9 Hours, 9 Persons, 9 Doors

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0. Premessa

9 hours, 9 persons, 9 doors è una visual novel, ossia un


romanzo visivo e in forma di videogioco. Purtroppo non è mai
stato tradotto in italiano, e inoltre il Nintendo DS non è una
piattaforma accessibile a tutti. Per questa ragione ho deciso di
tentare di renderlo un romanzo vero e proprio, traducendolo in
italiano.

Non è per nulla un’impresa semplice: nonostante almeno


quattro quinti del gioco consistano di narrazione pura (visuale,
è chiaro) e soltanto un quinto in interazione vera e propria,
questi ultimi momenti sono impossibili da riprodurre in un
romanzo. La parte con gli enigmi, quindi, non costituirà una
sfida per il lettore, che potrà invece leggerne lo svolgimento e
la risoluzione.

Le parti di “gioco” sono scritte in azzurro, e consistono di


una veloce e distaccata esposizione. Non ho tentato di
mantenere lo stesso ritmo e tono delle parti narrate (quelle che
ho semplicemente tradotto), non ho insomma “inventato” e
“romanzato” le parti di gioco vero e proprio. Non sarei stato
minimamente in grado di eguagliare la bellezza narrativa che
il resto dell’impianto possiede, per cui ho deciso di esplicitare
lo stacco, sperando che ciò non diminuisca il coinvolgimento
per la storia.

In rosso invece ho scritto quelle parti che vanno lette se e


solo se il lettore “soddisfa i requisiti”, indicati all’inizio delle
parti stesse. Alcuni dialoghi avverranno a patto che il
protagonista abbia compiuto una scelta anziché un’altra, e il
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lettore dovrà attenersi alle indicazioni per godersi la storia.
Queste riguardano il possesso di parole chiave ottenute in certi
punti della storia, e che sono valide solo se ottenute nella stessa
partita, e non in giocate (letture) precedenti – salvo dove fosse
specificamente indicato il contrario.

Ci saranno scelte che riguardano le porte da attraversare e


il gruppo da portare con sé: queste concorrono a determinare il
finale, uno dei sei finali previsti dal videogioco. Nel libro i
finali sono stati ridotti da sei a cinque senza grandi perdite a
livello di trama. Quando sarà necessario compiere delle scelte,
sarà indicato a quale pagina proseguire la lettura in coerenza
con ciò che si è deciso.

Tutte le scelte minori sono state eliminate: quelle


occasioni in cui al giocatore si richiedeva se accettare o meno
di parlare di un dato argomento, o di ricordare qualcosa che
era stato pronunciato. In questo romanzo il protagonista
compirà automaticamente le scelte migliori, che sono sempre
anche le più spontanee e realistiche.

Ho inserito note principalmente in due occasioni: quando


c’è un gioco di parole, per spiegare come era nell’originale e
come è riuscito – o non riuscito – nella mia traduzione; e
quando i personaggi citano esperimenti, fenomeni o libri. In
questo caso, ho indicato dei riferimenti per potersi informare
più facilmente.

Vi prego di segnalarmi qualunque svista o caduta


stilistica, in modo da provvedere a migliorare la prosa. Buona
lettura!
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1. Prologo

Un fragoroso rumore allarmò Junpei, che si svegliò


spalancando di scatto gli occhi. Non appena si abituò alla luce,
realizzò che non riconosceva l’ambiente circostante. Con un
crack, la testa di Junpei si scontrò con qualcosa di metallico. Si
girò e cercò di appoggiare le mani per rimettersi in equilibrio,
ma non trovavano che aria vuota. Senza equilibrio, e ancora
con la mente confusa tentando di capire cosa stesse
succedendo, Junpei capitombolò giù sul freddo pavimento
grigio.

Junpei diede uno sguardo alla stanza, cercando ancora di


comprendere dove si fosse svegliato. La caduta aveva spazzato
via anche gli ultimi rimasugli di sonno, e alla fine riuscì a
capire da dove era caduto. Era un letto. Un letto a castello a tre
piani, per la precisione. Junpei era caduto, apparentemente,
proprio dalla cima. La sua spalla pulsava, le sue ginocchia
pulsavano, i suoi fianchi pulsavano… il suo intero corpo
pulsava. Poteva sentire un bernoccolo formarsi sulla sua
fronte, dove aveva sbattuto contro il soffitto.

Si chiese se quel bernoccolo fosse la ragione per cui la sua


vista ondeggiava, ma sembrava improbabile. Inizialmente,
pensò che il tremolio che correva lungo le sue gambe fosse
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semplicemente un altro effetto del suo brusco risveglio, ma
non appena si guardò intorno, realizzò che era reale… l’intera
stanza stava tremando.

Sarà un terremoto, si chiese. Non sembrava probabile. La


stanza ballava e tremava troppo velocemente per essere un
terremoto. Ciononostante, Junpei non aveva idea di cosa fosse,
se non un terremoto.

Si massaggiò il bernoccolo sempre più grande sulla sua


fronte e cautamente si mise in piedi. Recuperato l’equilibrio,
poté finalmente osservare per bene la stanza… e mormorò tra
sé e sé: «Dove… dove sono…?». Dimenticato
momentaneamente il dolore date le circostanze confuse,
Junpei guardò ancora una volta la stanza. I minuti passarono
mentre Junpei cercava a stento di sentirsi a suo agio in questa
nuova situazione. Poi, improvvisamente così come erano
cominciati, i tremolii cessarono.

Un freddo silenzio avvolse la stanza. Da qualche parte in


lontananza, Junpei poteva sentire il suono di metallo
scricchiolante. Il suo stomaco si irrigidì. Quel suono poteva
significare migliaia di cose, ma nessuna di queste sembrava
positiva. Tentando di distrarsi, Junpei osservò nuovamente la
stanza. C’era un fornello dall’aria più antica che funzionante. Il
letto a castello a tre piani aveva materassi così sottili da essere
poco più che coperte. Dall’altro lato della stanza c’era un letto
identico, e sulla parete tra i letti figurava una sporca porta di
acciaio.

5
La prima cosa che notò Junpei riguardo la porta era il
numero che la decorava rozzamente. Sulla superficie della
porta, con vernice rossa, qualcuno aveva scritto un 5. «5? Cosa
significa questo 5…». Sospettoso, e ancora confuso, Junpei si
avvicinò lentamente alla porta. Infine, di fronte ad essa, Junpei
impugnò la maniglia a forma di L. Spingere non provocò
alcun movimento, e lo stesso accadde – o meglio, non accadde
– tirando.

Ulteriori tentativi palesarono a Junpei la verità: non si


sarebbe aperta. Non importava quanto avrebbe spinto o tirato.
La porta non ne voleva sapere. A fianco alla porta, a destra,
c’era uno strano dispositivo che a Junpei ricordava un card
reader. Non serviva un genio per capire che era il dispositivo a
tenere la porta chiusa.

Junpei bussò, con forza, sulla porta. «Ehi! C’è nessuno?


Aprite la porta!» Non ottenne risposta. Junpei scagliò il suo
pugno sinistro contro la porta… e si fermò. «Che diavolo è
questo…» Non seppe che altro dire. Sul suo polso sinistro c’era
un braccialetto di un genere che non aveva mai visto prima. Al
centro c’era un largo schermo LCD. Somigliava moltissimo ad
un orologio elettronico, ma chiaramente non lo era. Dopotutto,
mostrava una singola cifra. «5… È… è lo stesso della porta…».

Vero, i numeri erano i medesimi, ma non aveva idea di


che cosa potesse significare. Tutto ciò che sapeva è che era
strano, nuovo, e che voleva toglierselo. Junpei lo ruotò
facendolo scivolare sulla mano, per toglierselo, ma il retro era
solido: niente gancetti, lacci, o qualsiasi cosa permettesse di
rimuoverlo.
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Sospirò tristemente, e rigirò quell’aggeggio. C’erano
alcuni pulsanti sui lati. Forse… Junpei li premette, ma non
accadde nulla. Su un orologio, sarebbero serviti a modificare la
data e l’ora, ma su questo braccialetto non facevano proprio
niente.

Junpei non aveva idea di cosa fare. Mentre la disperazione


cresceva, iniziò a dare degli strattoni all’aggeggio. Ad ogni
modo, non funzionò. Frustrazione e disperazione iniziarono ad
intrecciarsi appena Junpei si rese conto della situazione in cui
si trovava. Così tanto stava accadendo, e nulla aveva senso.
Junpei si sentì sul punto di esplodere. «Dove mi trovo? E
perché diavolo sono qui! Perché! Perché? Che mi è successo?».
Fu in quel momento che vide la finestra. La finestra era
rotonda, con montatura in ottone rivestito, come l’oblò di una
nave dell’inizio del 20° secolo.

«Che? Aspetta… sono su una nave?» Junpei camminò


lentamente verso l’oblò. Non poteva vedere nulla oltre di esso,
tranne della fitta, impenetrabile oscurità. Junpei aguzzò la
vista, cercando di vedere qualcosa… qualsiasi cosa… Fu in quel
momento che… «Che caz-? È uno scherzo? Che cazzo sta
succedendo qui?» Una crepa incrinò il vetro dell’oblò, e per un
momento Junpei mantenne lo sguardo fisso su di esso. Poi la
finestra scoppiò, e l’acqua iniziò a riversarsi nella stanza. Junpei
imprecò, urlò, e si volse indietro.

I suoi piedi navigavano nell’acqua, e corse verso la porta.


Tirò, tirò con quanta forza aveva in corpo. «Ehi! C’è nessuno?
C’è nessuno lì? Dai, se ci siete, dite qualcosa!» Non ci fu risposta
alcuna. Mentre Junpei urlava, e batteva contro la porta, l’acqua
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saliva e saliva. Arrivava ormai alle caviglie, e proseguiva
spedita verso le ginocchia.

Le cose non si mettevano bene per Junpei. Per niente


bene. Doveva trovare una via d’uscita, e velocemente! Junpei si
passò la mano sulla fronte, togliendo il sudore dai suoi occhi, e
guardò la stanza.

Junpei trova un cacciavite dentro il fornello, una chiave


blu dentro la caffettiera sopra il fornello, un piccolo quadro
posto sulla parete sopra il lavandino che raffigura una vecchia
nave da crociera. Utilizzando il cacciavite si può estrarre
l’immagine dalla cornice. L’immagine riporta, sul retro,

1 ,2 ,3 ,4 ,5

6 ,7 ,8 ,9 ,0

Un foglietto appeso alla parete dietro il quadro riporta:

Un foglietto sotto il cuscino riporta invece:

C’è una valigetta blu sul letto che si apre con la


combinazione 0263 e inserendo la chiave blu. Dentro c’è un
documento:

“Radici digitali

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Per ricavare la radice digitale di un numero, segui
questi passaggi:

Prima, somma tra loro tutte le cifre che compongono il


numero.

Se il risultato ha due o più cifre, sommale tra loro. (Per


esempio, se hai un numero di due cifre, somma la cifra
delle decine a quella delle unità).

Continua a sommare cifre in questo modo finché


ottieni una singola cifra. Questa è la radice digitale del
numero scelto.

Esempio: La radice digitale di 678 è

6 + 7 + 8 = 21 -> 2 + 1 = 3

Quindi, la radice digitale di 678 è 3.

La radice digitale di 1234 è

1 + 2 + 3 + 4 = 10 -> 1 + 0 = 1

Quindi, la radice digitale di 1234 è 1.”

Sul retro della cartelletta ci sono un quaderno, una penna,


una calcolatrice e tre tessere magnetiche blu raffiguranti cifre
da 6 a 8. Vicino alla porta e a fianco di uno dei due letti a
castello c’è una tenda; dietro di essa uno specchio; una chiave
rossa vi è attaccata per mezzo di scotch. Quando Junpei la
prende, inizia a ricordare.

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Junpei afferrò la chiave e la infilò a forza nella sua tasca.
Era intenzionato a riprendere immediatamente la ricerca
disperata, ma… qualcosa lo fermò. Il suo riflesso si stagliava di
fronte a lui nello specchio, ma riuscì a stento a riconoscersi.
«Ma che ha la mia faccia…»

La sua confusione era giustificata. Il suo volto era teso e


pallido, e le occhiaie nere lo facevano apparire come prossimo
alla morte. «Ehi… che diavolo mi è successo? Come ci sono
finito, qui…?»

Appena pronunciò quelle parole, qualcosa si sbloccò nella


sua mente, e stralci di memoria rinvennero. Era l’ultima cosa
che Junpei ricordava prima di svegliarsi in quella strana stanza.

Era mezzanotte inoltrata quando fece ritorno a casa.


Junpei si trascinò su per le scale, e aprì la porta
dell’appartamento 201. Dentro, c’era il suo appartamento. Un
piccolo monolocale, che gli costava circa 630$ al mese. Ci si
era trasferito quando aveva iniziato il college, e viveva lì da 3
anni e 7 mesi.

Entrò, e accese le luci. Le luci fluorescenti sul soffitto


baluginarono e scintillarono lentamente e progressivamente,
come risvegliate da un sonno profondo. La loro fredda luce
illuminò il panorama da cui era tornato così tante volte
prima… Tutto era come lo aveva lasciato. Le riviste impilate ad
un angolo. I libri ricoperti di polvere. Le custodie dei CD sparse
per il pavimento. I jeans e la maglietta che aveva indossato il
giorno prima, ora gettati sul pavimento.

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C’era qualcosa che non quadrava, però. C’era la brezza.
Respiri della fredda notte si diffondevano nel suo
appartamento, portando gli odori d’autunno. Le tende bianche
alla finestra ondeggiavano gentilmente al vento.

«Uh. È strano… l’ho lasciata aperta…?»

Junpei andò verso la finestra, cercando di ricordare se


l’avesse chiusa o meno prima di uscire. Una delle vetrate era
aperta. Perplesso, si guardò intorno. Nulla pareva fuori posto,
tutto era come doveva essere.

Junpei scrollò le spalle. Doveva averla lasciata aperta,


prima. Chiuse la finestra.

E poi accadde.

Junpei si voltò, e si trovò faccia a faccia – no, faccia a


maschera – con un uomo vestito interamente in nero. L’uomo
indossava un ampio cappuccio, e una voluminosa maschera
anti-gas – il suo volto era interamente nascosto.

Junpei provò ad urlare, ma tutto ciò che riuscì a fare fu un


gracidio soffocato. Tentò di raggiungere l’uomo, ma le sue
gambe non lo reggevano più. Junpei collassò al suolo – un
cumulo raggrinzito di membra, come scarti di burattini.

Ormai troppo tardi, vide il fumo bianco che stava


rapidamente riempiendo l’appartamento. Un piccolo oggetto,
pericolosamente simile ad una granata, giaceva sul pavimento
di fronte a lui, sibilando. Il fumo bianco fuoriusciva ad un
ritmo incredibile.
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Il fumo divenne così denso che i contorni
dell’appartamento di Junpei iniziarono a sbiadire nella nebbia
bianca. Poteva sentire la sua mente iniziare anch’essa a
sbiadire, in una nebbia bianca che non era il fumo strisciante
che vedeva.

«Consideralo come un privilegio. Sei stato scelto.»

Una voce stridente serpeggiò dalla maschera. Era fredda e


dura, distorta in qualche modo che Junpei non riusciva a
comprendere.

«Stai per partecipare ad un gioco. Il Nonary Game. È un


gioco in cui metterai la tua vita in palio.»

Quella fu l’ultima cosa che Junpei ricordava. Il fumo


bianco lo avvolse, l’uomo mascherato scomparse dalla sua
vista, e sentì la sua coscienza scivolare nella foschia.

«Ma certo! Il tizio con la maschera anti-gas! Quel figlio di


puttana deve avermi portato qui!»

Riguardo a chi quell’uomo fosse, o chi potesse essere,


Junpei non aveva alcuna idea. In effetti, non poteva neppure
essere certo che il suo assalitore fosse un uomo. La voce era
fredda e meccanica – distorta attraverso un qualche
modulatore – e il corpo era coperto da uno spesso mantello.

Chi era l’uomo in maschera? “Sei stato scelto”. Junpei


ricordava, sì, ma… ciò che poteva significare, era al di là della
sua portata. Junpei non aveva idea di dove fosse, o perché fosse
lì. C’era un singolo dettaglio, un singolo ricordo che sembrava
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fondamentale… “Stai per partecipare ad un gioco. Il Nonary
Game. È un gioco in cui metterai la tua vita in palio.”

«Il Nonary Game, eh? Che diavolo è un Nonary Game?


Maledizione!» Con un urlo, Junpei piantò il suo pugno nello
specchio.

Di fronte allo specchio, un armadio contiene una valigetta


rossa. Inserendo la chiave rossa, e la combinazione 7485 si
apre, rivelando tre tessere magnetiche numerate da 1 a 3,
rosse. Inserendo quindi tre carte la cui radice digitale è 5, può
aprire la porta. Queste carte sono l’1, il 6 e il 7 perché

1 + 6 + 7 = 14 -> 1 + 4 = 5

«Okay, così dovrebbe andare…» Un promettente suono


metallico venne dalla porta. «Ci siamo! Ecco un nuovo suono!
Si è aperta? Be’, la luce sul congegno era rossa, e ora è blu. Non
c’è dubbio… Nulla mi trattiene più qui ora! È tempo di
andare!»

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2. Che il gioco abbia inizio!

Accompagnato da un muro di acqua burrascosa, Junpei si


fiondò fuori dalla stanza e raggiunse la parete opposta.
Boccheggiando per recuperare il respiro, si guardò intorno. Si
trovava in un corridoio stretto.

L’acqua che l’aveva seguito si stava rapidamente


riversando dalla porta. Fluiva velocemente nel corridoio, e
sbatté violentemente ai piedi della corta rampa di scale. Erano
solo 5 passi, di fatto. E in cima a questa corta scalinata… «Una
porta! Un’altra porta!» Junpei balzò sulle scale, dritto verso la
porta. Questa scattò e si aprì, e Junpei saltò al di là di essa,
giusto per rimanere immobile, agghiacciato. Quale altra
reazione avrebbe potuto avere per ciò che vide?

«Ma… ma che diavolo…?» La sua voce si affievolì, e tutto


ciò che poté fare fu fermarsi a guardare. Un pavimento lucente
si stagliava davanti a lui, scale riccamente ornate si
sollevavano ai lati, ciascuna equidistante dalle altre. Le scale e
le colonne erano di legno pieno, e abbellimenti e decorazioni
Art Nouveau adornavano pareti e colonne.

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Somigliava terribilmente all’entrata di un lussuoso
palazzo dei primi anni del 1900. Junpei non poté fare a meno di
chiedersi se fosse realmente su una nave. L’acqua che riempiva
velocemente il corridoio dietro di lui suggeriva che sì, era su
una nave. Appena diede uno sguardo, una forte onda arrivò
nella stanza in cui si trovava, guadagnando velocità sulle scale.
«Ok, è definitivamente una na… eh, un’onda? M-merda! Devo
uscire da qui!»

Junpei si girò indietro, le sue scarpe bagnate che


squittivano sul pavimento brillantissimo, e corse verso
l’imponente scalinata che si stagliava di fronte a lui. Ponte C…
Ponte B… Mentre correva, lanciava rapidi sguardi alle placche
montate sulle pareti, indicando i ponti della nave. Percorreva le
scale due gradini alla volta, senza badare a dove si trovasse. E
appena iniziò a chiedersi dove, appunto, le scale conducessero,
Junpei vide un’altra persona all’angolo della sua vista.

Si fermò bruscamente, quasi inciampando contro il


gradino successivo, e guardò. Non era solo una persona, ciò
che vide: su delle scale a sinistra, quattro individui lo stavano
fissando. Parimenti, a destra, altri tre. In totale, c’erano sette
persone. Sembrava che stessero scendendo le scale, e che si
fossero fermati appena videro Junpei, con gli occhi spalancati.

Junpei fece lo stesso, ovviamente, e ora tutti stavano fermi


fissandosi a vicenda. Junpei non si mosse, un piede piazzato
goffamente sul gradino successivo, nel bel mezzo di una
falcata. Chi erano quelle persone?

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Tutta questa interazione fu giusto una questione di
secondi. La donna parlò a Junpei, e il tempo ricominciò a
scorrere. «Pare ci sia un altro di noi ora.» La donna era vestita,
pensò Junpei, praticamente come una ballerina. I suoi vestiti la
coprivano molto poco, i suoi colossali gioielli un po’ di più.

«Ehi! Tu! Forza, sbrigati!»

Senza ulteriori convenevoli, lei corse, oltre Junpei e verso


la porta dietro di lui. La vicinanza repentina con una scollatura
così abbondante lasciò Junpei momentaneamente istupidito.
Ma gli altri non persero tempo, e seguirono velocemente la
strana donna.

Il primo a sorpassare Junpei era un ragazzo dai capelli


argentei. Diete una rapida occhiata nella direzione di Junpei
mentre correva, mormorando: «Mpfh. Uno di noi, eh…?».

Seguiva un uomo più anziano, dal volto calmo e senza


paura. Aveva uno sguardo tenuamente corrugato, e gli passò
così vicino che Junpei vide i ciuffi grigi tra i suoi capelli. La sua
compostezza e i capelli quasi come una criniera ricordarono a
Junpei un anziano leone. «Salire non ti servirà a nulla! Ci sono
due porte, ma nessuna si apre!»

La successiva a parlare fu una ragazza dai capelli rosa e la


voce acuta. «Eddai! Non vieni? Devi fare presto!» Le sue piccole
mani avvolgevano il polso di un altro uomo. I suoi occhi erano
chiusi, come se stesse dormendo. I suoi tratti aggraziati, quasi
sereni, ed era vestito piuttosto elegantemente per qualcuno
della sua età. C’era qualcosa nella sua postura di molto

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raffinato, e Junpei non poté fare a meno di sentire che era
nobile e solenne, in qualche modo. Non ne aveva mai visto
uno, ma quest’uomo sembrava come Junpei aveva sempre
immaginato sarebbe un principe. «Siamo in nove, quindi. Tutte
le carte sono in tavola.»

Cosa significherà che tutte le carte sono in tavola, si chiese


Junpei. Aprì bocca per chiedere cosa intendesse, ma la ragazza
dai capelli rosa si precipitò dietro di lui, e se ne andarono. Si
voltò giusto in tempo per vedere altre due persone correre
verso di lui. Uno di loro aveva i capelli come il nido di un
uccello, e dava l’idea che anche il più lieve colpo d’aria potesse
farlo cadere. L’altro, invece, era un’autentica montagna. Il
mingherlino non disse nulla, e naufragò oltre Junpei come se
stesse fuggendo da qualcosa. La montagna invece parlò: «Ehi!
Perché diavolo te ne stai lì fermo? Non hai sentito?» Junpei
rimaneva immobile, sbigottito. «Le porte sul ponte A non son
buone! Dobbiamo controllare le porte sul ponte B! Capito? Ora
andiamo!»

Prima che Junpei potesse formulare una risposta, l’uomo


poggiò una massiccia mano sulla spalla di Junpei. Con non
maggiore sforzo di quello che Junpei avrebbe usato per
togliersi una mosca di dosso, l’uomo lo spinse via. «Whoa…!»
Avendo perso l’equilibrio a causa dell’uomo e degli eventi
recenti, servirono alcuni passi perché Junpei riacquistasse la
normale camminata. Finalmente riacquistò il suo equilibrio e
guardò a ciò verso cui erano diretti gli altri sette.

C’erano due paia di porte larghe in acciaio alla parete di


fronte a lui. Sembravano piuttosto robuste, e ognuna aveva
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maniglie verticali sporgenti. Sulla superficie di ciascuna delle
due porte, in vernice rossa, c’era un numero. La porta sulla
destra recava 4. E quella sulla sinistra recava 5.

