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INTRODUZIONE E LE TRE CATEGORIE DI CONTRATTI

A partire dagli anni 90 la legislazione tiene sempre più in considerazione della


particolare posizione che uno dei contraenti può assumere all’interno di una
relazione contrattuale, a differenza del codice del 42 che considerava tutte le parti
sullo stesso livello.
Abbiamo visto nei contratti standard la tutela prevista dall’art. 1341, ma ci siamo
accorti che si tratta di una tutela soltanto formale, così (in linea con quanto detto nel
paragrafo precedente) a partire dagli anni 90 sono nate sempre più norme con
l’obbiettivo di tutelare in modo specifico i sogg. ai quali si riconosceva una posizione
più debole. Tutte queste norme furono racchiuse in un codice, il quale prende il
nome di codice del consumo ed al cui interno sono presenti le regole che il
legislatore ha imposto a tutela del consumatore, ovvero colui che agisce per
soddisfare esigenze di carattere personale (definizione che subito viene data
all’interno dell’art. 3 del cod. cons.). Il professionista è la controparte del
consumatore e per professionista si fa riferimento al sogg. una posizione
contrattuale favorevole e che dunque potrebbe abusare di questa condizione,
inoltre il professionista stipula contratti per soddisfare esigenze inerenti alla propria
attività professionale.
Prima di continuare questo discorso dobbiamo specificare come per il nostro
ordinamento attualmente esistano 3 categorie di contratti:
1) Il Primo Contratto: Contratto tra pari, si tratta di un contratto tra sogg. dotati
della stessa forza contrattuale e dunque non bisognosi di tutela ed intervento
da parte dello Stato;
2) Il Secondo Contratto: Contratto che intercorre tra consumatore e
professionista, si tratta di un modello contrattuale che inizia a prendere forma
a partire dalla direttiva dell’UE del 93 e che noi chiamiamo contratti B2C
(Business to Consumer);
3) Il Terzo Contratto: Contratto che intercorre tra imprese, si tratta di un
contratto tra imprese all’interno del quale una delle due potrà aver bisogno di
protezione contro l’altra azienda, questi contratti vengono chiamati anche
contratti B2B (Business to Business).
I CONTRATTI TRA IMPRESE ED IL DIVIETO DI ABUSO DI
DIPENDENZA ECONOMICA
Cominciamo dai contratti B2B, in particolare ci occupiamo dei contratti di
subfornitura (i quali vengono disciplinati dalla legge n. 192/1998). Chi è il
subfornitore? Il subfornitore è colui che si obbliga verso un altro imprenditore ad
eseguire delle lavorazioni su prodotti forniti dalla controparte oppure a fornire dei
componenti per prodotti che poi vengono immessi sul mercato da un’altra azienda.
Es. L’azienda Diesel porta dei Jeans al consorzio di Bronte il quale riceve l’incarico di
eseguire delle lavorazioni sui Jeans, oppure un’azienda produce i tappi per l’azienda
Ferrarelle, questi tappi possono essere utilizzati solo per quel tipo di bottiglie; nel
caso in cui l’azienda dominante decidesse ad esempio che i prezzi sono molto più
bassi, a quel punto l’azienda debole dovrà essere tutelata applicando la disciplina
della legge n. 192/1998.
La 192/1998 la possiamo dividere in due parti, una prima parte di carattere specifico
e rivolta al subfornitore che viene tutelato dalla legge, una seconda parte invece di
carattere generale.
Nella prima parte si evidenzia che i caratteri essenziali del contratto sono:
a) La necessità della forma scritta del contratto di subfornitura (pena la nullità);
b) La necessità di un contratto trasparente (nella legge n. 192 del 1998 vengono
indicati specificamente tutti i punti che il contratto deve contenere);
c) La necessità di termini di pagamento stringenti (si vuole tutelare il
subfornitore il quale avrà diritto al pagamento massimo entro 60 giorni,
scaduti i quali gli interessi non sarebbero quelli ordinari, ma molto più
elevati).
Dunque, come possiamo desumere da questi punti, vi è una forte tutela del
subfornitore.
Nella seconda parte si fa riferimento ad un insieme di leggi di carattere generale,
cioè sebbene inserite nella disciplina della subfornitura, il principio dell’art. 9 (della
legge n. 192/1998) che stiamo per citare si rivolge a tutti i rapporti tra imprenditori.
Il principio dell’art. 9 sancisce il divieto di abuso di dipendenza economica, la quale
però di per sé non viene condannata dalla legge (ci può essere una parte più forte
dell’altra), è l’abuso che viene fatto di essa ad essere condannato dalla legge. L’art. 9
riporta alcune ipotesi di abuso di dipendenza economica e parla:
1) Prima di tutto del rifiuto di vendere e di comprare (anche se in questo caso se
si parla di rifiuto di vendere e di comprare vuol dire che ancora non vi è un
contratto e dunque non vi è un vero e proprio abuso);
2) Poi dell’imposizione di condizioni eccessivamente gravose;
3) Infine di interruzione arbitraria della relazione contrattuale.
Ma quali sono le conseguenze nel momento in cui si verifica una di queste ipotesi?
Se è presente un contratto tra le parti, le clausole eccessivamente gravose vengono
colpite da nullità, nullità che è stata valutata dalla giurisprudenza e dalla dottrina
come parziale ovvero che investe solo una o più clausole del contratto (a differenza
della nullità totale che investe l’intero contratto). Se non è presente alcun contratto
tra le parti è comunque possibile ravvisare l’abuso di dipendenza economica che
però non potrà dar vita a nullità, bensì a responsabilità extracontrattuale.

