. Hanno il pregio di non creare aderenze con i piani sottostanti, in questo caso pleura e
pericardio, quindi sono un tessuto ideale che fa scivolare i piani sottostanti però non hanno grande solidità.
Allora noi utilizziamo le Dual Mash ovvero protesi PTFE a doppio spessore che mantengono la
biocompatibilità e maneggevolezza ma aggiungono rigidità e conferiscono stabilità al torace. Poi la protesi
stessa stimola un processo cicatriziale e in qualche modo a questa le coste si ancorano. In più avendo
avvicinato i 2 muscoli pettorali abbiamo creato: protesi, sutura, fascia toracica e cute. Questo era un caso
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che risale al 2003 oggigiorno utilizzeremmo protesi metalliche o osso da cadavere perché al di sotto dei
piani suddetti c’è il pericardio e la protesi garantirebbe più protezione. (L’itto della punta nel paziente era
sollevato)

Passiamo a una parte più scolastica che avete già visto in parte in Patologia Chirurgica.
PARETE TORACICA
(Anatomia la tralascio ma ripassatela)
Sottolineo solo che bisogna sempre prestare attenzione alla vascolarizzazione e alla innervazione per
preservarne l’integrità. Ricordo che il vaso mammario sinistro che decorre lateralmente allo sterno è il vaso
dominante per il bypass aortocoronarico che potrebbe magari rendersi necessario in futuro. (Le vene
safene invertite usati come bridge rappresentano invece un surrogato perché tendono a trombizzare)

Per quanto riguarda la parete toracica sono essenzialmente 3 le patologie che la interessano. La patologia
traumatica che vedremo quando parleremo di traumatologia, la patologia malformativa e la patologia
neoplastica.

MALFORMAZIONI

Congenite
Petto Escavato: è la malformazione più frequente del torace, 1:300/400 nati, è una malformazione
complessa, interessa il piano sterno-costale, caratterizzata da una depressione mediana o non mediana,
ma comunque lungo l’asse verticale, che porta a una introflessione non solo del corpo ma anche delle
cartilagini costali. Causata da un’ipertrofia delle cartilagini costali che spingono verso l’interno lo sterno
durante la fase di accrescimento. Si palesa già dall’età infantile (1-2 anni) ma è frequentemente
misdiagnosticata o sottovalutata. Peggiora con l’accrescimento. M:F=4:1
Clinica: ispettivamente c’è una depressione del torace, il paziente è asintomatico, non riferisce dolore, né
impatti sulla dinamica respiratoria. Nelle forme più gravi può causare dislocazione/compressione del
pericardio con conseguente dolore simil-anginoso sotto sforzo con anche quadro di scompenso cardiaco
(raro).
Per definire un petto escavato patologico e di rilievo di correzione chirurgica bisogna avere un indice d
Haller >3,5. Cioè la gravità si valuta con l’indice di Haller che è dato dal rapporto tra i diametri toracici:
diametro latero-laterale/diametro antero-posteriore. Se l’indice è >3,5 l’entità del petto escavato è tale da
avere significato funzionale e non solo estetico. Ma a Varese il petto escavato si opera se figurano anche
dei sintomi, quindi se ha un impatto funzionale cardiaco o respiratorio.
Dove si valutano i diametri? Il diametro LL va da pleura parietale a pleura parietale lungo una linea
ortogonale al livello in cui il diametro antero-posteriore è più piccolo. Per diametro AP si prende il punto
più stretto compreso tra la faccia posteriore del corpo dello sterno e la faccia anteriore del corpo
vertebrale.
Trattamento non è banale:
Esistono più tecniche:
- Sterno-condroplastica: asportazione delle cartilagini ipertrofiche (in genere dalla 3^ alla 6^-7^),
liberando lo sterno e posizionamento di una barra trasversa ancorata alle coste che sostiene e
sospinge lo sterno. Viene lasciata in sede per 2-3 anni.
- Intervento di Nuss: non prevede la resezione ma solo il posizionamento di 1 o 2 barre trasverse
senza rimozione delle cartilagini quindi senza l’eliminazione dell’agente causale. Quindi il risultato è
minore. Per questo intervento è possibile anche l’approccio toracoscopico, che ha il vantaggio di
essere meno invasivo (inserisco l’ottica nel cavo pleurico, faccio collassare il polmone, introduco nel
sottocute al livello del margine laterale la sbarra che introduco tra sterno e pericardio) ma esiste un
rischio di morte per lesione del pericardio.
- Se la malformazione avesse solo significato estetico è possibile posizionare nel sottocute delle
protesi.

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Petto Carenato: l’ipertrofia delle cartilagini in questo caso spinge lo sterno verso l’esterno. L’impatto
estetico rispetto al petto escavato è maggiore ma l’impatto funzionale è minore. E’ asintomatico. Può
trovarsi associato ad altre malformazioni ad esempio a carico del rachide in forme sindromiche. La chirurgia
è prettamente a scopo estetico.

Sindrome di Poland: Mancanza monolaterale del muscolo grande o piccolo pettorale, associata a amastia,
atelia omolaterali.

Schisi dello sterno: Malformazione molto rara, è dovuta alla mancata fusione dei 2 emisterni. E’ una
condizione grave perché al momento del parto può causare un grave traumatismo miocardico. Se
misconosciuta causa una mortalità neonatale che sfiora il 100%. Se viene diagnosticato in fase prenatale si
ricorre a parto cesareo e intervento di ricostruzione della parete toracica. Essendo dei bambini molto
piccoli sono sufficienti dei punti che consolidano i 2 emisferi.

Coste soprannumerarie: Non sono rarissime. Possono essere in sede cervicale o in sede lombare. Cioè la
costa soprannumeraria può originare o dall’ultima vertebra cervicale o dalla prima vertebra lombare. A
livello cervicale lo spazio è minore può causare compressioni e configurare il quadro di sindrome dello
stretto toracico superiore.

TUMORI della PARETE TORACICA


Possono coinvolgere:
- Coste e cartilagini cosali
- Sterno
- Periostio
- Tessuti molli della parete (muscoli, adipe, connettivo, cute)
Sono tanti e diversi, dal lipoma al condrosarcoma. Non entreremo nel dettaglio di tutti.

Caratteristiche comuni:
- Danno origine a una massa palpabile, progressivamente in crescita, valutabili palpatoriamente e
visivamente.
- Causano una malformazione/deformazione della parete
- Non danno segni di sé inizialmente se non appunto palpatoriamente
- Crescendo possono dare dolore per infiltrazione se maligne oppure per compressione quelle
benigne
- Alcune forme benigne possono evolvere verso forme maligne.

Sintomi:
- Dolore
- Dispnea respiratoria o cardiogena quando raggiungono dimensioni ragguardevoli
- Possono esserci tutti i sintomi legati alla patologia neoplastica: febbricola, astenia, calo ponderale,
leucocitosi con eosinofilia
- Possono sanguinare perché sono lesioni ben vascolarizzate, il sanguinamento può essere sia intra
lesionale (con aumento notevole della volume della massa stessa) che extra lesionali (oltre il cavo
pleurico o nel mediastino. E l’ematoma mediastinico è ben più grave di un emotorace perché può
causare un tamponamento cardiaco).

Iter diagnostico:
Si avvale essenzialmente di un imaging radiologico che significa radiografia del torace in doppia proiezione
e radiografia mirata che permette di zoomare su un’unica immagine per tutte le strutture del torace e
quindi da delle informazioni aggiuntive.
Certamente però la TC è il Gold standard, lo sarebbe anche la RM se non fosse che è meno diffusa e più
cara.

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Anche gli aspetti della Scintigrafia sono importanti per escludere localizzazioni multiple e che quindi sia
sede di metastasi.
La PET è diventata ancor più importante della scintigrafia ossea perché valuta non solo le lesioni ossee ma
anche quelle che eventualmente interessano altri organi. Soprattutto se Total Body e se associata alla TC
così da sommare informazioni metaboliche a informazioni anatomiche, morfologiche.
Il punto chiave però resta sempre e comunque la diagnosi cito-istologica perché è fondamentale avere una
diagnosi certa per fare una corretta scelta terapeutica e una corretta prognosi.
Si può ricorrere o alla Citologia con Agoaspirato (FNAC), in cui però c’è il rischio che il prelievo sia
inadeguato e che contenga t. necrotico o t. emorragico..
Quindi meglio è fare una biopsia per prelevare del tessuto. Quindi istologia con Biopsia agotranciante,
incisionale o escissionale. Nel caso sospetti che la massa sia tumorale ricorro a biopsia escissionale si fa
un’analisi estemporanea, se risulta una lesione benigna termino l’operazione, se riscontro una lesione
maligna vado a resecare i margini.

Quindi abbiamo già visto tutti i tipi di tumore che possono interessare la parete toracica:
TUMURI PRIMITIVI BENIGNI o MALIGNI
TUMORI METASTATICI
TUMORI POLMONARI o MEDIASTINICI INFILTRANTI la parete toracica per CONTINUITA’ o CONTIGUITA’
Ovviamente la distinzione tra benigno o maligno è essenziale.
TUMORI delle COSTE nel 50% MALIGNI
TUMORI dello STERNO quasi sempre MALIGNI

Il problema della chirurgia è che può andare a causare alterazione della funzione respiratoria e perdita della
parete toracica come armatura di protezione e quindi esposizione di organi nobili. Ovviamente le tecniche
di ricostruzioni sono molteplici e valide però devo tener conto delle possibili complicanze rappresentate da
volet toracico, trauma agli organi endotoracici, deiscenza o infezione di protesi o sutura. Se si infetta una
protesi ovviamente bisognerà intervenire, quasi sempre rimuovendo la protesi, quindi si ricrea il difetto su
cui bisogna reintervenire e ricostituire la continuità.

TUMORI BENIGNI
Condromi : problema della diagnosi differenziale con le forme maligne. Colpisce entrambi i sessi con
percentuali sovrapponibili. Ha una crescita lenta a livello delle cartilagini costali. All’asportazione i margini
di sicurezza sono di 2 cm perché alla biopsia preoperatoria la diagnosi differenziale non è attendibile e
l’esame estemporaneo è limitato perché può valutare la componente liquida ma non il tessuto osseo.
Osteocondroma: più frequente nel sesso maschile, colpisce l’età infantile, rappresenta il 30-50% di tutti i
tumori benigni della parete toracica, quindi uno dei più frequenti. Ha una crescita lenta. La tp è chirurgica. E
sufficiente l’asportazione della costa da cui origina. Non ha tendenza alla recidiva né alla trasformazione
maligna. Alla TC la densità è irregolare, non compatta, simile a quella dell’osso.
Fibrodisplasia ossea: o cisti ossea, non è rarissima, all’immagine radiologica la costa ha aspetto a riso
soffiato, per presenza di cisti dentro l’osso. Qualora desse dolore al paziente devono/possono essere
asportati.
Osteomi: rari, a crescita lenta, andamento benigno, alla TC la massa è formata da osso compatto, si
procede all’exeresi chirurgica perché può dare dolore
Tumore desmoide: cresce sull’aponeurosi muscolare, più frequente nel sesso femminile, ha un
accrescimento centrifugo quindi all’exeresi si lascia un margine di sicurezza di 3cm quindi il sacrificio del
muscolo dev’essere ben al di là della lesione stessa.
Elastofibroma: origina dalle parti molli del torace, alla palpazione è duro (non duro ligneo ma duro), è
caratterizzato dalla presenza all’interno del tumore di aggregazione di fibre collagene, elastiche, t. adiposo
più o meno rappresentati. Spesso si trova in sede sottoscapolare, retroscapolare e quindi perché si renda
visibile il paziente deve sollevare il braccio e aprire la scapola così che fuoriesca . Perché sia palese deve
avere dimensioni di 4-5 cm, quindi dimensioni importanti, perché quando sono più piccoli sono dietro alla

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scapola e non danno sintomatologia. E’ solido. E’ adeso alle inserzioni muscolari da cui origina. Si estende
fino al piano costale in profondità. Altera il profilo della parete toracica quindi con anche un impatto
estetico. La terapia è l’exeresi chirurgica. Non ha tendenza all’infiltrazione ma alla adesione tenace ai piani
muscolari che crea infiammazione e quindi dolore. Può essere difficilmente dissociabile e quindi si può
rendere necessaria la resezione di fibre muscolari. Quando è adeso superficialmente addirittura alla scapola
è necessaria l’exeresi della punta della scapola.

TUMORI MALIGNI
Richiedono necessariamente terapia chirurgica, con un margine di resezione idealmente di 3-5 cm. Il
condrosarcoma e il mieloma rappresentano le forme più frequenti.
Condrosarcoma: rappresenta il 50% di tutti i tumori maligni della parete toracica, origina dalle cartilagini
condrosternali, sono masse capsulate di grosse dimensioni, la cui asportazione può causare problemi di
ricostruzione della parete. Entra in D.D. con il condroma.
Mieloma: è il secondo per frequenza, ha una prevalente sede costale, colpisce prevalentemente maschi
nella quarta-quinta decade, origina da plasmacellule. La diagnosi si avvale non solo della biopsia ma anche
di altri approcci perché causa aumento della VES, alterazione della funzione renale, della calcemia,
dell’elettroforesi. La biopsia può essere chirurgica. La terapia è non chirurgica. Le lesioni sono uniche o
multiple. Causa osteolisi.
Liposarcoma: sono rari ma molto aggressivi. Per questo bisogna indagare con attenzione un lipoma della
parete toracica che ha una rapida crescita perché potrebbe invece essere un liposarcoma e quindi si toglie.
Tende inoltre ad essere recidivante.
Tumore di Ewing: o osteosarcoma, è molto raro per fortuna, colpisce prevalentemente l’età pediatrica e
adolescenziale, ha un andamento assolutamente aggressivo, la terapia richiede un approccio multimodale:
chemioterapia neoadiuvante, chirurgia, chemioterapia radioterapia adiuvante.

Clinica chirurgica 13/01/16


Prof. Dominioni
Sbobina Magatti
NODULO POLMONARE
Avevamo visto già nelle lezioni precedenti la problematica del nodulo polmonare affrontata come
casi clinici che ci portavano poi a diverse diagnosi e diversi iter diagnostici.
Ma come comportarsi nel momento in cui un medico neolaureato deve affrontare la problematica
del nodulo in modo organico?
Premesso che con “nodulo polmonare” si definisce una neoformazione rotondeggiante o simil
rotondeggiante fino a 3 cm circondato da parenchima. Invece tutto ciò che ha dimensioni maggiori
è definito massa. Ovviamente tra nodulo e massa ci sono dei criteri dimensionali e ci sono dei
criteri probabilistici sulla natura benigna e maligna. Perché il paziente vi chiederà se il nodulo, la
macchia che ha nel polmone è benigna o maligna. Abbiamo diversi criteri di tipo clinico, di tipo
radiologico, la storia del paziente, ecc.. La diagnosi nella stragrande maggioranza dei casi è
radiologica come opacità polmonare localizzata con Rx o TC. Solo una quota molto bassa, ma che
sta aumentando, è tramite metodiche scintigrafiche, sostanzialmente la PET, cioè quando la PET
trova un nodulo quando è eseguita per altri motivi.
Immagine di caso radiografico eseguito durante un programma di screening, nel primo esame non
si vede nulla, ripetuto a distanza di un anno si riscontra una piccola opacità biancastra che si
staglia bene rispetto al parenchima e alla costa sovrastante e in effetti alla TC è un nodulo solido di
7mm che si è rivelato essere un adenocarcinoma. Questo è un caso tra quelli fortunati perché è
stato diagnosticato quando era inferiore al cm.
Altro caso di riscontro in follow up di metastasi di K colon. La differenza sta nel fatto che la
metastasi al taglio ha un aspetto biancastro e omogeneo, il tumore del polmone invece ha un
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aspetto tigrato, quindi già macroscopicamente si può fare diagnosi differenziale. E’ importante
distinguerli perché come vedremo per le metastasi le indicazioni chirurgiche sono alla
metastasectomia con risparmio di parenchima mentre nella neoplasia polmonare l’indicazione è
portare il pz al trattamento chirurgicamente radicale che è almeno la lobectomia.
Di nodulo polmonare parliamo in termini numericamente certamente rilevanti. Ciascuno di voi
indipendentemente dalla specialità che svolgerete tra un anno vi troverete a gestire 1-2 noduli
polmonari all’anno. E quindi dovreste avere almeno un’idea non grossolana di cosa fare e come
comportarvi e a chi indirizzare il paziente portatore di questo nodulo.
Se si facessero 1000 Rx a soggetti della popolazione generale (0-99 anni) si riscontrerebbero 1-2
noduli polmonari. Varese ha 100.000 abitanti, troveremmo 100 noduli. Se poi andiamo a verificare
in soggetti fumatori, questa percentuale sale di molto. Cioè andiamo a identificare la popolazione
a rischio (i fumatori sono circa il 20-25% della popolazione italiana. I forti fumatori sono una parte
di questa percentuale. I forti fumatori nella fascia di rischio 45-75 anni sono circa il 6% della
popolazione.) Quindi il rischio di nodulo polmonare fluttua. Nel fumatore di 20 anni il rischio è
simile a quello della popolazione generale. Nel soggetto di 70 anni che ha fumato per tutta la vita il
rischio è molto aumentato. Quindi incide anche l’età e la durata dell’abitudine tabagica. Se poi
invece dell’Rx si usa una metodica radiografica che ha un potere di risoluzione molto più alto come
la TC (limite della TC nodulo di 2-3 mm vs Rx 7-8mm) nella popolazione dei forti fumatori, i noduli
si trovano dal 2-50% dei casi. Fortunatamente non tutti questi noduli sono maligni. Quindi la
probabilità di riscontro di nodulo dipende dai criteri di selezione della popolazione e dai criteri di
attendibilità e di precisione della metodica usata. Oggigiorno la TC viene richiesta con una
frequenza molto alta, non solo in progetti di screening specifici per i tumori del polmone ma nei
follow up, negli esami di stadiazione per altre neoplasie… con una frequenza 10 volte superiore
rispetto agli anni 2000.
In presenza di nodulo polmonare solitario la probabilità che sia maligno varia dal 5 al 69%
purtroppo il range è molto ampio e concorrono molte variabili. Dipende dalle caratteristiche del
paziente, dalle caratteristiche dell’imaging, dalla storia del paziente e dai suoi fattori di rischio,
dipende se il pz è asintomatico o sintomatico. Abbiamo parlato di screening e di Rx torace ma in
realtà una buona parte di pazienti è sintomatica o ha dei sintomi vaghi respiratori che lo portano
ad eseguire un esame radiologico, e sappiamo che solo una piccola % di tumori sono diagnosticati
in fase preclinica. Quelli asintomatici più frequentemente sono in stadio 1 e 2, ancora trattabili con
opzione terapeutica efficace, in genere chirurgica, con prognosi migliore. Perché lo stadio 1 è più
frequente tra gli asintomatici, perché ovviamente c’è un anticipo diagnostico. L’evoluzione, se
consideriamo la storia naturale del tumore del polmone, è una linea, se noi lo intercettiamo un
anno prima che abbia dato sintomi, ovviamente saremo in uno step precedente e quindi è più
probabile che non abbia dato metastasi. Lo sapete meglio di me che lo step tra lo stadio 1 e 2 e gli
altri stadi è la presenza di metastasi ai linfonodi mediastinici o a distanza che lo fanno passare allo
stadio 3 (L2) o metastasi a distanza, stadio 4, e la prognosi ha un decremento notevole.
Sono stati fatti alcuni studi per confrontare pazienti sintomatici e asintomatici, il più bello è quello
di Buenos Aires, presentato l’anno scorso, su quasi 600 pz che sono stati operati e ha verificato
come i soggetti asintomatici, che erano la maggior parte, avevano diagnosi di nodulo polmonare
solitario più frequente, >50% dei casi, rispetto al 20% dei sintomatici, con diametro inferiore ai 3
cm e stadio 1 presente in oltre il doppio dei soggetti asintomatici rispetto ai sintomatici. Questo
studio dimostrava che c’è un’implicazione in termini di anticipo diagnostico e di stadio e con
implicazioni sulla sopravvivenza mediana da 43 mesi a 77.
Anche a Varese abbiamo fatto degli studi su dati non del reparto chirurgico ma di tutto il centro-
nord della provincia di Varese con una raccolta a tappeto (questo significa che non si può fare un
confronto con lo studio di Buenos Aires perché il nostro studio include pz in stadi avanzati che non
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vanno alla chirurgia ma alla chemio/radioterapia) e abbiamo visto che gli asintomatici alla diagnosi
erano il 21% contro il 79% dei sintomatici. Mettendo a confronto i noduli asintomatici rispetto a
quelli sintomatici: adenocarcinoma era più frequente, 40% contro il 23%, stadio 1 50% contro 12%,
possibilità di terapia chirurgica radicale 60% contro il 18%, e sopravvivenza mediana 25 mesi
contro 9 mesi. Quindi la sopravvivenza è maggiore di quasi 3 volte, cosa non indifferente.
Ripetuto lo stesso studio dopo 10 anni e le differenze si sono mantenute sostanzialmente
invariate. Il SSN nella provincia di Varese per come lavora trova ¼ dei pz nell’ambito della
popolazione generale non tanto grazie a screening PREDICA (1%) ma attraverso Rx del torace
eseguiti per vari motivi (Rx preoperatoria per interventi chirurgici, Rx prescritta dal MMG per
polmonite, per riacutizzazione di BPCO, in fumatore..). Il rapporto di diagnosi incidentale in Italia
rispetto all’Inghilterra è di 8:1, cioè in Inghilterra è molto meno frequente.
Quali sono le differenze tra la sottopopolazione dei pz asintomatici trovati con Rx rispetto a quelli
trovati con TC?
Il diametro medio trovato dall’Rx è 42mm, con la TC è 24 mm; la chirurgia è curativa nel 47% dei
casi trovati con Rx e nel 69% di quelli TC. Quindi è ovvio che con un esame più accurato si
guadagna qualcosa. Rispetto al tasso di resezione chirurgica che è il 20% nei noduli sintomatici si
guadagna 2 volte e ½ con la radiografia e 3 volte e ½ con la TC.
Quindi dopo diagnosi accidentale di NPS (nodulo polmonare solitario) quali sono i criteri che vi
devono orientare nella scelta dell’iter diagnostico?
Prima di tutto sono criteri legati al pz, quindi criteri clinici: più si va avanti con l’età più probabilità
ci sono che sia maligno. Ma è anche vero che oggigiorno si riscontrano SNP sempre più
precocemente, già a 30-35 anni. Poi il fumo di sigaretta si sa che aumenta il rischio di neoplasia
polmonare primitiva ma è un fattore di rischio o fattore prognostico negativo anche per altri
tumori (vescica, pancreas, esofago, cavo orale, laringe, testa-collo) e quindi un nodulo polmonare
potrebbe essere anche espressione di localizzazione secondaria. L’anamnesi fisiologica, lavorativa,
patologica prossima, patologica remota. APR: ad es. un pz con storia personale di tumore ha un
rischio maggiore di sviluppare una metastasi o un secondo primitivo. Apro una parentesi: nel
tumore al polmone anche dopo intervento chirurgico il rischio a 1 anno che si sviluppi un secondo
primitivo è stimato tra l’1 e il 2 %; quindi un pz con tumore polmonare diagnosticato in stadio 1 e
trattato con chirurgia radicale, dopo 10 anni ha il 10-20% di rischio di avere un secondo tumore. E’
tanto. Questo pz deve essere controllato a prescindere dallo stadio del primo tumore e quindi mai
escludere che un eventuale secondo nodulo che emerge sia un secondo primitivo. Fino a qualche
anno fa si considerava subito come metastatico o recidiva e si trattava direttamente con
chemioterapia o radio.
Il fatto di avere un’anamnesi positiva polmonare o di altri distretti deve farci insospettire sulla natura
di quel nodulo.
Altri dati di cui bisogna tener conto nell’anamnesi sono quelli che ci possono far protendere verso
il sospetto di benignità: presenza di quello stesso nodulo così com’è in una radiografia di 10 anni
prima, storia di pregressa esposizione a malattia granulomatosa, TBC, quindi il nodulo potrebbe
essere riconducibile a granuloma.
Poi ci sono i Criteri radiologici: il mio consiglio è che impariate a vedere in prima persona le
radiografie e non solo leggere il referto.
Dimensioni: > diamentro della neoformazione, > probabilità che sia maligno
Confronto esami con precedenti: nodulo presente in un esame di 10 anni prima che ha caratteri
identici all’attuale fanno protendere verso la benignità. Perché ovviamente la neoplasia tende a
crescere rapidamente.
Altre caratteristiche imaging: prendere contrasto alla TC, margini, calcificazioni (diffuse, centrali, a
pop corn)
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Seguono una serie di slide con diverse immagini radiologiche:
(guardate anche la proiezione laterale, in Inghilterra la proiezione latero-laterale dell’Rx non la
fanno più, perché hanno fatto una stima del rapporto tra costi e benefici e hanno ritenuto meglio
perdere il 20% delle diagnosi di SNP piuttosto che raddoppiare i costi..)
TC: nodulo con caratteristiche sospette in pz fumatore di 52 anni, è irregolare, ha margini spiculati,
ha una stria di raccordo con la pleura parietale = adenocarcinoma polmonare discretamente
differenziato.
TC: SNP di 7.8 mm, piccolo, caratteristiche difficili, non spiculato, era un esito di TBC ma è stato
scoperto a posteriori perché è stato asportato, eravamo nel 2003.
TC: nodulo con margini irregolari nella parte apicale del lobulo inferiore di sinistra = metastasi di
adenocarcinoma del retto. Se la metastasi è singola c’è indicazione chirurgica. Si può biopsiare
preoperatoriamente perché si poggia alla pleura parietale e questa finestra intercostale non è
difficile da pungere.
TC: noduli multipli, iter diagnostico più delicato, 2 neoformazioni nel lobo superiore di destra e un
altro controlaterale a sinistra. Incominciano ad esserci oggi delle linee guida. Dentro lo stesso lobo
di destra c’erano 2 tumori diversi: un adenocarcinoma mucinoso e un carcinoma linfoepiteliale,
quello controlaterale era un altro carcinoma linfoepiteliale e dal punto di vista istologico era
impossibile sapere se uno era la metastasi dell’altro. La pz è sopravvissuta per 8 anni per
progressione di malattia, probabilmente il carcinoma linfoepteliale aveva una crescita modesta.
Era stata sottoposta a lobectomia da una parte, ___dall’altra, più chemioterapia.
TC: noduli multipli = flogosi polmonare cronica. Fatta la biopsia di uno, ci siamo fermati, follow up,
non sono mai cresciuti.
Però i criteri clinico-radiologici sono solo criteri probabilistici che non mi possono dare la certezza
della natura del nodulo, questa può venire solo dall’analisi anatomopatologica della biopsia.
Oggi si trovano anche in internet dei programmi che partendo da informazioni del pz e del nodulo
dicono qual è la probabilità espressa in % o come “alta”, “media” o “bassa” che sia una neoplasia
maligna. Ma non diranno mai 100% o 0%, quindi la certezza assoluta non c’è. Ovviamente se il
fattore probabilistico è oltre il 50%, c’è l’indicazione alla biopsia. Se invece è più bassa bisogna
valutare il pz (età, comorbidità).
Riassumendo i più importanti fattori radiologici sono:
Dimensioni: come già detto la probabilità di malignità aumenta all’aumentare delle dimensioni:
0.4-1cm rischio 2%; 1,1-2cm 51%, 2,1-3cm 67-82%
TC: massa Carcinoma scarsamente differenziato del polmone che infiltrava la vena polmonare.
Calcificazioni: può essere a pop corn tipica dell’amartoma (ma non tutti gli amartomi hanno
calcificazioni a pop corn), oppure centrale (che fa più pensare a un nodulo tubercolare).
Margini della lesione: se sono tondi, netti è più probabile che sia benigna; margini spiculati,
irregolari, con stiramento della pleura parietale è più probabile che sia maligna.
Densità: un tempo si diceva “tutto ciò che è solido è probabile che sia tumore basta che non sia
calcifico, tutto ciò che non è solido certamente non è tumore ma flogistico”, oggi attenzione
perché si sa che esistono noduli come gli adenocarcinomi a crescita lipidica che hanno opacità a
vetro smerigliato o GGO (ground glass opacity) e possono essere neoplastici. Quelli che hanno una
componente solida centrale di circa il 20-30% hanno una probabilità di essere tumori più alta
rispetto ai GGO puri. Quelli con componente solida completa sono tumori fino a prova contraria.
TC: pz fumatore con bronchite cronica, dire che questo nodulo sia un adenocarcinoma a crescita
lipidica o un esito di polmonite dalla sola TC è impossibile. In base alla storia gli abbiamo fatto un
mese di terapia antibiotica che ha risolto il quadro. Era un esito polmonitico.
TC: nodulo parzialmente GGO, con core centrale solido= adenocarcinoma invasivo G1.

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TC: altro nodulo con margini sfrangiati= adenocarcinoma invasivo. Man mano che aumenta la
componente solida del nodulo più è probabile che stia virando verso l’invasività.
TC: nodulo con strie di raccordo, prevalentemente solido = adenocarcinoma G2.
Presa di contrasto: proporzionale alla vascolarizzazione.
TC: si vedono 2 vasi che afferiscono al nodulo costituiscono criterio di sospetto infatti era un
adenocarcinoma
TC: presa di contrasto molto elevata = carcinoma spinocellulare
Velocità di crescita: confrontare più esami sia in termini di diametro che di densità.
Immagini a confronto: dimensioni simili, densità molto aumentata, il nodulo era diventato più
solido = adenocarcinoma a crescita lenta
TC: nodulo da 5 a 7 mm in 8 mesi
TC: da 12 a 20 mm, tempo di crescita 101 giorni. Adenocarcinoma G2.
TC: da 26 a 60 mm a 112mm in 111 giorni. Il primo riscontro era asintomatico (2011) e
potenzialmente operabile, alla terza valutazione (2013) era diventato inoperabile.
TC: da 23 a 26 mm in 750 giorni quindi molto lenta ma la densità è aumentata molto. L’indicazione
è comunque l’asportazione.
Pezzo operatorio : retrazione della pleura viscerale caratteristica. Nodulo primario al taglio è a
macchie di leopardo (nodulo metastatico è invece bianco omogeneo) già macroscopicamente si
può fare diagnosi e condiziona l’iter terapeutico: se è primitivo si va alla resezione d’amblèe, se è
metastatico ci si ferma.
Distribuzione dei tempi di raddoppiamento del tumore del polmone a Varese su circa 180 casi:
87% tempo di raddoppiamento delle dimensioni < 400 giorni. Meno di 20 pz hanno un tempo di
raddoppiamento inferiore a 50 giorni. E circa 30 pz che l’hanno superiore a 400 giorni.
Adenocarcinoma: 242 giorni; squamocellulare: 182 giorni; SCLC: 79 giorni. Ovviamente il tempo di
raddoppiamento dei noduli identificati con la TC è molto maggiore perché con la TC si trovano
tumori più piccoli cioè biologicamente meno aggressivi.
Dunque cosa dovete tenere a mente di questa chiacchierata è:
Dimensioni invariate per almeno 2 anni e presenza di calcificazioni omogenee o a pop corn sono
criteri probabilistici di benignità.
Crescita dimensionale, velocità di crescita, margini spiculati, presa di contrasto sono forti indicatori
di malignità.
Diagnosi:
L’Rx torace è tutt’ora l’indagine di prima istanza: facilmente accessibile, basso costo, alta
specificità (95%) ma bassa sensibilità per neoplasie di dimensioni < a 1,5cm. Ci sono delle zone che
alla radiografia non sono visibili come gli sfondati, la zona retrocardiaca, le zone coperte dalla
parete toracica. C’è comunque un 20% di noduli che anche facendo la proiezione laterale non si
vede.
La TC è una metodica di approfondimento, di secondo livello, offre una migliore definizione del
nodulo (margini, dimensioni, densità, presa di contrasto, microcalcificazioni), è più sensibile ma
meno specifica.
La PET permette di identificare dei processi metabolicamente attivi ma da sola non offre la
certezza assoluta di M/B. E’ anche questo un criterio probabilistico: un nodulo captante può
essere non neoplastico ma infiammatorio o al contrario un adenocarcinoma ad accrescimento
lipidico può avere una bassa attività metabolica e avere una scarsa captazione. Può aiutare, può
aggiungere un criterio probabilistico e rafforzare un’ipotesi di malignità e orientarci verso indagini
più invasive.
PET TC: alla PET capta, alla TC non sembra molto solido= Adenocarcinoma.
PET: zone di captazione= bronchiectasie con iperplasia linfoide della lingua
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Ultimamente è si ritiene utile valutare il SUV (Standardized Uptake Value), differenza di captazione
rispetto a un’unità standardizzata. Se SUV >2,5 è un altro criterio probabilistico di malignità.
Messo tutto insieme: PET TC è quello che ci offre la più alta sensibilità 97% e specificità 85%. =
perdo il 3% dei maligni, opero il 15 % dei benigni; nel bilanciamento di costi e benefici siamo in
una situazione accettabile.
Il problema della PET è che è un esame scintigrafico che si basa sull’uptake di un radiofarmaco, per
misurare il metabolismo in genere usiamo il carburante più facile che è il glucosio, però ci sono
forme di tumore come i BAC (adenocarcinomi a crescita lipidica) che con FDG sono praticamente
negativi mentre con 11C-Colina sono fortemente captanti. Il pz dovrebbe fare 2 esami ma una PET
costa 1300€, il rimborso per un intervento di lobectomia polmonare è di 11000€ quindi bisogna
valutare come investire in modo oculato le scarse risorse. Quindi la PET non capta ma magari ha
un quadro in evoluzione e mi baso sui dati raccolti finora per scegliere di arrivare alla biopsia.
(slide: Carcinoma tipico non capta FDG, 18F-FDopa o 111In-pentetreotide)
Diagnosi di certezza: Biopsia
Percutanea (FNAC, agoaspirato): veri positivi 100% ma falsi negativi 15-20%. Se davanti a una
diagnosi di negatività abbiamo il sospetto che il risultato non sia veritiero possiamo fare un
rebiopsy, eseguire di nuovo la biopsia, o wait and see, cioè aspettare e ripetere a 6 mesi un esame
per fare una rivalutazione dimensionale, se cresce lo asporto. La biopsia bronchiale ovviamente è
per i noduli che possono essere raggiunti attraverso un segmento bronchiale. Ma la maggior parte
dei noduli sono periferici quindi è difficile fare la biopsia. Si può fare con le biopsie transbronchiali
radio-guidate ovvero combinando la fluoroscopia con la broncoscopia, si identifica il bronco che
afferisce a quel nodulo e si manda la pinza alla cieca sotto guida fluoroscopica, si fa presa bioptica
e il 50% sono efficaci. I risultati sono migliorati con moderni sistemi di navigazione (tipo il
navigatore della macchina) che sono fatti mediante l’acquisizione della TC con un sistema di
elettronavigazione. Sistema molto costoso, acquisito sono da alcuni centri. La pinza del
broncoscopista viene guidata da questo navigatore elettromagnetico. Se si presenta un bivio, la
guida segnala in verde la via da prendere. Se sbaglia, da un segnale rosso.
L’agoaspirato è facile da eseguire. In Giappone invece la evitano come la peste perché temono
molto la complicanza del pneumotorace perché loro hanno una tendenza al sanguinamento molto
più alta di noi a causa di fattori genetici. Da noi se per un intervento non facciamo la profilassi,
vien la trombosi, da loro non esiste la profilassi per la tromboembolia nel postoperatorio perché
4000 UI EBPM gli causa emorragie.
Ci sono diverse metodiche: sotto guida TC, sotto guida broncoscopica.. il nodulo viene centrato
dall’ago, si fa un prelievo, di regola un’unica centratura consente di fare 2 o 3 prelievi, per essere
abbastanza certi di aver preso materiale adeguato, ci potrebbe essere all’interno aree necrotiche,
calcifiche, di reazione infiammatoria attorno al nodulo, quindi meglio fare una biopsia in 2 o 3
punti.
Agoaspirato TC-guidato: tecnica di esecuzione semplice, evita interventi chirurgici esplorativi,
sensibilità : 70-100%, specificità: 98%, vuol dire che i falsi negativi sono tra 0 e 30% (da noi è
intorno al 15-20%).
Video-toracoscopia : è un intervento chirurgico, ma toglie il nodulo, si fa quando i criteri
probabilistici sono molto sospetti, quando la diagnosi istologica preoperatoria non è possibile, la
accuratezza diagnostica è molto elevata vicina al 100%. Permette di fare più prelievi, di valutare
anche i linfonodi, posso poi eseguirla precocemente anche controlateralmente se ad es sono
presenti noduli bilaterali, cosa che non si può fare in caso di intervento toracotomico (intervenire
simultaneamente sui due polmoni è possibile solo in casi eccezionali, in pz in condizioni veramente
ottimali perché comporta doppio drenaggio, doppio rischio di PNX, doppio rischio di complicanze).
Immagini procedura toracoscopia: triangolazione dei trocar.
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Immagine toracoscopica: nodulo parzialmente solido, resezione atipica di tutto il nodulo. In questo
caso la resezione è stata ampia per garantire margini di sicurezza in pz che non poteva essere
sottoposto a lobectomia (75 anni e riserve respiratorie ridotte).
Se il nodulo non è palpabile perché è di scarsa densità come nei casi di ground glass, si può
marcare con dei marcatori radiopachi e andarlo a vedere con ___.
Toracotomica: eseguita in passato, negli anni 70 molti pz andavano al tavolo operatorio a fare
toracotomia esplorativa senza diagnosi istologica, si faceva la biopsia, se si confermava la natura
tumorale si operava, se era negativa o non si poteva operare, ci si fermava. Era un approccio molto
invasivo, era a tutti gli effetti un intervento.
Altre metodiche: intro coil che aumentano la densità in prossimità del nodulo per guidare
l’asportazione.
Cosa fare nella pratica. Percorso diagnostico:
Riscontro occasionale, screening, pz sintomatico, follw up, MMG o Specialista = tutti modi
attraverso cui può giungere all’attenzione un nodulo polmonare.
1° step: prima visita pneumologica, aggancia il pz al Centro Polmone. E’ importante centralizzare
perché vengono standardizzati e ottimizzati gli iter diagnostici in termini di resa per il pz e di costi
per la struttura. Eseguire la biopsia a Varese, a Cittiglio e a Luino darà lo stesso esito ma se viene
valutato da chi ne vede centinaia all’anno sarà più facile fare diagnosi.
2° step: se lo pneumologo ritiene il pz a rischio, fa eseguire Rx, TC se non le ha già eseguite e una
valutazione spirometrica per valutare la sua funzione respiratoria.
Nel piano del 2013 è stato proposto di condurre questi step con determinati tempi, la visita
pneumologica dovrebbe essere fatta entro 3 giorni dal riscontro, così come gli esami dovrebbero
rispettare delle tempistiche così da non perdere tempo prezioso.
3° step: seconda visita pneumologica supportato da altri specialisti (chirurgo toracico, medico
nucleare, radiologo): valuta i criteri probabilistici di benignità o malignità sulla base di clinica,
anamnesi, imaging, criteri dimensionale, evolutivo e rischio individuale del pz e esprime un
giudizio di sospetta malignità o benignità.
Se il sospetto è di benignità: sorveglianza clinico-radiologica, seguendo intervalli di controllo TC
(con o senza MdC) secondo le linee guida della Fleischner Society
Se il sospetto è di malignità: diagnosi cito-istologica attraverso la biopsia, stadiazione
Sembra un po’ semplicistico visto così ma da quando questo sistema è avviato (più di un anno) la
dispersione di pz, di costi, di resa, di efficacia si è ridotta. E’ stato un investimento che sta dando
risultati al pz, ai medici, alla struttura e a SSN.
Nel sospetto di malignità:
Biopsia: è stato codificato che qui a Varese debba essere eseguita tramite esame agoaspirato o
broncoscopico p toracoscopia
Anche nel caso di nodulo periferico si sottopone sempre il pz agli esami standard per il tumore del
polmone: marcatori tumorali (poco specifici ma se sono positivi attenzione), citologia
sull’espettorato (in passato l’incidenza dei tumori centrali era maggiore e quindi aveva più valore e
venivano positivi il 50-80% degli espettorati, oggi è positivo il 5-10% ma non è invasivo e ha un
costo irrisorio per cui vale la pena farlo).
Immagini linee guida Varese:
Se c’è consenso (il nodulo cresce, il pz è ad alto rischio, tempo di raddoppiamento breve..): Biopsia
Se ci sono controversie: soprattutto sulle dimensioni (le varie linee guida internazionali pongono
dei cut off in base a studi stocastici: 5-6-7-8mm), soglia di attenzione a Varese è >= a 7mm ->
biopsia
<7mm prima osservazione: follow up con TC
<7mm stabile per 2 anni: attesa
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<7mm e cresce da 5 a 7mm: biopsia
A voi do un messaggio forte però nella pratica clinica non tutti i noduli con un diametro >7mm
vengono sottoposti a biopsia. Un po’ per un retaggio culturale secondo cui il nodulo polmonare
sospetto è sopra i 2 cm.
Accertata la diagnosi tumorale:
Resezione tipica (anatomica): è la più indicata, è il gold standard
- Segmentectomia
- Lobectomia
- Bilobectomia
- Pneumonectomia
Resezione atipica
Ci sono degli studi in corso che vogliono confrontare la resezione atipica in casi selezionati con la
lobectomia, il risparmio di parenchima a fronte del vantaggio oncologico della lobectomia da un
vantaggio in termini di funzionalità respiratoria quindi può avere un senso; ma se noi consideriamo
solo il criterio oncologico allora la lobectomia è ancora oggi quella più indicata. La lobectomia è più
invasiva ma oggigiorno abbiamo la possibilità di farla anche in videotoracoscopia, meno invasiva
per il pz, con decorsi più rapidi.
Screening Predica Project. Rx torace (lez sulla lobectomia)

