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Roberto A.

Monti
TEORIA DELLA
RELATIVITÀ:
UN'ANALISI CRITICA
 
[a cura di Nereo Villa]
Fonte: r-a-monti-theory-of-relativity-a-critical-analysis.pdf
Traduzione in italiano di Monica Mandorli
Presentazione di Nereo Villa
Credo che il modo migliore per presentare questo studio di Roberto Monti sia la lettura
della Conferenza di Rudolf Steiner sulla relatività, perché è solo grazie alla vera
scienza, cioè alla scienza poggiante su logica di realtà (scienza dello spirito,
antroposofia) che ho potuto accogliere con grande entusiasmo gli scritti di MONTI, di
Umberto BARTOCCI, di Marco MAMONE CAPRIA e di tutti i veri e coraggiosi
scienziati che hanno incominciato a mostrare come la teoria di Einstein sia, più che una
scienza, una novella fede nella CONVENZIONE ASSOLUTIZZATA, che per
definizione è l'opposto del nuovo, e che pertanto ha bloccato del tutto lo sviluppo della
Fisica, della Matematica e di ogni altra scienza formalizzata in schemi e formule
meramente astratte. Buona lettura.
Castell'Arquato, 16 ottobre 2007
Sintesi
La teoria della relatività di Einstein è dimostrata essere una teoria
fisica di limitata validità sperimentale. Dodici diversi esperimenti
sembrano smentire i suoi due postulati.
 
Parole chiave
teoria della relatività, cosmologia, conducibilità elettrica dell'etere,
fondo radiazioni, redshift extragalattici, misurazioni
elettromagnetiche della velocità della luce, misurazioni a senso
unico della velocità della luce, misurazioni cinematiche della
velocità della luce, esperimenti interferometrici.
 
1
1. PREMESSE
Insufficienze e lacune nella premessa di Einstein al suo "Sulla
elettrodinamica dei corpi in movimento" del 1905 (1), sono state
sottolineate da diversi autori (2). Un caso in cui l'elettrodinamica di
Maxwell dà risultati diversi, che può essere sperimentalmente
testato come tale è stato recentemente sottolineato da Bartocci e
Mamone Capria (3).
 
Inoltre, le misurazioni della radiazione anisotropica di fondo oggi
permettono di rilevare tramite mezzi elettromagnetici il moto
terrestre relativo alla radiazione di fondo, (4), che può essere
considerato almeno stazionario all'interno del "corpo nero"
costituito dall'etere, "certamente il più esteso e probabilmente il
più omogeneo corpo conosciuto" (5, 6). È tuttavia esattamente al
livello di base dei postulati che evidenze sperimentali sembrano
confutare la teoria della relatività di Einstein.

2. PRIMO POSTULATO DI EINSTEIN


Il primo postulato di Einstein della relatività afferma che: "le
stesse leggi dell'Elettrodinamica e dell'Ottica dovrebbero
applicarsi anche a tutti i sistemi di coordinate per cui sono valide
le equazioni della meccanica [...]. Desideriamo elevare questa
presunzione (il cui contenuto sarà noto come il Principio della
Relatività) all'assunzione fondamentale (della nostra Teoria) [...].
L'introduzione di un etere luminoso si rivelerà superflua [...] come
sarà l'introduzione di uno spazio assolutamente a riposo dotato
di speciali proprietà (1).

Come conseguenza di questo primo postulato, l'equazione


dell'onda elettromagnetica  "nel vuoto " è stata (de)scritta come
segue (1):
 
(1/c²)(δ²F/δt²) = Δ²F; F ≡ E, H,
 

2
dove Δ² è l'operatore di Laplace, "E" è l'intensità del campo
elettrico in volt per metro, "H" è l'intensità del campo magnetico
in ampere per metro, "c" è la velocità della luce nell'etere (vuoto)
in metri al secondo, e "t" è il tempo in secondi.

Eppure, secondo Maxwell, "[...] tutte queste teorie portano alla


concezione di un mezzo in cui la propagazione avviene con
dispersione trascurabile di energia" (5, 6) così nell'equazione di onda
elettromagnetica
ε0μ0(δ²F/δt²) + σ0μ0(δ²F/δt) = Δ²F                                    (1)
dove ε0 è la permettività elettrica dell'etere in farads per metro;
μ0 è la permeabilità magnetica dell'etere in henrys per metro; σ0 è
la conduttività elettrica dell'etere in (ohm meter)-1; il termine
σ0μ0(δ²F/δt) può essere considerato trascurabile e l'equazione
d'onda diventa (5, 7) σ0μ0(δ²F/δt²) = Δ²F. Di conseguenza, il
postulato di Einstein è caratterizzato da due presupposti precisi
che sono in contraddizione con l'elettrodinamica di Maxwell:
1. Mentre, secondo la teoria di Maxwell, la velocità di
propagazione delle onde elettromagnetiche è una funzione di due
proprietà definite e misurabili del mezzo [il corsivo è mio - ndc] in
cui si svolge la propagazione, vale a dire, permettività elettrica ε0,
e permeabilità magnetica μ0, e abbiamo quindi (5) c =
1/(ε0μ0)½ secondo la teoria Einstein il mezzo "non esce" e quindi
non può "essere dotato di proprietà speciali" (1).
Di conseguenza, la velocità delle onde elettromagnetiche è
definita come segue (1): c = la lunghezza del percorso di
luce/durata del tempo.

2. Mentre, secondo la teoria di Maxwell, "la propagazione avviene


con dispersione trascurabile di energia" (6) almeno per le distanze
dell'ordine di quelle del nostro sistema solare, di modo che il
termine σ0μ0(δ²F/δt) può essere considerato come trascurabile, la
teoria di Einstein non considera affatto l'ipotesi dell'esistenza di
3
una conduttività elettrica dell'etere: σ0 ≠ 0
Di conseguenza, il valore numerico di questa "proprietà fisica
inesistente" nella teoria di Einstein è σ0 = 0 e corrispondentemente
la rigidità dielettrica dell'etere RD - il gradiente massimo
potenziale che può esistere in un dielettrico senza la creazione di
uno scarico (8) - è infinito: RD = ∞.
Ora, la contraddizione tra il fatto che la velocità elettromagnetica
della luce c = 1/(ε0μ0)½, che è stato oggetto di circa 50 anni
di misure sperimentali prima del 1905 (9), si ottiene dalle misure di
due proprietà fisiche definite del etere, σ0 e μ0, e la dichiarazione
di Einstein che "l'etere non esiste e di conseguenza non può essere
dotato di proprietà speciali" (1) è stato evitato puramente e
semplicemente omettendo di definire c in termini di σ0μ0. [la
forma grammaticale inglese di Roberto Monti in questa frase non
mi sembra precisa, e credo volesse intendere quanto segue: «la
dichiarazione di Einstein che "l'etere non esiste e di conseguenza
non può essere dotato di proprietà speciali" (1) implica che l'etere
sia stato da lui evitato, cioè "rimosso", puramente e
semplicemente omettendo di definire c in termini di σ0μ0» - ndc]
 
Entrambe le ipotesi implicite nel secondo presupposto, invece,
risultano sperimentalmente infondate.
 
 
3. CONDUCIBILITÀ ELETTRICA E RIGIDITÀ
DIELECTRICA DELL'ETERE
I termini del problema sono i seguenti: il fondamentale significato
fisico del terzo principio della meccanica (principio di azione e
reazione) può essere riassunto come segue. Nell'universo, come lo
conosciamo, non esistono sistemi isolati; in altre parole, ogni
sistema fisico interagisce sempre con qualche altro sistema
secondo il principio di azione e reazione.

L'effetto dell'interazione dell'onda elettromagnetica con il mezzo


4
in cui si propaga è rappresentato, nell'equazione d'onda, dal
"termine di smorzamento" σ0μ0(δ²F/δt). Si noti che un termine di
smorzamento viene sempre introdotto in qualsiasi equazione di
propagazione o nell'equazione del campo di forza, in conseguenza
del riconoscimento del fatto che in natura non esistono sistemi
isolati, e per evitare i paradossi di Olbers (la divergenza
dell'integrale di Gauss per un flusso di forza come per il flusso di
luminosità) (10, 11).

Per esempio, il paradosso analogo di Olbers per il campo


gravitazionale era stato già risolto da Laplace introducendo un
coefficiente di smorzamento nel potenziale gravitazionale di
Newton (11). L'idea di Laplace è stata ripresa da Nernst (12, 13) ed è
stata estesa da Yukawa a forti interazioni (14).
 
Supporre che σ0 = 0, RD = ∞, significa invece avanzare l'ipotesi
che ogni onda elettromagnetica sia un sistema isolato e che possa
propagarsi all'infinito senza perdere energia, dunque in questo
senso un esempio di "moto perpetuo" .

Il problema dell'esistenza di una conducibilità elettrica dell'etere


era stato affrontato in maniera indiscutibilmente superficiale
da Thomson (15) nel 1888. Sulla base di risultati sperimentali poco
più che preliminari e certamente insufficienti, Thomson ha
concluso che :
 
"Questi esperimenti mostrano che dopo essere stato superato un
certo esaurimento, la difficoltà di ottenere una scarica per passare
attraverso un tubo altamente esaurito aumenta aumentando
l'esaurimento. Questo risultato è in diretta opposizione ad una
teoria che ha trovato il favore di alcuni fisici, vale a dire che un
vuoto è un conduttore di elettricità [...]. Numerosi altri esperimenti
di tipo molto diverso indicano la conclusione che un vuoto non sia
un conduttore [...]. Ancora una volta, se accettiamo la teoria
5
elettromagnetica della luce di Maxwell, un vuoto non può essere
un conduttore o sarebbe opaco e non dovremmo ricevere alcuna
luce dal Sole o dalle stelle" (16).
Thomson non considera che secondo le evidenze sperimentali
indicate da Maxwell (5), "la vera corrente elettrica da cui
dipendono i fenomeni elettromagnetici non è la stessa della
corrente di conduzione, ma deve essere presa in considerazione la
variazione dello spostamento elettrico per valutare il movimento
totale di energia elettrica". Infatti, è ben noto che "qualcosa" molto
più veloce di un flusso di elettroni (molto più veloce rispetto alla
"corrente di conduzione") vada da un polo di un circuito elettrico
all'altro. La velocità di migrazione di portatori di carica in un filo
di rame, per esempio, è di circa 100 cm/s.

Le misurazioni del velocità della corrente elettrica fatta


da Pouillet (17) nel 1837 hanno dimostrato che questa velocità sia
molto più veloce della velocità della luce, un risultato
recentemente confermato da Milnes (18).
 
