(da: http://www.df.unibo.it/museo/uimages/ritra9.jpg)
[Episteme è certa di far cosa utile ai lettori proponendo loro un discorso di Quirino
Majorana sulle teorie di Einstein, assai difficilmente reperibile altrimenti, in quanto
esemplare di un modo alquanto comune di considerare la relatività da parte di
un'intera generazione di fisici, prima che quella successiva, dopo il clamoroso
trionfo delle concezioni di Einstein ad Hiroshima e Nagasaki, cadesse in preda
dello stato d'animo che Franco Selleri definisce brillantemente epistemologia della
rassegnazione (La causalità impossibile - L'interpretazione realistica della fisica
dei quanti, Ed. Jaca Book, Milano, 1988, p. 13). Va rilevato subito come il
Majorana cada anch'egli in alcuni tipici comuni fraintendimenti della cinematica
relativistica, la cui presenza consente purtroppo ai sostenitori della "nuova fisica"
di riguardare con occhio di sufficienza a tutto il resto dell'argomentazione,
compresa la parte di natura sperimentale. Del resto, anche tali errori sono
comunque istruttivi, a dimostrazione di quanto lo spazio e il tempo di Einstein
siano anti-intuitivi, e suscettibili quindi di siffatte incomprensioni anche da parte di
uno scienziato che non può certo essere ritenuto di scarsa intelligenza].
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Credo opportuno che io dichiari sin dal principio, come io sia decisamente
contrario alla accettazione delle teorie del fisico tedesco. Voglio però altresì
ricordare, come fra i cultori di fisica ed anche di matematica, io non sia il solo ad
avere un simile atteggiamento. Fra gli oppositori alle Teorie di Einstein, si possono
ricordare i seguenti, veramente autorevoli Dingler, Duhem, Esclagon, Geherke,
Gleich, La Rosa, Lenard, Milne, Mohorovicic, Painlevé, Reuterdhal, Righi (che
scrisse quattro Memorie, proponendo un esperimento contro la relatività), Sce,
Somigliana, Wiechert, e molti altri. Il numero di tali oppositori è dunque notevole,
pur essendo piccolo, di fronte alla stragrande maggioranza di coloro che credono
alla relatività di Einstein. Ciò non di meno, io credo che si tratti di un contrasto,
che non ha precedenti nella storia della Scienza. Tale contrasto è tanto più acceso,
in quanto ha degenerato spesso in vivaci e non conclusive polemiche. Leggendo i
lavori degli autori citati, e specialmente quelli tedeschi, è facile trovarvi qualifiche
aspre delle teorie di Einstein. Così, vi si afferma che esse rappresentano una
mathematische Fiktion; oppure che esse sono überflüssig und falsch; od infine che
esse non costituiscano che un drolliger Witz.
Il mio orientamento, non dipende tanto da simili asserzioni, quanto dalle mie
particolari attitudini sperimentali. Esse risalgono a ben 60 anni addietro, a quando
cioè cominciai, dopo aver conseguito la laurea di ingegneria, a preparare la mia tesi
sperimentale, per la laurea in fisica. Da allora, ho sempre continuato nel mio
metodo; preparando quasi sempre da me stesso, gli apparecchi necessari alle mie
ricerche. Ritengo che ciò mi abbia permesso una più netta visione della realtà dei
fatti. Anche in quest'anno, profittando della ospitalità del Collega Prof. Giorgio
Valle, che ho ancora il dovere di ringraziare, ho allestito un dispositivo
sperimentale, che prova l'infondatezza della teoria di Einstein. Dico ciò, a parte i
ragionamenti che mi conducono allo stesso risultato, ed a cui farò cenno.
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Ma come quasi tutte le teorie umane, anche quella dell'etere cosmico era destinata
a cadere. Esaminiamo la ragione di ciò. Il fisico si rendeva conto dei fenomeni
meccanici. La meccanica di Galileo e di Newton pareva avesse ormai nulla di
oscuro. Si dice ciò, tralasciando di considerare che nulla l'uomo ha mai saputo, nè
forse saprà mai, della vera essenza dei fatti fondamentali della meccanica, come
l'inerzia e la gravitazione. Comunque, certi principii erano generalmente e
facilmente accettati, forse perchè appoggiantisi alle dirette impressioni dei nostri
sensi. Fra essi la relatività del moto, detta relatività di Galileo. In alcune stupende
pagine, questi rilevò come non fosse possibile accorgersi, nell'interno di un sistema
(la nave, nell'esempio di Galileo) del suo moto di traslazione, rispetto ad altri
sistemi.