Il ragazzo che Junpei aveva deciso di chiamare Silver, per


via dei capelli, mormorava tra sé: «Sono uguali… La stanza in
cui mi sono svegliato aveva un numero sulla porta, proprio
come quelli.» Inarcando le sopracciglia, il leone guardò Silver:
«Anche tu, eh. La mia pure. Un numero sulla porta. L’ho
aperta, ho corso lungo il corridoio e mi sono ritrovato nella
sala grande piena di scale come, suppongo, è successo a tutti
voi.»

Come se una diga fosse appena stata aperta, tutti


parlarono all’unisono. «Anche io.» «Sì, pure io.» «Già, una porta
con un numero sopra.» Presto divenne chiaro che ognuno di
loro si era svegliato in una stanza con una porta bloccata, e
aveva risolto un enigma per fuggire. E tutti si ritrovarono nella
stessa sala… come se fossero stati guidati lì.

«Sì, okay, abbiamo visto tutti la stessa cosa! Non ha


importanza, dobbiamo sbrigarci!», disse la ballerina. «Pensa che
non lo sappiamo, signora?» Prima che la ballerina potesse
terminare, Silver stava già correndo. Si avvicinò alla porta con
il 5 e tirò. Ad ogni modo… «Fanculo! Non si apre! Questa
dannata cosa non si muove!».

«Spostati, sei in mezzo.», disse la montagna. Prese la spalla


di Silver e lo lanciò via. Con la strada libera, fece qualche passo
indietro, dopodiché si scagliò contro la porta. Una volta… due
volte… tre volte… quattro volte…
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La porta vibrava ad ogni colpo, ma non dava segni di
rottura o apertura. La montagna si scagliò nuovamente contro
la porta. Junpei andò alla porta 4. Vicino alla porta, sulla
parete, c’era una piccola scatola. Sembrava proprio come
quella che aveva visto nella sua stanza, vicino a quella porta. Se
era come quella, allora questa porta era parimenti bloccata. Ad
ogni modo, doveva accertarsene. Junpei prese una maniglia e
tirò con tutta la sua forza. Era bloccata proprio come l’altra,
come sospettava. Junpei diede un pugno alla porta. La porta
non rispose.

Saranno le uniche porte?, si chiese. Aveva a malapena


finito questo pensiero quando la placca del ponte C che aveva
scorso precedentemente si presentò all’improvviso alla sua
mente. Il suo corpo si mosse prima di avere tempo di pensarci.
Junpei si voltò, e corse di nuovo verso le scale. Aveva a
malapena fatto un passo, quando in cima alle scale, accanto ad
un orologio decorato e incastonato nel muro, vide una persona.

Era una ragazza. Sembrava della stessa età di Junpei. Si


bloccò, incapace di guardare altro che il suo volto. Non era
disorientato dalla sua bellezza, o qualcosa di ugualmente
stupido… no, c’era un’altra ragione per cui non poteva
distogliere il suo sguardo dalla ragazza. Junpei l’aveva già vista
da qualche parte. Non riusciva a ricordare dove, ma ne era
certo… sapeva che si erano incontrati in passato.

La ragazza, a sua volta, fissò Junpei, analogamente


sbalordita. La sua reazione suggeriva che anche lei sapeva di
averlo incontrato in precedenza.

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«…»

«…»

Senza proferir parola, Junpei si avvicinò lentamente a lei.


Lei non si mosse. Era come se fosse bloccata lì da qualche sorta
di incantesimo. Appena Junpei la raggiunse, l’incantesimo si
ruppe. Non poté neanche posare il piede sul pavimento, che la
nave tremò una seconda volta.

«Aah!» La scossa colse la ragazza impreparata, e lei cadde.


Istintivamente, Junpei saltò per prenderla… o almeno, così
pensò. Il suo volto era molto più vicino di quel che avrebbe
dovuto essere: a pochi centimetri dal suo. Era steso a terra sulla
schiena, e la ragazza giaceva su di lui. Sembrava confusa
quanto lui, e il suo volto suggeriva che non si era ancora
completamente ripresa dall’averlo visto.

Per un momento che sembrò durare un’eternità, si


fissarono l’un l’altra. La nave smise di tremare. Tutto era
tranquillo. Si poteva sentire l’acqua dal fondo della nave,
infrangersi contro le pareti e i soffitti, ma infine anche quei
rumori si affievolirono.

Il silenzio era totale.

Poi, la ragazza aprì la bocca. «Oh mio Dio… sei tu,


Jumpy?» Jumpy… Jumpy… le sue parole rimbombavano nella
testa di Junpei, e improvvisamente la sua memoria ritornò. «A-
Akane?» Perché non l’aveva realizzato prima? La ragazza era
Akane Kurashiki. Lei e Junpei erano stati amici durante

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l’infanzia – frequentarono insieme la scuola elementare per 6
anni. Ma… cosa ci faceva sulla nave?

I suoi occhi teneri erano a pochi centimetri da quelli di


Junpei… poteva sentire il calore del suo viso. Sentimenti che
credeva sepolti da tempo trovarono il modo di tornare in
superficie. Poteva sentire la sua faccia scaldarsi e arrossire.

In quel momento, un altoparlante crepitò, e una fredda,


misteriosa voce riempì la sala. «Benvenuti a bordo. Do il
benvenuto a tutti voi, dal profondo del mio cuore, su questa
mia nave.»

Con l’intrusione di quella voce, l’incanto tra Junpei e


Akane si spezzò, e ogni accenno di romanticismo fu
immediatamente dimenticato. Si districarono in fretta e furia
l’uno dall’altra, e si alzarono sulle proprie gambe. I loro sette
compagni avevano sentito a loro volta la voce, e molti dei loro
volti erano impalliditi. Si guardarono intorno freneticamente,
cercando disperatamente di localizzare la fonte della voce. E
alla fine la trovarono: un altoparlante sul soffitto.

«Io sono Zero… il capitano di questa nave. Sono anche la


persona che vi ha invitato qui.» La voce era aspra,
occasionalmente oscurata da disturbi elettrostatici, ma Junpei
la riconobbe. Come avrebbe potuto dimenticarla? Era la stessa
voce che aveva udito dall’uomo con la maschera anti-gas.

«Ehi! Idiota! Che diavolo è questa roba? Esci allo scoperto!


Voglio vederti!», urlò Silver. «Cosa hai intenzione di farci?»,
seguì il leone.

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«Voglio che partecipiate ad un gioco. Alcuni di voi, lo so,
hanno familiarità con questo gioco. Il Nonary Game. È un
gioco in cui metterete la vostra vita in palio.»

«Nonary Game…?», disse la ballerina. «Che diavolo è?»,


urlò la montagna. Ma la voce proseguì, implacabile.

«Le regole del Nonary Game possono essere trovate su di


voi. Sono semplici. Leggetele.»

«Nonary Game…?», ripeté la ballerina. «Ehi… c’è


qualcosa nella mia tasca, guardate.» Silver estrasse un piccolo
pezzo di carta. Gli altri si misero le mani in tasca ed estrassero
simili pezzi di carta. Junpei seguì a ruota, e scavò nella tasca
dei suoi pantaloni. Sentì il pezzo di carta leggermente
inumidito dalla precedente ordalia. «Ehi, anche io ne ho uno!»,
esclamò Junpei. Il leone disse: «Dunque sembra che Zero abbia
trovato opportuno dilettare ciascuno di noi con una lettera. Ti
dispiace leggercela, giovane uomo?»

La richiesta era rivolta a Junpei che, dopo un breve


momento di sorpresa, fece come gli era stato chiesto.

«Su questa nave, troverete una serie di porte adornate con


dei numeri. Le chiameremo porte numerate. Le porte di fronte
a voi sono due di queste. Le chiavi per aprire queste porte
numerate sono i braccialetti numerati che ciascuno di voi
possiede. Dovete utilizzare i numeri dei vostri braccialetti e fare
sì che la radice digitale eguagli il numero della porta. Così si
aprirà. Solo coloro che hanno contribuito ad aprire la porta
potranno passare.

22
Ci sono, ad ogni modo, dei limiti. Solo da 3 a 5 persone
possono passare attraverso una data porta numerata. Tutti
quelli che entrano devono aver contribuito, e tutti quelli che
hanno contribuito devono entrare.»

Il braccialetto, comprese Junpei, era quel grosso aggeggio


che aveva al polso. Si guardò intorno. Pareva che ciascun altro
ne avesse uno, e che tutti erano giunti alla stessa conclusione.

«Lo scopo del gioco è semplice: lasciate questa nave vivi.


Anche se nascosta, un’uscita può essere trovata. Trovate una
via d’uscita: trovate una porta che reca un 9.»

Junpei aveva raggiunto la fine della lettera. Ci fu un


lungo momento di silenzio, e poi l’altoparlante gracchiò
un’altra volta.

«C’è un’ultima cosa che devo dirvi. Come avrete già


supposto, la nave ha iniziato ad affondare. Il 14 aprile 1912 la
famosa nave di linea oceanica Titanic si scontrò contro un
iceberg. Dopo essere rimasta a galla per 2 ore e 40 minuti,
affondò nelle acque del Nord Atlantico. Io vi darò più tempo. 9
ore. È il tempo che vi sarà dato per la vostra fuga.»

La voce terminò, e l’altoparlante tornò in silenzio. Il suono


di una campana rintoccò echeggiando per la sala. Proveniva
dalla sala da ballo adiacente alla tromba delle scale. Servì poco
ai nove riuniti sulle scale per capire che il suono proveniva da
un orologio antico incastonato alla parete.

Sette… otto… nove…

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Il suono del nono rintocco si dissolse. Il decimo non
giunse mai. Questo significava che erano le 9 in punto.
Probabilmente le 9 di sera. Quando Junpei aveva guardato
fuori dalla finestra della sua stanza, non aveva visto altro che
oscurità. Doveva essere notte. Se le cose stavano così, avrebbero
dovuto fuggire entro le 6 del mattino seguente.

«Ecco, è ora. Che il gioco abbia inizio. Auguro a tutti voi la


migliore fortuna.» sentenziò per l’ultima volta l’altoparlante.

24
3. Convenevoli e non solo

Silver urlò all’altoparlante con un linguaggio abbastanza


osceno da imbarazzare un marinaio, ma il resto dei compagni
di Junpei rimase in silenzio, assorbito nei propri pensieri.
Junpei, a sua volta, non riusciva a mettere a tacere la voce
nella sua testa. C’erano troppe cose che non riusciva a
comprendere.

Chi era Zero? Cos’era il Nonary Game? Perché era stato


scelto per farne parte? Era un criminale che si dilettava
giocando con le sue vittime? O aveva qualche altro scopo? E
perché Junpei era stato scelto per questo gioco insano? Perché
ciascuno di loro era stato scelto? Ma una domanda tra tutte, lo
tormentava: Akane. Non si erano più visti dalle scuole
elementari. Perché era ricomparsa adesso? Coincidenza? No.
Sembrava impossibile. Doveva esserci una ragione. Non aveva

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la minima idea di quale potesse essere, ma… doveva esserci
una ragione.

«Molto bene!» La voce del leone suonò stranamente alta


in mezzo al silenzio generale. «Stare qui fermi non ci porterà
da nessuna parte. È meglio se ci muoviamo, non pensate?»

«…muoverci?», disse Junpei sbigottito. «Hai intenzione di


aprire le porte numerate?», aggiunse Akane. «E-ehi, aspetta!
Non dirmi che vuoi davvero fare quel… quel che ci ha detto
Zero?», disse la ballerina, contrariata.

«No, no, non intendevo questo.» Il leone scosse il capo,


leggermente indispettito. «Quel che intendo dire è, cerchiamo
un’altra via. Dopotutto, non abbiamo ancora esaminato
davvero questo posto.» «Noi… cosa?» rispose la ballerina,
perplessa.

Dopo un po’ di tempo, le loro indagini separate si


conclusero, e tutte le nove persone tornarono dove si erano
lasciate. Il risultato di tutte le loro ricerche era… il nulla.
Erano completamente sigillati là dentro. Il loro duro lavoro
non era completamente da buttare, comunque. Avevano
imparato alcune cose perlustrando le parti della nave al
momento raggiungibili.

Pare che fossero confinati dal ponte A al ponte C. Il ponte


C era il punto più basso che avrebbero potuto raggiungere. E la
ragione è che il ponte D era completamente sommerso.
Stranamente, ad ogni modo, l’acqua non era salita oltre il
ponte D. Il flusso era stato bloccato in qualche maniera, come

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evidenziato dalla superficie dell’acqua sul ponte D, liscia come
il vetro.

Il principe si inginocchiò e intinse delicatamente la mano


nell’acqua. «Probabilmente questo “Zero” ha utilizzato qualche
sorta di controllo remoto per chiudere una porta a tenuta
stagna laggiù. Ha detto che il nostro tempo limite è di 9 ore. In
altre parole, quest’acqua non s’innalzerà per 9 ore.» La
montagna prese subito la parola: «Stai dicendo che non
affonderemo fino a quel momento?» «Be’, questa è una
previsione fin troppo ottimistica. Il pensiero positivo non ci
aiuterà.»

C’erano tre porte di metallo sul ponte C. Una singola


porta di lato, e altre due sulla parete di fronte alle scale
principali. Nessuna di esse era numerata, o aveva dispositivi
elettronici. Ad ogni modo, erano bloccate come le altre porte.
Non importa quanto spingessero o tirassero, le porte
rifiutavano di muoversi. La montagna e il leone si gettarono su
di esse alcune volte, invano. La porta sul lato aveva una
serratura. Proprio sopra di essa c’era uno strano marchio, a
forma di cerchio che circonda un punto.

C’erano altre due porte sul ponte C, ma era chiaro che si


trattava di ascensori, dal momento che entrambi avevano un
pulsante vicino con un triangolo a rovescio. Provarono a
premere il pulsante. Non ottennero risposta. Apparentemente,
gli ascensori non ricevevano energia. A sinistra degli ascensori
c’era un card reader. Anche questo recava uno strano simbolo.
Sembrava una “h” minuscola con un piccolo trattino
orizzontale sulla parte superiore della gamba della “h”.
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Junpei lo osservò per un po’. «È il simbolo di Saturno, un
simbolo astrologico.», disse Akane. «Quindi… il simbolo
sull’altra porta…» proseguì Junpei, in attesa di una risposta.
«Credo sia il simbolo del Sole», concluse Akane.

Avevano visto un simbolo simile sul ponte A. C’erano due


porte ai lati delle scale. Quella a sinistra aveva una serratura
con un marchio: un cerchio con all’interno una linea verticale
e una orizzontale. «Questo è il simbolo della Terra. La linea
orizzontale simboleggia l’equatore, e quella verticale il
Meridiano di Greenwich.» Junpei guardò il soffitto. C’era una
grande circonferenza tagliata su di esso, forse per una cupola
di vetro o per guardare il cielo, ma era stato riempito con una
gigantesca placca metallica. Il metallo sembrava molto solido.
Dava l’impressione che neppure delle cariche esplosive lo
avrebbero intaccato.

C’erano svariate finestre lungo entrambi i lati della nave –


o meglio, c’erano state. Anch’esse erano coperte con placche di
metallo. In altre parole, erano intrappolati. «Le uscite non
conducono a nulla…» Junpei non era felice. La ragazza coi
capelli rosa parlò: «Be’, sono sicura che vadano da qualche
parte. Solo che non possiamo aprirle.» Poi parlò la montagna:
«Questo non lo sappiamo. Per quel che possiamo constatare, le
porte si aprono semplicemente su muri, o ci fanno girare a
vuoto.»

Il principe non era d’accordo: «No. Sono certo che


conducano da qualche parte. Altrimenti, perché ci sarebbero
state? E possiamo aprirle. Be’, perlomeno due di esse.» «Intendi
le porte numerate…», disse Junpei. Gli occhi di tutti puntarono
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le porte che recavano i numeri di vernice rossa. L’atmosfera
nella stanza era gravida di tensione.

«E-ehi! Aspettate un minuto! Penso di averlo già detto


poco fa, ma non credo dovremmo farlo.» La ballerina si mise di
fronte alle porte, come per fermarli. «Dovremmo essere pazzi
per aprire quelle porte. E lo facciamo, staremo agendo
esattamente come vuole Zero.» Improvvisamente, tutti
parlarono all’unisono. «Sono d’accordo!» «No! È un’idea
terribile!» «Dovremmo andare.» «Dovremmo restare!» «Non
abbiamo altro modo di aprire qualunque altra porta.»
«Dovremmo solo aspettare. Qualcuno verrà a salvarci!» «Non
abbiamo tempo per questo!» «In 8 ore e mezza, la nave
affonderà!»

Il clamore delle voci rese impossibile determinare chi


stesse dicendo cosa. La discussione si fece più e più intensa,
finché ognuno si ritrovò ad urlare e strillare in faccia agli altri.
Junpei era rimasto in silenzio, ma non poté resistere
ulteriormente. «State zitti!» Tutti si zittirono, e si voltarono a
guardare Junpei. Sentì ogni sguardo fiammeggiante su di lui,
ma non si fece indietro. «Prima di decidere come abbiamo
intenzione di agire, c’è qualcos’altro che dovremmo fare.
Dobbiamo scambiarci informazioni. Non sappiamo nulla su
ciascun altro. Voglio sapere chi siete… Chi siete, da dove
venite, perché siete finiti qui… Non ditemi che non siete
curiosi anche voi.»

Rimasero in silenzio. Alcuni di loro si volsero da un’altra


parte, o si morsero le labbra, o incrociarono le braccia e
guardarono il soffitto. Ma una di loro parlò. Era Akane. «Sono
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d’accordo. Penso che Jumpy abbia ragione.» «Jumpy?», esclamò
la montagna. «Oh, scusate. Intendo lui… io lo chiamo
semplicemente Jumpy. Il suo nome è Junpei.» Indicò Junpei, e
proseguì. «Siamo amici d’infanzia. Frequentavamo le stesse
scuole elementari.» La montagna irruppe energicamente:
«Aspettate! Fermi! Non diteci roba che non vi abbiamo chiesto!
Zero probabilmente ci sta osservando, in questo momento. E se
ci stesse ascoltando?» Akane trasalì: «Sarebbe… una cattiva
cosa?»

«Certo che lo sarebbe! Non abbiamo idea di quanto quel


bastardo sappia di noi. Magari ha rapito un mucchio di persone
a caso. E se fosse così, allora sarebbe pericoloso per noi
rivelargli così tanto. Se Zero sapesse chi siamo, potrebbe
prendersela con le nostre famiglie. Magari le terrebbe in
ostaggio costringendoci a fare qualche porcheria, no?» Akane
rispose, non troppo convinta e tristemente: «Ma… dobbiamo
comunque sapere come ci chiamiamo… Sarà difficile
comunicare se non abbiamo dei nomi.» «Nessun problema,
perché non usare dei nomi in codice?» Alla montagna,
apparentemente, sembrava l’ovvia soluzione. «Ognuno di noi
se ne sceglierà uno. Ad esempio… io sarò Seven.» «Seven?
Perché sei “Seven”?», chiese Junpei. Sembrava una domanda
sensata.

La montagna mostrò il suo braccio sinistro. «Perché il


numero del mio braccialetto è un 7.» «Ah, ho capito. Sì, è una
buona idea.» Il ragazzo dai capelli argentati fece un sorriso
compiaciuto. «Ok, allora io sarò Santa. Qualcuno di voi
ignoranti conosce il Giapponese? No? Be’, “san” significa “3”.

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Quindi sarò Santa, da Santa Claus, Babbo Natale. Mi sta
benissimo, non trovate?» Il leone parlò: «Dunque il numero del
tuo braccialetto è…» «Sì, ha un 3 sopra. Buon lavoro, nonno.»
Proprio come la montagna poco prima, Silver mostrò la mano
sinistra. Il suo braccialetto recava un 3.

Il leone continuò: «Okay, dunque. Sono il prossimo, se non


avete nulla in contrario. Il numero del mio braccialetto è 1.
Detto questo, credo che Ace, da Asso, sia appropriato.» La
ballerina prese la parola: «Io, invece, sarò Lotus. Come
certamente già sapete, il loto ha 8 petali. Il che significa,
naturalmente, che il numero del mio braccialetto è un 8.»

Fu la volta del principe: «Apprezzerei se mi chiamaste


Snake. Il numero del mio braccialetto è il 2. Dato che Ace ha
scelto le carte, io scelgo i dadi: gli occhi di serpente,
chiaramente. Il che è particolarmente rilevante, dal momento
che sono cieco.»

Cieco? Davvero? Aveva tenuto gli occhi chiusi per tutto il


tempo, il che pareva effettivamente strano, ma sentirglielo dire
così senza preavviso… fu decisamente una sorpresa. Tutti
sembrarono un po’ nervosi per la dichiarazione del principe,
ma nessuno aveva idea di come reagire. C’era una persona,
comunque, che non sembrava per nulla sorpresa dalla notizia.
La ragazza dai capelli rosa.

«Io voglio essere Clover. Significa quadrifoglio. Porta


fortuna, no?» Con l’aria piuttosto annoiata, mostrò la mano
sinistra. Il braccialetto mostrava il numero 4. Tutti si misero
intorno a Junpei, che mostrò il suo braccialetto. «Okay, il mio
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numero è il 5, quindi il mio nome in codice è…» Lotus lo
interruppe: «Perché usarne uno? Non ha alcun senso ormai.
Voglio dire… ormai sappiamo tutti il tuo nome. Sei Junpei.»
«O-oh…» Annuirono tutti.

Akane fece un passo in avanti, nervosamente. «Allora


dovrete chiamare per nome anche me. Perché… voglio dire,
non mi sembra…» «Non ti sembra corretto nei confronti di
“Jumpy”?» disse Seven. Santa parlò a sua volta: «Pensi che non
sia giusto nascondere il tuo nome dopo che ci hai rivelato il
suo?» «…» Akane si mosse irrequietamente e goffamente.
Junpei decise che doveva fare qualcosa. «Che numero hai sul
braccialetto?» «È un 6…» Esitò per un momento, e poi mostrò
la mano. Junpei osservò il 6 per un momento, e pensò.
«Perfetto… perché non ti chiamiamo June? Giugno, il sesto
mese dell’anno. Ok, tu sei June.»

«Jumpy…» Akane intrecciò le sue mani e guardò Junpei,


incerta. Lui le mandò un sorriso, rassicurandola. «Ti piace
questo nome?» Akane ci pensò un po’, dopo di che sorrise a
Junpei e diede un lieve cenno di assenso. Una volta stabiliti i
nomi, Junpei li ripercorse mentalmente.

L’1 era Ace. Il 2 era Snake. Il 3 era Santa. Il 4 era Clover. Il


5 era il suo numero. Akane era il 6, e Junpei le aveva dato il
nome in codice June. Il 7 era Seven. E l’8 era Lotus. Questo
significava che 8 di loro, lui compreso, avevano rivelato i
numeri dei loro braccialetti. Ma c’era ancora qualcuno…
l’uomo mingherlino con gli occhiali e i capelli come un nido di
uccelli. Non aveva detto nulla da quando si erano incrociati

32
sulle scale, e non sembrava il tipo di persona incline alla
conversazione.

La sua pelle era pallida, il suo respiro pesante, e stava


sudando freddo. Il suo comportamento era molto sospetto, o
quanto meno emotivamente instabile. Era difficile da stabilire.
Qualsiasi fosse il caso, era chiaro che ben poco lo teneva
ancorato alla sanità mentale.

La ragazza con i capelli rosa, Clover, camminò verso di lui,


lentamente. Si mise le mani sui fianchi e lo guardò
sospettosamente: «Qual è il tuo numero?» Non rispose. I suoi
occhi iniettati di sangue passarono da persona a persona, e il
suo respiro si fece molto più affannoso. «Ehi, dico a te…»
L’uomo si leccò le labbra asciutte con la lingua tremolante e
parlò con una voce simile a quella di una vecchia papera: «N-n-
non è o-ovv-ovvio? Ci sono 9 persone qui. E-e-e voi sapete chi
ha i numeri da 1 a 8. Sono l’ul-l’ultimo rimasto.» «Quindi sei il
9?» «S-sì.»