ITER DIAGNOSTICO DEL NODULO POLMONARE


CASO CLINICO:
 Pz femmina, 48 aa;
 tecnico di radiologia, quindi con un'esposizione personale alle radiazione ionizzanti;
 bevitrice di alcol ai pasti;
 fumatrice di 15 sigarette/die da 30 anni quindi con un pack-year di 22,5 (quindi supera il famoso
cut-off di 20 a cui abbiamo fatto cenno nelle lezioni precedenti); per questo motivo la pz è stata
arruolata in un progetto di screening per il tumore del polmone che prevede l'esecuzione di una RX
torace ogni 12 mesi;
 sindrome depressiva in terapia con Cymbalta
 nel 2013 nota, grazie alla tecnica di autopalpazione, un nodulo mammario a sx per cui esegue una
agobiopsia che risulta negativa; il nodulo non viene asportato.
 Nel gennaio 2015 esegue una RX torace che mette in mostra un nodulo polmonare dx, non
presente nelle RX precedenti. La pz riferisce inoltre astenia, anoressia, calo ponderale di 5-6 kg in
un anno, stabile da novembre 2014. Ricordiamoci che questa è una pz con una sindrome
depressiva; però tutti questi segni e sintomi devono farci pensare che questo nodulo, nonostante la
sua esposizione professionale, il tabagismo ecc, possa anche non essere un tumore del polmone
primitivo.

Quindi la diagnosi differenziale va fatta tra: secondarismo mammario e tumore primitivo del polmone.

Qui vediamo la TAC: a livello basale dx (lobo inferiore) si nota una neoformazione nodulare solida, di forma
irregolare, con margini spiculati, con crescita di tipo infiltrante il parenchima. (nodulo sospetto!)
Oltre alla componente solita c'è la componente ground glass opacity e c'è una stria di raccordo con la
scissura, che ne condiziona la retrazione.

La pz fa anche una PET total body per la stadiazione che conferma la presenza del nodulo polmonare a
livello del lobo inferiore dx, captante il tracciante; non mostra altre focalità.

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Per completare la stadiazione manca l'encefalo , quindi la pz fa una TAC encefalo che risulta negativa
(attenzione perchè negli adenocarcinomi, la possibilità di avere metastasi a livello cerebrale, soprattutto
nelle donne giovani, è alta!)
Esami ematici, ECG, fibrobroncoscopia tutti nella norma.
La pz viene avviata (senza una diagnosi istologica pre-operatoria) all'intervento di videotoracoscopia destra.
L'esame istologico estemporaneo fu di: adenocarcinoma, primitività polmonare. Quindi abbiamo eseguito
una lobectomia toracoscopica.
Referto finale: T1 b (perchè era di 22mm) N0, M0.
Follow-up dal punto di vista oncologico.

Questa era la storia di nodulo con caratteristiche molto sospette (prima non c'era e poi è comparso).
Il suo tempo di raddoppiamento era di 180 giorni (ricordiamoci che il tempo di raddoppiamento sospetto
per un k pomone è tra 50 e 450 gg; al di sotto dei 50gg potrebbe essere una forme infiammatoria; al di
sopra dei 450 gg è una forma con un andamento benigno).

Adesso vorrei darvi qualche informazione riguardante il PROGETTO DI SCREENING che abbiamo fatto noi
qui a Varese e che ha avuto inizio nel 1997.
Sappiamo che il K polmone è il "big killer" oncologico, è la prima causa morte oncologica in Italia e nel
mondo.
In Italia oggi si vedono quasi 40.000 nuovi casi/anno e le morti sono circa il 10% in più.
In Italia abbiamo ancora una prevalenza significativa del rapporto maschi:femmine.
Ci sono circa 500 morti ogni anno in provincia di Varese, quindi circa 10 alla settimana. Stiamo parlando di
qualcosa che avrà un impatto molto significativo sulla vostra professione futura.
Stadiazione: solo il 20% è diagnosticato in stadio 1 clinico (che sottostima di circa il 20% lo stato patologico:
cioè di questo 20% di casi diagnosticati in stadio 1, il 20% sono in realtà in stadio 2 o 3); lo stadio 1 è uno
stadio precoce, in cui possiamo fare qualcosa dal punto di vista terapeutico.

Quindi è stato deciso di attuare la lotta contro il fumo, che è la principale causa di cancro del polmone.
Purtroppo però si sa che questa prevenzione primaria non ha impattato in modo significativo sul cancro del
polmone. C'è sì stata una riduzione dei fumatori attivi (1-2% all'anno smettono di fumare), ma c'è stato un
incremento del fumo attivo tra i soggetti giovani, soprattutto nel sesso femminile (tenete conto che l'età in
cui oggi si inizia a fumare è 12-13 anni); quindi c'è stata un'anticipazione dell'abitudine tabagica e uno
spostamento dal sesso maschile a quello femminile.
L'aspetto principale da tenere presente è che l'85% dei malati di k polmone sono fumatori! E non tutti i
fumatori muoiono di cancro, alcuni muoiono di infarto, altri di ictus ecc...

Perchè a Varese abbiamo deciso di utilizzare come screening l'RX torace?


Perchè lo "screening" è inteso di per sè come un intervento di popolazione per prevenire una patologia o
per diagnosticarla precocemente (prevenzione primaria = diagnosticarla; prevenzione secondaria =
diagnosticarla precocemente).
Lo screening è efficace se trova un elevato numero di casi in stadio precoce, per cui avendo a disposizione
terapie efficaci in quello stadio, permette di cambiare la storia naturale del pz, quindi la sopravvivenza
aumenta e questo vuol dire che io ho impattato in modo positivo sia attraverso la diagnosi precoce, sia con
il trattamento; perchè se io anticipo la diagnosi di un anno ma poi il pz muore lo stesso, il mio intervento
non è stato comunque efficace.
L'intervento deve essere efficace sia in fare preclinica sia nel trattamento proposto; noi sappiamo che
l'intervento chirurgico è efficace (infatti l'intervento di resezione polmonare nei pz con k polmone in stadio
1 porta a dei tassi di sopravvivenza a 5 anni del 60-70%) però questo lo sappiamo da dei dati indiretti
(perchè ovviamente, per motivi etici, non è mai stato fatto uno studio randomizzato in cui divido i pz in
stadio 1 in due gruppi e un gruppo lo opero e l'altro no e poi vedo come varia la sopravvivenza).

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Quindi si è andati a vedere quei casi di pazienti in stadio 1 che non sono stati operati, o pechè hanno
rifiutato o per varie comorbidità; dopo 60 mesi: la sopravvivenza era del 67% per gli operati, mentre era
solo del 7% per i non operati; di questo 7% abbiamo visto che il 16% moriva per altre patologie, mentre
l'80% moriva per una progressione del tumore al polmone, quindi se fosse stato possibile operarli
probabilmente si sarebbero salvati.
E' una dimostrazione indiretta del fatto che il trattamento chirurgico è efficace.

Noi sappiamo che lo screening con la radiografia del torace ( e questo è stato avvalorato anche da altri
gruppi che l'hanno applicata) è efficace nell'aumentare la % di diagnosi precoce, nell'aumentare la
resecabilità chirurgica (perchè se io ne trovo di più ma sono tutti inoperabili, non ha senso fare la diagnosi
precoce) e quindi nell'aumentare in modo significativo la sopravvivenza.

Si è visto che il tempo di "anticipo diagnostico" che abbiamo dato al pz grazie alla diagnosi precoce (che con
l'RX torace è di circa 1 anno- 1 anno e mezzo) è perchè si trovano dei tumori che sono a "bassa aggresività",
e questa è la cosiddetta sovra-diagnosi, cioè la diagnosi di una malattia che non avrebbe mai portato a
morte.
Certo questo riguarda quel 16% che sarebbe morto per altra causa (ma a priori io non so quali sono); non
riguarda invece i tumori solidi (adenocarcinomi, spinocellulari, neuroendocrini ecc..) che nella stragrande
maggioranza dei casi (oltre 95%) portano a morte.
Nella popolazione occidentale c'è una % molto piccola (<5%) di tumori che può essere definita come
"sovra-diagnosticata" e si tratta di tumori groung-glass puri, cioè di adenocarcinomi minimamente invasivi
o addirittura in situ che non portano a morte fino a quando non evolvono nelle forme papillari, acinari ecc..
ma questo accade di solito dopo circa 10 anni.

Questi sono i motivi per cui abbiamo deciso di applicare come metodo di screening l'RX torace e non la
TAC: l'RX ha un ottimo rapporto costo-beneficio; era diffusamnete disponibile sul territorio.
Il problema della TAC è che trova molti più noduli dell'RX e più piccoli ( di 3-4-5mm che non sappiamo come
gestire), che necessitano un follow-up maggiore.
L'RX invece trova noduli più grandi (il limite di risoluzione è di 8mm ).
E' vero che la TAC ha dei risultati migliori rispetto all'RX in termini di prevenzione della mortalità per il k
polmone, a fronte di costi che però si triplicano!

Quindi sulla scorta di alcuni studi giapponesi, risalenti agli anni '90, abbiamo deciso di iniziare questo
progetto "PREDICA" : abbiamo coinvolto 50 medici di medicina generale, che conoscevano i loro assistiti e
sapevano se erano soggetti a rischio perchè fumatori di almeno 10 sigarette/die o ex-fumatori da non più di
10 anni, con un pack-year che non doveva essere inferiore ai 10; questi pz dovevano essere dei candidati
volontari, in buone condizioni generali e che risiedessero nel centro-nord della provincia di Varese.
Gli è stata proposta una RX torace basale che poi doveva essere ripetuta per altri 4 anni (quindi in tutto
erano 5 RX) a titolo gratuito.
Il nostro scopo era quello di valutare qual era la mortalità della popolazione invitata allo screening (cioè
abbiamo valutato tutti quelli invitati allo screening, non solo quelli screenati effettivamente) e di
confrontarla con quella della popolazione resiedente nelle stesse aree geografiche ma non invitata; questo
è stato fatto utilizzando non un sistema randomizzato ma un sistema di rischio appaiato per i fattori
principali: residenza (perchè sappiamo che nei vari distretti della provincia di Varese l'incidenza del cancro
del polmone è diversa), età, sesso, fumo.
Quindi alla fine abbiamo fatto un rapporto tra la mortalità attesa in quella popolazione e la mortalità
osservata (perchè se noi abbiamo la sopravvivenza che aumenta ma la mortalità rimane invariata vuol dire
che noi abbiamo allungato la vita di questi malati ma non gli abbiamo cambiato la prognosi).

Gli endpoints secondari erano: la diagnosi precoce in stadio 1 (quando è efficace); il tasso di resezione
chirurgica e la sopravvivenza a 5 anni.

50
Questi sono endpoints che ci dicono la bontà del progetto ma non ci dicono se questo poi impatta
veramente sulla malattia.

Abbiamo arruolato in questo periodo (luglio 1997- dicembre 2006) 5800 soggetti e hanno partecipato
attivamente 1244 (il tasso di adesione allo screening è stato del 21%, che è uguale a quello che avevano
riscontrato in Giappone, negli studi di cui vi parlavo prima).
L'età media era di 57 anni e i pz erano prevalentemente maschi.
Il pack-year mediano di fumo nei soggetti partecipanti e non, era di gran lunga superiore a quel 20 che era il
nostro trigger point.

Risultati:
 224 casi di RX sospetta positiva (quindi il 4% delle RX aveva una qualche anomalia)
 34 tumori trovati (cioè lo 0,61%) , quindi vuol dire che il 3,4% era un falso positivo all'RX.
Questo 3,4% lo dovete confrontare con la TAC del torace che ha una media di falsi positivi del 50%;
la TAC del torace trova 1-2% di tumori del polmone, ma è positiva nel 50% dei casi. Quindi la TAC
porta a fare molte più procedure invasive per andare a studiare dei noduli che poi non sono tumori,
esponendo molto di più i pz alle possibili complicanze delle procedure invasive stesse (es. embolia
polmonare).
 Il 53% di questi 34 tumori erano in stadio1 (più di quel 20% che noi ci aspettiamo in provincia di
Varese)
 Il 49% di questi erano squamosi. Quindi noi non abbiamo trovato una distribuzione sbilanciata
verso gli adenocarcinomi, come invece succede negli screening fatti con la TAC, perchè in questi
casi si vedono molto meglio i noduli periferici! Quindi noi con l'RX non abbiamo super-selezionato
una popolazione diversa da quella attesa (infatti nei controlli si vede che nella popolazione
selezionata c'erano 49% squamosi, mentre nei non-partecipanti c'era il 43% di squamosi ---> %
sovrapponibili!)
 17% dei partecipanti aveva un microcitoma e nei non-partecipanti la % era del 13% (anche qui %
sovrapponibili).
Quindi noi possiamo dire di aver trovato tutti i tipi di tumore del polmone, non solo alcuni.
 Abbiamo avuto un tasso di resezione chrurgica del 76%, con uno 0% di mortalità.
 La sopravvivenza è stata del 49% , contro il 12% della sopravvivenza attesa dei pz con cancro del
polmone.
Quindi il sistema ha prodotto una sopravvivenza che è uguale a 4 volte quella attesa.

Il passo sucessivo è stato quello di capire quali erano i fattori che proteggevano dalla morte: sicuramente il
fatto di essere stati invitati e di aver partecipato allo screening ha inciso notevolmente sulla sopravvivenza
di questi soggetti.

Ricapitolando noi abbiamo più che triplicato la diagnosi precoce, la resecabilità chirurgica, e quadruplicato
la sopravvivenza.
Quindi gli endpoints secondari sono stati raggiunti.

Ora andiamo a valutare l'endpoint primario, cioè l'analisi della mortalità: rispetto alla mortalità attesa per il
k polmone nella provincia di Varese, che durante questo periodo era in totale di 210 morti, noi abbiamo
osservato 172 morti.
Il rapporto di mortalità tra quella verificata e quella attesa era di 0.82, che è significativo.
Noi abbiamo evitato in tutto 38 morti nel gruppo invitato a fare lo screening, pari al 18%.
Quindi abbiamo dimostrato che il trattamento è efficace anche in termine di prevenzione di mortalità, e
questo effetto si concentra soprattutto nei soggetti di età compresa tra i 50 e i 74 anni.
A questo punto possiamo dire che sono stati raggiunti sia gli endpoints primari che secondari.

51
Conclusione: lo screening con una RX torace all'anno può ridurre anche in Italia la mortalità specifica del
cancro del pomone del 18%, cioè può prevenire più di 6000 morti all'anno.
Quindi se voi in futuro avrete un vostro ambulatorio, ricordatevi di proporre sempre ai vostri pz fumatori
una RX di controllo all'anno! Perchè ogni 200-250 RX di soggetti fumatori si trova un cancro, in un soggetto
che dal punto di vista clinico non ha nulla.

Clinica chirurgica
Prof. Imperatori
16/10/2015 – Cecilia Novazzi

Metastasi polmonari di K colon-retto


Caso clinico
Donna, 70 anni, fumatrice da 50 anni di circa 10 sigarette/die. Ha un pack-year di 25.
La formula per il calcolo del pack-year è: numero di sigarette al giorno/20 per il numero di anni, e
la soglia di attenzione per il tumore del polmone è 20, dai 20 in su il rischio aumenta in modo
esponenziale.
Anamnesi familiare: madre deceduta per neoplasia ovarica.
APR: 2003 colelitiasi (colecistectomia videolaparoscopica) + 2009 adenoca retto stadiato come N2
alla TC, per cui ha eseguito CHT e RT neoadiuvanti più resezione anteriore di retto per via
laparoscopica e l’esame istologico finale dava un yT1 ypN1 M0. Se l’y è messo davanti al valore di
p e di N vuol dire che è il valore post chirurgico e post terapie neoadiuvanti, quindi la CHT e RT
avevano portato la malattia ad uno stadio chirurgico e la pz era stata poi operata radicalmente.
Aveva avuto poi un decorso postop complicato da uno shock settico per deiscenza parziale
dell’anastomosi, per cui ha avuto un ricovero di 3-4 giorni in terapia intensiva per lo shock settico
e poi ne è uscita.
Durante il follow up per il suo tumore fa una TC total body con MDC a circa un anno di distanza
dall’intervento (operata nel 2009, ora siamo a maggio 2011) ed emergono due micronoduli
polmonari (definizione di nodulo=addensamento fino a 3 cm e micronodulo=fino a 5 mm), uno di 3
e uno di 5 mm. La pz al momento è asintomatica, ricordiamoci che è una fumatrice e che in
anamnesi ha il tumore del retto. Ovviamente la TC preop era negativa, non mostrava i noduli,
quindi questo è qualcosa che è insorto tra il preoperatorio e questa TC (poco più di un anno e
mezzo).
Cosa facciamo?
52
Viene proposta agobiopsia o agoaspirato. In realtà prima:
1. Approfondiamo l’anamnesi: chiediamole se dopo l'episodio settico ha avuto sintomatologia
respiratoria o se 15 giorni prima di questa TC ha avuto un episodio respiratorio con febbre. I due
micronoduli che aspetto hanno? Quello di 5 mm è subpleurico e potrebbe essere un esito di una
pleurite o una pleurite in corso, perché ha un aspetto un po’ sfumato. Invece quello di 3 mm ha
contorni un po’ più definiti.
Ricordatevi che nell’ipotesi di voler pungere questi micronoduli, uno di dimensioni di 3 mm in un
polmone che respira non è per niente facile da pungere, quindi prima di tutto bisogna
approfondire l’anamnesi della pz. Sotto il cm i radiologi non riescono a pungere. Tecnicamente un
ago per via percutanea in un pz sveglio non è facile inserirlo, in più deve attraversare un pezzo di
parenchima, per cui al movimento della gabbia toracica si deve sommare quello del parenchima,
ed è molto piccolo, quindi si potrebbe pungere ma se viene negativo non c’è da farci troppo
affidamento e comunque anche se fosse positivo poi il frustolo è troppo piccolo.

2. Markers neoplastici. Li aveva fatti regolarmente ed erano negativi sia prima della neoadiuvante, sia
prima dell’intervento e anche nel postop a 6 mesi (per il tumore del retto sono il CEA e CA19.9).
Devono essere misurati, ma non sempre sono sensibili: se aumentano sono specifici, ma se non
aumentano non vuol dire che il processo non ci sia. Di regola i markers si fanno sempre, per due
motivi: avere un riferimento per il follow up postop e per fare diagnosi (ad es qui DD polipo vs
tumore del retto). Lo scopo diagnostico dei due è il meno importante perché sono poco sensibili,
ma sono molto affidabili per il follow up perché se si rialzano sono indice di ripresa della malattia da
qualche parte, starà poi a noi trovare dove. Se non aumentano non vuol dire che non ci sia ripresa
però comunque vanno fatti, a meno del caso estremo di un pz in condizioni talmente critiche da
non potersi avvalere di nessuna forma di terapia, quindi è soltanto palliazione pura e quindi non ha
senso investire in costi inutili, e allora lì si può evitare di fare il marcatore o ulteriori esami, ma se
anche sanguina per una neoplasia del tratto digestivo e deve essere operato per resecare il tratto
sanguinante o se la neoplasia causa una stenosi e il pz deve essere palliato con un’endoprotesi che
vinca la stenosi, allora sì bisogna comunque avere i marcatori.

3. PET. Bisogna valutare quale sia il limite di risoluzione della PET prima di spendere per questo esame
costosissimo e rischiare che sia inutile. In realtà anche noduli piccoli, di 3-5mm, possono captare
bene.
Il prof porta un esempio diverso da questo caso, di un suo pz che aveva una neoplasia
dell’orofaringe con un linfonodo sottocarenale di 5 mm che captava benissimo alla PET, per cui
prima di pungerlo con la tecnica EBUS (che è la tecnica con ecografia che guida l’ago per via
endobronchiale) si è visto che captava seppur piccolo. Quindi è vero che ci sono noduli o
neoformazioni che anche se di pochi mm captano alla PET, ma in questo caso (vi ricordo che
eravamo nel 2011 e la PET non era ancora utilizzata con altrettanta diffusione come oggi),
ragionando anche da un pdv biologico e non solo diagnostico: qualora fosse un processo
infiammatorio se facciamo la PET rischia di captare comunque, qualora fosse un tumore del
polmone con una metastasi alla PET potrebbe captare uno sì e uno no, paradossalmente
essere due primitivi o essere entrambe metastasi (ricordare sempre che la donna aveva 70
anni, quindi età di rischio, e un pack-year di 25, quindi ha sì un’anamnesi oncologica positiva,
ma anche un grosso fattore di rischio per un tumore del polmone). Sappiamo poi che il
trattamento del tumore del polmone differisce dal trattamento delle metastasi e differisce in
modo certo dal trattamento dei processi infiammatori del polmone. Qualora queste fossero
metastasi o un tumore polmonare, sono ancora così piccole che non possiamo definire se di
metastasi ce ne siano altre 100 e questa che vediamo è solo la punta dell’iceberg, o se è un
tumore polmonare plurimetastastico, un microcitoma. Perché ancora non abbiamo fatto una
broncoscopia, che in una patologia polmonare deve essere fatta per evidenziare eventuali
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lesioni endobronchiali che la TC non vede, perché se queste fossero metastasi di un
microcitoma o carcinoma neuroendocrino a piccole cellule (come dal 2015 devono essere
chiamati secondo la nuova classificazione WHO) allora fargli la PET potrebbe dirmi che
captano, ma asportarli chirurgicamente non avrebbe nessun senso.

4. Altra TC di follow-up a 6 mesi. La pz non è però stata gestita a Varese, per cui si è deciso altrove di
fare la TC non a 6 mesi ma a 15 mesi: il nodulo di 3 mm passa a 10 mm. Vuol dire che ha un VDT
(=volume doubling time) di 93 gg. Anche quello di 5 mm è aumentato fino a 16 mm (VDT di 96 gg).
Cosa è il VDT e quali sono i cut off di rischio per la patologia neoplastica e non? Ci sono dei cut
off che non sono perfetti, ma fino a 40-50 giorni il VDT è suggestivo per patologia
infettiva/infiammatoria, non neoplastica sicuramente perché se la replicazione è molto veloce
è difficile che sia un tumore. Tra 50 e 450 giorni è in un range tipico per la patologia tumorale.
Oltre i 450 giorni, con una zona di grigio, fino poi a 1000-1200 giorni è suggestivo di una
patologia benigna, o che ha un comportamento biologico benigno vd adenocarcinoma
bronchiolo-alveolare, che adesso si chiama adenocarcinoma a crescita lepidica, che ha un VDT
di 900 giorni, sono quindi tumori che si sviluppano molto lentamente ma che a un certo punto
partono per la tangente e diventano adenocarcinomi a crescita solida o addirittura
micropapillare e diventano molto più veloci e aggressivi, cioè danno metastasi. Un VDT di 93
giorni quindi ci fa pensare che questo nodulo sia neoplastico, ma non ci dice se è primitivo o
metastatico.
La TC total body era stata fatta col mezzo di contrasto, ma vale lo stesso discorso della PET,
perché in due micronoduli così piccoli aggiungere il MDC difficilmente aggiunge qualcosa. Fu
fatta col MDC perché la stadiazione era stata fatta con una total body. Ragionevole perché se
io voglio identificare una neoformazione che cresce uno dei criteri della radiologia standard è il
fatto che ci sia una neoangiogenesi che mi dà ipervascolarizzazione di quel nodulo che quindi
posso misurare indirettamente con la presa di contrasto. Quindi se il nodulo ha le
caratteristiche radiologiche di margini sfrangiati e irregolari, infiltranti, adeso magari alla
pleura parietale, densità solida e presa di contrasto, allora ho tanti criteri radiologici di
sospetto, però sono tutti criteri probabilistici.
Quindi i due noduli sono cresciuti, molto simili, sia per densità che per tempo di
raddoppiamento, sono molto simili dal pdv biologico e quindi potrebbero anche essere la
stessa cosa.

A questo punto riproponiamo un agoaspirato sotto guida TC (sotto guida ecografica si fa poco). In
realtà non ha ancora fatto la broncoscopia, che prima o poi andrà fatta.

5. Fa la PET, i due noduli ora sono idonei come dimensioni per essere valutati con la PET e captano.
PET è stata fatta probabilmente per avere un ulteriore dato metabolico e non solo i dati morfologici
di sospetto, ma soprattutto per escludere che ci fossero altre lesioni di tipo metastatico. La PET
captava unicamente a livello di questi due noduli.

6. A questo punto la pz arriva a Varese e fa degli accertamenti di valutazione generale: prima di tutto
una spirometria, importante nell’ottica di un eventuale intervento chirurgico, perché è una pz
fumatrice, potrebbe avere una bronchite cronica e dovendo ipoteticamente fare delle resezioni
polmonari devo sapere se ha una funzionalità respiratoria al di sotto del limite soglia (che è al di
sotto del 40% di FEV1 rispetto al predetto), perché in tal caso non posso operarla ma solo mandarla
a casa in ossigenotp.

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L’avete fatto il PPO, cioè il valore predetto postop? No, allora dopo apriamo una parentesi (che poi
non ha più aperto ndr).

La spirometria era nei limiti (FEV1 138% pari a 2,3L) e fa i markers (CEA, NSE, cyfra 21.1) che
risultano nei limiti.

7. Finalmente fa la fibrobroncoscopia, che risulta nei limiti. È importante farla perché le lesioni
endobronchiali non sempre sono visualizzabili alla TC. Certamente la PET è più sensibile perché se
hanno dimensioni tali (>8mm) e sono endobronchiali la PET le vede, mentre la TC, un po' per
l'attività respiratoria e un po' perché a volte viene scambiata per secrezioni all'interno dei bronchi,
può anche non riconoscerle.

8. Adesso sarebbe l’ora di agobiopsia sotto guida TC. Ma di fronte alle risposte della biopsia poi come
ci comporteremmo? Non si può fare direttamente l'intervento visto che ormai il sospetto di
neoplasia è forte? Di fronte ad un esame bioptico, l’iter diagnostico-terapeutico successivo come
cambierebbe? Supponendo di fare la biopsia, ne biopsiate uno o tutti e due? Teoricamente
bisognerebbe farla di entrambi, in pratica però fare due biopsie allo stesso polmone, dopo che dopo
la prima è venuto al pz un PNX, il secondo non lo pungi più. Se sei fortunato che il PNX non avviene
riesci a pungere anche il secondo, ma una volta che hai in mano le biopsie la risposta che hai è:
adeguato o inadeguato. Se è inadeguato non ci accontenteremmo e dobbiamo ripungerlo. Se è
adeguato hai un altro bivio: patologia neoplastica e se sì primitivo o metastatico, oppure patologia
benigna. Per ciascuna di queste diramazioni di questo iter dovreste avere già una risposta da dare al
malato, sapere già quali sono le ricadute sul pz. Se viene inadeguato (sono due noduli piccoli, di cui
quello vicino alla pleura è facile da pungere, l'altro molto meno) non ci crediamo perché ormai il
sospetto che siano di origine neoplastica è forte e quindi dovremmo ripungerlo o in qualche modo
arrivare ad un'altra forma bioptica. Se invece è adeguato cosa fai, procedi con l'intervento?
L'oncologo non sarebbe d'accordo perché se è una metastasi del tumore del retto va a CHT, non
all'intervento chirurgico. In realtà l'oncologo avrebbe torto, e poi vi mostro i dati per cui dico
questo. Vi aggiungo poi un ulteriore dubbio: l’agobiopsia o l’agoaspirato potrebbero addirittura non
dirimere il dubbio se sia un primitivo o una metastasi, quindi non ci fornisce una diagnosi tale da
sapere se è primitivo o metastatico e comunque è difficilissimo che su un frustolo con poche cellule
si possano fare le analisi molecolari e immunoistochimiche per identificare il riarrangiamento di
alcuni geni tipo EGFR, ALK e K-RAS, che sono quei geni che possono mirare le terapie quando quelle
mutazioni sono presenti e che poi hanno ottime risposte. Quindi io avrei del tessuto bioptico, ma
non potrei dare alla pz tutte le informazioni utili per il suo successivo trattamento.

Altro motivo per cui non mi sentii di proporre l’agobiopsia era che era passato un congruo
intervallo di tempo dall’insorgenza del tumore primitivo e poi dalla prima TC alla PET, in cui non
era comparso null’altro: la malattia era localizzata solo a questi due noduli, il DFI (intervallo libero
di malattia) era lungo, quasi di 3 anni, e a livello del retto non c'è nessun segno di ripresa della
malattia. Qualora ci fosse stato un non controllo locale della malattia, quindi una ripresa in sede
locale al retto, non avrebbe avuto senso perché sarebbe stata una malattia in ripresa.

9. Motivo per cui propone intervento chirurgico d’emblée, discutendo con la pz ovviamente, perché le
linee guida in questo caso non sono così chiare, era che qualora avessi fatto la biopsia avrei
mantenuto aperte delle ipotesi a cui non potevo dare delle risposte. Invece con l'intervento,
essendo lei in buone condizioni respiratorie (aveva un FEV1 del 38% superiore all'atteso per età,
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sesso e altezza) e in ottime condizioni generali, con i marcatori nei limiti, per cui non c'era segno di
ripresa di malattia nemmeno a livello bioumorale, le ho proposto l'intervento di resezione, con cui
potevo asportare entrambi i noduli e potevo avere la diagnosi di entrambi. Attenzione infatti
sempre ai doppi tumori, perché è vero che questi avevano caratteristiche biologiche molto simili ma
attenzione sempre ai doppi.

Mostra RX preop con i noduli segnati (non sono facilissimi da vedere, ma il prof sottolinea quanto
sia importante che tutti siano in grado di leggere una RX, a questo proposito propone di portare a
lezione una serie di RX da farci leggere).

