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Terapia fotopolimerizzante: Una nuova possibilità per bloccare l'evoluzione del cheratocono.
Il cross linking è una nuova metodica mini-invasiva per migliorare la stabilità biomeccanica e
biochimica della cornea di pazienti affetti da cheratocono. Il suo meccanismo di azione è quello di
andare a creare nuovi legami chimici tra le fibre collagene provocando un aumento della rigidità e
resistenza corneale tramite la fotopolimerizzazione del collagene, andando a mimare quello che
accade fisiologicamente con l'avanzare dell'età. La metodica consiste nel praticare una
disepitelizzazione manuale della cornea di 6-8 mm, poi instillare una soluzione di Riboflavina allo
0,1 % in 20 % di Destrano ogni 3 minuti per 30 minuti ed andare ad irradiare con raggi UV per 30
minuti (365nm, 3mW/cm2). I pazienti che possono essere sottoposti al cross linking devono avere
una pachimetria (spessore corneale) superiore ai 400 micron, un'età compresa tra i 16 e i 35 anni, un
cheratocono allo stadio 1 o 2 e aver subito un peggioramento clinico e strumentale negli ultimi 6-12
mesi. Come già detto il cross linking non "guarisce" dal cheratocono, ma stabilizza l'avanzamento
della malattia.
Interventi cataratta:
FEMTOCATARATTA
Con il nome di femtocataratta si indica una tecnica innovativa di microchirurgia della cataratta con
laser a femtosecondi senza l’uso del bisturi. Il laser a femtosecondi rappresenta l’ultima e più
evoluta tecnologia laser utilizzata nella microchirurgia oculare. Gli straordinari risultati sono stati
possibili per le caratteristiche assolutamente innovative di questa tecnologia che rispetto a quella
tradizionale non prevede l’impiego del bisturi comportando un minor trauma per i tessuti oculari e
garantendo una guarigione più rapida. La modalità di azione del femtolaser sui tessuti realizza in
rapida sequenza migliaia di impulsi l’uno vicino all’altro determinando precisissime geometrie di
forma e taglio. Il laser causa all’interno dei tessuti una microesplosione con formazione di piccole
bolle d’aria che agiscono come una lama gestita da una sofisticata tecnologia computerizzata che
permette di adattare la tecnica ad ogni singolo caso con estrema precisione e sicurezza.
Il laser a femtosecondi semplifica e rende più sicuro l’intervento agendo in varie fasi
dell’operazione:
– permette di eseguire il taglio corneale monitorando la sua estensione e profondità;
– consente il taglio dell’involucro anteriore (capsulotomia) per il raggiungimento della porzione
centrale dura della cataratta (nucleo);
– consente di frantumare la cataratta per la successiva aspirazione.
La fase della frantumazione laser è vantaggiosa soprattutto nelle cataratte dure nelle quali la
procedura di emulsifcazione del cristallino con ultrasuoni può presentare maggiori rischi di lesioni
delle strutture vicine. Conclusa l’applicazione del laser, il chirurgo asporta il materiale già
frammentato ed impianta il cristallino artificiale, terminando l’intervento.
Il laser a femtosecondi consente un’accuratezza non raggiungibile dalla mano umana. L’apertura
circolare della capsula, ad esempio, risulta perfettamente rotonda e centrata; questo fattore
risulta molto importante nella fase post-operatoria, poiché permette una migliore centratura del
cristallino artificiale.
Ne risulta un intervento più preciso di quanto ottenibile con i sistemi precedenti. L’occhio operato
con il laser, inoltre, presenta condizioni ideali per ricevere cristallini artificiali ad ottica complessa,
adatti a correggere difetti visivi quali astigmatismo e presbiopia. La procedura laser è
assolutamente indolore e viene eseguita in meno di 2 minuti ed il decorso post operatorio non
prevede bendaggio o punti di sutura. Il trattamento con laser a femtosecondi non deve mai
banalizzare l’importanza di questo tipo di chirurgia.
È sempre fondamentale la selezione pre-operatoria del paziente attraverso accurati esami
strumentali, oltre che ovviamente la serietà ed esperienza del chirurgo oculista che deve essere
specializzato in questo tipo di intervento.
I costi dell’apparecchiatura, il training e l’alta specialità che i chirurghi devono avere ne limitano il
suo utilizzo a pochissimi centri privati in Italia.
La chirurgia moderna della cataratta può anche risolvere i difetti di vista pre-esistenti? Risponde
il Dr. Alberto Bellone:
INTERVENTO CHIRURGICO
La rimozione della cataratta, cioè l’estrazione del cristallino opacato, può essere eseguita con tre
tecniche diverse: l’intervento intracapsulare, l’intervento extracapsulare e la
facoemulsificazione. Queste tecniche prevedono due fasi: l’estrazione del cristallino opaco e la sua
sostituzione con un cristallino artificiale di materiale plastico, detto lente intraoculare.
INTERVENTO INTRACAPSULARE
Tecnica usata raramente, con la quale si estrae il cristallino in toto compresa la capsula. Questo
intervento richiede una incisione ampia e l’applicazione di numerosi punti di sutura. In questo caso
l’eventuale lente artificiale può venire posta davanti all’iride.
fig. 7 – Nell’intervento intracapsulare il cristallino è rimosso insieme alla capsula. Una lente
intraoculare è impiantata al suo posto davanti all’iride.
INTERVENTO EXTRACAPSULARE
Attraverso un’incisione di 6-12 mm si asporta dapprima l’involucro anteriore e successivamente il
nucleo centrale duro del cristallino in un unico pezzo. In seguito viene aspirata la parte morbida
(corteccia) che circondava il nucleo, fino a lasciare soltanto la capsula posteriore del cristallino: su
questa appoggerà la lente intraoculare rigida.
fig. 8b – Nell’intervento extracapsulare il nucleo opacizzato del cristallino è rimosso (fig.8a) la
porzione esterna è lasciata e all’interno si inserisce una lente intraoculare (fig.8b)
INTERVENTO FACOEMULSIFICAZIONE
fig. 9 – L’impianto del cristallino artificiale fa recuperare rapidamente la messa a fuoco e la
percezione dei colori.
La facoemulsificazione, che impiega ultrasuoni per rimuovere il cristallino opaco, è certamente la
tecnica più sicura oggi conosciuta per l’intervento di cataratta. Si tratta di una metodica poco
invasiva che riduce al massimo i tempi di intervento, non richiede punti di sutura ed ha permesso
l’utilizzo dell’anestesia topica, cioè la somministrazione di un collirio anestetico
nell’occhio. L’operazione è fatta ambulatorialmente, cioè senza necessità di ricovero; consente
una rapida guarigione e un precoce recupero visivo. Attraverso un’incisione inferiore ai 3 mm è
creata un’apertura sulla capsula anteriore del cristallino. La sonda a ultrasuoni frammenta la parte
centrale della lente che può così essere aspirato ed eliminato. Un’altra sonda è poi introdotta,
attraverso la stessa piccolissima incisione, per aspirare la parte periferica morbida.
La porzione anteriore e posteriore della capsula resta intatta e nella sua sede originale, formando
una sacca che accoglierà la lente artificiale pieghevole. In alternativa può essere inserita una lente
intraoculare rigida ampliando l’incisione .L’utilizzo della facoemulsificazione e l’inserimento del
cristallino dentro la “sacca capsulare” rendono l’operazione particolarmente precisa e sicura. Ciò
non significa che si tratti di un intervento semplice: al contrario esso richiede notevoli abilità ed
esperienza unite alla padronanza di apparecchiature sofisticate.
(fig. 10a) – La sonda ad ultrasuoni sbriciola il cristallino.(fig. 10c) – Nella capsula ora vuota si
impianta una lente intraoculare.
L’anestesia topica
L’utilizzo della anestesia topica con gocce di collirio anestetico ha aumentato il comfort del
paziente eliminando i fastidi dovuti all’anestesia locale e rendendo possibile il recupero immediato
delle funzioni visive dopo l’intervento (non è necessario bendare l’occhio). Va ricordato che il
chirurgo opera su un organo completamente sveglio e reattivo, per cui il paziente deve essere
collaborante durante l’intervento.