Mostrò un braccio tremolante. Il braccialetto riportava


effettivamente un 9. Clover gli diede uno sguardo sprezzante.
«E qual è il tuo nome in codice?» «N-n-n-nome in c-codice?»
«Come vuoi che ti chiamiamo? Noi abbiamo i nostri nomi.
Dovresti fartene uno anche tu.» «I-i-i-io no-non ne ho bisogno.»
«Perché no?» «P-p-perché no-non ho intenzione di stare qui.
Con v-voi.» Ebbe un fremito ed esalò un profondo respiro.
Clover lo guardò con disgusto. «Hai un piano?» «S-sì.»

«Sì? E qual è?» «S-s-sei sicura di v-volerlo sapere?» «Sì…?»


«B-bene. Lasciate che v-ve lo mostri. H-h-ho intenzione di fare
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questo!» Clover urlò. Appena tutti realizzarono cosa aveva
fatto, era ormai troppo tardi per fermarlo. Il corpo dell’uomo si
mosse come quello di un serpente. In un batter d’occhio, era
scivolato dietro di lei, e aveva avvolto il suo braccio attorno alla
vita di Clover.

«Ehi, che diavolo pensi di fare?» Santa saltò verso Clover e


il nono uomo. C’era quasi, quando… «S-state indietro!»
Improvvisamente la mano dell’uomo rovistò nella sua tasca.
Tornò indietro con un coltello. Un coltellino. Lo puntò al
tremolante, pallido collo di Clover. «S-s-se provi a-ad
avvicinarti…! La apro!» Santa si arrestò di colpo. Ringhiò
all’uomo mingherlino col coltello e digrignò i denti.

«O-okay, c-così va bene…» Il sorriso dell’uomo non era né


amichevole né rassicurante. Il sudore colava lungo il suo collo,
inzuppando il colletto della sua camicia. «Clover… stai bene?»
La voce di Snake sembrava stranamente molto coinvolta. «S-
sì… sto bene…» La sua voce tremava, rendendo le sue parole
per nulla credibili.

«Che diavolo stai cercando di fare?» urlò Junpei. «V-ve l’ho


detto… Questo è il mio piano…». Seven sbraitò: «Che cazzo
vuoi farle, lurido figlio di puttana?» «N-non preoccupatevi… n-
n-non le farò nulla… Se farò ciò che le d-dico, la lascerò
andare.» Cominciò a muoversi all’indietro, lentamente,
mantenendo la presa su Clover. Mantenendosi a distanza,
Junpei e gli altri lo seguirono. Poi, l’uomo raggiunse il muro.

Fece un piccolo passo in avanti appena la sua schiena


toccò la parete, si guardò intorno velocemente e parlò: «I-
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Identificati.» «Eh?» «Sinistra. Guarda alla tua sinistra. V-vedi il
dispositivo sul muro? M-metti la tua mano sullo scanner, la
parte rotonda.» «E se non lo facessi?» Le narici dell’uomo si
allargarono e sembrava sul punto di soffocare. «S-s-s-sei un
idiota? C-c-cosa pensi che faccia? P-potrei squarciarti la gola in
questo stesso istante! Ti ucciderò se necessario. T-tutto ciò di
cui ho bisogno è il tuo braccialetto. Fallo e basta! F-fallo ora!»
Premette il coltello contro il collo di Clover.

Lentamente, lei allungò la sua mano sinistra verso il


dispositivo. Gli stava dando le spalle, quindi ci mise un po’
prima di trovare il pannello circolare. Fece un suono freddo ed
elettronico, e sullo schermo soprastante comparve un asterisco.
È così che funziona dunque, pensò Junpei tra sé. Posizionando
il palmo di qualcuno su quello che il nono uomo ha chiamato
lo “scanner”, il numero del braccialetto dell’utente viene
inserito nel dispositivo.

Zero aveva detto che la radice digitale dei numeri inseriti


avrebbe dovuto essere la stessa del numero della porta. Junpei
osservò la porta. Il numero su di essa era 5. Il nono uomo
sembrava sapere più del dovuto su quei dispositivi. Come
poteva sapere esattamente le operazioni necessarie?

«Bene… bene, hai fatto il tuo dovere. I-i-il prossimo…» I


suoi occhi iniettati di sangue strisciarono da persona a persona
finché si fermarono sul leone, Ace. «Tu, è corretto? Sei tu
quello col numero 1, vero?» «Sì, sono io. Quindi?» «Qu-quindi
sei t-tu il prossimo…» «Identificati come ha fatto questa
piccola p-peste.» «…» «B-be’? Fallo! N-non ti importa di c-cosa
le potrebbe succedere?» «O-okay, okay. Datti una calmata.»
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Ace alzò le mani in segno di resa, palmi in fuori. Il nono
uomo indicò di scatto, con il mento, il dispositivo. Lentamente,
cautamente, Ace si mosse verso di esso. Dopo quella che parve
un’agonizzante eternità, lo raggiunse. «Ora, identificati.» Ace
annuì e pose la sua mano sullo scanner. Il dispositivo emise un
altro bip, e comparve un secondo asterisco. Ora il dispositivo
aveva i numeri di Clover e di Ace. 4 e 1.

4+1=5

Lo stesso del numero scritto sulla porta. Ma non si sarebbe


aperta così semplicemente. Zero aveva detto che serviva un
minimo di tre persone e un massimo di cinque. La porta
richiedeva almeno un’altra persona. Chi? «S-s-s-state indietro.»
La sua voce tremava, ma il coltello che puntava alla gola di
Clover rendeva le sue parole degli ordini. Ace fece due, poi tre,
passi indietro. «No! Di più! Più di così! Torna molto più
indietro!» Lentamente, Ace fece come gli era stato ordinato.

Le labbra del nono uomo si curvarono per formare un


sorriso crudele e contorto. A quel punto, Junpei comprese il
suo piano. Clover ha un 4 e Ace un 1… sommato al 9 del nono
uomo…

4 + 1 + 9 = 14 -> 1 + 4 = 5

Il nono uomo esplose in una risata isterica. «Gr-grazie a


Dio c-collaborate tutti così b-bene! Ora posso uscire da questo i-
incubo!» Premette la sua mano contro lo scanner. Apparve un
terzo asterisco sullo schermo. Afferrò la leva a lato del
dispositivo e la tirò. La porta si aprì con un cigolio pesante e

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metallico. Lasciò andare Clover. «Aspetta!» Junpei corse verso
il nono uomo, ma non fu abbastanza veloce. L’uomo spinse
Clover, e saltellò attraverso la porta. «O-okay, buona fortuna,
ragazzi. Ora me ne vado. Bene… addio…» Alzò la mano in
segno di saluto, con una smorfia contorta e dall’aria furba. Poi,
se ne andò. La porta si serrò con un lento fragore di metallo
contro metallo.

«Clover! Stai bene?» Snake corse verso Clover, che giaceva


sul pavimento. «S-sì, sto bene.» Si alzò malamente sui suoi
piedi, e si poggiò sulla spalla di Snake in cerca di supporto.
Junpei corse verso la porta, e gli altri lo seguirono. Svariate
paia di mani afferrarono le maniglie e tirarono. Grugnirono e
si sforzarono, ma invano.

Poi fu Lotus, la ballerina, a parlare. La sua voce era calma.


«Non sentite qualcosa?» «Tipo cosa?» «Come dei bip, bip,
bip…» Junpei premette l’orecchio contro il freddo metallo
della porta. Gli altri fecero lo stesso. «Hai ragione, lo sento
anche io.» disse June. «Cos’è?», chiese Santa.

Poi, sentirono qualcos’altro. Era il nono uomo. «Merda!


Perché non si ferma? Maledizione! H-h-hai m-mentito!»
Mentito? «Qu-qu-questo non doveva succedere… è sbagliato! È
sbagliato!» La sua voce tremava di paura. Gli altri si
allontanarono dalla porta e si guardarono l’un l’altro. «Che sta
succedendo là dentro…?», chiese Ace. «A-a-a-aprite la porta! Vi
prego! Vi supplico! Aiutatemi! Per favore, tiratemi fuori di qui!»

Junpei guardò il dispositivo. Sbatté violentemente la mano


contro lo scanner. Non accadde nulla. Perché non lo
37
identificava? Guardò il display dove erano comparsi gli
asterischi. Ora c’era scritto, in rosso, “OCCUPATO”.

«A-ah… mio Dio, mio Dio, non c’è più tempo…! Ascoltate!
Sono stato ingannato! Mi ha mentito! Mi ha fatto entrare lui! È
stato lui! Mi ha ucciso! È stato lui!» Le urla isteriche non si
contenevano. Poi, un’esplosione che fece oscillare tutta la
stanza. Istintivamente tutti si rannicchiarono, poi si rialzarono
lentamente realizzando che non c’era pericolo.

Nessuno parlò. Il silenzio riempì la stanza. In quel silenzio,


il suono elettronico che echeggiò nella stanza sembrò forte
come un colpo di pistola. Tutti gli occhi puntarono verso la
fonte. Veniva dal dispositivo accanto alla porta. Il display era
cambiato da “OCCUPATO” a “LIBERO”, in verde.

«Vediamo se possiamo aprirla…» Seven deglutì. Junpei


annuì e piazzò la sua mano sullo scanner. Un asterisco rosso
comparve sul display LCD. Aveva registrato il numero di
Junpei: 5. Non bastava, chiaramente. Erano necessarie almeno
altre due persone. Junpei chiese: «Santa e… uhm, June, mi
dareste una mano qui?»

Il gioco di parole calzava alla perfezione, ma l’atmosfera


restava macabra. Sia Santa che June allungarono le mani
silenziosamente.

5 + 3 + 6 = 14 -> 1 + 4 = 5

Avevano soddisfatto le condizioni. Junpei guardò gli altri,


che annuirono, e annuì a sua volta. Poi lentamente, molto
lentamente, abbassò la leva. Ci fu un cigolio metallico, e la
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porta si aprì automaticamente. Dell’aria provenne da dentro,
portando un fetore che per poco fece loro perdere il respiro.
Junpei fece una smorfia e si coprì la bocca con una mano. «Oh
mio Dio…» «Buon Dio…» Lotus e Ace rabbrividirono. Seven
grugnì. «Ah… è… orribile.» Anche la voce di Santa tremava:
«È… esploso…»

Apparentemente, Santa diceva il vero. Il corridoio


dall’altro lato della porta era cosparso di pezzi di carne lacerata
e scuro sangue rosso. Lo strillo di June echeggiò per la stanza.
La sua forza la abbandonò, e crollò. Mentre Junpei si voltò per
afferrarla, la porta si richiuse con un tonfo. Lei cadde al suolo.
«June! Stai bene?» Junpei cadde in ginocchio e mise il suo
braccio attorno alle spalle di lei. Fu allora che si accorse che il
suo corpo era febbricitante. Emanava un intenso calore. «Ma
che diamine! Da dove viene questa febbre?» June non rispose.

Il suo viso pareva di cera, e il suo corpo iniziò a tremare.


«Okay, riposiamo per un minuto, va bene? Pensi di riuscire a
camminare?» Lei annuì debolmente. Junpei sollevò June sui
suoi piedi, e la guidò ad una sedia vicina. «Come ti senti? Stai
bene?» Lei annuì, e mentre lo fece, una singola, enorme
lacrima discese a lato del viso. «Perché… perché è successo…»
La sua voce era stridula, rotta dalla sofferenza e dal tormento e
soffocata da singhiozzi. «Perché è successo…» June si voltò
dall’altra parte.

«Qualcuno di voi sa che cazzo sta succedendo qui? Chi è


Zero? Cos’è questo “Nonary Game”? Forza! Nessuno? Niente?
Che sta succedendo? Che ci facciamo qui?» urlò Junpei.
Nessuno rispose. Ace, Snake, Santa, Clover, Seven, Lotus…
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erano semplicemente immobili, sette paia di occhi abbattuti e
sette labbra serrate. Il corpo di June tremò con singulti
silenziosi. Rallentarono, e poi cessarono.

Poi, d’improvviso, nel freddo e pesante silenzio che li


aveva avvolti come una densa nebbia, una campana iniziò a
suonare. L’orologio nella sala centrale. Sette, otto, nove, dieci
volte. Poi, al decimo rintocco, si fermò. Il suono della campana
si dissolse nel silenzio.

«Sono le dieci, dunque.» Ace espose quello che tutti


stavano pensando. «Significa che è passata un’ora
dall’annuncio di Zero.» La profonda voce di Seven echeggiò
per la stanza.

«Fanculo! Ne ho abbastanza di questa merda!» Santa saltò


sui suoi piedi, i pugni serrati. «Per quanto tempo ancora
abbiamo intenzione di prendercela comoda? Abbiamo solo 8
ore prima di morire! Andiamo! Andiamo!» Le grida di Santa
erano rivolte a orecchie sorde. Nessuno pareva d’accordo con
lui. Tutti lo fissarono, gli occhi bianchi e i volti stanchi.

Poi, Lotus parlò. «No. Mi rifiuto. Non ho intenzione di


finire come lui.» «Intendi il nono uomo?» «Certamente. Chi
altri?»

Nella sua mente, Junpei rivide il corpo. La scura, rossastra


pozza di sangue. I pezzi di carne sparpagliati. Organi sparsi sul
pavimento come fioritura di una pianta grottesca. L’esplosione
che aveva lacerato il suo corpo era stata potentissima. Il collo
del nono uomo era accartocciato con una strana angolatura.

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Junpei sospettò che la detonazione l’avesse scagliato contro il
muro. Metà del suo volto era frantumata, e l’altra metà
ricoperta di sangue. Buona parte dell’addome era vuoto, per
l’esplosione o per la forza di gravità. Giaceva a schiena in giù, e
rigide bianche costole sporgevano fuori dal torace, come le
gambe di un granchio macabro.

Junpei sentì qualcosa scuotersi nel suo stomaco. «Penso


che si sia proprio… accartocciato» Le sue sopracciglia si
alzarono, e Santa proseguì: «Probabilmente è incappato in
qualche trappola, e questa l’ha uccisa. Non ho intenzione di
finire in quel modo! Voglio uscire di qui vivo!»

Snake si mise a ridere. Qualunque fosse la ragione


dell’ilarità, Santa non la trovò particolarmente divertente.
«Cosa c’è di così fottutamente divertente?» «Oh, porgo le mie
scuse… eri semplicemente così… così convinto!» «Che cazzo
vuoi?» «Penso tu abbia frainteso tutta la situazione.» «Eh?» «Il
nono uomo. La sua morte non ha nulla a che fare con una
trappola. O almeno non il genere di trappola cui stai
pensando.» «Quindi…?» «Ha violato una delle regole di Zero. È
per questo che è morto. È piuttosto semplice se ci pensi.»

Santa era confuso, e Snake continuò a parlare. «Non ci


arrivi ancora? Ok. Fai mente locale su ciò che Zero ha detto.
Nello specifico, cosa ha detto riguardo il numero di persone?»
«Diceva che possono passare da tre a cinque persone,
attraverso una porta numerata. Giusto?» «E poi? Hai
dimenticato la parte importante. Cosa diceva Zero?» Santa
corrugò la fronte, immerso nei suoi pensieri. Anche Junpei

41
cercò di ricordare. Tutti quelli che si identificavano, poi
dovevano entrare.

«Esattamente! Stellina d’oro per te, Junpei.» Snake inclinò


la sua testa verso Junpei. «Il nono uomo, comunque, ha violato
questa regola, cercando di passare da solo. È per questo che è
stato messo a morte. «Quindi Zero ci sta osservando da qualche
parte, assicurandosi che non violiamo le sue regole.», disse
Seven.

«Oh, non ne sarei così sicuro.» «Perché?» «Perché il


sistema con cui è stato ucciso è stato interamente automatico.
Non l’hai notato? Non c’è bisogno che Zero ci monitori.» «Che
intendi?» Snake guardò a Seven con uno sguardo di
compassione, e sospirò. «Molto bene. A quanto pare dovrò
essere io a dirvelo. Ho atteso abbastanza a lungo, suppongo.
Speravo che Zero mi risparmiasse da questa situazione, ma
sembra sempre più improbabile.» Non poteva vederli,
chiaramente, ma comunque Snake percepì gli occhi confusi
puntati su di lui.

Quando Ace parlò, diede voce ai pensieri di tutti gli altri.


«Tu sai qualcosa?» «Be’, io so molte cose, ma… Sì.» «E che cosa
sai?» «Ecco.» Snake prese un foglio dalla tasca della sua giacca.
Lo fece sventolare elegantemente e lo porse ad Ace, che gli
diede un’occhiata e parlò. «Eddai, a che serve darmi questa
roba?» «Da’ qua» Santa strappò il foglio via di mano da Ace,
ma la sua espressione di disgusto si tramutò rapidamente in
confusione.

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«Eh? Che cos’è questo?» Seven prese la carta, che poi passò
a Lotus, a June, e infine a Junpei. La guardò, e comprese. «È in
braille.» Braille. Il linguaggio scritto dei ciechi. Il foglio era
ricoperto di piccoli punti sporgenti. Junpei lo riconosceva, ma
non poteva certo leggerlo. «Mi spiace, ragazzi, ma questo non
ve lo posso leggere.» Junpei restituì il foglio a Snake. Che
annuì con un piccolo sorriso furbo.

«L’ho trovata nel mio taschino. Posso solo supporre che sia
un messaggio da parte di Zero.» Tutti erano confusi e volevano
sapere cosa dicesse il messaggio. Si ammassarono attorno a
Snake, cercando disperatamente di sentire. Santa, in particolare,
sembrava come aggrappandosi a Snake volesse scuotere le
risposte direttamente da lui.

Snake alzò la mano. «Calmi, calmi. Niente panico. Non c’è


bisogno che mi forziate, la leggerò.» Junpei deglutì e aspettò
che Snake iniziasse. Non era il solo. Finalmente, Snake iniziò a
leggere, la sua voce calma. Le sue dita scorrevano lungo i
punti sporgenti mentre parlava.

«Braccialetto numero 2, dal momento che non hai avuto


la benedizione della vista, dovrò benedire te – e solo te – con
ulteriori informazioni. Ti spiegherò il funzionamento del RED,
del DEAD, e del braccialetto.

Il RED è il Recognition Device, dispositivo di


riconoscimento. Verificherà il tuo numero. Accanto ad ogni
porta numerata, troverai un RED.

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Il DEAD è il Deactivation Device, dispositivo di
disattivazione. Fa esattamente quel che dice il suo nome. Dopo
essere passato attraverso la porta numerata, devi usare il DEAD
per fermare il detonatore nel tuo braccialetto.

Ma come probabilmente ti starai chiedendo… cosa fa


esplodere questo detonatore? Immagino che questa sarà una
bella sorpresa. Ho piazzato una piccola bomba dentro di te, e
dentro le persone che presto incontrerai. L’hai ingoiata mentre
non eri cosciente.

Non ho dubbi che quando starai leggendo questa nota, la


bomba sarà passata oltre il tuo stomaco e seguirà il suo corso
nell’intestino tenue. In altre parole, non potrai rigurgitarla. Ti
suggerisco di non provarci.

Come detto sopra, il braccialetto sulla tua mano sinistra


contiene un detonatore. Immaginalo come una miccia a
distanza, o un timer per la bomba nel tuo corpo. C’è una sola
condizione che causerà la detonazione.

Quella condizione è l’entrare attraverso una porta


numerata. Dopo averlo fatto, il timer si attiverà, non importa
chi tu sia. Da quel momento, avrai 81 secondi. Se, dopo questo
tempo, il detonatore non è stato disattivato, invierà un segnale
alla bomba nel tuo corpo, dicendole di esplodere.

Per disattivare il detonatore, ogni persona che ha


identificato il suo numero al RED deve identificarsi al DEAD.
Una volta che tutti i numeri saranno identificati, dovrai solo
tirare la leva a lato, e il conto alla rovescia cesserà.

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Chiunque non si sia identificato al RED non potrà
identificarsi al DEAD. Quindi, se passi attraverso la porta
numerata senza esserti identificato al RED, in 81 secondi
morirai.

Inoltre, devi tenere a mente che la porta numerata si


chiuderà automaticamente dopo 9 secondi. Fino a che la porta
è aperta, il DEAD non sarà in funzione. Faresti bene a
ricordarlo.

Infine, parliamo di come rimuovere il braccialetto. Ci


sono solo due modi per farlo.

Primo: riesci a fuggire da questa nave.

Secondo: il tuo battito cardiaco raggiunge lo zero.

In altre parole, appena il braccialetto sarà portato fuori dai


confini della nave, oppure noterà che il tuo battito cardiaco è
sceso a zero, si sbloccherà automaticamente.

Non esiste altro modo per rimuovere il braccialetto. Se


tenterai di forzarlo in qualche modo, il detonatore si attiverà.

Queste sono tutte le informazioni che posso fornirti. Sta a


te decidere come utilizzarle. Se usate saggiamente, potrai
eliminare coloro che potrebbero costituire un pericolo per te.
Per un po’, potrai controllare il tuo destino. Ti auguro la
migliore fortuna.»

Snake concluse la lettura, e ripose accuratamente il foglio


nella sua tasca. Il messaggio era stato lungo, ma il significato

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chiaro. Solo chi si era identificato al RED poteva passare
attraverso la porta numerata. Le squadre non potevano
aumentare o diminuire il loro numero. I RED, DEAD e
braccialetti si assicuravano che le regole fossero rispettate.
Erano giudice, giuria e boia.

Per sfida contro i suggerimenti di Zero, sia Santa che


Seven si infilarono le dita in gola fingendo di rimettere. Gli
altri si irrigidirono. Alcuni si toccarono il ventre – altri
semplicemente fissavano, passivi, i loro braccialetti. Junpei si
toccò la pancia cautamente. C’era una bomba nel suo corpo. Al
solo pensiero gli venne la nausea. Lo stomaco gli sembrava
stranamente vuoto, e le gambe deboli.

Perché Zero aveva progettato un tale gioco sadico? Junpei


guardò gli altri. «Okay, lo chiederò un’altra volta. Qualcuno di
voi sa qualcosa riguardo Zero?» Rimasero in silenzio, in attesa
di sentire ciò che gli altri avrebbero detto. Infine, Santa parlò:
«Effettivamente, io… io l’ho visto. Ho visto Zero quando sono
stato rapito. Non l’ho visto in faccia, però. Quel figlio di
puttana indossava una specie di maschera anti-gas.» Nessuna
risposta. «… be’? Su ragazzi, dite qualcosa… Tipo,
sorprendetevi o qualcosa di simile.»

Invece, fu proprio Santa ad essere sorpreso. Ci fu un


momento di silenzio, e poi tutti parlarono all’unisono. «Sì,
anche io l’ho visto!» «Pure io.» «Indossava una maschera…»
Dopo avere ascoltato ordinatamente le storie, la verità divenne
chiara: erano tutte uguali. Erano stati rapiti a casa, verso
mezzanotte. La persona che rivendicava di essere Zero
indossava una maschera. Ci fu del fumo bianco, e poi ciascuno
46
perse conoscenza. Quando si svegliarono, si ritrovarono sul
ponte D, in una stanza con letti a castello a tre piani.

Solo la storia di Seven sembrava priva dei dettagli degli


altri. «Oh… io? Be’, mi è successa la stessa cosa che è accaduta
a voi.» Questo fu tutto ciò che disse. A Junpei ciò sembrò
strano, ma non fece pressione. Non lo fece, perché c’era
qualcos’altro che lo colpiva e gli sembrava molto più strano.
Era il mistero del legame tra Snake e Clover. Per qualche
ragione, erano stati rapiti dalla stessa stanza, e si erano
risvegliati nella stessa stanza.

