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Entro, faccio i pochi gradini coperti da una stuoia rossa, entro nel
piccolissimo ascensore, che parte con un percettibile scatto.
Arrivo davanti alla porta e suono il campanello.
Si apre e la Signora mi accoglie con un accenno di sorriso, per
camminare si aiuta con un bastone e si capisce che ne farebbe
volentieri a meno, intuisco anche che per carattere potrebbe anche
facilmente usarlo in modo improprio con le persone che non gradisce,
non escludo che in passato possa aver fatto qualcosa di simile.
Ne sono certo.
“Prego, si sieda.”
So già dove sedermi, il mio posto è una poltroncina bassa, dove dietro è
posizionata una grossa voliera con dei pappagallini, lei è di fronte a me
ma leggermente fuori asse o forse sono io fuori dal suo asse, sì in effetti
c’è un qualcosa di asimmetrico nelle posizioni, io in basso e spostato di
lato rispetto a lei.
C’è indubbiamente qualcosa di teatrale nella situazione.
Lei è seduta su un divano dalle geometrie implacabili, disegnato da lei,
tutto fatto in specchio, un cuscino appoggiato di fianco ha l'immagine
dei Rolling Stones.
Siamo circondati da oggetti tutti interessanti, le sue opere appese alle
pareti od appoggiate al pavimento mi distraggono, la lampada Golden
Gate ci sovrasta e poi e c’è quella foto dove lei abbraccia Lucio Fontana
sbucandogli da dietro le spalle che sembra bloccare quel movimento
nel tempo, per sempre.
Ogni oggetto una storia, è come essere in un caleidoscopio sensoriale.
“La tartaruga ha finito il letargo?”
Le chiedo questo perché in una delle mie visite precedenti, molto tempo
prima, avevo notato una grossa tartaruga che stazionava sulla soglia del
terrazzo.
"Vede Signora, io sono stufo, lei mi può capire, sono stufo di proporre ad
altri delle idee, idee che però non vengono tradotte in pratica, oppure
che mi vengono sistematicamente rubate, copiate, in alcuni casi mi tocca
poi vedermele presentare come dei colpi di genio attribuiti però ad altri.
Oppure se tutto va bene il progetto va avanti e dopo anni di attesa
quello che era all'inizio non c'è più. Irriconoscibile.
A colpi di mediazioni e di compromessi il progetto è stravolto.
Tutti si sentono in dovere di proporre, di modificare, i tempi si dilatano, i
costi aumentano, il disegno iniziale ha perso la sua freschezza."
"E lei lo scopre adesso? E' così che fanno, sempre. Mi creda c'è ne pochi di
imprenditori illuminati, anzi, non c'è più nessuno."
"Ecco sì, proprio per questo ho deciso di produrre qualcosa di mio, almeno
mi tolgo questo sfizio."
"Ma?"
"D' accordo, certo, niente bianco, va bene, io pensavo come questa, quindi
cromo, poi cromo nero e forse anche oro., quindi in realtà dei non colori,
qualcosa di cronotopico*, come le sue opere.
Niente bianco.
La lampada avrebbe già un nome, proprio un bel nome, evocativo, con un
contenuto, un rimando alla sua forma però io pensavo ed è per questo che
sono venuto da lei, sì insomma pensavo di chiamarla Nanda, Nanda come
un piccolo tributo all'Artista Nanda Vigo, una specie di omaggio però,
però, sì ecco, non mi sembrava giusto farlo così, senza il consenso
dell'interessata, perciò mi piacerebbe chiamarla Nanda sempre se a lei
piace la cosa, non lo farei mai se lei dovesse dire di no e lo capirei. Non mi
offenderei, s' intende."
"Va bene."
"Va... va bene?"
"Quindi... Nanda?"
Fine
L' interruttore, che sembra prelevato da uno stereo a valvole
degli anni '60 è collocato sulla piastra in modo provocatorio,
quasi oltraggioso.
E' come un attore solitario su di un palcoscenico di metallo
scintillante
e non puoi non notarlo.
Il suo "Click" è come un ordine.
La luce si accende, la luce si spegne.
"Click"!
Lo snodo è attraversato da un piolo, li sotto c'è un perno ed è
inutile nasconderlo.
E' meglio esibirlo perché è proprio li dove deve essere e questa
cosa, il fatto che trapassi gli steli, devi ammetterlo, è
tranquillizzante nella sua drammaticità.
Puoi scegliere i colori dei metalli ma non sono troppi ed
in fondo questa cosa ti piace.
NANDA
Lampada da tavolo