(fig. 11a) – Cristallino artificiale morbido(fig. 11b) – La lente artificiale posizionata nel “cartridge”.
(fig. 11c) – Posizionamento del cristallino nella sacca capsulare.
Il cristallino artificiale (IOL)
È una lente intraoculare artificiale di materiale plastico e di piccole dimensioni. È inserita dal
chirurgo dopo la rimozione della cataratta. È ben tollerata dall’organismo e non dà luogo a
fenomeni di rigetto. Il materiale inalterabile e di lunga durata la rende utilizzabile anche in pazienti
giovani. Il cristallino artificiale può essere rigido o morbido. È preferito quello morbido perchè
inseribile attraverso una incisione più piccola. Sono disponibili cristallini multifocali che
permettono la messa a fuoco a varie distanze e sfruttano il movimento dei muscoli ciliari. Il
paziente può eliminare del tutto o quasi sia l’occhiale per lontano che quello per vicino.
fig. 12a – Lente artificiale multifocale in movimento nel processo di accomodazione.fig. 12b –
Lente artificiale multifocale in movimento nel processo di accomodazione.
Irite:
La causa di irite è spesso sconosciuta. Ma a volte, le cause sono date da una condizione di base o un
fattore genetico.
L’irite è una condizione grave che, se non curata, potrebbe portare a glaucoma o cecità. Se si hanno
sintomi di irite, consultare il medico il più presto possibile per la valutazione e il trattamento.
Sintomi
Arrossamento degli occhi, spesso visto come un colore rosa blu nel bianco dell’occhio
(sclera) intorno all’iride
Quando i sintomi di irite si sviluppano improvvisamente, nel giro di ore o giorni, questa viene
indicato come irite acuta. I sintomi che si sviluppano gradualmente o che durano più di sei
settimane indicano l’irite cronica.
Vedere un oculista il più presto possibile se si hanno sintomi di irite. Un tempestivo trattamento
aiuta a prevenire le gravi complicanze della malattia.
Cause
Spesso, la causa di irite non può essere determinata. In alcuni casi, tuttavia, l’irite può essere
collegata a traumi oculari, fattori genetici o certe malattie. Cause note di irite sono:
Infezioni. L’herpes zoster,comunemente noto come fuoco di Sant’Antonio può causare irite.
Altre malattie infettive, come la toxoplasmosi, istoplasmosi, la tubercolosi e la sifilide,
possono essere collegate ad altri tipi di uveite.
Malattia di Behçet. Una causa rara di irite acuta nei paesi occidentali, caratterizzata da
problemi articolari, dolori alla bocca e lesioni genitali.
Artrite reumatoide giovanile. L’irite cronica può svilupparsi nei bambini con artrite
reumatoide giovanile.
Uveite posteriore. Una infiammazione nella parte posteriore dell’occhio (uveite posteriore)
può avere un effetto di ricaduta sulle parti del uvea nella parte anteriore dell’occhio.
Fattori di rischio
Si ha una specifica alterazione genetica. Le persone con HLA-B27, hanno più probabilità di
sviluppare irite.
Si Sviluppa una infezione a trasmissione sessuale (STI), perché le infezioni come la sifilide
o virus dell’immunodeficienza umana (HIV) sono collegati con un aumento significativo del
rischio di irite.
Complicazioni
Glaucoma. L’irite ricorrente può causare glaucoma, una grave patologia oculare
caratterizzata da aumento della pressione all’interno dell’occhio (intraoculare) e perdita
della vista.
Depositi di calcio sulla cornea. Questa condizione nella degenerazione della cornea
potrebbe ridurre la visione.
Gonfiore all’interno della retina (edema maculare cistoide). Cisti Gonfie e piene di liquido si
sviluppano nella retina sul fondo dell’occhio (retina maculare).
Diagnosi
Prima di diagnosticare l’irite, l’oculista effettuerà un esame completo degli occhi, tra cui:
Esame esterno. Durante un esame esterno, il medico può utilizzare una luce per guardare il
tipo di arrossamento nell’occhio.
L’acuità visiva.
Lampada a fessura. Usando un microscopio speciale con una luce su di esso, l’oculista vista
l’interno dell’ occhio alla ricerca di segni di irite, compresa la presenza di globuli bianchi o
depositi di proteine sfumati (flare).
Test del glaucoma. Durante questo esame, viene misurata la pressione intraoculare. Una
pressione intraoculare elevata indica un possibile glaucoma.
Se l’oculista sospetta che una malattia o condizione stia causando l’irite, può lavorare a
stretto contatto con altri medici per individuare la causa sottostante. In questo caso, ulteriori
prove possono includere esami del sangue o raggi-X per identificare o escludere cause
specifiche.
Trattamenti e cure
Gli obiettivi principali nel trattamento dell’irite servono a garantire la visione e ad alleviare il dolore
associato con la patologia.
Dilatatori pupillari. I cicloplegici sono farmaci che dilatano la pupilla. Dati come collirio,
possono ridurre il dolore associato con l’irite.
Lo sviluppo della malattia è cosi graduale che il solo sintomo che si presenta nei primi stadi è troppo
lieve per essere rilevato. Si tratta della perdita di una piccola area del campo visivo esterno di ciascun
occhio, causata dalla pressione nel globo oculare che danneggia le fibre del nervo ottico.
Gradatamente, si perdono altre zone del campo visivo esterno, l'area complessiva delle macchie cieche
aumenta e le macchie stesse confluiscono. A un determinato stadio di questo processo, vi rendete
conto che il campo visivo non è più cosi grande come lo era in origine. Se si permette alla malattia di
progredire senza alcun controllo, l'intero campo visivo esterno è perduto in entrambi gli occhi; poi, la
capacità di ciascun occhio di guardare diritto davanti a sé diminuisce fino a quando entrambi gli occhi
diventano totalmente ciechi.
Poiché la capacità visiva persa durante la malattia non può più essere recuperata, più rapidamente vi
sottoponete a un trattamento,meglio è non aspettate che la vostra vista sia peggiorata
considerevolmente per andare dal medico.
Dal momento che non c'è modo, per coloro che sono sofferenti di glaucoma ai primi stadi, di sapere se
ne sono affetti o meno, è consigliabile che ciascun individuo adulto si sottoponga a un regolare esame
agli occhi almeno una volta ogni due anni . Se avete un parente stretto che ha sofferto di glaucoma
cronico semplice, dovete farvi visitare da uno specialista almeno una volta l'anno. Prima di farlo,
chiedete al vostro medico se nella vostra zona esistono centri specializzati per la diagnosi precoce
della malattia. Se il medico della clinica specialistica sospetta la presenza di un glaucoma, vi invierà da
un oculista. Costui esaminerà il disco ottico situato posteriormente alla retina che, nel glaucoma cronico
semplice, ha un aspetto escavato.
Qual è il trattamento?
Il trattamento consiste nel tentativo di ridurre la pressione all'interno del globo oculare. Vi saranno
somministrate gocce oftalmiche per aprire la rete di tessuto nell'angolo camerulare o per ridurre la
produzione di umore acqueo. Allo stesso scopo vengono somministrate anche compresse e capsule.
Tutti i farmaci generalmente devono esseri1 presi per tutta la vita, e avrete anche bisogno per tutta la
vita di controlli ripetuti. L'assunzione dei farmaci diventa ben presto parte della routine quotidiana, e in
questo senso protegge da eventuali dimenticanze, in modo da impedire ulteriori perdite della
funzionalità visiva. Se i farmaci non riescono a ridurre la pressione dell'occhio in modo sufficiente , lo
specialista vi raccomanderà un intervento di drenaggio del glaucoma.