Dopo esperienze non conclusive, che datano dal 1867, ad opera di Babinet, e dal
1874, di Mascart e Jamin, ne fu realizzata una famosa, dovuta a Michelson e
Morley, nel 1881. Con essa, i suoi autori si proponevano di vedere se, orientando
un certo apparecchio (interferometro) diversamente, rispetto al moto della Terra
intorno al Sole, si osservasse, in conseguenza di quel moto (30 km/sec) qualche
effetto. L'esperienza che fu poi ripetuta più volte, ebbe esito negativo. Si sospettò
che tale risultato potesse dipendere da trascinamento totale o parziale dell'etere, da
parte della Terra. Si fecero così, esperienze situando l'apparecchio alquanto
discosto dalla superficie sferica, media, terrestre: e, per vero, dapprima sul Monte
Wilson (1800 m di altitudine); e poi, da Picard in pallone libero, sperimentando per
4 ore a 2500 m di altezza. L'esito di tali ricerche fu sempre negativo [1]. Le
caratteristiche del fenomeno ottico, interessante i corpi in moto, rimanevano
dunque misteriose. Fu così che Fitz Gerald, e Lorentz, indipendentemente,
avanzarono un'ipotesi che aveva il carattere di coup de pouce (come diceva
Poincaré). Secondo essa, ammettendo pur sempre la reale esistenza dell'etere, la
materia, costretta a muoversi attraverso di esso, si contrarrebbe alquanto, nella
direzione del moto[2]. Il valore di tale contrazione sarebbe precisamente quello
necessario, a giustificare il nessuno effetto, rilevato nell'esperienza di Michelson.
Questo concetto fu bene sviluppato in una seconda teoria di Lorentz, che stabilì
certe equazioni, che vennero chiamate Trasformazione di Lorentz. Mediante esse,
si poteva spiegare perchè, conferendo moto uniforme a della materia, i fenomeni
ottici si svolgano in essa, come quando è ferma.
E qui, torna acconcio rilevare la profonda differenza logica, che intercede tra la
concezionc di Lorentz e quella di Einstein. Il primo partiva dalla nozione dell'etere;
ed ammetteva che esso provocasse nella materia, la nota reale contrazione. Nella
teoria di Einstein non si può più ammettere l'esistenza di tale fluido: in natura non
ci sarebbe che materia. E questa apparisce contratta ad un altro sistema, con cui è
in moto. Ammesso ciò, si comprende come la contrazione di Einstein non possa
essere che apparente, perchè di due sistemi reciprocamente in moto, tale qualità
può essere attribuita all'uno od all'altro.
Tale è dunque l'aspetto cinematico, della teoria speciale della relatività. Esso è
ritenuto impeccabile, non venendo sottoposto, di solito ad attento esame. Quella
teoria avrebbe dunque portato alla scoperta di una nuova caratteristica della
metrica dello spazio e del tempo, nel caso di sistemi reciprocamente in moto, in
completo disaccordo con la comune nostra osservazione dei fatti naturali, che
riguarda velocità relative, enormemente più piccole di quella della luce.
Accettato un simile concetto, chi studia la relatività può restare ammirato del modo
con cui questa teoria dà ragione del fatto, per cui essa è stata creata. E cioè, la
cosidetta invarianza dei fenomeni ottici od elettromagnetici dal moto uniforme, al
quale i sistemi in cui si svolgono, sono soggetti.
Ma, ritornando alla parte semplicemente cinematica della teoria, è possibile vedere
talune sicure contradizioni a cui essa dà luogo. Ciò ha costituito oggetto di mio
attento esame, da parecchi anni, e su tale punto desidero richiamare la Vostra
attenzione, mentre osservo sin d'ora che si tratta di argomentazioni semplici e
chiare, che con vera sorpresa non si prospettano alla mente dei fautori della
relatività.
Malgrado tale obbiezione, che può a prima vista apparire grave, io penso che
l'osservazione delle righe spettrali delle doppie, non depone senz'altro a favore
della relatività. Da più anni, ho infatti avanzato una semplice e plausibile ipotesi,
che tenderebbe ad eliminare 1'obbiezione stessa. Si deve, infatti, tenere conto della
circostanza per cui, nel caso delle lontane stelle doppie, i fotoni che esse ci
mandano sono stati in reciproca presenza per tempi lunghissimi (anni, decenni,
secoli) e noi non sappiamo se in tanto tempo non si sia manifestata tra loro qualche
sconosciuta azione. Basta supporre che in sì lunghi periodi, le velocità dei fotoni,
leggermente diverse, dall'uno all'altro, si siano eguagliate. Ciò permetterebbe di
scorgere gli spettri a righe di quelle stelle, come realmente avviene. Questa nuova
ipotesi ridarebbe credito a quella teoria balistica della luce, che, formulata dal
fisico svizzero Ritz, fu ripresa con successo dal nostro La Rosa, entrambi
prematuramente scomparsi.