Quali approcci di resezione di questi noduli si possono proporre? Termoablazione scartata perché
non hai poi niente per fare diagnosi bioptica. Toracotomia (incisione parete toracica in uno spazio
intercostale) o toracoscopia (inserendo un’ottica in uno spazio intercostale con un accesso di circa
un cm e altri due accessi per poter usare gli strumenti con la tecnica della triangolazione, con il
vantaggio di essere mininvasiva)?
 Si propone toracotomia perché i noduli sono due e non particolarmente vicini. Non è un problema
tecnico in realtà, perché il polmone viene escluso dalla ventilazione e inducendo PNX con gli accessi
il polmone collassa e quindi posso spostare il polmone e se metto i tre accessi cercando di
mantenere la triangolazione con l’ottica in basso, in posizione sottoscapolare, uno anteriore e il
terzo posteriore, riesco a spostare il parenchima e a resecarlo. Quindi il problema tecnico è
superato, a volte in videotoracoscopia il problema può essere che il polmone non collassi se ci sono
delle pregresse aderenze, tipo pregresse pleuriti.
 Si propone toracotomia perché in toracoscopia potrebbero essere resecati i noduli ma senza la
certezza di avere margini completamente puliti e di non riuscire a capire l’orientamento originale
del nodulo nel caso un margine risultasse non pulito. In realtà anche questo non è un problema,
perché seguendo le linee di sutura, che saranno quelle più lontane dal nodulo, perché il versante
pleurico della pleura viscerale rimarrà integro, farò una specie di V, un cuneo, e la punta della V sarà
la porzione più interna e poi per l’alto e il basso ricorderò se il nodulo aggettava ventralmente o
dorsalmente e quindi l’orientamento del pezzo asportato si può fare lo stesso.

In toracoscopia il problema grosso è che non posso palpare tutto il polmone, perché posso palpare
solo con un dito inserito in uno degli accessi solo la porzione più superficiale o prossima alle
scissure, sicuramente non l’ilo. Con il dito sento il nodulo, lo marco e lo estraggo. Il problema
sarebbe quindi che anche se la TC e la PET sono negative, potrei avere dei micronoduli metastatici
non evidenziati. Quindi i fautori dell’approccio toracotomico dicono che bisogna palpare tutti e
due i polmoni interi, tanto che fanno non solo la toracotomia ma addirittura una sternotomia e
palpano entrambi i polmoni e riportano un tasso di noduli misconosciuti del 30/40%, che non è
poco. Però poi nuovamente bisogna considerare quale sarà l’impatto biologico di questo
approccio molto invasivo. Se asporto 10 noduli metastatici invece che 2 (con poi CHT) cambia poi
la storia naturale della malattia?
Quindi o toracotomia se vuoi palpare tutto il polmone o toracoscopia mininvasiva che è
tecnicamente fattibile con resezione dei due noduli. La signora preferiva la toracoscopia, per
motivi estetici.

Sottoposta quindi a videotoracoscopia destra con duplice resezione polmonare comprendente i


noduli. Dei due noduli quello postero-basale che affiorava sulla pleura era facilmente palpabile e
resecabile, quello un po’ più centro-parenchimale si trovava a 1/1,5 cm dalla pleura viscerale, non
affiorava sulla pleura, ma quando il polmone era collassato era facilmente palpabile anche lui.
Considerate che a polmone collassato si riesce a palpare fino a 3-4 cm dal margine, i colleghi

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giapponesi sentono anche dei noduli più profondi e meno solidi, anche i GGO (ground glass
opacities) loro riescono a palparli anche se profondi. L’intervento non fu difficile, non c’erano
aderenze, durò meno di un’ora, la pz ebbe un postop con il drenaggio ma senza alcuna
complicanza e in terza giornata fu dimessa.

Istologico parla di localizzazione di adenoca mucinoso discretamente differenziato compatibile


con neoplasia metastatica a primitività colorettale, quindi erano entrambe metastasi e di
dimensioni più grandi di quello che diceva la TC, ma con componente mucinosa e non solo solida,
che probabilmente era in un alone periferico oltre a quello che noi vedevamo con la TC. I margini
di resezione erano liberi. Alla palpazione, seppur parziale e di uno solo dei due parenchimi
polmonari, non si erano avvertite altre nodulazioni.

Sono passati più di 3 anni, la pz è viva e sta bene, la TC di controllo è negativa e non sono emersi
altri noduli, quindi probabilmente anche se la avesse palpata in toracotomia non avrebbe
apprezzato altre nodularità, che se c’erano sarebbero state comunque troppo piccole per essere
palpabili. 93 VDT sono circa 100, vuol dire 3 doubling time all’anno, in 3 anni sarebbero 9 VDT, un
nodulo per diventare di 1 cm ci mette circa 30 doubling time e 10 DT prima vuol dire che era 0,1
mm e non lo avrei palpato comunque. Abbiamo fatto questo tipo di scelta anche se non eravamo
certi che quelli non fossero primitivi polmonari, in tal caso il trattamento sarebbe stato la
lobectomia polmonare, non due resezioni atipiche. Una volta asportato il nodulo comunque il
chirurgo già sul campo operatorio taglia il nodulo, lo apre e lo guarda e l’aspetto macroscopico si
distingue bene: il primitivo è tigrato in caso di adenoca polmonare, l’aspetto pseudo-capsulato o
con contenuto mucinoso come era in questo caso è invece tipico della metastasi.

Ci sarebbe un secondo caso, di cui fa breve accenno: pz operato a 40 anni nel 1991 all’Istituto dei
Tumori di Milano per una neoplasia del colon N2. Dopo un anno sviluppa una metastasi epatica e
fa epatectomia destra. Rimane sotto follow-up fino al 2005, momento in cui i medici lo dichiarano
guarito e sospendono il follow up. Nel 2007 il pz si presenta sintomatico per tosse e dispnea, il
medico di base lo interpreta come polmonite e gli dà antibiotico. La risoluzione della
sintomatologia è solo parziale, fa una RX che mostra atelettasia con una voluminosa
neoformazione al campo superiore di destra. Fa la TC e si vede che la neoformazione aggetta nel
bronco principale di destra. Broncoscopia: si vede all’interno del bronco la neoformazione
lardacea, in parte necrotica. Il pz ha dovuto fare una pneumonectomia perché l’arteria era
interessata e non si sarebbe potuta resecare e reimpiantare e in più aveva anche dei linfonodi
positivi. Inoltre a distanza di un ulteriore anno, sviluppa linfoadenopatia latero-cervicale sinistra.
Sia questa che quella polmonare erano metastasi del tumore del colon del 1991 (dopo 17 anni).
Oltre all’intervento fa anche CHT e ora è libero da malattia a distanza di oltre 20 anni. Quindi
nonostante l’estrema aggressività del tumore è vivo. Sono state fatte le analisi genetiche e
epigenetiche sia del tumore primitivo, che della metastasi epatica, polmonare e linfonodale e tutte
mostravano le stesse caratteristiche genetiche ed epigenetiche, cioè non era una variante cellulare
diversa, ma era lo stesso clone neoplastico, con delle cellule che probabilmente erano rimaste
dormienti e poi per stimoli ignoti si sono riattivate e hanno dato metastasi. A volte è la stessa
metastasi che può dare metastasi, quindi probabilmente la metastasi polmonare ha dato quella
linfonodale, visto che era veramente grossa e endobronchiale e quindi poteva diffondersi sia per
via aerogena che per via linfatica peribronchiale.

Quindi ci sono anche casi con ripresentazioni di metastasi del tumore del colon-retto a distanza di
molti anni. Dovete sempre rimanere attenti di fronte a un pz con storia oncologica, anche a
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distanza di diversi anni. Questo è noto da anni per il tumore della mammella, che dà metastasi
anche a distanza di 20-25 anni quando le cellule dormienti si riattivano. Nella mammella la
stimolazione ormonale pare essere molto importante per questa riattivazione.

Domanda: ma con follow up si intende TC?


Risposta: sul follow up del colon-retto si dice tutto e il contrario di tutto. Comunque il concetto di
follow up è fare diagnosi precoce di un’eventuale ripresa di malattie quando questa è passibile,
tramite terapia, di un cambiamento della storia naturale. Quindi non serve solo per fare diagnosi
di ripresa, ma per cambiarne la storia naturale: quindi se trovo una metastasi a distanza di 6 mesi
o a distanza di un anno cambia la prognosi? Quando sapremo darci la risposta sapremo dire
quando e quali esami fare, mescolando specificità e sensibilità degli esami che abbiamo a
disposizione. Perché se io faccio una TC o addirittura una PET una volta all’anno è molto sensibile
ma poco specifica, perché mi solleva un sacco di dubbi su un sacco di noduli che il pz può avere,
ma che non sono tutti metastatici. Se faccio una RX del torace è molto specifica perché se c’è un
nodulo quello è un nodulo, ma è poco sensibile perché perde tutti i noduli inferiori al cm.
Bisognerà quindi intersecare i vari aspetti, compreso purtroppo quello economico, che non è da
trascurare, sapendo quanto impatta un follow up stretto rispetto ad uno un po’ più largo sulla
prognosi.
Per il tumore del polmone c’è una grossa discussione sul fatto se continuare con follow up stretto
con una TC ogni 6 mesi per i primi 3 anni, perché non è stato dimostrato che un follow up così
stretto migliori la prognosi. Da chirurgo si preferisce trovare così un nodulo piccolo che è più
facilmente resecabile anche con eventuale lobectomia, e per il pz è anche meno rischioso. Però
cambia qualcosa nella prognosi se trovo il nodulo quando è 1 cm o quando è 3 cm? Cambia se in
questo periodo di tempo il nodulo ha dato metastasi, quindi sul follow up si gioca su questo:
conoscere la storia naturale di quella malattia e di quel pz, perché poi le linee guida vanno
applicate al singolo pz.

Le linee guida sui noduli polmonari danno come follow up la TC a 6 mesi, perché se il nodulo è
lento (con VDT oltre i 450 giorni) rimane invariato e ho fatto la TC per niente, se il nodulo è
infiammatorio dopo 6 mesi sarà sparito, se il nodulo cresce tra i 50 e i 450 giorni posso
apprezzarne l’aumento del volume. Quindi la TC a 6 mesi è diagnostica in quei noduli che partono
da 5-8 mm (range in cui noi prestiamo attenzione per la moda degli adenoca).

Se la prima signora avesse avuto recidiva locale oltre che alle metastasi sarebbe stata da CHT e
non da intervento chirurgico.

Di questo argomento si occupano dal 2007, quando si era iniziato con una casistica di circa 20 pz.
La Kaplan-Meier survival curve mostra la sopravvivenza a 74 mesi. A 5 anni la sopravvivenza di pz
con metastasi singole polmonari da K colon-retto era del 56%. La scala della sopravvivenza arriva
fino a 120 mesi, cioè 10 anni, anche se stiamo parlando di una neoplasia metastatica. La
sopravvivenza media del 56% non è affatto male, soprattutto se confrontata con le metastasi
trattate con la sola CHT, che hanno una sopravvivenza a 5 anni di meno del 10 %. Bisognerebbe
però confrontare popolazioni simili, perché una singola metastasi trattata con intervento
chirurgico non è come 10 metastasi con recidiva locale trattate solo con CHT, comunque possiamo
dire che la sopravvivenza anche di singole metastasi trattate con CHT non arriva al 20%.
Quindi l’intervento chirurgico in un 30-35% di pz cambia la storia naturale della malattia.

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La conclusione del loro primo studio fu che c’è una correlazione diretta tra l’intervento che ha una
bassa morbilità e mortalità (soprattutto se fatto con tecnica mininvasiva) e una prolungata
sopravvivenza postop.
Attenzione perché comunque c’è un alto rischio nelle continue resezioni, perché il polmone può
diventare insufficiente dal pdv funzionale, ma ci sono dati in letteratura che mostrano che anche la
ri-resezione può avere un impatto positivo sulla prognosi.
Sullo stimolo del primo piccolo studio varesino si è messo in piedi uno studio italiano multicentrico
(1997-2012, dal 1997 al 2007 retrospettivo e dal 2007 al 2012 prospettico) che raccoglie i casi di
resezione di metastasi polmonari di cancro del colon-retto. Punti comuni erano: resezione
curativa, valutazione collegiale del pz, metastasi solo polmonare (esclusi i casi con metastasi in
altri distretti). I centri che hanno aderito sono 5: Roma Cattolica, Chieti, Palermo; cremona e
Varese. Lo studio comprendeva 207 pz consecutivi, più maschi, età media 65 anni, esclusi i 21 casi
di ri-resezioni, per avere un campione più pulito sulle prime resezioni. Sede tumore primitivo: più
colon che retto. Ma voi avete studiato che i tumori del colon danno metastasi preferenzialmente
al fegato per il drenaggio portale, e non al polmone. I nostri dati testimoniano invece che anche il
colon può dare metastasi singole al polmone saltando il circolo portale. Quindi mai dimenticare il
polmone durante il follow up del colon.
Diametro medio di 2,2 cm e il mediano di 2 cm, quindi non piccoli.
DFI (intervallo libero da malattia), il cui cut off in letteratura è stabilito in 3 anni come fattore
prognostico favorevole (cioè inferiore ai 3 anni va peggio), era nel 60% dei casi inferiore a 3 anni,
quindi erano prevalenti quelli ad alto rischio.
Approccio chirurgico è maggiore in toracotomia. Prevalentemente sono stati interventi poco
invasivi, ovvero al risparmio polmonare: resezione atipica, perché la metastasi ha tendenzialmente
una crescita espansiva e non infiltrativa e non ha la tendenza a recidiva locale dopo resezione
atipica se il margine di resezione è libero. 24 casi hanno fatto una segmentectomia, quindi al
risparmio ma anatomica, nel 20% lobectomia polmonare e nell’1% pneumonectomia (solo 2 casi,
perché è molto invasivo).
La cosa importante è fare attenzione al fatto che le casistiche sono tutte molto simili, c’è
sbilanciamento solo nell’approccio: a Varese c’era un atteggiamento diverso, la maggior parte
(41%) è stata operata in videotoracoscopia, ma sono anche gli unici che hanno fatto le due
pneumonectomie, di cui uno è vivo e libero da malattia e uno è morto.
L’approccio toracoscopico, pochissimo usato negli altri centri, a Varese ha comunque dato buoni
risultati.
In termini di sopravvivenza guardiamo ora il diametro: medie di 2 cm a Roma, 2,3 a Chieti, 2,6 a
Varese, 2 a Palermo. Il 2,6 di Varese è legato al fatto che le due pneumonectomie avevano tumori
di diametro molto grande.

Attenzione, quando confrontiamo i dati per la tesi, a confrontare i dati in modo corretto, cioè non
le medie con le mediane, e considerate la mediana che è più significativa se la distribuzione del
campione non è una gaussiana.

Operare le singole metastasi rispetto alle multiple cambia: le singole vanno meglio rispetto alle
multiple. A Varese si operavano solo le singole, quasi mai le multiple, perché si è visto che le
multiple vanno meno bene.
La sopravvivenza complessiva, al di là delle differenze di approccio, singole vs multiple, metacrone
vs sincrone, era molto simile nei vari centri, non c’erano differenze statisticamente significative,
quindi i 5 centri hanno ottenuto risultati assimilabili, a fronte di un rischio perioperatorio dell’1%

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(sono morti in 2), che si attesta intorno alle media della letteratura (che dà un intervallo di
mortalità periop del 0,1-2,5%).
La mediana della sopravvivenza era 61 mesi, 53% vivo a 5 anni. Il 31% è vivo a 10 anni. I pz
avevano un’età media di 65 anni, quindi tenere conto che le sopravvivenze ad un certo sono
impattate anche da altre condizioni e altre patologie.
Le sopravvivenze sono sovrapponibili anche ai dati della letteratura: studi giapponesi e quello di
Mc-Cormack, il più importante americano, danno una mediana intorno ai 4-5 anni, contro una
mediana di 12 mesi di pz con metastasi trattate solo con CHT. Quindi l’intervento quadruplica o
quintuplica l’aspettativa di vita.
Si è valutato se nel pool ci fossero differenze tra i centri: stessi risultati in termini di sopravvivenza
anche in città diverse, le più lontane erano Chieti (46%) e Roma (56%), ma le differenze erano
legate al diametro, che a Chieti aveva una media maggiore, e legato al fatto che a Chieti
operavano più multiple.
La differenza è quasi significativa laddove si operano le singole rispetto a dove si operano le
multiple (significativo se p<0.05, cioè se la probabilità che sia veramente diverso è più del 95%).
Qui la differenza tra le curve è del 90%: possiamo dire dal pdv biologico che è diverso al 95% e non
è diverso al 90%? A voi la risposta. Comunque le singole vanno meglio.
Abbiamo analizzato solo le singole: approccio toracoscopico o toracotomico danno le stesse
sopravvivenze, la resezione atipica o la lobectomia idem, il diametro della metastasi è borderline,
perché quelli >2 cm andavano peggio rispetto a quelli più piccoli. Questo perché il tumore più
grande ha più probabilità di aver dato metastasi o di essere la punta dell’iceberg di altre metastasi.
Quindi in realtà il diametro è un fattore condizionante.
DFI non dava differenze statisticamente significative nella casistica.
Sede del ca primitivo: colon o retto non fa differenza. In teoria si dice che il colon vada meglio del
retto ma nella nostra esperienza così non è.
Analisi multivariata per vedere quali fossero le caratteristiche che correlavano con la prognosi:
l’unica significativa era l'età. Tanto più un pz è giovane tanto più ha probabilità di sopravvivere, ma
questo perché sono sopravvivenze legate anche ad altri aspetti e non solo al tumore.
Quindi nella nostra esperienza:
 L’intervento chirurgico è servito
 Ha impattato in modo significativo sulla sopravvivenza
 Gli altri fattori prognostici non si sono rilevati importanti, se non quello del diametro, o perchè la
casistica è piccola o perché davvero non sono rilevanti.

Domanda: si potrebbe fare uno studio analogo su altri tumori?


Risposta: Sì, le metastasi polmonari del colon-retto sono quelle col maggior background in
letteratura. Si ha una casistica molto più limitata in termini di numeri anche per i tumori uro-
genitali (soprattutto vescica e rene), che però quando danno metastasi raramente sono singole e
hanno atteggiamento più aggressivo. Però se sono singole e non ci sono altre sedi di malattia ha
senso fare uno studio analogo (si parla di 20 casi circa per ora, comunque pochi per trarre
conclusioni significative).
Eccezione al concetto di metastasi singola si ha ad esempio nei sarcomi, dove l’asportazione
chirurgica ha senso anche se le metastasi sono multiple, migliora la sopravvivenza dei malati in
termini medici, ma non di anni di sopravvivenza e non di guarigione finale. Il prof ha visto in
Giappone resecare 67 metastasi bilaterali a un ragazzo di 25 anni, che è poi sopravvissuto 18 mesi.
Senza intervento sarebbe morto inevitabilmente per insufficienza respiratoria. È poi andato
incontro a danno termico perché lì si asportano con il laser, se no con 67 punti di stapler il

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polmone diventa “catafratto”. Il danno termico gli ha comunque causato insufficienza respiratoria
acuta, per cui post intervento è stato intubato e in terapia intensiva per circa una settimana.
Qualcuno ha provato con le singole da K mammella, tumori ossei no, polmone no.

Mostra un video di resezione chirurgica in un uomo di 64 anni con K vescica e metastasi


polmonare unica.

Clinica chirurgica_ Lezione 21/10/2015

Mesotelioma
CASO CLINICO.
Pz 58 aa ex operaio di stamperia, esposto a sostanze pericolose (solventi, acido, asbesto). Forte
fumatore (40 pack year).
APR: ipertensione arteriosa in terapia con ACE Inibitore.
APP: Si recava dal MMG per tosse stizzosa da 2 mesi. Nell'ultimo periodo da stizzosa a produttiva.
Calo ponderale 3 kg, astenia.
Cosa fare?
E.O. Buone condizioni generali. Non cachettico, non colorito anomalo. Mucose idratate. Dal p.d.v.
respiratorio: Emitorace ds poco mobile, assenza FVT, riduzione molto marcata MV a ds. Non
tachicardico. PA controllata, Apiretico.
Esami strumentali: Rx Torace: Versamento emitorace a ds.
Quali ipotesi fare: Il Versamento è un trasudato o essudato? Se fosse trasudato potrebbe avere
genesi cardiaca, o pz epatopatico, o sofferenza renale. Tra gli essudati: categoria dei neoplastici,
degli infiammatori o autoimmuni. La Clinica e l'anamnesi sembrano orientare verso una patologia
neoplastica, perche se si ipotizzasse un'infiammazione in due mesi si sarebbe risolta o avrebbe
avuto un'evoluzione negativa con altri sintomi come febbre. CHIEDERE SEMPRE SE C'è STATA
FEBBRE O FEBBRICOLA! Alcune forme di empiema pleurico si presentano con febbricola, anoressia,
calo ponderale. Altra domanda importante è chiedere il peso corporeo attuale e quello
precedente al dimagrimento per valutare se c'è stato calo ponderale (10%del peso corporeo).
Passo successivo: il MMG decide di eseguire una Broncoscopia: Allargamento degli speroni a livello
del bronco lobare inferiore di ds. Non secrezioni, non mucosa alterata. Esame citologico e
colturali: NEGATIVI
Cosa fare a questo punto? Domanda: prima di fare la TC non sarebbe meglio drenarlo? Con un
versamento di questo genere la TC evidenzierebbe il versamento. Il MMG però decide di eseguire
TC, Forse prima era meglio drenarlo. TC: una delle ipotesi potrebbe essere versamento ematico.
Per dire se è ematico o meno bisognerebbe avere la densità. Non ci sogno segni di spandimento di
mdc. Il parenchima polmonare è completamente atelettasico e ventila poco solo il lobo superiore.
Il mediastino è in asse, quindi il versamento non ha ancora spostato il mediastino, che è un fattore
che deve essere tenuto in considerazione, perchè l'urgenza di posizionare un drenaggio pleurico
dipende anche dallo sbandieramento del mediastino. Non ci sono segni TC dell'empiema pleurico
(livelli idroaerei, bolle di gas). Ci sono dei fini ispessimenti pleurici in cui la pleura prende il

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contrasto. E' un ispessimento molto modesto in quanto non ci sono noduli pleurici,
mammellonature. Attenzione che un versamento trasudatizio può trasformarsi in un versamento
essudatizio. Questa TC però non è dirimente anche perchè è stata fatta con versamento ancora in
sede e questo rende quindi difficile studiare sia la pleura che il parenchima polmonare. Non ci
sono nemmeno linfoadenopatie mediastiniche.
Alla luce del quadro clinico radiologico si richiede consulto con lo specialista chirurgo toracico. C'è
un progressivo peggioramento della sintomatologia. Viene posizionato Drenaggio pleurico. Si
potrebbe fare anche una toracentesi, ma in questo caso la quantità di liquido era abbondante. Rx
post drenaggio: drenaggio alla base, lobo superiore espanso, lobi medio e inferiore non
completamente espansi. Con il drenaggio posizionato cosa si chiede? Esame colturale e citologico
del liquido pleurico: compatibile con cellule neoplastiche. Rimane aperta quindi in questo caso la
grande famiglia delle patologie tumorali pleuriche, escludendo le cause infiammatorie. A livello
pleurico son più presenti i tumori metastatici rispetto ai primitivi. Il passo successivo è la VTS. Fare
un TC Total body non è sbagliato sia perche posso stadiare il pz nel caso fosse un tumore primitivo,
sia per cercare il tumore primitivo, qualora fosse un secondarismo (anche se in questo caso in
termini di stadiazione non mi aggiungerebbe nulla in quanto il pz è già metastatico). Con la VTS si
può avere una diagnosi di certezza. Plurime biopsie pleuriche secondo la regola del 9: tre biopsie
in tre punti diversi, sia dove la pleura è ispettivamente patologica, sia dove la pleura è meno
ispettivamente patologica. In considerazione della diagnosi citologica di cellule tumorali maligne e
che in considerazione delle buone condizioni generali del pz si è deciso di talcare il cavo pleurico.
Risposta definitiva biopsie: Mesotelioma Pleurico Epitelioide. Quali prospettive si aprono per
questo paziente? E' un soggetto in buone condizioni generali, la PET aveva dato captazione solo a
livello pleurico senza segni di captazione controlaterale, i linfonodi non captavano. Il trattamento
del mesotelioma è molto discusso, tuttavia in letteratura ci sono almeno 3 atteggiamenti: CHT di
induzione seguito dalla pleuropneumectomia (asportare il polmone e tutto il sacco pleurico
compreso pericardio e diaframma) che è l'intervento che dà i migliori risultati in termini di
sopravvivenza; CHT di induzione e decorticazione pleurica (si lascia quindi il polmone in sede); CHT
e RT.

MESOTELIOMA
Esistono due forme di Mesotelioma: quello localizzato e quello diffuso. Quello localizzato è più
raro e ha due aspetti biologicamente distinti: una forma benigna e una forma maligna, anche se
questa linea di separazione non è mai cosi chiara. La forma benigna è prevalentemente
peduncolata, ha poche mitosi, origina dalla pleura viscerale e ha un diametro generalmente più
piccolo. il Maligno ha alta cellularità, origina dalla pleura parietale, non peduncolato,
pleiomorfismo cellulare, molte mitosi.
Una forma di tumore all'interno del cavo pleurico, pur non essendo un mesotelioma è il tumore
fibroso solitario della pleura che origina dal tessuto connettivo subpleurico (dalla sottosierosa).
Può originare sia dalla pleura viscerale che dalla parietale, con caratteristiche che possono essere
anche molto diverse per forma, dimensioni e aspetto. Nella maggior parte dei casi hanno un
comportamento benigno. Quando però sono di notevoli dimensioni possono avere al loro interno
una degenerazione di tipo sarcomatosa, quindi maligna. Non c'è predilezione per sesso e son
tipiche della sesta settima decade. La maggior parte dei casi son asintomatici e son dei reperti
incidentali. Sintomi per quelli di grossi dimensioni: tosse, dispnea, dolore toracico, sanguinamento
delle vie aeree se c'è necrosi del parenchima polmonare. RX Torace dimostra opacità
rotondeggianti a margini ben definiti e la TC è il Gold Standard diagnostico. Il trattamento di questi
tumori è certamente chirurgico, perché crescendo spostano il mediastino e causano atelettasia del

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parenchima polmonare, che potrebbe comportare una lobectomia per una mancata riespansione
del polmone. Sono tumori che tendono a crescere.
IL Mesotelioma Pleurico Maligno Diffuso è un tumore con prevalenza nel sesso maschile,
prevalentemente insorge nella sesta-settima-ottava decade ed è un tumore correlato
all'esposizione all'amianto. E' un tumore professionale. La sopravviveza attesa è tra i 4 e i 12 mesi.
Si concentra laddove ci sono i fattori di rischio professionale. Ha un periodo di latenza di circa 20-
30 aa e il picco di mortalità sarà intorno al 2020/30.
Il Mesotelioma è classificabile sotto 3 istotipi: Epitelioide (il più frequente), Sarcomatoide, Misto.
L'epitelioide, come dice il nome ha un aspetto simil epiteliale nonostante derivi dal mesotelio; la
forma sarcomatoide con le cellule fusate simula un sarcoma; la forma mista presenta entrambi le
componenti. La forma epitelioide ha una prognosi migliore (meno peggio) rispetto alla
sarcomatoide (secondo studi americani sopravvivenza del 10% a 5aa). La forma non epiteliode non
riesce a sopravvivere mai a 5 aa. E' importantissimo arrivare a una diagnosi di certezza per
escudere e quindi fare DD cpn: l'iperplasia reattiva, pachipleurire e forme di adenocarcinoma. Fino
a 7-8 aa fa la sensibilità citologica era piuttosto bassa. Grazie all'avvento della immunoistochimica
si può fare diagnosi di certezza. i marcatori tipici del mesotelioma sono la CALRETININA e le CK5/6.
Per l'adenocarcinoma il CEA, TTF1. Fatta diagnosi di mesotelioma è importante stadiare il malato,
per impostare la tp corretta per il pz. Per il mesotelioma la stadiazione distingue si 4 stadi ma il cut
off importante è che non ci sia invasione del parenchima o del diaframma o se non ci siano
linfonodi o metastasi a distanza. Per lo stadio 1 e 2 c'è uno spazio terapeutico, negli altri stadi la
prognosi è infausta. lo Stadio 2 almeno in una fase iniziale (fino ai 3 aa) va meglio rispetto agli altri.
Lo stadio 3 e 4 vanno male.

T1a Tumore confinato alla pleura parietale, inclusa la pleura mediastinica e diaframmatici,
senza coinvolgimento della pleura viscerale

T1b Come il T1a ma con minima diffusione anche alla pleura viscerale

T2 Tumore che coinvolge la pleura (parietale o viscerale o diaframmatici o mediastinica) ed


almeno uno dei seguenti punti:
 coinvolgimento della componente muscolare del diaframma
 coinvolgimento della pleura a carico delle scissure o estensione del tumore al
parenchima polmonare sottostante

T3 Tumore localmente avanzato ma potenzialmente resecabile. Il tumore coinvolge le


superfici pleuriche con almeno uno dei seguenti punti:
 coinvolgimento della fascia endotoracica
 estensione al grasso mediastinico
 infiltrazione locale dei tessuti lassi della parete toracica resecabile chirurgicamente
 coinvolgimento del pericardio (non a tutto spessore)

T4 Tumore localmente avanzato e non resecabile chirurgicamente. Il tumore interessa le


pleure con almeno uno dei seguenti punti:
 infiltrazione o metastatizzazione alla parete toracica con o senza lisi costale

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 diffusione al peritoneo attraverso il diaframma
 interessamento diretto della pleura controlaterale
 infiltrazione di una qualsiasi delle strutture endotoraciche
 infiltrazione del rachide vertebrale

Il mesotelioma ha una progressione locale più che a distanza. Tende quindi a crescere a livello
della pleura, si diffonde su tutta la pleura parietale e solo tardivamente da metastasi a distanza. Il
pz va incontro a morte per un congelamento dell'emitorace e quindi il polmone non ventila più.
Oltre il 90% delle diagnosi son in stadio 2 o maggiore. La sopravvivenza mediana è intorno agli 8
mesi. La TC PET è utile per stadiare il malato, non per fare diagnosi di certezza. La Biopsia è
indispensabile per una diagnosi di certezza. L'esame citologico è utile ma non dirimente.
L'agobiopsia trans guidata è utile perchè ci dà un frustolo di tessuto, però ha una sensibilità del
60% al primo tentativo. Se sotto guida eco la sensibilità è ancora più bassa. La VTS nella fase
diagnostica è dirimente perche permette di fare biopsie e di talcare nel sospetto di mesotelioma
(intervento palliativo ma migliorano i sintomi). Quando c'è un mesotelioma il diaframma può
essere infiltrato per gravità. Se la TC sospetta il superamento del diaframma è necessaria una
laparoscopia diagnostica. VTS: intervento in anestesia generale. Si può fare anche con pz sedato
ma è tecnicamente difficile perche il polmone non è collassato. Si aspira il liquido, si eseguono
campionamenti bioptici (sensibilità molto alta quasi 100%) e poi talcaggio pleurico se c'è un forte
sospetto o se c'è citologia positiva. Limiti: intervento in anestesia generale, rischio di impianto
sugli accessi, mortalità (bassissima ma è sempre un intervento chirurgico)
Terapia
Ci sono diverse strategie. La prima che fu adottata era unimodale (o solo chirurgia, o solo CHT o
solo RT). I trattamenti multimodali hanno modificato in modo significativo la sopravvivenza di
questi malati. Ci sono poi altre terapie che stanno emergendo come la chemioipertermia, la
terapia genica, l'immunoterapia, o in una quota molto alta di casi (80-90%) solo terapia palliativa.
Nella maggior parte dei casi quindi si curano i sintomi. Per migliorare la dispnea si eseguono delle
toracentesi ripetute, o si lascia in sede il drenaggio o se il polmone si riespande si può fare la
pleurodesi. Il Concetto della pleurodesi è che il polmone, la pleura viscerale, si attacchi con delle
aderenze alla pleura parietale. Affinché questo avvenga però il polmone deve essere riespansibile.
La CHT ha dato sempre scarsi risultati. La grossa novità è stata l'introduzione del PEMETREXED in
associazione con il CISPLATINO. La prognosi è migliorata da 9 a 12 mesi.
La RT ha molti limiti perche non può essere irradiato tutto il cavo pleurico. Oggi ci possono essere
delle macchine cosiddette conformazionali che consentono di fare dei trattamenti mirati solo sulla
parete risparmiando il polmone. A livello mediastinico gli effetti collaterali sull'esofago sono molto
importanti con lo sviluppo di una esofagite post attinica che impedisce al paziente di alimentarsi
regolarmente.
L'opzione migliore è il trattamento multimodale. La chirurgia ha un ruolo oltreché diagnostico
anche terapeutico con la pleurectomia e decorticazione. Vuol dire asportare tutta la pleura visibile
in toracotomia sia quella parietale che quella viscerale. Asportare la pleura viscerale è
praticamente impossibile però. Si effettua un grossolano debulking asportando più massa
tumorale possibile, si lascia una condizione tale per cui le aderenze che si verranno a sviluppare
impediranno la formazione di nuovo versamento, però non sarà un trattamento radicale dal pdv
oncologico. L'altro intervento che si può proporre è la pleuropneumectomia extrapleurica
allargata che consiste nell'asportazione di tutto il sacco pleurico asportando in blocco anche il
polmone, asportando anche pericardio e diaframma che devono essere ricostruiti. E' un intervento
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radicale ma non totalmente radicale perche in alcuni punti non si riesce ad esserlo ( come negli
sfondati costofrenici) e in più è un intervento gravato da un alta mortalità (3-30%). Quali sono le
complicanze? ci sono complicanze sicuramente cardiache come la FA (90% dei pz ) perche si va ad
asportare polmone, diaframma e pericardio e il mediastino non rimane più in sede. Lo
spostamento del mediastino ad ogni atto respiratorio determina una irritazione a livello cardiaco
che comporta poi l'FA.
Il Trattamento multimodale è stato introdotto con l'introduzione del PEMETREXED. CHT più
Chirurgia più RT ha comportato delle risposte accettabili. Sono ovviamente trattamenti molto
pesanti per il malato. I candidati a questo trattamento devono essere ben selezionati: buona
funzionalità respiratoria, cardiaca, renale, non avere copatologie.
Il trattamento multimodale era stato proposto nel 1999 quando ancora si usava il CISPLATINO dal
gruppo di Sugarbaker, chirurghi americani, con sopravvivenza che incominciava a vedersi nei 5 aa.
Se veniva fatta una pluropeumectomia e i linfonodi eran negativi la sopravvivenza a 6 aa era quasi
del 20 %. E' vero anche che facevano una super selezione dei malati.
Cause di inoperabilità: Malattia in stadio avanzato, istologia sfavorevole, età avanzata,
comorbidità, rifiuto del malato.
La sopravvivenza mediana. Nella casistica di Varese: solo palliazione 6-12; pleuropneumectomia 15
mesi; CHT di induzione + pleuropneumectomia + RT 36 mesi.
Altri trattamenti possono essere la chemioipertermia perché è stato dimostrato che le cellule del
mesotelioma sono sensibili al calore e quindi se si associa intracavitariamente la chemio e
ipertermia si riesce ad essere più radicali. Soprattutto alcune scuole fanno la pleurectomia
decorticazione, che è meno radicale della pleuropneumectomia, ma poi sul residuo fanno circa
mezz'ora di chemioipertermia (41-42 gradi). Bisogna fare attenzione se il polmone è in sede
perche può assorbire il chemioterapico e determinare tossicità sistemica.