Muscolo ciliare
Massa di muscolatura liscia che forma la struttura del corpo ciliare dell’occhio e consta di tre
porzioni, attaccate principalmente alla sporgenza della sclera dalla quale poi corrono nelle diverse
direzioni. Tali parti rappresentano le fibre longitudinali più esterne (dette anche fibre longitudinali o
meridionali, muscolatura di Brücke oppure muscolo tensore coroideo); le fibre circolari più interne
(dette anche fibre circolari, muscolo di Rouget oppure muscolo di Müller) e le fibre radiali
intermedie (dette anche fibre radiali). Il muscolo ciliare è innervato dai nervi brevi ciliari e la sua
azione consiste nel cambiamento di forma del cristallino nel processo dell’accomodazione.Viene
detto anche muscolo di Bowman e muscolo di Riolano.
Coroidite
Infiammazione della coroide (membrana dell’occhio situata tra la retina e la sclera).
CauseLa causa più frequente di coroidite è la toxoplasmosi, malattia trasmessa dalla madre durante
la vita intrauterina.
La coroidite può anche essere provocata dalla malattia di Behçet, dalla toxocariosi, dalla
pseudoistoplasmosi e dall’uveomeningite.
Sintomi e segni
Si manifesta essenzialmente con una diminuzione dell’acuità visiva, senza arrossamento né dolore
oculare. Talvolta si tratta di una semplice velatura, che disturba soprattutto la visione da lontano,
accompagnata dalla percezione di opacità che si spostano in relazione ai movimenti del globo
oculare. Una diminuzione più importante dell’acuità visiva e un’alterazione della visione da vicino
possono significare una lesione della macula (polo posteriore dell’occhio, sulla retina). In alcuni
casi non si ha diminuzione dell’acuità visiva e il paziente segnala la percezione di una macchia più
scura, che non segue i movimenti del globo oculare. Infine, quando è conseguenza di una
toxoplasmosi congenita, la coroidite spesso non si manifesta alla nascita: un focolaio (zona
infiammatoria limitata) corioretinico appare solo con la pubertà.
Diagnosi ed evoluzione
La diagnosi si basa sull’esame del fondo dell’occhio. Anche il dosaggio degli anticorpi anti-
toxoplasma nell’umore acqueo, molto più abbondanti che nel siero, permette di identificare la
coroidite dovuta a toxoplasmosi. Un focolaio coroideo è una macchia biancastra, dai bordi
irregolari, circondata da un edema retinico. Nel corso dell’evoluzione il focolaio si appiattisce,
l’edema si riassorbe e la lesione lascia il posto a una cicatrice atrofica e pigmentata. La gravità della
malattia dipende dal danno subito dalla macula: se quest’ultima è coinvolta, la diminuzione
dell’acuità visiva è immediata e irreversibile. L’esame del fondo dell’occhio può mettere in
evidenza altre anomalie concomitanti: una ialite (infiammazione del corpo vitreo), un distacco della
retina imputabile a edema retinico o una vasculite retinica.
Trattamento
È rivolto innanzitutto alla malattia responsabile della coroidite. Quindi, nel quadro di una
toxoplasmosi, il trattamento deve essere preceduto dalla somministrazione di antiparassitari. In
seguito, si possono utilizzare corticosteroidi antinfiammatori in forti dosi.
maxillo
decorso trigemino:
La componente sensitiva consta di tre nuclei: Nucleo della radice discendente del N.
Trigemino (colonnina di sostanza grigia che giunge fino ai primi segmenti cervicali del
midollo spinale), Nucleo Sensitivo (o principale) del N. Trigemino, Nucleo Mesencefalico
del N. Trigemino. Il primo porterà una sensibilità Protopatica, Tattile, Dolorifica e Termica
del collo e della testa; il secondo, porterà una sensibilità Epicritica del collo e della testa; il
terzo una sensibilità propriocettiva dei muscoli masticatori. Tutti dunque raccolgono stimoli
riguardanti la sensibilità esterocettiva e propriocettiva della testa, faccia, meningi, denti e
lingua, ventre anteriore del muscolo digastrico, il muscolo tensore del velo palatino e
tensore dell'ugola e il muscolo miloioideo.
Il Gasser dà origine alle tre branche trigeminali, il nervo oftalmico (V1), il nervo mascellare (V2) e
il nervo mandibolare (V3). In realtà già all'interno del cavo del Meckel le fibre della radice del
trigemino si dividono nelle tre branche, per tal motivo il Gasser dovrebbe essere considerato
l'insieme di tre gangli distinti.
Nucleo masticatorio
Il nucleo masticatorio rappresenta l'origine della componente motrice somatica della piccola radice.
È posizionato ventralmente, in rapporto con il locus coeruleus del pavimento del IV ventricolo
cerebrale.
Decorso
Il nervo trigemino emerge dalla faccia anteriore del ponte (origine apparente), lateralmente, vicino
al peduncolo cerebellare medio. La radice sensitiva è più voluminosa e appiattita ed è posta
lateralmente; la radice motrice, piccola e cilindrica, si pone medialmente. Le due radici, dirette in
avanti e in alto, superano l'apice della rocca petrosa dell'osso temporale, perforano la dura madre ed
entrano nella cavità del Meckel della dura madre. La radice sensitiva penetra nella concavità della
faccia posteriore mentre la radice motrice, passando al di sotto del ganglio medesimo, si unisce alla
terza branca trigeminale.
Differenza tra proptosi e esoftalmo: È una condizione in cui l’occhio (bulbo oculare) diventa
sporgente rispetto alla sua normale posizione (ossia protrude). L’esoftalmo si distingue dalla proptosi
(quando il bulbo è spinto in avanti e in basso); quest’ultima interessa, perlopiù, un solo occhio ed è causata
generalmente da processi proliferativi all’interno dell’orbita (ad esempio, da tumori).
Esiste, inoltre, uno “pseudoesoftalmo” caratterizzato da una protrusione del bulbo, causato dall’aumento
della lunghezza del bulbo stesso; per esempio nella miopia elevata, nel glaucoma congenito con buftalmo
(occhio grande sporgente) oppure dopo numerosi interventi di indebolimento dei muscoli dell’occhio,
sempre finalizzati alla correzione dello strabismo
Sincinesie: le sincinesie sono un possibile esito della paralisi del nervo facciale, in questi casi la
contrazione di un muscolo interessato precedentemente dalla paralisi può causare la contrazione di uno o
più muscoli vicini. Questo si verifica a causa di una non perfetta rigenerazione e direzione delle fibre,
pertanto possono manifestarsi le cosiddette sincinesie che poi sono le contrazioni che Lei descrive molto
bene.
Se il problema è lieve è sufficiente imparare a convivere con questo disturbo, altrimenti l'utilizzo della
tossina botulinica, presso professionisti seri ed esperti del settore, è al momento l'opzione preferibile.
Disgiunzione intermascellare: La rima di frattura in questo caso segue una linea mediana che
parte dalla spina nasale anteriore lungo la linea intermascellare per giungere alla spina nasale posteriore.
Otorinolaringoiatria
Otite Catarrale
L'otite catarrale è una condizione patologica che deriva dall'infiammazione dell'orecchio medio.
Quest'affezione è di frequente riscontro in età pediatrica, ma può interessare anche gli adulti.L'otite
catarrale è caratterizzata dall'aumentata secrezione di muco a livello auricolare (catarro tubarico).
il processo alla base della patologia può dipendere da svariate cause. Nella maggior parte dei casi,
l'otite catarrale rappresenta una complicanza di patologie delle alte vie respiratorie, non trattate
in maniera adeguata (es. raffreddore, influenza, faringite ecc.). La valutazione medica si avvale
della visione diretta del condotto uditivo e della membrana del timpano (otoscopia) e
dell'esecuzione di esami strumentali (audiometria e timpanometria) che confermano la presenza di
catarro. Il trattamento varia in base al tipo di processo che ha generato l'otite catarrale.
Cos’è
L'otite media catarrale (anche detta effusiva) è un processo infiammatorio che si sviluppa nella
regione posta tra la membrana del timpano e le strutture dell'orecchio interno. La fascia di età
maggiormente colpita dall'otite catarrale è quella pediatrica (ma vengono comunemente riportati dei
casi di malattia anche in soggetti adulti). Questa forma di congestione è caratterizzata da eccesso di
muco, rossore ed elevato afflusso di sangue a livello della membrana del timpano. L'otite catarrale
può essere confinata ad un solo orecchio (monolaterale) o estendersi ad entrambe (bilaterale).
