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SOCIOLOGIA DELLA COMUNICAZIONE

1 SOCIETA’ E COMUNICAZIONI DI MASSA


1.1 una società in transizione: verso la società di massa

Iniziamo affrontando il nesso che lega la MASSA alla COMUNICAZIONE. Un buon


punto di partenza sarebbe quello di definire la società di massa. La SOCIETA’ DI
MASSA, può essere definita come “società in cui le istituzioni relative ai diversi
sottosistemi sociali ( economico, politico-amministrativo, della comunicazione
sociale ecc…) sono organizzati in modo da trattare con vasti insiemi di persone,
considerate come unità indifferenziate di un aggregato o massa”, questa è la
definizione che ha dato Guido Gili.
Ricordiamo, che la SOCIETA’ DI MASSA può essere definita come un’organizzazione
sociale nata con le profonde trasformazioni avviate alla fine del XIX secolo. I
fenomeni che segnano tale periodo sono quelli noti dell’ Industrializzazione, dell’
Urbanizzazione e Modernizzazione.
Tra i primi a interrogarsi sulla natura della società che si andava costituendo e a
offrire una nuova chiave di lettura, va citato SAINT-SIMON. Considerato il fondatore
della sociologia positivista. Nei suoi scritti, elabora il concetto di SOCIETA’
ORGANICA, ovvero una società equiparata a un organismo all’interno del quale tutti
i soggetti non sono che parti. All’interno di questo organismo regna l’armonia, ma
qualora dovesse verificarsi un mutamento in uno solo degli elementi che ne fanno
parte, si verificherebbe uno squilibrio. Perché possa affermarsi questo modello, è
necessario che la Riorganizzazione della Società avvenga su basi scientifiche e sul
lavoro industriale. Saint-Simon considera la DIFFERENZIAZIONE DELLE PARTI
qualcosa di inevitabile, che può essere Controllato e Organizzato su basi
scientifiche. Si tenga presente che la DIFFERENZIAZIONE di cui si parla, è quella
introdotta dall’Industrializzazione con i suoi processi produttivi articolati e
organizzati in base alla finalità del profitto economico. Con questa concezione della
società, Saint-Simon apporta un contributo significativo allo sviluppo della
sociologia, e sarà proprio l’accentuazione della Differenziazione tra le parti a
costituire la base per l’elaborazione di una teoria della Società di Massa.
Attenzioniamo adesso il nesso che lega Saint Simon ad AUGUSTE COMTE.
AUGUSTE COMTE viene concordemente definito il “padre della sociologia”. Nel suo
“Corso di Filosofia Positiva”, Comte propone una CONCEZIONE ORGANICA DELLA
SOCIETA’, ovvero la considera come un particolare tipo di ORGANISMO, sia pure di
NATURA COLLETTIVA. All’interno di questo organismo, come già sottolineato da
Saint Simon, è possibile individuare una MOLTEPLICITA’ DI PARTI che operano in
modo COORDINATO. L’equiparazione dell’organizzazione della società a quella di un
organismo implica il presupposto di una divisione dei compiti tra i vari soggetti,
nell’obiettivo di mantenere un’Armonia complessiva. In breve, comporta
l’introduzione del concetto di SPECIALIZZAZIONE che, tuttavia, implica il rischio di un
ECCESSO di Specializzazione, tale da indebolire lo spirito d’insieme. La
SPECIALIZZAZIONE, che pure garantisce l’armonia dell’organismo sociale, rischia di
produrre DISTANZA e INCOMUNICABILITA’ tra individui, dando vita a inattese forme
di DISORGANIZZAZIONE. L’INCOMUNICABILITA’ e la DISTANZA tra individui intesi
come frutto dell’Eccesso di Specializzazione rappresenteranno, nelle riflessioni di
altri sociologi, uno dei punti di partenza fondamentali del dibattito sulle
COMUNICAZIONI DI MASSA.
Riprendendo il nesso che lega Saint Simon a Comte, caratterizzato essenzialmente