Un altro appoggio alla relatività, è dato dalla cosidetta invarianza dei fenomeni
ottici od elettromagnetici, dal moto uniforme del sistema in cui essi si svolgono.
Ma non è difficile, toglier valore anche a tale prova. Non è il caso che io tenti di
spiegare ciò, dovendo far ricorso a concetti speciali e complessi. Tuttavia, mi piace
ricordare che, un modo preciso ed elegante per ottenere tale risultato fu indicato,
subito dopo la comparsa della relatività, dal fisico svizzero Ritz, di cui si è prima
discorso.
Resta da esaminare un ultimo controllo, che si suole portare a sostegno della
relatività, e che, sotto un certo riguardo, è ritenuto il più importante. Di esso tutti
hanno, per lo meno, sentito discorrere, e costituisce il maggior titolo di gloria di
Einstein. Voglio con ciò alludere, al nuovo principio introdotto da Einstein, della
cosidetta equivalenza fra massa ed energia. Secondo Einstein, questi due enti
potrebbero trasformarsi l'uno nell'altro, senza peraltro che le teorie ammesse,
stabiliscano le vere cause di tale trasformazione. Per passare dal valore della massa
materiale, a quello di energia ad essa equivalente, basta moltiplicare, secondo
Einstein, quella per il coefficiente c 2, cioè il quadrato della velocità della luce.
In applicazione di tale principio, si può, per es., dire quale lavoro meccanico si
potrebbe ottenere, trasformando completamente in energia, un grammo di materia.
Applicando la detta formula, si trova che, con tale grammo si potrebbero innalzare
di un centinaio di metri, circa un miliardo di quintali; oppure ottenere circa 3000
kilowatt, per un anno. La relazione riportata: energia = massa x c2 , costituirebbe
perciò uno dei più straordinari principii che la mente umana sarebbe riuscita a
scoprire. E ciò, sarebbe inteso, sia perchè collegherebbe due enti fisici,
apparentemente del tutto diversi, sia per la colossale misura di tale equivalenza.
Esso darebbe ragione dell'enorme energia che si sprigiona nelle trasformazioni
atomiche, in conseguenza di apparente sparizione di materia. Tale principio appare
verificato dall'esperienza, con grande precisione, almeno nel caso dei nuclei degli
atomi leggeri.
Ci rimane ora a dire perchè questo fatto, che tanta importanza ha avuto ed avrà
nella storia del mondo, non debba ritenersi una prova decisiva, a favore della
relatività speciale di Einstein. Osserviamo, intanto, che la ragione di tale giudizio si
ricava anzitutto dalla considerazione di quanto è già stato detto. Non ammettendo,
nè l'esistenza dell'etere cosmico, nè il 2° postulato di Einstein, ne consegue che la
velocità della luce non può essere una vera costante. Non appare così possibile, che
tale velocità, variabile da caso a caso, possa costituire un semplice coefficiente di
proporzionalità, fra massa ed energia, le quali grandezze rappresentano delle
costanti. A parte tale pregiudiziale, esaminiamo l'argomento, sotto un altro aspetto.
Come si è detto, tale principio sembra verificato dall'esperienza, e ciò avviene con
sempre maggiore precisione, man mano che i ciclotroni od acceleratori di particelle
elementari, che si costruiscono in America, aumentano di potenza. In vista di tale
constatazione, si può ancora domandare perchè la relatività debba ritenersi
inconsistente. Si risponde osservando che questo giudizio risulta con assoluta
necessità, dagli argomenti cinematici, che sono stati prima rilevati, e che, per
congruenza, occorre spiegare altrimenti l'apparente equivalenza tra massa ed
energia.