Cos'è il catarro?
Cause
Nella maggior parte dei casi, l'otite catarrale rappresenta una complicanza di patologie della gola e
delle alte vie respiratorie, non trattate in maniera adeguata, come:
Allergie (reazione eccessiva o anomala del sistema immunitario nei confronti di sostanze
innocue come polveri, piante, animali, cibi ecc.);
Malformazioni congenite;
Ipertrofia adenoidea e tonsillite (soprattutto nei bambini);
Rottura del timpano;
Colesteatoma;
Reflusso gastro-esofageo;
Cancro del condotto uditivo;
Tumore della rinofaringe.
Al di là del quadro specifico con cui si presentano, tutte queste patologie agiscono con lo stesso
meccanismo, ossia l'infiammazione dell'orecchio medio.
Fattori di rischio
Spesso, l'otite catarrale è sostenuta da fattori soggettivi (età, stato immunitario ecc.) e locali (come
ipertrofia adenoidea, struttura della tuba di Eustachio o malformazioni del palato).
Variazioni stagionali: l'otite catarrale tende ad avere una maggiore incidenza in determinati
periodi dell'anno. In particolare, il disturbo è più frequente nei mesi invernali, durante i quali
l'organismo è più vulnerabile, per via delle basse temperature ed il maggiore rischio di
incorrere in colpi d'aria. Inoltre, le temperature più rigide tendono ad indebolire le difese
immunitarie: virus e batteri passano più facilmente dalla gola all'orecchio, attraverso le
trombe di Eustachio.
Infanzia: l'otite catarrale si verifica soprattutto per motivi anatomici. Nei bambini di età
inferiore ai 2 anni, infatti, la tromba di Eustachio è più sottile e corta rispetto a quella
dell'adulto, oltre ad avere un'inclinazione non ancora definitiva; l'insieme di queste
caratteristiche rende più difficoltoso il deflusso del muco dall'orecchio medio alla
rinofaringe. Durante l'infanzia, inoltre, il sistema immunitario è ancora in via di formazione:
ciò rende il bambino più suscettibile a contrarre infezioni. La conformazione anatomica
dell'orecchio predispone allo sviluppo di processi infiammatori anche per la concomitante
tendenza all'ipertrofia delle adenoidi (correlata alle infezioni ricorrenti), in grado di
favorire l'occlusione del punto di sbocco del condotto di Eustachio.
Esposizione al fumo attivo o passivo: può essere annoverato tra i fattori che predispongono
all'insorgenza dell'otite catarrale per la sua intrinseca capacità irritante e lesiva sull'apparato
uditivo. La nicotina agisce, poi, stimolando una maggiore produzione di catarro tubarico.
Sintomi e Complicazioni
L'otite catarrale si manifesta tipicamente con:
Catarro nelle orecchie;
Ovattamento dei rumori o senso di rimbombo avvertito mentre si parla (autofonia);
Sensazione di pienezza auricolare (orecchie tappate o intasate);
Secrezione dal condotto uditivo esterno di muco denso (nel caso in cui la membrana
timpanica sia rotta o permeabile);
Arrossamento dell'orecchio colpito o incremento della sua temperatura.
Percezione del proprio battito cardiaco a livello dell'orecchio.
In base alla causa scatenante, l'otite catarrale può accompagnarsi a svariati altri sintomi, tra cui:
Nella maggior parte dei casi, l'otite catarrale non è quasi mai di grave entità e può regredire
totalmente. In una ridotta percentuale di casi, però, se la patologia causale è particolarmente grave,
esiste il rischio di incorrere in una riduzione della capacità uditiva permanente.
Diagnosi
La valutazione dell'otite catarrale può essere effettuata inizialmente dal proprio medico di base.
Qualora lo ritenesse necessario, egli può consigliare al paziente di sottoporsi ad una visita
otorinolaringoiatrica, che prevede la raccolta dell'anamnesi del paziente e l'esame obiettivo.
La diagnosi dell'otite catarrale si avvale della visione diretta del condotto uditivo (otoscopia) per
evidenziare l'arrossamento della membrana del timpano, l'aumento di temperatura locale o
l'eventuale secrezione di muco; le aree limitrofe possono essere palpate per verificarne la
dolorabilità.
Nel corso della visita, inoltre, l'otorinolaringoiatra deve ricercare i sintomi suggestivi delle possibili
cause, compresi l'otalgia e l'arrossamento del timpano (otite); la febbre ed il dolore facciale
(sinusite); lacrimazione, prurito agli occhi (allergie) e mal di gola, malessere generale, febbre e
tosse (infezione virale delle alte vie respiratorie).
Nei casi più complessi, potrebbe essere indicata l'esecuzione di altre indagini, come l'esame
impedenzometrico, il cui scopo è di valutare l'elasticità della membrana timpanica ed il grado di
movimento degli ossicini interni (martello, incudine e staffa).
Il medico può decidere di ricorrere ad altre indagini, come l'audiometria per evidenziare eventuali
alterazioni dell'udito o il timpanogramma, che permette di misurare la pressione a livello della
camera media dell'orecchio.
Terapia
Il trattamento è diretto alla causa scatenante, quindi varia in base al tipo di processo che ha generato
l'otite catarrale.
Una volta gestito il problema di base, è possibile procedere con la rimozione fisica del catarro
dall'orecchio. A tale scopo, il paziente può sottoporsi all'inalazione di vapore per fluidificare il
muco e rendere più facile l'espulsione dello stesso.
Su indicazione del medico, per agevolare il drenaggio del catarro e liberare l'orecchio medio e la
tromba di Eustachio, è possibile il ricorso a decongestionanti nasali e/o dell'orecchio, terapia
aerosolica con mucolitici, FANS o cortisonici (antinfiammatori).
Nei casi di fallimento di tutte le opzioni mediche, può essere considerato un approccio chirurgico.
Negli adulti, per consentire l'eliminazione del catarro ristagnante, può essere applicato un
microdrenaggio nella cavità timpanica. Nei bambini soggetti a infezioni ricorrenti, può essere
indicata l'adenotomia, talvolta associata ad una tonsillectomia, in caso di evidente ipertrofia
adenoidea.
Tumore tonsillare
Meglio conosciuto come carcinoma tonsillare, è un tumore ha molti sintomi in comune con altre
tipologie di carcinoma della bocca. Si sviluppa nella parte posteriore della gola e può interessare
una o entrambe le tonsille.
Origine
L’origine (così come il 75% dei tumori di collo e testa) va individuata nell’abuso di alcool, nel
consumo eccessivo di tabacco, nella cattiva igiene del cavo orale; alcuni recenti studi clinici hanno
dimostrato una stretta correlazione tra tumore delle tonsille e Papillomavirus.
Come si manifesta
Come si accerta
L’indagine diagnostica si effettua in più fasi e a seconda dei casi: esame obiettivo del collo
attraverso palpazione, ecografia, laringoscopia, radiografia del torace, Tac, Risonanza Magnetica,
PET, analisi di laboratorio (sangue e urine).
Le Strutture Sanitarie che accertano o curano questa patologia
Generalità vertigini
Le vertigini sono un sintomo in presenza del quale chi ne è vittima ha l'impressione che l'ambiente
circostante si muova o ruoti tutt'attorno.
A provocare le vertigini può essere un problema dell'apparato vestibolare dell'orecchio interno
(vertigini periferiche), oppure un problema con sede nell'encefalo (vertigini centrali).
La più comune causa di vertigini è la condizione nota come vertigine parossistica posizionale
benigna (VPPB). La VPPB è un disturbo dell'apparato vestibolare.
Spesso, chi soffre di vertigini lamenta anche altri sintomi, tra cui: nausea, vomito, perdita di
equilibrio, nistagmo, sudorazione e/o perdita dell'udito.
Per poter trattare correttamente le vertigini, è fondamentale, in corso di diagnosi, identificare le
precise cause scatenanti.
Cosa sono le vertigini?
Le vertigini sono un sintomo per cui chi ne è vittima ha la sensazione che l'ambiente attorno a lui si
muova o ruoti.