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DRENAGGIO PLEURICO
Di drenaggio pleurico credo che nessuno vi abbia mai parlato, a meno di alcuni accenni durante le
lezioni di patologia relative a pneumotorace e versamento pleurico. Cosa è un drenaggio pleurico?
A cosa serve? Come deve essere posizionato? Sono degli interventi chirurgici veri e propri? Come
vanno gestiti? Cerchiamo di dare delle risposte che un medico, qualsiasi specialità faccia, deve
sapere.
Il cavo pleurico come sapete è uno spazio caratterizzato da una pressione negativa (-6, -8 cmH2O)
e al suo interno non deve teoricamente accumularsi nulla che alteri questa fisiologica pressione
negativa. Quando questa evenienza invece si verifica, allora è necessario posizionare una valvola di
sfogo che consenta al cavo pleurico di tornare sostanzialmente vuoto, cioè di liberarsi dall’aria
piuttosto che dal cavo liquido che si siano accumulati in eccesso. Nel momento in cui entra
aria/liquido nel cavo pleurico succede che la P da negativa diventa pari a zero o addirittura positiva
allora il polmone collassa. Questo perché la funzione negativa del cavo pleurico è quella di tenere
ben espanso il parenchima polmonare, ma se il parenchima collassa allora si forma ulteriore spazio
nel cavo pleurico. E questo spazio ulteriore viene ad essere ulteriormente occupato dall’aria se si
tratta di pneumotorace o dal liquido se si tratta di versamento pleurico: è un circolo vizioso. Tutto
questo può comportare per il pz una più o meno grave compromissione della funzionalità
respiratoria: quando il polmone collassa (e badate che è sufficiente che il polmone sia staccato a
tutti i livelli cioè a livello apicale, margino-costale e basale di circa 1 cm) perché il polmone abbia
perso circa il 50 % della sua funzione respiratoria. Quindi anche quello che potrebbe sembrare un
versamento/pnx modesto in realtà compromette in maniera sensibile la funzione respiratoria del
malato. Allora quali sono gli obbiettivi? Ristabilire la funzione quo ante cioè una P negativa nel cavo
pleurico rimuovendo quella che è la causa sia che sia aria sia che sia un versamento patologico.
Questo si ottiene appunto con il posizionamento di un drenaggio, che sia unidirezionale, cioè
sostanzialmente non deve consentire l’ingresso nel cavo pleurico di quello che stiamo drenando aria
o liquido che sia. Inoltre il drenaggio non deve essere in grado di evacuare solo quello che è presente
nel momento in cui io lo posiziono, ma deve continuare a funzionare per ore, per giorni. È
importante mantenere la funzionalità del drenaggio anche dopo che il polmone si è riespanso,
altrimenti il riaccumulo del materiale lo farebbe nuovamente collassare. Una volta che si è riespanso
il polmone è più facile che le perdite aeree o il versamento si riducano: questo perché il polmone
espanso ha una maggior capacità elastica e quindi una miglior capacità di chiusura di eventuali
brecce rispetto a quando il polmone è collassato. Quindi quando ho un pnx ma con polmone a
parete è più facile che questo, anche schiacciando il polmone stesso contro la parete, crei una
reazione fibrotica-cicatriziale molto più rapida che non un polmone collassato. Dunque mantenere
il polmone espanso ha anche questa funzione: favorire la cicatrizzazione e la guarigione della lesione
che ha causato il pnx. Questo vale sia che si tratti di una lesione primitiva (abbiamo visto il pnx
spontaneo la scorsa volta), sia che sia iatrogena.

Quali sono le indicazioni al posizionamento di un drenaggio toracico?


1. PNEUMOTORACE in tutte le sue possibili forme (aperto, chiuso, iperteso, traumatico, iatrogeno).
Mettiamo un drenaggio quando: sempre se è sintomatico, quando è post-traumatico sempre anche
quando non è sintomatico.
Si discute, anche attualmente alla commissione europea di chirurgica toracica se ne è discusso, sull’utilità di
posizione drenaggio toracico nel pnx spontaneo d’emblè: ci sono alcuni centri che invece di posizionare un
drenaggio fanno una semplice toracentesi o aspirazione cioè introducono un ago, aspirano l’aria e mandano
a casa il pz. Questo funziona se il pnx non è rifornito, ma se è rifornito e gli fate la semplice aspirazione dopo
due ore si ripresenta e siamo punto e a capo.

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2. VERSAMENTO PLEURICO in tutte le forme.
Una condizione un po particolare è il drenaggio post chirurgico perché mentre le forme precedenti possono
essere posizionate con il pz sveglio in blanda sedazione ed anestesia locale (anche su pz ambulatoriale
volendo), invece il drenaggio post-chirurgico viene posizionato al termine dell’intervento in anestesia
generale, quindi tecnicamente puo’ cambiare un po la procedura. Quale può essere il senso di posizionare un
drenaggio dopo un intervento cardiaco o polmonare o esofageo? 1. Sicuramente quello di ripristinare la
normale pressione del cavo pleurico perchè quando faccio una sternotomia o una toracotomia la P pleurica
si altera; 2. prevenire la formazione di liquido che a causa della manipolazione della pleura viscerale e
parietale sicuramente si formerà, quindi prevengo la formazione di un versamento pleurico; 3. posso anche
monitorare le perdite in questo modo: le perdite ematiche nelle giornate post-operatorie, le perdite idriche
(utili per valutare il bilancio idro-elettrolitico del nostro pz) e le perdite aeree che spesso sono il punto chiave
per la scelta di lasciare il drenaggio in sede a lungo. Questo perché in 3-4 giornata l’infiammazione a livello
pleurico livello si riduce tanto che il drenaggio ci da 250-150 mL/die cioè una quantità che la nostra pleura è
perfettamente in grado di riassorbire da sola e quindi potrei rimuovere il drenaggio, ma se ci sono perdite
aeree devo lasciarlo. Questo perché le perdite aeree non si riassorbono da sole (a meno di perdite ferme cioè
falde di aria non rifornita) quindi devo mantenere l’aspirazione con il drenaggio. Ricordatevi che anche negli
interventi cardiochirurgici si apre la pleura, infatti anche in questi casi c’è il rischio di occupazione del cavo
pleurico di solito sono più versamenti ematici che quelli di chir toracica, cioè più spesso potrebbero essere
emotorace comunque da drenare.

Esempio commentando un immagine: pnx completo o quasi completo, posizionamento del drenaggio in 5
spazio sull’ascellare media ed è stato spinto verso l’alto perché l’aria va verso l’alto.

Le possibilità di posizionamento del drenaggio sono in due regioni anatomiche: quella anteriore in 2-3 spazio,
o laterale sulle linee ascellari anteriore media o posteriore sul 5-6 spazio. La cosa importante è che,
indipendentemente da dove viene posto, il drenaggio deve andare a raccogliere il target per cui lo
posizionate: se è liquido il drenaggio deve andare verso il basso, se è aria verso l’alto. L’alternativa è mettere
un drenaggio che anche se indirizzato verso l’alto ha dei fori accessori alla base che permettono di drenare
anche i liquidi eventualmente. Anche grazie alla ventilazione polmonare, anche se non ci fossero questi fori
accessori, il liquido troverebbe una via di sfogo pur con drenaggio che guarda verso l’alto, ma funzionerebbe
un po meno bene perché per gravità ciò che si deposita alla base rimane confinato alla base.

Per quanto riguarda il post-operatorio ci sono diverse possibilità. Parlando di chir toracica il drenaggio post-
operatorio ha indicazioni e modalità di gestione diverse:

1. Nella pneumonectomia quando viene asportato l’intero polmone il cavo pleurico rimane completamente
vuoto, si mette il drenaggio? Noi lo mettiamo e così fa l’80 % dei chirurghi toracici, ma c‘è una quota che fa
un monitoraggio radiologico del mediastino e solo se il mediastino si sposta o aspirano (se il mediastino si è
spostato troppo controlateralmente) o iniettano aria e fisiologica (se il mediastino si è spostato dal lato
operato) per mantenere l’asse mediastinico centrale. Perché il problema dell’asse mediastinico è che se si
sposta finisce per angolare le vene cave che per la loro bassa p endoluminare collassano e si rischia il blocco
del ritorno venoso. Quindi noi mettiamo in questo caso un solo drenaggio e lo teniamo chiuso, lo apriamo
per svuotare aria o liquido se il mediastino si sposta o viceversa se si sposta dal lato operato lo riempiamo di
aria.

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2. Nella lobectomia polmonare invece il polmone c’è (2/3 del polmone a dx, 1/3 del polmone a sin rimangono)
quindi per ristabilire la situazione fisiologica cioè mantenere la pressione negativa nel cavo pleurico, per
rimuovere l’eventuale componente liquida e aerea e tenere il polmone ben aperto si possono posizionare
uno o due drenaggi.

3. Nella resezione polmonare atipica, che è l’asportazione minore in termini di materiale asportato proprio
che per rischio di emorragia, sanguinamento e perdite aeree, allora può essere sufficiente posizionare un solo
drenaggio.

In tutte queste condizioni il drenaggio deve andare verso l’alto perché dovremo drenare dell’aria, non si
discute, poi potremo avere dei fori alla base, e questo vale anche per il pnx. Quando invece c’è un versamento
pleurico o una mediastinite allora il drenaggio può essere messo mirato a dove c’è la raccolta, soprattutto se
non è un grosso versamento massivo ma una raccolta magari saccata alla base. La mediastinite è un’infezione
dello spazio mediastinico a cui posso dare sfogo incidendo la pleura mediastinica dal versante del cavo
pleurico consentendo il deflusso di tutto il materiale necrotico purulento dal mediastino al cavo pleurico.
Allora il drenaggio andrà alla base perché l’incisione che io farò non sarà all’apice, perché dall’apice non
otterrei il deflusso del materiale purulento più declive, così come negli ascessi devo sempre incidere il
versante basale.

Commento a un’immagine: Il drenaggio è un tubo in silicone che è si trasparente ma ha una porzione laterale
radiopaca per poterlo visualizzare all’rx, lungo la quale si possono praticare dei fori accessori per permettere
al drenaggio di essere efficaci anche alla base.

Il drenaggio è collegato a un boccione di raccolta tramite un tubo connettore con una valvola unidirezionale
che non consente all’aria o al liquido evacuati di rientrare nel cavo pleurico del mio malato. Che cosa svolge
la funzione di queste valvola? È semplicemente l’altezza, per questo i boccioni devono sempre essere
posizionati sotto il punto di ingresso nel torace del malato, per sfruttare la differente pressione che c’è alle
diverse altezze. La pressione negativa intrapleurica invece si ristabilisce grazie ad un altro sistema valvolare,
che può essere una valvolare ad acqua o una valvola a secca che, mantenendo una depressione di 4 o 5
cmH2O creata da un volume di acqua che viene messa alla base del boccione (500 ml di solito), riesce a creare
una pressione negativa all’interno del cavo pleurico grazie al sistema connettore-drenaggio. A questa
pressione della valvola ad acqua se ne può applicare eventualmente un’altra: collegando il boccione di
raccolta ad un aspiratore a muro che crea una pressone ancora più negativa (di regola siamo intorno a -15/-
20 cmH2O).

Quindi: tubo di drenaggio inserito nel torace del pz  raccordo  tubo collettore  boccione di raccolta.
Nelle versioni più recenti notiamo che c’è poi un aspiratore elettronico a batteria che crea, collegandosi al
boccione, una depressione ulteriore all’interno del boccione e quindi di tutto il sistema in modo molto preciso
in base a quello che volete -15,-20,-10 cmH2O. Questo è il sistemo digitale di cui si avvalgono ormai quasi
tutti gli ospedali, i quali con sistemi più o meno sofisticati possono anche misurare le perdite aeree, per le
quali non abbiamo più solo la nostra valutazione ispettiva ma anche questa quantificazione precisa.

Cos’è e come funziona il tubo di drenaggio? È un tubo di pvc o silicone, che deve essere trasparente ma con
un banda radiopaca, con un mandrino metallico e fenestrato sia all’apice che a livello laterale. Di solito questi
fori alla base sono sempre più di uno (uno all’apice ma due alla base) perché se venisse ipoteticamente chiuso,

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ad esempio per un coagulo o perché il polmone ci si adagia sopra, perderemmo l’efficacia del drenaggio.
L’importanza del mandrino è che quando lo si posiziona, siccome il drenaggio è un tubo di plastica che non
ha tanto nervo da poter attraversare la parete toracica, il mandrino è ciò che da rigidità. I vecchi tubi di
drenaggio avevano delle guide in ferro, ma sono tecniche vecchie che prevedevano accessi anche più grandi
non di 1 cm come oggi, ma di 2-3 cm.

Di drenaggi ne esistono di diversi tipi, diverse marche e diversi diametri. Il diametro si misura in French da 32
a 16 (ci sono anche da 36 Fr) sapendo che il rapporto è circa diviso 3, cioè 32 Fr diviso 3 fa circa 1 cm, quindi
32 Fr=10,7 mm di diametro interno. Ovviamente i drenaggi di calibro più piccolo sono utili o nei pz più piccoli
oppure quando dobbiamo aspirare dal cavo pleurico qualcosa che non sia molto denso, ad esempio l’aria, ad
esempio non uso uno da 16 per drenare un emotorace o un empiema perché questo mi si chiuderà subito,
allora dovrò usare un 24 o addirittura 28 o 32. Giusto per darvi un’indicazione:

- dopo un intervento di chirurgia toracica noi mettiamo un drenaggio del 28, perché il sangue che si può
accumulare nel cavo pleurico ed eventuali coaguli tenderebbero ad ostruire drenaggi più piccoli;

- per un pnx (non ho capito ma specifica che tipo, minuto 25) in un ragazzo potete mettere anche solo un 24;

- in un pnx spontaneo al letto drenato in ps o a livello ambulatoriale basta un 16 o un 20.

Il problema dei drenaggi piccoli è che sono anche più corti, perché se fossero troppo lunghi rischierebbero di
essere instabili e sposizionarsi, quindi se pensate di drenare un pnx con un drenaggio posizionato in 5-6 spazio
intercostale in un pz obeso o con delle mammelle molto importanti che dislocano la parete toracica
superficiale sappiate che con un 16 non arrivate nemmeno al piano pleurico. Inoltre il drenaggio viene fissato
alla cute ma se il pz ha un pannicolo adiposo importante ad ogni atto respiratorio la cute si sposta e il
drenaggio tenderebbe ad uscire dal cavo pleurico e sposizionarsi.

Il raccordo è quello che ci consente di collegare il tubo di drenaggio al dotto collettore, che a sua volta è ciò
che entra nel tubo di raccolta. Bisogna fare attenzione perchè il raccordo non deve ostruirsi, ne esistono di
biconici o esistono anche raccordi a Y che consentono di collegare due drenaggi a un boccione solo. Però
bisogna evitare che ci siano angolazioni se no il drenaggio perde efficacia. Un’altra cosa è che devono essere
un po rigidi ma non troppo e devono essere mantenuti pervi: se nel sistema di drenaggio c’è un coagulo e lo
si lascia li allora a un certo punto il coagulo si secca, diventa duro e non si toglie più questo coagulo. Ma se
per tutto quello che si forma nella parte visibile, basta fare attenzione e si vede, cerco di rimuoverlo o cambio
il sistema, bene, ma se si sono formati dei coaguli che si fermano nella parte del sistema non visibile cioè nella
parte all’interno del cavo pleurico questo è un drenaggio che non serve a niente, con tutti i rischi emorragici
e infettivi che la manovra presenta. Se non facciamo attenzione nella gestione del malato nel post-operatorio
o quando il malato è a letto e il malato ci si siede sopra, lo gira, torce il drenaggio con i suoi movimenti, allora
il drenaggio non funziona più perché il lume interno diventa zero.

Vediamo il boccione di raccolta: ne esistono di diversi tipi e marche anche qui, e quello che è importante
hanno diverse camere di raccolta A, B, C e D. [Voi dovete saper leggere un boccione di raccolta, non sarà
domanda d’esame ma vi potrebbe capitare all’esame di stato.] Le camere hanno lo scopo di creare un
menisco, una depressione, quella che abbiamo chiamato la valvola ad acqua, che collegata con il drenaggio
mi permette di monitorare l’andamento di pressione nel cavo pleurico, come? Devo guardare la colonna di
acqua azzurra (è azzurra apposta per essere meglio leggibile) che riempie questa colonna graduata 15, 10, 5,

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0 cmH2O e questi non sono altro che i valori di pressione negativa (dice valori di pressione senza il meno ma
sono comunque di depressione, ndr) che riflettono la depressione intrapleurica.

Ad ogni atto respiratorio questa colonna di liquido sale e scende, si modifica: in ispirazione può arrivare a -8,
-10 cmH2O, in espirazione arriva a -2, -4 cmH2O quindi vedrò le escursioni di questo menisco che riflettono
le escursioni endopleuriche della pressione. La camera A ha una pressione di -20 cmH2O perché è collegata
ad un sistema di aspirazione a muro, e ha all’interno un liquido che gli consente di funzionare come camera
di compensazione predefinita. In parole semplici significa che qualsiasi aspirazione io metta l drenaggio
questa camera me la farà arrivare al massimo a -20 cmH20: anche se ci fosse uno sbalzo di pressione del
sistema, o l’infermiera che sbaglia e gli mette l’aspirazione a -50, questa camera consente di proteggere il
cavo pleurico del pz perché -20 cmH2O non sono pericolosi. La camera C ha una pallina di colore blu che
salendo vi fa vedere allo stesso modo di prima le variazioni di pressione in inspirazione-espirazione, qui però
la scala è di 0, -10, -15, che corrispondono quindi a pressioni positive nel cavo pleurico. Se c’è una perdita
aerea caratteristicamente io vedrò che le bolliccine si raccolgono in questa camera, ed essendo una camera
graduata posso fare una stima quantitativa di queste perdite aeree. Nella camera D invece si accumulerà la
componente liquida eventualmente drenata di cui vedremo le caratteristiche.

Nell’aspiratore a muro invece c’è un manometro che possiamo impostare a circa -20 cmH2O però attenzione
perché se andate al di fuori del reparto di chirurgia toracica o in PS troverete manometri solo in mmHg, per
quanto possa essere facile la conversione il problema è che sono tarati per pressioni negative della scala dei
100 quindi forti depressioni che gli alveoli non possono reggere!

NB: Con i nuovi boccioni che hanno un sistema di valvola ad acqua unidirezionale interna non è più necessario
clampare il drenaggio quando viene messo il boccione all’altezza del malato, perché anche a questo livello di
altezza quello che si raccoglie nella camera di raccolta o l’aria accumulata non rientra nel tubo di drenaggio:
quindi il pz può tenerlo anche sul letto senza nessun tipo di pericolo.

Il drenaggio pleurico viene fissato con una medicazione (meglio aggiungerne anche una cosiddetta a cravatta
per evitare dei movimenti che facciano male al pz tirando si punti di ancoraggio alla cute), poi c’è il raccordo
che collega al dotto collettore, l’abbiamo detto. Ma cosa succede se il raccordo si stacca? Succede che non
abbiamo più il funzionamento della valvola ad acqua, quindi l’aria entrerà nel cavo pleurico, causando un
pneumotorace a sua volta! La prima cosa da fare quindi è clampare il drenaggio anche se ovviamente nel
momento in cui me ne accorgo di aria ne sarà già entrata, ma almeno evito che ne entri dell’altra. Dopo devo
disinfettare il tubo di drenaggio e lo ricollego magari anche a un sistema nuovo pulito, a questo punto posso
declampare perché il tutto è collegato di nuovo al boccione. Se invece che sraccordato il sistema viene proprio
rimosso accidentalmente, allora bisogna chiudere la soluzione di continuo a livello cutaneo mettendo un
punto di sutura, dopo di che faccio immediatamente una RX del torace per valutare l’entità dell’aria che sarà
entrata nel momento del distacco, e quindi decido se posizionare un nuovo drenaggio in un nuovo accesso.

Come si posiziona un drenaggio pleurico? Innanzitutto ricordatevi che è una procedura chirurgica a tutti gli
effetti per cui devono essere rispettate le regole di sterilità e il principio di non fare troppo male al pz. Di
regola se vengono messi in reparto o ambulatorio (insomma non in sala operatoria) posizioniamo il pz seduto
o semiseduto (più raramente in posizione laterale), con il braccio del lato da drenare in retropulsione e
abduzione in modo che esponga molto bene il famoso triangolo del drenaggio, che è quello ascellare che
punta fino al 6 spazio. Questa posizione non è facile da tenere e ha una controindicazione: nel momento in
cui il pz abbasserà il braccio sposta la cute dove avrò fissato il drenaggio quindi c’è un trucco: parto nella

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manovra con il braccio in alto, posiziono il drenaggio, poi lo fisso con il braccio abbassato. Questo mi permette
di non avere piani muscolari in mezzo alla traiettoria durante il posizionamento e di avere la cute già in
posizione di rilasciamento al momento del fissaggio. Si possono posizionare o in 2 spazio sull’emiclaveare o
in 5-6 spazio sull’ascellare media (o anteriore o posteriore a seconda di cosa drenare). Vediamo un esempio:
pz con due drenaggi uno in laterale e uno in emiclaveare, è tipico, perché il pz aveva ancora tantissimo
enfisema sottocutaneo e pnx dopo il posizionamento del primo drenaggio in secondo spazio, probabilmente
questo perché il pz è un tipico bronchitico cronico e forse aveva delle bolle enfisematose grosse rotte da cui
fuoriusciva una quantità importante di aria, ma questo anche perchè il drenaggio quando passa dall’alto
rischia di ancorarsi all’interno anche perché è corto (è un drenaggio del 16), mentre quello laterale è più lungo
e può salire molto per essere efficiente.

Veniamo alla manovra, cosa ci occorre:

1. Il campo deve essere sterile


2. La manovra deve essere fatta in anestesia locale (attenzioni alle allergie agli anestetici locali che a
volte rendono necessaria un’anestesia generale)
3. Bisogna avere il consenso del malato (in emergenza non è necessario ma in elezione e in urgenza si)
4. Devo avere a disposizione: un trocar, un drenaggio, un set di ferri sterili, disinfettante, garze, un bisturi
e il punto per fissare il drenaggio
Quindi si procede con il primo tempo che prevede la disinfezione e posizionamento dei telini per consentire
la creazione di un campo sterile. Devo infiltrare il campo toracico che avrò identificato palpatoriamente come
quello utile con anestetico (attenzione: nello scegliere il 5-6 spazio sull’ascellare posso aiutarmi scegliendo lo
spazio più largo perché questo è lo spazio che al pz farà meno male. Questo perché il drenaggio all’interno
dello spazio intercostale decubiterà causando dolore, se lo spazio è stretto il decubito sarà più importante).
Nell’esecuzione dell’anestesia locale se uno ha a disposizione un ago più lungo e infiltra fino alla pleura
parietale (tutti i piani devono essere infiltrati dall’anestetico: cute, sottocute, fascia, piano muscolare
intercostale, pleura parietale), se entra oltre a tale livello arriva nel cavo e si può provare ad aspirare con la
stessa siringa: se aspirando riesco a individuare la presenza della raccolta ho la prova provata che sono nella
traettoria giusta per il posizionamento del mio drenaggio. Una volta fatta l’incisione posiziono il drenaggio
con il suo mandrino. Fate attenzione a stare sul margine superiore della costa che delimita inferiormente lo
spazio intercostale scelto! Progressivamente estraggo il mandrino e infilo il drenaggio cercando di avere
continuità nel mio movimento. Infine fisso il tubo con un punto di ancoraggio alla cute e faccio un RX di
controllo.

Esistono anche dei drenaggi specifici per pnx che sono più piccoli cioè 8-12 French, piccoli e poco invasivi
quindi meno dolorosi, già dotati di valvola al suo interno, che quindi funzionano al sicuro anche senza essere
raccordato*.

Nel post-posizionamento del drenaggio cosa dobbiamo fare:

- Monitorare la quantità e la qualità del liquido che fuoriesce e quindi serve una buona collaborazione
con il personale infermieristico per sapere quanto liquido c’è nella camera di raccolta del boccione
(l’aggiornamento deve essere sempre allo stesso orario, es la mattina alle 8, per poter calcolare la
quantità data nelle 24 h). Questo è importante perchè uno dei criteri per la rimozione è che dia meno
di una certa quantità di liquido: fino a 200-250 mL al giorno di liquido viene normalmente riassorbito
dalla nostra pleura quindi possiamo togliere il drenaggio specie se il trend è in riduzione, alcuni
tolgono già a 500 ma noi no
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- Valutare le perdite aeree, in questo caso anche se le perdite di liquido sono inferiori a 200 mLnon
posso rimuovere il drenaggio
Se ci sono persistenti perdite di liquido o aeree posso decidere di mandare a casa il paziente ma
attaccato a un sistema portatile a gestione domiciliare che è la valvola di Heimlich. Di cosa si tratta?
È una valvola unidirezionale, che ha il vantaggio di essere facilissima da posizionare (ci sono delle
chiare indicazioni su come collegarla al drenaggio da un parte e al sacchetto di raccolta dell’altra
parte, non si può sbagliare).

- Controllare quando il boccione è pieno per sostituirlo


- Controllare l’integrità del sistema e procedere a eventuali manovre di disostruzione del drenaggio
come aspirare coaguli.
Mostra due video del posizionamento di un drenaggio, aggiungo i dettagli non ancora spiegati:

- Quando arriva liquido con le prove di aspirazione vuol dire che siamo oltre la pleura parietale nel
cavo pleurico nel punto d’interesse

- Incido cute e sottocute e poi divarico con strumenti smussi i piani muscolari facendo attenzione a
non sezionare le fibre del muscolo intercostali ma a divaricarle appunto. Ricordatevi che i muscoli
intercostali hanno fibre che decorrono perpendicolari alle coste quasi verticali quindi se le divarico
creo un tunnel e ci passo in mezzo senza sezionarle (fate il movimento con la klemmer che entrano
chiuse, le allargo dentro all’incisione per divaricare ed escono aperte, perché se le chiudete
all’interno rischiate di sezionare qualcosa). Quando arrivo in prossimità al periostio della costa
apprezzo una maggior resistenza che sono la fascia toracica e la pleura parietale: bisogna
letteralmente sfondare questo punto e sentite uno scatto.

- Dopo il posizionamento del drenaggio, dopo aver visto che esce liquido quindi il posizionamento è
efficace, si clampa il drenaggio e lo si mantiene così fino a che il raccordo con il resto del sistema sia
completo

- Quando faccio la manovra di inserimento del drenaggio un po di aria entra sempre (è uno
pneumotorace indotto), quindi la vedete sotto forma di bollicine appena il boccione funziona in
aspirazione

- * i drenaggi più piccoli esclusivi per pnx che vi dicevo prima si posizionano senza divaricare alcun
piano, è un drenaggio smusso che si inserisce con una manovra facilissima
COMPLICANZE DEL POSIZIONAMENTO DEL DRENAGGIO: cosa può succedere nel post-operatorio
una volta che posizioniamo un drenaggio pleurico? Abbiamo detto che possiamo avere pz con uno
o due drenaggi, raramente se ne mettono tre, solo in pz traumatizzati con traumi maggiori del torace
bilateralmente possono essercene 4 o 6. Bisogna capire innanzitutto se il drenaggio è basale o
apicale e dalla radiografia devo capire da dove è stato applicato e per quale motivo è stato messo.
Attenzione ricordatevi che il sistema dell’aspirazione, che sia l’aspiratore a muro o la valvola ad
acqua, deve sempre essere efficace perché se lasciate il sistema della valvola ad acqua senza acqua
al suo interno il pz avrà un pnx iatrogeno perché è come se mettessi il drenaggio a contatto con
l’aria ambiente.
Esempio: nella lobectomia noi abbiamo sempre messo 2 drenaggi, ma ci stiamo convertendo a
metterne uno solo come vuole la discussione in letteratura. Questo drenaggio ha un duplice scopo:
drenare l’aria che si accumula verso l’alto e il liquido che si deposita in basso, questo perché devo
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tenere il polmone a parete cioè devo svuotare il cavo perché se no quel polmone non guarirà. Quindi
ho questa duplice necessità innanzitutto se non dreno quell’aria che va in alto questa trova un’altra
strada che è la strada del sottocute, si infiltra nei piani soprattutto se fate una costotomia, per
questo noi in passato mettevamo due drenaggi: uno anteriore che andava verso l’alto e uno
posteriore che andava medio-basale.
Nel caso di pnx c’è un problema: con la pleurectomia che facciamo nella manovra causiamo un
emotorace per cui è sempre necessario avere il foro accessorio alla base del mio drenaggio per
drenarlo, perchè se no rischio di avere un cavo pieno di sangue con rischio di sovrapposizione
infettiva.
Una cosa a cui dovete fare attenzione è che il drenaggio non si insinui nelle scissure (a dx ce ne sono
2, a sin una) perché risulterebbe del tutto inefficace. Questo può essere più semplice da vedere se
applico il drenaggio per via intraoperatoria ma a cielo coperto fatico a capire se si infila in una
scissura, allora come faccio: entro ortogonale nella manovra di posizionamento per evitare di ledere
il fascio vascolo-nervoso intercostale e appena superato il piano pleurico inclino la coda del
drenaggio per mandarlo verso l’alto, oppure lo inclino posteriormente o anteriormente dipende
dove ho la raccolta. Attenzione perchè anteriormente potrei avere delle strutture nobili magari
pulsanti e vascolari come il cuore che devono essere attentamente evitate. Quindi: se sto mettendo
un drenaggio in 2 spazio anteriore non devo andare verso l’alto ma lo devo mandare posteriore, se
invece lo sto mettendo in 5 spazio lo mando verso l’alto. Devo evitare di andare dritto perché rischio
di finire nella zona parascissurale prima e in scissura dopo cioè subito dopo che il drenaggio ha tolto
la prima quota di raccolta potrebbe incunearsi in scissura.

Come mi comporto nella gestione? È fondamentale fare un monitoraggio clinico (reperto auscultatorio) e
anche radiologico. Attenzione a non esagerare con le RX, fatele con uno scopo, cioè mi devo chiedere se le
informazioni che mi potrebbe dare la radiografia mi farebbero cambiare il modo di gestire il mio malato.
IMPORTANTE MANTERE LA PERVIETA DEL TUBO, questo è un concetto fondamentalesu cui stresso tantissimo
chi iene in reparto, e lo si fa verificando sempre il menisco: se il menisco è fermo vuol dire che il drenaggio
non funziona. Se in un pz con drenaggio che funziona improvvisamente il menisco si ferma c’è qualcosa che
non va: bisogna seguire a ritroso il drenaggio e capire dove sia il problema, basta solo un movimento del
paziente per spostare la posizione del foro accessorio ad esempio, che addirittura può finire a parete e
causare un pnx iatrogeno. Quando il menisco si ferma e non vedo nessuna causa all’esterno del circuito allora
faccio un RX, e ci possono essere diverse possibilità: il drenaggio è angolato, è finito in scissura, fa un loop
strano che ne annulla il lume. Spesso basta ritirare il drenaggio di qualche centimetro per risolvere la
situazione.

Il lavaggio del drenaggio è una manovra che non tutti condividono: consente di avere la certezza che il
drenaggio sia pervio, ma se per caso ci fosse un coagulo al suo interno potrebbe succedere che nella manovra
di lavaggio io inietto fisiologica all’interno del cavo pleurico tramite il drenaggio e quando riaspiro il coagulo
si mette davanti e non funziona più, in questo caso quindi dovrei cercare di disostruirlo si dice “con colpetti
di fisiologica” cioè senza inondare il cavo pleurico di fisiologica. Il lavaggio quindi è un momento delicato che
può essere utile sia per disostruire il drenaggio sia in alcune condizioni particolari per lavare il cavo pleurico,
ad esempio se ho una raccolta purulenta con del tessuto necrotico ha senso fare un lavaggio.

Il personale infermieristico deve conoscerne la gestione, e questo vale per tutti i presidi che si utilizzano!

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Quando rimuovere il drenaggio?

- Quando il menisco è fermo, questo può succedere o perché il sistema è ostruito (il più delle volte) o
perché il polmone è a parete grazie a un sistema di aderenze e quindi il cavo pleurico è del tutto
obliterato
- Quando il versamento è minimo, < 250 cc/giorno
- Quando il drenaggio non funziona per altri motivi
Come si rimuove il drenaggio? Si fa il processo al contrario ma partiamo sempre allestendo il campo
chirurgico, somministro anestetico locale, costruisco una borsa di tabacco intorno all’accesso di drenaggio,
distacco il punto di ancoraggio alla cute, rimuovo il drenaggio con pz in apnea dopo espirazione (il prof dice
aspirazione, bo) forzata -> questo perché in tali condizioni la pressione intrapleurica è più vicina allo zero e
quindi c’è meno rischio di risucchio di aria dentro al cavo pleurico. Poi di nuovo si fa un controllo RX per
scongiurare pnx.

Domanda di una studentessa: dopo una pneumonectomia dopo ogni quanto faccio controlli per controllare
lo sposizionamento del mediastino? Allora non potendo seguire la clinica (non c’è MV, non c’è FVT) facciamo
un controllo RX ogni 3 giorni, se i controlli radiologici ci dicono che il versamento alla base è inferiore al livello
del bronco e il mediastino in asse non facciamo nulla, se il liquido è troppo dobbiamo svuotarlo perché il
moncone bronchiale non può rimanere a mollo nel liquido nei primi 4-5 giorni. Se invece c’è spostamento del
mediastino dobbiamo mettere o togliere aria come vi dicevo. Il drenaggio in genere lo togliamo in 5 giornata
perché ormai il mediastino ha trovato la sua posizione e non si sposta più.

I drenaggi complessi vengono messi spesso sotto guida ecografica aiutati da un radiologo o diventando esperti
di ecografia toracica. Quali sono i drenaggi pericolosi? Non solo quelli anteriori, ma tutti quelli che vengono
messi alla cieca quando non c’è collasso completo del polmone, in presenza di aderenze, con un polmone
adeso in alcuni punti, in caso di trauma in cui la parete non tiene quando schiacci per mettere il drenaggio, la
parete in caso di frattura costale ti segue, quindi bisogna essere molto delicati. A volte se no mettiamo il dito
o inseriamo le forbici per sentire che non ci sia polmone in casi delicati, ma ovviamente l’ecografia è la cosa
più importante.

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CLINICA CHIRURGICA 25/11/2015
Prof. Imperatori

CASO CLINICO

Il caso di oggi che vi presento è quello di un uomo di 64 anni, pensionato ex-muratore, forte
fumatore attivo.
In anamnesi famigliare nulla di rilevante.
In anamnesi patologica remota una intervento ortopedico per frattura di radio destro,
un’insufficienza venosa agli arti inferiori e diabete mellito di tipo II e una storia di POTUS
(alcolismo, ndr) alle spalle interrotta da almeno 5 anni.
Forte fumatore con un pack/year di circa 50.

A maggio 2014 compare febbricola, astenia, tosse di tipo secco stizzoso e per tale motivo andava
dal medico di medicina generale che in seguito a tale patologia proponeva una terapia antibiotica
empirica, senza fare quindi una valutazione dell’espettorato o quant’altro, con conseguente
miglioramento del quadro clinico.
La febbricola in realtà era ancora presente, migliorata la tosse e l’astenia.

Passano 3 mesi e il paziente a Settembre peggiora nuovamente questa volta in modo marcato, con
una dispnea che diventa ingravescente e con un’ortopnea con impossibilità di rimanere sdraiato;
compare emoftoe, il paziente riferisce un’espettorazione di catarro striato di sangue e riferisce un
calo ponderale in un mese di circa 5 kg.
Va dal medico di base e il medico di base lo indirizza direttamente in PS.