Junpei li guardò, pensieroso. «Dunque, come la mettiamo


con voi due?» Fu Clover a rispondere. Chiaramente, sapeva di
non avere nulla da nascondere. «Siamo fratelli.» «Fratelli?»
Junpei era esterrefatto. «Ehm… sì? Snake è il mio fratellone,
ovvio. Il che significa che io sono la sua sorellina. È così
difficile da capire?» Junpei fu colto alla sprovvista. Gli altri
parevano altrettanto sorpresi. «Lei ha ragione, ovviamente»,
disse Snake posando la mano sulla spalla di Clover. «Siete così
sorpresi? Be’, okay, ma… perché? Ci sono altre persone qui
legate le une alle altre. Quei due, ad esempio.» Snake indicò
Junpei e June. «Oh, intendi tra Jumpy e me?» disse Akane,
sentendosi interpellata. «Ah, vero. Avevate detto di essere
amici d’infanzia, no?», intervenne Ace. «Andavate a scuola
insieme?», chiese Lotus. «S-sì…» June diede uno sguardo a
Junpei, a disagio per l’improvvisa attenzione ricevuta. Junpei si
sentì a sua volta nervoso, e cercò di grattarsi il capo nel modo
più disinvolto possibile.

47
«Ehi… credete che potremmo capire chi sia Zero in base a
questo?», disse Santa. «Sì, hai ragione. Connetti i punti tra le
vittime con delle linee, e alla fine trovi il colpevole. Roba da
manuale.», aggiunse Seven. Lotus chiese: «Junpei, June, vi
viene in mente qualcosa? Magari siete stati a scuola con il
figlio di un multi-milionario…» «Un milionario?», disse June.
«Un figlio?», disse Junpei. «Be’, qualcuno deve pur aver
comprato questa nave, e messo in piedi tutta questa… roba.
Chiunque sia, Zero dev’essere incredibilmente ricco.»

Ace intervenne: «Be’, non possiamo esserne certi. A me


sembra il lavoro di un’organizzazione, non di un individuo.
Zero probabilmente rappresenta un gruppo molto più vasto.»
«Che genere di organizzazione?», chiese Seven. «Potrebbe
essere tante cose. Un corpo militare, ad esempio, o un gruppo
di ricerca. Magari è tutto un esperimento psicologico.»

«Bell’esperimento del cazzo. Andiamo, un tizio è morto!»,


li interruppe Santa. La parola “morto” rimase sospesa in aria,
grave e sinistra. La stanza tornò silenziosa. «Non ho idea di chi
diavolo sia questo stronzo di Zero, ma so di certo che è pieno di
merda nella testa per aver fatto tutto questo. Se è stato
organizzato tutto da un solo individuo, ha dei seri disturbi
mentali.»

Pur con lo spettro della morte che aleggiava su di loro, le


discussioni proseguirono per un po’. Alla fine, comunque, non
avevano concluso nulla. Quando finirono, un’ora e mezza delle
9 a loro disposizione se ne era andata. Cominciarono ad essere
impazienti. «Ragazzi… guardate, abbiamo ancora solo 7 ore e
mezza, okay? Sicuri di voler stare semplicemente qui fermi?»,
48
chiese Santa. Nessuno aveva più intenzione di obiettare. «Molto
bene quindi. C’è un solo modo per procedere.», disse Ace.

«Di sicuro non sarà divertente correre sapendo che


dobbiamo saltare quando Zero ci dice “saltate”», aggiunse
Seven. «Be’, è stupido starsene qui a far niente», si lamentò
Clover. «Grazie al foglio di Snake, se non altro abbiamo
qualche idea su come funzionano le cose», sospirò Lotus.
«Esatto. E finché seguiremo le regole, dovremmo… be’,
probabilmente le cose andranno bene.»

«Ma…», iniziò June. «…ma cosa?», chiese Junpei. «Chi


andrà in quale porta?» June guardò verso le porte numerate.
«Oh, giusto. Più di cinque persone non possono passare per la
stessa porta. Non possiamo andare tutti e otto insieme…»,
ragionò Junpei. «Quindi dovremo dividerci», aggiunse Ace. «A-
aspettate!» Lotus sembrava terrorizzata. «Ve lo dico subito, non
esiste assolutamente che io vada nella porta 5!» «Su, non essere
egoista», iniziò Ace, interrotto da una sbraitante Lotus:
«Chiamami come cazzo ti pare, io lì non ci vado! Se devo
camminare per tutto quel sangue, allora tanto meglio che me
ne stia qui.». Ace sospirò: «E dire che stavamo andando così
bene…»

«Spiacenti, ma neanche io andrò nella porta 5. Ci andrà


qualcun altro.» disse Santa. «Oh, Santa, non pure tu…»
esclamò Ace. «Ho appena comprato le scarpe nuove. Se pensi
che passerò vicino ad un tizio spaventoso insozzato di sangue, ti
sbagli di grosso.» Quella fu la goccia che fece traboccare il
vaso. Junpei esplose: «Ma che cazzo! Non eri tu quello che
continuava a ripetere che dovevamo sbrigarci e andare?»
49
«Certo, ma questo non significa che voglia andare nella porta
5.» «Oh Signore…» sospirò Ace. Ci fu un imbarazzante silenzio.
Infine, Seven parlò: «Bene. Andrò io nella porta 5. Non potrò
andarci da solo, comunque. Qualcun altro viene con me?»
Ancora un lungo silenzio.

Questa volta fu Snake a romperlo. «Verrò io.» «C-cosa?»,


strillò Clover. «Non preoccuparti. Andrà tutto bene. Ci
separeremo per ora, ma sono certo che ci rivedremo di nuovo,
dopo.» «Come fai ad esserne sicuro?» «Perché sì.» «Questa non
è una risposta! Se ci vai, vengo anche io! Andrò nella porta 5!»
«Ah, cosa devo fare con te…» «Non c’è niente che devi fare», li
interruppe Ace, facendo un passo avanti.

«Se vi raggiungo, il problema è risolto. Seven è 7 e Snake


è 2. E se aggiungete il 4 di Clover e il mio 1, la radice digitale
sarà 5.» Clover saltò di gioia. «Aspetta», lo fermò Seven. «E gli
altri quattro? Quale sarebbe la loro radice digitale?» Junpei
fece un rapido calcolo. Rimanevano lui, Lotus, Santa e June. I
loro numeri erano 5, 8, 3 e 6.

5 + 8 + 3 + 6 = 22 -> 2 + 2 = 4

«È 4. Sommando, viene 4.» «Quindi possiamo andare nella


porta 4», disse June. «Sì. Wow, ha funzionato bene.», disse Santa
soddisfatto. Junpei ripeté mentalmente il risultato.

Quattro persone sarebbero passate per la porta 5:

Ace, Clover, Snake, Seven.

Quattro persone sarebbero passate per la porta 4:


50
Junpei, June, Lotus, Santa.

Junpei si chiese se le squadre erano davvero come le


desiderava. Oltre la porta 5 giacevano i resti del nono uomo.
Non avrebbe mai voluto rivedere quella… cosa, di nuovo, ma
qualcosa nella sua testa gli diceva che sarebbe stato sciocco
non esaminare il corpo più da vicino.

Chiaramente, se avesse scelto la porta 5, non avrebbe


potuto andare con Lotus e Santa. Inoltre, sarebbe stato
possibile portare con sé June, ma questo avrebbe significato
farle rivedere quell’orribile carneficina che li attendeva. E
Junpei non voleva. Era lacerato in due. Avrebbe dovuto
rimanere in silenzio, e passare per la porta 4? Oppure avrebbe
dovuto fermare tutti, e insistere per la numero 5?

Mentre esaminava le varie possibilità, Ace parlò. «Tutto a


posto quindi. Sembra che abbiamo raggiunto un accordo.
Possiamo andare?» Cominciò a camminare verso la porta 4.
Clover e Snake lo seguirono, con Seven a breve distanza dietro
di loro.

Se vuoi che Junpei mantenga la sua decisione di passare


per la porta 4, prosegui la lettura.

Se vuoi che Junpei cambi idea e chieda di poter andare per


la porta 5, vai a pagina 93.

51
4. Porta 4: Cabina di seconda classe

Junpei sarebbe andato per la porta 4, con June, Lotus e


Santa. Perché mai avrebbe dovuto anche solo considerare di
fare altrimenti, d’altronde? Sarebbe stato lì per June… per
Akane Kurashiki. Suonava bene. Sembrava la scelta giusta da
fare.

Non mostrò alcun segno d’affetto, ma Junpei vedeva June


come qualcosa di più di una amica, fin dall’infanzia. Guardò gli
altri quattro dirigersi alla propria porta. Ace, Snake, Clover e
Seven. Junpei non disse nulla.

In breve tempo, raggiunsero la porta 5. Parlarono l’uno


con l’altro per alcuni secondi, dicendo cose che Junpei non
poté udire, e poi posero le proprie mani, una ad una, sul
pannello scanner del RED.

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Ace tirò la leva. Il suo volto contratto con determinazione,
si guardò indietro per vedere Junpei e i suoi compagni. «A
presto.» Lotus rispose: «Fate attenzione.» Appena Ace tirò la
leva, la porta si aprì, come la bocca di una grande bestia
famelica.

Oltre la porta, Junpei lo sapeva, giacevano i tristi resti del


nono uomo. Non lo sorprendeva che Ace, Clover e Seven
esitassero. Il corpo non era certo una vista piacevole. Snake
non aveva simili problemi, dal momento che la cecità lo
rendeva immune ad un tale orrore. Entrò nella stanza, e i suoi
piedi produssero un bagnato splack nella pozza di sangue.

«Avete intenzione di uccidermi? Do per scontato che non


abbiate dimenticato che la porta rimane aperta solo per nove
secondi.» Snake non si preoccupò neppure di girarsi indietro,
ma gli altri tre si fecero forza, ed entrarono nella stanza.

La porta si chiuse con un cigolio metallico. Junpei e i suoi


compagni si affannarono per raggiungere la porta. Premettero
le orecchie contro di essa, nel tentativo di udire cosa stesse
succedendo dall’altro lato.

«Si sentono i bip…», disse Junpei. «È proprio come


prima…», fece Lotus. «Probabilmente è il suono del detonatore
sul braccialetto…», aggiunse Santa. «Pensate che stiano…
bene?» Il volto di June mostrava preoccupazione più
pienamente di quanto non potessero le sue parole.

Quasi in risposta alla sua domanda, una voce provenne


dall’altro lato della porta. Era Seven. «Ehi, eccolo qui!

53
Dev’essere quel coso, il DEAD! Forza! Venite qui! Dobbiamo
identificarci!»

I bip cessarono. I respiri di sollievo erano udibili anche


attraverso la porta di acciaio. «Sembra si sia fermato», disse
Seven. Junpei e i suoi compagni si allontanarono dalla porta, a
loro volta con un collettivo respiro di sollievo.

«Ehi, ragazzi! Tutto bene laggiù?», chiese Junpei. Avevano


sentito la voce di Seven, ma assicurarsene certo non faceva
male. «Yup! Stiamo bene!» Nonostante il recente pericolo, la
voce di Clover era effervescente come sempre. «Ah, ehi, vi
spiego come funziona questa cosa del DEAD, okay? Il DEAD è
come il RED, cambia giusto il colore. Il RED era rosso… il
DEAD è blu! A parte questo, è uguale. Anche l’identificazione è
uguale!»

«Fantastico! Grazie! Questo ci aiuterà un sacco», esclamò


Junpei. «Be’, sarebbe meglio muoverci adesso. Fate attenzione
là fuori», disse Ace. «Ricevuto!» Junpei e gli altri lasciarono la
porta 5 e si diressero alla porta 4. Si misero di fronte al RED e
uno alla volta posero le proprie mani sullo scanner.

Quattro asterischi fecero la propria comparsa sullo


schermo. Junpei afferrò la leva e si guardò intorno. «Siete
pronti, ragazzi?» «Yeah…» «Sicuro…» «Andiamo…» Nessuno
pareva particolarmente ottimista, ma i loro volti erano
determinati. Junpei annuì, e tornò a guardare il RED.

«Perfetto, andiamo!» Con forza e determinazione, tirò la


leva. «Corriamo!», esclamò Santa. Tutti e quattro

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attraversarono insieme la porta. Nel momento in cui varcarono
la soglia, ognuno sentì un suono freddo ed elettronico
provenire dal proprio polso sinistro.

Al centro di ogni braccialetto, fece la sua comparsa un


teschio rosso, che iniziò a lampeggiare. Il countdown del
detonatore era iniziato! In quei lunghi istanti che ognuno passò
a fissare il proprio polso, la porta numerata dietro di loro si
chiuse, il suono del metallo contro il metallo riverberò per il
corridoio.

Non potevano più tornare indietro, ora. Avevano


compiuto la loro scelta. Se non avessero trovato il dispositivo
per disattivare i propri detonatori… «Ehi! Dove diavolo è il
DEAD?», chiese Santa. «Come potrei saperlo?», rispose Lotus.
«Non dire cagate e cerchiamo!», esclamò Santa. «Sto già
cercando!»

Iniziarono a correre, gli occhi alla frenetica ricerca del


dispositivo che costituiva la chiave per la loro salvezza. Il
corridoio in cui si ritrovavano era molto lungo – si estendeva
per un centinaio di metri in lunghezza. Sul lato destro c’erano
una serie di porte in legno, tutte pressoché identiche.

Se avessero avuto tempo di pensare, avrebbero


presumibilmente capito che le porte conducevano a cabine.
«Non ditemi che il DEAD è in una di queste stanze…», disse
Junpei. «Oh no! Quante stanze credi che ci siano?», chiese June.
Junpei era troppo spaventato per contare correttamente, ma ad
occhio pareva ce ne fossero sette o otto.

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«Oh, fanculo!» Non c’era tempo per contare ed esserne
certi. Junpei corse verso la porta più vicina. Afferrò la maniglia
e la scosse con forza. Non si sarebbe aperta. Non sembrava
chiusa a chiave… sembrava più come se qualcuno avesse
piazzato una tavola di metallo dall’altro lato della porta.

Junpei si girò per trovare un’altra porta, e vide che i suoi


compagni erano già corsi verso le porte per conto proprio. Non
sembravano aver riscosso maggiore successo di lui. Le loro
parole confermarono le sue paure. Santa esclamò: «Merda!
Questa non va.» «Neppure questa!», disse Lotus. «Non si
muove!» June fu l’ultima a parlare.

Nel guardare verso la sua direzione, gli occhi di Junpei


videro qualcosa che non avevano notato prima. Una piccola
luce rossa. Lampeggiava debolmente dal fondo del corridoio.
«Eccola! È lì!» Mentre urlò, iniziò a correre. Afferrò Santa,
Lotus e June, e li tirò verso la luce.

Santa urlò mentre correva: «Ehi! Quanti secondi


abbiamo?» «E come faccio a saperlo?», gridò Lotus. «Il nostro
tempo limite è di ottantuno secondi», disse June. «Quello lo so,
maledizione! Sto chiedendo quanti ce ne rimangono!»

Verosimilmente, pensò Junpei, un buon minuto era già


passato, dal momento in cui la porta si era chiusa dietro di loro.
Se le cose stavano davvero così… L’urgenza della situazione
annebbiava le loro menti, e arrivarono correndo in fondo al
corridoio.

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Il DEAD era infisso alla parete sinistra, lampeggiando
quasi sarcasticamente. «Svelti!» Junpei afferrò il dispositivo, le
sue mani madide di sudore, e tremolanti. Sbatté la mano
contro lo scanner. Gli altri tre seguirono velocemente. Con un
grugnito, Santa abbassò violentemente la leva.

Respiravano tutti affannosamente. «Sembra si sia


fermato.» Le sue mani iniziarono a calmarsi, e Junpei si pulì
dalle gocce di sudore sulla fronte. Appena ebbero ripreso il
respiro, i quattro compagni iniziarono a guardarsi intorno. Alla
fine del corridoio c’era una porta doppia grossa e dall’aria
pesante.

Su ognuno dei lati del corridoio, vicino alla porta grande


ce n’era una più piccola. Dovevano essere ispezionate tutte e tre,
ma Junpei iniziò con la più grande – quella doppia. Quante
volte si fosse imbattuto in porte simili, e con risultati simili, si
chiese. O meglio, si corresse, con una simile mancanza di
risultati…

Ad ogni modo, la porta rimase ferma e irremovibile, e si


rifiutò di concedere a Junpei, o a chiunque altro, il passaggio.
Vicino alla maniglia c’era una piccola serratura. Sopra la
serratura c’era un piccolo simbolo, inciso nell’ottone. «Il
simbolo maschile…?» Non era particolarmente sicuro di cosa
farsene. Lo fissò per un momento, confuso.

Fu June a correggerlo. «No, non è il simbolo maschile.


Probabilmente è il simbolo di Marte. Be’, tecnicamente, sono lo
stesso simbolo… Ma ho visto altri simboli simili vicino alle

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scalinate principali. I simboli del sistema solare… Sole,
Saturno, Terra… quindi, suppongo questo sia Marte.»

Mentre Junpei e June stavano parlando, Santa era


scomparso. Si voltarono per trovarlo a poca distanza lungo il
corridoio – era andato a controllare le altre porte. Infine aveva
raggiunto l’ultima ed era tornato indietro. Gli ci volle poco per
riprendere fiato.

«Ok, ecco come stanno le cose. Nessuna delle altre porte si


apre», disse. June esclamò: «Questo significa…» «Ci sono solo
altre due porte.» Lotus esaminò le porte su entrambi i lati della
porta doppia. Ognuna aveva una targhetta di metallo sulla
sommità – B92 e B93. Junpei pensò che probabilmente si
trattava del numero delle stanze.

«Bene, apriamole.» «Sì.» Junpei mise la mano sulla


maniglia della porta della stanza 92. Santa si diresse alla porta
93. Avevano attraversato le porte numerate illesi. Non c’era
nulla di cui essere spaventati. Junpei e Santa si guardarono l’un
l’altro e annuirono. «Uno, due, tre!»

All’unisono, aprirono le rispettive porte, e prontamente si


ritrovarono in una nuova stanza. June seguì Junpei appena aprì
la porta. Si voltarono, e videro che la porta dall’altro lato era a
sua volta aperta. Junpei e Santa si guardarono. Non si
aspettavano che le porte si sarebbero spalancate così
facilmente.

La calma voce di Lotus irruppe nei loro pensieri. «Magari


fa tutto parte del piano di Zero? Non mi piace essere trattata

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come una marionetta.» Mentre si diresse alla stanza 93, Lotus
proseguì: «Be’, ora abbiamo queste due stanze. Sono sicura che
c’è dentro qualcosa che ci aiuterà ad uscire di qui. Troviamo
questa cosa. Io e Santa cercheremo in questa stanza. Junpei e
June, guardate nell’altra.» «Bene.» «Okay!»

Appeso alla parete, c’è questo quadro.

June lo scambia per un demone con il naso da elefante


che succhia cervelli umani. Vicino al quadro c’è una porta che
conduce ad un bagno pieno di mattonelle sulla parete della
doccia.

Ci sono poi una sala e una camera da letto. Nella camera


da letto c’è una bottiglia d’acqua.

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«È una bottiglia d’acqua. E questa è una camera da
letto…» disse June. «Probabilmente l’hanno messa qui perché
quando ci si sveglia si ha la gola secca», proseguì. «La mia gola
è secca, ma penso che sia perché ora sono un po’ nervoso.»

«Be’, abbiamo corso un bel po’, quindi siamo accaldati. Ehi,


Jumpy, che ne dici di farci una doccia insieme?» «Whoa!» June
sorrise: «Stavo scherzando.»

Ma era troppo tardi per tornare indietro. Junpei stava già


immaginando la scena. E la sua gola era secca, il che
certamente non aiutava.

«Ehi, quello non è un quadro… è una mappa?», chiese


Junpei. «Sembra la mappa dell’interno della nave», rispose
June. «Oh! Questa è una grande scoperta! Credo che sarà molto
utile! Portiamola con noi!»

Junpei diede un’occhiata alla mappa, poi la piegò e la mise


in tasca. June guardò mentre la chiudeva: «Questa nave è più
grande di quanto pensassi.» «Sì, probabilmente è lunga 300
metri…» «Dev’essere una di quelle lussuose navi da crociera»,
disse June.

«Non somiglia per nulla ad una nave da crociera. Sembra


tutto molto retrò. È troppo, anche se fosse una scelta stilistica.»
«Ricordi cosa ha detto Zero? Il 14 aprile 1912 il Titanic è
entrato in collisione con un iceberg. Dopo due ore e quaranta
minuti, affondò nelle acque del Nord Atlantico. Pensi che
questa nave e il Titanic abbiano qualcosa a che fare l’una con
l’altra?»

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«Uhm, bella domanda. Effettivamente dubito che
l’avrebbe menzionato se non ci fosse una ragione… che sia il
Titanic?» June rispose: «Il Titanic? Intendi dire, tipo, come se
avesse viaggiato nel tempo e fosse finito qui? Prima che la
nave affondasse, il 14 aprile 1912…»

«Che diavolo ti sei fumata?» «Uh? Ho… detto qualcosa di


sbagliato?» Junpei ghignò e scosse la testa. «No, no, non è…
voglio dire, andiamo… “viaggiato nel tempo”? Seriamente… Io
parlavo delle controversie riguardo il Titanic.» «Controversie?
Che intendi?»

«Non le hai mai sentite? Sono piuttosto famose. Il Titanic


ha una nave sorella essenzialmente identica. La Olympic.»
«Ah! Sì, ne ho sentito parlare! Se ricordo bene, la Olympic fu
una nave che ebbe molti problemi. E la compagnia che la
possedeva non sapeva come liberarsene, giusto? Così
sistemarono la Olympic rendendola nuova di zecca come il
Titanic. E poi, la affondarono, di proposito.»

«Esatto. Stipularono anche un contratto di assicurazione


abnorme, prima di salpare.» «Questo vorrebbe dire che il vero
Titanic non è mai affondato», disse June. «Esatto. Le navi
furono scambiate. Il vero Titanic venne rinominato Olympic in
segreto, e venne usato come nave passeggeri per più di
vent’anni.»

«Ehi… aspetta un attimo. Questo non vorrebbe dire che fu


ritirata nel 1935?», chiese June. «Uh? Be’ sì, immagino qualcosa
di simile, sì.» «E cosa le accadde dopo?» «Ho sentito dire che
venne smantellata.»
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«Smantellata… Quindi non importa… qualunque nave
fosse il vero Titanic, ormai non esiste più… Che sia stata
ritirata, o smantellata, o affondata nell’Atlantico dalla
maledizione. Ma questo significherebbe che questa nave è…»

«Aspetta! Cosa hai detto?», esclamò Junpei. «Cosa?»


«Affondata nell’Atlantico da cosa?» «La… maledizione…»
«Che intendi, con maledizione?» «Una maledizione è una
maledizione. Quella del Titanic è la maledizione della
mummia egizia.»

Junpei non poteva capire come June potesse avere


mantenuto un’espressione seria nel dirlo. «Si dice che il Titanic
portasse la mummia della sacerdotessa di Amon-Ra… che
venne rubata da una piramide. E si raccontano strane storie su
questa mummia… pare che chiunque ne abbia avuto a che fare
sia morto di morte misteriosa… Eddai, sono sicura che l’hai già
sentita… “Coloro che aprono la bara saranno maledetti per
sempre”… non l’hai mai sentito?»

«Quindi stai dicendo che il Titanic è affondato a causa di


questa maledizione…?» «Esattamente!» Gli occhi di June si
illuminarono emozionati, come un bambino di fronte al suo
nuovo giocattolo.

«Mh. Che stupidaggine. Non me la vedo.» «È vero!»


«Come fai ad esserne sicura…?» «Quella mummia non era una
mummia normale… era davvero misteriosa… completamente
incredibile…» «Cosa c’era di così incredibile?»

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«Be’, si dice fosse molto carina.» «Carina?» «Sì.» «Ma… era
una mummia.» «Appunto. Non era raggrinzita o putrefatta o
simili. Sembrava come se fosse viva.»