Per vero, nel terzo caso, ora citato, cioè della struttura della materia, ossia di
corpuscoli elementari, si dice che non si ha a che fare con la stessa forza, che
governa il moto degli astri, o che genera la caduta dei travi. Si ammette, senza
maggiormente chiarire, che si tratti di una nuova forza, che si suole chiamare
coesione, o nel caso dei nuclei, forza nucleare. Queste forze, in ogni modo, sono
enormi in confronto di quelle macroscopiche. Basta pensare per convincersi di ciò,
alla forza che sarebbe necessaria per tenere aderente uno strato materiale, al resto
di un corpo solido, qualora si applicasse ancora la legge di Newton. Occorrerebbe
per ciò considerare una massa attirante lo strato, dell'ordine di milioni di volte
quella del Sole.
D'altra parte, questa concezione di una forza di natura diversa, che farebbe sentire i
suoi effetti solo a piccolissime distanze, non è affatto intuitiva.
Tutto quanto è stato sinora esposto, concerne la prima relatività di Einstein, quella
cioè formulata nel 1905. E' noto come egli, forte del clamoroso successo ottenuto,
almeno in certi ambienti, da tale sua teoria, ne formulò una seconda nel 1916. Le
conclusioni di questa sono ancora più sorprendenti della prima. Occorrerebbe
fermarsi a lungo su di essa, per dimostrarlo. Ma penso che tale critica non sia
necessaria, in vista degli argomenti raccolti per la prima.
E mi corre l'obbligo ancora di osservare che, malgrado le obbiezioni sollevate, nel
suo complesso la relatività di Einstein abbia costituito un utile strumento di lavoro.
Ciò è avvenuto in maniera simile alla funzione di uu'impalcatura, che ha permesso
la costruzione di un solido edificio, in questa prima metà del nuovo secolo: la
scienza moderna. La relatività, per un complesso di ragioni di cui non ci rendiamo
totalmente conto, e che in ogni modo sarebbe difficile esporre, si è sostituita ad una
più razionale teoria dei fenomeni ottici ed elettromagnetici. Il fisico ed il
matematico, in un prossimo futuro, debbono cercare di formulare più
compiutamente tale teoria.
E mi avvio alla chiusa di questo mio discorso. Ho voluto esporVi il mio pensiero,
circa il valore delle teorie relativistiche di Einstein. Esse sono nate nella mente di
un uomo, indubbiamente di grande ingegno, ma sostanzialmente lontano dalla
speculazione sperimentale. Fra le sue idee rimarrà certamente, a sua imperitura
gloria, quella quantistica dell'effetto fotoelettrico, che stabilì un legame intimo e
mirabile, tra elettrone e fotone. Fu per essa che egli conseguì, ben meritatamente, il
premio Nobel.
Ma nel resto della sua opera ardita, troviamo degli spunti che completamente gli
hanno fatto dimenticare come l'essenza della natura non può venire inquadrata in
simboli matematici. Ricordo, a tal proposito, il detto di un grande matematico e
fisico: il Poincaré. Secondo esso, una relazione matematica può corrispondere ad
infiniti modelli fisici.
Nel progresso della Scienza, occorre riflettere che noi mai possiamo comprendere
in pieno i principii intimi o primordiali dei fatti naturali, e che ci si debba
accontentare di stabilire soltanto certi rapporti dimensionali, tra enti diversi, che
per noi è impossibile completamente identificare.
Ad ogni modo, sembra difficile che chi si è abituato al metodo del fisico tedesco,
possa per le considerazioni da me svolte, mutare pensiero. E, persuaso che gli
argomenti più ascoltati sian quelli che si basano su nuovi fatti sperimentali, ho da
anni cercato un experimentum-crucis, che potesse costituire la migliore prova della
fallacia delle teorie di Einstein.
Ritengo di essere recentemente riuscito in ciò, quantunque, per varie ragioni, non
abbia potuto affinare i miei risultati. Si tratta della constatazione di variazioni della
velocità della luce, quando è riflessa da differenti metalli. Di ciò ho dato
comunicazione in questa Accademia, il 22 dello scorso aprile, ed in quella dei
Lincei, il 6 giugno. Mi sto occupando di sviluppare tali ricerche, pur presentandosi
a me due diverse difficoltà: da un canto la mancanza di mezzi sperimentali
adeguati; e dall'altro la considerazione dell'inesorabile legge di natura, che viene a
limitare per me il tempo necessario, allo svolgimento di un simile difficile
programma di lavoro.
Ad ogni modo, era mio dovere manifestare chiaramente il mio pensiero, su di una
questione, che, se ben risoluta, può occasionare notevole progresso della scienza.