In Pronto Soccorso fa gli esami ematici e questa è la radiografia all’ingresso in PS:


Come vedete c’è un opacamento completo dell’emitorace di destra, penso che questo le vedevate
anche voi.
C’è qualche segno che può attirare l’attenzione per distinguere (vi porto già io verso voglio andare)
se questo è un versamento massivo o se è un atelettasia completa del polmone?

-- Non è l’immagine originale, ma è un caso identico che ho trovato su internet! –


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Perché poi uno viene chiamato in PS per drenare un versamento pleurico massivo di destro, che
mi giustifica la dispnea, la tosse e tutto quello che vogliamo; sospettiamo che magari sotto ci sia
una patologia neoplastica o infettiva per giustificare l’emoftoe e tutto questo con un versamento
massivo ci può stare.

Da un punto di vista radiologico cosa c’è che mi fa propendere verso la natura liquida
(versamento) o verso la natura solida (atelettasia)?
E’ un segno molto caratteristico, ve l’ho messo apposta così ve lo ricordate.
STUDENTE: “devo guardare la trachea?”

Brava. La trachea è stirata e spostata verso il lato malato, non è spostata verso il lato sano come se
ci fosse qualcosa che spinge; piuttosto c’è qualcosa che tira, detto in termine semplici.
Cos’è che tira e cos’è che spinge? Il versamento spinge, l’atelettasia tira verso di se.
Quindi polmone atelettasico che si ritrae, si ritira e tira verso di se la trachea.

Per piacere ricordatevi questo segno: guardate la trachea, è un segno di warning molto
importante.

Un altro segno che ci deve far pensare che li ci sia un’atelettasia è cercare di seguire le vie aeree
sulla radiografia, perché l’aria si vede bene in trachea la quale è molto stirata, molto più a destra
dei processi spinosi (che sono il riferimento centrale).
L’aria arriva fino la carena, le vie aeree cioè l’aria si segue bene a sinistra fino alla diramazione
bronco lobare superiore e bronco lobare superiore, mentre a destra ho uno stop, non si vede il
bronco intermedio e non si vede il bronco superiore.
Questo è un altro segno, certamente più fine, che voi futuro medico di PS di un ospedale periferico
dovete riconoscere anche senza radiologo: l’interruzione della colonna d’aria nelle vie aree
principali.
Che non vuol dire interruzione nei bronchioli periferici terminali, non ci interessano quelli, ma
interruzione grossolana dei bronchi principali.

Di fatti, il referto del radiologo di questa radiografia che vi metto qui parla appunto di interruzione
della colonna d’aria a livello del bronco principale destro; per dirla tutta, non segnala lo stiramento
della trachea che sollevava come ipotesi il versamento, perché quel criterio radiologico non è stato
valutato in quel caso.

Tant’è che noi fummo chiamati in PS per drenare questo versamento massivo.
Il problema qual è: se io metto un drenaggio in un cavo pleurico pieno di liquido faccio stare bene
il paziente e non faccio danni, ma se lo metto in un polmone atelettasico senza versamento, faccio
danni!

A questo punto voi medico di PS cosa fate?


Chiamate il chirurgo toracico, chiamate lo pneumologo perché la storia di emoftoe ecc. orienta
verso una patologia polmonare.
A memoria il paziente era leggermente anemizzato, aveva 10 di HB, non tanto per l’emoftoe
quanto per uno stato di cachessia, neoplastica o non neoplastica non lo sappiamo ancora,
comunque caratterizzata da astenia e calo ponderale.

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Cosa fareste qui a questo momento, quali sono le ipotesi diagnostiche che proponiamo di fronte a
un caso del genere? Abbiamo 2 opzioni principali ovvie:
1. Patologia neoplastica, verosimilmente primitivo visto che in anamnesi non aveva nulla, ma
ricordiamoci che quando si parla di polmone possono esserci metastasi in grado di dare atelettasia
completa.
2. Patologia infettiva, in un paziente che ha comunque dei fattori di rischio per le infezioni come il
diabete mellito e lo stato di POTUS e fumatore.

Cosa fareste di fronte questo bivio diagnostico??


STUDENTE: “chiedo gli esami del sangue!”
Esami del sangue certo, gli aveva già fatti e si è visto 10 di HB, modesta leucocitosi, aumento della
VES e della PCR, aveva una ipoalbuminemia ma questi esami sono chiaramente orientativi?
No, ci danno un’idea delle condizioni generali del paziente!
Certo se avesse avuto 12 o 13 di calcemia, allora potremmo pensare che ci sia qualcosa anche a
livello scheletrico con lesioni osteolitiche o a qualche sindrome paraneoplastica a cui si associa
ipercalcemia e mi oriento verso il neoplastico. Anche li però, non è che ipercalcemia = neoplasia, ci
aiuta ma non ci dà risposte definitive.
I marcatori tumorali vengono fatti, ma per avere la risposta devo aspettare 3-4 gg, non per il
tempo tecnico di eseguirli ma voi sapete che sono esami costosi, e si aspettano tanti esami
insieme per riempire il “blocchetto” di analisi e risparmiare, essendo in un periodo di taglio dei
costi. D’altronde anche sapere di avere il CEA alto non è quello poi che ti cambia l’iter diagnostico,
sono altri gli esami.

Quindi certamente gli esami del sangue, certamente i marcatori tumorali, poi??
STUDENTE: “non posso fare un’ecografia per accertarmi che non ci sia effettivamente del liquido?”
Allora, oggi giorno abbiamo la possibilità di usare l’ecografia in chirurgia toracica, e anche una
persona con poca esperienza ecografica come il sottoscritto può appoggiare la sonda e vedere
molto facilmente se quello che c’è sotto è versamento liquido o polmone solido atelettasico
iperecogeno.
Io mi sono trovato più volte, chiamato in PS per drenare un versamento pleurico massivo, e mi ha
salvato l’ecografia e ho evitato di mettere dei drenaggi che mi venivano sollecitati ma non c’era
poi indicazione perché era atelettasia.
Attenzione, magari un velo di liquido c’è, magati vedo 1-2 cm di versamento attorno al polmone
atelettasico, ma ovviamente il problema non sta in quel cm, anche se metto il drenaggio non
faccio danni perché ho il liquido ma non do alcun beneficio al paziente, facendogli guadagnare
solo quel centimetro con un polmone che non ventila!
Anzi danni ne faccio, perché faccio retrarre ancor di piu verso destra il polmone, stiro ancor di più
il mediastino verso destra che tira anche il bronco di sinistra che si angola sempre più fino a che
magari lo rendo a 90° e quindi stenotico anche a sinistra.
Un cm non crea questa complicanza ovviamente, però sappiate che danni si possono fare.

Quindi esami del sangue li abbiamo fatti, marcatori, ecografia l’abbiamo fatta e conferma che era
atelettasia, cosa facciamo?
Lo ricoveriamo in pneumologia, l’iter diagnostico non può farlo in PS e la fase diagnostica la fa il
clinico, per ora non ha ancora indicazione chirurgica.

Cosa facciamo??
STUDENTE: “broncoscopia?”
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Si benissimo, oppure..? faccio prima la broncoscopia o prima –ve lo dico io- la TC? Perché prima
una o prima l’altra?
Se è centrale come si vede dall’RX, con il bronco principale di destra anche la bronco va bene, vedo
tutto! Diciamo che qui, il primo dei due esami che si riesce a fare, si fa.
Sono dell’idea che se si potesse fare prima la TC può guidare nei prelievi della bronco
eventualmente nei casi in cui non ci sia un amputazione così evidente di un bronco principale.
Potrebbe dirci è una compressione ad estrinseco, non è una massa intrinseca del bronco, quindi
mi guida nella bronco: personalmente, preferisco sempre fare prima la TC.
Ormai tutti questi esami si possono fare anche in urgenza, in poche ore, quindi faccio una poi
l’altra, prima la TC e poi la broncoscopia.

In questo caso, in pneumologia fanno la TC, leggiamo prima il referto e poi guardiamo le immagini:
TC torace: Atelettasia completa del polmone di destra con trazione del mediastino omolaterale.
(l’avevamo visto anche all’RX!) A sinistra plurimi noduli polmonari, plurime linfoadenopatie. Non
fa rirerimento a Versamento pleurico.
TC addome: epatopatia cronica cirrogena (ricordiamoci il POTUS, di fronte a muratori con storia
lavorativa lunga, il tasso di fumatori-bevitori è molto alto, quindi sospettatelo perché la patologia
cirrotica può dare coagulazione e quindi dare emoftoe, quindi è importante!), sospetti di invasione
neoplastica pancreatica, surrenalica sinistra, renale e stenosi neoplastica al sigma distale.

-Vi racconto una storia di quando io studente al quarto anno di medicina, ho dovuto fare una
cartella clinica a un paziente muratore, fumatore e bevitore. Chiedo se fuma, mi risponde di si.
Chiedo se beve, e mi risponde normale. Poi al giro con il Professor Dionigi Renzo, interroga il
paziente e chiede: chi ha fatto questa cartella?? E io ho alzato la mano. A quel punto mi ha
invitato a guardare il paziente, e mi ha mostrato tutti i segni di epatopatia alcolica, chiedendomi
come posso aver fatto a scrivere “normale”!
A una seconda domanda, per lui normale era un bottiglione di vino intero ogni pasto.
Questa è la mia prima raccolta anamnestica fallace, motivo per cui con i miei interni tendo a farli
essere il più precisi possibile!-

Abbiamo quindi un quadro TC che è una situazione non settica, ma neoplastica avanzata.
E’ un tumore primitivo o metastatico al polmone, o un doppio tumore? In medicina non
dimenticare mai le cose meno frequenti, la doppia neoplasia esiste. Così come esiste un tumore
del sigma primitivo che da metastasi ovunque anche al polmone, e viceversa un tumore del
polmone che dà metastasi ovunque anche al sigma, abbiamo avuto anche questi casi.
Quindi questo paziente potrebbe avere addirittura 3 tumori!
Ora guardiamo un pochino le immagini TC. (taglio la descrizione dello scorrere immagini TC in cui
fa vedere dove sono i tumori segnalati nel referto!)
--Si sofferma a far vedere lo spostamento del mediastino importante, sottolineando che se un tale
spostamento avviene in acuto porta a morte il paziente (come nel PNX iperteso) perché comprime
le vene cave e impedisce il ritorno venoso al cuore, ma il progressivo stiramento lento ha
permesso la sopravvivenza con un progressivo adattamento delle strutture.--

A questo punto che dobbiamo fare per arrivare alla diagnosi di natura istologica, che poi mi
determinerà il trattamento?
Prima della colonscopia, farò una broncoscopia che conferma la presenza di una formazione
necrotica sanguinante nel bronco principale di destra.
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Fa un esame istologico con la biopsia e risulta un carcinoma di origine intestinale, quindi è
metastasi polmonare del tumore al sigma, che si è presentato con una sintomatologia non
intestinale ma polmonare.

Guardate il tumore come aggetta verso la carena, potrebbe starci anche come aspetto con un
tumore primitivo, è la biopsia che ci dice che origine ha!
Questo polmone con questa massa nel bronco non si espanderà più, per farlo tornare a funzionare
devo togliere questa massa.
Guardate anche il bronco di sinistra come è stirato: il problema di questi pazienti è che tanto più si
stira il mediastino dal lato malato, tanto più stiro il bronco dal lato sano fino a portare a stenosi da
angolazione del bronco. Quindi è necessario intervenire in questi casi.

Noi decidiamo visto che il problema era insorto in modo subacuto di cercare con la broncoscopia
rigida di disostruire e ricanalizzare il bronco per far tornare a funzionare il polmone.
Noi quindi decidiamo di mettere uno Stent autoespansibile, che riesco a posizionare con un filo
guida sottilissimo e mi ricanalizza la via.
Il rischio qual è? Che se non passa nemmeno il filo guida perché il tumore è troppo grosso, rischio
di mettere male lo stent che rimane troppo alto finendomi in carena e magari ostruendomi anche
il bronco dall’altro lato.
Allora in questi casi si disostruisce con il laser il bronco, asporto il tumore più superficiale stando
attenti a non danneggiare la parete del bronco con il laser (dietro ho l’arteria polmonare, faccio un
disastro!) e poi metto lo stent con il mio filo guida.

In questo caso è stato possibile farlo, e guardate dopo la posa dello stent all’rx è ricomparso anche
il polmone che ha ripreso a funzionare.
Sono però comparse nel polmone riventilato delle zone nodulari o masse, quindi il polmone
atelettasico era plurimetastatico.
Poi abbiamo messo un drenaggio perché a questo punto aveva senso drenare liquido, per fare
riespandere il piu possibile il polmone riventilato.
Cosa abbiamo ottenuto quindi?
La trachea si è un po’ rimessa in asse, guardate lo stent nella radiografia molto radiopaco;
abbiamo ricanalizzato il bronco principale di destra, unica complicanza che succede sempre
quando metto lo stent nel bronco principale è che chiudo sempre il bronco lobare superiore
perché ha origine nella zona dove ora c’è lo stent, a 1 cm dalla carena. Però recuperiamo il lobare
intermedio e inferiore, quindi abbiamo molti più vantaggi!
Il polmone è riventilato e si riespande, pur essendo ancora sollevato l’emidiaframma. Perché
secondo voi è sollevato l’emidiaframma pur essendosi riespanso il polmone?
STUDENTE: “posso aver danneggiato il nervo frenico?”
Si, è stato danneggiato dalla neoplasia che ha infiltrato anche il nervo frenico omolaterale.

Il decorso post-operatorio è stato regolare, il paziente non aveva più la dispnea quindi almeno la
palliazione è stata efficace, ed è stato avviato al trattamento chemioterapico specifico.

Questo è il caso che volevo farvi vedere oggi, avete domande?

STUDENTE: “Ma in caso di tumore nel principale destro vicino la carena, posso mettere uno stent
preventivo a sinistra per proteggere la via?”

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Si, può avere un senso. Dipende se aggetta nella trachea, se aggetta si posso farlo per evitare che il
tumore entri a sinistra con uno stent a J monolaterale. Posso anche fare radioterapia per ridurre la
massa. Tutte queste manovre hanno però dei rischi, la posa di stent il sanguinamento, la
radioterapia pure. Inoltre le secrezioni con lo stent vengono espulse in maniera meno efficace non
avendo il sistema muco-ciliare funzionale in quel tratto.
Quindi si, l’abbiamo fatto qualche volta, però è una manovra che ha comunque delle complicanze.

ENDOSCOPIA TORACICA

Ora facciamo la lezione di oggi sulla parte teorica, che è sull’endoscopia.


In parte chi ha fatto patologia chirurgica queste cose le ha già sentite, è un ripasso di quelle che
sono le nostre opzioni diagnostiche e terapeutiche di endoscopia toracica.

L’endoscopia è un esame che si prefigge mediante le fibre ottiche di andare a valutare organi cavi,
come le vie aeree.
Le fibre ottiche hanno costituito la svolta perché consentono il trasporto della luce dentro queste
strutture cave che sono per natura al buio, senza luce non vedrei nulla!
In più le fibre ottiche o direttamente o indirettamente tramite microchip sull’estremità
permettono l’acquisizione di immagini e le trasmettono su dei monitor.
Tutti questi esami sono endoscopici: EGDS, digiunoscopia, ERCP, coledocoscopia,
mediastinoscopia, ecc…in tutti i casi valuto strutture cave o strutture distensibili (l’addome non è
cavo, lo valuto con la laparoscopia dilatandolo con CO2).
L’endoscopia può essere diagnostica, per vedere, o terapeutica, come via di accesso per eseguire
un trattamento chirurgico.
L’obbiettivo diagnostico è quello di avere una visione diretta del processo patologico e di
campionare citologicamente o istologicamente il tessuto patologico.
La diagnostica può essere associata alla radiografia (nella ERCP per esempio o anche nella
diagnostica invasiva terapeutica nella broncoscopia rigida: quando posiziono uno stent per
garantire il corretto posizionamento uso tecniche combinate, cioè lo posiziono endoscopicamente
e monitoro radiologicamente con le estremità fatte di bande radiopache).

Le caratteristiche degli endoscopi dovreste già conoscerle: sono strumenti molto flessibili, con la
possibilità di curvare a 120° fino a 180° e tornare indietro, quindi di esplorare in modo esteso gli
organi che valutiamo.
Hanno poi la possibilità di avere un calibro molto modesto, di pochi mm; vi sono endoscopi di soli
2 mm al giorno d’oggi utilizzati in ambito pediatrico.
Voi vi ricordate più o meno quanto è la trachea dell’adulto??
E’ 2- 2.5 il diametro della trachea: un endoscopio di 5mm può dare quindi fastidio, ma porta via
solo 1/5 del diametro! In un bimbo, che ha un diamentro di 1,8, l’endoscopio rigido toglie circa 1/3
dello spazio!

L’endoscopia toracica è costituita da 2 tipi di esami: quella che esplora le vie aeree (endoscopia
tracheo-bronchiale) e l’endoscopia che esplora la cavità pleurica (toracoscopia) , spazio virtuale
ma che può essere disteso per insufflazione di aria o per uno PNX. Nel momento in cui lo apro,
entra subito aria, il polmone collassa e diventa subito uno spazio reale. Poi se l’anestesista mi aiuta
insufflando solo l’altro polmone, quello spazio mi diventa subito molto evidente.

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Iniziamo a parlare di endoscopia bronchiale.
Può avvalersi di 2 tecniche: quella flessibile e quella rigida. Questo paziente per esempio ha fatto
prima la flessibile per la diagnosi, la rigida per la terapia.
Quello flessibile può essere effettuato con un passaggio da naso o bocca, permette di andare in
periferia sino ai bronchi sub-segmentari; quello rigido invece no, passa solo tramite la bocca con
un iperestensione del collo in modo da rettilineizzare le vie aeree e passare da bocca, corde vocali
e trachea.
Qui vedete nel dettaglio, questo è un piccolo broncoscopio da 3.9 mm, che ha 2 fonti di luce, il
chip con la telecamera in punta e questo grosso spazio che è il canale operatore. Esso permette di
prelevare tramite soluzione fisiologica tutto cio che c’è dentro o di introdurre strumenti per una
biopsia o uno spazzolamento. La capacità di flessibilità permette di prelevare in tutte le direzioni.

La definizione di broncoscopia è: esame visivo diretto delle vie aeree, dal laringe allo sbocco dei
bronchi segmentari e sub-segmentari.
Permette di valutare la conformazione naturale: è importante sapere se ci sono delle anomalie
anatomiche, soprattutto se poi deve essere operato!! Valutare la pervietà (corpi estranei, tumori,
compressioni ab estrinseco), valutare la mucosa (normale, flogistica, neoformazioni vegetanti,..) e
valutare se ci sono secrezioni (posso aspirarle, come in una polmonite).
Chi fa broncoscopia non può non conoscere l’anatomia bronchiale! Se trova una lesione, deve
localizzarla esattamente se no dopo il chirurgo toglie segmenti errati! Chi di voi farà endoscopia,
dovrà sapere esattamente la localizzazione di dove si trova. Chi di voi farà endoscopia digestiva,
dovrà sapere esattamente dove si trova: è più difficile con le anse intestinali ripiegate su se stesse,
ci sono dei punti di repere ma non è sempre facile. A volte se è il tumore non è palpabile lo si
segna con la china, così il chirurgo poi lo ritrova facilmente.

I vantaggi della broncoscopia flessibile sono quello di permettere una visione più distale, è meno
traumatizzante (non richiede anestesia totale ma solo lieve sedazione), permette di avere una
qualità dell’immagine molto buona (i nuovi videobroncoscopi hanno definizione elevatissima) e la
possibilità di introdurli non solo dalla bocca, ma anche dal naso o dalla tracheostomia in un
paziente tracheostomizzato (non posso fare la rigida, perché quando entro trovo subito un angolo
di 90°!); infine posso esplorare le vie aeree anche in pazienti intubati con tubo tracheale.
Il canale operatore ci permette di fare prelievi bioptici con pinze, fare il lavaggio bronchiale e il
bronco aspirato citologico o aspirare le secrezioni e quindi disostruire.
Lo svantaggio è che il canale operatore è piccolo: se il calibro del broncoscopio flessibile è 5mm, il
canale operatore ha un calibro di 2.2 mm, quindi cosa passa: una pinza per biopsia, ma se si mette
a sanguinare gestire l’emorragia diventa complicato. Mentre con il rigido di calibro 1 cm si può
mandare giù l’aspiratore di calibro 4-5 mm e ci permette di dominare sanguinamenti importanti.
In più con il rigido c’è spazio per introdurre contemporaneamente aspiratore e un altro strumento
come una pinza, cosi da lavorare meglio sull’emorragia.

Come si deve preparare il malato per fare una broncoscopia?


Attenzione perché può essere sottovalutata la broncoscopia, ma è un esame che ha un tasso di
complicanze e di mortalità che non è 0, la mortalità è 1/1000. In un ospedale come quello di
Varese che se ne fanno 800-900/anno, il rischio di mortalità è circa 0,5-1/anno. Non è irrilevante!!
Bisogna quindi raccogliere l’anamnesi per fargli correre meno rischi possibili (es. terapia
antiaggreganti o anticoagulanti, che rendono incompatibili la broncoscopia o più comunemente il
prelievo bioptico, perché darebbe emorragia ed emottisi).

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Illustrare al paziente motivi, modalità e complicanze dell’esame facendo firmare il consenso
informato, sottolineando la possibilità che non per forza mi darà una diagnosi!
Il paziente deve stare in posizione ortopnoica, ma oggi è relativo: oggi lo facciamo con paziente
sdraiato e accesso dalle spalle, o in posizione semiseduta.
Deve essere sempre preventivamente messo un accesso venoso periferico per iniettare farmaci in
caso di complicanze e devo sempre monitorare i parametri vitali, tenendo conto eventuali
desaturazioni o alterazioni cardiache, come la tachicardia che è un evento molto frequente
essendo un esame stressante e fastidioso, pensate di avere per 10 minuti la sensazione di un
corpo estraneo in gola!!
Molte volte i pazienti sentono sensazioni dispnoiche, dicono che gli manca il respiro: non è reale
perché non occlude la trachea il broncoscopio, è una sensazione dovuta al contatto con la mucosa.
Somministrare O2 è fondamentale, mentre una blanda sedazione sistemica è fondamentale per
ridurre ansia e sensibilità, e anestesia locale per ridurre effetto tossigeno da contatto dell’esame.
Il paziente va mantenuto tranquillo e va informato su come comportarsi durante i primi accessi di
tosse o dispnea; se il paziente si agita eccessivamente durante l’esame o diventa cianotico o si
alzano i parametri vitali, sospendere l’esame.

Dopo l’esame osservare il paziente per almeno 30 min con il monitoraggio dei parametri vitali, il
digiuno almeno per 1h perché l’anestesia locale laringo-faringea può portare ad ab ingestis.
Avvisare il paziente della possibile comparsa di emoftoe e di rialzo termico transitorio. L’emoftoe
può avvenire per biopsie ma anche solo per il contatto del broncoscopio con la mucosa che crea
microtraumi.
Il secondo problema è il rialzo termico transitorio, lo stress è tanto e ha un effetto pro-
infiammatorio l’esame invasivo.

Le indicazioni dovreste già saperle: tutte le neoplasie polmonari, bronchiali, le atelettasie, i


sospetti di infezione o malattia tubercolare, le emorragie (emottisi o emoftoe), la dispnea in
assenza di storia nota di patologia sottostante, la rimozione di corpi estranei, la valutazione di
fistole tracheo-esofageo o tracheo-bronchiali.
E ovviamente i prelievi mirati bioptici tramite broncoaspirati, BAL (inietto fisiologica e prelievo
cellule che si esfoliano) , spazzolamenti bronchiali o delle biopsie endobronchiali.
Questa invece è una biopsia trans-bronchiale, con un piccolo agoaspirato passo tramite la parete
del bronco e prelievo un pezzo bioptico di linfonodo sottocarenale per esempio, sotto guida
fluoroscopica.

Le controindicazioni alla broncoscopia sono una grave insufficienza cardiaca, le extrasistoli


ventricolari, le gravi alterazioni della coagulazione, la patologia asmatica (la peggioro con il
broncoscopio che tocca i bronchi), la grave insufficienza respiratoria non correggibile con O2.
Anche l’iperpiressia è una controindicazione, perché il paziente con importante è già tachicardico:
se parto da 80 e lo porto a 150 è un conto, ma se già parto da 110-120 e lo porto a 210 è un altro!

Torniamo a parlare di broncoscopia rigida ora.


Come vedete ha il grosso handicap di non essere angolato, e quindi di dover rettilineizzare
l’accesso, e di farmi vedere solo fino la carena, al massimo un pochino di bronco principale.
E’ utile perché mi permette di fare delle dilatazioni con palloncino di stenosi, rimuovere tumore
con il laser, posizionare stent o rimuovere corpi estranei.
Il canale operatore ha due accessi, in uno eventualmente si può collegare l’ossigeno per insufflare
il polmone.
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--Mostra caso di rimozione di corpo estraneo con broncoscopio rigido –

Le neoplasie vengono trattate in maniera differente a seconda della posizione: laser più stent se
sono endoluminali (prima ricanalizzo con laser, poi metto lo stent che tiene aperto), se è ab
estrinseco metto solo lo stent, se è una forma mista metto uso anche qui sia laser per asportare e
poi uno stent per mantenere aperto.
Lo svantaggio dello stent è che nelle maglie può infiltrare il tumore, è stato perciò suggerito di
coprire le maglie con silicone o altri materiali per impedire questo fenomeno.
Inoltre le maglie hanno un altro problema, cioè che sono irritative per la mucosa: ad ogni atto
respiratorio ovviamente è qualcosa che limita l’autodistendersi della mucosa, però permette di
rendere pervio qualcosa che prima era stenosato.

Qui vi mostro tutti i tipi di stent: tubo a T di Montgomery, tubo a Y carenale, tubo a J
monolaterale, stent semplici lineari bronchiali…possono essere di diversi materiali, di diverse
forme, con o senza punti di ancoraggio…

Non vi parlerei della VAT (toracoscopia video-assistita) oggi, ma terminerei facendovi vedere
qualche video di broncoscopie fatte da noi.

Ci sono domande?

STUDENTE: “Ma se ho un emottisi o un emorragia imponente, devo aprirlo?”


Eh si! Il primo tentativo è risolverlo con il rigido, magari metto un fogarty, un pallone che tenga
compresso, o un aspiratore che mi permette di aspirare la perdita. Dipende da che vaso è che mi
sanguina, se sistemico ad alta pressione o polmonare! In urgenza, si tende ad aprire si. Sono eventi
rari, per fortuna.

STUDENTE: “Ma nel caso di masse endobronchiali, il trattamento laser per asportare il tumore non
mi causa lo sgocciolamento di cellule tumorali distalmente al bronco?”
Allora, si certamente. Il discorso è che tu fai questi trattamenti con scopo palliativo. La domanda è
pertinente, io non ve l’ho detto ma lo scopo del mio trattamento non è curare la malattia ma
palliativo, vado a ricanalizzare il paziente per trattare il sintomo asfissia. Ho due possibilità: o lo
intubo e lo ventilo con ventilatore meccanico (ma ventilare un malato neoplastico non ha senso)
oppure disostrusisco e metto uno stent; magari muore dopo 2 mesi per la neoplasia, ma per quei
due mesi gli assicuro una ventilazione migliore e gli risolvo la dispnea.

83
Clinica chirurgica 01/12/2015

Accesso alla cavità toracica

Oggi nella prima parte vorrei parlarvi almeno dal punto di vista teorico di quello che
è l’accesso alla cavità toracica, per capire quelli che sono i tempi essenziali ed il
trauma che è causato da un intervento chirurgico semplicemente per l’approccio
che noi utilizziamo per entrare all’interno del torace per poter eseguire un
intervento principale, tipo l’asportazione di una neoplasia polmonare o
mediastinica, ovviamente dobbiamo accedere al cavo toracico o pleurico tramite
degli accessi che sono più o meno invasivi. Le opzioni che abbiamo mini invasive
sono quelle che comportano il minor trauma per il paziente e per minor trauma si
intende un approccio he abbia un’incisione della parete toracica minore e che quindi
determini un minor rilascio di sostanze pro infiammatorie che sono il TNF-alfa, l’IL,
ed in termini di quello che è il dolore nel post operatorio del paziente, perché il
problema grosso in un intervento maggiore è che il dolore nel post operatorio
condizionerà l’attività respiratoria di questi malati e se il paziente avrà un respiro
cosiddetto antalgico cioè superficiale la possibilità di ventilare le zone più declivi del
suo polmone si riduce e quindi si causeranno delle situazioni di atelettasia che
magari sono già state causate dall’anestesia intraoperatoria ma certamente il
respiro antalgico essendo a bassi volumi e non ventilando gli alveoli periferici causa
ristagno di secrezioni la quale causa atelettasia e sulla quale si può instaurare
un’infezione che causerà la polmonite e di polmonite in chirurgia toracica si muore,
ovvero circa un 10% dei malati che vengono sottoposti ad interventi di chirurgia
toracica maggiore hanno una complicanza polmonare e di questo 10% un altro 10%
muore di polmonite. Sapendo che in chirurgia toracica la mortalità è tra l’1 e il 2%,
capite come almeno la metà dei pazienti che non superano il postoperatorio, morirà
di polmonite, quindi Se noi riduciamo i fattori di rischio che sono certamente legati
alla respirazione , aiutando con gli incentivatori respiratori e la fisioterapia,
andiamo a ridurre in modo significativo il dolore nel postoperatorio e riduciamo in
modo significativo le polmoniti. Quando lo stesso intervento è eseguito in
toracotomia o in toracoscopia, le stesse complicanze si riducono del 50%, solo per
questo si dovrebbe cercare di fare sempre più interventi mininvasivi, certo è che si
dovrebbero fare con lo stesso grado di sicurezza per il malato, gli stessi principi
oncologici di radicalità. E’ considerato più invasivo un intervento toracotomico
perché con la toracotomia andiamo a fare un’incisione di 10-15-20 cm che va ad
interessare diversi piani anatomici(cute, sottocute, piano muscolare, piano osseo,
fascia toracica e la pleura parietale), tutti questi dovranno essere incisi, sezionati,
fare un adeguato controllo dell’emostasi del sanguinamento intra e soprattutto
postoperatorio. Apro una parentesi: durante un intervento chirurgico il paziente è in
condizioni ideali durante l’anestesia generale, tranne che all’induzione e al risveglio,
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quando le condizioni sono anomale perché mentre ha mantenuto la P.A. sotto
controllo , la funzione respiratoria ecc durante l’anestesia. Nel momento
dell’induzione e del risveglio si ha un’alterazione dell’omeostasi in generale e
questo vuol dire che si può arrivare ad avere delle pressioni molto alte, soprattutto
al risveglio. Se io l’emostasi l’ho fatta con una pressione di 80mmHg di sistolica e al
risveglio il paziente si presenta con una pressione di 120, può essere che il coagulo
che io ho raggiunto con l’emostasi intraoperatoria non sia sufficiente e quindi devo
comunque fare molta attenzione ad eseguire l’emostasi perché le condizioni in cui
sto lavorando non sono le stesse di quelle in cui si troverà il paziente al risveglio.
L’incisione della cute viene eseguita con il bisturi a lama fredda e quella del sotto
cute con il bisturi a lama calda (taglia e cauterizza contemporaneamente), il piano
muscolare dovrà essere inciso sempre con un bisturi a lama calda e dovremo
ricordarci che a livello della parete toracica i muscoli vengono raggruppati
grossolanamente in superficiali e profondi. Anteriormente gran pettorali, gran
dentanti, grande obliquo costituiscono i muscoli superficiali; i posteriori il trapezio
ed il gran dorsale, di lato il romboide. Entrando nel torace è ovvio che qualche
muscolo dovrò essere sacrificato. Il principio è: meno muscoli seziono meglio è per il
paziente sia in termini di dolore nel postoperatorio sia in termini di ripresa di attività
respiratoria. Se dovessi fare una toracotomia standard, che passa per la punta della
scapola detta ad esse italica, il muscolo gran dorsale bene o male lo dovremo
sacrificare. C’è la possibilità se fosse abbastanza lasso di incidere alcune fibre e
divaricarlo facendo quella che viene definita muscle sparing, cioè a risparmio
muscolare, l’alternativa è sezionare il muscolo gran dorsale e a livello della fascia
romboide-serratica, questo muscolo romboide ed il dentato anteriore si fondono, se
incido a livello di questa fascia non vado ad incidere le fibre muscolari quindi avrò
meno dolore nel post operatorio. Il piano osseo teoricamente può anche non essere
sezionato, ma noi pensiamo che fare una resezione chirurgica di una costa sia
meglio che non provocare una rottura con la divaricazione, cioè sezionare
volutamente una costa in modo netto è meglio che non avere 1 o 2 rotture casuali,
perché non rompo solo la costa su cui mi si appoggia il divaricatore ma aprendo
tutta la parete mi si spostano tutte le coste sopra. Il malato se noi dobbiamo
eseguire una toracotomia postero-laterale deve essere posizionato di taglio,
appoggiato sul fianco contro laterale rispetto al lato sul quale eseguiremo
l’intervento,essendo sul fianco non ha un decubito come quello supino o prono, in
cui si appoggia e non gli succede niente ma dovrà mettere dei fissatori a livello
gluteo e sternale e il braccio superiore dovrà essere iperesteso per aumentare gli
spazi costali. L’incisione ad esse italica è quella standard postero-laterale ed ha
come punto di repere l’angolo della scapola, si sente l’angolo della scapolo, si sta
due dita al di sotto dell’angolo della scapola perché noi sappiamo che questo è il 5
spazio intercostale di regola. Esistono vari tipi di toracotomie, ogni scuola utilizza la
sua e quella con cui si trova meglio ad eseguire l’intervento, certo che ci sono delle
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regioni di tipo anatomico che devono essere tenute in considerazione. La postero-
laterale, la laterale larga, la laterale , la posteriore e l’ascellare. Quella postero-
laterale è la più ampia, va ad incidere le fibre del trapezio, il gran dorsale e la fascia
romboide-serratica, oggi praticamente non viene più utilizzata a meno di condizioni
particolari. Aperti i piani muscolari compare la punta della scapola, il chirurgo mette
la mano al di sotto della punta della scapola per poter contare gli spazi intercostali e
come punto di repere abbiamo l’inserzione dei muscoli scaleni che si inseriscono a
livello della seconda costa, e quindi andremo a contare, tra la quinta e la sesta costa
c’è il quinto spazio intercostale e si andrà ad incidere a livello del margine superiore
della sesta costa. Aperto lo spazio intercostale si mette il divaricatore di finocchietto
e si apre lo spazio intercostale, ovviamente a questo punto tutti gli spazi intercostali
sono schiacciati. Quella che invece eseguiamo oggi è la toracotomia laterale muscle-
sparing, si prevede un’incisione minimale del muscolo gran dorsale e si incide la
fascia romboido serratica, è molto rapida ma soprattutto causa meno dolore. La
toracotomia antero-laterale è quella che dalla punta della scapola si porta
anteriormente, passando per il solco sottomammario. In questo tipo di toracotomia
il conteggio degli spazi intercostali è meno agevole, si può avere come punto di
repere l’angolo di Louis. L’anteriore ha meno dolore rispetto alla laterale, ma non è
vero che ha meno complicanze perché può portare alla formazione di sieromi.
Quella posteriore è eseguita solo per l’accesso ai tumori della colonna, o tumori
neurogeni, sono più demolite rispetto alle precedenti e anche dolorose. La
toracotomia ascellare verticale ha un grosso vantaggio, andiamo in una zona
muscolare, perchè è la zona tra il pilastro ascellare anteriore e quello posteriore, ma
rispetto alla laterale classica ha un problema, cioè l’incisione è esattamente
ortogonale rispetto al piano intercostale, quindi avrò la necessità di avere
un’incisione lunga.. Viene utilizzata per interventi minori, tipo pneumotorace,
bullectomia, piccole resezioni polmonari. In conclusione la toracotomia è un
intervento di chirurgia toracica maggiore che consente di avere un ottimo controllo
sull’ilo polmonare sia anteriore che posteriore quindi consente di eseguire interventi
in sicurezza. Gli accessi con risparmio muscolare hanno come grosso vantaggio
quello di provocare meno dolore e di ledere meno la funzionalità della parete
toracica e quindi di aver un minor impatto su quella che è la funzione respiratoria.
L’aspetto cosmetico per quanto mi riguarda è il meno rilevante di tutti, a volte i
pazienti però lo cercano. Infine ricordiamoci sempre che quando si fa un intervento
l’approccio è soltanto la via di accesso, quindi se io ho necessità di avere una visione
che necessita di una toracotomia di 20 cm , faccio la toracotomia di 20 cm perché
devo rispettare il principio di radicalità oncologica, non ha senso fare un intervento
con una toracotomia di 10 cm che provoca 2/3 del dolore di una di 20 e poi lasciare
il tumore in sede, oppure non riuscire a controllare adeguatamente il
sanguinamento e far perdere un litro di sangue al paziente perché non ho voluto
allungare la toracotomia.
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La sternotomia
E’ l’altro approccio invasivo al torace per via anteriore, ci consente di approcciare
dal davanti sia il campo mediastinico che i campi pleurici. Dovremo andare a
sezionare i piani cutanei e sottocutanei e i piani muscolari che vanno dall’alto dal
platisma, muscolo della regione cervicale, in realtà, noi avremo la necessità di
liberare bene la parte alta dello sterno , perché al di sopra c’è il giugolo. Poi ci sono
gli sterno-cleido-mastoidei, gli sterno-ioidei e gli sterno.-tiroidei, tutti muscoli che si
inseriscono a livello cervico- sternale e che devono essere liberati. Un tempo la
stereotomia aveva come incisione cutanea un’incisione a T, cioè tutto lo sterno a
livello mediano e poi a livello cervicale due cm a sx e due a dx e si faceva questa
piccola T, questo per avere accesso e per liberare bene tutti i muscoli sterno
cervicali, poi a livello dello sterno si inseriscono i muscoli pettorali, quindi dovremo
fare attenzione ad incidere esattamente in mezzo quindi a non incidere le fibre
muscolari ma esattamente la fascia. Non è sempre semplice stare esattamente in
mezzo soprattutto se ci si trova di fronte a dei soggetti piccoli e l’inconveniente di
andare laterali è rappresentato dal rischio di ledere i vasi mammari. Al di sotto
abbiamo i muscoli retti dell’addome che si inseriscono a livello della xifoide,
dovranno essere anch’essi identificati e liberati. Lo sterno è costituito da tre
componenti, manubrio, corpo e xifoide che dovranno essere sezionati tutti o in
parte a seconda del tipo di stereotomia che andremo a fare. Ovviamente bisognerà
liberare bene a livello giugulare per avere accesso bene al piano retro sternale. La
sternotomia più praticata è quella mediana totale, cioè quella che prevede la
sezione di tutto sterno secondo l’asse mediale, meno frequenti sono la mediana
parziale, la mediana allargata alla toracotomia, la laterale o trasversale con
toracotomia chiamata anche a conchiglia ed è quella più utilizzata per il trapianto
polmonare. Il paziente dovrà essere posizionato in decubito supino con un rotolo
sotto le spalle per esporre la regione giugulare, punto fondamentale per la
stereotomia perché si potrebbe andare a ledere l’arteria Anonima, le braccia lungo i
fianchi, si farà un’incisione di cute e sottocute, si inciderà lo sterno si libererà la
xifoide si farà attenzione all’emostasi, perché l’ osso è si costituito da due tavolati
ma in mezzo c’è midollo che è facilmente sanguinante, si divaricherà lo sterno, si
eseguirà l’intervento e dopo di che si sintetizzerà il tutto. Gli sterno tomi sono di
vario tipo, quello a sega oscillante che è quello più utilizzato per i re interventi
quando non si riesce a scollare la fascia dalle aderenze al pericardio perchè è stato
già fatto un intervento cardiaco, fà delle sezioni molto sottili e superficiale che ci
consente di essere molto più prudenti, perché lo sterno tomo normale ha una
ghiglia che si mette al di sotto dello sterno e a causa delle numerose aderenze non
riesce a passare, il terzo sterno tomo di cui dobbiamo essere sempre forniti in
ospedale è lo sternotomo , è un vecchio sternotomo, perché se non c’è corrente e
non ci sono batterie dobbiamo completare la stereotomia con questo strumento. Ha
fondamentalmente lo stesso principio, una parte che si inserisce al di sotto e ci
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consente di sollevare lo sterno e una martelletto che permette alla parte tagliente di
sezionare. Una volta fatta la stereotomia bisogna stare attenti a fare un’accurata
emostasi, si può applicare la cera sterile come fanno i cardiochirurghi, noi non la
utilizziamo per un semplice motivo,perché è un corpo estraneo che viene messo in
prossimità dello sterno ed è un pabulum di infezione notevole, quindi noi
preferiamo ottenere un’emostasi accurata con l’elettrobisturi e per compressione,
perché comunque non sono dei vasi ad alta pressione e dopo 5 minuti di pressione
con delle garze in realtà smette di sanguinare. Perdiamo 5 minuti di tempo però
evitiamo di mettere materiale estraneo. In seguito si posizionano i divaricatori e
piano piano si divaricano consentendo la visione del campo operatorio, si
posizioneranno uno o più drenaggi o intrapericardici o sopra pericardici. La sintesi
della stereotomia tra i vari tempi prevede il passaggio osseo con punti metallici,
bisognerà risintetizzare i muscoli che avevamo liberato con filo riassorbibile e poi il
piano della cute con sutura continua e filo riassorbibile. Per uno sterno si mettono
tra i 4 e i 5 punti metallici, sono aghi molto grossi quindi è importante non prendere
quello che sta sotto, posizionati i punti metallici bisogna annodarli, facendo una
progressiva pressione ed avvicinando i due emisterni, il filo in eccesso verrà tagliato
e la porzione che esce che è poi quella che da stabilità dovrà essere ripiegata verso
l’interno perché sennò fuoriesce dalla cute. La stereotomia con risparmio del
manubrio è un’altra opzione, si seziona solo il corpo e la xifoide, ha uno svantaggio
ed è che bisogna fate una sezione a T a livello del manubrio, dell’angolo di Louis, ci
consente lasciando integro il manubrio di avere una stabilità a livello sterno-cleido-
mastoideo e claveare assolutamente migliore che non con la sezione, quindi il
paziente nel postoperatorio avrà meno dolore, l’incisione trasversale però a livello
del manubrio dello sterno deve fare attenzione a non sezionare i vasi mammaria a
questo livello, noi ormai non utilizziamo più questo tipo di approccio. La stereotomia
parziale alta e bassa permette estendendo verso l’alto verso il basso la stereotomia
di avere un ampio accesso per neoplasie mediastiniche. Si può fare una toracotomia
allargata ad una stereotomia laterale quando la neoplasia ha infiltrato la pleura. min
da 48 a 52 rifare .da un punto di vista delle complicanze di tre tipi: infezione ,
emorragia e deiscenza , l’infezione di ferita è una delle più frequenti, tanto più c’è
contaminazione del campo operatorio tanto più si rischia un’infezione, la
toracotomia è un intervento pulito di per sé può comportare un’osteocondrite ed il
passaggio dell’infezione al piano sottostante cioè al mediastino e la mediastinite è
un processo infettivo gravissimo che può comportare la morte in un 30% di casi,
quindi quando c’è un processo infettivo bisogno evitare l’evoluzione in mediastinite,
quindi toilettare il più velocemente possibile quella ferita e piuttosto riaprirlo ed
evitare che si contamini. L’emorragia è un altro problema, attenzione perché a volte
durante l’intervento non sanguina e poi al risveglio sanguina e si forma l’ematoma, il
semplice fatto che si sia creato l’ematoma distende le fibre e apre di nuovo la
possibilità ad un ulteriore cedimento, il caso tipico è l’ematoma dei retti che si ha
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dopo puntura con farmaci anticoagulanti se invece di farli sottocute si fanno
intramuscolo, l’ematoma porta ad una separazione delle fibre muscolari e
l’ematoma che si viene a creare peggiora il sanguinamento, tutto questo può
portare il pz a shock emorragico. Infine la deiscenza, vuol dire che la sintesi dei due
emisterni non è completa, è un’emergenza bisogna portare il malato subito in sala
operatoria perché quello che può succedere è che si erni il cuore e se si ernia il
cuore si muore.