Ancora una volta per esempio, a mio parere, la corrente di
conduzione non è presente in un superconduttore perché la
supercorrente può muoversi liberamente in esso per centomila
anni e gli elettroni possono evitare la dissipazione energetica
dell'effetto Joule solo se non si muovono attraverso il circuito
(questo può essere il motivo per cui buoni superconduttori ad alta
temperatura siano scarsi (o poveri) conduttori di corrente di
conduzione).

La corrente di conduzione, in questa ipotesi, è un possibile effetto


parassita del passaggio di uno spostamento di corrente in un
mezzo qualsiasi. In altre parole, una supercorrente è un po' come
una brezza primaverile che crea un fruscio di foglie, mentre una
"normale" corrente (di conduzione) elettrica assomiglia ad una
6
tempesta che priva l'albero atomico dei suoi elettroni e li porta
nella sua scia. Intensità a parte, tuttavia il vento è sempre
la corrente di spostamento (19).
 
Questa non è certamente una "teoria completa" della
superconduttività ad alta temperatura, ma queste ipotesi non sono
contraddette da alcun fatto sperimentale.

Dal 1911 (20) è noto che in condizioni peculiari questo effetto


parassita possa fermarsi. In queste condizioni la corrente di
spostamento non cambia rapidamente in calore (effetto Joule)
mettendo in moto gli elettroni, ma può funzionare liberamente per
molto tempo attraverso il circuito superconduttore.
 
La corrente di spostamento viene trasmessa dal reticolo
superconduttore e perde la sua energia iniziale molto lentamente,
con un tempo di rilassamento simile a quello di un'onda
elettromagnetica attraverso l'etere (19).

La densità della corrente elettrica di un'onda elettromagnetica


nell'etere è data da (21)
 
 
J = ε0(δ²F/δt) + δP/dt,
 
 
dove ε0(δ²F/δt) è la densità della corrente di spostamento, e δP/dt è
la densità della corrente di polarizzazione dell'etere.

Entrambe queste correnti, in conformità col principio di azione e


reazione, causano uno smorzamento energia molto piccolo, ma
non nullo, perché in natura un "perfetto mezzo elastico" non
esiste. Questo significa che la serie continua di azioni e reazioni
tra etere e campi elettromagnetici (onde) provoca uno
7
smorzamento dell'energia elettromagnetica delle onde (EM) (il
movimento delle onde EM non è un moto perpetuo). Il paradosso
di Olbers non è più un paradosso, perché può essere spiegato
introducendo la conducibilità elettrica dell'etere.

Ma c'è ancora un effetto che mi piace chiamare "l'effetto Olbers",


costituito dal fatto che di notte "il cielo è illuminato a 2,7 K", cioè
non illuminato alle frequenze presunte da Olbers, ma illuminato.
 
 
4. MISURAZIONE DELLA RIGIDITÀ DIELECTRICA
DELL'ETERE
Evidenze sperimentali mostrano che l'etere sia certamente un
conduttore di correnti di spostamento dell'elettricità, vale a dire
che, σ0 è molto piccola ma è diversa da zero e RD non è infinito.
 
Il problema relativo alla misura della rigidità dielettrica dell'etere
era stato nuovamente considerato nel 1897 da Trowbridge, che ha
trovato una risposta sperimentale in conformità al terzo principio
della dinamica:
«Ho studiato la resistenza di sostanze altamente rarefatte a
scariche disomogenee e sono giunto alla conclusione che con una
sollecitazione elettrica sufficientemente potente, ciò che definiamo
un vuoto possa essere suddiviso, e che la scarica disomogenea
durante le sue oscillazioni incontri scarsa resistenza.
I miei esperimenti mi portano a concludere che ad un elevata
sollecitazione elettrica l'etere si rompa e diventi un buon
conduttore... (22) e, di conseguenza, come Olbers ha sottolineato nel
1823, "di notte il cielo è buio"» (23).
Trowbridge non è stato in grado di giungere a queste conclusioni
come risposta alle obiezioni di Thomson sulla conducibilità
dell'etere e "la luce dal sole o dalle stelle". Tuttavia, egli ha
certamente mostrato che RD non è infinito, mentre Olbers aveva

8
già sottolineato l'evidenza sperimentale corretta della conducibilità
elettrica dell'etere.
 
L'effetto-Olbers è stato calcolato da Eddington nel 1926 (24) e
misurato da Regener nel 1933 (25). I risultati ottenuti sono stati
indicati da Nernst nel 1938 (13) e la temperatura della radiazione di
fondo è stata misurata di nuovo nel 1965 da Penzias Wilson, che
ha confermato i risultati sperimentali di Eddington e di
Regener (26).

L'esperimento di Trowbridge non è mai stato ripetuto, ma


l'"effetto di decadimento sotto vuoto" oggi è attualmente
verificato.
Suggerisco che l'esperimento di Trowbridge debba
venir ripetuto (10, 27-31).
 
 
5. SOLUZIONE DELLA "EQUAZIONE COMPLETA" E
VALUTAZIONE DI σ0
È ben noto (32) che se σ0 è così piccolo che σ0² può essere
trascurato, quale è il nostro caso, allora Eq. (1) ammette soluzioni
del tipo
 
ϕ = e-σr g(r - c0t)                                    (2)
 
dove δ = σ0 / 2 (ε0c0) = R0σ0 / 2, r è la distanza tra la sorgente
elettromagnetica e l'osservatore, e R0= (μ0ε0)½ = resistenza d'onda
dell'etere   376.74 Ω.
 
Abbiamo quindi
 
E = exp(-R0σ0r/2) E0 (r - c0t) ;
 
H = exp(-R0σ0r/2) H0 (r - c0t).
 
9
La soluzione (3) descrive in modo completamente generale le
oscillazioni smorzate dei campi elettrici e magnetici di un'onda
elettromagnetica nell'etere.

Come è noto, 1) le oscillazioni smorzate non sono periodiche, e 2)


lo pseudo periodo di una oscillazione smorzata dipende
dall'ampiezza. Tuttavia, il modo in cui la frequenza varia nel
tempo non è deducibile a priori. Per dedurre le leggi di
smorzamento delle frequenze è necessaria un'ulteriore
informazione, che solo l'esperimento può produrre.
 
Questa informazione è fornita dalla legge dell'effetto fotoelettrico,
che dimostra che l'energia di un'onda elettromagnetica è
direttamente proporzionale alla sua frequenza. Questo ci permette
di mettere in relazione la densità di energia dei campi
elettromagnetici di un'onda elettromagnetica alla sua frequenza ν
in qualsiasi ipotesi della sua composizione (indipendentemente dal
fatto che sia considerato composto da un insieme di fotoni di
energia hν).

Fate che W0 = Kν0 sia l'energia iniziale di un'onda EM (di un


singolo fotone) e W1 = Kν1 l'energia residua dopo un percorso r.
Abbiamo:
 
W1 / W0 = exp (-R0σ0r) = ν1 / ν0; ν1 = ν0 exp (-R0σ0r);
 
 λ1 = λ0 exp (R0σ0r);
 
z = Δλ / λ0 = (λ1 - λ0) / λ0 = [exp (R0σ0r) - 1].

 z + 1 = exp (R0σ0r)   r = (1 / R0σ0) ln (z + 1).                           


(4)
 

10
Ora, il redshift galattico potrebbe, ovviamente, essere attribuito
allo smorzamento delle onde elettromagnetiche emesse dalle varie
galassie in movimento casuale all'interno di un universo
stazionario in cui una velocità dell'interazione gravitazionale vg
>> c0, secondo Laplace (33) permette movimenti localmente
coordinati di gruppi e supergruppi di galassie. E la misura del
redshift e delle distanze galattiche ci permette di determinare la
quantità di σ0. Da queste misure otteniamo (10)
 
σ0 = (2,85 ± 0,15) x 10-29 (Ω ∙ m) -1
                                                                   (5)
(R0σ0 / 2)²   3×10-53.

L'equazione (4) collega la distanza r e il redshift z della radiazione


inviata dalle galassie.
 
Il confronto tra la legge lineare relativistica di Hubble e la legge
logaritmica che emerge dall'equazione dell'onda elettromagnetica
di Maxwell (5, 10) mostra che, in ogni caso, la legge logaritmica si
adatta ai dati sperimentali molto meglio della legge lineare (12, 34-37);
inoltre, non ha problemi con l'età dell'universo.
 
Il confronto va fatto
- calcolando il flusso assoluto Fb (o la magnitudine assoluta M,
definita come la grandezza che la sorgente dovrebbe avere se
posta a 10 pc) (38) di qualsiasi sorgente extragalattica, dal suo
apparente flusso bolometrico fb (magnitudine apparente
m) (38) dalle relazioni
 
fb = Fb / [4πr²(1 + z)],
 
M = m + 5 – 5 log r, r = (1/R0σ0) 1n(1 + z),

11
- e confrontando i risultati conseguenti a questi rapporti coi
risultati del "modello standard" della cosmologia (39).

Per z > ½, ad esempio (vedi figure 1 e 2), la differenza sarà


inconfondibile. Tutte le fonti extragalattiche mostreranno un
"straordinario flusso assoluto Fb" (una straordinaria magnitudine
assoluta M) se non è posizionato alla "distanza giusta", r =
(1/R0σ0) ln (1+z), che è molto più piccolo rispetto alla distanza di
Hubble in una delle sue versioni secondo le cosmologie
relativistiche (10).

L'"effetto energetico" hν0 / hν = 1 + z è considerato a causa


dell'esistenza della conducibilità elettrica dell'etere σ0, che riduce
l'energia dei fotoni senza influenzare la loro velocità di arrivo
(Hubble e Tolman, 1935) (34, 39). L'esistenza di questo "effetto
energetico" mostra che, oltre a ε0 e μ0, esiste una terza "proprietà
speciale" dell'etere: la conducibilità elettrica σ0.
 
Si noti, inoltre, che l'esistenza del termine σ0μ0 (δF / δt) fa in modo
che la "domanda" di invarianza di Lorentz svanisca (10). L'ipotesi di
un'espansione dell'universo fu pertanto adottata da Einstein e dai
suoi seguaci semplicemente "per salvare la relatività". Ma:
 
1) Un effetto Doppler dovuto all'espansione dà un altro fattore 1 +
z nell'Equ. (6) a causa "dell'effetto di numero" (la maggiore
lunghezza del percorso dei fotoni provoca una conseguente
diminuzione della densità di energia), che aumenta ulteriormente
il flusso assoluto "straordinario" Fb (e le magnitudini assolute M),
che corrispondono alla legge lineare (34-36, 39).
 