dall’attribuzione di una particolare forma organizzativa al sistema sociale, ciò che ha
iniziato a prendere forma è l’idea di una progressiva e inarrestabile ATOMIZZAZIONE
DELLA SOCIETA’. A fronte dell’indispensabilità della Specializzazione delle funzioni, si
colloca il rischio di una perdita di una RETE DI RELAZIONI SOCIALI significative per gli
individui, rappresentati sempre più come SOLI e ISOLATI.
Sulla questione della profonda Trasformazione della SFERA RELAZIONALE DEI
SOGGETTI, ulteriori elementi di conferma, vengono forniti da FERDINAND TONNIES
nel suo lavoro “Comunità e Società”. Per Tonnies,
La COMUNITA’ si riferisce a un modo di sentire comune, che fa si che gli uomini si
sentano parte di un tutto, che partecipino alla realtà nella quale vivono,
immedesimandosi con essa.
Per converso, la SOCIETA’ è impersonale e anonima, basata su forme di relazione
sociale tipica del Contratto tra individui, in vista di un tornaconto personale.
Si capisce che per Tonnies, la COMUNITA’, da luogo a un tipo di legame più forte e
stabile tra individui . La COMUNITA’ può essere intesa come un organismo vivente,
mentre la SOCIETA’ come un aggregato e prodotto meccanico. Tonnies è
consapevole dell’inevitabile affermazione della Società a danno della Comunità a
seguito del Processo di Industrializzazione; quindi prevede che nella SOCIETA’
INDUSTRIALE, scompariranno “gli insieme di sentimenti comuni e reciproci” in virtù
dei quali gli individui rimangono uniti, mentre si affermeranno modalità di relazione
basate sul contratto. Gli individui come vediamo, continuano a essere descritti come
sempre più soli e immersi in relazioni sociali sempre meno condivise fino al punto di
arrivare, in casi estremi, a ciò che EMILE DURKHEIM, ha chiamato ANOMIA
(letteralmente MANCANZA DI NORME).
DURKHEIM, ricostruisce il complesso delle Relazioni che si stabiliscono all’ interno di
una società, distinguendo tra:
-SOLIDARIETA’ MECCANICA: Deriva dalle somiglianze tra gli individui, si caratterizza
per una divisione del lavoro elementare e per dar vita a un essere collettivo.
-SOLIDARIETA’ ORGANICA: Invece, trae origine dalla eterogeneità tra gli individui, si
traduce in una divisione del lavoro molto sviluppata e vive a seguito
dell’introduzione di numerose relazioni formali e frammentate. L’eterogeneità tra
individui e la marcata divisione del lavoro della solidarietà organica, possono in casi
estremi, dare vita a una situazione caratterizzata da ANOMIA, rintracciabile laddove
la società non si configura come in grado di regolare e porre limiti all’agire degli
individui.
La descrizione degli individui operata dai padri della sociologia è caratterizzata da un
diffuso senso di isolamento, un rischio di anomie, forme relazionali impersonali. In
breve, ciò che viene meno è la capacità degli individui di sentirsi parte di una
Comunità e stabilire relazioni significative con gli altri membri .
In una società così caratterizzata ne discende che gli individui:
a)Vivono in una condizione di ISOLAMENTO (ovvero al di fuori di una rete di
relazione per essi significative)
b)Vivono quasi esclusivamente relazioni basate sull’IMPERSONALITA’ (il contratto)
c)Sono relativamente liberi da pressioni sociali vincolanti, al punto di rischiare di dar
vita a situazioni di anomia
Queste categorie, vennero utilizzate per interpretare il modello di società che si
andava affermando e per sostenere, indirettamente l’elaborazione della teoria della
società di massa prima e di quella Ipodermica poi. Questa era l’idea di società che
prevalse per tutti gli anni 30 del 900.