Toracoscopia
E’ il contraltare degli accessi maxi invasivi che abbiamo visto fino ad ora, sono quelli
che con l’ausilio di una videocamera introdotta tramite un trocar permette la visione
di quello che c’è all’interno del cavo pleurico e tramite altri due trocar consentirà
l’esecuzione dell’intervento tramite la vista in un monitor. Tutti gli strumenti sono
controllati dall’esterno tramite degli accessi di circe 1 cm, Ovviamente noi
guardiamo il monitor e non direttamente il malato, il problema è che in questo
modo non abbiamo la palpazione e quindi è vero è meno invasivo ma dobbiamo
garantire al paziente la stessa sicurezza e se è possibile lo stesso risultato in termini
oncologici. La toracoscopia è sia diagnostica che terapeutica, diciamo che fornisce
un’accuratezza diagnostica di circa il 100%, i casi in cui non si arriva alla certezza
diagnostica sono due: il primo è il caso del mesotelioma dovuta ad un’inadeguatezza
del campione bioptico, perché il mesotelioma non infiltra sempre dappertutto e
questo problema lo si supera facendo 9 prelievi bioptici, tre in tre punti diversi. Il
tasso di mortalità è di 0,4-0,5. La diagnosi nel mesotelioma nodulo polmonare unico,
versamento, tumore mediastinici, linfomi, stadiazione del cancro del polmone. Le
indicazioni terapeutiche: decorticazione, pleurodesi, empiema pneumotorace
metastasectomia, carcinoma del polmone, tratt. del timoma, fenestrazione
pericardica, simpaticectomia.

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Lez 4/11/2015 clinica chirurgica, chir. toracica Imperatori

CASO CLINICO 1
Signora di 71 anni; BMI: 24-28; non fumatrice; astemia; affetta da ernia iatale e BPCO. Il fatto che
sia affetta da BPCO ci era sembrato strano considerato il fatto che si tratta di una pz non fumatrice
ed in effetti indagando si era scoperto che il marito invece fumava (da qui a dire che il fumo
passivo causa BPCO il passo è un po’ più importante, ma in ogni caso qui c’era una storia familiare
importane di fumo passivo). A causa dell’ernia iatale la donna pur essendo asintomatica a livello
toracico si sottopone ad accertamenti tra cui esegue anche una rx torace. Questa evidenzia una
opacità diffusa alle basi compatibile con la BPCO ed anche però una radiopacità di aspetto
nodulare al campo inferiore di sx. Si tratta di un reperto accidentale in una paziente che esegue un
esame anche non molto indicato per una semplice pirosi retrosternale da ernia iatale che non ha
sintomi toracici associati.
Come mi comporto a questo punto? Per chiarirmi le idee chiedo alla paziente se ha una rx vecchia
e tendenzialmente un pz con BPCO dovrebbe averla, purtroppo in questo caso la pz riferisce di
averla persa. A voce comunque la pz riferisce che nell’RX precedente era tutto negativo, ma noi
non ci fidiamo. Il medico di base decide di farla ricoverare. Questo caso è del 2007 ed Oggi questo
non succederebbe perché in una pz asintomatica pur con una storia di BPCO e una radioopacità
polmonare la gestione è sul territorio e non si fa il ricovero.
Ipotesi:
1) Processo infettivo dato da una riacutizzazione della BPCO. (Difficile perché la pz è asintomatica)
2) Potrebbe essere una portatrice di TBC e avere una riacutizzazione.
3) Una neoplasia. (ci teniamo aperte tutte le strade sia primitiva che metastatica e benigna o maligna).

Iter diagnostico:
1) TC torace.
2) Bronscopia.

Li chiedo insieme? no. Prima faccio la TC perché ci da molte più informazioni e queste stesso info
poi possono essere utili al broncoscopista il quale poi potrà anche fare la biopsia. Se prima non so
dove si trova non posso andare alla cieca con la broncoscopia e fare il prelievo a caso. Se io ho
fatto la TC posso addirittura fare la biopsia o la citologia anche se macroscopicamente non vedo la
massa, ma sapendo dove si trova con la TC posso incanalarmi nel sub-segmentario che mi conduce
alla massa. Si può fare un broncoaspirato iniettando della fisiologica e aspirando oppure ricavare
delle cellule con uno spazzolino. Di fronte ad una neoformazione del genere che senza dubbio è
sopra 1 cm (sopra gli 8 mm il nodulo merita una TC) indipendentemente dall’eziologia e non ci
interessa l’aspetto radio-protezionistico e facciamo senza dubbio una TC. Questa evidenzia un
addensamento al lobo inferiore di SX (non si vede la scissura ma mi aiuto con il resto dell’anatomia
per capirlo), con strie di raccordo verso la pleura e verso l’ilo (aspetto infiltrativo verso i linfonodi
ilari), margini che in base al taglio che selezioniamo appaiono più o meno regolari ed in particolare
in un taglio della TC si nota una forma triangolare con apice in corrispondenza di un bronco che dà
l’idea di una atelectasia. Questa può essere data da una ostruzione di un bronco o da una
polmonite lobare. Ricordarsi che è importante guardare bene tutti i tagli della TC e nel totale
possiamo dire che ci sono zono rotondeggianti ma anche zone con un aspetto quasi infiltrativo.
Un’altra cosa che si nota è che la pz ha una cardiomegalia che non è ancora patologica ma
evidenzia una dilatazione del cuore destro (anche se ancora non scompensato…ricordiamoci che
siamo in una pz con BPCO).

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A questo punto sta prendendo corpo l’idea che questo non sia un addensamento flogisto, ma
quello di un quadro neoformativo infiltrativo (ancora benigno o maligno è da valutare).
Abbiamo bisogno di una stadiazione e qunidi chiediamo:
1) TC addome, TC encefalo, scinti ossea  perché le metastasi della neoplasia polmonare sono al
fegato, al surrene, al SNC, alle ossa. Non dimentichiamo il polmone controlaterale. Tutti questi test
sono risultati nella norma.

Vengono eseguiti inoltre i seguenti esami:


2) Spirometria: FEV 107% (2.12 litri). Quindi anche questa prova è più che buona.
3) Broncoscopia: neoformazione che si pone a cavaliere su una divisione sub-segmentaria di un bronco
determinando una ostruzione parziale. Che caratteristiche ha la neoformazione? è endobronchiale;
localizzata alla piramide basale del lobo inferiore di SX; ha un aspetto rosso vivo; presenta scarsi
depositi biancastri di fibrina; qualche irregolarità con un nodulino; sembra entrare in contatto con la
parete del bronco; da questa immagine non possiamo vedere l’aspetto infiltrativo. Capiamo subito
che è poco probabile che si tratti di una patologia infiammatoria, sembra più una patologia
neoplastica primitiva e dall’anatomia patologica sappiamo che l’istotipo che cresce soprattutto così
endoluminale e si presenta più frequentemente nelle donne non fumatrici è il T. CARCINOIDE
(quindi uno dei tumori neuroendocrino, i quali vengono considerati una categoria a parte del
tumore del polmone, sono proprio tipici delle donne non fumatrici. Il microcitoma è molto
aggressivo con metastasi ai linfonodi precoci che noi non abbiamo, lo squamocellulare è più
frequente tra i fumatori, l’adenocarcinoma è anche lui tipico delle donne non fumatrici. “Non
capisco quindi perché non lo ha sospettato…vabbè”.)
Viene fatta una biopsia e l’anatomopatologo conferma il carcinoide e ci dice anche che ha un basso
grado di malignità. Viene refertato come un probabile carcinoide tipico…su un campione bioptico
oggigiorno non ci si sbilancia così perché oggi per determinare se si tratta di un carcinoide tipico o
atipico non bastano le caratteristiche morfologiche ed infiltrative ma serve anche il numero di
mitosi e un campione bioptico non è sufficiente per capirlo. È un tumore maligno anche se di bassa
malignità.

Prognosi: la donna di per se con BPCO e ernia iatale e a 71 anni presenta una aspettativa di vita di
circa 15 anni. Ragioniamo sulla prognosi di un carcinoide…
Se operato ha una sopravvivenza di:
 5 anni:
o 90% nella forma tipica
o 60-70% nella forma atipica,
 A 10 anni:
o 80% nella forma tipica
o 50% nella forma atipica

Se non operato ha una sopravvivenza di: non lo ha detto ma dice che sono pochi
Trattamento: capiamo che la prognosi della pz è impattata dal carcinoide e quindi bisogna offrire
un trattamento. La prima cosa è un trattamento chirurgico ma se la pz non può essere sottoposta
a trattamento chirurgico oppure non dà il consenso devo cercare una seconda scelta. Il carcinoide
presenta recettori per la serotonina e per la somatostatina e quindi possiamo somministrare degli
inibitori per la somatostatina. La CHT può funzionare. La RT funziona ma a questo livello non è
radicale. Un’altra opzione è un trattamento laser disostruttivo per via endoscopica, anche questo
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non è radicale e non offre le garanzia della chirurgia, ma ci permette di fare un trattamento
palliativo che in un pz in cattive condizioni è una buona scelta. Questa pz è asintomatica e tutto
sommato in abbastanza buona salute quindi le si propone una lobectomia in toracoscopia e la pz,
informata dei rischi firma il consenso. Dal pezzo operatorio asportato si vede macroscopicamente
la massa (tra l’altro non un polmone molto “sporco “di depositi antracotici). L’anatomia patologica
ci dice che si tratta di un carcinoide tipico a cellule fusate cromogranina+, idrossitriptamina +,
indice mitotico di xx quindi classificato come carcinoide tipico. I linfonodi asportati tutti negativi.
Tumore di 2 cm e se guardiamo la TC di prima ci dava molto più di 2 cm perché c’era una grossa
quota di atelectasia data dall’ostruzione di un bronco e infatti alla TC dava 4cm…quindi attenzione
anche la TC può trarci in inganno.
Il carcinoide è un tumore a bassa malignità ma può essere multifocale. È indicata la scintigrafia con
octreotide marcato…possiamo anche sostituire questo esame con una PET ma questa non
funziona sulle forme tipiche perché hanno un basso indice mitotico e non vengono captate
eventuali metastasi.
Follow-up: ognuno il follow-up di questi pz lo fa come vuole perché ancora non ci sono linee guida
che ci dicono chiaramente cosa fare. Il prof dice di fare marcatori tumorali: cromogranina-A
(alterato se c’è una terapia con inibitori della pompa protonica quale omeoprazolo e la nostra pz
con ernia iatale probabilmente lo assumeva e NSE. Follow up troppo stretti non hanno senso
perché è una patologia a bassa malignità…magari si può fare cromogranina tutti gli anni (le faccio
sospendere omeoprazolo per il mese precendete) e poi alterno TC e RX un anno sì e uno no.

CASO CLINICO 2
Maschio di 83 aa ex muratore (asbesto), ex fumatore (P/Y: 45). Quindi abbiamo due fattori di
rischio importanti uniti ad un terzo che è quello della familiarità perché il paziente riferisce di
avere avuto un fratelllo deceduto per CA spinocellulare del cavo orale. In anamnesi patologica
remota abbiamo la resezione atipica di un nodulo fibrotico benigno. Dopo 5 anni ad una TC
(25/05/2011) di controllo svolta durante il follow-up si scopre che nel polmone opposto (quindi
non nella cicatrice chirurgica, non devo pensare ad una recidiva) si è formato un nodulo
polmonare di 7 mm al lobo superiore di DX.
Si esegue una RX torace: evidenzia senocostofrenico di sx obliterato da un versamento; nodulo
evidente nella stessa localizzazione che aveva evidenziato la TC; ispessimenti pleurici a sx;
scissurite a DX.
TC 23/10/2014: evidenzia nodulo di 15 mm. È aumentato in dimensioni ma anche alterato nella
morfologia, infatti adesso presenta margini irregolari e si nota una linfangite che sembra unire il
nodulo alla pleura. Calcoliamo il dubling time e vediamo che nel passaggio da 7 a 15 mm il DT: 378
gg (il range 50-450 è indicativo di rischio di neoplasia). Non dimentichiamo i due fattori di rischio
per il CA polmonare che abbiamo indicato prima. Per contro abbiamo un fattore di rischio negativo
dato dal nodulo controlaterale già asportato che era solo una fibrosi e tra l’altro dal 2007
sappiamo che il pz ha una forma di pleurite quindi abbiamo ancora il ragionevole dubbio che si
tratti di un nodulo infiammatorio anche in questo caso. Oggigiorno faremmo una PET per
escludere il rischio metastatico.
Iter diagnostico:
1. Spirometria
2. TC encefalo
3. Fibrobroncoscopia

Esiti tutti accetabili e nella norma.

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Terapia: lo sottoponiamo ad intervento chirurgico perché i fattori di rischio per quella neoplasia
sono troppo significativi e dato che il pz è in buone condizioni posso operarlo…inoltre ci serve un
esame istologico. Avremmo potuto fare una agobiopsia percutanea ma con questo quadro
avremmo avuto 3 opzioni:
 Esito positivo  in ogni caso la strada era quella chirurgica
 Biopsia non diagnostica  o ripeto la biopsia o scelgo subito la chirurgia
 Esito negativo con fibrosi  non ci saremmo fidati perché in ogni caso spesso intorno alla neoplasia
c’è fibrosi.

Tanto vale andare direttamente alla chirurgia, asportare tutto il nodulo ed analizzarlo tutto
guadagnado il vantaggio di un istologico più preciso. Si esegue quindi resezione atipica
videoassistita del lobo sup con esame istologico estemporaneo al congelatore che evidenzia
nodulo fibrotico senza segni di neoplasia. A questo punto ci siamo fermati, ma se l’esame
istologico estemporaneo avesse posto sospetto di neoplasia avremmo asportato tutto il lobulo
nello stesso intervento.
Il pz sviluppa una complicanza: mentre aspettiamo l’esame istologico definitivo il pz sviluppa un
versamento pleurico saccato, infatti si vede alla RX il livello idroaereo. Gli mettiamo un drenaggio
ed esce liquido ematico scuro compatibile con un sanguinamento del postoperatorio. In 8 giornata
il versamento si risolve arriva l’esito definitivo dell’istologico della resezione atipica che conferma
quanto detto in estemporaneo. A posteriori si potrebbe pensare erroneamente che era meglio
non farlo per evitargli la complicanza ma in realtà no, perché un nodulo con queste caratteristiche
ha l’indicazione assoluta di asportazione chirurgica ed è giustissima anche la scelta di fare l’esame
al congelatore.
Conclusione: alla fine il nodulo era benigno come quello di 8 anni prima controlaterale.
Evidentemente il pz aveva una predisposizione a formare questi processi fibrotici.
Una PET avrebbe aiutato? il nodulo fibrotico non capta ma questo era fibro-infiammatorio quindi
probabilmente avrei avuto una pet + e non mi avrebbe chiarito nulla…con una pet negativa in ogni
caso vinceva il discorso dei fattori di rischio troppo alti e quindi in ogni caso la chirurgia non si
poteva evitare.
VIDEO DI RESEZIONE POLMONARE (non ci interessa la tecnica ma capire il motivo)
1) Pz di 46 anni con intertiziopatia reticolare diffusa in parte nodulare prevalentemente alle basi. La TC
evidenzia BOOP. Videocamera inserita in 8 spazio. Si vede parenchima polmonare roseo e con pochi
depositi antracotici. Si fanno gli altri accessi e si va a “palpare” con uno strumento il lobo inferiore
per provare a sentire i noduli che si vedono alla TC, se ci sono si nota nel video ma soprattutto si
sente al tatto, che lo strumento è come se superasse uno scalino. Si fa la resezione con lo stapler.
Identificata la zona si fanno biopsie delle zone patologiche indicate dalla TC, in questo caso quindi
periferiche e parascissurali. La biopsia si esegue sempre con la suturatrice meccanica stapler.
L’istologia mi conferma la BOOP.
2) Pz con nodulo polmonare a vetro smerigliato con una densità alla TC modesta. Ispettivamente
visibile ma probabilmente non apprezzabile palpatoriamente appunto perché il nodulo è poco
denso. In questi casi in cui il nodulo è poco solido il collega radiologo sotto guida TC mette un
repere metallico per aiutarci ad identificare il target per fare la resezione. In questo caso donna non
fumatrice e infatti polmone roseo e non ci sono aderenze. Si estrae sempre con edobag per evitare
la contaminazione dell’accesso. Si apre sempre il pezzo poi e si vede sempre l’aspetto grigiastro
tigrato. Questo pz ha fatto poi la lobectomia polmonare.
3) Pz operato arruolato a predica. Riscontro a RX del 2003 di un nodulo molto piccolo e confermato
poi alla TC. Si ripete ad agosto una RX con sottrazione di energia che all’epoca nel 2003 non era
ancora standard oggi lo è. dopo aver fatto gli accessi si palpa introducendo il dito in un accesso. sì

93
asporta il pezzo e si apre subito per vederlo macroscopicamente: il nodulo è incluso nel pezzo,
presenta aspetto tigrato tipico del nodulo neoplastico. Si fa la prova di tenuta idrodinamica per
vedere se la cicatrice perde sangue o aria. Si fa l’emostasi delle aderenze. Si fa espandere il polmone
verificando che si espanda bene. Si posiziona il drenaggio prestando attenzione che si posizioni
correttamente cioè all’apice con accesso alla base.

Clinica chirurgica- Prof. Imperatori-20/1/2016

LA LOBECTOMIA POLMONARE

Bisogna immaginare il lobo polmonare come una unità bronco-vascolare-linfatica,asportando tale


unità compatta si possono rimuovere tutte le eventuali cellule diffuse per via ematica linfatica o
aerobia,è stato infatti dimostrato che le cellule polmonari tumorali,esfoliate e trasportate dai
flussi di aria,possono raggiungere altre zone del polmone.
Il lobo polmonare è una unità anatomica,vi sono quindi delle precise strutture che vanno
identificate,isolate,suturate e sezionate. Se si va a suturare o sezionare elementi sbagliati vado a
causare ischemie/alterazioni funzionali di porzioni del polmone che non avrei dovuto ledere,ad
esempio se nel rimuovere un lobo superiore polmonare vado a suturare un ramo che vascolarizza
il lobo medio causerò un’ischemia di quest’ultimo,o se seziono l’arteria polmonare molto a monte
rischio di causare una “pneumectomia”(tolgo il contributo dell’arteria polmone all’intero
polmone).
L’arteria polmonare,il tronco comune,origina dal ventricolo destro e si porta al polmone;mentre le
vene polmonari portano il sangue al circolo sistemico raggiungendo l’atrio sinistro,posso quindi
usare atri e ventricoli come punti di repere per identificarle durante la procedura chirurgica,il
chirurgo deve sapere l’origine,il decorso e i vari rami delle strutture vascolari. L’arteria polmonare
ha una parete più sottile,quindi risulta più delicata,deve sopportare normalmente una pressione di
soli 25-30mmHg,sopra i 30 si parla già di ipertensione polmonare.
Rimuovere un lobo polmonare significa sottrarre un 20% del piccolo circolo a valle dell’arteria
polmonare,quindi induce ipertensione polmonare perché dopo lobectomia lo stesso flusso di
sangue di prima dovrà passare attraverso un letto vascolare ridotto(Bernoulli).Quindi dovrò stare
attento a eseguire un intervento di resezione di una porzione del polmone(piccolo circolo) sono in
pazienti con una pressione polmonare adeguata,non posso rimuovere un tumore ma mandare il
paziente in grave ipertensione polmonare,il paziente deve essere in grado di sopportare
l’intervento.
Gli interventi che si possono eseguire sono:
 PNEUMECTOMIA :rimozione dell’intero polmone
 LOBECTOMIA SUPERIORE:rimozione lobo superiore polmonare
 LOBECTOMIA MEDIA:rimozione lobo polmonare medio(esiste solo il lobo medio destro)
 LOBECTOMIA INFERIORE:rimozione lobo polmonare inferiore
 BILOBECTOMIA:rimozione di due lobi polmonari
 SEGMENTECTOMIA:rimozione di segmento polmonare

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In condizioni particolari si può decidere di asportare un solo segmento e non l’intero lobo
polmonare,ad esempio nei pazienti che non hanno una riserva respiratoria tale da non poter
sopportare un’ intera lobectomia che indurrebbe un’insufficienza respiratoria,in questi casi si
agisce quindi a discapito del principio di radicalità oncologica,ma si preserva la capacità
funzionale-cardio-ventilatoria del paziente,se lo operassi di lobectomia lo potrei potenzialmente
guarire dal tumore,ma causerei un’insufficienza respiratoria non facendogli quindi un favore.

ACCENNI DI ANATOMIA
Il polmone si suddivide in lobi polmonari,a loro volta distinti in segmenti polmonari,le strutture
vascolari hanno rami lobari e rami più piccoli segmentali. Per asportare “anatomicamente”un lobo
o un segmento polmonare devo isolarne le strutture vascolari,arteria e vena, e le strutture
bronchiali. Se identifico e seziono queste precise strutture parlerò quindi di segmentectomia
anatomica;se non rispetto tali strutture si parla di transegmentectomia o resezione atipica o
semplicemente resezione “non anatomica”. La resezione atipica non mi da gli stessi vantaggi di
quella tipica,non sto rispettando né i limiti scissurali,né bronchiali, né vascolari quindi non offro le
stesse garanzie oncologiche.
Nel momento in cui uno si trova a dover fare una segmentectomia deve riconoscere tutte le
strutture,soprattutto se voglio risparmiare una porzione rispetto ad un’altra.
[Il professore mostra delle slide sull’anatomia del polmone,non si sofferma,consiglia di riguardarsi
brevemente l’anatomia-lobi/segmenti,arteria e vena polmonare,diramazione bronchiale].
Ciascuno dei due bronchi principali si divide nei bronchi lobari(il polmone destro lobo
superiore,medio,inferiore,polmone sinistro lobo superiore e inferiore).Le prime ramificazioni dei
bronchi lobari sinistro e destro sono denominati bronchi segmentali,essendo destinate alle unità
di tessuto polmonare separate e funzionalmente indipendenti,i segmenti (bronco)polmonari.
Al chirurgo serve soprattutto conoscere la diramazione dell’albero vascolare.Bisogna ricordare che
non esistono solo le tributarie principali della vena polmonare,quindi vena polmonare superiore e
inferiore destre e sinistre ,ma ad esempio la vena polmonare superiore destra si origina
dall’unione delle :
-vene apicali anteriori e posteriori ,che drenano il lobo superiore,
-la vena lobare media.
La vena polmonare superiore sinistra drena il lobo polmonare superiore sinistro,è formata
dall’unione di tre rami, in particolare dal’unione:
- vena che drena l’apice e la regione posteriore del lobo superiore,
-vena che drena la regione anteriore del lobo superiore,
-vena della lingula.
Bisognerà stare molto attenti perché se voglio risparmiare ad esempio la lingula dovrò sapere con
precisione dove sezionare il mio vaso,non troppo a monte,altrimenti la lingula risulterà non
perfusa,ma ischemica.
A volte è necessario fare delle resezioni ampliate,cioè quando il tumore si estende oltre il limite
anatomico,ma invade le strutture vicine,ad esempio un tumore di Pancoast che invade la gabbia
toracica,dovrò asportare in blocco tumore e regione adiacente,non avrebbe senso rimuovere il
tumore dissecandolo dalla gabbia toracica e poi rimuovere in un secondo tempo chirurgico la
porzione di gabbia toracica infiltrata,perché rischierei di seminare cellule tumorali nel cavo
pleurico.

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Le vie di accesso al torace sono molteplici:
 TORACOTOMIA POSTERO-LATERALE,accesso standard,quello più comunemente eseguito.
 TORACOTOMIA LATERALE muscle –sparing,cioè risparmio il coinvolgimento del muscolo gran
dorsale,tenendo sempre come riferimento la punta della scapola si procede con un incisone in
direzione antero-laterale,raggiungo poi la fascia del muscolo grand dentato,ma non seziono il
muscolo,mi limito a scostare il piano muscolare,così che possiamo raggiungere il cavo pleurico
partendo dal piano cutaneo senza recidere alcun muscolo.
 TORACOTOMIA ANTERIORE ASCELLARE
 MINITORACOTOMIE INTERCOSTALI
 MINI ACCESSI PER VIDEOTORACOSCOPIA.
La posizione del paziente sul letto operatorio non è supina,ma il paziente viene messo in decubito
laterale sul fianco contro laterale rispetto al lato interessato dalla chirurgia. I chirurghi si
dispongono intorno al paziente in un preciso ordine:di regola il primo chirurgo si pone alle spalle
del paziente per avere maggior visione,il primo assistente dalla parte opposta,l’eventuale secondo
assistente di fianco al primo chirurgo(verso la testa del paziente) l’eventuale terzo assistente si
pone di fianco al primo assistente(verso la testa del paziente).
L’intervento è complesso[il prof mostra le immagini della rimozione di uno Schwannoma-la tecnica
vale per tutti i tumori].

In breve i passaggi della toracotomia postero-laterale sono:


-Incisione della cute:nell’incidere la cute si tiene come riferimento la punta della scapola(il
chirurgo la punta con il dito indice),l’incisione del piano cutaneo è di lunghezza pari a circa 25 cm.
-Aperura del piano sottocutaneo,si arriva al piano fasciale e si raggiunge il muscolo gran dorsale,lo
si solleva e si incide esponendo il nostro triangolo(?mostra immagini di un intervento)
-Il chirurgo solleva la scapola e palpatoriamente identifica il secondo spazio intercostale(il secondo
spazio intercostale corrisponde all’inserzione degli scaleni,uso questi come punto di
repere),contando verso il basso gli spazi intercostali si raggiunge il 4° o 5° spazio
intercostale,quindi rispettivamente 5° o 6° costa,si esegue l’incisone sul margine superiore della
costa inferiore(così che avrò un ridotto rischio di sanguinamento e minor algia post operatoria,la
toracotomia è già un intervento doloroso).
-Apertura dello spazio intercostale,accedendo alla cavità pleurica.

Il concetto della video toracoscopia è la mini invasività,perché con il supporto di una telecamera
riesco a vedere in maniera diretta dentro la cavità pleurica con un accesso molto meno invasivo di
una toracotomia.

La preparazione del paziente è complessa,la lobectomia è un intervento di CHIRURGIA MAGGIORE.


La preparazione all’intervento prevede:
 Anestesia generale:il paziente è sottoposto a uno stress importante,però è un intervento complesso
che richiede una anestetizzazione profonda,i casi di lobectomia in “awake surgery” (chirurgia da
svegli) esistono ma sono delle assolute eccezioni,i centri che la praticano sono delle rarità,solo in
casi particolari dove l’anestesia generale non è possibile .Se il paziente fosse sveglio entrambi i
polmoni ventilerebbero(il paziente banalmente respira con entrambi i polmoni),invece durante l’
anestesia generale è possibile escludere un polmone dalla ventilazione(ventilazione
monopolmonare con tubi endotracheali apposta).Facendo collassare il polmone è possibile operare
in assoluta visibilità e immobilità.

