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Canto III

Dante dice che Beatrice gli aveva scaldato il cuore e gli aveva mostrato la verità. Dunque per dar a vedere di
essersi corretto dal suo pensiero erroneo, alza la testa per parlare, ma gli apparve una visione che lo attirò
tanto fortemente da fargli dimenticare ciò che doveva dire. Dante infatti vede molte anime dalla forma
ancora assimilabile a quella umana (a differenza delle anime degli altri cerchi) ma dai contorni indefiniti e
caratterizzate dalla presenza di una perla bianca luminosa sulla fronte. Appena nota queste immagini pensa
siano riflesse, dunque si volta indietro ma non scorge nessuno. Dunque si volge verso Beatrice che sorride e
gli dice di non meravigliarsi del sorriso che il suo pensiero infantile le ha causato. Lei dice che Dante non
poggia ancora completamente il suo pensiero sulla verità e dunque lo porta a girare “a vuoto”. Beatrice
quindi gli spiega che quelle che vede sono anime vere che sono relegate in questo cerchio perché nella vita
terrena hanno mancato a prendere i voti. Beatrice gli consiglia dunque di parlare con loro, dato che la luce
della verità che le illumina e le soddisfa non gli consente di allontanarsi da essa (dalla verità). Dante dunque
si rivolge all’anima che sembrava avere maggior desiderio di parlare e con un elogio alla sua condizione
beate gli chiede il nome e la sua “storia”. Prontamente l’anima, con gli occhi sorridenti, gli dice che la loro
carità non chiude le porte al soddisfacimento di un giusto desiderio (così come Dio), dunque inizia a narrare
la sua storia: lei dice di essere stata suora e di chiamarsi Piccarda; aggiunge che il suo nome dovrebbe
risultare familiare a Dante (era sorella dell’amico Forese di Dante e del suo rivale Corso, il capo fazione dei
Guelfi. Piccarda entrò nel convento delle Clarisse ma fu portata via da li e costretta a sposarsi per motivi di
convenienza politica dal fratello Corso). Per questo motivo (inadempimento dei voti) è stata collocata nel
cielo più lento, ovvero quello della luna (condizione che a detta di Piccarda sembra così bassa). A questo
punto Dante dice che in questo luogo le sembianze umane sembrano tramutarsi in qualcosa di divino, per
questo motivo non era riuscito inizialmente a riconoscerla; dunque le chiede se i beati di questo cielo
desiderano mai di avvicinarsi a Dio per contemplarlo meglio passando i luoghi più alti (cieli successivi). Lei
sorrise un po’ insieme con le altre anime e come infiammata dall’amore divino risponde che la forza della
carità placa questo desiderio e non gli fa desiderare altro oltre ciò che possiedono. Aggiunge che se
desiderassero altro, questo loro desiderio sarebbe in disaccordo con la volontà divina, cosa che non avviene
in questi cieli dato che la carità è una condizione necessarie per risiedere qui. Dice inoltre che è proprio
nella natura del beato aderire pienamente alla volontà divina in modo che le volontà di tutti coincidano con
la stessa. In conclusione quindi dice che di cielo in cielo a tutti piace quello nel quale sono collocati, così
come Dio desidera e gli induce a volere; proprio nella volontà divina risiede la pace dei beati, essa è quel
mare verso cui tende tutto ciò che la natura produce. Dante dice che ora gli risulta chiaro come tutti i luoghi
del cielo siano paradiso anche se la grazia divina non colpisce ogni cielo nello stesso modo. Così come
accade se un cibo sazia ma si ha ancora voglia di un altro, riferendosi alla risposta di Piccarda e volendo
sapere sotto quali aspetti non aveva adempiuto pienamente al volere divino, Dante le chiede di chiarirgli
questo suo ultimo dubbio. Lei gli risponde di aver condotto una vita di perfetta adempienza al codice delle
Clarisse che prevede come unico sposo Gesù che accetta ogni voto che la carità rende conforme alla sua
volontà. Aggiunge che seguì questa regola fin da bambina, vestendo l’abito dell’ordine di s. Chiara ma, poi,
come descritto in precedenza, uomini inclini più al male che al bene la rapirono dal convento e solo Dio sa
quale fu poi la sua vita (citando le parole del testo parafrasate). In seguito Piccarda gli presenta un’altra
anima (che si illumina di tutta la luce del cielo in cui si trovano), dicendo che quanto detto di se stessa vale
anche per lei. Aggiunge che anche una volta riportata con la forza nel mondo laico e dunque privata del
velo effettivo, nessuno ha potuto mai privarla del velo che continuò a portare nel cuore. Quest’anima è
Costanza d’Altavilla, che da Enrico VI generò Federico II: ultimo imperatore svevo. Detto questo inizia a
recitare l’ave Maria e cantando sparì come immergendosi in un’acqua scura e profonda. L’occhio di Dante,
che la seguì finchè possibile, una volta svanita cadde sull’oggetto di maggior desiderio, ovvero Beatrice, ma
lei risplendeva così tanto che il suo viso non sostenne tale splendore e lo rallentò nel porre la sua domanda.

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