1.2 la teoria della società di massa


Il XX secolo si apre con un nuovo soggetto che irrompe prepotentemente sulla
scena: la MASSA. Nel ricostruire tale momento Gianni Statera reazioni diverse e
contrastanti, la massa era percepita come qualcosa di imprevedibile e instabile;
prevaleva una visione di “massa bruta”, soggetta alla più svariate sollecitazioni.
Con la sola eccezione di chiavi di lettura ispirate al marxismo, che vedevano nella
presenza di masse organizzate l’occasione per accelerare il processo rivoluzionario,
in generale prevaleva una concezione della massa Manipolabile. Il concetto di massa
assunse centralità e rilevanza nelle riflessioni di studiosi e intellettuali. Sul fronte
degli studi di sociologia politica, un contributo significativo alla creazione di un clima
di preoccupazione circa la massa proviene dai teorici dell’ “elitismo”, ovvero Mosca,
Pareto e Michels. I quali, pur con alcune differenze, condividevano l’idea secondo la
quale, in tutte le forme di società, la massa non è altro che uno strumento di
manovra a disposizione delle elites. L’inevitabilità di tale situazione deriva dalla forza
dell’organizzazione propria dell’elites (in grado di essere un gruppo omogeneo) ,
contrapposta alla dispersione e disorganizzazione propria delle masse. Non è
sufficiente essere numerosi per avanzare rivendicazioni e proporsi come alternativa
al governo della società; è necessario, piuttosto dotarsi di una Struttura
Organizzativa. Inoltre se come sostiene Michels, “la democrazia non è concepibile
senza organizzazione”, ne discende inevitabilmente l’accettazione di una minoranza
organizzata che governa una maggioranza disorganizzata.
Troviamo queste riflessioni circa i rischi della massificazione in JOSE’ ORTEGA, il
quale pone al centro della sua riflessione le qualità dell’uomo-massa, in antitesi
all’individuo colto. Secondo Ortega la massa è Irrazionale e Incompetente e con il
suo avvicinarsi al centro della società diffonde Ignoranza e Irrazionalità. In generale,
l’irruzione della massa sulla scena sociale è l’indicatore più evidente di una profonda
trasformazione.
Su un versante più propriamente sociologico si colloca GEORGE SIMMEL, il quale
sostiene che le azioni della massa “puntano dritto allo scopo e cercano di
raggiungerlo per la via più breve”, questo fa si che a dominarle sia sempre una sola
idea, la più semplice possibile.
Ancora una volta, dunque, vengono sottolineati i tratti dell’ irrazionalità, della
disorganizzazione, della difficoltà a trovare tratti identitari comuni e dell’isolamento
nel quale versano gli individui che abitano la società di massa.
Un ISOLAMENTO sottolineato anche da HERBERT BLUMER quando sostiene che “la
massa è un aggregato anonimo o più precisamente, un aggregato composto da
individui anonimi tra i quali esiste scarsa interazione” Questa carenza di interazione
si riflette sulla difficoltà da parte degli individui a condividere quadri valoriali,
modelli e aspettative di vita. Senza dimenticare che la massa non è in grado di darsi
una struttura organizzativa e regole di comportamento.
In questo contesto, possiamo iniziare della c.d. TEORIA IPODERMICA, vale a dire la
prima teoria utilizzata per dar conto della presenza dei mass media nelle società del
tempo, la quale può essere ridotta a un modello: un dispositivo di connessioni che
lega l’emittente al destinatario, annullando ogni variabile interveniente e di contesto
. Abbiamo iniziato a parlare di questa teoria perché i suoi postulati sono molto simili
a quelli della TEORIA DELLA SOCIETA’ DI MASSA, ovvero:
1)nella società contemporanea si è verificata la scomparsa dei gruppi primari
2)gli individui sono isolati
3)il pubblico delle comunicazioni di massa è un pubblico atomizzato
4)i mezzi di comunicazione di massa sono onnipotenti e consentono a chi li controlla
di manipolare gli individui.
Quindi, sicuramente il punto di partenza della nascita delle TEORIE DELLE
COMUNICAZIONI DI MASSA è l’ISOLAMENTO DELL’INDIVIDUO. Cioè gli individui
rappresentati come soli e isolati sono preda di chiunque persegua fini manipolatori.