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 Ventilazione monopolmonare:il paziente deve essere in grado di sopportarla,se ho un paziente con
una ridotta capacità respiratoria del polmone contro laterale,l’unico respirante durante
l’intervento,il paziente andrà in insufficienza respiratoria acuta. Il paziente deve essere nelle migliori
condizioni possibili.Se ho un paziente con BPCO non lo posso operare in fase di riacutizzazione,lo
tratto preventivamente con terapia adeguata ,come antibiotici/ginnastica respiratoria/fisioterapia
per rinforzare i muscoli della respirazione.
Non posso operare un paziente guardando solo alla fattibilità teorica,anatomica o l’indicazione
oncologica.Se avessi un paziente ad uno stadio precoce con una anatomia “facile”,ma con una
capacità di sopportare poco l’intervento ad operarlo gli farei solo del male. Oggi i pazienti con
neoplasia polmonare sono sempre più spesso pazienti con problemi cardiaci,cardiovascolari ,
stent,bypass,pregressi IMA ,terapia antiaggregante insomma pazienti complessi. Bisogna tener
conto delle condizioni generali del soggetto,fare un bilancio tra rischi e vantaggi dell’intervento,se
sono un medico e mi imbatto in un paziente con neoplasia polmonare devo sapere che è opportuno
una valutazione del rischio cardiologico ad esempio, prima di candidarlo sicuramente ad un
intervento.

 Monitoraggio cardio-respiratorio e incanulamento di una vena centrale e arteria radiale:è possibile


così un costante controllo pressorio intraoperatorio e l’infusione di liquidi/farmaci. Durante
l’intervento il paziente non deve mai essere portato ad una saturazione arteriosa inferiore a SO2
90%,si rischiamo importanti complicanze,come la sofferenza cardiaca.Nel caso subentrasse una
desaturazione durante la lobectomia si interrompe momentaneamente l’intervento,si permette ai
rianimatori di ventilare entrambi i polmoni in modo da recuperare una buona saturazione e si
esegue eventualmente una broncoscopia per risolvere il problema
 Posizionamento corretto del paziente sul tavolo operatorio:decubito laterale,con braccia sollevate
sopra la testa e gambe leggermente flesse.

I TEMPI FONDAMENTALI di intervento sono:


-TORACOTOMIA
-ESCLUSIONE POLMONARE
-SEZIONE DELLA COSTA:è opzionale,creo una “frattura chirurgica” trasversale della costa per poter
divaricare meglio il mio spazio intercostale,anche di 3-4 cm,senza rischiare la “frattura traumatica”
da eccessiva trazione. È una tecnica da preferire soprattutto nel paziente anziano a rischio
ospetoporosi,con bassa elasticità dei tessuti, è preferibile una sezione chirurgica prima di trovarmi
con tre coste fratturate.
-ESPLORAZIONE CAVO PLEURICO E POLMONE
-BILANCIO DELLA/E LESIONE E VALUTAZIONE DELL’OPERABILITA’.
I passi fondamentali per eseguire una lobectomia una volta raggiunto il polmone,sono:
-LISI DELLE ADERENZE:possono essersi formate delle aderenze durante interventi
precedenti,infezioni/infiammazioni polmonari.Devo liberare il polmone dalle aderenze pleuro-
viscero-parietali/viscerali.
-APERTURA DELLA PLEURA MEDIASTINICA CIRCONFERENZIALMENTE ALL’ILO: perché subito sotto
ho i vasi e i bronchi da isolare.
-SEZIONE DEL LEGAMENTO POLMONARE INFERIORE:opzionale,permette di dare dare la possibilità
agli altri lobi o all’altro lobo di espandersi agevolmente e di occupare il cavo pleurico dopo la
lobectomia.Tuttavia ho lo svantaggio che conferendo al polmone residuo questa maggior libertà di
movimento esso può torcersi (si strozza sul suo ilo).Lo stesso concetto vale per il legamento
triangolare del polmone.
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La fase fondamentale dell’intervento è ovviamente l’identificazione del lobo di mio interesse,si
procede in questo modo:
-ESPLORAZIONE DELLA SCISSURA
-PREPARAZIONE rami lobari dell’ARTERIA POLMONARE(legatura o stappler)
-PREPARAZIONE rami lobari della VENA POLMONARE(legatura o stappler)
Per preparare i vasi bisogna prima clampare e poi suturare il vaso.In presenza di un vaso di
grosso calibro posso eseguire una sutura in continuo;in presenza di un vaso di piccolo
calibro è impossibile eseguire una sutura in continuo,con un calibro piccolo quindi suturo in
due punti il vaso,in un punto e poi in un altro un po’ più a valle così da dare buona
resistenza alla sutura.
-sutura e sezione del BRONCO
-CONTROLLO AEROSTASI
-copertura del moncone bronchiale(OPZIONALE)
Il moncone bronchiale ha una componente cartilaginea e una non
cartilaginea(membranacea)molto meno resistente,se faccio una sutura una parte tiene
parecchio e l’altra tiene poco. Su pazienti con tessuti particolarmente fragili e deboli,come
ad esempio pazienti che hanno subito una chemioterapia preoperatoria,eseguo una
copertura a protezione del moncone per evitare complicanze date da eventuali cedimenti
del tessuto e della sutura.
-controllo EMOSTASI.

Tecniche di sutura del moncone bronchiale:


1) Sweet
2)Overholt:quella più usata,contrappone le parti cartilaginee in modo che la sutura tenga bene.
In passato queste due tecniche venivano eseguite con punti di sutura a mano,oggi abbiamo a
disposizione suturatrici meccaniche.
Le suturatrici meccaniche sono essenzialmente di tre tipi:
1)Taglia e cuci lineare universale(GIA)
2)Taglia e cuci lineare fissa o articolata
3)Solo sutura lineare(TA)
Nelle taglia e cuci con un’unica mossa è possibile sezionare il tessuto suturando con più file di
punti i due monconi.Il terzo tipo di suturatrice meccanica invece semplicemente permette di
applicare tre file di punti (senza sezionare il tessuto);con un codice colore si identificano
“cartucce”per la suturatrice di punti di dimensioni diverse(ovviamente su un bronco non posso
usare gli stessi punti che userei su una piccola arteria,la sutura non terrebbe).

Tre tempi essenziali dell’intervento:


1) preparazione della scissura:isolo il piano scissurale,in alcuni casi è immediatamente
identificabile,altre volte devo coagulare e sezionare il tessuto polmonare interposto.
2)preparazione dei vasi:una fase fondamentale e complessa,ad esempio per il lobo superiore
sinistro esiste un solo vaso venoso polmonare,ma esistono più vasi arteriosi polmonari che lo
irrorano,devo isolarli con delle fettucce e suturarli uno alla volta.Attenzione alla vena polmonare
perché si retrae facilmente e mi può scappare senza darmi il tempo di clamparla,bisogna fare
attenzione ad isolarla adeguatamente,nella sua porzione extra pericardica ovviamente.
3)preparazione del bronco:lo riconosco soprattutto palpatoriamente(ha una parete cartilagine a
rigida),spesso inoltre mi aiuta il fatto che è circondato da linfonodi.Nei pazienti a rischio copro il
moncone bronchiale con colle/muscoli intercostali/pleura ecc.

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Bisogna prestare estrema attenzione a tutte le delicate strutture che passano in prossimità
dell’ilo(nervo frenico,se lo irrito avrò una improvvisa contrazione del diaframma e mi accorgo che
mi trovo vicino al nervo frenico e mi fermo). La sezione del bronco deve avvenire a monte dei
linfonodi che lo circondano ,in modo che asportando il lobo asporto insieme anche i linfonodi.
Come faccio a essere sicuro che sto sezionando il bronco corretto?(farei un disastro a sezionare il
bronco sbagliato perché escluderei dalla ventilazione il parenchima a valle)prima di sparare con la
suturatrice meccanica chiudo bene il bronco(lo clampo) e chiedo agli anestesisti di ventilare il mio
polmone,se il lobo di mio interesse non ventila allora mi troverò sul bronco corretto.
Dopo questi delicati passaggi posso asportare il lobo.

Per essere sicuro che non ho perdite di aria dal bronco sezionato riempio il cavo pleurico di acqua
e faccio eseguire una ventilazione del polmone,se non osservo bolle di aria nell’aqua allora la
sutura tiene adeguatamente.

Il primo TEMPO ONCOLOGICO è la LOBECTOMIA,il secondo TEMPO ONCOLOGICO è la


LINFOADENECTOMIA,che deve essere eseguita tenendo conto dei linfonodi che più
probabilmente sono coinvolti dalla patologia.
La tecnica del linfonodo sentinella non ha preso piede nella chirurgia toracica polmonare,è ancora
una tecnica in sperimentazione in questo campo oncologico.
Si eseguono delle linfoadenectomie a priori,posso utilizzare due diverse tecniche:
 Linfoadenectomie sistemiche:tolgo tutti i linfonodi,rischio di ledere strutture nervose e vascolari
 Campionamneto sistematico lobo specifico: se ad esempio so che il lobo superiore di sinistra più del
90% dei casi mi da metastasi ai linfonodi delle stazioni sottocarenali,tronco polmonari,paraesofagee
e paralaterali(stazioni 5,6,7 ecc) allora asporterò queste,poi via via quelle meno probabili.
[il professore mostra il video di una lobectomia eseguita con l’ausilio di un dissettore a
ultrasuoni,spiega che tale strumento ha il vantaggio di produrre una dispersione di energia
minore(maggior precisione) rispetto a quella dispersa da bisturi mono o bipolari,ma ha lo
svantaggio di essere molto più costoso].

PROGETTO PRE.DI.CA
[il professore conclude la lezione sul nodulo polmonare spiegando questa parte riguardante
l’epidemiologia e lo screening a Varese].
I migliori risultati nella sopravvivenza in caso di tumore al polmone si ottengono mettendo insieme
prevenzione e trattamento chirurgico.
Il tumore al polmone oggi è la prima causa di morte per neoplasia nella popolazione maschile
occidentale,la prima causa di morte per neoplasia nella popolazione femminile è invece il tumore
alla mammella.Ormai i nuovi dati dicono che il tumore al polmone sta raggiungendo il primo posto
anche per le donne,in realtà nei paesi anglosassoni dove le donne hanno iniziato prima a fumare è
già la prima causa di morte per neoplasia anche nelle donne. Ogni anno in Italia ci sono circa
36.000-40.000 morti di tumori al polmone. Il trattamento chirurgico è l’unico trattamento
efficace,il trattamento chirurgico nel tumore al polmone in stadio precoce inequivocabilmente
impatta sulla sopravvivenza. Un qualsiasi tumore al polmone avrebbe una prognosi di circa 8-9
mesi,l’89% di pazienti con tumore al primo stadio è morto a 5 anni dalla diagnosi,invece
l’intervento aumenta enormemente la sopravvivenza a circa il 50-60%.

99
Il progetto PRE.DI.CA è nato a Varese nel 1997.Ci si è chiesti perché anche per il tumore al
polmone non fosse possibile una programma di screening,lo scopo dello screening è quello di
trovare precocemente la patologia,un tumore al polmone.
Alcuni studi giapponesi pubblicati negli anni 90 facevano emergere dei dati attendibili e
promettenti sulla possibilità di compiere screening per il tumore al polmone con radiografia del
torace,la collaborazione dei nostri chirurghi con i colleghi Giapponesi ha fatto quindi nascere
questo progetto.

È importante in EPIDEMIOLOGIA fare la distinzione tra MORTALITA’ e SOPRAVVIVENZA:


-SOPRAVVIVENZA:una volta fatta diagnosi quanto sopravvive quel paziente con quella diagnosi.
-MORTALITA’:quanti pazienti muoiono di quella malattia per unità di tempo.
Se uno fa un anticipo diagnostico(es scopre il tumore nel 2008 e non nel 2009)ma non interviene
sul decorso della malattia(es non opera il paziente)il paziente morirà allo stesso modo(es nel 2010)
avrò quindi aumentato la sopravvivenza,ma la mia mortalità rimarrà sempre la stessa;viceversa se
sono in grado di incidere sul decorso della malattia(es opero il paziente) il paziente morirà più
tardivamente(es nel 2018) avrò così aumentato la sopravvivenza,ma anche abbassato la mortalità.

Perché la scelta di impiegare la radiografia del torace?


-esame sicuramente più in voga negli anni 90
- un esame poco costoso
-disponibile e accessibile sul territorio

Il reclutamento dei pazienti è stato svolto da Medici di Famiglia,i criteri di inclusione per la
popolazione da sottoporre a screening furono:
-età compresa tra i 45 e 75 anni
-sesso sia maschile che femminile
-asintomatici
-indice PACK/YEAR superiore a 10.
I Medici di Base identificavano i pazienti, spiegando loro lo scopo e le modalità dello studio e
ottenevano un consenso informato scritto,lo studio aveva comunque l’ intento di sensibilizzare i
fumatori allo screening,concetto così detto “INTENT TO SCREEN”( anche chi non firmava un
consenso e non entrava nello studio veniva comunque informato dei rischi del fumo e dei vantaggi
dello screening,una certa percentuale di pazienti contattati ha poi eseguito radiografie per conto
suo senza entrare come paziente dello studio).
La proposta era una radiografia immediata( DI PREVALENZA) più altre 4 radiografie successive (DI
INCIDENZA),alla prima ,se negativa ,procedevano alle successive.
Lo studio ha coinvolto Comuni sparsi per tutta la provincia di Varese ,in un certo periodo anche
comuni del nord di Milano. I pazienti potevano sfruttare diversi centri della zona per l’esecuzione
delle RX e per l’eventuale presa in carico alla comparsa della patologia. Lo studio è iniziato nel
1997 e terminato nel 2006,continuando i follow up dei pazienti arruolati fino al 2010 ,per garantire
almeno altri 4 anni di follow up agli ultimi reclutati.La gran parte degli arruolamenti furono fatti
nei primi 3 /4 anni.
I criteri per valutare l’efficacia dello uno screening sono gli END POINT PRIMARI e gli END POINT
SECONDARI.
End Point Primario dello studio:MORTALITA’

(SMR) STANDARDIZED MORTALITY RATIO: OBSERVED in study cohort mortality


EXPECTED mortality
100
È giusto capire se l’intervento di screening incida sulla mortalità per quella patologia.
La mortalità annua per tumore al polmone venne ottenuta grazie al primo registro italiano delle
morti per tumore nato proprio in questo territorio ,controllato dall’istituto dei tumori di
Milano(ulteriore garanzia di attendibilità dello studio perché per calcolare la mortalità annua si
usarono i dati provenienti da tale registro,una fonte esterna)
End Point Secondari dello studio:
1) RESECABILITA’ CHIRURGICA
2)SOPRAVVIVENZA A 5 ANNI
3)DIAGNOSI ALLO STADIO 1(normalmente soggetti che alla prima diagnosi sono allo stadio I sono
circa il 20%).
I pazienti invitati allo studio furono più di 5.000,il 20% circa ha completato l’intero screening, può
sembrare una bassa percentuale ma in realtà è assimilabile e paragonabile a studi Europei
ecc(“intent to screen“ha coinvolto quindi più persone possibili,il paziente spesso percepisce il
lungo follow up come inutile perdita di tempo quindi interrompe lo studio). I dati sono stati
elaborati da esterni(collaborazione con università di Verona).La moda del tumore al
polmone(anno di massima incidenza della patologia) è 65 anni.
Alla prima radiografia ci sono state 54 radiografie positive(4%) di cui 13 veri positivi,quindi
41(3,3%) di falsi positivi,di cui 3 hanno subito manovre diagnostiche invasive,ma nessuno ha subito
interventi chirurgici o ha avuto mortalità.
In totale 34 tumori trovati,quindi in soggetti asintomatici,di questi il 53% allo STADIO I,si è più che
raddoppiato la percentuale di soggetti trovati allo stadio I al momento della diagnosi(aspettativa
20%-già un End Point Secondario soddisfatto).
Dal punto di vista anatomopatologico sono stati identificati diversi tumori,anche microcitomi,a
dimostrazione che l’RX può essere sensibile ai diversi istotipi,non solo ad un particolare tumore
rispetto ad un altro.In passato l’istotipo prevalente era il tumore squamocellulare(anche nello
studio risulta questo dato)ma oggi l’adenocarcinoma ha superato gli altri istotipi per incidenza.
Il 76% dei pazienti ha subito la resezione chirurgica,26 su 34,con una mortalità operatoria dello
0%.
Dallo studio è emerso che:
La sopravvivenza a 5 anni è stata del 49%,contro il 13% atteso(popolazione di controllo).
Early diagnosis è stata del 53% ,contro il 15% atteso.
La resecabilità del 76%,contro il 26% atteso.
Parlando di sopravvivenza in particolare si osserva come questa aumenti enormemente,non solo a
5 anni,ma anche a 10(la curva si appiattisce,cioè il paziente rimane vivo dopo i primi 5 anni,anche
dopo 10 anni).
Analizziamo ora l’End Point Primario:

SMR: 3,74/1000/anno : o,82 cioè 18% di mortalità in meno per anno.


4,56/1000/anno
Non tenendo conto del primo anno e mezzo di screening(nessun morto nel primo anno e mezzo)
e mettendo a rapporto la popolazione normale(di controllo) con la popolazione dello studio,si
osserva come la mortalità si riduca,soprattutto nella fascia d’età tra i 50 e 74 anni,la fascia di età
in cui bisognerebbe quindi concentrare lo sforzo di screening.
Sono stati raggiunti tutti gli end point.
Può essere applicato a livello nazionale? Si,ma bisogna tener conto delle risorse,entriamo nella
filosofia della sanità pubblica. È stata fatta una previsione del costo per questi 34 pazienti(costo di
screening e cure) rispetto al costo per le spese sostenute da altrettanto numero di pazienti con la

101
stessa patologia della popolazione generale ,nello studio sono stati spesi circa 600.000 euro in
più.Sono state salvate 38 vite,600.000/ 38 = 16.000 euro,questi soldi valgono una vita salvata?
Se si andasse a fare un’ analisi della qualità della vità, il guadagno di un anno di qualità di vita
ottima è costata circa 24.000 euro; ad esempio per un paziente con fibrosi cistica ,che subisce
trapianto di polmone,guadagnare un anno di qualità di vita costa tra i 55-200.000 euro. Nessuno
mette in dubbio che vadano investiti soldi per chi soffre di fibrosi cistica,ma per chi soffre di
tumore al polmone?
Gli anglosassoni parlano di MALATTIA AUTOINFERTA, gran parte dei malati è un assiduo
fumatore,è giusto investire queste risorse per il tumore al polmone?
Se in Italia ci sono 35.000 morti all’anno,potendone salvare il 18% con uno screening,ogni anno
salveremmo circa 7.000 vite.
Lo screening con TC ?Lo screening con TC è “di moda”,ha dei vantaggi di sensibilità maggiore,ma
ha costi biologici ed economici maggiori.Vi sono aumentati falsi positivi(bassa specificità),ma la
mortalità si riduce ulteriormente,non del solo 18-20% come nell’impiego dell’RX,ma ben del 40%,
più del doppio.

CHIRURGIA TORACICA Prof. Imperatori 2.12.15


Gruppo C

SIMPATICECTOMIA VATS(videotoracoscopica)
Questo argomento di regola non viene quasi mai affrontato, ma al sesto anno mi sembra giusto darvi
un'infarinatura generale.

E' un argomento poco frequente in chirurgia toracica. Noi ne abbiamo fatti meno di una decina in tanti
anni.

Il sistema nervoso simpatico è parte del sistema nervoso periferico deputato all'attività secretoria
ghiandolare e della motilità della muscolatura dei vasi.
Simpaticectomia = sezione o asportazione di una struttura simpatica; questo perchè noi vogliamo andare a
interrompere con un atto chirurgico un sistema simpatico che è iperfunzionante.
La maggior parte delle funzioni del sistema simpatico sono indipendenti dal controllo della volontà, quindi
noi interveniamo su una patologia che è indipendente da controllo , pur essendo di tipo nervoso.
Vediamo la struttura del sistema simpatico, caratterizzata da alcuni gangli e da strutture con possibilità di
comunicazione che consentono di mantenere un'integrità anche a friìonte di un'interruzione di una di
queste vie; quindi ci sono delle vie di "compenso" che consentono al sistema simpatico di funzionare anche
a fronte di una interruzione, che sono i famosi tratti comunicanti.

102
vediamo anche cosa controllano i vari gangli a livello cervicale, toracico, lombare, sacrale e quali ghiandole
controllano.
Quindi, noi andiamo a intervenire su dei gangli che si trovano a livello toracico e vediamo che sono quelli
che hanno un controllo più o meno diretto sull'attività cardiaca, in parte su quella polmonare, ma anche
(insieme ai cervicali inferiori) sull'attività dell'arto superiore.
Vi segnalo che a livello lombare (o ultimi gangli toracici) c'è il controllo del dolore retroperitoneale, quindi
la simpaticectomia di questi gangli è quella che viene di solito utilizzata per il trattamento palliativo del
dolore in sede retroperitoneale.
Ricordiamoci che la catena simpatica è simmetrica , ne abbiamo una a dx e una a sx e quindi il controllo che
io andrò a fare con l'intervento chirurgico sarà monolaterale e omolaterale, quindi dovrò ipotizzare che,
qualora la patologia fosse bilaterale, anche l'intervento dovrà essere bilaterale.
I gangli simpatici si trovano di regola negli spazi intercostali, non troppo lontano da profilo della colonna,
quindi a livello della riflessione della pleura mediastinica posteriore.

Cenni storici
Di simpaticectomia si parla già dagli inizi del 1900, e la prima simpaticectomia videotoracoscopica fu fatta
nel 1951 negli Stati Uniti da Leriche e Frieh, con il trattamento dei primi casi di iperidrosi (cioè sudorazione
eccessiva a livello periferico; può essere del volto, ascellare, del palmo della mano o plantare).
Già all'epoca l'intervento si preponeva di interrompere la catena simpatica che era stata identificata come
quella che comandava la secrezione delle ghiandole sudoripare periferiche. Già allora l'intervento non
otteneva grossi risultati: c'era un'iniziale risposta efficace, ma a breve distanza si verificava una recidiva
dell'iperidrosi, se non un peggioramento della stessa, per il fenomeno della sudorazione compensatoria.
L'interruzione delle fibre simpatiche determina: vasodilatazione periferica (abbiamo detto che le filbre
simpatiche determinano la contrazione della muscolatura vasale) e anche l'interruzione dell'attività
secretoria a livello periferico.

Quali sono le indicazioni per andare a eseguire questo intervento, che è di tipo funzionale?
 iperidrosi dei palmi delle mani o ascellare, resistente alla terapia medica
 iperidrosi e eritrodermia del viso
 sindrome di Reynaud, primaria e secondaria
 sindromi dolorose croniche (es. algodistrofia) sia a livello dell'arto superiore, sia a livello della
parete toracica
 dolore cronico/neoplastico a livello retroperitoneale (T10-T12 oppure L1)
 patologia cardiaca con il trattamento dell'angina pectoris e la sindrome del QT lungo, per andare a
interrompere sia i rami cardiace dell'ortosimpatico, sia quelli del nervo vago.
Di quest'ultimo aspetto io non mi ocuuperò perchè noi non abbiamo nessuna esperienza, e
neanche in letteratura si trova granchè, anche perchè se io interrompo le vie nervose, rischio di
eliminare i segnali d'allarme dell'infarto miocardico, e in più si creano delle bradicardie che
potrebbero peggiorare o non dare al pz quella riserva (che è la tachicardia) in caso di necessità;
quindi anche a un pz sportivo con iperidrosi bisogna dire che ci potrebbero essere degli episodi di
bradicardia nel post-operatorio, che possono essere transitori, però nell'immediato deve cercare di
evitare gli sforzi, perchè non riuscirebbe a sopportarli.

Qui vediamo un esempio di intervento di simpaticectomia: come possiamo fare? O interrompiamo con una
sezione e asportiamo i gangli simpatici che si interessano, facendo una simpaticectomia vera e propria (cioè
asporto tutta la catena simpatica e i gangli, nel tratto che mi interessa), oppure possiamo fare la
simpaticotomia (cioè interrompendo la catena simpatica in due punti, senza asportare nulla) ma in questo
caso non asportiamo i rami comunicanti, quindi l'effetto terapeutico di questo intervento è certamente
reversibile, perchè col tempo si ristabiliscono le connessioni tra i rami comunicanti, che diventano,
dominanti e il problema si ripresenta.
Oppure l'alternativa volutamente reversibile è porre delle clips metalliche, che interrompono la conduzione
dell'impulso nervoso, quindi dà un controllo immediato sul sintomo, e si possono sucessivamente sfilare
103
(quando si è ristabilito l'equilibrio). Questo intervento non ha mai riscosso molto successo perchè il
paziente può avere una recidiva qunado tolgo la clip e poi per rimuoverla devo fare un altro intervento con
un'altra anestesia generale.

Iperidrosi:
è una condizione patologica di eccessiva sudorazione, generalemente definita essenziale o primitiva
(colpisce 1-3% della popolazione, quindi una piccola parte) mentre quella secondaria, generalizzata, è
dovuta ad altre patologie (es: obesità, problematiche tiroidee, DM, patologie infettive, lesioni cerebrali); in
questo caso il trattamento dell'ipeidrosi non sarà locoregionale, ma si baserà sul trattamento della causa
scatenante.
Quando l'iperidrosi è primaria, questo è un pz candidato all'intervento di simpaticectomia; infatti in questo
caso le ghiandole sudoripare sono normali, il problema sta nell'iperstimolazione simpatica.
Talvolta la causa può essere uno stress emotivo e questo è importante ricordarselo, perchè se un domani
avrete a che fare con pz affetti da iperidrosi, dovrà fare una attenta analisi psicologica; infatti la maggior
parte di questi pazienti ha problemi psicologici, di iperattività, che comportano una iperstimolazione; quindi
andare a fare un intervento chirurgico per risolvere una patologia che ha cause psicologiche rischia di non
avere gli effetti desiderati, e soprattutto il paziente non otterrà l'effetto atteso e questo potrà provocare un
peggioramento della sintomatologia dovuto a quel fenomeno chiamato iperidosi compensatoria,
soprattutto in altri distretti corporei, condizionando ulteriormente la qualità di vita di questi soggetti.
Quindi prima di fare questo intervento, bisogna eseguire un'attenta e accurata analisi psicologica.

Il trattamento chirurgico deve sempre seguire un tentativo di trattamento medico e il trattamento


chirurgico può essere intrapreso solo se quello medico fallisce.
Il trattamento medico si basa su:
 agenti topici: ostruiscono meccanicamente i dotti ghiandolari; attenzione alle complicanze settiche
(frequenti le linfoadeniti e le infezioni delle ghiandole sudoripare)
 agenti anticolinergici
 beta bloccanti e benzodiazepine: agiscono sullo stress
 tossina botulinica: è la forma più importante. Blocca il rilascio neuronale dell'acetilcolina a livello
delle terminazioni presinaptiche e quindi va ad eseguire un blocco chimico della catena simpatica. I
lati negativi sono dovuti al fatto che è un trattamento molto costoso e deve essere ripetuto ogni 6
mesi ad vitam, o finchè non si risolve la causa.
Se questi interventi non sono efficaci/devono essere ripetuti molto frequentemente/danno
complicanze/sono controindicati, allora si può andare all'intervento chirurgico.

Sindrome di Raynaud
E' una condizione caratterizzata da episodi di vasospasmo a livello periferico, soprattutto digitale, in
risposta o a stress o al freddo; la sequenza tipica della sindrome è: pallore, cianosi e poi arrossamento e
dolore.
Attenzione perchè se non è trattata, può evolvere in fenomeni atrofici e gangrenosi, soprattutto a carico
delle falangi distali delle dita.

Sindromi dolorose croniche (algodistrofia)


In questo caso le fibre nocicettive che decorrono nel sistema nervoso simpatico possono essere interrotte
per ridurre la sindrome dolorosa.
Attenzione perchè c'è da ricordare anche una distrofia riflessa simpaticoergica dell'estremità superiore, che
c'è nel Raynaud ma può essere anche spontanea.
C'è una sindrome dolorosa della parete toracica e una dell'addome superiore... In quest'iltimo caso il
collega chirurgo generale o esegue una simpaticactomia dal basso dall'addome in laparoscopia oppure se
ne esegue una a livello della parte bassa del torace per via toracoscopica.

104
Definiamo i vari tipi di intervento:
 simpaticectomia e gangliectomia è l'ablazione totale della catena simpatica e dei gangli. Questo ha
un grosso vantaggio perchè di fronte a un pz che ha una recidiva, noi avremo mandato ad
analizzare i campioni di tessuto che abbiamo asportato e abbiamo quindi la prova istologica di
avergli fatto l'intervento di simpaticectomia; se noi facciamo solamente la simpaticotomia e
recidiva, essendo malati psicologicamente labili e a volte anche aggressivi, si generano anche delle
questioni medico-legali.
 simpaticotomia: interruzione con semplice transezione della catena simpatica o con l'eventuale
apposizione di clips (blocco della propagazione dell'impilso nervoso)
 ablazione: distruzione della catena simpatica con elettrocauterizzazione o laser, senza sezione
diretta. In questo caso non asporto la catena simpatica e lo svantaggio è che non abbiamo la prova
provata di quello che abbiamo fatto (è vero che oggi ogni intervento viene registrato, però sarebbe
comunque meglio fare l'asportazione)
 blocco della catena simpatica: procedura potenzialmente reversibile attraverso apposizione di clips
o iniezioni anestetiche (l'anestetico ha una durata molto più corta, quindi sarebbe meglio mettere
le clips, certo che se devo fare un trattamento in acuto in un pz che ha dolore e magari è
bradicardico o cardiopatico , posso fare una iniezione di anestetico localmente, che però ha un
controllo della algodistrofia molto ridotto nel tempo)
 simpaticectomia selettiva: sezione dei rami comunicanti, preservando la catena simpatica, in
questo caso però l'effetto è molto più importante.

Un altro problema è contare i gangli: come facciamo? Si può ricorrere alla nomenclatura rib-oriented, cioè
orientati in base alle coste; questo perchè i caratteri non sempre sono individuabili, cioè l'allargamento
della catena simpatica non è sempre evidente, quindi io prendo come punto di riferimento la costa
corrispondente al gangio e subito sotto la costa vado a fare l'asportazione di tutta la catena linfatica,
comprendente anche il ganglio.

L'insuccesso è definito come una persistenza di iperidrosi nella zona trattata nonostante l'intervento
(l'iperidrosi non è mai scomparsa), quindi probabilmente la catena non è stata interrotta, oppure non
l'abbiamo interrotta completamente perchè i rami comunicanti sono rimasti in funzione e abbiamo
interrotto un tratto troppo corto della catena; questo tipicamente avviene quando si fa la simpaticotomia.
La recidiva è quando compare l'iperidrosi dopo un periodo di benessere soggettivo evidente.

Selezione del paziente:


 BMI <28 (no pz obesi, perchè l'obesità può essere la causa dell'iperidrosi)
 insorgenza dell'iperidrosi in età giovanile (<16 anni); i soggetti devono essere maggiorenni per fare
questo tipo di intervento. Non bisognerebbe neanche spingersi troppo in là con l'età, il range
migliore è tra i 18 e 25 anni.
 non ci deve essere sudorazione notturna
 l'anamnesi deve essere negativa in modo che il rischio di un intervento chirurgico in anestesia
generale deve essere modesti
 pz non deve essere bradicardico (rischio di peggioramento)
 valutazione del test del sudore per valutare il sito anatomico e l'entità del'iperidrosi

Preparazione del paziente all'intervento:


 accurata anamnesi clinica (per evitare di operare il paziente sbagliato)
 pazienti studiati da un punto di vista cardiologico, toracico, spirometrico
 i pz devono essere valutati collegialmente da un gruppo di medici che si occupano di questa
malattia (endocrinologo, cardiologo, chirurgo , neurologo)

105
Test preoperatori:
 test di esposizione al freddo, per il fenomeno di Raynaud
 valutazione della pressione su tutti e questtro gli arti
 capillaroscopia
 test della sudorazione: si somministra un litro di tè caldo con un grammo di acido acetilsalicidico al
pz e lo si espone in un ambiente riscaldato fino a 60°; si pone sulla mano del pz una soluzione di
iodio-olio-amido applicata sulla cute e si va a valutare se la soluzione vira verso il colore blu-nero,
questo accade se c'è una secrezione di sudore abbondante, quindi mi indica che c'è iperidrosi.
Tanto maggiore è il viraggio, tanto più importante è la iperstimolazione a livello simpatico.

Nel consenso informato bisogna fare molta attenzione: il sesso femminile è particolarmente difficile di
fronte ad un intervento del genere perchè sono pz che vogliono superare un disconfort di tipo fisico e che
le imbarazza dal punto di vista sociale e hanno delle pretese di risultato, ma a volte la causa per cui viene
richiesta la simpaticectomia potrebbe non essere la causa responsabile dell'iperidrosi stessa.
Bisogna spiegare bene il rapporto rischio-beneficio e quelli che possono essere i risultati attesi e le
eventuali recidive; bisogna che il pz accetti volontariamente questi rischi e sia ben consapevole del fatto
che l'intervento è funzionale ed estetico, non organico, dei rischi e delle complicanze.
Tra i rischi ci sono: sanguinamento; infezioni (siamo in un distretto anatomico delicato) bisogna fare
attenzione ai vasi maggiori (succlavia) e ai vasi intercostali, che potrebbero lesionarsi e saguinare (ci sono
stati dei casi per cui, per un intervento estetico, un pz poi è stato sottoposto ad una toracotomia d'urgenza
per un sanguinamento); quindi deve essere specificato che questo può succedere, seppur raramente.
Attenzione alla sindrome di Horner (lesione del ganglio stellato): questo può verificarsi se la
simpaticectomia è troppo alta, cioè se comporta un traumatismo del ganglio stellato; la manifestazione
clinica tipica di questa sindrome è ptosi palpebrale, miosi, enoftalmo. Questa può essere irreversibile se il
ganglio stellato è stato asportato, mentre se è stato interrotto solo in un punto dopo circa 6 mesi c'è la
risoluzione di praticamente tutti i sintomi, grazie ai rami comunicanti.
Altra complicanza è lo pneumotorace, infatti poi viene posizionato un drenaggio che deve fare riespandere
il polmone.
Infine le nevralgie e il dolore cronico: quando si inseriscono a livello toracico gli strumenti per la
toracoscopia, la lesione e la compressione dei nervi intercostali può dare dolore. Il dolore acuto deve essere
trattato immediatamente, altrimenti abbiamo visto che in oltre la metà dei casi esita in dolore cronico, che
necessita di ulteriori terapie.
Molto più rara è la lesione del dotto toracico con rischio del chilotorace (quando facciamo la
simpaticectomia sinistra!)

Nel consenso informato è necessario anche spiegare gli eventuali effetti collaterali:
 sudorazione compensatoria (va a compensare la mancanza di sudorazione nelle zone affette da
anidrosi in seguito all’intervento)
 sindrome di Horner
 bradicardia

Tecnica chirurgica: (non mi interessa che voi sappiate i dettagli tecnici)


Il pz deve essere in posizione semiseduta, con arti abdotti a 90°, l'anestesia deve essere generale (da
ricordare!), l'intubazione deve essere endo-tracheale e non a doppio lume perchè quel polmone non deve
ventilare (noi dobbiamo poter vedere con precisione la catena simpatica). Alcune centri fanno un
intervento bilaterale, cioè prima si opera da un lato e poi dall'altro, però qui si espone il pz al riscio di pnx
bilaterale.
Una volta addormentato il pz si introduce la videocamera e poi si fa un altro trocar per poter introdurre gli
strumenti che consentono di identificare i gangli, i rami nervosi e, incidendo longitudinalmente la pleura
mediastinica , di esporre la catena simpatica. A quel punto si interrompe la catena simpatica e (noi lo
facciamo sempre) si asporta la catena comprensiva dei gangli per fare l'esame istologico.
106
Un tempo l'intervento venive fatto per via toracotomica, mentre oggi si fa la toracoscopia, quindi si usa un
metodo mini-invasivo; è comunque definito un intervento efficace, infatti ci sono molti centri che lo fanno
e ottengono risultati molto buoni.
Ribadisco che la conferma istologica è importante per l'aspetto medico-legale.
Bisogna poi provvedere all'emostasi, al posizionamento di un drenaggio pleurico e alla sutura degli accessi
(anche se in alcuni centri non posizionano il drenaggio, con il conseguente rischio di un pnx che non si
riassorbe, per dimettere il pz nella stessa giornata).

