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Rosso Malpelo è la storia di un ragazzetto, un garzone di miniera che vive in un

ambiente disumano e durissimo; la sua storia viene raccontata con un linguaggio nudo
e privo di sovrastrutture retoriche, una vera narrazione popolare.

E’ la prima opera verista, la prima ad avere un narratore


impersonale.

Ma cosa si intende per IMPERSONALITA’?

Le narrazioni verghiane hanno intrinseca la volontà di non raccontare i fatti, ma di


presentare una realtà oggettiva; il lettore dunque ha l’impressione di assistere a fatti
che avvengono sotto i suoi occhi, di viverli in tutta la loro tragicità senza filtri o
costruzioni linguistiche. Perché ciò avvenga il narratore non può raccontare ciò che
accade attraverso i suoi occhi e il suo stesso modo di percepirli, ma deve
assolutamente eclissarsi, non partecipare alla storia.

Il lettore difatti viene introdotto nel mezzo degli avvenimenti, senza che nessuno gli
spieghi gli antefatti e gli tracci un profilo dei personaggi, della loro storia…

I personaggi si faranno conoscere attraverso le loro azioni, i loro detti, soltanto


attraverso le loro parole si riveleranno caratterialmente al lettore. Evitando
l’intrusione del narratore, il filtro del suo sguardo che spiega e informa, ed eliminando
l’artificiosità letteraria, Verga riesce a creare “l’illusione completa della realtà” (op.cit).
Al lettore l’opera deve sembrare essersi fatta da sé; l’immagine della realtà deve
venire impressa nelle parole, e le parole devono creare, passo dopo passo, nella
narrazione della storia immagini, colori, suoni, abitudini, passioni che nascono insieme
alle stesse parole che li raccontano e di cui solo il lettore si rende testimone.

Il narratore dunque per ‘Non Essere’, deve vedere le cose con gli occhi dei personaggi,
esprimerle con le loro parole, pensarle con la loro testa: deve assolutamente
annientarsi, eclissarsi.

Basti pensare all’incipit di Rosso Malpelo: “Malpelo si chiamava così perché i capelli
rossi; ed aveva i capelli rossi perché era un ragazzo malizioso e cattivo”.
Un’affermazione questa che rivela una visione primitiva e superstiziosa della realtà,
‘che vede nell’individuo diverso un essere segnato da una maledizione che occorre
temere e da cui è necessario difendersi. È come se a raccontare non fosse uno
scrittore colto ma uno qualunque dei vari minatori della casa in cui lavora Malpelo’
(op. cit.).
E se capita talvolta che la voce narrante commenti e giudichi i fatti, non lo fa certo
secondo la visione colta dell’autore, ma in base alla visione sempliciotta rozza del
popolo che non riesce a cogliere le reali motivazioni psicologiche delle azioni e
deforma ogni accadimento in base alle sue personali interpretazioni, fondate soltanto
sulla legge dell’utile e dell’interesse egoistico. È per questo motivo che anche il
linguaggio, come detto, non è quello dello scrittore, ma è un linguaggio spoglio e
povero, cadenzato da modi di dire, proverbi, imprecazioni popolari, espresso con una
struttura sintattica dialettale, elementare e talvolta scorretta. E’ da sottolineare,
comunque che Verga non usa mai espressamente il lessico dialettale, ma se
compaiono, i termini dialettali vengono dall’autore isolati in un corsivo che non vuole
confondersi con la lingua italiana.

DISCORSO INDIRETTO LIBERO

DISCORSO INDIRETTO LIBERO (TRECCANI)

Il discorso indiretto libero riporta un discorso in forma indiretta, ma con alcune


caratteristiche specifiche.

• A differenza di quanto accade di solito nel ➔discorso indiretto, non è introdotto da


verbi come dire, sostenere, affermare, dichiarare ecc.

• Come accade sovente nel ➔discorso diretto, spesso presenta al suo interno
interiezioni, esclamazioni, avverbi di luogo e tempo, frasi interrogative dirette, frasi
ellittiche e vari costrutti tipici del parlato.

• I tempi verbali più usati sono l’indicativo imperfetto e il condizionale passato (il
cosiddetto ➔futuro nel passato), che permettono una maggiore vicinanza di chi scrive
a ciò che si racconta.

Molto in voga nella prosa narrativa tra Ottocento e Novecento, il discorso indiretto
libero ha lo scopo di riferire in 3a persona le parole e i pensieri di un personaggio,
combinandoli con quelli della voce narrante

Carlo D’Andrea, con gli occhi fissi dietro le grosse lenti da miope, attese un pezzo,
senza trovar parole, non sapendo ancor credere a quella rivelazione, né riuscendo a
immaginare come mai quella donna, finora esempio, specchio di virtù, d’abnegazione,
fosse potuta cadere nella colpa. Possibile? Eleonora Bandi? Ma se aveva in gioventù,
per amore del fratello, rifiutato tanti partiti, uno più vantaggioso dell’altro! Come mai
ora, ora che la gioventù era tramontata… – Eh! Ma forse per questo… (L. Pirandello,
Scialle nero).

ROSSO MALPELO

La novella presenta tutti i caratteri del racconto verista. Non si svolge secondo una
organica successione di eventi ma per aggregazione di fatti, quindi con
anticipazioni, aggiunte e riprese proprio come se a narrarla fossero gli stessi
protagonisti anziché lo scrittore.

Verga usa la tecnica narrativa del discorso indiretto libero e utilizza le espressioni
gergali proprie dei personaggi, come se a raccontare fosse uno degli operai della cava.

La vicenda si svolge in Sicilia ed è incentrata sul fenomeno del lavoro minorile nelle
cave di sabbia.

Malpelo è l’emblema dell’emarginazione ingiustificata a cui la condizione sociale di


nascita lo ha destinato e della violenza che domina la società. L’intento di Verga
non è la denuncia sociale ma è di mostrare un’immagine oggettiva delle condizioni di
vita dei lavoratori, lasciando al lettore ogni giudizio.

In base ai canoni veristici rientra nella poetica dell’impersonalità: lo scrittore, al


contrario di quanto avviene, per esempio, nei Promessi sposi di Manzoni, è assente
dalla scena. La narrazione è corale, popolare e anonima come se si trattasse di un
parlato collettivo.

L’uso dell’imperfetto indicativo è lo strumento linguistico che rende possibile questa


spersonalizzazione.

Nonostante il distacco “oggettivo” del narratore dalla storia di Malpelo trapela la


profonda simpatia e considerazione di Verga per gli umili, per i perseguitati e reietti
che le circostanze della vita rendono stoici nel sopportare la sofferenza e le angherie
ma anche malvagi, cinici e violenti.

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