«Ah, ho capito. È quella cosa… non mi ricordo il nome…


quando il tuo corpo diventa come di cera. Se un cadavere viene
messo nell’ambiente giusto, il grasso diventa qualcosa di simile
alla cera delle candele, giusto? E…»

«Sì, la saponificazione. Ma non si trattava di questo. Non


era cera.» «E allora cos’era?» «Dicono… dicono che fosse
congelata.» «Cosa? Congelata?» «Sì, esatto. Tutto il corpo era di
ghiaccio solido. Hai presente che il corpo umano è composto
da più del 60% di acqua? Ecco, tutta quell’acqua era congelata.
La storia dice che per tutto il tempo da quando la mummia è
stata scoperta, o quando è stata trasportata sul Titanic… o
quando è stata nel deserto… il suo corpo non si è mai sciolto.»

June e Junpei parlarono ancora un po’, e poi tornarono


alle loro investigazioni. Ma anche mentre cercava, Junpei tornò
a pensare a ciò che June gli aveva detto. Ghiaccio che non si
scioglie, neppure nel deserto… poteva esistere qualcosa di
simile?

No, anche se lo fosse stato, non sarebbe più stato


“ghiaccio”, giusto? Più ci pensava, più gli faceva male la testa.
Come se avesse mangiato del gelato troppo velocemente.

Nel letto ci sono due cuscini. Junpei dice che si tratta di un


letto matrimoniale, e June arrossisce. Junpei le chiede se non le

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sia tornata la febbre, e se non è il caso di sdraiarsi un po’; lei
risponde che è un po’ presto per sdraiarsi, ma lui non capisce.

In un cassetto trova una chiave, e su un tavolo in sala una


scatola di fiammiferi.

Junpei guardò la scatola di fiammiferi, e poi June. «Ah,


come va la tua febbre? Ti senti meglio ora?» «Sì. Mi sento
bene.» June stava certamente meglio. Junpei le mise la mano
sulla fronte per qualche istante. Pareva che la sua febbre se ne
fosse davvero andata.

«Ti stai preoccupando per me?», chiese June. «Sì, sono


preoccupato.» June arrossì e sorrise. «Ad ogni modo, Jumpy…
come sei arrivato qui?» «Che intendi? Ve l’ho detto prima, no?»

«C’era un uomo mascherato quando sei tornato a casa. Hai


inalato del fumo bianco, e sei svenuto. E quando ti sei svegliato,
eri sul ponte D.» «Sì, è così.» «Ma è davvero andata così?» «Che
stai dicendo?»

«Jumpy, mi stai nascondendo qualcosa?» «No! Perché


dovrei?» «Be’, se ci pensi, è molto sospetto. Voglio dire, perché
due amici d’infanzia dovrebbero ritrovarsi in un posto come
questo…?» «Ehi, potrei chiederti la stessa cosa, June! Non è che
tu stai nascondendo qualcosa?»

«Cosa dovrei nascondere…?» «Be’, non lo so. Qualsiasi


cosa. Voglio dire, mettiamo che la stessi nascondendo. Come
potrei sapere cos’è?» «Intendi dire tipo… il numero di ragazzi
con cui sono uscita?»

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Il cuore di Junpei ebbe un sussulto. «Vuoi saperlo?»
Doveva ammetterlo, era un po’ curioso. «Non preoccuparti.»
June gli sorrise. «Solo diciotto… volte zero. Eh sì… mi sa che
non ho ancora incontrato Mister Uomo Giusto…» June
sembrava un po’ imbarazzata, e si grattò la testa nel disperato
tentativo di apparire indifferente.

Junpei tossì sobriamente più o meno allo stesso modo.


«Ad ogni modo, non sto nascondendo nulla. Proprio come te,
Jumpy. Quando mi sono svegliata, ero sul ponte D.» «Be’, però
hai ragione. Voglio dire, perché Zero ci ha scelti? Non ci
vedevamo dalle elementari.» June annuì, e per alcuni momenti
ebbe l’aria assente di qualcuno assorto in pensieri profondi.

«”Pensa a cosa collega le vittime. Questo ti porterà al


colpevole.” Ti ricordi di Seven affermare una cosa simile?»,
disse June. «Sì, mi ricordo.» «Be’, ecco la mia teoria. Penso
abbia a che fare con un nostro compagno di classe.»

«Hai qualche idea su chi potrebbe essere?» «No,


nessuna…» «Oh…» «Be’, se avesse a che fare con la nostra
scuola, potrebbe essere uno dei nostri insegnanti, o magari il
preside…» «O il portinaio o la cuoca…» «No… li ricordo a
malapena…» «Eh, lo so…»

Junpei tornò a cercare sentendosi a disagio e confuso. Le


scuole elementari… le scuole elementari… cosa accadde di
strano alle scuole elementari? Mentre cercava, questo pensiero
continuava ad ossessionarlo.

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Junpei si dirige verso l’altra stanza, con Lotus e Santa. È
speculare a quella di prima, e c’è la stessa cornice; il quadro,
però, contiene solo un tassello che è grande ¼ rispetto al tutto.
Sul tavolo c’è una candela. Junpei la accende coi fiammiferi, e
si dirige verso la camera da letto che è completamente buia.

La chiave del cassetto dell’altra stanza apre quello di


questa, che contiene uno dei tasselli del quadro. Sul letto c’è
una tenda. La candela si spegne, e si scopre che il candeliere
era una chiave.

La chiave apre una vetrina nella sala, e oltre la vetrina c’è


il terzo tassello.

«Ehi, Junpei, hai un minuto?» Santa era sbucato dal nulla.


«Ecco, prendi questo.» Santa estrasse qualcosa dalla sua tasca.
Sembrava un segnalibro. C’era il disegno di un quadrifoglio.
«Che è?»

«L’ho trovato tra i cuscini del divano. Sono abbastanza


sicuro che non ci sarà di nessun aiuto, ma ho pensato fosse
meglio prenderlo comunque.» «E allora perché non lo tieni
tu?» Santa fece un sorriso beffardo: «Sai cosa odio di più al
mondo? Quattro cose: la speranza, la fede, l’amore, e la
fortuna.»

«”Speranza”, “Fede”, “Amore”, e “Fortuna”?», chiese Junpei.


«Cazzo, sì.» «E tu… odi queste cose?» «Sì, qualche problema?»
«Uh, non proprio, ma…» Junpei cercò di mettere a parole nel
modo migliore quel che voleva dire: «Che c’entra un
segnalibro con queste cose?»

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Santa si grattò l’orecchio, e sembrò impacciato. «Be’, vedi,
ogni foglia del quadrifoglio ha un significato. E le foglie
significano proprio queste quattro parole. È come… il
linguaggio dei fiori. Be’, non è proprio un fiore. È come il…
linguaggio delle foglie, ecco. Sì, puoi considerarle parole delle
foglie.»

«Parole delle foglie…» Junpei guardò il segnalibro.


Speranza, fede, amore, fortuna. «Quindi, vuoi tenerlo? Solo a
toccarlo mi viene da vomitare. Tieni tu quel dannato
segnalibro, okay?» Santa simulò un brivido di disgusto e spinse
a forza il segnalibro tra le mani confuse di Junpei. Junpei
decise di tenerlo. Dopotutto, perché avrebbe dovuto rifiutare?
«Okay, certo, lo prenderò.»

Mise il segnalibro in tasca, e diede a Santa un ultimo


sguardo confuso. Santa emise un sospiro: «Mi sento molto
meglio adesso. Quel coso faceva davvero male, sai?» «Detesti
davvero a tal punto quelle quattro parole?» «Sì, be’, possono
tutte tradirti, lo sai? Speranza, fede, amore… persino il tuo
destino…»

Cosa fosse successo a Santa, si chiese Junpei. Perché era


diventato così cinico? Per un momento, si guardarono l’un
l’altro. «Be’, non è l’unica ragione. Non riesco a farmi piacere il
numero 4.» «Cos’è, hai paura dei Quattro Cavalieri
dell’Apocalisse?»

«No. Eddai, che stupidaggine. Magari nel Medioevo quelle


cagate potevano spaventare la gente, ma siamo nel 21° secolo, e
sono un ragazzo del 21° secolo.» «E allora perché odi il numero
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4?» «Perché è un numero fottutamente mediocre. Non è il
migliore, né il peggiore. Ecco perché.» «Cosa?»

«9 è un signor numero. Quindi che importa se è all’ultimo


posto? L’ultimo non è un numero medio col culo rotto.» La
spiegazione di Santa non aveva alcun senso. Junpei era più
confuso di prima. Santa gli chiese: «Tu giochi?» «Gioco?
Intendi… il gioco d’azzardo?»

«Sì, certo. Che altro avrei potuto intendere? Nel baccarà, la


migliore mano possibile è quella che totalizza un 9. La
chiamano “Le Grande”. Ma la mano peggiore, con le carte più
insulse, lo 0, la chiamano la “scimmia”.»

«Proprio come il tizio che ha creato questo gioco, eh? Zero


è una scimmia…» Santa batté gli occhi, completamente
ammutolito. Poi iniziò a ridere. «Hai proprio ragione! Il tizio
che ci ha intrappolati qui è una cazzo di scimmia.»

Fu a quel punto che Lotus parlò: «Sapete, se ci pensate, il


Nonary Game somiglia parecchio al baccarà.»
Apparentemente, li aveva ascoltati. «Certo, il baccarà non usa
quelle stupide radici digitali. Usi soltanto le decine, e basta.
Però, ha lo stesso concetto che il tuo numero finale deve essere
una singola cifra.»

«Vero, hai ragione», disse Santa. «E in entrambi i giochi,


chi ha il 9 vince», proseguì Lotus. «La persona che ha il 9…
vince?», chiese Junpei. «Ti sei già dimenticato? Non ti ricordi
cosa ha detto Zero? Di trovare la porta con il 9, l’uscita.»

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«Quindi, per uscire da questa nave… dobbiamo comporre
una squadra i cui numeri abbiano una radice digitale di 9…»
disse Junpei. «E solo le persone in quel gruppo potranno uscire
vive…» aggiunse Santa. «Esatto! È per questo che si chiama
Nonary Game», disse Lotus.

«Cosa?» «Uh?» «Non lo sapete? “Nonary” si dice di


qualcosa derivato dal nove, o a base-9. Viene dal prefisso latino
“nona”, che significa nove. Già che ci siamo, il prefisso di uno è
“uni”. Come l’unicorno – il cavallo con un corno. Due è “bi”…
come il binario. Binario significa composto da due parti. Tre è
“tri”. Sono certa che questo l’avrete sentito in abbondanza.
Come trio, triplo, triangolo… avete colto. Poi c’è quart, quinti,
sext, septim e così via. Il prefisso per otto è “octo”, come
l’octopus, che in inglese è il polipo. Si chiama così perché ha
otto arti. Capito?»

«Sì… quindi “nona” significa nove.» Lotus annuì. «Quindi,


quanti di noi sono intrappolati su questa nave?», chiese Lotus.
«Siamo in nove», rispose Santa. «E i numeri sui braccialetti?»
«Vanno da 1 a 9.» «E il nostro tempo limite? Quante ore
abbiamo?» «Abbiamo nove ore.» «E infine… come facciamo a
uscire da questa nave?»

Questa volta rispose Junpei: «Dobbiamo trovare la porta


con un 9, nascosta da qualche parte sulla nave.» «Formando un
gruppo con una radice digitale di 9», aggiunse Santa. Lotus
annuì ancora. «Ecco, ora ci siete. Il numero 9 è onnipresente in
questo gioco. È il tema su cui si basa tutto l’impianto. Non mi
meraviglia che si chiami Nonary Game.»

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Da qualche parte in lontananza, Junpei udì lo scricchiolio
del metallo in tensione. Suonava quasi come Zero che rideva di
loro… o il triste, disperato lamento di un maiale diretto alla
macelleria.

In bagno Junpei mette la tenda trovata sul letto. C’è un


buco, e guardando dal buco si intravede una mattonella ben
precisa: la quinta dall’alto, terza da destra. Nell’altra stanza,
dove c’era June, la mattonella speculare si può prendere, ed è il
quarto tassello del quadro. Riordinando i tasselli, Junpei riesce
a formare il quadro. Una volta fatto, il quadro scivola
mostrando una chiave.

«Chissà cos’è questa immagine…» Santa stava solo


mormorando tra sé, ma catturò l’attenzione di Lotus. Lei
guardò il quadro, e si fermò. «Penso… penso di averla già
vista.» «Dove?» «In un libro. C’è un biochimico inglese
chiamato Sheldrake. Ha una teoria piuttosto interessante. Ho
visto questa immagine nel suo libro.»

«Cosa dice questa teoria interessante?», chiese Junpei.


«Parla dei campi morfogenetici, è la teoria della risonanza
morfica», rispose Lotus. «Non riesco a seguirti. Solo ascoltarti
parlarne mi fa venire il mal di testa.» Santa si mise le mani sul
capo, come se stesse provando un gran dolore.

Lotus inarcò un sopracciglio in direzione di Santa e


proseguì: «Non è un concetto difficile da afferrare.
Essenzialmente, afferma che le “forme degli organismi viventi
e i loro modelli di comportamento si trasmettono attraverso un
campo non visibile agli occhi”.»
70
«E quale parte di tutto ciò non è difficile, esattamente?»,
chiese Santa. Lotus non sembrava per niente contenta. «Okay,
allora che ne dici di questo… teoria del meccanismo
telepatico.» «Telepatia?», chiese Junpei.

«Sì, telepatia. Be’, non esattamente telepatia, ma… è


abbastanza vicino, per una approssimazione semplice.» Santa
scoppiò in un’improvvisa risata: «Sei seria? Telepatia? Per chi ci
hai presi? Bimbi degli anni ’70? Non posso credere che
qualcuno faccia effettivamente ricerche su roba simile.»

«Sì, sono d’accordo.» La risposta di Lotus fu


sorprendentemente concisa. Junpei si era aspettato almeno un
po’ di conflitto. «Ho letto il libro, ma posso a malapena dire di
averlo compreso. Non sono nella posizione di difendere o
condannare nulla di ciò che afferma. Probabilmente è solo
qualcuno che si aggrappa a dati statistici di qualche studio e li
trasforma in una teoria ridicola. Non c’è alcun valore
scientifico in tutto ciò, ne sono certa. Ad ogni modo… io… ho
visto lo stesso quadro nel suo libro.»

Lotus indicò l’immagine a cui tutti stavano guardando.


Dopo un momento camminò verso il quadro, lo esaminò, e poi
parlò: «Ehi… secondo te cosa raffigura il quadro?» Fu Santa a
rispondere per primo: «Che vuoi dire? Non è solo, tipo…
astratto, o roba simile? Sono solo scarabocchi in bianco e nero.
Non c’è alcun significato. Ecco tutto.»

«Tu che ne dici, Junpei? A te dice niente?» «Non saprei,


magari un cane? Guarda, questa è la testa, queste le zampe

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davanti… queste quelle di dietro.» Junpei tracciò i contorni con
le dita.

«Ah, lo vedo… mi sa che hai ragione.» A dispetto del suo


tipico distacco, Santa era chiaramente impressionato. Junpei
guardò Lotus. Era ammutolita. «Come facevi a saperlo? È
giusto. Non pensavo saresti stato in grado di indovinare.» Per
un breve momento, Junpei si gonfiò d’orgoglio. «Be’? Ora
sappiamo cosa raffigura, ma… non vedo come ciò possa
aiutarci.»

Lotus annuì, e iniziò a parlare: «Uno spettacolo televisivo


della Gran Bretagna fece un esperimento, una volta. Presero
due immagini simili. Entrambe erano difficili da identificare,
inizialmente… Ma una volta trovata la risposta, non riuscivi
più a vederci nient’altro. La prima immagine era una donna

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che indossava un cappello. La seconda era… be’, questa del
cane. Dunque. Il loro esperimento…»

Per cominciare, spedirono le immagini in altre parti del


mondo dove la TV e la radio britanniche non erano ricevute. In
Irlanda, Stati Uniti, Africa, Europa, eccetera. Poi, in ogni paese,
trovarono un certo numero di persone che si sottoposero al test.
In totale, furono circa 1000 soggetti.

A questi 1000 vennero mostrate le due figure, e gli venne


chiesto “Che cosa rappresenta, secondo te?». I risultati, in sé e
per sé, non furono particolarmente interessanti. Il 9,2% delle
persone vide la donna, nella figura della donna. Il 3,9% delle
persone vide il cane, nella figura del cane.

Poi, due giorni dopo, trasmisero un altro spettacolo.


Durante questo spettacolo, trasmisero la figura del cane, e la
sua soluzione. L’audience fu di circa 200.000 persone. Dopo lo
spettacolo, si poteva assumere che il numero di persone a
conoscenza della soluzione dell’immagine del cane superasse
le 200.000.

Dopo altri due giorni, presero altri soggetti in zone in cui


la TV e la radio britanniche non prendevano. Questa volta,
riuscirono a trovare solo un campione di 850 persone.
Naturalmente, nessuna di queste aveva partecipato al primo
test.

Vennero sottoposte allo stesso test, e gli vennero fornite le


stesse due immagini. I risultati furono scioccanti. Il 10% delle
persone vide la donna, nella figura della donna. Il test

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precedente aveva come risultato un tasso di successo del 9,2% -
il cambiamento non era statisticamente rilevante.

La figura del cane, invece, produsse risultati


estremamente differenti. La percentuale di persone in grado di
identificare il cane crebbe da 3,9% a 6,8%. Una crescita molto
significativa.

«Ecco, ora capite? Avete compreso l’importanza di questo


esperimento? Non c’era alcun modo in cui il secondo gruppo
potesse aver visto l’immagine. Vivevano lontano
dall’Inghilterra, e non potevano aver visto il quadro. Ma anche
così, fu solo il tasso di successo dell’immagine del cane a
crescere. Perché? Come è potuto accadere? Cosa significa?»

Lotus guardò avanti e indietro, da Junpei a Santa e poi


ancora indietro. Normalmente calma e posata, sembrava ora
come se fosse quasi posseduta, e c’era qualcosa di maniacale
nei suoi modi. Santa fece involontariamente un passo indietro.
Junpei non si scostò, e fissò dritto negli occhi di Lotus.

«E questo ha in qualche modo a che fare con i “campi” o


comunque ciò di cui parlavi prima? “Un campo non visibile
agli occhi”… Se più persone conoscono la risposta, allora
l’informazione passerà per questo campo…», disse Junpei.

Lotus lo guardò. Si fissarono per alcuni intensi istanti. Poi


Lotus esclamò: «Pssiiiiiche!» Le sue maniere cambiarono
all’improvviso, e sorrise ampiamente a Junpei e Santa. Fece
ondeggiare le mani davanti a sé, facendo del suo meglio per
ridere di tutta la faccenda.

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«Oh, stavo solo scherzando. Non dovreste prendermi sul
serio, davvero. Cioè, voglio dire, le cose che vi ho raccontato
sono vere. Sono accadute realmente. Ma i risultati
dell’esperimento non sono nulla di eclatante. Potrebbero essere
stati facilmente falsificati. Alla fin fine, erano interessati
all’audience. Sono una stazione TV, dopotutto.»

Sembrava che Santa avesse riacquistato il controllo e la


compostezza: «G-Giusto! Devo ammetterlo, mi avevi convinto
per un minuto! Io, eh, pensavo fossi seria…»

«Certo che no! Come ti ho detto, sono certa che sia solo
pseudoscienza!» «Ah, okay!» Santa e Lotus risero, e si diedero
un gioviale colpetto sulla spalla. Junpei, comunque, non
sentiva ci fosse molto da ridere.

C’era qualcosa di… sbagliato… poco chiaro. Lotus disse:


«Okay, basta nonsense. Abbiamo la chiave. Andiamo.» Lotus e
Santa si allontanarono dall’immagine. Ma Junpei rimase lì, a
fissare il quadro. “Un campo non visibile ad occhio nudo”.
Campi morfogenetici. Più ci pensava, più gli faceva male la
testa.

Santa va a prendere June nell’altra stanza, e Junpei apre la


porta doppia con la chiave. Finalmente possono uscire.

Varcarono la porta per ritrovarsi in un ampio corridoio.


Junpei, June, Lotus e Santa si fermarono un attimo, per
osservare l’ambiente circostante. A poca distanza, una grata di
metallo si estendeva per la larghezza del corridoio. La
afferrarono e la scossero, ma si rifiutò di muoversi.

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Lì vicino c’erano un paio di ascensori. Premendo alcuni
tasti realizzarono che questi non avrebbero risposto alle loro
chiamate. Potevano solo supporre che gli ascensori non
ricevessero energia. Rimaneva solo una porta. «Be’, sembra che
non abbiamo molta scelta.» Gli altri convennero con Junpei,
che afferrò la maniglia, e aprì gentilmente la porta.

Entrò, lentamente, cercando di assimilare quanto più


possibile dell’ambiente circostante. Gli altri seguirono poco
dopo. «Oh, dunque è una cucina…» Santa non pareva
soddisfatto. «Cosa ti aspettavi?», chiese June. «Non è ovvio?
L’uscita. Speravo che questa fosse l’uscita.»

«Eh, pensavi davvero fosse così semplice?», disse Junpei.


«Sì, sì, lo so. Eppure…» Mentre parlavano, Lotus si diresse ad
ispezionare la stanza, finché si ritrovò di fronte ad una porta.
«Se riusciamo ad uscire da qui, dovremmo ritrovarci proprio
dall’altro lato della grata che abbiamo visto prima.»

«Ma… non ci serve una chiave per quella?», chiese Junpei.


«Scusate. Non sono stato particolarmente costruttivo.» Né
Junpei né Lotus parevano particolarmente felici. Junpei
estrasse la mappa della nave dalle sue tasche, e la aprì di fronte
a lui.

Non appena lo fece… «Ehi!» «Cos’è quella?», esclamarono


Santa e Lotus. «Uh? Ah, già, mi sa che mi sono dimenticato di
dirvelo. L’ho trovata un po’ di tempo fa. È una mappa del ponte
B, e…» Prima che Junpei potesse finire, Lotus gli strappò la
mappa dalle mani.

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Fece scorrere le dita sulla mappa, mormorando tra sé. «Lo
sapevo. Vedi qui? Guarda.» Junpei fece come gli venne detto.
Santa e June si avvicinarono per dare un’occhiata. «Visto?
Siamo entrati da qui. Se usciamo da qui, saremo dall’altro lato
della grata.» Con le dita, Lotus tracciò un percorso sulla mappa.
Aveva ragione.

Soddisfatta per il fatto di avere ragione, Lotus piegò la


mappa e la restituì a Junpei. Lui la prese, e si rimise il prezioso
pezzo di carta in tasca. «C’è un card reader sul lato destro della
porta», disse June. «Quindi la chiave è qui da qualche parte,
giusto?», chiese Santa. «È molto probabile», rispose Lotus.

«Molto bene, sappiamo cosa fare. Muoviamoci! Prima di


tutto, direi di dividerci e cercare degli indizi», propose Junpei.

Un volantino su un tavolo recita: “Antipasto 9, Carne 10,


Zuppa A, Frutti di mare F”. Accanto ci sono 9 piatti quadrati –
per antipasti. Poi 10 piatti fondi, per la zuppa. Poi 15 piatti, per i
frutti di mare. E infine 16 piatti con dei rilievi, per la carne.

Lotus spiega a Junpei che si tratta di codice esadecimale.


Accanto al lavandino c’è una pietra da cote, per affilare lame.
Una porta conduce ad una dispensa. C’è uno scaffale con vari
formaggi, e dietro uno di essi Junpei trova una bottiglia d’olio.
Lo scaffale a sinistra ha una valigia, con dentro un coltello
arrugginito.

June disse: «È futile…» «Futile?» «Sì, sai cosa intendo…


spazzatura, inutile, senza senso.» «Oh… e c’è una ragione
particolare per cui volevi dirlo?» «No… nessuna ragione,

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davvero. Stavo solo pensando a Futility…» La cosa non stava
assumendo maggiore senso.