2) L'esistenza di un effetto Doppler è in contraddizione con i
postulati della relatività: l'effetto Doppler per le onde sonore esiste
perché la velocità del suono è una costante che dipende solo da
12
alcune proprietà fisiche specifiche del mezzo. Senza un mezzo,
niente onda sonora e niente effetto Doppler sonoro Doppler (21).

Per analogia, l'effetto Doppler per la luce dipende dal fatto che la
velocità della luce è una costante che dipende solo da alcune
proprietà fisiche dell'etere: ε0 e μ0. Senza l'etere, nessuna onda EM
e nessun effetto Doppler per le onde EM. La relatività può
riprodurre formule ben note ottenute dall'elettromagnetismo
classico (è sufficiente dichiarare "c è costante"). Ma la vera
costante dell'effetto Doppler per la luce è c0 = 1 / (ε0μ0)½, non cM =
λν
Relatività afferma che cM ≡ c0 senza prove sperimentali e omette
di notare che c0 è definita in termini di ε0 e μ0, due  "proprietà
speciali " dell'etere.
Nota: osservazioni di grandezze e di evidenti redshift di quasar e
galassie mostrano chiaramente che una "luminosità straordinaria"
è associata a questi "oggetti celesti" se si adotta una legge
lineare (40).
 
La fig. 2, ad esempio, mostra che quasar, la cui grandezza assoluta
media di z = 0.14 è dell'ordine di grandezza di una galassia (38) (M
= - 20.64), raggiunge la "grandezza straordinaria" M = - 28 a z=4
(raggiungono anche la "straordinaria velocità di recessione" v =
0.923c0).
 
La Galassia (41) 4C 41.17 (z = 3.8,) se la legge lineare è seguita, è
data la "grandezza assoluta straordinaria" M = - 27 (q0 = 0.5, H =
50, M   - 23.86, fattore di correzione = + 0.98) e la "velocità di
recessione straordinaria" v = 0.917c0.
 
 
Nuovi dati sperimentali riguardanti più di 60 galassie con z>2
saranno presto disponibili (42).
 

13
Si noti che la grandezza assoluta della Galassia 4C 41.17 è molto
vicina a quella di un quasar a z=4.
 
A mio giudizio, queste "luminosità" (e velocità) "straordinarie"
sono dovute solo alla "distanza straordinaria" attribuita a questi
oggetti secondo la lineare legge relativistica e l'ipotesi
dell'universo in espansione (12,13,34).
 
 
6. PRIMO POSTULATO: CONCLUSIONI
Queste tre prove sperimentali sembrano pertanto in contraddizione
col primo postulato di relatività einsteiniana:
 
(1) L'esperimento di Trowbridge, che dimostra che la rigidità
dielettrica dell'etere non è infinita (22) ("effetto di decadimento del
vuoto") (10, 27-31).
 
(2) La realtà dell'effetto Olbers, che non è più un paradosso, e
l'esistenza della radiazione di fondo corrispondente alla
conduttività elettrica dell'etere (4, 10, 12, 13, 23, 25, 26).
σ0 = (2.85 ± 0.15) x 10-29 (Ω m)-1
 
(3) Confronto tra legge lineare relativistica e legge logaritmica (12,
34-37, 39)
. Vedi Figure 1 e 2.
 

14
Figura 1. Il confronto ha calcolato in mezzo distanze (di
luminosità)
secondo la legge Hubble e la legge logaritmica deducibile
dalla soluzione dell'equazione di onda elettromagnetica
"completa".
 
(A) r = c0z / h (q0 = 1, distanza minore di Hubble (10)
(B) r = (1/R0σ0) 1n (1 + z).
H1 = 50 km/(s Mpc); H2 = 100 km/(s Mpc) ; R0 = 376.74 Ω(7)
σ0 = (2.85 ± 0.15) x 10-29 (Ω·m )-1 ;
1/(R0σ0 )   3 x 103 Mpc, 1 Mpc = 3.86 x 1021 m (10).
 

15
Figura 2. Grandezze assolute di galassie e quasar
secondo legge logaritmica L. e legge Hubble 1, 2.
 
 
(1) z = 0.14 ± 0.03; m = 17.33; numero di oggetti (quasar): 135
M = m + 5 - 5 log r = - 20.64 ; r = ( 1/R0 σ0) 1n ( 1 + z )
M1 ( 100 ; 1 ) = m + 5 - 5 log D1 ; D1 = ( c0z )/ 100
M2 ( 50 ; 0.5 ) = m + 5 - 5 log D2 ; D2 = ( 2c0/50 ) [ 1 + z - ( 1 +
z )1/2]
M1 = - 20.83; M2 = - 22.41 .
 
(2) z = 0.5 ± 0.02; m = 18.28; numero (quasar): 89
M = - 22.14 ; M1 = - 22.6 ; M2 = - 24.31 .
 
(3) z =1.0 ± 0.03; m = 18.63; numero (quasar): 140
M = - 22.96; M1 = - 23.75; M2 = -25.6 .
 
(4) z = 1.5 ± 0.05; m = 18.88; numero (quasar): 346
M = - 23.31 ; M1 = - 24.39; M2 = - 26.33 .
 
16
(5) z = 2.0 ± 0.08; m = 19.22; numero (quasar): 539
M = - 23.37 ; M1 = - 24.67; M2 = - 26.69 .
 
(6) z = 2.5 ± 0.1; m = 19.19; numero (quasar): 308
M = - 23.68 ; M1 = - 25.18; M2 = - 27.26 .
 
(7) z = 3.0 ± 0.1; m = 19.21; numero (quasar): 132
M = - 23.88 ; M1 = -25.56; M2 = -27.69 .
 
(8) z = 3.5 ± 0.1; m = 19.45; numero (quasar): 14
M = - 23.82 ; M1 = - 25.66; M2 = - 27.83 .
 
(9) Galaxy: 4C 41.17
z = 3.8; m = 19.5; numero: 1
M = - 23.86; M1 = - 25.78; M2 = - 27.98 .
 
(10) z = 4.0 ± 0.2; m = 19.73; numero (quasar): 13
M = - 23.69 ; M1 = - 25.67; M2 = - 27.87 .
 
(11) Quasar PC 1247 + 3406 (Ref. 43)
z = 4.897 ; m = 19.3; numero: 1
M = - 24.33 ; M1 = - 26.53; M2 = - 28.59 .
 
Velocità di recessione:

 
 
7. Il secondo postulato
Il secondo postulato della relatività di Einstein afferma che
... la luce si propaga nel vuoto con una velocità fissa c,
indipendente dalla velocità del corpo emittente... Per definizione...
il tempo che la luce impiega per andare da un punto A ad un punto
B è uguale al tempo impiegato dalla luce per passare da B ad A...
Cerchiamo di stabilire... che la quantità: 2AB / (t'A - tA) = c è una
17
costante universale, la velocità della luce nel vuoto... Nella nostra
teoria... la velocità della luce gioca fisicamente il ruolo di una
velocità infinita (1).
Ora, come abbiamo visto sopra, secondo Maxwell, la luce si
propaga attraverso l'etere ad una "velocità elettromagnetica"
c0=1/(ε0μ0)½ che dipende solo dalle proprietà ε0 (permettività
elettrica) e μ0 (permettività magnetica) dell'etere e quindi non
dipende ovviamente dallo stato di movimento del corpo
emittente (5). Di conseguenza, il postulato di Einstein è
caratterizzato da tre assunzioni precise, che sono in contraddizione
con l'elettrodinamica di Maxwell:
 
(1) Mentre, la "costante universale" della teoria di Maxwell è la
"velocità elettromagnetica" c0 = 1 / (ε0μ0)½, secondo il secondo
postulato di Einstein, la "costante universale" è la velocità
cinematica della luce cM = 2L/ΔT, dove L=AB e ΔT = (t'A - tA). Di
conseguenza, Einstein sta formulando l'ipotesi secondo cui c0 ≡
cM .
 
(2) Mentre, secondo la teoria di Maxwell, le due velocità finite
c0 e cM giocano fisicamente il ruolo di due velocità finite, secondo
le due velocità di Einstein, "identiche per definizione" giocano
fisicamente "il ruolo di una velocità infinita" (1).
 
(3) Mentre, secondo la teoria di Maxwell, la velocità cinematica
della luce non è una costante ma dipende dai moti attraverso
l'etere, secondo il secondo postulato di Einstein la velocità
cinematica della luce è una "costante universale" e non dipende
dai moti attraverso l'etere.

Per quanto riguarda la prima ipotesi, Einstein ignora


definitivamente la distinzione fondamentale tra la velocità
cinematica ed elettromagnetica della luce, che tuttavia era stata per
18
mezzo secolo, un campo di ricerca per i fisici (9, 44).
 
Nel 1905 lo stato dei dati sperimentali era il seguente (9):

c0 = (3.001 ± 0,003) × 108 m / s;


cM = (2,998 ± 0,003) × 108 m / s
 
Pertanto, potrebbe esserci spazio per richiedere nuove
misurazioni, ma certamente non per stabilire l'identità c0 ≡ cM su
base sperimentale.
 
Per quanto riguarda la seconda ipotesi, assumendo "per
definizione" che " il tempo che la luce impiega per andare da un
punto A ad un punto B è uguale al tempo impiegato dalla luce per
passare da B ad A " senza distinguere tra c0 e cM [ciò] porta al
paradosso di Einstein c + v = c, c - v = c, da cui c = c (1 - β2), (β =
v / c), che ovviamente significa che "c svolge fisicamente il ruolo
di una velocità infinita" (1, 2).
 
Per quanto riguarda la terza ipotesi, nel 1904 Michelson aveva già
pubblicato il suo progetto sperimentale relativo al rilevamento e
alla misurazione degli effetti sulla velocità cinematica della luce
dovuta ai moti di rotazione e rivoluzione della Terra attraverso
l'etere, il quale è noto oggi come effetto Michelson-Sagnac (45-49).
Ma Michelson non riuscì a trovare i fondi necessari per condurre
l'esperimento (lo condusse nel 1925) (50).
 
L'effetto fu testato da Sagnac nel 1913 (46), ed i risultati
sperimentali di Sagnac smentirono il secondo postulato della
relatività speciale. Inoltre, nel 1887 l'esperimento di Michelson-
Morley (51) "fu sufficiente a mostrare chiaramente che l'effetto non
aveva la grandezza prevista. Tuttavia, e questo fatto deve essere
sottolineato, l'effetto indicato non era zero, come richiesto dalla

19
Teoria della Relatività" (52). Questo risultato fu confermato nel
1926 da Miller ("effetto indicato" (52,53): v = 10 ± 0,33 km / s).