I CONTRATTI TRA CONSUMATORE E PROFESIONISTA ED IL CODICE


DEL CONSUMO
Abbiamo visto come la disciplina del 1341 offre una tutela formale, mentre quella
che ci apprestiamo a trattare (nello specifico l’art. 33 del cod. cons.) offre una tutela
sostanziale, da qui possiamo desumere come queste due discipline abbiano la
caratteristica di integrarsi a vicenda. La distinzione degli art. 1341 e 1342 dalle
norme che stiamo per trattare deve essere analizzata dal un profilo soggettivo
(ovvero bisogna capire a quali sogg. si applicano queste discipline) e da un profilo
oggettivo.
Sotto il profilo soggettivo la disciplina del 1341 è molto più ampia perché si applica a
tutti i contratti, dunque facciamo riferimento ai contratti B2B, B2C ed i contratti tra
pari. Il profilo soggettivo dell’art. 33 invece è molto più ristretto poiché fa
riferimento ai contratti tra professionista e consumatore (B2C), quindi non è
applicabile ai contratti tra pari e neanche ai contratti tra imprese (B2B).
Sotto il profilo oggettivo l’art 1341 comprende un elenco tassativo di clausole,
dunque potranno considerarsi eccessivamente gravose alla stregua dell’art. 1341
soltanto le clausole esplicitamente elencate al secondo comma del predetto articolo
(l’analogia quindi non è ammessa). Per quanto riguarda il codice del consumo, dal
punto di vista oggettivo, al suo interno non si riscontra alcun elenco tassativo, anzi
nell’art. 33 viene affermato che sono vessatorie tutte le clausole che malgrado la
buona fede comportino un significativo (o eccessivo) squilibrio a carico del
consumatore.
? Sotto il profilo oggettivo dobbiamo anche tenere in considerazione che l’art. 1341
si applica alle condizioni generali di contratto (cioè ai contratti stipulati in modo
standardizzato e unilaterale, mentre non si applica ai contratti individuali), il codice
del consumo invece fa proprio riferimento alla trattativa individuale. ?
In definitiva possiamo dire che il giudice dopo essersi accertato della validità delle
clausole in relazione all’art. 1341, dovrà anche verificare la validità delle clausole alla
stregua dei criteri dell’art. 33 e seguenti del codice del consumo.
Dopo aver tracciato le varie differenze tra la disciplina dell’art. 1341 e quella del
codice del consumo, ci possiamo occupare nello specifico della normativa dei
contratti sul consumatore e possiamo affermare che essa su muove su due livelli, il
primo livello è quello che riguarda la qualificazione di vessatorietà delle clausole, il
secondo livello è quello probatorio che attiene a delle presunzioni di vessatorietà
Il primo livello. Riprendiamo quanto detto precedentemente affermando che, il
legislatore nell’art. 33 ci dice quando una clausola deve dirsi vessatoria, e cioè
vengono considerate vessatorie tutte le clausole che, malgrado la buona fede, si
rilevino eccessivamente gravose per il consumatore e che comportino quindi un
significativo squilibrio; ma vi sono due eccezioni:
1) Se queste clausole riproducono norme di legge non possono essere
vessatorie;
2) Se c’è stata una trattativa individuale (deve trattarsi di una trattativa effettiva
e non formale) allora la clausola non potrà essere vessatoria.
Il secondo livello. Il legislatore prevede due liste:
1) La lista grigia, all’interno di quest’ultima sono contenute le clausole vessatorie
che si presumono tali fino a prova contraria (il professionista ad esempio può
dar prova della trattativa individuale oppure può dar prova che la clausola che
si presume vessatoria è riequilibrata da un’altra clausola);
2) La lista nera, all’interno di quest’ultima sono contenute le clausole che si
presumono vessatorie e non ammettono prova contraria, sono clausole
particolarmente gravose, esse sono:
a) Le clausole che escludono o limitano la responsabilità del professionista in
caso di morte o di danno alla persona del consumatore;
b) Le clausole che escludono o limitano i diritti del consumatore in caso di
inadempimento del professionista.
Le conseguenze della declaratoria di vessatorietà sono quelle della nullità, una
nullità parziale che inficia unicamente la clausola che manifesta l’abuso da parte del
professionista poiché anche qui vi è la stessa esigenza del consumatore a cui non
conviene che venga reso nullo tutto il contratto, inoltre la nullità può essere rilevata
d’ufficio ma soltanto a vantaggio del consumatore (quest’ultimo infatti potrebbe
anche rinunciare alla nullità delle clausole).