Junpei provò a riformulare la sua domanda: «Perché stavi


pensando alla futilità?» Infine, June rispose: «Be’, ha a che fare
con il Titanic.» «Il Titanic?» «Sì. Hai mai sentito la storia per
cui il naufragio del Titanic fu predetto?» «No, mai sentita…
com’è?»

«Nel 1892, 14 anni prima che il Titanic affondasse…


venne pubblicato un romanzo. Si intitolava Futility. Fu scritto
da un autore americano, Morgan Robertson. La storia
riguardava una grande nave da crociera, che collideva con un
iceberg e affondava. Chiaramente, se questa fosse l’unica
analogia, non ci sarebbe ragione di menzionarla… Ma non è
tutto… Il nome della nave, la nazionalità, la rotta, l’orario di
partenza… La grandezza, il dislocamento, la velocità massima,
il numero di passeggeri e dell’equipaggio, il numero di
scialuppe di salvataggio… Anche il luogo dell’incidente, la
causa, e il punto in cui la nave si danneggiò… tutto combacia
con il Titanic quasi perfettamente. È come se avesse visto tutto
quanto accadere. Ma il libro fu scritto quattordici anni prima
del naufragio. Ma non è tutto. Non fu solo Futility a predire gli
avvenimenti del Titanic. Ci furono altre due storie simili scritte
da un uomo di nome William Thomas Stead. Entrambe prima
dell’incidente… una nel 1886, l’altra nel 1892. Stead scrisse due
storie con somiglianze lampanti al disastro del Titanic. In una,
due navi collidevano, e molti passeggeri morirono perché non
c’erano abbastanza scialuppe di salvataggio. Nell’altra, una
nave collideva con un iceberg, e affondava.»

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«Mh… Non so. Voglio dire, ok, sembra un po’ strano,
ma… sono abbastanza sicuro che non fosse così raro per le navi
scontrarsi con un iceberg a quei tempi, o anche con altre navi.»

«Vero. Sapevo che l’avresti detto. Ma… e se Stead avesse


avuto dei poteri speciali? Per essere più specifici, se avesse
avuto l’abilità della “scrittura automatica”?»

«Che? Scrittura automatica? Stai… stai dicendo quella


cosa per cui uno è posseduto da uno spirito… e scrive una serie
di cose senza sapere cosa siano?»

«Sì.»

«Che vuol dire “sì”… quella roba è un mucchio di fesserie!


Okay, dunque, diciamo ipoteticamente che la scrittura
automatica non è una totale scemenza. Questi tizi non
avrebbero comunque potuto predire il naufragio del Titanic.
Quando questo Stead scrisse le sue robe… nessuno era ancora
morto sul Titanic. Quindi, se la scrittura automatica riguarda
l’essere posseduto da spiriti di persone morte… Chi diavolo
potrebbe averlo posseduto per scrivere quelle cose?»

«Non è così.»

«Cosa, non è così?»

«Stead non era posseduto da uno spirito. Era lui a stare


possedendo.»

«… Cosa ti sei fumata?»

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«William Thomas Stead fu un passeggero del Titanic.
Scrisse semplicemente ciò che vide con i suoi occhi… vent’anni
prima che accadesse.»1

Junpei decise che sarebbe stato meglio non dire nulla. Ciò
che June diceva era folle e completamente assurdo. Se avesse
cercato di prenderla sul serio, sarebbe andato fuori di testa.
Junpei sorrise, a disagio: «Be’… che ne dici di parlarne un’altra
volta… okay?»

«Uh? Ma…» La sua voce si affievolì, e guardò al


pavimento, turbata. Junpei le diede gentilmente una pacca
sulla spalla, e impacciato la superò per prendere il coltello
dalla valigetta.

Junpei affila il coltello con la pietra. Escono dalla dispensa,


e lì vicino c’è un’altra porta simile, ma bloccata da un
chiavistello arrugginito. Junpei lo olia, in modo da farlo
scorrere.

Non appena Junpei mise piede nella stanza, una raffica di


aria fredda lo schiaffeggiò. Quasi istintivamente, strinse le
braccia attorno al petto, facendo quel che poteva per

1
Tutto quanto viene affermato su Robertson e Stead è vero.
http://en.wikipedia.org/wiki/Futility,_or_the_Wreck_of_the_Titan
http://en.wikipedia.org/wiki/William_Thomas_Stead C’è di più: Stead
stesso affermò di possedere il potere della scrittura automatica e che
quanto scriveva sarebbe avvenuto. Le due storie si intitolavano How the
Mail Steamer went down in Mid Atlantic by a Survivor e From the Old
World to the New.

80
conservare il calore corporeo. «Brr… fa freddo qui. Cos’è
questo posto?» «Sei cieco? È una cella frigorifera.» I denti di
Santa avevano già iniziato a vibrare. Poco sorprendente: la cella
frigorifera era troppo fredda per qualcuno vestito come lui.

Lotus, comunque, era in una situazione anche peggiore.


«Oh, niente da fare. Fa troppo freddo per me. Congelerò in
pochi secondi. Mi spiace, ma temo dovrete occuparvene voi. A
presto.» E con ciò, corse fuori dalla stanza.

Appena Lotus uscì, entrò June: «Fa proprio freddo qui…»


Sbuffi di vapore salivano dai loro volti mentre parlavano. June
aveva già iniziato a tremare. «Ehi, non serve che tu stia qui. Hai
avuto la febbre poco tempo fa. Dovresti rimanere fuori, ci
pensiamo noi», disse Junpei.

«No, sto bene. Non ho più la febbre.» «Ma…» Junpei aveva


a malapena aperto bocca… quando il tonante rumore del
metallo sul metallo risuonò da dietro di loro. All’unisono si
voltarono, per notare che la porta da cui erano appena
entrati… si era chiusa.

Junpei si precipitò alla porta. Disperatamente, afferrò la


maniglia e la scosse. Era fredda – troppo fredda. Il solo toccarla
era doloroso. La maniglia si era congelata. Dedussero
rapidamente che il tubo accanto alla porta si era rotto. L’acqua
fuoriuscita era finita sulla maniglia e si era congelata
immediatamente.

Santa spinse via Junpei e premette contro la porta. «Ehi,


Lotus! Sei lì, giusto? Apri la porta!» Lotus non perse tempo nel

81
rispondere: «Cosa? Che succede?» «La porta non si apre! Prova
ad aprirla dal tuo lato!» «Oh, okay, aspetta…» Presto, udirono
Lotus dall’altro lato della porta grugnire tirando con forza. Poi
i grugniti cessarono, e sentirono i respiri affannati per lo sforzo.

«È inutile. Non si muove. Voi là dentro siete di più. Ce la


farete.» Maledizione.» Santa tremava come un cerbiatto
neonato. June si stringeva e aveva brividi violenti. Anche
Junpei, con i vestiti più pesanti tra loro, avvertiva chiaramente
il freddo.

Ad ogni respiro, potevano sentire il freddo farsi strada


sempre più nel profondo dei loro corpi. «A-ad ogni mo-modo
troviamo-mo il modo-do per usci-scire. Altri-trimenti staremo-
mo qui per se-sempre.» «D-d-due teste s-sono meglio che ne-
nessuna. S-sono sicura-ra che trovere-remo il modo.» «S-sì,
avete ragio-gione. D-diamo un’occhiata alla s-stanza, okay?» Si
strinsero tutti e tre vicini, e iniziarono a cercare.

Su uno scaffale c’è un pezzo di carne di maiale congelato


con un bigliettino incastrato metà dentro e metà fuori. Sul
pavimento c’è una botola con una corda robusta e una bottiglia
d’acqua. Un armadietto contiene invece del ghiaccio secco.

Junpei prese il ghiaccio secco con le maniche in modo da


evitare di scottarsi. «Il ghiaccio secco è diossido di carbonio
congelato, giusto?», chiese Santa. «Sì, giusto», rispose Junpei.
«Mi chiedo quanto dovrà scaldarsi per ritornare gas…» disse
Santa. «Non lo so. In che modo potrebbe aiutarci, comunque?»,
chiese Junpei.

82
«Be’, immagino che potremmo usarlo per uscire di qui»,
rispose Santa. Erano in procinto di muoversi, quando parlò
June: «Il punto di sublimazione dell’anidride carbonica è -78°C.
A qualsiasi temperatura maggiore, diventa gas. Minore, e
diventa solida.»

Junpei la guardò, sorpreso. «Come fai a saperlo?» June


fece una risatina: «A dispetto del mio aspetto, sono la recina…
bleh. Ahem… la Regina delle nozioni random.» «È una brutta
cosa pasticciare quando ti metti in mostra, mia recina.» June
tossicchiò imbarazzata. «Oh, sei così infreddolita che ti si sta
intorpidendo la bocca?», chiese Junpei.

«Sì, deci rene.» «… Ora lo stai facendo di proposito,


ammettilo.» June sorrise e fece del suo meglio per nascondere
la colpa. Se non altro si sentiva ancora abbastanza bene da
scherzare, si disse Junpei.

«Eddai… non pensate sia strano? Mi chiedo perché non


diventi liquido, prima…» Santa ora tremava ad un ritmo
stupefacente, ma la sua curiosità non pareva risentirne. Sembrò
piuttosto curioso anche per Junpei, che non poté fare a meno
di pensarci.

Fu June a rispondere: «Non può diventare liquido.


L’anidride carbonica diventa liquida sotto pressioni elevate. Ma
ad 1 atmosfera, la pressione normale dell’aria, anziché fondere,
“sublima”, e passa immediatamente dallo stato solido allo stato
gassoso.»

83
Santa rispose: «Ecco, questo è strano. L’acqua è liquida tra
gli 0°C e i 100°C. Perché non vale per l’anidride carbonica?»
June replicò con una risposta che stupì entrambi: «Be’, c’è un
tipo di ghiaccio che non diventa liquido a 0°C. Ne ho sentito
parlare… il punto di fusione è 46°C.»

«Ghiaccio con un punto di fusione a 46°C?», esclamò


incredulo Junpei. «Intendi dire che esiste dell’acqua che
congela a 46°C?», chiese Santa ancora più esterrefatto. «Sì. Be’,
puoi anche vederlo come ghiaccio che non fonde fino ai 46°C.»

Junpei stava morendo di freddo, ma tutto questo era


troppo interessante per ignorarlo. Fece del suo meglio per
scaldarsi sfregandosi le braccia e sbattendo i piedi, poi pose una
domanda a June: «E come si chiama questo ghiaccio con un
punto di fusione a 46°C?»

«Ho letto che si chiama ghiaccio-nove.» «Ghiaccio-nove?»,


esclamò Santa. June proseguì: «Originariamente, il ghiaccio-
nove era una sostanza inventata da uno scrittore di
fantascienza. Recentemente, però, gli scienziati hanno scoperto
che una sostanza simile esiste davvero.»2

«Aspetta. Ferma. Quindi questa cosa si chiama ghiaccio-


nove? O si tratta di acqua?», chiese Junpei. «Come ho già detto,

2
Il ghiaccio-nove viene dal romanzo del 1963 Cat’s Cradle (il titolo italiano
è proprio Ghiaccio-nove) di Kurt Vonnegut. Non è una sostanza realmente
esistente, e quanto si afferma sugli scienziati che l’avrebbero scoperta è
falso.

84
se il ghiaccio supera i 46°C sarà liquido, altrimenti solidificherà.
Puoi pensarlo come un polimorfo dell’H2O. Come i diamanti e
la grafite… Entrambi sono fatti di carbonio, giusto? Però, in
base alla forma cristallina, la durezza e la struttura sono
completamente diverse.»

«Quindi stai dicendo che l’acqua normale e questo


ghiaccio-nove sono così…» «Sì. E non è tutto. Hai mai sentito
la storia della cristallizzazione della glicerina? Per 150 anni
dalla scoperta della glicerina, le persone l’hanno raffreddata,
scaldata, e l’hanno sottoposta ad ogni genere di operazione…
ma qualunque cosa facessero, non cristallizzava. Ad ogni modo,
un giorno, nel 1920…»

June raccontò che della glicerina diretta in nave verso


l’Inghilterra cristallizzò durante il viaggio. Naturalmente, gli
scienziati di tutto il mondo vollero condurre delle ricerche su
questa nuova forma cristallizzata di glicerina, e chiesero dei
campioni dei semi. Con un campione di seme cristallizzato,
l’ulteriore cristallizzazione della glicerina sarebbe stata molto
semplice.

Ad ogni modo, accadde qualcosa di strano. Non solo la


glicerina incoraggiata dai campioni dei semi cristallizzati iniziò
a cristallizzare, ma anche quella vicina. E non finisce qui. Dopo
quel giorno, tutta la glicerina del mondo iniziò a cristallizzare
naturalmente quando raffreddata sotto i -20°C.

Prima di quel giorno, non importa a che temperatura


venisse portata, la glicerina si rifiutava di cristallizzare. Ma una
volta che la cristallizzazione cominciò…
85
«Fu come… come posso spiegarlo… fu quasi come se
tutta la glicerina del mondo stesse comunicando.
Comunicando in un qualche modo che non possiamo capire.»3

Junpei era seriamente impressionato. Era, in effetti, una


storia parecchio interessante. «Ehm, tutto questo è interessante,
ma… cosa c’entra con il ghiaccio-nove?» Sorprendentemente,
fu Santa, e non June, a rispondere: «Quello che sta dicendo
c’entra molto con il ghiaccio-nove. Quello che è accaduto,
intendo.»

«Molto? Sarebbe drammatico. Se ovunque l’acqua iniziasse


a congelare a 46°C… be’…», disse Junpei. «… Sarebbe la fine
del mondo.» Junpei sentì che Santa non stava trattando l’idea
della fine del mondo con l’adeguata preoccupazione.

Santa proseguì: «Ad ogni modo, non dobbiamo


preoccuparci della fine del mondo, almeno finché non
riusciamo ad uscire di qui velocemente, maledizione.» Aveva
ragione. Junpei stava tremando. «Okay, abbiamo un po’

3
La storia della cristallizzazione della glicerina è una leggenda nata da un
articolo pubblicato nel 1923 sul Journal of American Chemical Society, che
afferma: “After the seed crystals had arrived it was found that
crystallization practically always occurred when amounts of 100 g. of any
laboratory sample were slowly warmed over a period of a day, after
cooling to liquid-air temperatures. This occurred even when great
precautions were taken to exclude the presence of seeds. However, it was
found readily possible, by temperature manipulation alone, to produce
crystalline or supercooled glycerol at will.” J. Am. Chem. Soc. 1923, 45, 93.

86
esagerato, seriamente. Potrò anche chiamarmi Santa, ma non
sono cresciuto in Islanda. Odio il fottuto freddo. Quindi
troviamo un’uscita, okay?»

Santa si mosse, atteggiandosi come se il freddo non lo


stesse intaccando. Che egoista, pensò Junpei tra sé. Comunque,
Santa aveva ragione, ed era ora di tornare alla ricerca di un
modo per uscire. La storia del ghiaccio-nove l’aveva interessato,
ma ci sarebbe stato tempo per pensarci una volta usciti dalla
cella frigorifera. Junpei guardò June, annuì, e ricominciò a
cercare.

Sempre nell’armadietto c’è carne di pollo congelata.


Junpei usa la carne di pollo come corpo contundente per
spezzettare il ghiaccio secco, che mette nella bottiglia d’acqua
vuota. Poi lega la corda attorno alla bottiglia. Junpei fa entrare
acqua dal tubo rotto alla bottiglia, e poi velocemente la chiude.
Poi la lega alla maniglia più veloce che può. Si allontana,
prende un pezzo di ghiaccio secco che era finito per terra, e lo
scaglia contro la bottiglia.

Prima di farlo, tutti e tre si nascondono nella botola, e lui


lancia il ghiaccio e chiude la botola.

Junpei uscì dalla botola e corse verso la porta. «Jumpy! Il


ghiaccio, è sparito?» «Sì, non c’è più!» «L’esplosione deve averlo
frantumato», disse Santa. «Sì! Vediamo se si apre.» Junpei
afferrò la maniglia e spinse, con tutta la sua forza. La porta
arretrò facilmente, e tutti e tre capitombolarono fuori dalla
cella insieme.

87
«Urrà! Siamo fuori!» June, sollevata, collassò al suolo.»
«Muoviti!» Santa spinse Junpei e corse verso il grill, che afferrò
immediatamente. «Oh! Maledizione! Caldo caldo caldo caldo
caldo caldo! Cazzo!» Procedette a calciare il grill in un futile
ma divertente scoppio di rabbia.

Ma… dove era Lotus? A Junpei servirono pochi istanti per


trovarla… sedeva sul bancone, sgranchendosi pigramente.
«Bentornati. Iniziavo a stancarmi di aspettarvi, ragazzi.» Con
un grande sbadiglio, Lotus scese dal bancone. Junpei serrò i
denti e camminò verso di lei.

«Che cosa… stavi facendo…?» «Che vuoi dire, con “cosa


stavi facendo”? Vi stavo aspettando.» «Stavamo per morire!»
«Ah sì? Ma non siete morti, quindi è andato tutto bene, no?»
«Che diavolo…» «Ehi, sto scherzando! Magari non sembra, ma
ero davvero preoccupata.»

«Non dire stronzate!» «Sto dicendo la verità! Voglio dire,


se foste morti, sarei stata nei casini anche io. Sarei rimasta
bloccata qui, e sarei morta. No? Ho fatto quel che ho potuto.
Ho anche cercato in giro qualcosa che potesse aprire la porta.
Ma non ho trovato nulla. Così non potevo che aspettare. Voglio
dire… cosa volevi che facessi? Chiamare la polizia?»

Era vero che non avrebbe potuto fare molto, ma c’era


qualcosa nel suo tono… Junpei digrignò i denti. «Bene. Ma c’è
un’altra cosa che devo chiederti.» «Cosa?» «Non hai chiuso tu
la porta… vero?» «C-cosa? Pensi che vi abbia chiusi? Perché
mai avrei dovuto? Si è chiusa da sola! Te l’ho detto, se morite,
muoio anch’io!»
88
Aveva ragione, e Junpei lo sapeva. Senza di loro, Lotus
sarebbe stata in grossi guai. Sembrava che un incidente fosse
l’unica spiegazione per la chiusura della porta. Se Lotus avesse
davvero voluto ucciderli, tutto quello che avrebbe dovuto fare
sarebbe stato sbarrare la porta dall’esterno. Ma non l’aveva
fatto. Be’, non aveva fatto nulla.

Al massimo, la sua colpa poteva essere la pigrizia, la


negligenza, ma non il tentato omicidio. Junpei inghiottì la sua
collera, e fece del suo meglio per scusarsi: «Bene. Mi spiace. Mi
scuso per avere dubitato di te.» «Uh? Oh. Sì, be’, va bene. Basta
che tu l’abbia capito.» Lotus guardò altrove e attorcigliò i suoi
capelli tra le dita.

Conclusa la sua vendetta contro il grill, Santa tornò a


passo borioso verso Junpei e Lotus. «Ehi, basta perder tempo,
voi due! La pausa è finita. Specialmente per te, signora. Hai già
riposato il tuo culone mentre stavamo morendo congelati.»

«Che insolente! Mi sono preoccupata molto!», replicò


Lotus. «Sì, sì, impara a mettere tutta questa foga in qualcosa di
diverso dal lagnarti! Andiamo.»

Junpei scalda la carne di maiale nel grill, dopodiché


tagliandolo estrae il biglietto, che dice: “C + 10 + F”. Sotto la
cucina c’è una tastiera elettronica, e inserendo il codice 43 si
apre lo sportello accanto, rivelando la carta di Saturno, che
apre la porta.

Uscirono dalla cucina per ritrovarsi in un corridoio


piuttosto familiare. Una grata di metallo si estendeva da parete

89
a parete. Oltre di essa c’erano due ascensori e l’entrata per la
cucina. Erano entrati da una parte e usciti dall’altra. Questo
significava che la mappa dell’interno della nave era accurata.
Mantenendo la mappa aperta di fronte a loro, iniziarono a
discutere la mossa successiva.

C’erano quattro percorsi possibili. A e B, che sembravano


condurre ad una stanza a forma di L. Ad ogni modo, quelle due
porte erano sigillate, e non potevano essere aperte. Poi c’era il
percorso C, che portava alle scalinate principali.

«Quella dev’essere la porta 5, visto dove si trova», osservò


Santa. «Quindi pensi che ritroveremo gli altri quattro dopo
questo corridoio?», chiese June. «No, non penso sarà così»,
rispose Lotus. «Perché no?» «Guarda, lì, le scale. Vedi che il
cancello è aperto? Quando siamo arrivati in cucina, era chiuso,
mentre ora è aperto. Cosa significa, secondo te?», disse Lotus.

«L’hanno aperto», rispose Junpei. «Molto probabilmente.»


«Quindi col percorso C, ritorniamo indietro», disse Santa. «Non
avrebbe senso», esclamò June. «Questo significa…»
Guardarono tutti il percorso D sulla mappa, e poi le scale, la
curvatura che conduceva in basso, nella profondità della nave.

«Percorso D, dunque», disse Lotus. «Che D sia.» Scesero le


scale, fino a raggiungere il ponte C. Giusto per esserne sicuri,
proseguirono per controllare il ponte più in basso. «Sì, come
pensavo. Il ponte D è completamente sommerso», disse Junpei.
«Proprio come il fondo delle scale principali…», disse June.

90
L’acqua li fissò di rimando, la superficie liscia come un
grande specchio. Per quanto infausto, Junpei trasse un po’ di
conforto dal fatto che il livello dell’acqua non era salito di
molto dall’ultima volta che avevano controllato. Tornarono al
ponte C.

Non ci volle molto a ritrovare i due ascensori di fronte


alle scale. Sembravano identici agli ascensori del piano
superiore, con una eccezione: questi avevano un card reader
sul muro tra di loro. Sul card reader c’era uno strano simbolo.

«Ehi, guardate, è il simbolo di Lotus», disse Junpei. «Eh?»,


disse Lotus. «Guarda, è il simbolo femminile con le corna
sopra. Sembra tipo… ahi ahi ahi ahi ahi ahi fa male!» Lotus
aveva alzato Junpei per i capelli. Lotus iniziò a scuoterlo
violentemente, e Junpei pensò di stare udendo un profondo
ruggito provenire dalla sua gola.

Quella violenza… Junpei iniziò a chiedersi se non fosse


proprio il Diavolo in persona. Con un sorriso inquieto, June
parlò: «È il simbolo di Mercurio. Le corna simboleggiano le ali
del bastone di Hermes.»

«Hermes, herpes, che importa. Se non facciamo


funzionare questo coso, gli ascensori non andranno da nessuna
parte», disse Santa. «In altre parole, ci serve la chiave con il
simbolo di Mercurio», disse Lotus. «Probabile.»

Lasciarono perdere gli ascensori e tornarono alle scale. Un


corridoio si estendeva sulla sinistra. C’erano moltissime porte
su entrambi i lati del corridoio. Non erano sicuri di quante

91
fossero, ma certamente abbastanza da esserne scoraggiati.
«Maledizione. Se cerchiamo in tutte queste stanze, il sole sarà
sceso prima di averne viste la metà», disse Santa.

«Penso che il sole sia già sceso…», osservò June. «E io


sento che questa nave è l’unica cosa che scenderà a breve»,
disse Junpei. «Questo è anche peggio!», esclamò Santa. «Be’,
possiamo tornare a controllare questo corridoio più avanti.
Guardiamo quello dall’altro lato, okay?», suggerì Lotus.

Con crescente frustrazione e paura, tornarono alle scale.


Alla loro destra c’era un piccolo corridoio. Velocemente, vi si
diressero. Era approssimativamente della stessa grandezza
dell’alcova di fronte alle scale. Il corridoio portava a poppa, e
alla fine c’erano una serie di porte doppie.