1.3 la teoria ipodermica


In parole semplici la Teoria Ipodermica è una teoria che considera i mass media
come potenti strumenti persuasivi che agiscono su una massa passiva. La Teoria
Ipodermica o Bullet theory (del proiettile magico) o ancora “teoria della cinghia di
trasmissione”, fa riferimento a un Modello Comunicativo che si caratterizza per una
relazione diretta e univoca che lega lo STIMOLO ALLA RISPOSTA , quindi vi è uno
stimolo dal quale si attiva una risposta. Viene collocata dagli studiosi nella fase
iniziale delle ricerche sulle comunicazioni di massa, è stata definita da Kurt e Lang “la
teoria che NEVER WAS” in quanto è stata abbandonata più volte per poi essere
ripresa. E soprattutto è stata recuperata quando si voleva enfatizzare il carattere
MANIPOLATORIO delle comunicazioni di massa. Con la Teoria Ipodermica, il potere
dei media sembra non avere ostacoli nel conseguimento dell’obiettivo di imporre la
volontà di chi governa agli individui della massa. Elisabeth Neumann, non a caso,
colloca questa teoria nella fase iniziale, quella c.d. dei “media potenti”.
Le preoccupazioni circa il potere manipolatorio dei media, sicuramente era
agevolato dal clima d’opinione prevalente che, temeva i pericoli dell’avanzata delle
masse in Europa e le conseguenze della guerra, inoltre adottava a riferimento la
teoria dell’azione elaborata dalla psicologia behaviorista. Il riferimento a
quest’ultima teoria, comportava l’estensione dell’unità stimolo-risposta a ogni
forma di comportamento, umano o animale che fosse. Saldandosi alla Teoria della
Società di Massa, l’approccio di stampo behaviorista, rafforzava una visione del
rapporto tra individui e mezzi di comunicazione di massa, determinato interamente
da quest’ultimi. Per quanto riguarda invece, il contesto sociale, politico e culturale,
tra gli intellettuali circolava una grande preoccupazione circa i rischi derivanti dalla
PROPAGANDA. Nonostante il sistema mediale di allora consisteva essenzialmente
nella stampa, nella radio e nel cinema, la preoccupazione relativa agli effetti
manipolatori dei mezzi di comunicazioni era diffusa, pur non poggiando su dati
empirici di sostegno.
I postulati sui quali si fonda la teoria ipodermica sono i seguenti:
1)il pubblico è una massa indifferenziata, all’interno della quale si trovano individui
in una condizione di isolamento fisico, sociale e culturale
2)i messaggi veicolati dai media sono potenti fattori di persuasione
3)gli individui sono indifesi di fronte al potere dei mezzi di comunicazione di massa
4)i messaggi veicolati sono ricevuti da tutti i membri nello stesso modo
Come si può notare, si ritrovano molti degli elementi propri della teoria della società
di massa, a partire da quello più significativo dell’isolamento degli individui. Il punto
di partenza dal quale muovere per studiare il rapporto tra mezzi di comunicazione di
massa e individui si caratterizza per la collocazione di quest’ultimi in una sorta di
vuoto sociale: non vi sono più relazioni familiari, di lavoro, amicizia e vicinato. Gli
individui appaiono soli, privi di reti di proiezione esposti agli stimoli esercitati dei
media. Inoltre trovandosi in questa situazione di vuoto sociale, gli individui risultano
indifesi e preda dei messaggi mediali, che vengono ricevuti in modo standard da
tutti i destinatari. Ciò che sorprende nella formulazione di questo modello è
l’assoluta semplicità del rapporto comunicativo, ridotto a un mero automatismo.
Non è presente, invece, alcuna forma di “potere” ascrivibile ai destinatari, cioè tutti
sono raggiunti dagli stessi messaggi e i messaggi sono ricevuti da tutti esattamente
nello stesso modo.
Quindi, il modello comunicativo alla base della Bullet Theory risulta essere il primo
tentativo di individuare il rapporto esistente tra media e individui. E’ un modello
molto semplice, che rispondeva all’esigenza di stabilire un nesso, anche elementare
tra la veicolazione del messaggio e la sua fruizione.
Alla fine degli anni ’40 due ingegneri, Shannon e Weaver, elaborarono la “TEORIA
MATEMATICA DELLA COMUNICAZIONE” ; i due ingegneri volevano definire una
teoria sulla trasmissione ottimale dei messaggi, l’obiettivo infatti, era quello di
limitare i danni connessi a un processo di “trasferimento” di informazioni (ad es
durante una conversazione telefonica posso essere perse delle informazioni, perché
ad es la linea è disturbata). Quindi le possibili “fonti di rumore” , in grado di produrre
una dispersione di informazioni, rappresentavano lo specifico oggetto di studio dei
due. Come si può notare il modello comunicativo sotteso alla Teoria Matematica
dell’informazione, coincide largamente con quello della Teoria Ipodermica, cioè: vi è
un emittente che costruisce e veicola un messaggio che deve arrivare al destinatario,
consentendo l’attivazione di una “risposta”. Umberto Eco nel descrivere lo schema
del Modello matematico-informazionale, sottolinea come sia sempre possibile
rintracciare: una FONTE o SORGENTE dell’Informazione, dalla quale Attraverso un
Apparato TRASMITTENTE viene emesso un SEGNALE; questo segnale viaggia
attraverso un canale lungo il quale può venire disturbato da un rumore. Uscito dal
canale, il segnale viene raccolto da un RICEVENTE che lo converte in un
MESSAGGIO. Come tale, il messaggio viene compreso dal destinatario.
Completamente estraneo a questo processo è il momento dell’attribuzione di
significato al messaggio da parte del ricevente : esso è semplicemente dato una
volta per tutte a tutti i soggetti.
Quindi vediamo che nel complesso si tratta di modelli estremamente semplici.