Nel 1929 Michelson, Pease e Pearson (54) confermarono ancora una


volta che "non si ottenne alcun spostamento dell'ordine previsto,
"ma che l'effetto indicato" non era zero. ("Effetto indicato": v ± 20
km / s. L'incertezza non indicata è almeno dello stesso ordine di
grandezza dell'incertezza dell'esperimento di Miller).

Nel 1932 Kennedy e Thorndike (55) poterono mostrare ancora una


volta, usando una geometria diversa (braccia diseguali), che la
velocità cinematica della luce non è costante durante il giorno,
così da confutare per la terza volta il secondo postulato della
relatività. Ed in questo caso nessun "effetto termico
sull'interferometro" potrebbe essere richiesto (56).

Infine, nel 1938 Ives e Stilwell (57) hanno mostrato prove


sperimentali delle relazioni
 
λν = λ0ν0 (1 - β²) / (1 - β² sin² θ)½, ν = ν0 (1 - β²)½,
λ = λ0 (1 - β²)½ / (1 - β² sin² θ)½,

smentendo con un test diretto e positivo il secondo postulato della


relatività.
 
Seguono i termini dell'intera questione, che è elementare se
correttamente impostata.
 
 
8. MISURE ELETTROMAGNETICHE DELLA VELOCITÀ
DELLA LUCE
Come è noto, partendo dalle leggi di Coulomb F = QQ' / kr², mm' /
μr², che descrivono quantitativamente le interazioni elettrostatiche

20
e magnetostatiche, sono state definite due diverse unità di misura,
chiamate rispettivamente elettrostatica ed elettromagnetica (5, 58).
 
In entrambi questi sistemi di unità le dimensioni della quantità
1/(kμ²)½ sono [LT-1], cioè quella di una velocità che risulta essere
una funzione delle proprietà k e quella μ del mezzo che occupa lo
spazio tra i corpi che interagiscono elettricamente e
magneticamente.
 
Il mezzo che occupa lo "spazio vuoto" è stato chiamato etere, la
velocità 1/(kμ²)½ è stata chiamata velocità v, e le "proprietà" k e
μ, rispettivamente, elasticità e densità dell'etere.
 
Nel 1856 Weber e Kohlrausch (59) effettuarono la prima
misurazione di questa velocità col risultato seguente: v = 3.1074 x
108 m/s (incertezza non indicata).
 
Dal 1864 Maxwell (60) fu in grado di dedurre dalle sue equazioni
l'esistenza di "onde elettromagnetiche" con velocità di
propagazione v = 1/(kμ²)½. Maxwell confrontò i valori della
velocità v con quelli disponibili della velocità cinematica della
luce, e dal momento che implicavano misure metodologicamente
distinte, egli era sicuro, in base all'accordo sostanziale del loro
ordine di grandezza, di far progredire la sua "teoria
elettromagnetica di luce":
"È palese che la velocità di luce e il rapporto delle unità siano
quantità dello stesso ordine di grandezza. Nessuna di loro si può
dire essere ancora determinata con un tale livello di precisione da
consentirci di affermare che l'una sia maggiore o minore dell'altra.
È auspicabile che, mediante ulteriori esperimenti, la relazione tra
le grandezze delle due quantità possa essere determinata con
maggiore precisione. Nel frattempo la nostra teoria, che afferma
che queste due quantità sono uguali ed assegna una ragione fisica
per questa uguaglianza, non è certamente contraddetta dal
confronto di questi risultati come sono" (5).
21
Nei successivi quarant'anni sono state effettuate numerose altre
misurazioni elettromagnetiche della velocità v, insieme a
numerose misurazioni cinematiche.

Nel 1905, come già detto, la situazione era la seguente:


c0 = (3.001 ± 0,003) x 108 m/s,
cM = (2,998 ± 0,003) x 108 m/s.
Pertanto, potrebbe esserci spazio per richiedere nuove
misurazioni, ma certamente non per stabilire l'identità c0 ≡ cM su
base sperimentale.

Ma dopo il 1905 non è stata fatta alcuna nuova misurazione


sperimentale della velocità elettromagnetica della luce, e nel 1932
queste misurazioni furono abbandonate:
"All'inizio del secolo sembrava improbabile che le [c0 e cM] si
trovassero identiche... Michelson ha affermato chiaramente: ...una
differenza potrebbe quasi certamente essere prevista... Questo
atteggiamento era del tutto generale... Ma questa attitudine [verso
c0 e cM] cambiò poco a poco, in gran parte grazie all'influenza di
Einstein e delle teorie della relatività, al punto che oggi [1932]
molti fisici - probabilmente la grande maggioranza - considerano
queste velocità necessariamente identiche... Questo cambiamento
non è dovuto all'influenza di risultati sperimentali, dato che questi,
lungi dall'essere trascurabili, sono stati completamente lasciati da
parte, ma a causa di considerazioni di natura filosofica" (61).
L'invenzione di condensatori calcolabili di Lampard e Thompson
nel 1964 (44, 62) rimosse una delle principali difficoltà così che, fino
a pochi anni fa, furono impedite nuove misurazioni
elettromagnetiche con incertezze decisamente minori di quelle
ottenibili a cavallo del secolo (10-3).

In questo momento il problema principale circa questa


misurazione sta nel fatto che le misure di induttanza consentono
22
incertezze dell'ordine 10-5. Di conseguenza, in una misura diretta
di c0, le tecnologie attuali consentono incertezze dell'ordine 10-
  . Il fatto che questa incertezza sia maggiore di quella associata
5 (44)

alle attuali misurazioni cinematiche (che è dell'ordine 10-9) ha


indotto gli sperimentatori a mettere da parte l'idea di nuove
misurazioni della velocità v.

Tuttavia, tenendo conto del fatto che una nuova misurazione


elettromagnetica non avrebbe solo un significato numerico, dato
che per incertezze dell'ordine 10-5 essa potrebbe dare
un'informazione, se non decisiva, utile, e che per le incertezze
dell'ordine 10-6 essa sarebbe un test cruciale del secondo postulato
della relatività speciale, è necessario, a mio avviso, procedere con
nuove determinazioni sperimentali della velocità elettromagnetica
della luce c0 (62).
 
 
9. I DUE GRUPPI DI TEST SPERIMENTALI DEL
SECONDO POSTULATO DI EINSTEIN SULLA
RELATIVITÀ
Nel 1905 il punto cruciale della relatività di Einstein era
l'affermazione: "Il tempo che la luce impiega per andare dal punto
A al punto B (tempo di andata ∆tF) è uguale al tempo impiegato
dalla luce per andare da B ad A (tempo di ritorno ∆tR)" (1) perché i
redshifts extragalattici non erano conosciuti (12).

Ora, se ∆tF ≠ ∆tR, abbiamo due differenti gruppi di tests


sperimentali sul secondo postulato della relatività: 1°) possiamo
ricercare effetti dovuti alla differenza ∆tF - ∆tR, e 2°) possiamo
ricercare effetti dovuti alla somma ∆tF + ∆tR.

Seguendo Michelson (1904) (45), Sagnac (1913) (46), e Ives


(1938) (63), consideriamo la Fig. 3
 

23
 
dove P è una piattaforma rotante; S è la superficie della
piattaforma; R è il raggio della piattaforma; v = ωR = la velocità
di rotazione; s è la sorgente di luce; I è il punto di interferenza; e L
= 2πR.

Consideriamo ora due matite luminose, una che viaggia in senso


antiorario (∆tF) e l'altra in senso orario (∆tR). Abbiamo ∆tF = L/
(c0 - v ); ∆tR = L/ (c0 + v ). La differenza è
 
∆tF - ∆tR = 2Lv/c0² (1-β²) = 2Lβ/c0(1-β²),
 

24
e trascurando solo β3 e ordine più alto, ∆T = ∆tF - ∆tR = 2L/βc0 .
 
Il corrispondente shift di fase è L = (c0∆T) / λ = ( 2Lβ) / λ
 
La somma è ∆tF + ∆tR = 2L/c0(1-β²), e trascurando solo i termini
β3 e ordine più alto, ∆T = ∆tF + ∆tR = 2L/c0 + 2Lβ²/c0 .

1) Lavorando con la differenza abbiamo conseguentemente la


possibilità (prendendo a riferimento la velocità relativa alla
radiazione cosmica di background) (4, 44) di ricercare effetti in β =
v/c0 400/300 000   1.3 x 10-3 .

2) Lavorando con la somma abbiamo la possibilità di ricercare i


più piccoli effetti in β²   1.7 x 10-6 .

Un fisico sperimentale competente, io penso, potrebbe non avere


dubbi: è meglio lavorare con la differenza.

Nel caso della Fig. 3, per esempio, abbiamo ∆L = 2 (2πR) v / λc0 =


4ωS/c0λ . Questa relazione è completamente generale, cioè, 1) non
dipende dalla forma della superficie S, e 2) non dipende dalla
posizione del centro di rotazione (48).

Sfortunatamente il primo test fu eseguito da Michelson, lavorando


con la somma, e il risultato dell'esperimento (1887) non ebbe
l'ampiezza teorica anticipata dalla teoria dell'etere.

Solo nel 1904 Michelson ebbe la buona idea di lavorare con la


differenza, ma non fu capace di finanziare l'esperimento, il quale,
come sappiamo, ha un risultato positivo, in accordo con la teoria
dell'etere.

Andiamo ora a seguire questi diversi esperimenti.


 
25
 
10. MISURE CINEMATICHE DELLA VELOCITÀ DELLA
LUCE
Poniamo U (XOY) come cornice per cui la velocità
elettromagnetica della luce c0 = 1/ (ε0μ0)½ risulta essere uguale
alla velocità cinematica della luce cM = 2L /∆T . Questa cornice di
riferimento è "assolutamente a riposo" relativamente all'etere.

Poniamo che E (xoy) sia una cornice in movimento riferita con la


velocità V = (ωR + v ) (ωR è la velocità di rotazionale e v è la
velocità lineare).

Consideriamo in E l'interferometro I di Fig. 4

Consideriamo quindi il seguente caso: ω = 0 ; v ≠ 0,v = const ;


S1 ≠ S2 ≠ 0 .
 
Seguendo Kennedy e Thorndike (55), il tempo impiegato dalla
luce per attraversare il percorso ottico AB+BA (braccio L1, Fig. 5)
è dato dalla somma del tempo di andata
 
26
∆tF1 = { L1 /c0(1 - β²) } [(1 - β² sin² θ)½ + β cos θ]
(β = v / c0) ,
e del tempo di ritorno,
 
∆tR1 = { L1 /c0(1 - β²) } [(1 - β² sin² θ)½ + β cos θ] .