«Apriamole», disse Lotus. Junpei annuì, e afferrò la


maniglia più vicina. Diede un piccolo strattone e la sentì
muoversi. Era aperta. Emozionato per aver trovato una porta
sbloccata, la aprì.

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92
5. Porta 5: Cabina di prima classe e Casinò

«Ehi, aspettate!» Lo strillo di Junpei echeggiò per la stanza.


I quattro si fermarono, e si voltarono verso di lui. «Anche io
voglio attraversare la porta 5.» Le parole gli erano a malapena
uscite di bocca, quando June parlò: «Cosa? Che stai dicendo,
Jumpy? Se vuoi passare per quella porta, allora ci verrò con te.»
Lui si girò a guardarla.

«No, non puoi. Non puoi venire con me.» «P-perché?» «Be’,
sai cosa c’è lì dietro, no? Sicura di volerlo vedere?» «…» June
aprì bocca, come per dire qualcosa… ma invece la richiuse, e
posò lo sguardo sul pavimento. Junpei sentì una fitta al petto
per il dolore evidente di June, ma ormai aveva deciso. Non
poteva fare altro.

93
Junpei volse lo sguardo altrove, facendo del suo meglio
per mettere a tacere il turbinio di emozioni. «Per favore.
Fatemi passare per la porta 5.» Seven si grattò il capo e guardò
il giovane. «Amico… ora siamo di nuovo al punto di partenza,
lo sai vero?»

Snake prese la parola. «Il numero di Junpei è 5, giusto? Se


vogliamo aggiungerlo, dobbiamo sottrarre 5 dal resto di noi.»
Snake si voltò verso Ace: «Ace… per favore, prenditi cura di
Clover.» «Oh… okay. Va… va bene.» «Non andartene via!»,
implorò Clover. «Devi ascoltarmi, sorellina. Andrai nella porta
4 con gli altri.» «No!» «Non essere così egoista!» Il tono di
Snake era severo. Delle lacrime spuntarono sugli occhi di
Clover. Si morse le labbra, e fece del so meglio per trattenersi.

L’espressione di Snake si ammorbidì, strinse Clover tra le


sue braccia e le sussurrò all’orecchio: «Andrà tutto bene.
Tranquilla.» Sembrava che le avesse sussurrato altre due o tre
parole, ma Junpei non riuscì a sentirle. Non poté far altro che
chiedersi cosa le avesse detto.

Snake lasciò la presa dalla sorella, con occhi affabili e


curiosi. «Va bene… capisco…» La sua voce fu a malapena
udibile da Junpei. In poco tempo, si costituirono due nuovi
gruppi.

A passare per la porta 5 sarebbero stati Seven, Snake e


Junpei. (7 + 2 + 5 = 14 -> 1 + 4 = 5)

A passare per la porta 4 sarebbero stati Lotus, Santa, June,


Ace e Clover. (8 + 3 + 6 + 1 + 4 = 22 -> 2 + 2 = 4)

94
Seven, Snake e Junpei si identificarono in rapida
successione. Il display del RED mostrò tre asterischi. «A posto,
possiamo andare.» Junpei si guardò intorno un’ultima volta, la
mano che afferrava la leva del RED. «Okay… fai attenzione…»
La preoccupazione era evidente sul volto di June. Junpei la
guardò negli occhi e le diede quello che sperava essere un
cenno di rassicurazione.

Tirò la leva. Con un brusco clack ad indicare che qualcosa


si era sbloccato, la porta si aprì. Davanti a loro, nel piccolo
corridoio, giacevano i miseri resti del nono uomo. Per un
attimo, Junpei si fermò. Non riusciva a distogliere lo sguardo
dalla carcassa, e i suoi piedi non avevano intenzione di
collaborare.

Anche Seven sembrava paralizzato. Snake, d’altro canto,


era indifferente. Camminò tranquillamente lungo il corridoio
insanguinato, fermandosi solo quando realizzò che i suoi
compagni non lo stavano seguendo. «Avete intenzione di farmi
morire? Vi ricordate che la porta rimane aperta solo per nove
secondi, vero?» Non si era neppure curato di voltarsi verso di
loro – la sua testa era, tuttalpiù, vagamente inclinata verso la
spalla.

Junpei e Seven si guardarono l’un l’altro, annuirono, e


finalmente compirono il grande passo. Appena lo fecero, un
freddo ticchettio incominciò a risuonare dal polso sinistro di
tutti e tre loro. Seven e Junpei guardarono i braccialetti. Su
entrambi, e su quello di Snake, era comparso un teschio rosso.
Il detonatore aveva iniziato il conto alla rovescia!

95
Si erano a stento resi conto della faccenda, quando con un
forte rumore metallico la porta numerata dietro di loro si
richiuse. Se non fossero riusciti a trovare il dispositivo che
avrebbe disattivato i detonatori sui loro polsi, non avrebbero
più lasciato quel corridoio. «Ehi! Dov’è il DEAD?» La paura e la
fretta nel volto di Seven esprimeva ciò che tutti e tre
provavano. Junpei girò velocemente su se stesso cercando
disperatamente di intravedere il DEAD. Lo trovò abbastanza
facilmente. Era sul muro, accanto alla porta chiusa con il 5.
«Trovato! È qui!»

Appena lo ebbe gridato, colpì lo scanner con la sua mano.


Gli altri due scattarono per fare lo stesso. Appena finirono,
Snake tirò la leva. Tutti tirarono un sospiro di sollievo. «Bene,
sembra che si sia fermato.» Junpei si asciugò il sudore sulla
fronte con la mano tremolante. «Questo maledetto coso stava
per farmi venire un infarto…»

I nervi tesi sporgevano dal collo di Seven, e gli angoli


della bocca si muovevano in preda agli spasmi. «Jumpy, va
tutto bene?» «State bene?» Potevano sentire voci in ansia,
smorzate ma chiare, dall’altro lato della porta. «Sì, stiamo
bene!» «I detonatori si sono disattivati!» Anche attraverso la
porta i tre uomini sentirono dei sospiri di sollievo, e la tensione
dileguarsi.

«Bene, noi andiamo! Fate attenzione, okay?», disse Seven.


«Okay!» «Sicuro!» Sentirono dei passi allontanarsi, e in breve
tempo furono nuovamente soli. Junpei si guardò attorno. Il
corridoio giungeva ad un punto cieco tra i sei e gli otto metri
più in là rispetto a dove stavano. Una spessa porta d’acciaio
96
bloccava la via. Per quanto potessero provare a forzarla, si
sarebbe rifiutata di muoversi. A sinistra, comunque, c’era una
porta di legno che sembrava del tutto invitante ai compagni.
Al centro riportava una placca, con la scritta “Prima classe”.

«Una cabina di prima classe…» «Così pare.» «Diamo


un’occhiata allora, no?» Senza esitazione, Snake aprì la porta ed
entrò. Seven seguì standogli vicino. Anche Junpei si mosse,
ma… si fermò, proprio sulla soglia, e si guardò indietro, senza
sapere il perché. Nel piccolo corridoio giaceva il corpo di un
uomo – o almeno, ciò che ne era rimasto. Si era sforzato di
evitare di guardare quella scena orrenda, ma questa proprio
non gli usciva dalla testa.

Quelli che una volta furono gli organi interni di un uomo


ora somigliavano così tanto a del vomito… Come se qualcuno
avesse morsicchiato e poi sputato la parte migliore del suo
torso. Era orribile, ma peggio ancora, era crudele. Era difficile
credere che quella cosa sul pavimento un tempo era stata
umana. La pozza nera di sangue, denso… I mucchietti di carne
luccicante sparpagliati in giro… L’intestino attorcigliato e
ridotto a brandelli… La testa, storta in una posizione innaturale
e grottesca…

Gli occhiali dell’uomo giacevano accanto alla sua testa. Le


lenti erano rotte, la montatura piegata e deformata. E vicino
agli occhiali c’era un braccialetto, con il numero 9 ancora sul
display.

“Infine, parliamo di come rimuovere il braccialetto. Ci


sono solo due modi per farlo.
97
Primo: riesci a fuggire da questa nave.

Secondo: il tuo battito cardiaco raggiunge lo zero.

In altre parole, appena il braccialetto sarà portato fuori dai


confini della nave, oppure noterà che il tuo battito cardiaco è
sceso a zero, si sbloccherà automaticamente.”

Improvvisamente, Junpei sentì il suo stomaco contorcersi,


e un nodo di muscoli stringergli la gola. Si coprì la bocca con
le mani, e corse verso la cabina di 1° classe. L’atmosfera mutò
immediatamente. La stanza era sfarzosa, e nonostante
l’apparente età della nave non era per nulla logorata. Si guardò
in torno. Seven e Snake non erano in vista.

C’erano due porte sul lato destro della stanza. Aprì quella
alla sua destra, ed entrò. Dall’altro lato della porta c’era un
piccolo corridoio. Lo percorse, aprì la porta all’altra estremità, e
sbirciò dentro. Ecco dov’erano: alla sua destra, indaffarati ad
esaminare qualcosa.

Entrò dentro e camminò verso di loro. «Com’è?» Rispose


Seven: «Da’ un’occhiata a questa cosa. Qui, sulla porta.» «Le
luci rosse sono accese… significa che è chiusa?» «Suppongo sia
così», intervenne Snake. «Ci sono altre vie?» «Abbiamo cercato
un po’ dappertutto. Oltre a questa porta, non abbiamo trovato
nulla.» «Mi state dicendo che a meno che non riusciamo ad
aprire questa porta…» «Sì. Non potremo andare da nessuna
parte.»

Junpei fece dei passi indietro, e guardò la stanza.


Sembrava una camera da letto. Immaginò che la stanza in cui
98
era entrato all’inizio fosse il salotto, o ciò che passava per tale
su una nave. Seven parlò: «Bene, troviamo un modo di aprire
questa porta. Forza, ragazzi!»

Sotto il cuscino del letto a baldacchino, Junpei trova un


foglio azzurro recante uno spartito.

Junpei fu colto di sorpresa. Snake, solitamente così calmo


e contenuto, iniziò a muoversi all’improvviso. Fissava la stanza
quasi freneticamente, chiaramente cercando qualcosa. No,
pensò Junpei, non “fissava”… dopo tutto, era cieco. Cieco o
meno, Snake stava chiaramente tentando di fare qualcosa.

Alla fine, Junpei non poté più contenere la sua curiosità:


«Che stai facendo?» Snake aspettò un momento prima di
rispondere: «Ho sentito qualcosa… di strano.» «Qualcosa di
strano?» «Sì, be’. Non importa. Non sembra nulla di sospetto.
Non per vantarmi, ma i miei sensi uditivi sono
considerevolmente più sviluppati di quelli della maggior parte
degli umani. Noto anche il più lieve dei suoni.» «Vorresti dirmi
che puoi sentire un ago cadere a un chilometro di distanza?»
Snake rise: «No. Quello sarebbe impossibile. Comunque,
sentendo il rumore di passi e respiri, e in generale i suoni
dell’ambiente, posso localizzare la maggior parte degli
oggetti.» «Vero. Quando Clover era caduta dalle grandi
scalinate un po’ di tempo fa, ti sei fiondato accanto a lei
immediatamente. Così tu…» «Sì. L’ho sentito accadere. Di fatto,
so correre piuttosto velocemente – di sicuro almeno quanto te.
E se qualcuno cercasse di lottare con me, sono abbastanza
sicuro che potrei sconfiggerlo.

99
Junpei fu colto alla sprovvista da questa rivelazione.
Guardò Snake, scettico. «Non mi credi, eh? Vuoi una
dimostrazione? Devo avvertirti però, senza dubbio te ne
pentirai.» Junpei non disse nulla. «Bene, immagino che
abbiamo perso abbastanza tempo. Riprendiamo la nostra
ricerca, ok? Con un piccolo sorriso soddisfatto di sé, Snake si
voltò e se ne andò a cercare.

Junpei si avvicina al pianoforte e guarda lo spartito posto


sopra i tasti.

«Ehi, cos’è questa? Una mappa della nave?» «Una mappa?


C’è una mappa qui?» «Sì» «Immagino si dimostrerà molto utile.
Faresti bene a conservarla, Junpei.» «Okay.»

Junpei esamina una scrivania bianca che Snake sostiene


essere di mogano, senza trovare nulla. La stanza ha tre porte:
quella con l’apparecchio con la luce rossa, quella da cui Junpei
è arrivato, e un’altra. Junpei la apre e trova un comò verde con
sopra una cassaforte. Snake sostiene non ci sia nulla all’interno,
deducendolo dal peso e dalla mancanza di rumore quando
fatta scuotere.

Dentro il comò c’è un altro spartito azzurro. Tornando al


corridoio, Junpei entra poi nel bagno. Dal rubinetto non esce
acqua. La vasca da bagno, invece, ne è piena. Sembra ci sia
cenere o qualcosa di simile nell’acqua.

Nel salotto principale ci sono una sedia e una scrivania


che aggiungono un tocco di classe, e un camino in cui sta
bruciando un foglio. Junpei prende un vaso e lo riempie con

100
l’acqua della vasca da bagno. Poi toglie il tappo della basca per
svuotarla, trovando un altro spartito azzurro.

Spegne il fuoco del camino per prendere il foglio, che si


rivela essere l’ennesimo spartito.

Appena Junpei prese il foglio – la lamiera –, e se lo mise


in tasca, Seven cacciò un urlo, e incespicò perdendo l’equilibrio.
Sporse una mano in fuori e si appoggiò alla parete giusto in
tempo per rimettersi in piedi ed evitare di cadere, ma il volto
era avvampato di calore, e sembrava spaventato.

«Ehi… Seven, che diavolo è successo? Stai bene?» «Sì, sì,


sto bene… mi è solo venuto un capogiro, tutto qui.» Seven si
portò due dita sulle sopracciglia, e scosse la testa, come per
darsi una sistemata. «Che mi sta succedendo… prima la perdita
di memoria, ora mi vengono capogiri senza motivo…» Junpei
era scioccato, e sottolineò ogni parola distintamente: «Perdita
di memoria?» Seven, da parte sua, rimase indifferente.

«Ah giusto, mi sa che non te l’ho detto, eh? L’ho detto a


tutti gli altri, ma dev’essere stato prima che tu arrivassi. Be’, la
versione corta è che non ricordo una cippa di niente da quando
mi sono svegliato qui. Non avevo fatto caso al non avertelo
ancora detto.»

«Ehi ehi ehi, aspetta un minuto! Stai parlando di


un’amnesia, giusto?» «Sì, immagino di sì.» «E perché soffri di
amnesia? Che ti è successo?» «Se lo sapessi, non soffrirei di
amnesia, no?» «Oh… be’, immagino tu abbia ragione.» Junpei
si fermò un momento, fissando Seven.

101
«Stai dicendo la verità?» «Eh?» «Be’, sembri molto calmo
per essere qualcuno che non ricorda nulla. Se avessi davvero
l’amnesia, non dovresti essere, tipo… turbato, confuso, o
qualcosa di simile?» «Certo, sicuro, voglio dire, ero piuttosto
confuso quando mi sono svegliato giù al ponte D. Ma è passato
un po’. Ho avuto abbastanza tempo per abituarmici. Dopo un
po’, ho capito che non valeva la pena farsi problemi o
preoccuparsene. Dopotutto, che senso ha preoccuparsi di
qualcosa che non posso cambiare? Di solito l’amnesia non dura
per sempre. Immagino se ne andrà via da sola, alla fine.»

«È… è così?» «È così.» «…» «Bene, abbiamo parlato


abbastanza. Torniamo al lavoro.» Seven lanciò un’occhiata a
Junpei che il giovane ragazzo non seppe come interpretare, e si
voltò per proseguire la ricerca. In qualche modo, comunque,
Junpei non trovò le sue rassicurazioni molto rassicuranti.

L’ultimo spartito si trovava dietro l’altra porta, dentro un


comò più piccolo. Stando alla numerazione sono tutti, così
Junpei suona le poche e semplici note al pianoforte (che ha i
tasti sbagliati, ma con un po’ di tentativi si riesce lo stesso). La
melodia è quella della campana nelle scuole giapponesi.

«Fatto. La musica non è il mio forte… ehi, aspetta! Cos’è


stato questo suono?» «Junpei! Ce l’abbiamo fatta! Sembra abbia
funzionato! Ho sentito qualcosa sbloccarsi all’uscita…
Andiamo!»

Seven li interruppe: «In piedi! Inchino! Seduti!» Immagino


che questo non se lo sia dimenticato, pensò Junpei. Se non altro
Snake lo trova divertente. «Effettivamente era la campana di
102
scuola, eh. Anche se non penso che fosse ciò a cui pensava Zero,
comunque. No, no, Zero quasi sicuramente pensava a
Westminster, non alle scuole superiori.» «Westminster?»,
chiese Seven. «Il palazzo di Londra che ospita le Camere del
Parlamento. Avrai sentito parlare del Big Ben, il famoso
campanile, vero? Il Big Ben suona quelle note ogni ora.»

«Londra… la capitale d’Inghilterra, eh?» «Ad ogni modo,


ora la porta è aperta. Andiamocene, immediatamente!»

Junpei uscì dalla porta, per raggiungere un lungo, dritto


corridoio. Si fermò un momento, e si guardò indietro. Seven
era piegato, apparentemente facendo qualcosa alla porta. «Che
sta facendo?» Junpei parlò più o meno tra sé e sé, ma Seven lo
sentì lo stesso. L’enorme uomo si alzò e si voltò verso Junpei.

«Stavo solo mettendo una di queste placche qui. È meglio


tenere le porte aperte per evitare che si chiudano di nuovo. Ora
possiamo tornare indietro quando ci pare, no?» «E perché
dovresti voler tornare indietro?» La domanda di Snake era
ragionevole. Seven ci pensò un momento, prima di rispondere:
«Potrebbe venirmi voglia di suonare il piano.» «Il piano?»
«Eddai, andiamo.» Senza attender risposta, Seven s’incamminò
per il corridoio.

Snake diede una scrollata di spalle, sospirò, e seguì


sobriamente Seven. È una menzogna, pensò Junpei tra sé. Gli
era difficile credere che Seven sapesse suonare il piano. Ma se
anche fosse, il piano che si erano lasciati alle spalle era
piuttosto inutile, con la tastiera completamente scombinata. Se

103
Seven voleva tornare indietro, difficilmente era per suonare il
pianoforte.

Ma se le cose stavano così, perché voleva lasciare la porta


aperta…? Junpei corrugò le sopracciglia, diede un’ultima
occhiata alla porta, e poi raggiunse i suoi compagni.

Dopo un po’ di tempo nel corridoio, affiorarono in un’area


più larga e aperta. Una grata di metallo molto larga, come la
porta di una prigione, la divideva a metà. La scossero per un
po’, ma come si aspettavano, non si mosse.

Dietro la grata c’erano due ascensori. Da quella distanza,


chiaramente, era difficile stabilire se fossero in funzione. Sul
lato sinistro della grata c’era una porta. Sfortunatamente,
comunque, era bloccata, e si rifiutava di aprirsi.

Junpei si prese un momento per esaminare il lato sinistro


della stanza. Vicino alla parete c’era una rampa di scale, che
portava giù. Accanto alle scale, impedendone la discesa. C’era
un largo cancello di acciaio.

Per come si presentava, il cancello sembrava essere di un


tipo che poteva aprirsi, a differenza della grata metallica che
divideva la stanza. Con un pizzico di fortuna, Junpei sperò che
si riuscisse ad aprire. Si avvicinò alla serratura.

«Il simbolo della donna?» Non era per niente sicuro di


come prendere la faccenda. Snake, naturalmente, era molto
più sicuro: «Ah, il simbolo di Venere, immagino. Ricordi i
simboli simili vicino alle scalinate principali? Si riferiscono

104
tutti ai corpi celesti… Verosimilmente, questo rappresenta
Venere, e non il simbolo femminile. Così suppongo.»

Mentre stavano discutendo dei simboli, realizzò Junpei,


Seven se ne era andato. Sentendo la sua assenza, Snake e
Junpei si voltarono per cercare il loro compagno. Seven li
aveva lasciati per esaminare il corridoio a destra delle scale.

Junpei afferrò Snake per guidarlo verso la giusta direzione,


e si avvicinarono a Seven. Dopo poco, i tre erano ritti di fronte
ad una porta. Era una porta francese. Junpei la controllò, e
realizzò che a differenza di molte altre porte incontrate, questa
si apriva. Quasi temendo che si potesse bloccare all’improvviso,
Junpei la aprì, ed entrò.

Ci volle solo un momento per capire dove si trovava. «È


una specie di casinò?» «Sembrerebbe proprio di sì.» Prima che
Junpei potesse commentare ulteriormente, un suono
proveniente da dietro lo fece voltare. Snake stava scuotendo la
porta da cui erano appena passati. Mentre Seven e Junpei
stavano osservando, gettò le mani al cielo in segno di
frustrazione, e assestò un calcio alla porta. A quanto pare,
erano per l’ennesima volta bloccati dentro.

Non c’era motivo di farsi prendere dal panico, comunque.


Anche se la porte fosse rimasta aperta, non ci sarebbe stata
alcuna ragione per tornare indietro. Avrebbero dovuto trovare
un’altra uscita. «Okay ragazzi, dividiamoci e cerchiamo in
questa stanza. Niente bighellonaggini, andiamo!» Spronati
all’azione dalle parole di Seven, Junpei e Snake iniziarono ad
esaminare la stanza.
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Su un tavolo da poker Junpei trova e raccoglie una carta:
il 5 di picche. Sul bancone del bar trova un 4 di picche. Snake
trova un 7 di picche.

Un 6 di picche si trova su uno scaffale sporgente, e


accendendo due luci una superficie riflettente mostra i simboli
dei fiori, dei quadri e dei cuori.

Accendere le luci ha fatto scendere un sacchetto di


monete dal camino lì sotto, utili per giocare alle macchinette.
Junpei vince premendo i tre pulsanti nell’ordine indicato dalla
superficie.

La ricompensa è una chiave con il simbolo di Venere, e


un’altra carta, un 2 di picche. Un 3 di picche si trova su un
tavolo per giocare a Baccarà.

All’improvviso, Seven parlò. «Ahhh, baccarà. Ci hai mai


giocato, Junpei?» Junpei scosse il capo. Era a malapena
consapevole dell’esistenza di un simile gioco. «Bene, allora
lascia che ti spieghi le regole. Baccarà è un gioco strano. C’è il
banco e il giocatore, e lo scopo è indovinare chi vince. La
vincita sia del banco che del giocatore dipende dalle rispettive
mani. Bisogna sommare il valore delle proprie carte- Chi si
avvicina di più a 9 vince. Se il tuo numero è minore di quello
del tuo avversario, perdi. Tutto qui, questa è la spiegazione.
Capito? Cioè, in realtà c’è un sacco di roba in più… strategie,
dettagli, cose così… ma quello che ti ho appena detto riassume
abbastanza bene l’essenziale. La singola cifra della somma di
tutte le carte che hai. La mano più forte è quella che dà 9. E la

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più debole quella che ha 0. Le cifre delle decine vengono
semplicemente ignorate. Capito?»

Non era stata richiesta, ma la spiegazione di Seven – per


quanto molto rapida – fu d’aiuto. Nonostante avesse capito solo
metà delle cose, Junpei ora sentiva di avere afferrato un po’
come si vinceva a Baccarà. Ad ogni modo, Junpei non aveva
modo di sapere se l’enigma al tavolo del Baccarà di fronte a
loro seguisse quelle regole, e se lo faceva, in che modo.

Nessun problema, si disse. Avrebbe semplicemente


provato in qualsiasi modo gli fosse venuto in mente.
Sentendosi più sicuro, Junpei si avvicinò al tavolo del Baccarà.

C’è una carta a rappresentare il banco, posta sotto una


piastra di vetro: era un 8. C’era la possibilità di inserire tre
carte; Junpei sceglie il 2, il 3 e il 4. La somma è 9. La lastra di
vetro scivola indietro, rendendo disponibile la carta dell’8.