1.3 il modello di Lasswell


Il modello di comunicazione elaborato da Harold Lasswell, costituisce il primo
tentativo di sistematizzare i dati di ricerca e le riflessioni teoriche raccolte nella fase
inziale della Communication Research. Tale modello non deve essere considerato
come un superamento di quello stimolo-risposta, ma tanto più come un suo
perfezionamento. Infatti il modello di Lasswell ribadisce un assunto fondamentale
della teoria ipodermica, ovvero che l’iniziativa della comunicazione è un’esclusiva
del comunicatore e che gli effetti sono da riferirsi solo al pubblico .
Secondo Lasswell, un modo appropriato per descrivere un atto di comunicazione, è
rispondere alle seguenti domande:
1)CHI 2)DICE COSA 3)A CHI 4)CON QUALE EFFETTO
Sicuramente questo modello è stato importante per aver apportato un contributo
nell’organizzazione dell’allora caotico campo della ricerca, perché ha introdotto fasi
e attori del processo comunicativo.
1 Infatti, prestare attenzione CHI attiva il processo comunicativo, significa collocarsi
nell’area di studio dell’EMITTENZA, vale a dire di quei soggetti che producono i
messaggi comunicativi. L’operazione di separare la figura dell’EMITTENTE , da quella
del DESTINATARIO, certamente sensata ai tempi di Lasswell (fase iniziale), appare
oggi difficilmente difendibile e ignora l’ingresso di nuove figure come quella del
PROSUMER (producer+consumer), ovvero un soggetto che alternativamente è sia
produttore che consumatore.
• Il secondo elemento della ricerca, ovvero COSA viene comunicato, dal punto di
vista della ricerca è collocato nell’area di studio del MESSAGGIO. Il filone della
CONTENT ANALYSIS trova in Lasswell, infatti il suo padre fondatore.

• Prestare poi attenzione a CHI è il destinatario del messaggio implica l’assunzione


di un focus d’attenzione centrato sul Pubblico dei Media. Gli studi sull’audience
sono incredibilmente cresciuti negli ultimi anni; in breve dopo aver fatto
riferimento a un pubblico dei media dai tratti noti e scontanti per molto tempo,
si è scoperto che esistono “pubblici” con gusti e palinsesti trasversali ai vari
media, di difficile individuazione.

• Infine, prestare attenzione a QUALI EFFETTI vengano attivati nei destinatari,


significa entrare nel campo di studio molto importante della MASS
COMMUNICATION RESEARCH, ovvero quello degli EFFETTI: intenzionali o
inintenzionali, diretti o indiretti a breve o a lungo termine, gli effetti
rappresentano sin dagli inizi un campo privilegiato dagli studiosi, alla ricerca di
conseguenze attribuibili ai media.

La tripartizione del campo di studio (emittenza, messaggio, ricezione), frutto


dell’applicazione del modello di Lasswell, ha costituito un punto di riferimento
nella Communication Research, soprattutto dal punto di vista
dell’organizzazione della ricerca. Wolf ha effettuato una sintesi delle critiche
mosse ai presupposti teorici del modello:
a)l’asimmetria della relazione tra emittente e destinatario: il processo
comunicativo ha origine esclusivamente dall’emittente.
b)l’indipendenza dei ruoli: l’emittente e il destinatario vengono raffigurato come
soggetti che non entrano mai in contatto
c)l’intenzionalità della comunicazione: i messaggi veicolati dai media si
prefiggono sempre un obiettivo.
Ovviamente, collocare il processo comunicativo in un contesto così, significa
escludere qualsiasi possibilità di attribuire un ruolo più attivo al destinatario. La
critica più dura al modello è stata formulata da Wilson che lo ha definito
Primitivo.