TIPI DI TUTELA COLLETTIVA


Quello che abbiamo appena trattato è un rimedio individuale, accanto a questo
troviamo i rimedi di carattere collettivo e la cdd. Class Action. Quest’ultima è
prevista dall’art. 140-bis del codice di procedura civile, essa è una forma di azione
promossa da più consumatori che agiscono per far valere diritti omogenei nei
confronti di Small Claims (piccoli danni).
INTRODUZIONE AL RECESSO
L’art. 1372 fornisce un principio fondamentale all’interno del nostro ordinamento,
ovvero il principio della vincolatività del contratto (“il contratto ha forza di legge tra
le parti”). Da questo principio possiamo desumere che con la nascita del contratto si
instaura un vincolo tra le parti, il quale viene considerato l’effetto fondamentale del
contratto (in contrapposizione all’effetto finale che corrisponde agli interessi che
perseguono le parti).
Il principio della vincolatività trova però due deroghe:
1) Il vincolo può essere sciolto per mutuo consenso (o anche detto mutuo
dissenso)
2) Il vincolo può essere sciolto tramite il recesso (che vuol dire “tornare
indietro”)

QUANDO È PREVISTO IL RECESSO?


Il recesso è un atto unilaterale recettizio attraverso il quale una parte esercita il
diritto potestativo di sciogliere il vincolo contrattuale. Bisogna distinguere due
tipologie di recesso in base alla fonte di questo diritto:
1) Recesso Convenzionale. Qui il recesso trova la sua fonte in un accordo tra le
parti
2) Recesso Legale. Qui il recesso proviene dal legislatore e dobbiamo distinguere
2 aree di contratti:
a) Contratti a tempo indeterminato Il legislatore non
essendo favorevole a questo tipo di contratti permette sempre di
recedere solitamente mediante preavviso ma in alcuni casi anche
senza quest’ultimo;
b) Contratti a tempo determinato Anche qui il legislatore
interviene prevedendo la possibilità di recedere ma molto spesso
questa possibilità viene data ad una sola parte e non anche all’altra
(perché ad esempio il legislatore tende a difendere la parte più
debole).
GLI EFFETTI DEL RECESSO
Ma quali sono gli effetti del recesso?
Anche qui va fatta una distinzione tra 2 tipi di contratti:
1) Recesso di contratti a prestazioni periodiche o continuate (es. la locazione).
- Qui il recesso può essere esercitato anche quando le prestazioni sono già
state eseguite ed in caso di recesso le prestazioni eseguite rimarranno ferme;
2) Recesso di contratti a esecuzione istantanea.
- Qui il recesso può essere esercitato soltanto quando non vi è stato alcun
inizio dell’esecuzione della prestazione.