Accorgimenti da tenere a mente:


l'ablazione deve essere completa, cioè di tutto il ganglio, incidendo la pleura laterarale alla catena per
almeno 5 cm, così da avere una sufficiente distanza tra i due lati residui, altriementi o i rami comunicanti o
le cicatrici aiutano a ritrasmettere il segnale alla catena linfatica e causano una recidiva di malattia.
Attenzione a non andare mai al di sopra della seconda costa per evitare la sindome di Horner.

Dove sezionare:
nell'iperidrosi bisogna avere in mente quale distretto anatomico è affetto da questo disturbo: se è testa/
faccia/ collo allora si sezionerà a livello molto alto, cioè T2; se sono mano e braccio: T3 T4 T5; se ascellare:
T2 T3 T4.
Nelle sindromi dolorose si seziona a seconda di quale zona anatomica è affetta dall'algodistrofia: se è
toracica T8-T9; se è addominale da T10 a T12.

Nel post operatorio sono pz che devono essere monitorati, noi preferiamo tenerli ricoverati 2 o 3 giorni per
rimuovere i drenaggi, ma soprattutto per monitorare la frequenza cardiaca.
Per due o tre giorni è meglio che il pz rimanga a riposo.

Risultati:
il beneficio è immediato. Ci può essere recidiva. Le complicanze sono soprattutto l'iperidrosi
compensatoria.
Nella stessa seduta è possibile fare entrambi i lati. I vantaggi sono: unica anestesia generale, si riduce l
rischio di infezione, minor tempo di degenza postoperatoria , minor costo per il SSN. Ci sono anche degli
svantaggio: il pz si ritrova con due drenaggi toracici con il rischio di una mancata riespansione dei polmoni.

Iperidrosi compensatoria: sudorazione eccessiva post-operatoria in siti anatomici in cui non si verificava
prima dell'intervento. Attenzione che quando si fa l'intervento unilateralmente, la si ritrova nel 25% dei
casi, mentre quando lo si fa bilateralmente il rischio è solo del 4%.
Dopo l'intervento i pz non soddisfatti sono tra il 5 e il 15%, nonostante il consenso informato sia stato
esposto in modo molto chiaro.
La forma compensatoria di iperidrosi (sommando le forme lievi, moderate e gravi) la si ritrova fino all'80%
dei casi (quindi avviene nella stragrande maggioranza dei casi! --> informare adeguatamente i pz prima
dell'intervento!). Comunque si è visto che la gravità di questo disturbo tende a diminuire nei primi 3 anni
dopo l'intervento.
Le linee guida in atto della Società Mondiale di Chirurgia Toracica dicono che la simpaticectomia è la
terapia di scelta per l'iperidrosi primaria essenziale che non risponde alla terapia medica, mentre
l'interruzione della catena o l'apposizione di clips sono interventi alternativi, non rappresentano il
trattamento preferenziale.
Per l'iperidrosi palmare (che è la più frequente) le linee guida consigliano l'interruzione a livello di T3 -T4
(o solo T3); mentre nell'iperidrosi cranio- facciale ---> T2-T3.
Attenzione ai costi: il trattamento toracoscopico si simpaticotomia o simpaticectomia costa 13.000 dollari.
Ci sono nuovi approcci: attraverso un approccio transombelicale si può fare la simpaticectomia con un
endoscopio molto sottile, facendo piccolo buco nel diaframma. Questo intervento è ritenuto efficace
almento quanto l'approccio toracoscopico col vantaggio di evitare la sindrome dolorosa cronica intercostale

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CLINICA CHIRURGICA LEZIONE 17/12/2015

Timo

CASO CLINICO N°1


Donna di 58 anni impiegata in una industria tessile non fumatrice, in APR nulla di patologico, da
qualche mese la paziente lamenta dolore retrosternale persistente.
Esegue una RX del torace che evidenzia una opacità a livello del campo polmonare medio di
sinistra, di circa 4 cm a livello del segmento anteriore del lobo superiore sinistro.
(Luglio)
Pz inviata dal medico di base presso un reparto di pneumologia in cui viene effettuata una TC.
Che ipotesi avete per descrivere una opacità che si presenta in questo modo?
S: la posizione è abbastanza centrale, potrebbe essere qualcosa a livello del mediastino oppure di
localizzazione ilare.
P: non escludiamo che possa trattarsi di qualcosa di pertinenza mediastinica anche se il radiologo
dice che più probabilmente si tratta di qualcosa a livello polmonare. Ovviamente non possiamo
dirlo con certezza ma abbiamo bisogno o di eseguire una proiezione radiografica laterale oppure la
TC.
In pneumologia è eseguita la TC che riporta a livello del mediastino anteriore sulla linea
paramediana di sinistra la presenza di una neoformazione solida con densità disomogenea +
focolai necrotici (importante), di circa 6 cm con evidenza di infiltrazione del mediastino ma non
dell’arteria polmonare.
(oltre i 3 cm no si parla più di nodulo ma si parla di massa).
Topograficamente siano localizzati nel mediastino anteriore (anterosuperiore al di sotto della
carena), quindi quali neoformazioni possiamo considerare primitive di questa localizzazione
topografica?
S: un timoma?
P: meglio parlare di neoformazioni timiche in generale
S: un linfoma, neoformazione tiroidea (in questo caso non ci sono evidenze)
P: potrebbe trattarsi di una patologia linfonodale metastatica, per esempio i microcitomi possono
avere delle lesioni di partenza molto piccole che si estrinsecano a livello clinico e radiografico solo
come delle metastasi a livello linfonodale. Poi bisogna considerare anche i disgerminomi che
possono essere localizzati a livello del mediastino superiore, quali (non si capisce, sembra che dica
“più frequentemente i teratomi e i coriocarcinomi che cisti bronocogene).
A questo punto si deve passare necessariamente alla stadiazione della lesione poiché alla TC
sembra avere degli aspetti francamente maligni: è una massa infiltrativa, disomogenea con aree
necrotiche al suo interno, e un azione compressiva a livello del parenchima polmonare. Il motivo
per cui prima si è detto che la neoformazione parte del mediastino, e dal polmone con successiva
infiltrazione mediastinica, è puramente topografica: l’angolo formato dalla massa nei confronti del
polmone e della pleura è acuto, il che suggerisce che spinga dall’esterno e non dal polmone stesso.
Nel caso in cui si trattasse di una neoformazione a partenza dal polmone ci saremmo trovati
davanti ad una condizione opposta.
La stadiazione è risultata negativa per metastasi a distanza (cerebrali ossee e al fegato).
A questo punto si procede all’agoaspirato per poter caratterizzare la lesione dal punto di vista
citologico in previsione dell’intervento chirurgico. Il razionale di procedere ad una diagnosi di tipo
citologico è che alcune forme hanno un approccio terapeutico di tipo medico mentre altre hanno
un approccio di tipo chirurgico: i tumori epiteliali e i disgerminomi sono trattati chirurgicamente

108
mentre i tumori linfatici e metastatici primitivi si trattano con la terapia medica (immuo-
chemioterapica).
Se fosse stato un linfoma ci sarebbe stato un problema pratico poiché l’agoaspirato non consente
di arrivare ad una determinazione del sottotipo del linfoma ma spesso è necessario ricorrere ad un
esame istologico per poter eseguire tutte le colorazioni immunoistochimiche necessarie ad
evidenziare il sottotipo cellulare (può capitare se si è fortunati che con l’agoaspirato si riescano ad
ottenere delle cellule di RS patognomoniche per linfoma di Hodgkin).
La paziente ha una diagnosi di timoma in stadio avanzato (dimensione, infiltrazione,
compressione) senza però evidenza di metastasi (la disseminazione pleurica o pericardica del
tumore fa rientrare la neoplasia nello stadio 4).
È stata fatta una timectomia con approccio sternotomico, il timoma DEVE essere asportato
radicalmente (R0).
All’esame istologico si trattava di un timoma di tipo B3.
(descrizione delle immagini chirurgiche proiettate, in cui si dice come il tumore è stato asportato e
l’aspetto e conformazione dei suoi margini, e dei suoi rapporti con gli organi e le strutture
adiacenti)
Dopo 6 mesi la paziente fa una TC di controllo (sebbene già da qualche mese avesse tosse, disfonia
e modica disfagia, sintomi sicuramente negativi che dimostrano una compromissione sia della
componente respiratoria che della componente esofagea) nelle quale si riporta un estesa
atelettasia del lobo superiore del polmone sinistro, per cui evidentemente qualcosa è cresciuto ed
è andato a comprimere il bronco lobare superiore di sinistra, nello sfondato costofrenico ci sono
versamento e soprattutto gettoni solidi.
Il timoma ha un alto tasso di recidiva locale e in questo caso l’aspetto è proprio quello di una
recidiva a distanza di 6 anni (il tempo di latenza è piuttosto lungo, la recidiva di un tumore
polmonare o pancreatico avrebbe impiegato mesi a manifestarsi non anni.)
La paziente è ricoverata per la recidiva e le viene fatta una broncoscopia per verificare
l’infiltrazione della parete bronchiale e si rileva una neoformazione che aggetta all’interno del
lume del bronco principale di sinistra. Viene fatta una biopsia (che, tuttavia, risulta inconcludente
in quanto include solo materiale necrotico). La spirometria è peggiorata anche come risultato della
precedente operazione chirurgica (1/4 della capacità respiratoria se ne è andato con l’atelettasia
massiva del lobo superiore di sinistra).
La problema respiratorio si associa anche un problema di tipo perfusionale dato dall’infiltrazione
dell’ilo polmonare, il polmone riceve solo il 13% del flusso originario. L’ EGDS è risultata negativa.
Si fa una nuova biopsia sotto guida della TC della neoformazione al lobo superiore sinistro e
dell’ispessimento basale: entrambi risultano essere positivi per timoma.
La paziente è sottoposta a un reintervento sebbene poiché tutte le biopsie sono risultate positive
ma durante l’intervento si decreta l’inoperabilità a causa dell’interessamento del diaframma da
parte della neoplasia con diffusione a livello subfrenico.
La pz è avviata quindi a cicli di chemioterapia a scopo palliativo più che curativo.
DOMANDE:
S: LA velocità di crescita del tumore è elevata? Come erano i controlli precedenti?
P: il controllo precedente era stato fatto un anno prima ed era risultato negativo.
S: aveva fatto chemio dopo l’intervento ?
P: non mi ricordo, avrebbe dovuto farla secondo le moderne linee guida ma eravamo nel 2001

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CASO CLINICO N°2
Donna recentemente valutata da noi, 70 anni, ex impiegata, fumatrice da 30 anni 10 S/die.
APFamiliare- niente di rilevante
APR- ipertesa, ernia iatale (in terapia con Enalpril ?nifedipina? e omeprazolo), sottoposta ad una
tiroidectomia totale in terapia con radioiodio per un carcinoma tiroideo che a livello del lobo di
sinistra era un follicolare mentre a livello del lobo di destra era un papillare N0. Nel 2012 ha fatto
una rimozione di adenoma tubulare a livello del cieco, come neoplasia a basso grado.
La paziente è poliallergica per cui ci sono problemi all’utilizzo di mezzo di contrasto iodato.
Durante una visita di controllo per la patologia tiroidea la paziente esegue una radiografia del
torace (da qualche giorno riferiva già una modica dispnea).
La radiografia del torace mostra un ingrandimento dell’ilo polmonare di destra. In laterale si può
osservare qualcosa che si appoggia sul cuore. Sollevato questo dubbio dal radiologo la paziente va
a farsi vedere dal suo medico di riferimento (in questo caso l’oncologo endocrinologo) che le
prescrive una TC.
Nel mediastino anteriore si apprezza la presenza di una neoformazione mediastinica che si
estende dal mediastino anteriore fino al mediastino inferiore in senso craniocaudale 7 cm di
diametro per XX cm di lunghezza.
(descrizione anatomica di come si legge una TC, permettete ma non la riporto)
La neoformazione retrosternale tende ad andare prevalentemente verso destra. La cava non è
compressa e si vede un piano di clivaggio tra la neoplasia e l’aorta ascendente, il piano di clivaggio
sembra non essere netto a livello dell’atrio di destra.
La paziente torna quindi dall’oncologo con in mano la TC, e il medico la sottopone ad una
agobiopsia. Il reperto istologico risulta essere compatibile con timoma.
Per la stadiazione l’oncologa chiede una PET (nel caso di prima la PET non era stata fatta poiché si
trattava di 15 anni fa, le macchine erano differenti e soprattutto le indicazioni erano differenti-> è
necessario restare aggiornati di continuo su quello che è lo stato dell’arte).
La PET dimostra un focale accumulo del tracciante radiomarcato (ricordiamo che nel caso della
PET si utilizzano traccianti radiomarcati con fluoro emittenti positroni e, dal momento che è stato
marcato il glucosio, in questo caso si valuta l’attività metabolica della neoplasia) in corrispondenza
del mediastino.
Il valore SUV considerato limite soglia per essere considerato positivo è 2,5, fino a 2,5 può essere
considerata una captazione normale. In questo caso si aveva un SUV max di 6. (Era stata fatta
anche la TC-PET).
A questo punto viene proposto l’intervento chirurgico di timectomia+ timomectomia esattamente
come si sarebbe fatto 15 anni fa, quello che è cambiato molto è la fase di stadiazione.
Dopo l’intervento vediamo una elevazione dell’emidiaframma destro e un versamento pleurico
destro. L’elevazione dell’emidiaframma destro è dovuta all’amputazione del frenico di destra a
causa dell’infiltrazione neoplastica, è stato necessario asportare anche un pezzo di pericardio
poiché, in sede di intervento, si era dimostrato un superamento a tutto spessore a livello dell’atrio
di destra.
In questo caso si è deciso di poter tagliare il nervo frenico di destra per ottenere una terapia
radicale in quanto la perdita di parte della capacità polmonare era una conseguenza accettabile
per la paziente e per il chirurgo.
Era un timoma tipo B1 (si tratta ancora di timoma e non di carcinoma) che ha una prognosi
migliore certamente rispetto al B3 di prima
110
CASO CLINICO N°3
Il professore descrive l’asportazione di un timoma fatta da lui circa due anni fa in cui la massa
occupava lo spazio compreso nell’angolo diedro tra pericardio e sterno nel mediastino anteriore.
L’asportazione era stata fatta a fini diagnostici poiché dalla TC non si può avere la certezza
dell’istotipo tumorale. In questo caso si parla solo di timomectomia in quanto la massa era bene
delimitata e clivabile rispetto ai tessuti circostanti.

CENNI DIDATTICI SUL TIMO


Il timo è una ghiandola localizzata nel mediastino anterosuperiore che va in involuzione durante la
fase adolescenziale
EPIDEMIOLOGIA
Può essere sede di una serie di neoplasie considerate rare da un punto di vista epidemiologico (1-5
casi per milione di persone contro i 78/100000 del tumore al polmone). Nella provincia di Varese
di solito si vedono 1/2 timomi all’ anno. L’incidenza è simile a quella degli Stati Uniti. I dati
epidemiologici ci suggeriscono che la reale incidenza della neoplasia è in realtà maggiore, ma molti
restano misconosciuti in quanto il paziente muore prima per altre patologie piuttosto che per il
timoma.
Non c’è una prevalenza tra maschi e femmine e l’età di insorgenza è tra i 40 e i 60 anni.
CLINICA
Sono tumori quasi asintomatici, o meglio il timoma può dare segno di se con sintomi anche
abbastanza specifici che, tuttavia, sono spesso trascurati o misconosciuti dal paziente e dai medici.
La crescita del tumore è molto variabile da tumore a tumore poiché il tipo istologico condiziona
molto in realtà sia la prognosi che l’aggressività. Non da ultimo all’interno dello stesso tumore
possono essere presenti linee di differenziazione tumorale anche molto diverse tra di loro a
configurare un quadro misto che può procedere in modo autonomo nelle sue diverse parti.
La velocità di crescita non è il solo dato che interessa per definire la malignità in quanto, a livello
clinico, sono importanti anche la morfologia del tumore e il piano di clivaggio dai tessuti
circostanti.
I sintomi possono essere:
 Locali – dolore toracico, tosse, dispnea, disfagia (l’esofago è molto posteriore rispetto al timo ma è
possibile che una metastatizzazione a livello dello sfondato costo-frenico possa portare a
compressione e disfunzione esofagea),
 Da infiltrazione – sindrome della vena cava superiore, tachiaritmie nel caso di una infiltrazione del
pericardio e quindi del miocardio, paralisi diaframmatica per infiltrazione del nevo frenico o disfonia
per infiltrazione del nervo laringeo ricorrente.
 Sistemici – febbre, calo ponderale e anoressia e tutti i sintomi tipici di una patologia neoplastica.

Un altro problema del timoma, quasi un marchio caratteristico, è l’associazione con la miastenia
gravis come sindrome paraneoplastica. Non tutti i timomi sono miastenici (solo il 20% hanno
miastenia gravis) diplopia, disfagia, scialorrea sono i sintomi tipici della miastenia.
Se il tumore è precoce un terzo è asintomatico, mentre la malattia avanzata o disseminata
presenta sempre sintomi locali e/o sistemici.
Le casistiche vanno interpretate quando si legge della letteratura, perché se si va a leggere la
casistica di un professore dell’università del Sacro Cuore di Milano specializzato nella terapia della
miastenia è ovvio che avrà una casistica molto ampia poiché gli arrivano casi da tutta Italia e
ovviamente sarà anche piu ampia in percentuale la quantità di pazienti miastenici con il timoma
(aumenta il numero totale del campione ma l’incidenza sul totale della popolazione non è diversa).
111
Altro problema dei pazienti che hanno il timoma, spesso si tratta di persone con disordini
immunitari, ancora non si è capita la ragione per cui il sistema immunitario diventa insufficiente
ma, di fatto, sono pazienti che hanno una probabilità più alta di ammalarsi di un secondo tumore
nel corso della loro vita.
PROGRESSIONE NATURALE DEL TIMOMA
La crescita del tumore è normalmente piuttosto lenta, tanto è vero che fino a 4/5 cm il tumore è
praticamente asintomatico. La diagnosi è spesso incidentale, almeno nel 50% dei pazienti si tratta
di reperti occasionali comparsi su lastre del torace fatte per altre ragioni.
L’aggressività biologica del tumore è variabile, a volte non è pericoloso a volte può portare a
morte il paziente, di conseguenza l’approccio da seguire dopo l’RX del torace è la TC seguita o
meno dalla biopsia.
Gli elementi che ci permettono di decidere sono le dimensioni, l’età del paziente, le condizioni
generali del paziente e le aspettative di vita dello stesso: una neoformazione con caratteristiche
infiltrative francamente maligne che deve essere sottoposto a chemio/radioterapia ed
eventualmente chirurgia deve necessariamente eseguire una biopsia per poter personalizzare il
trattamento. Un nodulo invece piccolo che ha caratteristiche di benignità e una crescita lenta in un
paziente anziano può essere seguito nel tempo ed eventualmente operato nel caso in cui, durante
il follow-up assuma caratteristiche di malignità.
Nella sua progressione il timoma ha una elevata tendenza a infiltrare le sierose, per cui spesso lo si
trova come progressione locale metastatica all’interno del pericardio o nella pleura. La crescita
infiltrativa è una caratteristica di questo tumore in tutti gli stadi B mentre per il tipo A midollare la
capacità di infiltrare è ridotta.
La prognosi è ottima per il tipo A mentre è meno buona per il B.

CARCINOMA TIMICO
Il carcinoma timico è molto meno frequente del timoma (l’1% dei timomi sono carcinomi timici),
sono prevalenti nel sesso maschile, hanno una sopravvivenza nettamente inferiore e compaiono in
un’età più avanzata rispetto al timoma. Tutti i sottotipi di carcinoma insieme hanno la metà della
sopravvivenza del timoma.
STORIA NATURALE
Il carcinoma invade le strutture mediastiniche (non solo la pleura ma vasi, pericardio, nervi e la
struttura ossea dello sterno) molto più velocemente del timoma, l’80% ha già infiltrato una
struttura mediastinica alla diagnosi. La sua diffusione non è solo locale ma ha anche una tendenza
alla diffusione linfatica. Le metastasi a distanza a livello polmonare, pleurico, epatico e dello
scheletro sono molto più frequenti rispetto al timoma.

DIAGNOSI
L’iter diagnostico si compone di:
 RX del torace in DUE PROIEZIONI, il timoma va spesso a nascondersi dietro allo sterno o risulta
coperto dall’ombra cardiaca, quindi la proiezione laterale è necessaria per poter porre diagnosi
correttamente
 La TC del torace è morfologicamente molto più precisa, permette di valutare la vascolarizzazione
con l’utilizzo del mezzo di contrasto e permette di evidenziare eventuali metastatizzazioni a livello
delle sierose (permette anche di valutare il piano di clivaggio della massa rispetto al tessuto
circostante.

112
 La RM è poco utile in questo caso anche se permette una valutazione più precisa di quello che è il
piano di clivaggio della neoplasia.
 La PET è indispensabile per la stadiazione e per il follow up (nel follow-up non come primo esame,
ma come esame di secondo livello nel momento in cui la TC metta in luce un sospetto di recidiva).
La PET permette di discriminare tra la cicatrice post-chirurgica e la recidiva in quanto il grado di
metabolismo è nullo all’interno di una fibrosi cicatriziale mentre è elevato se la fibrosi è il risultato
di una progressione neoplastica. Non è una metodica che può essere usata a tappeto, nel
preoperatorio non è indispensabile. Un SUV alto correla con forme di timoma più aggressive e non
sempre correla con l’istotipo, l’istotipo ha un suo aspetto prognostico (il B va peggio dell’A e il B3 va
peggio del B1) ma non sempre un istotipo elevato ha un SUV alto e si è visto che la prognosi ha una
più alta correlazione con la captazione rispetto all’istotipo.

(Il prof descrive alcune immagini proiettate in cui dimostra quello che ha appena descritto: le
caratteristiche morfologiche alla TC, biologiche alla biopsia e rispetto al SUV della PET sono
tutte necessarie per poter porre la prognosi corretta).
Il punto fondamentale per poter porre diagnosi di certezza di timoma/carcinoma timico è in
ogni caso la biopsia (che può essere effettuata con ago aspirato o con biopsia percutanea ad
ago tranciante eseguita sotto guida TC oppure nel caso in cui la neoplasia sia molto profonda,
molto difficile da raggiungere o molto sospetta per essere un timoma si può procedere con
una mediastinotomia anteriore secondo Chamberlain ed eseguire una biopsia incisionale o
escissionale).
(esempio di agobiopsia TC guidata in cui bisogna stare attenti a non rimanere troppo adiacenti
alla capsula poiché si rischierebbe di non includere il timoma e di avere quindi un falso
negativo).
CLASSIFICAZIONE
Il timoma ha molte classificazioni (il che significa che nessuna è riconosciuta come perfetta ma
sono di fatto migliorabili) di cui una è importate per la definizione del sottotipo istologico
(ROSAI) mentre la seconda è importante per la stadiazione (MASAOKA):
 CLASSIFICAZIONE ISTOLOGICA
o TIMOMA
 (A) neoplasia formata da una popolazione omogenea di cellule epiteliali
neoplastiche fusiformi o ovali senza atipie nucleari accompagnate da pochi linfociti
non neoplastici.
 (AB) neoplasia formata da foci del tipo a accompagnati da foci ricchi in linfociti,
difficilmente separabili.
 (B1) neoplasia che assomiglia a normale tessuto timico funzionante in cui si
mescolano aree corticali e midollari
 (B2) neoplasia in cui la componente epiteliale neoplastica appare sparpagliata in
forma di cellule rigonfie con nuclei vescicolari e nucleoli distinti in una popolazione
di linfociti ; gli spazi perivascolari sono comuni
 (B3) è chiamato anche carcinoma timico ben differenziato, neoplasia costituita
prevalentemente da cellule epiteliali di forma poligonale o rotonda con atipie
moderate frammiste ad una componente più esigua di linfociti: presenti foci di
metaplasia squamosa e spazi perivascolari
o CARCINOMA TIMICO (C)
 STADIAZIONE (Masaoka):
o Stadio 1: Timoma macroscopicamente capsulato, senza invasività capsulare microscopica

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o Stadio 2: Invasione macroscopica del tessuto adiposo circostante o della pleura
mediastinica
o Stadio 3: Invasione generalizzata delle strutture circostanti
o Stadio 4: Disseminazione pleurica e pericardica; metastasi linfatiche ed ematiche

TRATTAMENTO DEL TIMOMA


La resezione chirurgica è determinante nella terapia del timoma indipendentemente dallo stadio e
dal tipo istologico, si è visto infatti che i pazienti non operati (per comorbidità o perché non
elegibili alla terapia chirurgica) hanno avuto tutti una prognosi decisamente più povera rispetto ai
pazienti con stesso tipo istologico e stadio del tumore. Si tratta di una malattia loco-regionalmente
aggressiva -> è giustificato l’intervento chirurgico radicale per evitare le metastasi locoregionali a
livello della pleura e del polmone. La chemioterapia e la radioterapia non offrono le stesse
garanzie di controllo della malattia nel lungo periodo.
Per lo stadio 1 e 2 la chirurgia è sicuramente indicata e deve essere R0. Lo stadio 3 e 4 hanno come
necessità la chemioterapia adiuvante o neoadiuvante e la radioterapia unitamente alla
asportazione il più radicale possibile della neoplasia, lo stadio uno non necessita di terapie
adiuvanti mentre il 2 teoricamente non dovrebbe farle anche se talvolta capita che siano
prescritte. Nello stadio 4 è improprio chiamare la chemio/radio terapie adiuvanti poiché di fatto si
tratta della terapia vera e propria in quanto la chirurgia non può essere risolutiva. La terapia
neoadiuvante serve per ridurre le dimensioni della massa tumorale per portare all’intervento
chirurgico un paziente che chirurgico non era.
La chemioterapia è efficace nel trattamento del timoma soprattutto se sono utilizzati 2 o più
farmaci (polichemioterapia) di cui uno deve essere il cisplatino. Efficace significa che la
chemioterapia è in grado di indurre una remissione parziale o completa del tumore nonostante il
tumore abbia una crescita relativamente lenta e un numero di mitosi attive ridotto.
VIE DI ACCESSO CHIRURGICO
La sternotomia mediana è certamente quella ad oggi più utilizzata, ci sono tante mode oltre a
questa, ma questa non passa mai di moda poiché permette un controllo assoluto delle varie
complicanze cardiovascolari che possono verificarsi nel momento in cui si debba asportare una
massa adesa al peduncolo vascolare cardiaco. Altri approcci sono:
 La cervicotomia, L’approccio sovrasternale al timo è stato proposto da Leriche e Jung nel 1939.
Rispetto alla sternotomia rappresenta un approccio meno invasivo, gravato da un più basso tasso di
morbidità, un più breve ricovero ed un risultato estetico migliore. Con l’ausilio di un retrattore
sternale, introdotto da Cooper nel 1988, la migliore visualizzazione dell’ambiente mediastinico ha
consentito ad alcuni di proporre la tecnica come di scelta nel trattamento chirurgico della MG,
invocando risultati sovrapponibili a quelli ottenibili con l’accesso classico ma con i vantaggi tipici
anche delle più moderne tecniche miniinvasive. Per contro non offre un’ampia visualizzazione
dell’ambiente mediastinico, reppresentando un limite per l’esecuzione di una radicale resezione del
tessuto connettivo mediastinico anteriore.
 La cervicotomia associata alla sternotomia mediana. Nel 1988 Jaretzki raccomandò la necessità di
una radicale timectomia mediante la combinazione delle due tecniche, cervicotomica e
sternotomica. Tale ampia apertura offrirebbe il vantaggio di rimuovere in blocco tutto il tessuto
mediastinico e cervicale anteriore, consentendo una più sicura e completa resezione del tessuto
timico.
 Le sternotomie parziali (coinvolgenti alternativamente la parte superiore o inferiore dello sterno)

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 La “video-assisted thoracic surgery” (VATS) thymectomy -> La prima timectomia per via
toracoscopica è stata dimostrata da Sugarbaker nel 1993 e tale tecnica rappresenta l’alternativa
miniinvasiva alla chirurgia a cielo aperto.
 La “video-assisted thoracoscopic extended thymectomy” (VATET)
 La timectomia mediastinoscopica.

L’avvento dell’Intuitive Da Vinci Surgical System ha permesso di realizzare interventi molto precisi
dal momento che si è in grado addirittura di sincronizzare l’attività cardiaca con il movimento dei
bracci robotici durante l’operazione permettendo al chirurgo di operare come se il cuore fosse
fermo. L’inconveniente principale è il costo dell’operazione poiché ogni singolo braccio robotico
deve essere interamente sostituito da un intervento all’altro.
Al termine dell’intervento si mette sempre un filo di repere per poter orientare il pezzo operatorio
cosi che l’anatomopatologo, nel caso in cui fosse presente un margine con residuo di malattia,
possa essere in grado di identificare il lato. L’identificazione del lato di possibile residuo è
nescessaria per poter guidare un reintervento (raro) o la radioterapia adiuvante in modo che sia
mirata ad un campo specifico.
La terapia per lo stadio 1 e 2 è unicamente la chirurgia. Dovrebbe essere fatta per via
sternotomica, alcuni centri hanno introdotto la VATS con sollevamento dello sterno (accesso
destro/sinistro o entrambi). Piccola nota tecnica: la CO2 durante questi interventi si infiltra tra i
piani tissutali non contigui essendo estremamente diffusubile e facilita lo scollamento chirurgico. Il
problema delle tecniche miniinvasive è il follow-up: non è passato ancora abbastanza tempo per
poter dire se le tecniche utilizzate sono parimenti efficaci rispetto a quelle classiche o se
dimostrano gradi di efficacia inferiori. (La prognosi si misura a 10 anni dall’intervento al giorno di
oggi). La tecnica chirurgica in questo caso riguarda solo il tipo di accesso chirurgico in quanto
l’intervento in sé è la resezione del tumore che deve essere radicale.
PROGNOSI
La prognosi di questi tumori è eccellente per gli stadi 1 e 2 (>80%), in questi casi la terapia
adiuvante non è indicata. La radioterapia può essere indicata quando ci sono piccolissimi foci di
malattia ma è una cosa abbastanza rara in quanto, di solito la terapia chirurgica risulta essere
radicale.
Negli stadi 3 e 4 la prognosi è più povera a causa dell’esteso interessamento degli organi
mediastinici. In questi casi il tumore risponde alla chemioterapia neoadiuvante per ridurre le
dimensioni della massa. Nel caso in cui fosse interessato un solo sfondato pleurico è possibile fare
la pleurectomia/decorticazione o la pleuro/pneumectomia per bonificare tutto il territorio che
potrebbe essere andato incontro a inseminazione tumorale. Ovviamente il tumore non è operabile
nel momento in cui vi è un coinvolgimento pleurico bilaterale o quando il tumore ha dato
metastasi a distanza. Il 50% dei pazienti definiti inoperabili possono essere recuperati grazie alla
chemioterapia neoadiuvante.
La radioterapia di induzione puo essere fatta in casi selezionati (quando il tumore invade i grossi
vasi) e solo in centri altamente specializzati (nei centri specializzati si ottengono ottimi risultati).
(Il prof descrive il caso di un paziente inoperabile portato all’intervento grazie alla chemioterapia
di induzione)
Ovviamente nei casi 3 e 4 l’approccio chirurgico deve essere AMPIO, non esistono alternative alla
sternotomia mediana per poter avere l’accesso al campo operatorio.
La resezione monolaterale del nervo frenico è possibile ma deve essere monolaterale. Nel caso in
cui il paziente sia affetto da miastenia ovviamente non è possibile recidere il nervo ma deve essere
fatto un debulking intorno ad esso e il residuo di malattia deve essere marcato con una clip

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metallica per poter guidare il radioterapista nel momento in cui verrà effettuata la radioterapia
post-intervento.
La prognosi è certamente correlata allo stadio, alle dimensioni, all’infiltrazione di organi e
strutture, è certamente correlata alla istologia ma è sicuramente correlata alla resezione, se i
margini di resezione non sono puliti (R0) la percentuale di recidiva locale è molto alta.
La sopravvivenza degli stadi 3 e 4 a 10 anni è praticamente sovrapponibile e si aggira intorno al
30%, non è malissimo ma, nel caso del timoma, la stadiazione precoce è certamente un obbiettivo
da ottenere.
Istologicamente le forme A, AB, e B1 sono quelle che vanno meglio mentre le forme B2 e B3 e C
hanno un comportamento più aggressivo. (Una precisazione: nel timoma non è possibile
prevedere la capacità di infiltrare basandosi sull’istologia). La prognosi è determinata anche
dall’associazione con la miastenia, ovviamente un paziente miastenico va incontro a tutta una
serie di complicanze che ne inficiano la sopravvivenza (complicanze settiche in primis)-> la
miastenia va in remissione solo nel caso in cui venga fatto un intervento radicale che porti alla
rimozione di tutto il grasso peritimico da nervo frenico a nervo frenico (90% DI REMISSIONE).
L’altra causa che porta a morte i malati di timoma è lo sviluppo di una seconda neoplasia a causa
del deficit immunitario presente in questi pazienti.
COMPLICANZE PERIOPERATORIE
Sono interventi grossi che possono presentare delle complicanze perioperatorie, la morbidità è
molto variabile, possono sorgere complicanze polmonari, complicanze cardiologiche e cosi via.
La sopravvivenza a 5 anni nello stadio 3/4 è del 61/68%, quindi fino a 5 anni sono pazienti che
tutto sommato vanno bene, poi muoiono (a 10 anni era 38%). Quello che determina
maggiormente la bontà della prognosi è la recidiva del tumore in quanto persino nello stadio 1 si
parla di 4% di recidive, nello stadio 2 del 14% nel 3 del 26% e nel 4 del 46%. Il tempo di recidiva è
di 5 anni circa, quindi sono pazienti che devono avere un follow-up molto lungo e le recidive sono
prevalentemente recidive locali o inseminazioni a livello del cavo pleurico (60%), del pericardio
(40%). Raramente sono tumori che danno metastasi a distanza.
(riprende il caso della recidiva di prima, per dire che anche la recidiva può avere indicazione
chirurgica).
I fattori prognostici per avere una recidiva sono:
 Resezione non radicale (R1 R2)
 Stadio avanzato
 Dimensioni maggiori di 8 cm
 Istologia
 (Grado di invasione della pleura e del pericardio)

Sono tutti fattori indipendenti


La recidiva deve essere innanzitutto diagnosticata e la rioperazione può e deve essere presa in
considerazione dal momento che la rimozione dei nuovi foci di malattia potrebbe essere
ugualmente curativa. La radioterapia può essere utile se fatta in centri altamente specializzati,
poiché il rischio di polmonite attinica è molto alto, e, nel caso in cui debba essere fatta su foci
molto piccoli, la chirurgia dà effettivamente risultati migliori.
Il debulking deve sempre essere fatto nella recidiva al fine di prolungare l’aspettativa di vita del
paziente e certamente si deve raggiungere il controllo della miastenia, altrimenti il paziente muore
per le complicanze della miastenia stessa.
A volte nella recidiva i tumori possono cambiare grado istologico (shift patologico) poiché una
porzione di tessuto che non viene riconosciuta e asportata può effettivamente continuare nella
sua evoluzione e quindi accumulare altre mutazioni che la portano ad un grading più alto.
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(Altro caso di uomo operato nel 2007 (B3), nel 2010 ha avuto una recidiva paravertebrale che è
stata resecata)

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