Il termine "vertigini" deriva dal verbo latino "verto", che in italiano significa "girare" o "ruotare su
sé stessi".
Cause
Le vertigini possono insorgere a seguito di un problema all'apparato vestibolare dell'orecchio
interno, oppure a causa di un problema che interessa l'encefalo.
Le vertigini derivanti da un'alterazione dell'apparato vestibolare – che è l'organo dell'equilibrio –
prendono il nome di vertigini periferiche.
Le vertigini che, invece, derivano da un problema dell'encefalo – per la precisione, o del cervelletto
o del tronco encefalico – sono meglio conosciute come vertigini centrali.
L'emicrania.
È una condizione patologica caratterizzata da cefalee unilaterali (cioè su un solo lato della
testa), che tendono a un peggioramento e sono in grado di provocare dolore intenso e
pulsante.
La sclerosi multipla.
È una malattia cronica e invalidante, che insorge per effetto di una degradazione progressiva
delle cellule nervose (i neuroni) del sistema nervoso centrale.
Il neurinoma acustico (o Schwannoma vestibolare).
È un tumore al cervello di tipo benigno, che colpisce le cellule di Schwann dell'VIII nervo
cranico (o nervo vestibolococleare). L'VIII nervo cranico è un nervo sensoriale che controlla
udito ed equilibrio.
I tumori al cervello, con sede nel cervelletto (tumori del cervelletto).
Il cervelletto è una delle quattro regioni che costituiscono l'encefalo. Il suo compito è
coordinare i movimenti del corpo.
Un episodio di ictus o TIA.
Il termine ictus e i suoi numerosi sinonimi – tra cui colpo apoplettico, infarto cerebrale e
stroke – indicano un'interruzione o una forte riduzione dei rifornimenti di sangue diretti a
un'area dell'encefalo. Questa mancanza di adeguati rifornimenti sanguigni comporta la morte
progressiva della regione di encefalo interessata.
Un TIA, o attacco ischemico transitorio, è un ictus caratterizzato da un'interruzione
temporanea dei rifornimenti di sangue.
L'assunzione di certi tipi di farmaci.
In queste circostanze, le vertigini rappresentano un possibile effetto avverso derivante
dall'assunzione.
Sintomi associati
Spesso, alle vertigini si associano diversi altri sintomi, tra cui:
Perdita di equilibrio
Nausea
Mal di testa
Sudorazione
Nistagmo
Tinnito (o acufeni)
Perdita dell'udito
Senso di malessere generale
DURATA
Le vertigini e i sintomi associati hanno durata variabile da paziente a paziente: in alcuni soggetti,
possono svanire dopo qualche secondo/minuto; in altri, invece, possono protrarsi anche per diverse
ore, se non addirittura giorni.
Sulla durata delle vertigini e delle manifestazioni d'accompagnamento incide, generalmente, il tipo
di cause scatenanti.
COME COMPAIONO?
Poiché la vertigine parossistica posizionale benigna è la più comune causa di vertigini, vale la pena
ricordare quali sono gli altri sintomi caratteristici di questa particolare condizione medica:
Nausea;
Perdita di equilibrio;
Nistagmo e altri disturbi della vista. La presenza di nistagmo in un individuo è spesso indice
di un problema a livello dell'organo dell'equilibrio;
Vomito (raramente);
Presincope o sincope (raramente).
Diagnosi
Quando sono alle prese con un individuo che lamenta vertigini, i medici procedono in genere nel
seguente modo: per prima cosa, sottopongono il presunto paziente a un breve questionario;
dopodiché eseguono un accurato esame obiettivo e analizzano attentamente la storia clinica
(anamnesi); infine, in base al quadro sintomatologico e a ciò che è emerso dalle valutazioni
precedenti, prescrivono esami più approfonditi.
QUESTIONARIO
ESAME OBIETTIVO
L'esame obiettivo rappresenta il primo passo verso l'individuazione della condizione che scatena gli
episodi di vertigini.
Nell'eseguirlo, il medico visita il paziente, valutando la sintomatologia.
L'analisi interna delle orecchie e le prove per il nistagmo sono due punti cardine dell'esame
obiettivo.
ESAMI DI APPROFONDIMENTO
Con la prescrizione di esami più approfonditi, i medici sono spesso in grado di risalire alle cause
delle vertigini.
La conoscenza dei fattori scatenanti permette di pianificare la terapia più adeguata al caso in
questione.
Tra gli esami d'approfondimento, rientrano:
Svariati test dell'udito (o test audiometrici). Chiariscono se il paziente soffre di tinnito e/o
perdita dell'udito.
La videonistagmografia e l'elettronistagmografia. Sono due esami per l'analisi dettagliata
dei segni di nistagmo. Entrambi prevedono che il paziente indossi dei particolari occhiali e
osservi degli oggetti in movimento.
Le prove termiche per l'orecchio. Prevedono l'introduzione nell'orecchio del paziente di
soluzioni calde o fredde (o, in alternativa, di aria calda o fredda), allo scopo di vedere come i
cambi di temperatura influiscono sull'organo dell'equilibrio, situato a livello dell'orecchio
interno.
Sono test indolori, che però provocano giramenti di testa.
In genere, l'introduzione nell'orecchio delle soluzioni calde o fredde (o dell'aria) dura circa
30 secondi.
Un esame posturografico. Prevede l'utilizzo di un macchinario particolare che valuta le
capacità di equilibrio del paziente, fornendo informazioni utili in merito a visione,
propriocezione ecc.
Esami di diagnostica per immagini. In genere, i più praticati sono la TAC e la risonanza
magnetica nucleare (RMN). TAC e RMN sono procedure indolori, che forniscono al medico
immagini dettagliate degli organi e dei tessuti interni del corpo umano.
Diversamente dalla RMN, la TAC è lievemente invasiva, in quanto espone il paziente a una
dose non trascurabile di radiazioni ionizzanti.
Trattamento
Il trattamento delle vertigini dipende dalle cause scatenanti e dalla severità dei sintomi.
LABIRINTITE
Per la labirintite virale non esistono trattamenti particolari; in questi frangenti, l'unica indicazione
medica consiste nello stare a riposo, in attesa che l'infezione guarisca spontaneamente.
Diverso invece è il caso della labirintite batterica: questa condizione richiede la somministrazioni di
antibiotici. Per approfondire: Farmaci per la cura della Labirintite.
In tutte quelle circostanze in cui la labirintite ha pregiudicato le capacità uditive, è raccomandabile
rivolgersi a un esperto in malattie dell'orecchio e disturbi dell'udito, per ricevere le cure più
adeguate al caso.
Alcune forme di labirintite richiedono il ricorso a un trattamento noto come riabilitazione
vestibolare.
NEURONITE VESTIBOLARE
Successiva di solito a un'infezione di tipo virale, la neuronite vestibolare è una condizione che, in
genere, tende a guarire in modo spontaneo, senza particolari trattamenti.
Il percorso di guarigione potrebbe durare diverse settimane.
Quando le vertigini sono particolarmente severe e associate a sintomi fastidiosi (vomito, nausea
ecc), i medici consigliano di sdraiarsi a letto fino alla loro conclusione e, in alcuni casi, di assumere
determinati medicinali, quali la proclorperazina e gli antistaminici.
In presenza di una neuronite vestibolare, è altamente sconsigliato bere alcolici e stancarsi
eccessivamente.
In genere, le persone con vertigine parossistica posizionale guariscono spontaneamente nel giro di
diverse settimane o mesi.
Secondo gli esperti, la risoluzione delle VPPB è legata alla dissoluzione dei cristalli di carbonato di
calcio, circolanti nei canali semicircolari dell'apparato vestibolare.
Tuttavia, è bene precisare che, per accelerare il processo di guarigione e per migliorare il quadro
sintomatologico, i medici consigliano di:
È SINDROME DI MÉNIÈRE
L'adozione una dieta iposodica. Per approfondire, leggi: Dieta per la sindrome di Ménière
L'assunzione di proclorperazina, cinnarizina e ciclizina, per il trattamento delle vertigini e di
alcuni sintomi come per esempio la nausea e il vomito.