1.5 i Payne Fund Studies


Dopo aver descritto alcuni concetti sociologici e il clima che ha accompagnato la
diffusione delle comunicazione di massa, dobbiamo necessariamente fare
riferimento alla Prima RICERCA EMPRICA realizzata sugli effetti dei media.
Considerati di fondamentale importanza nell’ambito della Communication
research , i PAYNE FUND STUDIES, rappresentarono la risposta Empirica al clima
di allarme sociale diffuso negli Stati Uniti negli anni ’30, a seguito del grande
successo del cinema. Innanzitutto in quegli anni negli US, si svilupparono le
condizioni affinché si offrissero risposte forti di un supporto empirico riguardanti
gli effetti delle comunicazioni di massa sul pubblico; perché si svilupparono dei
metodi di ricerca empirica e anche grazie al successo di pubblico registrato al
cinema. Alla base di tale successo va collocata, la relativa economicità del
cinema, di entità tale da poter essere affrontata da famiglie con redditi medio-
basi, in un periodo di grande incertezza economica quale quello creatosi con la
crisi del 1929. Le storie "raccontate" al cinema delle volte non erano proprio
edificanti o mostravano condotte ritenute da alcuni riprorevoli. La
preoccupazione per le giovani generazioni - per i loro valori, atteggiamenti e
comportamenti- esposte a tali messaggi portò alla nascita dei Payne Fund
Studies, che finanziarono ben 13 ricerche relative al contenuto dei film e agli
effetti sulle giovani generazioni dal 1929 al 1932. Vennero individuati 10 generi
maggiormente presenti: crimine, sesso, amore, guerra, avventura commedia
ecc... I dati mostravano come addirittura il 75% dei film analizzati riguardassero
generi come crimine, sesso, amore. Lo stesso ricercatore inoltre, sottolineò che
spesso venivano ritratti individui che consumavano tabacco e alcol (allora
proibito nel paese). In breve, si trattava di risultati che confermavano la
pericolosità di un'offerta che si poneva talvolta in aperto contrasto con i valori e
i comportamenti delle generazioni adulte e integrate.
Il filone della ricerca sugli effetti, può essere articolato in 2 grandi aree di
interesse:
a) Lo studio degli effetti del cinema sugli atteggiamenti degli individui;
b) Lo studio degli effetti del cinema sul comportamento quotidiano degli
individui.
a)La ricerca più significativa in relazione alla prima area è quella di Peterson e
Thurstone (1933). Con l'obiettivo di pervenire alla costruzione di un buon
strumento di misurazione degli atteggiamenti, i 2 ricercatori analizzarono
l'orientamento dei bambini nei confronti di alcuni gruppi etnici o di alcune
questioni sociali. L'atteggiamento del bambino venne misurato una prima volta
in procinto di vedere il film e una seconda volta al termine della proiezione. I
risultati sottolinearono l'effettiva influenza esercitata dai film sugli atteggiamenti
dei bambini.
b) Un interesse per gli effetti attivati dal cinema sui giochi, sui sogni, sugli stili di
vita, in breve, sulla vita quotidiana è alla base della ricerca condotta da Blumer.
Blumer adotta una metodologia qualitativa. La ricerca è estremamente ricca, a
partire dalle aree di indagine individuate: influenza sui giochi infantili, imitazione
di stili di vita, proiezioni e fantasie, coinvolgimento emotivo.
Il cinema influenza la vita dei bambini quando propone soggetti nei quali
identificarsi e quando suggerisce nuove scene e nuove dinamiche di
comportamento da adottare nei giochi
Al crescere dell'età, il cinema offre altro: consente l'acquisizione di un
linguaggio e di uno stile. Diviene per molti una "scuola di etichetta".
Riguardo al coinvolgimento emotivo, esso rimanda alla capacità da parte dei
film di suscitare forti emozioni negli spettatori. Blumer sostiene, che "le
immagini dei film propongono tipi di vita estranei a molti individui e,
conseguentemente, modellano la loro concezione di tali modelli di vita". Le
parole di Blumer, contengono il superamento di qualsiasi approccio fondato su
una dinamica stimolo-risposta; contemporaneamente esse introducono un
esplicito riferimento alla funzione modellizzante attribuita ai media, oggi
unanimamente riconosciuta dagli studiosi.

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