LE FUNZIONI DEL RECESSO


Il recesso svolge varie funzioni:

a) Recesso Determinativo. Con questo recesso le parti determinano un termine


che non era stato deciso fino a quel momento, stabilendo così lo scioglimento
del contratto (come avviene nei contratti a tempo indeterminato);
b) Recesso in Autotutela. È necessario per tutelare una parte di fronte
l’inadempimento altrui o di fronte ad un’erronea valutazione delle circostanze
del contratto (art. 1538 e art. 1464);
c) Recesso di Pentimento. Si consente all’acquirente, entro un determinato lasso
di tempo, di pentirsi circa l’affare concluso (come avviene nei contratti di
multiproprietà o nel commercio elettronico)
d) Recesso di protezione. Questo recesso viene attribuito al contraente che
abbia subito delle pratiche aggressive.
LO IUS VARIANDI
Oltre al potere di recedere vi è anche il potere di modificare il contratto sotto il
profilo quantitativo o qualitativo, questo potere lo individuiamo il nome di ius
variandi. Se questo ius variandi era già stabilito dalle parti allora non vi è nessun
problema, ma se le parti non dicono nulla in merito nasce un problema che nel
dibattito della dottrina prende il nome di rinegoziazione. La rinegoziazione consiste
nel modificare le condizioni del contratto poiché qualcosa è cambiato (quindi non
significa modificare in modo arbitrario). Alcune volte lo ius variandi è concesso dal
legislatore come nel caso di contratto di appalto l’art. 1661 prevede che il
committente in corso d’opera può variare il progetto (ci troveremo di fronte ad un
ius variandi di tipo legale). Ma è possibile uno ius variandi di tipo negoziale? E quindi
le parti possono scrivere all’interno del contratto che la controparte potrà cambiare
la qualità o la quantità della prestazione? È su questa domanda che è instaurato il
dibattito in corso, e si ritiene che è possibile attribuire alla controparte lo ius variandi
ancorando quest’ultimo a criteri oggetti e dunque facendo in modo che non venga
esercitato in modo arbitrario (ad es. potrebbero essere elencate una serie di
circostanze che permettono di cambiare la prestazione).
OGGETTO DETERMINABILE
L’oggetto deve essere determinato, ciò significa che deve essere indicato all’interno
del contratto. Ma ciò non è necessario, infatti è sufficiente che l’oggetto sia
determinabile e che quindi possa essere individuato grazie a dei criteri.
In alcuni casi è la legge che determina questi criteri, ma nella maggior parte dei casi
sono le parti stesse. Esse possono far riferimento ad estremi oggettivi (es. il prezzo
di borsa ad una certa data), oppure possono affidarsi ad un terzo.
In quest’ultimo caso si parla di arbitraggio ed il terzo (che prende il nome di
arbitratore) è chiamato a determinare l’oggetto del contratto.
Le parti possono andare incontro a due modalità di arbitraggio:
 Arbitrium boni viri: questa forma di arbitraggio si applica se le parti non
hanno previsto diversamente e si fonda sull’equo apprezzamento
dell’arbitratore. In questo caso l’arbitraggio viene affidato al giudice se il terzo
non l’effettua o se la sua determinazione è palesemente iniqua o erronea;
 Merum arbitrium: in questo caso le parti (per evitare successive
contestazioni) si affidano al mero arbitrio del terzo. Pertanto in tale ipotesi (a
differenza della precedente) l’arbitraggio è nullo solo se il terzo avesse agito in
malafede.
L’arbitraggio può essere affidato anche ad una delle parti del contratto, ma solo
attraverso la modalità di arbitrium boni viri.
L’arbitraggio non va confuso con l’arbitrato, nel primo caso il terzo (detto
arbitratore) deve determinare l’oggetto del contratto, nel secondo caso il terzo
(detto arbitro) deve risolvere la controversia che gli è stata affidata (l’arbitrato non
può essere affidato ad una delle parti, mentre l’arbitraggio si)
RECUPERO DEL CONTRATTO NULLO
La nullità è una forma di invalidità insanabile, anche se è possibile un recupero
parziale dei suoi effetti attraverso due regole: quella della nullità parziale, e quella
della conversione del contratto nullo.

LA NULLITA’ PARZIALE
Si ha nullità parziale nei casi in cui la nullità riguarda solo una clausola del contratto.
Se essa è determinante (e quindi “se risulta che i contraenti non avrebbero concluso
il contratto senza quella parte del suo contenuto che è colpita dalla nullità” art. 1419
c. 1) allora l’intero contratto sarà colpito da nullità. Se la clausola non è
determinante allora la nullità non colpirà l’intero contratto ma solamente la
clausola. Tutto dipende dunque dall’importanza che la clausola obiettivamente
riveste nel contratto.
Può tuttavia accadere che il contratto resti in piedi, anche se la clausola nulla è
essenziale: ciò si verifica “quando le clausole nulle sono sostituite di diritto da norme
imperative”, e cioè quando opera il meccanismo della inserzione automatica di
clausole. In quest’ultima ipotesi dunque il carattere della determinatezza è
irrilevante.