L'assunzione di betaistina, gentamicina, diuretici e beta-bloccanti, per prevenire le vertigini.
Per approfondire, leggi: Farmaci per la cura della sindrome di Ménière
La terapia del suono
L'uso di apparecchi acustici, per il trattamento degli acufeni
La fisioterapia, per il miglioramento delle capacità di equilibrio.
L'uso di apparecchi acustici.
VERTIGINI CENTRALI
Laringocele
Affezione della laringe che consiste in una estroflessione della sua mucosa nello spessore della corda vocale
falsa e della plica ariepiglottica (l. interno), oppure nei tessuti laterali del collo (l. esterno). Compare
soprattutto in soggetti maschi adulti, determinato da una debolezza congenita della parete laringea ed
eventualmente favorito da sforzi respiratori continui (soffiatori del vetro). Il l. determina essenzialmente
disturbi della fonazione solo quando raggiunge notevoli dimensioni può ostacolare anche la deglutizione e
la respirazione inoltre può andare incontro facilmente a processi infiammatori, oppure può costituire la
sede di insorgenza di un tumore maligno. La terapia è esclusivamente chirurgica.
La laringite ipoglottica
La laringite ipoglottica é una patologia tipica della prima infanzia, che tende a presentarsi fino alla
fine del 3 anno di età.
Si tratta di un evento molto angosciante per i genitori che vedono il proprio bambino
improvvisamente in preda ad una violenta tosse con fame d'aria.
La laringite ipoglottica viene anche definita "pseudo-croup" poiché ricorda molto da vicino il
quadro clinico della difterite laringea, una malattia che nel secolo scorso ha causato la morte per
soffocamento di migliaia di bimbi.
La sintomatologia é dovuta all' improvviso rigonfiamento dei tessuti localizzati sotto le corde
vocali (cosiddetta regione ipoglottica) in seguito ad un'infezione virale.
Ciò accade nei bambini piccoli per la particolare lassità dei tessuti.
In genere l'attacco é preceduto da un raffreddore (momento in cui il virus colpisce il naso), cui
segue la comparsa di una tipica tosse definita abbaiante con comparsa di una sempre maggiore
difficoltà ad inspirare.
Mal di gola, soprattutto quando si prova a deglutire qualcosa, febbre alta preceduta da brividi di
freddo, ghiandole del collo ingrossate: sono i classici sintomi con cui si presenta la tonsillite. La
tonsillite è particolarmente frequente nella stagione fredda e può assumere l'andamento di una vera
epidemia. Si trasmette nei luoghi affollati attraverso gli starnuti, la tosse, la saliva. Le infezioni
virali si risolvono in pochi giorni e non danno complicazioni. Anche le tonsilliti di origine batterica
non destano preoccupazioni: se però sono causate da un batterio chiamato streptococco, in casi
molto rari, danno complicazioni gravi, come la glomerulonefrite, un'infiammazione che, se non
viene curata appropriatamente, può causare danni permanenti ai reni.
Virale o batterica
Non sempre è facile distinguere tra tonsillite virale e quella batterica. La virale si manifesta
inizialmente con mal di gola, lieve arrossamento delle tonsille e febbre che non supera i 39°C. Già
nel secondo giorno questi sintomi cominciano ad attenuarsi per lasciare il posto al classico
raffreddore, con tosse secca e catarro. Quando all'origine della tonsillite c'è un virus chiamato
Coxackievirus, si verifica quella che i medici chiamano angina erpetica: sulle tonsille si formano
vescicole che poi si rompono creando piccole lesioni superficiali. A volte l'infezione può
diffondersi all'orecchio.
La tonsillite batterica, invece, è caratterizzata da pus sulle tonsille e in gola, rigonfiamento delle
ghiandole situate sotto le mandibole e febbre superiore ai 39°C.
Odontoiatria
Nella normogenesi del dente la prima parte a formarsi è la corona; le radici, invece, che si formano in un
secondo momento, seguono lo sviluppo della mandibola la quale si sviluppa in senso caudo-rostrale, cioè
dal basso verso l’alto. Le radici, seguendo lo sviluppo della mandibola assumono, una forma incurvata; la
posizione del germe dentario e la curvatura delle radici causano il complesso movimento del molare il
quale dovrà muoversi secondo una curva di raddrizzamento detta ”curva di Capdepont” che presenta una
concavità postero-superiore. In definitiva, il terzo molare per guadagnarsi un posto nell’emiarcata dovrà
spingersi prima verso la faccia posteriore del secondo molare, poi scivolare su questa e pressare gli strati
della mucosa gengivale (quelli epiteliali privi di circolo) erompendo nella cavità buccale
Empiema in odontoiatria:
(l ho trovato nel testo del tumore cheratocistico, ma vale per tutte le cisti)
La complicanza più comune è lo sviluppo di un'infezione che interessa la cavità cistica (empiema). In questo
caso i sintomi saranno il dolore, il gonfiore ed il rialzo febbrile. Se la parete della lesione si trova in
prossimità della superficie, si potrà avere una fuoriuscita di materiale purulento con fistolizzazione.
È stato chiesto anche l empiema del seno mascellare, che si puo riscontrare nel corso di sinusite, questo mi
sembra che posso arrivare a fare anche una meningite
Fluoroprofilassi:
La fluoroprofilassi consiste nella prevenzione della carie dentaria attraverso l'utilizzo del
fluoro, un minerale che favorisce la formazione di uno smalto più resistente all'attacco
acido della placca batterica e che, se assunto una volta che il dente si è formato, lo
protegge dalla placca batterica.
Lo smalto dentario, lo strato più esterno del dente, è formato per il 96% da minerali e
per il 4% da sostanze organiche ed acqua.
La parte minerale è rappresentata fondamentalmente da idrossiapatite, nella cui
composizione entrano gli ioni idrogeno.
La dissoluzione dell'idrossiapatite è chiamata demineralizzazione, la sua formazione
remineralizzazione.
In una bocca sana questi due processi si bilanciano.
Quando c'è più demineralizzazione che remineralizzazione nel dente si producono cavità.
ll fluoro previene la formazione di cavità cariose favorendo la remineralizzazione dello
smalto.
Dopo i 6 anni si possono anche effettuare sciacqui giornalieri con un collutorio che
contenga almeno lo 0.05% (230 ppm) di fluoro. In questo caso si è visto che la
riduzione dell'incidenza della carie raggiunge il 50%.
La fluoroprofilassi topica può effettuarsi anche tramite l'applicazione periodica di gel
contenenti fluoruri veicolati da particolari macchinari che favoriscono il suo
assorbimento. La tecnica più diffusa è quella della Ionoforesi che provoca il passaggio di
ioni nei tessuti attraverso una differenza di potenziale elettrico che la accelera.
Pericoronite: cause, sintomi e terapie
Avete mai sentito parlare di pericoronite? Si tratta di una malattia dentale che comporta
l’infiammazione e l’infezione del tessuto gengivale attorno ai denti del giudizio. Questi ultimi, lo
ricordiamo, rappresentano la serie di molari più interna all’arcata dentale superiore e inferiore, e si
sviluppano generalmente nella tarda adolescenza o nella prima età adulta.
Possiamo dunque definire genericamente la pericoronite come una infiammazione acuta della
gengiva che circonda un dente. Il paziente che soffre di questa patologia lamenta indolenzimento,
dolore e gonfiore alla gengiva. In linea di massima, i casi di pericoronite si verificano quando il
dente del giudizio colpito è solo parzialmente emerso, oppure lo ha fatto in maniera asimmetrica
e sbilanciata rispetto agli altri elementi dentali presenti nella bocca.
La pericoronite provoca dolore alla regione posta nell’angolo della mandibola, e tale dolore tende
ad aumentare con i normali movimenti di masticazione e di fonia. Non solo: la gengiva colpita da
questa malattia dentale si presenta arrossata e gonfia, così infiammata da giungere a causare
indolenzimento all’orecchio e al collo. Proprio nel collo può verificarsi anche un ingrossamento
dei linfonodi e, nei casi più gravi di pericoronite, ci si trova di fronte persino a una componente
purulenta: il pus fuoriesce in genere a seguito di normali operazioni di compressione.