Abbiamo quindi
 
∆T1 = ∆tF1 + ∆tR1 = { 2L1 /c0(1 - β²) } [(1 - β² sin² θ)½] .
Ora,
∆T1 = 2L1 / cM = { 2L1 / c0(1 - β²) } [(1 - β² sin² θ)½]
 cM = c0(1 - β²) / (1 - β² sin² θ)½
e cM = c0 solo se v = 0 .
 
 
 
 

 
Ovviamente, se uno non distingue tra c0 e cM, la relazione fisica
 
cM = c0(1 - β²) / (1 - β² sin² θ)½
 
27
diventa il "paradosso relativistico" (2)
 
c = c(1 - β²) / (1 - β² sin² θ)½ .

Naturalmente, la prova del movimento terrestre (rotazione,


rivoluzione, rotazione attorno al centro galattico, la velocità
relativa alla radiazione di background) e la prova fisica che c0 e
cM sono entrambe finite (possono essere misurate), sono la prova
sperimentale che
 
∆tF  ≠ ∆tF1 ,
1

 
contrariamente alla definizione di Einstein.
 
 
Per esempio, nel caso di una velocità "lineare" v ≠ 0, il percorso
ottico AB è differente dal percorso ottico BA (AB > BA ) e la luce
impiega un tempo
 
dT  = ∆tF  - ∆tF  = [2L1 /c0(1 - β²)] β cos θ ≠ 0
1 1 1

per attraversare il percorso ottico AB - BA ≠ 0 alla velocità finita


c0 (se v ≠ 0; θ ≠ π/2, ∆tF1 ≡ ∆tF1 solo se c0 =   ; ma in tal caso
∆tF1 = ∆tF1 = 0 e non potremmo misurare la velocità della luce).

Lo "spostamento lineare" ("linear shift") corrispondente alla


differenza ∆tF1 - ∆tR1 è ∆L = [2L1/ λ(1 - β²)] β cos θ e, trascurando
solo la condizione in β3 e l'ordine superiore, ∆L = (2L1/ λ) β cos θ .

Le due quantità fisiche c0= e cM non possono essere considerate


"identiche per definizione teorica" (1). Esse possono, e devono,
essere misurate, e ovviamente giocano fisicamente il ruolo di due
velocità finite.

Assumendo l'ipotesi che lo stato di movimento del sistema E(xoy)


28
non alteri il valore della permettività elettrica ε0 e la permeabilità
magnetica μ0 dell'etere come risultano dalle misurazioni di un
osservatore fermo all'inizio e poi in movimento ad una velocità v,
emerge che lo stesso osservatore E(xoy) può determinare il suo
proprio stato di movimento comparando i risultati delle
misurazioni elettromagnetiche e cinematiche della velocità della
luce eseguite nella propria cornice di riferimento perché
 
c0 > cM ;
c0 = cM solo se v = 0 .

Per esempio, un osservatore nel 1905 potrebbe certamente aver


considerato la possibilità che la Terra "è in movimento ad un'alta
velocità", da quando | v | = c0(1 - cM/ c0)1/2, c0 = (3.001 ± 0.003) x
108 m/s > cM = (2.998 ± 0.003) x 108 m/s (44). La misura
elettromagnetica della velocità della luce fatta da Rosda e Dorsey
nel periodo 1905-1907 fu l'ultima (9).

Suggerisco ancora una volta che nuove misurazioni della velocità


elettromagnetica della luce dovrebbero essere eseguite (9, 44, 62), ma
voglio sottolineare che la prova sperimentale della misurabilità
delle due velocità della luce è la prova sperimentale che esse
"hanno fisicamente il ruolo di due velocità finite", e che se v ≠ 0, θ
≠ π/2 un "tempo di andata" è differente da un "tempo di ritorno":
∆t1F ≠ ∆t1R .
 
Le due relazioni
cM = c0(1 - β²) / (1 - β² sin² θ)½
e
∆L = (2L1/ λ) β cos θ
 
mostrano che cM e la "velocità lineare" ("linear shift") non sono
solo una funzione di v, ma anche una funzione di θ.

29
Conseguentemente, le misurazioni della velocità cinematica della
luce e gli effetti fotoelettrici associate agli shifts "lineari" (64-
69)
 dovrebbero mostrare, per esempio, effetti giornalieri e di lungo
periodo dovuti ai movimento della Terra.

Per quanto riguarda cM, i giroscopi ottici hanno dimostrato che le


onde stazionarie originate al loro interno possono chiudersi sopra
l'anello del giroscopio (70).

Tenendo in considerazione il fatto che oggi cM risulta dalla


misurazione della lunghezza d'onda e dalla frequenza delle onde
statiche lungo un percorso ottico associato a superfici, nulle o
quasi, in un sistema con velocità rotazionale nulla in relazione alla
Terra, il blocco delle onde stazionarie conta per la stabilità delle
attuali misurazioni cinematiche di precisione della velocità della
luce (71) che diversamente potrebbe essere una funzione del
generale movimento roto-traslatorio della Terra.

In alter parole, mentre fino a pochi anni or sono le misurazioni


della velocità cinematica della luce erano fatte usando vari metodi,
oggi i metrologi effettuano misurazioni con l'unico metodo che
fornisce valori continui; essi hanno scartato tutti i metodi che non
forniscono valori continui per cM.

Per fare una comparazione storica, possiamo dire che oggi i fisici
non rifiutano di guardare nel "telescopio di Galileo", ma da diversi
telescopi essi scelgono "quello sbagliato" che fornisce "risultati
nulli".
 

30
 
11. L'ESPERIMENTO DI MICHELSON E MORLEY
 

 
 

31
 
Sono richieste molte e diverse misurazioni di precisione per
verificare la "stabilità" della "costante universale" di Einstein
cM con un "singolo braccio". Ma con "due bracci" è possibile fare
una comparazione tra velocità cinematiche in differenti direzioni
32
senza misurazioni di cM. Questo è il significato fisico
dell'esperimento di Michelson e Morley.

Nel 1887 Michelson volle verificare il movimento orbitale della


Terra relativo all'etere - una velocità rotazionale, considerata come
una "velocità praticamente lineare" - tramite i suoi effetti sulla
velocità cinematica della luce, dovuti alla lenta rotazione
dell'interferometro attorno a questa "velocità lineare", che è come
dire che l'apparato di Michelson-Morley lavorò come un
giroscopio ottico.

Oggi, le misurazioni anisotrope della radiazione di background


permettono di rilevare tramite risorse elettromagnetiche il
movimento della Terra relativo alla radiazione di background; "ciò
nonostante si muove" (4) e i giroscopi ottici mostrano gli effetti
ottici dovuti a una lenta rotazione attorno ad una velocità fissa (70).

Conseguentemente, il fatto che i risultati sperimentali di


Michelson-Morley non hanno avuto una rilevanza
anticipata (52) non significa ovviamente che sia impossibile rilevare
il movimento della Terra rispetto all'etere. Significa solo che
nell'apparato di Michelson-Morley qualcosa non va.

È mia opinione che ci siano due possibilità: 1) blocco delle onde


stazionarie nell'interferometro e 2) la scelta di un'errata "soluzione
teorica" e la corrispondente adozione di un apparato sbagliato. Il
reale apparato sperimentale è mostrato nella Fig. 6 e fu
diagrammaticamente rappresentato come in Fig. 7.

A causa della difficoltà nel calcolare i percorsi ottici, Lorentz


suggerì di rappresentarlo come in Fig. 8 (49, 51).
 
 

33
 
 
Oggi sappiamo che nell'interferometro le onde stazionarie
"preferiscono" avere un nodo sulla superficie dello specchio
riflettente, in questo modo esse "bloccano (chiudono)" sullo
specchio (70). E noi possiamo vedere che nell'apparto reale di
Michelson-Morley abbiamo 16 specchi riflettenti. La "probabilità
di blocco (chiusura)" è di conseguenza molto alta.

Il risultato sperimentale di Michelson-Morley non aveva la


34
rilevanza anticipata, ma non era nullo, come supposto da Lotentz e
postulato dalla teoria della relatività (52).

La soluzione teorica di Lorentz per lo shift di frangia adottato da


Michelson fu (∆Tθ1 = ∆tF1 +∆tR1 ; ∆Tθ2= ∆tF2 + ∆tR2) .
 
           cM
∆0 =  —— = [ ( ∆t01 - ∆t02 ) - ∆tθ1 - ∆tθ2 )  ]
                   λ
 

Dal punto di vista di Lorentz il problema era che   

Ma supponendo, come lui fece, una "contrazione" dell'asta


longitudinale da un coefficiente
 

 
ciò significa che l'apparto di Michelson-Morley non potrebbe
lavorare come un giroscopio ottico. Ma se consideriamo la
possibilità che la frangia dipende dalla variazione totale del
percorso ottico - definito come la somma algebrica delle

35
variazioni in ciascun singolo braccio - otteniamo
 

Nel caso dell'esperimento di Michelson-Morley L1   L2 e


naturalmente ∆θ   0 invece, come potremo
 

 
Potremo vedere, nel caso dell'esperimento di Kennedy-Thorndike
L1 ≠ L2 , e un "effetto giornaliero" corrispondente alla rotazione
giornaliera dell'interferometro (fissato relativamente alla Terra),
potrebbe chiaramente essere osservato (55).

Una soluzione sperimentale per superare entrambi questi problemi


(blocco e bracci uguali) potrebbe essere il circuito ottico di Fig.
9 (72), con l'aggiunta di un dispositivo che "sblocchi" le onde
stazionarie (70). Questo circuito ottico, che è un "circuito di
Sagnac" con superfici disgiunte (46), non è mai stato verificato.
36
 
 
12. GLI ESPERIMENTI DI MORLEY-MILLER (DAL 1902
AL 1905)
Morley e Miller evidenziarono che il risultato dell'esperimento di
Michelson-Morley non aveva l'ampiezza anticipata, ma gli effetti
indicati non furono zero. Inoltre, Michelson e Morley, nel luglio
1887, avevano fatto una sola serie di osservazioni, e non
ripeterono mai l'esperimento del senso di direzione dell'etere,
nonostante molte affermazioni di stampa avessero indicato il
contrario (52).

Di conseguenza, al Congresso Internazionale dei Fisici tenutosi a


Parigi unitamente all'Esposizione Universale del 1900, Lord
Kelvin esortò fortemente la ripetizione dell'esperimento del senso
dell'etere con l'uso di apparati più potenti.

Morley e Miller decisero di ripetere l'esperimento nel periodo tra


il 1902 e il 1905.

Alla fine del 1905 la conclusione fu la seguente:

Le osservazioni mostrarono un "ben definito effetto positivo"


leggermente più ampio di quanto ottenuto in precedenza, ma
ancora troppo piccolo per essere riconciliato con le aspettative. La
velocità del moto relativo della Terra e dell'etere ottenuta dalle
osservazioni eseguite nel 1905 è 8.7 ± 0.6 km/s...