CONVERSIONE
La conversione è il meccanismo per cui il contratto nullo (incapace di produrre i suoi
effetti) può produrre gli effetti di un contratto diverso (art. 1424). La conversione
opera di diritto in presenza di due condizioni:
1. Il contratto nullo deve avere i requisiti di sostanza e di forma previsti per il
contratto diverso;
2. Deve risultare che le parti avrebbero voluto il contratto diverso, se avessero
saputo della nullità del loro contratto (volontà delle parti).
Diversa è la cosiddetta conversione legale, che si ha quando la legge, di fronte a un
contratto nullo, prevede la possibilità di convertirlo in un contratto di tipo diverso, a
prescindere dalla volontà ipotetica delle parti. Dunque all’interno della conversione
legale non assume rilevanza l’ultima condizione e cioè la volontà delle parti.
Infine non bisogna confondere la conversione del negozio nullo con la conversione
formale; quest'ultima opera in maniera automatica quando un negozio giuridico può
essere compiuto validamente in più forme.
Se è nulla la forma prescelta il negozio può assumere la diversa forma valida; se, ad
esempio, un atto pubblico non è stato posto in essere secondo le formalità
prescritte dalla legge, potrà valere come scrittura privata sempreché, beninteso, sia
stato redatto in forma scritta (articolo 2701 c.c.).

RINNOVAZIONE
Infine alle parti è concesso stipulare nuovamente il negozio nullo ma ovviamente
evitando il difetto che ha dato luogo alla nullità. In questo caso si parla di
rinnovazione del contratto.
MANCANZA DELL’ACCORDO DELLE PARTI
L’accordo delle parti è uno degli elementi essenziali del contratto e viene posto in
essere tramite le dichiarazioni delle parti, ma se tali dichiarazioni non sono
accompagnate dalle rispettive volontà delle parti, di conseguenza mancherà
l’accordo ed il negozio sarà nullo. Si distinguono due ipotesi fondamentali:
1) Mancanza di volontà. Essa si ha nei casi di:
a) Dichiarazione non seria, come avviene per scopi didattici o nel corso di una
rappresentazione teatrale.
b) Violenza fisica, come avviene nel momento in cui durante un’asta Tizio alza
il braccio a Caio (contro la sua volontà) per fargli fare un’offerta.
2) Divergenza tra volontà e dichiarazione. Essa si ha nei casi di:
a) Errore ostativo, ovvero quando viene commesso un errore nell’emettere la
dichiarazione (Es. al posto di scrivere 1100 scrivo 1010). In questi casi però
la legge non ha previsto la nullità ritenendola eccessiva, bensì ha applicato
all’errore ostativo la stessa disciplina dettata per l’errore vizio.
b) Simulazione, come nel caso in cui dichiaro di donare a Tizio ma in realtà
intendo arricchire Caio.
ANNULLABILITA’ IN CASO DI INCAPACITA’ NATURALE
L’annullabilità è prevista anche in caso di incapacità naturale, essa è la condizione di
chi sia di fatto incapace di intendere o di volere: vuoi perché abitualmente infermo
di mente ma non (ancora) interdetto, vuoi perché seppure ordinariamente capace si
trovi transitoriamente in condizioni di incapacità al momento in cui compie un atto
(a causa ad esempio di ipnosi, di ubriachezza, di sostanze stupefacenti).
Per poter capire al meglio in quali casi il contratto è annullabile a causa
dell’incapacità naturale del soggetto, bisogna dividere gli atti in:
1) Atti unilaterali. Sono quelli che vedono un solo soggetto come autore e sono
annullabili solo se il soggetto dimostra prima di tutto lo stato di incapacità in
cui si trovava al momento del compimento del contratto, poi occorre anche
dare prova di un grave pregiudizio che da questo atto vi sia stato procurato
(es. la remissione di un debito di rilevante importo, il riconoscimento del
diritto altrui);
2) Contratti. Quest’ultimi non vedono soltanto un soggetto come autore bensì
due parti. Possono essere annullati non soltanto attraverso la prova
dell’incapacità, ma c’è bisogno anche della mala fede della controparte,
ovvero se si prova che il contraente conosceva l’alterata condizione del
soggetto (vuoi perché evidente nel comportamento esteriore, vuoi perché
implicita nel pregiudizio ad essa derivante dal contratto). Se invece il contratto
è stato stipulato da un contraente che non era in malafede, a quel punto il
contratto non verrà annullato.
3) Atti di natura personale (es. donazione, testamento e matrimonio). In questi
atti la sola prova dell’incapacità transitoria del soggetto è sufficiente per
l’annullamento.
ERRORE DI DIRITTO
L’errore di diritto è quell’errore che cade sull’esistenza o sul contenuto di una norma
giuridica. Ad esempio un americano compra un’anfora in Italia ma poi scopre che
non la può portare a New York poiché il bene non è esportabile; oppure Tizio
compra un terreno pensando che sia edificabile ma non lo è. Come possiamo notare
si tratta di errori che cadono sulla qualità giuridica di un bene e di conseguenza
cadono su elementi interni al contratto. Dobbiamo specificare che l’errore di diritto
non attribuisce alcuna rilevanza ai motivi, poiché essi vengono considerati sempre
degli elementi esterni al contratto. Infatti se Tizio compra il terreno pensando che
quelli attorno non siano edificabili, non potrà annullare il contratto perché si tratta
di un motivo e dunque non si tratterà di un errore di diritto poiché non cade su
elementi interni al contratto. Allo stesso modo se Tizio compra un 125 non potrà
annullare il contratto perché viene a sapere che ci vuole il patentino per poterlo
guidare, qui Tizio infatti si trova di fronte ad un ostacolo che può rimuovere, inoltre
l’errore non cade su un elemento del contratto bensì sulla sfera personale di Tizio.
Non bisogna confondere l’errore di diritto con la cattiva conoscenza della disciplina
del contratto. Ad esempio possiamo fare riferimento ai casi in cui Tizio non era a
conoscenza della norma sulla garanzia della vendita, qui infatti non è possibile
invocare la mancata conoscenza della disciplina del contratto che si è stipulato per
poter ottenere l’annullabilità di essa.