Se la pericoronite non viene curata a dovere si trasforma nel classico ascesso dentale, ossia in un
vero e proprio accumulo di batteri, plasma, globuli bianchi e pus nei tessuti attorno al dente –
ossia nella gengiva, nella polpa del dente e persino nell’osso mandibolare.
Pericoronite: sintomi
Quali sono i sintomi più classici della pericoronite? In linea di massima, i segnali d’allarme che
non dovreste assolutamente sottovalutare includono:
Nel momento in cui doveste trovarvi a sperimentare uno o più di questi sintomi, il nostro consiglio è
quello di rivolgervi immediatamente al vostro odontoiatra di fiducia, che saprà effettuare una
diagnosi corretta e proporvi la terapia più mirata per una pronta guarigione.
Pericoronite: rimedi
Come si cura la pericoronite? Possiamo dire che se la patologia è circoscritta e non
particolarmente grave, ossia non provoca un dolore continuo e lancinante e un gonfiore diffuso alla
parte colpita, il primo rimedio da non sottovalutare è una corretta e costante igiene orale – oltre che
sciacqui con acqua salata e tiepida. Consigliamo anche di utilizzare uno spazzolino delicato, che
non irriti ulteriormente le gengive già arrossate.
Nei casi più gravi, la pericoronite deve essere necessariamente curata secondo le indicazioni
fornite dal dentista. Di norma, queste includono l’assunzione di antibiotici e di antidolorifici. In
alternativa, quando lo specialista lo ritiene opportuno, si può intervenire con la chirurgia orale,
andando a rimuovere il dente del giudizio direttamente responsabile dell’infezione. In questi casi,
può essere necessario anche il consulto o addirittura l’intervento di un chirurgo maxillo-facciale,
nonché l’utilizzo di procedure specifiche, chirurgiche o non chirurgiche (laser).
Fistola dentale:
La fistola dentale è un disturbo comune che nasce in conseguenza di un'infezione della cavità orale.
Si tratta di una piccola lesione che cresce a livello dentale o gengivale. La fistola può essere anche
correlata alla presenza di un ascesso dentale. Quest'ultimo è un accumulo di pus infiammato che si
forma a livello di gengiva in conseguenza della presenza di batteri. Tra le principali cause della
proliferazione batterica nelle gengive troviamo la placca, il tartaro, la carie, frammenti di cibo che
favoriscono l'accumulo dei batteri nella bocca. Esistono 3 tipi di ascessi dentali; l'ascesso
parodontale a livello di tessuti di sostegno del dente; l'ascesso periapicale che si forma in
conseguenza di carie grave ed infezione della polpa dentale; l'ascesso gengivale di solito correlato a
processi infettivi di vario natura.
Tra i principali fattori che possono portare alla formazione di ascessi dentali e fistole elenchiamo i
più comuni:
I sintomi dell'ascesso includono gengivite, alito cattivo, ipersensibilità dei denti, febbre e gonfiore
nella zona dell'ascesso.
L'ascesso dentale si cura soprattutto con antibiotici. In alcuni casi però sarà necessario drenare
l'ascesso per diminuire il suo contenuto batterico. In caso di ascesso periapicale, sarà necessario
eseguire la devitalizzazione dentale per rimuovere il tessuto infetto. L'ascesso parodontale richiede
interventi dentali meno invasivi tra cui la detartrasi, pulizia professionale dei denti, ed una cura
antibiotica. Per quanto riguarda le fistole dentali, spesso direttamente correlate alla presenza di
ascessi, il trattamento più comune è una cura canalare.
In termini di prevenzione sia di ascessi che di fistole, la regola principale rimane prendersi cura
della propria igiene orale. Ciò include l'uso regolare dello spazzolino e dentifricio, del filo
interdentale e del collutorio. Inoltre, per prevenire la proliferazione di batteri nella bocca, si
consiglia vivamente dii sottoporsi alla pulizia professionale dei denti almeno due volte all'anno, per
rimuovere qualsiasi traccia di placca e tartaro dalla superficie dentale.
Cheilite attinica
Che cos'è?
Percorso SDC
Il percorso clinico-terapeutico proposto da SDC per la cheilite attinica prevede una valutazione
specialistica iniziale eventualmente supportata da una biopsia e da un opportuno esame
dermatopatologico. La strategia terapeutica verrà elaborata, in modo personalizzato, sfruttando tutte
le tecniche più avanzate della moderna dermatologia chirurgica.
Da un punto di vista clinico, il virus tende a dare manifestazione asintomatica o comunque benigna
in età infantile, quando nella maggior parte dei casi viene contratta l’infezione primaria.
EBV è noto anche come l’agente eziologico della mononucleosi infettiva, la “malattia da bacio” che
colpisce preferenzialmente nel periodo adolescenziale e che si manifesta con diversi sintomi
(astenia, febbre, faringite, epatosplenomegalia e altro) dalla gravità pure variabile , per un periodo
di 2-4 settimane.
Nel complesso, il 90% degli adulti riporta positività a una infezione latente da EBV.
Il virus è collegato poi a condizioni patologiche di gravità assai più rilevante, tra i quali il carcinoma
nasofaringeo e linfomi della linea B, in particolare il linfoma di Burkitt, endemico nella
popolazione infantile di alcune aree dell’Africa equatoriale.
Il dato specialistico che maggiormente interessa gli odontoiatri e, segnatamente, chi si interessa di
patologia orale, riguarda la già citata correlazione con infezione da HIV. In questi pazienti si può
infatti manifestare una peculiare lesione produttiva a carico delle mucose orali, detta leucoplachia
capelluta. Questa rappresenta la conseguenza di una disregolazione del ciclo cellulare.
Clinicamente, si osserva una lesione bianca (o bianco-grigia) che si sviluppa tipicamente sui bordi
laterali della lingua, mono o bilateralmente, e in casi più rari in aree diverse, con variegature quali
strie e rugosità. La caratterizzazione che conferisce il nome alla lesione si osserva a livello
dell’esame istologico: le cellule presentano infatti delle propaggini di cheratina. Segni presenti in
altre forme di leucoplachia sono acantosi, paracheratosi e degenerazione balloniforme a livello degli
strati spinoso, corneo e granuloso.
Questo tipo di lesioni sono tipicamente non sintomatiche e a decorso francamente benigno. Il dato
con il maggiore interesse rimane pertanto la correlazione con l’infezione da HIV, della quale
possono risultare una manifestazione precoce o un segno della progressione a AIDS. Le lesioni
possono anche beneficiare della terapia antiretrovirale (HAART).
Il tipo I raccoglie tutta la casistica il cui lo smalto si presenta con un accentuato grado di ruvidità,
con l’aggiunta della condizione di agenesia dello stesso smalto, a trasmissione autosomica
recessiva (IG). Rispetto al tipo I, che conserva una più intensa radiopacità ma diverso spessore, lo
smalto tipo II risulta solitamente più difficile da distinguere radiograficamente dalla dentina.
Accanto all’amelogenesi imperfetta, è stata riconosciuta una sindrome del tutto analoga, che
prevede tuttavia un difetto nella maturazione di derivati mesenchimali, che nel dente sono
rappresentati dalla dentina. Si parla pertanto di dentinogenesi imperfetta come di una condizione
non infrequente, che prevede un non completo differenziamento degli odontoblasti. La descrizione
della patologia risalente al 1973 fornisce anche una forma di classificazione (tipo I, II e III). Il tipo I
costituisce sicuramente la forma più comune. Le corone risultano traslucenti e anche lo strato di
smalto appare assottigliato e tende ad usurarsi più rapidamente, lasciando più facilmente scoperta
proprio la dentina. Sono tendenzialmente coinvolte anche le radici (più corte) e gli spazi pulpari. La
condizione interessa sia la dentizione decidua che quella permanente, ma è solitamente la prima ad
essere maggiormente colpita.