Da quando la Teoria della Relatività postula esattamente un effetto


nullo dall'esperimento del senso dell'etere che nei fatti non è mai
stato ottenuto, lo scrittore (Miller) si sentì costretto a ripetere
l'esperimento in modo da assicurare un risultato definitivo (52).

Come vedremo, Miller ripeté l'esperimento dal 1921 al 1926.


37
 
 
13. ESPERIMENTI DI ROMER E BRADLEY (1676, 1728)
La differenza ∆tF - ∆tR è stata utilizzata per la prima volta da
Romer (1676) e più tardi da Bradley (1728) per misurare la
velocità della luce (c0) in un determinato senso (66). Dalla
composizione classica delle velocità, nel caso dei satelliti di Giove
(Romer), abbiamo (Fig. 10): in A e in C (θ = π/2; θ = 3/2)
osserviamo il periodo "vero" T = T0. In B e D (θ = π; θ = 0)
abbiamo
 
B : ∆tF = Tmax = (T0 + vT0/c0)   T0 (c0 + v) = Tmaxc0
D : ∆tR = Tmin = (T0 - vT0/c0)   T0 (c0 + v) = Tminc0
 
Da cui
 
∆T = Tmax - Tmin = (2v/c0) T0  c0 = (2v/∆T) T0 .
 
Nel caso dell'aberrazione (Bradley) abbiamo (Fig. 11)
 
C0T/sin ϕ = vT/sin α    α = α = (v/c0) sin ϕ .
 
Il risultato di Romer fu c0 = 301 000 km/s. Un recente risultato
dall'aberrazione (1976) è (66) c0 = 299 900 km/s. Da notare che in
entrambi i casi abbiamo (cM = 299 792.5 km/s) c0 > cM .
 

38
 

39
 
14. L'ESPERIMENTO DI SAGNAC (1913)

Aggiungendo uno specchio all'esperimento ideale di Michelson-


Morley si ottiene l'esperimento di Sagnac (Figg. 12 e 13).
 

40
 
 

41
 
 
Lavorando con la differenza ∆tF - ∆tR, Sagnac dimostrò nel 1913 la
formula ∆L = (4ωS)/c0. E confutò la teoria della relatività. Inoltre,
Sagnac suggerì che un grande "circuito di Sagnac" fissato a un
vettore (una nave nel suo esempio) poteva essere sensibile a delle
lente e piccole deviazioni intorno ad una velocità fissa, in modo
che il circuito avrebbero potuto lavorare come un giroscopio
ottico (47). Se le vibrazioni meccaniche dell'apparato di Sagnac
avessero potuto impedire lo sblocco delle onde stazionarie,
l'esperimento di Sagnac sarebbe certamente stato considerato
42
un'ulteriore prova della relatività speciale.

Negli anni '60 il problema del bloccaggio fu scoperto e risolto


tecnicamente perché era già noto che un circuito di Sagnac
funzionava (un risultato nullo non avrebbe potuto essere
accettato). Il primo giroscopio ottico fu costruito nel 1963 da
Macek e Davis. Oggi, un giroscopio a cerchio laser sensibile può
essere portato nel palmo di una mano.

I vettori per passeggeri come la serie Boeing 757/767 e un numero


di Airbus A310 fanno affidamento su giroscopi laser ad anello
piuttosto che su quelli meccanici (70).
 

15. RELATIVITA' GENERALE (1914-1918)


Due anni dopo il risultato dell'esperimento di Sagnac, Einstein
produsse la Teoria generale (1916) (73). I risultati dei test
sperimentali della relatività generale sono molto incerti o in
contraddizione con evidenze sperimentali.

La spiegazione relativistica del ben conosciuto anticipo secolare


del perielio di Mercurio non considera che il valore sperimentale
del 1916 dell'inspiegato anticipo di 43'' è stato corretto nel 1930 a
50,9'' (74), e oggi si sa che necessita una nuova valutazione (75).
Inoltre la spiegazione di Einstein era basata sull'ipotesi che la
velocità dell'interazione gravitazionale fosse uguale alla velocità
della luce, contrariamente all'evidenza sperimentale segnalata da
Laplace (33) e Tisserand (76).

Infine, oggi sappiamo che il nucleo interno del Sole ruota più


velocemente della superficie, cosa che può spiegare le precessioni
dei pianeti (77).

Venendo ora alla "differenza" tra la deflessione newtoniana ed


43
einsteiniana di un raggio di luce, questa differenza non fu
confermata dopo i risultati della spedizione del 1919, nella quale
Dyson e Eddington avanzarono l'ipotesi che l'indice di rifrazione
dell'atmosfera solare aveva un valore costante n< 1.000 002 12 e
trascurarono i risultati ottenuti dai piatti astrografici della
spedizione di Sobral (78).

Ulteriori misurazioni hanno mostrato un'ampia differenza in


valore tra queste deflessioni (79) che può facilmente essere capita
tenendo in considerazione che l'indice di rifrazione dell'atmosfera
solare dipende dall'attività solare (80). Inoltre, l'esperimento di
Pound e Rebka (81) del 1960 mostrò chiaramente che l'energia o la
massa della luce è soggetta alla gravitazione nello stesso modo
della materia ordinaria, hΔν = mgz, dove m = hν/c0², g è
l'accelerazione gravitazionale della Terra, e z è la lunghezza della
traiettoria verticale (la frequenza deve cambiare perché c0 e h sono
costanti) (82).
 
Infine, la "necessità naturale di covarianza" fu sperimentalmente
giustificata dall'"equivalenza delle masse inerziali e
gravitazionali" (73).

Ora, una massa inerziale è associata a qualunque carico. Scrivendo


carico gravitazionale al posto di carico massa gravitazionale,
l'"equivalenza" significa solo che i microscopici carichi
gravitazionali sono egualmente accelerati da un macroscopico
campo gravitazionale (83).

Conseguentemente, la relatività generale, che è una


generalizzazione della relatività speciale (73), non può fornire una
validazione alla relatività speciale.
 
 

44
16. LA "SPIEGAZIONE" DI LANGEVIN
DELL'ESPERIMENTO DI SAGNAC (1921)
L'esperimento di Sagnac non può essere spiegato dalla relatività
speciale perché stando alla relatività speciale (1), c + v = c -
v ; ∆tF ≡ ∆tR .

Dopo il "successo" delle spedizioni del 1919, Langevin tentò di


"salvare" la relatività speciale tramite la relatività generale (84). Egli
parte dicendo che gli esperimenti di Michelson-Morley e di
Sagnac "non sono comparabili". Ma ciò dimostra che lui non
capisce che la differenza consiste in uno specchio.

Poi avanza l'ipotesi che la rotazione della piattaforma (con una


frequenza di due rotazioni per secondo) causa, nella struttura di
riferimento connessa alla piattaforma rotante, esattamente le
variazioni spazio-tempo che possono spiegare il risultato
dell'esperimento ∆L = 4ωS / c0λ "se la relatività generale è vera".
Ma

(1) Non ci sono prove direttamente sperimentali delle variazioni


spazio-tempo così chiamate da Langevin
(2) Ives indicò che il comportamento degli orologi in movimento
supposto da Langevin, non avendo supporti sperimentali, finiva
con l'altro "paradosso dell'orologio" (63).
(3) La piattaforma dell'esperimento di Sagnac può funzionare
anche fissata alla Terra - questa stessa struttura di riferimento
dell'esperimento di Michelson-Morley è senza rotazioni
aggiuntive (50).
(4) Infine, nel 1941 Dufour e Prunier mostrarono che le
argomentazioni di Langevin erano confutate se una parte del
circuito ottico era fissata al laboratorio (85).

Ne consegue che le argomentazioni di Langevin sono


sperimentalmente infondate e che l'esperimento di Sagnac confuta
45
la relatività.

17. GLI ESPERIMENTI DI MILLER (1921-1925)


Dal 1921 al 1925 al Monte Wilson, Miller ebbe l'opportunità di
ripetere l'esperimento di Michelson-Morley (52). Il risultato fu il
seguente:
"Tutte queste osservazioni mostrano uno spostamento periodico
positivo delle frange di interferenza, così come una direzione
dell'etere della stessa magnitudine, di circa 10 ± 0.33 km/s, come è
stato ottenuto in tentativi precedenti [...]. Nelle condizioni delle
osservazioni attuali, gli spostamenti periodici non potrebbero
essere prodotti da effetti della temperature [...]. Questi esperimenti
hanno fornito prove definitive di un effetto reale sistematico ma
piccolo in ampiezza, inspiegabile come al suo azimut [...].La
media della curva in tempi siderali, ha dimostrato in conclusione
che l'effetto osservato è un fenomeno cosmico" (52).
Infine (1933), commentando gli altri esperimenti sulla direzione
dell'etere eseguiti da Kennedy, Joos, Michelson, Pease e Pearson,
Miller affermò che "In nessuno di questi esperimenti le
osservazioni furono di tale estensione e di tale continuità da
determinare l'esatta natura delle variazioni diurne e stagionali" (52).

Dopo gli esperimenti di Miller, infatti, l'attitudine generale "non


ricercare effetti giornalieri nelle osservazioni interferometriche"
sembra sia stata adottata dai relativisti. Shankland, per esempio,
fece - 30 anni dopo - un'analisi critica degli esperimenti di Miller
senza ripetere gli esperimenti stessi e "senza imbarcarsi in una
ricomputazione dei dati della soluzione cosmica" (56).
 
 
18. L'ESPERIMENTO DI MICHELSON - GALE (1925)
L'apparato di Michelson-Gale, a causa delle sue dimensioni, era
sensibile alla rotazione della Terra (50). Consisteva di esperimenti
46
interferometrici accoppiati fissati in compensazione, IL (ruotanti
con la Terra), dei quali uno produce un "effetto Michelson-Sagnac
nullo" a causa di una superficie insufficiente e lavorando come
traccia di riferimento, mentre il secondo produce un "effetto
Michelson-Sagnac positivo" a causa della superficie
sufficientemente ampia chiusa dal percorso ottico delle due matite
luminose (Fig. 14).
 
 

 
Michelson considerò il caso ω ≠ 0, v = 0. A causa però della
velocità lineare esistente v = (390 ± 30) km/s, relativa alla
radiazione di fondo (4), le approssimazioni usate per ottenere la
formula ΔL = (4ω/c0λ) (S1 - S2) sin ϕ (dove ϕ = 41°46' è la
latitudine dell'esperimento), sono contestabili. Possiamo supporre,
per esempio, che l'effetto dovuto alla rotazione degli
interferometri intorno alla velocità lineare v potrebbe essere della
forma f (v, sin Ɵ, L1, L2). In tal caso lo spostamento (shift)
sperimentale di Michelson-Gale dovrebbe mostrare effetti
giornalieri corrispondenti alla rotazione della Terra:
 
ΔL = (4ω/c0λ) (S1 - S2)  sin ϕ + f (v, sin θ, L1, L2).