ERRORE OSTATIVO
Accanto all’errore di fatto e di diritto troviamo un altro tipo di errore, l’errore
ostativo. Quest’ultimo è un’ipotesi di divergenza tra volontà e dichiarazione (a
differenza degli altri dove la volontà viene semplicemente viziata dall’errore) e se
volessimo essere precisi quindi si tratterebbe di un’ipotesi di nullità poiché
all’interno della dichiarazione manca la volontà delle parti. Però il legislatore ha
pensato che la nullità è una sanzione eccessiva per questa ipotesi e dunque ha
previsto anche in questo caso la sanzione della annullabilità.
CONTRATTI A EFFETTI TRASLATIVI DIFFERITI
Come abbiamo visto, i contratti dove il trasferimento del diritto si produce
immediatamente, prendono il nome di contratti a effetti traslativi immediati; ma nel
momento in cui il contratto ha ad oggetto la vendita di cose generiche, cose future o
cose altrui, il trasferimento del diritto non potrà avvenire immediatamente. In
quest’ultima ipotesi il contratto avrà soltanto effetti obbligatori (non ci sono effetti
reali) poiché il venditore avrà l’obbligo di far acquistare il diritto all’acquirente e
prenderà il nome di contratto a effetti traslativi differiti (anche chiamata vendita con
effetti obbligatori).
Se si tratta di vendita di cose generica, il trasferimento del diritto di proprietà si ha
con la individuazione (e dunque l’effetto reale si realizza), ovvero specificando quale
cosa (tra le tante dello stesso genere) dovrà andare al compratore. L’individuazione
può avvenire con la separazione del bene dal resto delle cose dello stesso genere
(ma solo nei casi in cui le parti si siano accordate in tal senso) oppure mediante la
consegna al vettore o allo spedizioniere (in caso di perdita od avaria del bene, essa
sarà a carico dell’acquirente).
Se si tratta di vendita di cose future, l’effetto reale del trasferimento del diritto di
proprietà si produrrà con la venuta ad esistenza del bene.
Se si tratta di vendita di cose altrui, l’effetto reale del trasferimento del diritto di
proprietà si produrrà con l’acquisto della proprietà da parte del venditore.
 Dunque se in un contratto consensuale non viene consegnato il bene, il
venditore sarà colpito da responsabilità contrattuale poiché il contratto è già
stato posto in essere tramite il semplice consenso. Se invece si dovesse
trattare di un contratto reale, il soggetto qualora abbia promesso di prestare
un oggetto a tizio, egli sarà colpito da responsabilità precontrattuale, essendo
il contratto non ancora stipulato (come sappiamo oltre al consenso delle parti,
nel contratto reale, sarà necessaria anche la consegna del bene).

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