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[2] In realtà, l'ipotesi di FitzGerald era ben diversa da quella di Lorentz (pur essendo
entrambe basate su considerazioni fisiche, e non su semplici speculazioni matematiche
introdotte ad hoc), in quanto non consisteva in una contrazione longitudinale (ovvero, nel
senso del moto), bensì in una dilatazione trasversale. L'effetto pratico che ne conseguiva, a
spiegare il preteso "risultato nullo" dell'esperimento di Michelson-Morley, era comunque lo
stesso. Anche per questo argomento si può rimandare al sito indicato nella nota precedente,
stessa pagina, N. 15.
[3] Si tratta invece, come già annunciato in sede di presentazione, di comuni fraintendimenti
della cinematica relativistica, che non hanno alcuna efficacia contro la teoria di Einstein.
[4] Che la possibilità di trasformare massa in energia non sia un'ipotesi di origine
strettamente relativistica, è confermato tra l'altro dalla circostanza che questo principio, "uno
dei più straordinari [...] che la mente umana sarebbe riuscita a scoprire", era stato già intuito
fisicamente prima della relatività, nella sua esatta formulazione quantitativa, da un
sconosciuto scienziato "dilettante" italiano, certo Olinto De Pretto, il quale pubblicò
l'equazione oggi celeberrima qualche anno prima del fisico tedesco. De Pretto poggiava le sue
argomentazioni proprio su quella teoria dell'etere che Einstein invece abolisce (anche per
qualche informazione su questa vicenda si veda il sito indicato nella nota 1, pagina dedicata
alla Storia della Scienza, punti N. 9 e C).
[5] In un lavoro del 1954, "L'inerzia non appare sempre proporzionale al peso" (Rendiconti
Accademia Nazionale dei Lincei, Vol. XVI, pp. 591-597), l'autore tornerà su questo
argomento, concludendo con le parole: "[...] viene a confermarsi la erroneità del principio
ammesso da Einstein, della trasformabilità della materia in energia e viceversa. In
conseguenza, viene a mancare una delle basi fondamentali di entrambe le teorie su ricordate,
come da più anni, per semplici ragioni logiche, io sostengo".
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Quirino Majorana (da non confondersi con il nipote Ettore, noto al grande
pubblico per la sua ancora oggi inspiegata scomparsa nel 1938), nacque a Catania
nel 1871, e morì a Rieti nel 1957. Fu direttore dal 1904 al 1914 dell'Istituto
Superiore dei Telegrafi e Telefoni dello Stato, e quindi professore di Fisica
Sperimentale prima presso il Politecnico di Torino, e in seguito, dal 1921, presso
l'Università di Bologna - dove successe ad Augusto Righi come direttore
dell'Istituto di Fisica di quell'Ateneo. Conseguì notevoli risultati nel campo delle
telecomunicazioni, eseguendo numerose esperienze di radiotelefonia a grande
distanza, dei raggi catodici, dell'effetto Volta, dei fenomeni fotoelettrici, della
modulazione della luce, etc..
L'avversione dell'illustre fisico verso la teoria della relatività appare costante, e
testimoniata anche in diversi altri suoi scritti. In uno di questi ("Gravità, inerzia e
relatività", Rendiconti Accademia Nazionale dei Lincei, Vol. XIV, 1953, pp. 733-
740), l'autore ebbe a lamentarsi nel seguente modo: "Ritengo che la definitiva
conferma dei risultati esposti, possa avere una grande importanza, per il progresso
delle moderne teorie fisiche. Per mio conto, cercherò, ove ne abbia la possibilità, di
conseguire tale scopo, malgrado che gli organi competenti, per ingiustificate
ragioni, non abbiano mai voluto concedermi adeguati mezzi, di lavoro
sperimentale".
L'anno precedente ("Considerazioni sulle forze nucleari", Rendiconti Accademia
Nazionale dei Lincei, Vol. XIII, 1952, pp. 97-103), la recriminazione era stata del
seguente tenore: "Per chiudere questa esposizione, dirò che mi sembra evidente
l'attendibilità di quanto ho esposto nelle precedenti Note ed in questa. Penso che i
relativisti dovrebbero prendere in considerazione il mio punto di vista, decisamente
contrario alla relatività di Einstein. Se il loro silenzio dovesse continuare, mentre io
da anni manifesto il mio pensiero, ciò dovrebbe interpretarsi con l'impossibilità di
dimostrare l'inesattezza dell'insieme delle mie considerazioni. Invece, la serena
discussione, potrebbe chiarificare una questione, che tanta importanza avrebbe per
il progresso della scienza".