47
Anzi, la distribuzione dei dati sperimentali nell'esperimento di
Michelson-Gale mostra ampie oscillazioni intorno al "valore
costante"
 
(4ω/c0λ) (S1 - S2) sin ϕ = 0.23
 

 
(Fig. 15). Ma Michelson, dopo i risultati di Miller, omise di dare i
suoi dati sperimentali in una sequenza di tempo.

Oggi sappiamo che l'esperimento di Michelson-Gale lavora


esattamente come un giroscopio ottico mostrando, in aggiunta
all'effetto costante dovuto alla rotazione terrestre attorno al suo
asse, l'effetto dovuto alle deviazioni della Terra attorno la velocità
lineare fissata, relativa alla radiazione di fondo. Nella mia
opinione, una ripetizione dell'esperimento mostrerebbe questo
comportamento, perché l'esperimento di Michelson-Gale è il
giroscopio ottico suggerito da Sagnac nel 1914.
 
 
48
19. L'ESPERIMENTO DI MICHELSON-PEASE-PEARSON
(1929)
Dopo i risultati di Miller, Michelson non avrebbe potuto evitare
una ripetizione del suo esperimento (Fig. 16).

Michelson diede un primo annuncio dei suoi risultati al


"Michelson Meeting" del 31 ottobre - 3 novembre 1928:
   "I risultati non hanno dato spostamenti più grandi di un
cinquantesimo (1/50) di ciò che ci si sarebbe potuto attendere in
base alla supposizione di un effetto dovuto al movimento del
49
sistema solare di 300 km/s. Questi risultati sono differenze tra gli
spostamenti osservati al massimo e al minimo a tempi siderali.
   Queste direzioni corrispondono ai calcoli del Dr. Stromberg
relativi alla velocità supposta del sistema solare" (86).
Ma più tardi (Gennaio 1929) egli corresse il precedente annuncio:

… Nessun spostamento dell'ordine anticipato è stato ottenuto…

I risultati non hanno fornito nessun spostamento più grande di


1/15 di ciò che ci si sarebbe potuto attendere in base alla
supposizione attesa di un effetto dovuto al movimento del sistema
solare di 300 km/s (54) che è, 20 km/s, il doppio dei risultati di
Miller. Michelson interruppe l'esperimento e non pubblicò i
relativi dati sperimentali.

20. L'ESPERIMENTO DI KENNEDY-THORNDIKE (1929)


Nel 1929 Kennedy e Thorndike supposero che, concordemente ai
loro calcoli teorici, un interferometro di Michelson-Morley con
bracci disuguali (L1 ≠ L2) poteva mostrare evidenze sperimentali
non soltanto della contrazione longitudinale L = L0 (1 - β2)1/2, ma
anche della dilatazione del tempo (55) ΔT = ΔT0/(1 - β2)1/2.
Conseguentemente costruirono un interferometro con bracci
disuguali (Fig. 17).
 

50
 
Ebbero però una strana sorpresa: l'interferometro lavorava come
un giroscopio ottico, mostrando un effetto giornaliero dovuto alla
rotazione della Terra a qualche tipo di velocità fissa. L'effetto
giornaliero era un effetto reale; poteva essere chiaramente
51
osservato nel piatto fotografico (55). Ancora, essi tentarono di
"salvare la relatività" dicendo che "l'effetto non aveva l'ampiezza
anticipata in funzione delle teorie dell'etere" (55).

Ma, anzi, l'effetto giornaliero dell'esperimento di Kennedy-


Thorndike certamente confuta la relatività, perché un effetto
giornaliero significa di per sé che la velocità cinematica della luce
non è costante durante il giorno, mentre "l'ampiezza teorica
anticipata" concordemente alla relatività non è un effetto
giornaliero. L'esperimento non fu mai ripetuto. Suggerisco che
dovrebbe essere ripetuto, usando l'apparato sperimentale di Fig. 9.
 
 
21. L'ESPERIMENTO DI IVES-STILLWELL (1938)
Nel 1937 Ives e Stillwell (57) vollero fornire una diretta prova
sperimentale della relazione

(c0 = λ0ν0)

cM = λν = λ0ν0(1 - β²)/ (1 - β² sin² θ)1/2

ν = ν0(1 - β²)1/2 ; λ0(1 - β²)/ (1 - β² sin² θ)1/2

ottenuta calcolando l'effetto Doppler tramite la classica formula


della composizione delle velocità. Per ottenere queste relazioni è
da notare che la sorgente e il ricevitore dell'interferometro nel
frame di riferimento E (Fig. 4) si muovono insieme, e che la
frequenza della sorgente è costante in E (87, 88). Prendendo una o
l'altra gamba dell'interferometro di Michelson, vige la seguente
relazione:
c(θ) = cM/(1+β cosθ). Di conseguenza, per la gamba orizzontale (θ
= 0,π) abbiamo
 

52
 
Una volta risolte, queste relazioni producono le seguenti soluzioni:

 
Ora, visto che ν = const in E   ν = kν0 ; λ =   (θ) λ0
 
 (θ) = α/(1 - β² sin² θ)1/2 ; k,α = ϕ( v ) = const se v = const.
      
Per θ = 0:

λν = ν0λ0(1 - β²) = kαλ0ν0   kα  = (1 - β²).

Per θ = π/2:

λν = ν0λ0(1 - β²) = [kα/(1 - β²)1/2] λ0ν0


 
 kα  = [(1 - β²)1/2]².

Abbiamo di conseguenza varie possibili soluzioni per k e α .


53
Ives e Stillwell (57, 89) avrebbero potuto verificare che la soluzione
fornente il corretto valore sperimentale per lo shift Δλ = λB - λ0 è la
soluzione k = α = (1 - β²)½ dalla quale

ν = ν0(1 - β²)½ ;  λ = λ0(1 - β²)½ / (1 - β² sin² θ)½


 
λB = λ(1 - β²) = λ0(1 - β²)½ (θ = 0,π)

Δλ = λB - λ0 = λ0{[1/(1 - β²)½] - 1}   (1/2) λ0β² .  


 
Ives affermò correttamente che il suo reale, positivo, effetto non
nullo confuta la teoria della relatività (57). Non pose però l'accento
sulla differenza tra c0 e cM e non poté spiegare chiaramente i suoi
risultati sperimentali.

Nelle sue carte (57) Ives scrive le due relazioni λ = λ0(1 - β²)½ e ν
= ν0(1 - β²)½ separatamente, e non le combina, probabilmente
perché senza distinguere c0 e cM avrebbe trovato il paradosso di
Einstein c = c (1 - β²).
 
Al contrario, distinguendo tra c0 e cM e notando che la velocità
cinematica della luce sulla Terra   =  λE νE è veramente vicina
alla velocità elettromagnetica λE νE   λ0ν0 = c0 perché (4) VE   
105 m/s, che è di gran lunga minore della velocità degli ioni nel
suo tubo (57) (V1   106 m/s), Ives avrebbe potuto provare che cM ≠
c0 ; cM ≠ λ0ν0(1 - β²) = c0(1 - β²), che è l'esatta soluzione del
paradosso di Einstein c = c(1 - β²).
 
 
22. GLI ESPERIMENTI DI MARINOV (dal 1979 al 1986)
Per i due raggi di luce correnti in direzioni opposte noi abbiamo lo
"shift lineare" (c0/λ)(ΔtF -ΔtR) = (2L/λ)β cos θ (Fig. 18).
 
 

54
 
 
La tecnologia moderna ci permette di misurare gli effetti
fotoelettrici causati dai campi elettrici dei due raggi di luce aventi
lunghezze d'onda differenti λ1= λ/(1 + β); λ2= λ/(1 - β). Il risultato
è un effetto giornaliero sinusoidale.

Marinov non era consapevole della distinzione tra c0 e cM.


Conseguentemente, qualcuna delle relazioni matematiche nelle
sue carte era errata. Condusse però con successo questo tipo di
esperimento dal 1979 al 1986 (68, 90). I suoi risultati sperimentali
furono pubblicati su riviste scientifiche di "importanza
secondaria", e l'esperimento non fu mai ripetuto.

23. L'ESPERIMENTO DI SILVERTOOTH (1987)


Nel 1983 Silvertooth costruì un "sensore di onde fisso" che,
ancora, avrebbe potuto permettere la misurazione degli effetti
fotoelettrici dovuti ai campi magnetici dei due raggi di luce
opposti, fornendo il solito shift lineare (c0/λ)(ΔtF -ΔtR) = (2L/λ)β
cos θ .

55
Come Marinov, Silvertooth ebbe un solo difetto teorico: non era
consapevole della distinzione tra c0 e cM. Conseguentemente
alcune delle relazioni matematiche nelle sue carte sono errate, ma
l'esperimento funziona bene (87, 88). Silvertooth offrì gratuitamente a
chiunque il suo sensore di onda fisso, ma ancora, l'esperimento
non fu mai ripetuto. Gli esperimenti di Marinov e Silvertooth sono
entrambi versioni differenti del giroscopio ottico.

24. SPERIMENTAZIONE RADAR DELLA VELOCITA'


DELLA LUCE [WALLACE (1969), TOLCHEL'NIKOVA
(1991)]
Questi tipi di misurazioni sono simili, in linea di principio,
all'esperimento di Romer: differenze in tempo causate dalla
"classica" composizione della velocità della luce rispetto alla
velocità dei pianeti (in questo caso Terra e Venere). Wallace
aveva notato (91) che i dati radar interplanetari pubblicati
presentavano prove della relazione c + v ≠ c - v ≠ c.

Il relativista I. I. Shapiro bloccò l'accesso ai dati sperimentali.


Wallace tentò di mettere sotto accusa Shapiro ma senza alcun
risultato (92). Risultati simili furono comunque ottenuti in Russia
nel 1991; ad una conferenza internazionale a San Pietroburgo,
Tolchel'nokova aveva confermato le osservazioni di Wallace (93).
 
 
25. EPPUR SI MUOVE
Oggi è ben noto che le misure di anisotropia della radiazione di
fondo permettono non solo la valutazione del modulo, ma anche
della direzione del movimento di traslazione della Terra:

… il cielo di microonda dovrebbe sembrare più caldo nella


direzione del movimento e più fresco nella direzione opposta, con

56
una variazione del dipolo della forma δT/T = (v/c0)cos θ.
 