Una volta accertata la diagnosi, si imposterà un piano di trattamento. Da un lato, abbiamo una serie
di condizioni che possono predisporre a lesioni da usura o carie. Dall’altra parte, si consideri che le
forme cliniche non sono tutte ugualmente gravi, tanto che in alcuni casi è l’aspetto estetico quello
che maggiormente interessa al paziente. Un ultimo aspetto fondamentale è il fatto che la condizione
interessi per definizione pazienti molto giovani, ragione per la quale, negli ultimi anni, accanto alle
tecniche restaurative più indaginose vengono considerate anche metodiche minimamente invasive,
che assicurino un risultato accettabile e permettano di reintervenire facilmente in un secondo
momento, se necessario
Le manifestazioni orali
della malattia celiaca
Odontoiatra e igienista dentale possono avere un ruolo importante nella diagnosi precoce
della malattia celiaca, che può manifestarsi con segni e sintomi a carico dei tessuti duri e molli
del cavo orale, provocando persino danni irreversibili
La malattia celiaca classica si manifesta con la tipica sintomatologia intestinale. Vengono
riconosciute anche forme di malattia celiaca atipiche, caratterizzate da un corteo sintomatologico
definito extraintestinale, in quanto non riconducibile all’intestino ma bensì ad altri distretti
anatomici. Tra i vari sintomi extraintestinali annoveriamo quelli ascrivibili all’interessamento del
cavo orale nel suo insieme: mucosa orale, lingua, saliva e denti, sia definitivi che decidui.
Nei pazienti celiaci può essere interessata anche la lingua (fig. 3) a causa della carenza di vitamina
B12, di acido folico e di ferro, riconducibile alle lesioni della mucosa duodenale, che comportano
un severo malassorbimento (5). Anche le lesioni a carico della lingua sono reversibili e traggono
beneficio dalla dieta aglutinata.
La malattia celiaca comporta anche un’alterazione del flusso salivare sia in termini quantitativi che
qualitativi (6), con compromissione della funzione protettiva svolta dalla saliva stessa (7). Inoltre la
riduzione degli enzimi con funzione antimicrobica presenti nella saliva espone maggiormente la
mucosa orale a patologie di vario tipo. La diminuzione del flusso salivare, oltre che aumentare la
suscettibilità a infezioni della mucosa orale, comporta anche un aumento delle carie e delle
patologie a carico dei tessuti di sostegno dei denti. Infine la riduzione salivare determina secchezza
della bocca, alterazione del gusto, difficoltà nella masticazione e nella deglutizione, con
ripercussioni nella funzione digestiva (6).
Va sottolineato che questi difetti dello smalto sono stati in passato inquadrati in una minuziosa
classificazione ad opera di Aine e altri (13) che partiva dal grado 0 sino al grado 4. I gradi 1 e 2
sono statisticamente i più frequenti ed evidentemente includono i difetti poco evidenti e sfumati che
impongono, per essere evidenziati, un attento esame obiettivo con occhio allenato. A queste
alterazioni dello smalto, più o meno clinicamente visibili, corrisponde un aspetto strutturale
caratteristico. L’analisi morfologica al microscopio elettronico a scansione (Sem) dell’ipoplasia
dello smalto di un gruppo di bambini celiaci pubblicata in letteratura per la prima volta da Bossù e
altri (15), ipotizza che questa lesione comporta un’importante ipomineralizzazione dovuta molto
probabilmente all’alterata morfologia dei prismi, che risultano più corti, irregolarmente distribuiti,
con minore sostanza interprismatica rispetto allo smalto di bambini non celiaci. Queste alterazioni
strutturali dello smalto sono responsabili della maggiore suscettibilità alla carie. La frequente
coesistenza di pigmentazioni nere (black stain) sui denti ipoplasici nel gruppo di studio dei pazienti
affetti malattia celiaca, conferma lo squilibrio sistemico che influenza la microflora orale (fig. 7).
Differenze empiema ascesso e flemmone: Sia empiema che ascesso sono raccolte di
materiale purulento infetto, con polimorfonucleati e cellule in disfacimento, ma mentre nel caso
dell’empiema la raccolta si localizza in una cavità preformata dell’organismo (come ad esempio pleura,
pericardio e peritoneo), nel caso dell’ascesso il processo infiammatorio produce una neocavità (cioè una
cavità di nuova formazione) in cui si raccoglie il materiale purulento (es. ascesso cerebrale, epatico…).
Flemmone: Infiammazione purulenta dei tessuti molli, che si differenzia dall'ascesso per la sua tendenza
invasiva.
Le varie fasi con cui un tessuto normale diventa canceroso. La fase "in situ" è la penultima.
In tali condizioni è impossibile che il tumore si sia già diffuso nel resto dell'organismo (non è
ancora, quindi, invasivo) ed è facilmente curabile. Nella classificazione TNM, si indica con la sigla
TisN0M0 (vi sarà sempre assenza di coinvolgimento linfonodale (N0) e metastatico (M0) per
quanto detto prima).
Malocclusioni dentali
Ascesso dentale
Carie
Cisti o granulomi
Pulpiti
Periositi
Pemfigo (medicina)
Il pemfigo è una patologia bollosa autoimmune della cute e delle mucose, con alterazione dei
meccanismi di adesione cellulare dell'epidermide (in particolare dei desmosomi), ad andamento
cronico e prognosi potenzialmente fatale. Alla base della sua comparsa c'è una reazione
autoimmune che coinvolge principalmente le IgG4, e in alcune forme più rare, le IgA. Queste
reagiscono con glicoproteine presenti sui desmosomi dei cheratinociti, le desmogleine. Viene
indotto in seguito il rilascio di plasminogeno, con conseguente lisi delle cellule dello strato
malpighiano, le cellule acantotiche. In seguito all'acantolisi viene richiamato liquido trasudatizio per
diffusione osmotica. Nelle forme pemfigoidi il liquido ha invece carattere essudativo.
Tipologie
Esistono due forme classiche di pemfigo:
L'incidenza del pemfigo volgare è equidistribuita tra sessi ed età, benché la patologia colpisca
prevalentemente pazienti di gruppo etnico mediterraneo, in particolare gli ebrei Ashkenazi.
La presentazione tipica esordisce con la comparsa di bolle flaccide, che si rompono facilmente e
danno origine a tipiche erosioni. In più della metà dei casi, tali bolle compaiono inizialmente nelle
mucose, ma in alternativa, le lesioni possono interessare lo scalpo, la faccia, il torace, i cavi
ascellari o la regione inguinale. Tipici del pemfigo sono il segno di Asboe-Hansen, che consiste
nella possibilità di estendere una bolla di pemfigo tramite pressione sul bordo laterale, e il segno di
Nikolsky, ovvero lo scollamento della cute circostante la bolla tramite pressione energica sulla
stessa.
Esami
Importante l'esame obiettivo al fine di dimostrare i due segni di Nicolsky. Il segno di Nicolsky I
consiste nello sfregamento di una superficie cutanea preossea, sulla quale, in caso di malattia, pochi
minuti dopo si formeranno spontaneamente le lesioni tipiche. Il segno di Nicolsky II invece consiste
di pressione sulla bolla per dimostrarne l'allargamento. La diagnosi di pemfigo è tuttavia oggi
basata sulla biopsia cutanea. L'esame istologico rivela tipicamente una bolla intraepiteliale
acantolitica (per perdita delle giunzioni intercellulari) soprabasale nel pemfigo volgare, con scarso
infiltrato infiammatorio. Nel pemfigo foliaceo invece la bolla è subcornea, anche qui con acantolisi
e scarso infiltrato. Nei casi in cui vi sia infiltrato, questo è costituito da polimorfonucleati.
L'immunofluorescenza mostra depositi di IgG intracellularie depositi di C3. Recentemente
introdotti nella diagnostica i kit ELISA per il dosaggio degli anticorpi anti-desmogleina 1 e 3.
Terapia
Il trattamento classico è basato principalmente sulla somministrazione di steroidi per via sistemica,
ma alternativamente può includere azatioprina e ciclofosfamide. Nei casi refrattari è possibile
utilizzare IVIg o anticorpi anti-CD20 (rituximab), sebbene tali terapie siano ancora estremamente
costose.