Le osservazioni di δT/T possono quindi essere utilizzate per
trovare la velocità dell'osservatore v... . A causa della rotazione
della Terra, una tale isotropia dovrebbe apparire in un radiometro
fisso come una variazione di segnale con un periodo di un giorno
siderale (che è solo il tempo richiesto affinché il telescopio ritorni
per tornare al punto verso una direzione nel cielo fissato rispetto
alle stelle, non al sole). Questo permette al segnale richiesto di
essere estratto sia dal rumore sia da qualsiasi altro effetto reale nei
dati. Risultati recenti... forniscono una velocità (390 ± 30) km/s
nella direzione RA = 11h, δ = + 6°. La figura 19 mostra che è
richiesta una grande peculiare velocità della Galassia per produrre
il risultato osservato... . Il sistema di riferimento in cui lo sfondo
di microonda sembra isotropo può essere considerato come
producente uno standard di supporto assoluto (4).
 

57
 
 
Quindi Raine tenta di salvare la relatività: "Sembra talvolta che
questa misura di anisotropia mostri che potrebbe esservi un
conflitto con la teoria della relatività Speciale, poiché con ciò si
può affermare l'impossibilità di stabilire una struttura privilegiata
rispetto al contesto, anche utilizzando esperimenti che implicano
radiazione elettromagnetica...". Ma secondo Raine, "Ciò che la
Relatività proibisce infatti è la determinazione di movimento
tramite esperimenti locali, come l'esperimento Michelson Morley,
che può essere realizzato (almeno in linea di massima) in
laboratori protetti da influenze esterne, ad esempio tirando le
tende (4).

Raine sembra inconsapevole che le misure dello sfondo di


microonda sono eseguite di solito avvolgendo con attenzione il
radiometro fisso in tende di polistirene, confermando così la
58
possibilità di dimostrare la velocità di traslazione della Terra con
l'attenzione più scrupolosa a condizioni sperimentali relativistiche.
 
Secondo Zeldovich e Novikov, per ogni punto dell'universo vi è
un osservatore in relazione a quale radiazione di microonda
sembri essere isotropica... .

La presenza in ogni punto della struttura di riferimento isolata ci


ricorda l'ipotesi dei fisici durante il processo della creazione della
teoria della relatività, quando fu supposto che la luce era
l'oscillazione di un certo materiale, etere, che ha riempito l'intero
Universo. È stato supposto anche che il sistema delle coordinate
collegato all'etere fosse un sistema isolato principale e che gli
esperimenti fossero stati fatti per scoprire il moto terrestre in
relazione all'etere.

Sappiamo che tali esperimenti (fatti da Michelson ed altri) ebbero


risultati negativi: non esiste etere che porti luce.
 
L'evoluzione dell'universo ha poi portato al fenomeno in cui nelle
osservazioni di radiazioni cosmiche di microonda (ma solo in
osservazioni astronomiche) il sistema isolato è apparso quale è
chiamato talvolta "nuovo etere". Le osservazioni suddette hanno
permesso la definizione della Terra, del sistema solare e anche
delle velocità della Galassia rispetto al nuovo etere, questa
essendo rispettivamente 390 e 600 km/s (94).

Sembrerebbe così che "dopo il processo di creazione della teoria


della relatività" qualcuno andò al problema di creare il "nuovo
etere" rispetto a cui era possibile definire e misurare la velocità
della Terra, del sistema solare e della galassia. Questo etere è
"nuovo" perché "i risultati negativi di Michelson e altri" avevano
mostrato che il "vecchio etere" non esiste. In realtà, questa
"nuova," opportuna creazione "post 1905", sembra essere solo
59
inverosimile, mentre il "nuovo" e il "vecchio" etere sono molto più
verosimilmente lo stesso vecchio etere di Maxwell.
 
 
26. E = mc²0
La famosa relazione E = mc²0, che è di solito attribuita ad Einstein,
è stata parte del retaggio dei fisici classici sin dalla sua
Fondazione Newtoniana. Vedere, per esempio,
 
(1) Newton (Ottica, 1717):  "I corpi lordi e la luce non possono
essere convertibili in un altro, e non possono ricevere una gran
parte della loro attività da particelle di luce che entrino nella loro
composizione? Il cambiamento di corpi in luce e di luce in corpi è
molto conforme al corso della Natura, che sembra dilettarsi con le
trasmutazioni".
 
(2) De Laplace (Meccanica celestiale, 1845):  "[...] ma se la luce è
un'emanazione del Sole, la massa di questa stella diminuisce
implacabilmente e, a causa del movimento della Terra, deve
apparire come un'equazione secolare in opposizione a ciò che
produce pressione minore" (95).
 
(3) Lewis: "L'importante equazione P=E/c0 da cui nasce E =
mc²0 fu ottenuta da Maxwell come conseguenza della sua Teoria
Elettromagnetica e da Boltzmann attraverso l'applicazione diretta
delle leggi della termodinamica.
Poyinting lo ha messo ancora in evidenza e ciò è stato
recentemente (1903) verificato con precisione rimarcabile nel
bell'esperimento di Nichols e Hull" (96).
 
(4) De Pretto (1903): "Dati E = mc²0 , m = 1 kg e c0 = 3 x
105 km/s, ognuno può vedere che la quantità di calorie ottenute è
rappresentata da 10 794 seguito da 9 zeri, che è più di dieci
migliaia di miliardi. A quale terribile risultato ci ha portato il
60
nostro ragionamento? Nessuno ammetterà facilmente che un
importo di energia uguale alla quantità che può essere derivata da
milioni e milioni di chilogrammi di carbone è nascosta e
immagazzinata ad uno stato latente in un chilogrammo di materia
di qualsiasi tipo; questa idea sarà indubitabilmente considerata
sciocca… Comunque, diminuendo convenientemente il risultato
dei nostri calcoli, dovrebbe tuttavia essere ammesso che dentro la
materia ci deve essere immagazzinata così tanta energia da colpire
l'immaginazione di ognuno. Qual è, in confronto ad essa, la forza
che può essere ricavata dal più ricco combustibile e dalle più
potenti reazioni chimiche?" (97).
 
È rimarchevole notare che esistevano dirette connessioni tra la
famiglia di Besso, amico di Einstein, e la famiglia di De Pretto (98).
 
Stando a Born (14), il "merito" di Einstein è quello di avere
effettuato una "generalizzazione" del teorema inerziale
dell'energia, applicandolo alle energie e alle interazioni diverse da
quelle elettromagnetiche. Comunque, questa generalizzazione ha
basi sperimentali limitate e sembra essere confutata da recenti
risultati nelle trasmutazioni a bassa energia (83, 99-103).
 
 
27. VARIAZIONE DI FORZA CON VELOCITÀ
La "variazione" presunta "della massa con la velocità" può essere
ottenuta dalla relazione E = mc²0, come mostrato da Lewis (96). Ma,
a mio giudizio, una "variazione" reale "della massa con la
velocità" è in contraddizione con la conservazione delle cariche.
Di conseguenza, nel 1986 (83) ho avanzato l'ipotesi che qualsiasi
forza dipenda dalla velocità come, ad esempio, la forza di Weber.
Questo suggerimento è stato sviluppato da Assis che, nel 1989, ha
mostrato che, infatti, la legge di Weber dà i risultati di
Bucherer (104).
 
61
28. SECONDO POSTULATO: CONCLUSIONI
Sembra che il secondo postulato della relatività di Einstein sia
confutato dalle seguenti prove sperimentali:
 
(1) Misurabilità delle velocità cinematiche ed elettromagnetiche
della luce. Romer e Bradley avrebbero potuto [traduzione
letterale: "potevano" o "potrebbero" - ndc] misurare la velocità
della luce (c0) a senso unico solo perché c0 + v ≠ c0 - v ≠ c0. Nuove
misure elettromagnetiche della velocità della luce possono
sottolineare ulteriormente l'infondatezza del secondo postulato (9,
62)
.

(2) Gli esperimenti interferometrici a “bracci uguali”, che provano


che la velocità cinematica della luce non è una costante
(Michelson Morley; Michelson Pease Pearson (51, 52, 54).
 
(3) Effetto Michelson Sagnac (il giroscopio ottico) (47, 50).
 
(4) L'esperimento Kennedy Thorndike (l'interferometro "con
bracci diseguali") (55).

(5) L'esperimento Ives - Stilwell (esistenza e misura di effetti


Doppler longitudinali e "trasversali") (57).

(6) L’esperimento ad “otturatori accoppiati” di Marinov (68, 90).


 
(7) L'esperimento di Silvertooth (87, 88).
 
(8) Osservazioni di Venere mediante radar (91, 93).
 
(9) L’individuazione per mezzi elettromagnetici del movimento
della Terra attraverso la radiazione di background ("Eppur si

62
muove”) (4).
 

29. CONCLUSIONI GENERALI


La relatività einsteiniana sembra essere una teoria fisica di limitata
validità sperimentale sulla base di almeno 12 prove sperimentali
diverse, che sembrano confutare i suoi due postulati. Ulteriori
prove che possono confutare la teoria della relatività sono
concepibili (nuove misure elettromagnetiche della velocità della
luce, un esperimento di Kennedy - Thorndike modificato).
 
La difficoltà nell’affrontare l'argomento scientifico dell'"avvento
della relatività" non è dovuta a una mancanza di argomentazioni o
esperimenti scientifici. Questi, a mio giudizio, già indicano che la
teoria ha dei problemi. Sembra che la reale difficoltà sia che la
relatività non è un problema scientifico, ma un soggetto
accademico. Molti scienziati lavorano su programmi di ricerca
concernenti astronomia e astrofisica relativistiche, cosmologia
relativistica, antenne gravitazionali relativistiche, letteratura
scientifica e letteratura di divulgazione relativistiche. E molti
scienziati lavorano nella fisica delle particelle elementari per
studiare il 10-37s dopo un evento (il Big Bang) che potrebbe non
essersi mai verificato. Contro questo contesto la maggior parte
delle argomentazioni scientifiche più sensate non hanno molto
impatto. Ma nonostante le attuali difficoltà la scienza dovrà
prevalere.

Ricevuto il 24 Marzo 1994.

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Riassunto
63
 
In seguito a diverse prove sperimentali che sembrano confutare
i due postulati di base della teoria della relatività ristretta di
Einstein,
informiamo che questa teoria fisica ha scarsa validità
sperimentale.
_____________________________________________________
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NOTE
1. A. Einstein, Ann. Phys. 17, 891 (1905).
2. L. Essen, "The Special Theory of Relativity. A Critical
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104. A.K.T. Assis, in "Proceedings of the Conference Foundations
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