Vicino alla porta dell’uscita c’è un pannello con due posti


per inserire carte. Uno contiene l’Asso, l’altro è vuoto. A destra
c’è scritto 9. Junpei inserisce l’8 nello spazio vuoto, e la piastra
con il 9 scivola rivelando altri tre posti per inserire carte.
Junpei inserisce il 5, il 6 e il 7, la cui radice digitale è 9, e la
porta si apre.

Junpei e i suoi compagni corsero fuori dal casinò verso


una stanza larga e aperta… di fatto, la stanza in cui erano stati
poco prima. Non furono particolarmente sorpresi. Sapevano
già qual era il loro prossimo passo. Il cancello di acciaio si
stagliava ancora lì, di fronte a loro, bloccando il passaggio

107
verso le scale. Al centro del cancello c’era la serratura,
adornata con il marchio di Venere.

Questa volta, però, Junpei aveva la chiave di Venere in


tasca. Senza perdere tempo, la tirò fuori, e la spinse nella
serratura. La girò. Con il tipico suono di metallo contro
metallo, sentì che si era sbloccata. «Okay, apriamo questa
cosa.» «Nessun problema. Ti aiuto.» Junpei afferrò la maniglia
sul lato sinistro, e Seven quella sul lato destro. Al segnale di
Junpei, entrambi spinsero, e il cancello si aprì.

«Suona come se l’aveste aperto. Dovremmo poter


raggiungere il ponte C adesso, immagino.» «Snake, riuscirai?
Voglio dire, le scale…» «Per favore, non farti il torto di
sottovalutarmi. Sarebbe improbabile che inciampassi perfino
andando all’indietro.» «Buono a sapersi. Andiamo.» Alle parole
di Seven, accorsero alle scale, e le scesero velocemente.

In poco tempo, si ritrovarono al ponte C. Junpei scese


ulteriormente le scale, sperando di vedere il ponte ancora più
in basso. Quando raggiunse l’acqua, chiamò Seven e Snake.
«Proprio come pensavo. Il ponte D è completamente
sommerso.» «Esattamente come il fondo delle scalinate
centrali.»

La superficie dell’acqua sotto di loro era piatta, come uno


specchio. Il fatto che non si fosse alzata molto da quando
l’avevano vista l’ultima volta era un ottima notizia. Junpei
tornò rapidamente sui suoi passi, e in breve fu al ponte C.

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Di fronte alle scale c’erano due ascensori. Sembravano
identici ai due al piano di sopra. Tra essi, alla parete, c’era un
altro card reader. E su di esso c’era un altro strano simbolo.
«Ehi, guardate questo… è il simbolo di Lotus», disse Junpei.
«Cosa?», chiese Seven. «Non vedi? È il simbolo della donna,
però sopra ha le corna del diavolo, no?» Seven scoppiò in una
fragorosa risata. «Vedo, vedo. Nessun dubbio al riguardo.
Questa era buona, ragazzo.»

Seven scompigliò i capelli di Junpei in un modo che


probabilmente pensava essere amichevole – Junpei temette
che il suo collo si sarebbe spezzato, anche se era chiaro che
Seven stava trattenendo la sua forza. Grazie al cielo, Snake li
interruppe. Dopo l’osservazione di Junpei, era andato ad
esaminare il card reader.

«È il simbolo di Mercurio. Quelle che hai scambiato per


corna sono una versione stilizzata delle ali e della staffa di
Hermes.» «Ali e una staffa, eh… quindi lei ti picchia col
bastone finché muori e vai in paradiso? Sembra proprio Lotus,
sì.» Seven rise ancora, per la sua stessa battuta, scosse la testa di
Junpei ancora più vigorosamente e il ragazzo iniziò a sentire
come se il suo cervello fosse sballottato nel suo cranio. Iniziò a
sentirsi piuttosto… danneggiato.

«A meno che non attiviamo questo dispositivo, dubito che


l’ascensore funzionerà», disse Snake. «In altre parole,
dobbiamo trovare una tessera col simbolo di Mercurio»,
continuò Seven.

109
Per il momento, decisero di lasciar perdere gli ascensori, e
tornare indietro verso le scale. A sinistra c’era un altro
corridoio. C’erano svariate porte allineate lungo entrambi i lati.
Sembravano estendersi all’infinito, e i tre uomini si sentirono
molto piccoli. «Oh merda, non abbiamo abbastanza tempo per
controllarle tutte, vero?», disse Seven. «Magari potremo
tornarci più avanti. Andiamo a vedere l’altro lato.»

Si voltarono e tornarono da dove erano venuti. A destra


delle scale, si estendeva un altro corridoio, raggiungendo in
profondità le viscere della nave. Dopo qualche momento in cui
percorsero agilmente il corridoio, raggiunsero un’area che
aveva approssimativamente la stessa grandezza e forma di
quella in cima alle scale. Sulla sinistra, quattro porte francesi.
«Bene, apriamole.»

Junpei annuì, e afferrò la maniglia di quella a lui più


vicina. Diede uno strappo alla maniglia e la sentì muoversi. Era
sbloccata. Elettrizzato per l’aver trovato un’altra porta non
bloccata, la aprì.

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110
6. La scomparsa

Junpei non aveva idea di come reagire a ciò che vide.

Stette semplicemente immobile a fissare il tutto, incapace


di parlare. Dopo alcuni lunghi momenti, Seven riuscì a parlare.
«Ehi… che… che cos’è questo posto…»

Una gigantesca stanza si estendeva di fronte a loro – più


una caverna che una stanza. La sua vastità era opprimente, e
premeva su Junpei e gli altri. Non era vuota, comunque.
L’intera stanza era riempita con file e file di letti. Erano molto
semplici, poco più che tubi e materassi sottili.

«È… un ospedale?» Infine, Junpei riuscì a dare un nome al


crudo odore che pervadeva la stanza. Era piena del lindo odore
di soluzione antisettica. Al centro della stanza c’erano scaffali

111
con medicine accatastate, e una serie di apparecchiature
mediche la cui funzione era ignota a Junpei.

Fatto più rilevante, comunque, sulla parete della stanza


c’erano quattro porte. Tre di queste erano decorate da una
grande singola cifra, fatta con densa vernice rossa.

La porta sulla sinistra recava un 3. La seconda porta da


sinistra non aveva alcun numero, ma la successiva recava un 7.
L’ultima a destra invece portava un 8. Non c’era alcun dubbio:
si trattava di porte numerate.

Colpì Junpei come un fatto strano, però, che la porta tra la


3 e la 7 fosse bianca. Chissà, si chiese, cosa potesse significare…
«Diamo un’occhiata a quelle porte.» «Sì, buona idea.» Si fecero
strada attraverso i lettini, verso il fondo della stanza. Una volta
raggiunto, procedettero ad investigare ogni porta a turno, ma
senza alcun risultato.

«Bloccate, come pensavo…», disse Junpei. «Naturalmente.


Dopo tutto, ci sono delle regole nel Nonary Game, e se le porte
si aprissero così facilmente non avrebbe senso. Se non ci
identifichiamo ai RED, le porte numerate…»

«Ehi, ehi, guarda questo… guarda il RED… non c’è niente


su…» «Eh?» «Non ti ricordi i RED delle scale principali?
Quando non c’era nessuno dentro, riportavano LIBERO sul
display, ricordi?» «Oh… sì, vero, hai ragione.» «Mentre su
questi…» «… non c’è nulla.» «Pensate sia rotto?» «C’è solo un
modo per saperlo.»

112
Junpei e gli altri posero le loro mani sul pannello, ma non
accadde nulla. Il RED si rifiutava di rispondere. Provarono a
tirare la leva, ma ancora niente. Come scoprirono ben presto,
non era solo il RED della porta 8 ad essere apparentemente
mal funzionante. Il RED della porta 7, e il RED della porta 3.
Nessuno di essi funzionava.

Cosa, si chiesero, significava? «Devono essere rotti.


Ragazzi, che bastardo… non pensavo che Zero fosse il tipo di
persona da sbagliare una cosa simile.» Junpei replicò: «Ehi,
ehi… Zero ha preparato tutto questo accuratamente… e stai
dicendo che ha fatto un errore del genere?» «Be’, è l’unica cosa
cui riesco a pensare. Questi aggeggi non vanno, punto.»

E proprio in quel momento, udirono il suono di una porta


aprirsi. Si voltarono, e videro gli altri. Questi si fermarono di
colpo, sorpresi di vederli. Erano tutti senza parole. «Che cosa ci
fate…?» «Perché siete…?»

Dopo un momento di silenzio e sorpresa, tutti iniziarono


improvvisamente a parlare, nel disperato bisogno di scambiare
informazioni. Parlarono delle stanze per cui erano passati, e di
come erano finiti nello stesso posto. Ovviamente, nessuna
informazione era davvero utile, ma questo non importava.

Erano semplicemente felici di vedersi l’un l’altro di nuovo.


Anche se il livello di contentezza variava molto da persona a
persona, ognuno sfoggiava un qualche tipo di sorriso. Quasi
come se avessero dimenticato la morte del nono uomo… No,
pensò Junpei, non era così. Forse proprio i pensieri della sua
morte erano ciò che li portava a sorridersi l’un l’altro. Non in
113
modo macabro o odioso, no. Il nono uomo era morto… ma
loro erano ancora vivi, e questo era qualcosa di cui essere felici.
Una sorta di semplice gioia, pensò Junpei, la gioia di essere vivi.

Ancora vivi… era triste per la sorte del nono uomo, ma


più di ogni altra cosa Junpei era felice di essere vivo.

Snake si diede da fare ad esaminare i RED. Dopo un po’,


abbassò le mani e parlò: «Pare che alcuni pezzi dell’hardware
interno siano stati rimossi.» «Hardware interno…?» «Sì, è ciò
che ho detto. Guarda sotto a questo RED, se desideri.» Junpei si
piegò per guardare il fondo del dispositivo. Una lunga e sottile
fessura scorreva per il fondo. Controllando meglio, comprese
che non era un taglio ma una scanalatura fatta per inserire
qualche pezzo elettronico. Lo stesso valeva per gli altri due
RED. Qualcosa era stato chiaramente rimosso da tutti e tre.

«Ho capito… quindi i RED non funzionano perché


qualcuno ha tolto dei pezzi.» «Così suppongo.» «Ma… perché?
E chi? Voglio dire, non ha assolutamente senso…» Junpei era
sconfortato. «Non ne ho idea. Perché dovrei saperlo?»

June parlò: «È una brutta cosa, comunque… se i RED non


funzionano, non possiamo proseguire…» «Non è che magari
nel corridoio di prima c’è qualcosa?», chiese Junpei. Ace
rispose: «No, non c’è nulla lì. Noi abbiamo controllato
velocemente. C’erano varie stanze, anche se nessuna sembra
essere stata usata da pazienti per molto tempo.» «Pazienti? Vuoi
dire che quelle porte sono per stanze d’ospedale?» «Sì.
Apparentemente, hanno molte stanze singole, oltre a questa
enorme stanza centrale.» Clover prese la parola: «C’era pure
114
una porta alla fine del corridoio, ma era bloccata.» «Aveva uno
di quei simboli del sistema solare.» «Era il simbolo di Giove.»
«Giove…» «Chissà che significa…» La confusione era generale.

«A proposito, quindi cos’è questa stanza? E cos’è tutta


questa cosa? Un’enorme nave passeggeri?» Nessuno, neppure
Snake, sembrava pronto ad offrire una risposta, finché Seven
parlò inaspettatamente. «Scommetto che è una nave ospedale.
Probabilmente è il Gigantic.» «Il… Gigantic?» Junpei guardò
Seven, sorpreso sia dalla sua conoscenza che dall’apparente
identità della loro prigione. Non era l’unico.

«Cos’è il Gigantic?» Seven annuì a Lotus e iniziò a parlare.


Spiegò che era stata una nave sorella del Titanic, costruita agli
inizi del 20° secolo. Il Titanic aveva due navi sorelle, che erano
identiche in tutto e per tutto. Il Gigantic era una di queste.
Inizialmente era stata pensata per essere una nave passeggeri,
come il Titanic, ma poco dopo iniziò la Prima Guerra Mondiale,
e dovette convertirsi in una nave ospedaliera sotto gli ordini
della marina britannica.

Qualche tempo dopo, il Gigantic venne danneggiato da


una bomba tedesca nel Mare Egeo. Riuscì ad arenarsi dopo
l’incidente, e quindi a non affondare. Che cosa accadde al
Gigantic dopo il fatidico incontro nel Mare Egeo? Una teoria
vuole che un uomo chiamato Lord Gordain lo acquistò.

Lord Gordain, così pareva, era uno dei pochi sopravvissuti


alla tragedia del Titanic, e quel trauma lo aveva reso un
ossessivo collezionista di tutto ciò che fosse collegato al Titanic.
Man mano che la sua ossessione cresceva, iniziò a desiderare il
115
Titanic stesso. Ciò era chiaramente impossibile, dal momento
che il Titanic giaceva sul fondo dell’Oceano Atlantico. Il
Gigantic, invece, non aveva subito una sorte così avversa, ed
era identico alla sua nave sorella, così catturò l’interesse di
Lord Gordain.

«Quindi, stai dicendo che questo Lord Gordain ha


comprato la nave su cui siamo?» «Sì. O almeno credo, che ne
siamo dentro.» Santa disse: «È impossibile! Non esiste che
siamo in una barca vecchia di cent’anni!» «Zitto! Presta
attenzione», disse una Lotus molto interessata, e proseguì:
«Dunque, è così? Be’, hai qualche prova?» «Prova?» «Prova che
questa nave sia realmente il Gigantic.»

«Be’, uhm… questa nave ha roba simile al Titanic ed è una


nave ospedaliera. Così ho supposto che…» «Oh per l’amore del
cielo… non dirmi che è la tua unica ragione?» «N-no, c’è di
più…» «…ad esempio?» «Be’, uhm, voglio dire…» Seven si
guardò in giro disperatamente, facendo di tutto per evitare di
incontrare lo sguardo penetrante di Lotus. Si grattò la testa per
un momento, poi cedette. Infine, aprì la bocca: «Non lo so…»

Lotus sospirò e scosse la testa: «Immagino che la tua


memoria non sia tornata, eh?» «No, mi spiace…» Dopodiché,
quasi per salvare Seven da ulteriore imbarazzo, una campana
risuonò da molto lontano. Sembrava l’orologio della scala
principale.

Junpei contò ogni rintocco, con attenzione. Dieci, undici,


dodici. «È mezzanotte…» «Quindi ci rimangono solo sei ore,
giusto?» «Muoviamoci. Troveremo l’hardware che manca.»,
116
disse Seven. Lotus chiese: «È tutto sacrosanto e giusto, ma dove
controlleremo?» «Be’, abbiamo già guardato qui…» Avevano
esaminato la stanza mentre parlavano. «… Ma non abbiamo
trovato nulla. C’è un’ultima cosa da fare.» «Solo una?» «Be’,
non solo una…». Seven indicò il corridoio con tutte le stanze.

«A-aspetta un minuto! Mi stai dicendo che dovremmo


cercare in tutte queste stanze?», strillò Lotus. «Be’, ne hai già
controllate alcune prima di venire qui, no?» Ace si intromise:
«Ne abbiamo controllata una ciascuno, quindi… cinque stanze
in totale.» «Bene, quindi cinque stanze che non dobbiamo
controllare. Se ci dividiamo, non ci vorrà molto. Se ognuno di
noi può guardare sei stanze, avremo finito tutte e quarantotto
in poco tempo.» «Ne mancano quarantotto?» Lotus non
sembrava sollevata da questa prospettiva.

Seven si mosse nervosamente prima di rispondere. «Uhm,


può darsi?» Dopo un po’ di discussione, gli otto decisero da
quali stanze cominciare, e in quale ordine andare. Decisero
anche dopo quanto si sarebbero riuniti per fare rapporto:
quando l’orologio avesse rintoccato di nuovo. In
quell’occasione, sarebbero tornati alla stanza centrale con tutti
i lettini. Se, durante la ricerca, chiunque avesse trovato le
componenti mancanti, avrebbe urlato per chiamare gli altri. Se
questa strategia avesse fallito, avrebbero discusso per altre
opzioni dopo.

Una volta stabiliti i dettagli, iniziarono la ricerca. Si


divisero per andare nelle stanze assegnate. Ad ogni modo… da
molto lontano, Junpei udì la campana suonare: si era fatta
l’una.
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Saltellò verso l’entrata della larga stanza d’ospedale per
trovare sei degli altri già lì. Ace, Santa, Clover, June, Seven e
Lotus. Si erano riuniti di fronte alla porta 8. O, per essere
precisi, si erano riuniti di fronte al RED accanto alla porta 8.
Qualcuno di loro aveva trovato i pezzi mancanti?

«Che è successo, ragazzi?» Fu June a rispondere. «Jumpy,


guarda!» Stava puntando al RED. Si fece strada tra gli altri
finché fu di fronte al dispositivo. Immediatamente, comprese
cosa voleva dire. Il display sopra il pannello mostrava la parola
“LIBERO”. Junpei sospirò. «Andiamo, chi è stato? Si era detto di
gridare se qualcuno li trovava.» June parlò: «Be’…»

Junpei si chiese perché stava esitando. Gli altri erano


confusi tanto quanto June, ma tennero la bocca chiusa. «Che
diavolo! Che c’è?» Tutti sapevano qualcosa che lui non sapeva,
e Junpei non aveva intenzione di lasciar perdere. Finalmente,
una Lotus accigliata parlò: «Be’, questo è il punto… non ne
abbiamo idea.» «Non ne avete idea?» «Quando sono tornata
indietro, erano già così. E non c’era nessun altro qui… Questo
significa che sono stata la prima a tornare, ma… le parti
mancanti erano già state rimesse a posto.»

Junpei controllò il fondo del RED di nuovo, giusto per


sicurezza. La scanalatura era stata riempita e coperta di metallo.
Chiaramente, qualunque cosa fosse la parte mancante, era
tornata. «E che ne è degli altri due?» «Uguali.» Junpei esaminò
rapidamente gli altri due apparecchi. Soddisfatto perché erano
stati riparati, ma ancora molto confuso, tornò dagli altri. «Okay,
volevo solo essere sicuro. Nessun altro ha qualche idea su cosa
cazzo sia successo, vero?» Ace e June annuirono
118
silenziosamente. Seven alzò le mani come per dire “non io”, e
Santa scrollò le spalle. Solo Clover abbassò la testa e non fece
nulla.

«Eh? Aspetta un attimo…» Fu a quel punto che Junpei


notò… «Dov’è Snake?» Junpei guardò tutta la stanza una
seconda volta, ma Snake non c’era. «Significa che le ha trovate
lui…?» Ace disse: «Non ne ho idea. Non c’è niente che lo
suggerisca, e nulla che suggerisca il contrario.» Lotus
intervenne: «Immagino che non lo sapremo finché non glielo
chiederemo di persona.» «Be’, indipendentemente da cosa
abbia fatto o non fatto, è dannatamente in ritardo. Dove
diavolo è finito?», disse Seven. Poi June: «Magari si è perso…»

«Sì, sembra plausibile. Non può vedere. Non ho idea di


come faccia a raccapezzarsi con tutte queste porte…» Clover
alzò la testa, rispondendo a Santa: «No, è impossibile!».
Improvvisamente, stava urlando: «Sì, mio fratello è cieco, ma
sente molto bene! Sa muoversi in giro come chiunque altro!
Quindi non può… non può essersi perso… È impossibile…»

Clover aveva iniziato a tremare, e le nocche delle mani


erano diventate bianche. Si voltò, ma prima che riuscisse a
farlo Junpei scorse delle lacrime sgorgare dai suoi occhi.
«Andrò a cercarlo!» Le parole furono a malapena udibili, e lei
iniziò a correre. «Ehi! Ferma, Clover! Aspetta!» Junpei urlò, ma
era troppo tardi.

Clover proseguì, e prima che chiunque altro potesse


reagire, se ne era andata. «Maledizione. Cosa dovremmo fare
ora?» Lotus disse: «Be’, i RED funzionano adesso…» «no, non
119
lasceremo indietro due persone! Andremo a cercarli!», ribatté
June. «Ah, questo non è per niente buono…» sospirò Seven,
mentre Santa disse: «Oh, sì, che idea eccellente! Abbiamo già
buttato un mucchio di tempo cercando spazzatura elettronica,
ora sprechiamone ancora cercando una coppia di idioti!»

«Allora rimani qui, se pensi di doverlo fare, ma non c’è


tempo. Ci rimangono solo cinque ore.», disse Ace
ponderatamente. Junpei e gli altri annuirono l’un l’altro, e
corsero via. Di fronte alle scale che conducevano al ponte B,
decisero di dividersi. Si assegnarono rapidamente delle aree in
cui cercare, e si separarono.

Ben presto erano rimasti solo due di loro. Questi due


erano Junpei e June, che erano rimasti pochi passi dietro gli
altri. «Bene, andiamo anche noi!» «Sì, andiamo! Ma da dove
cominciamo?» «Uhm, che ne dici del casinò al ponte B?»
Percorsero le scale velocemente. Prima di accorgersene, erano
già arrivati.

C’era Lotus. Era poggiata contro il muro, esaminandosi le


unghie. «Ehi, cosa credi di star facendo?», le gridò Junpei. Lei
lo guardò, indifferente. «Non è ovvio? Cerco Snake.» «Peccato
che non sembra così…» «Davvero? Controlla meglio.» Junpei
non pensava che fosse quello, il punto. «Ad ogni modo, ho una
proposta per voi due… vi va di sentirla?» «Cos’è?» «Be’, non mi
va di girarci attorno. Perché non ci alleiamo?» «Allearci?» «Sì.
Non dirmi che hai bisogno che ti spieghi cosa vuol dire.
Intendo, perché non attraversiamo una porta numerata?» June
disse: «Anche se volessimo, sarebbe impossibile. Il braccialetto
di Jumpy è il 5, il mio è il 6, e il tuo è l’8. La nostra radice
120
digitale sarebbe 1. Ma non c’è alcuna porta con l’1 nella stanza
d’ospedale. Le uniche porte sono 3, 7 e 8.» «Allora
aggiungiamo un’altra persona.»

«Eh?» «Chi?» Sia June che Junpei erano confusi. «Be’, non
è semplice? Seven.» Aveva ragione. Aggiungendo Seven, la
radice digitale sarebbe stata 8. Loro quattro avrebbero potuto
attraversare la porta 8. Ma… «Ehi, aspetta un secondo. Che ne
sarebbe degli altri quattro?» «Perché non provi a sommarli?»
Era abbastanza semplice…

1 + 2 + 3 + 4 = 10 -> 1 + 0 = 1

«La loro radice digitale sarebbe 1», disse Junpei. «Esatto.»


«E… sai che la porta 1 non è nella stanza dell’ospedale, no?»
«Certo che lo so.» June rispose a Lotus: «No! Stai… stai dicendo
che dovremmo lasciarli indietro?» «Certo che no. Che razza di
donna pensi che sia? Una volta usciti dalla nave, potremmo
tornare indietro e recuperarli, no? Non li staremmo davvero
lasciando indietro…» «Non provare a mentirci. Non penso
faresti nulla di simile.» «Davvero? Perché lo pensi?» «Ricordi,
no? Ci mancano meno di cinque ore. Anche se riuscissimo a
scappare, non c’è modo di tornare indietro a recuperarli in
meno di cinque ore!» «Be’, se non provi non lo saprai mai.»

Junpei si intromise: «No, no… non funzionerebbe in ogni


caso. Se anche portassimo Seven con noi, non potremmo uscire
dalla nave. Noi quattro non potremmo aprire la porta 9.»
«Vero… vero, è giusto. La radice digitale di noi quattro è 8,
quindi dovremmo aggiungere Ace per fare 9», calcolò June.

121
«Esatto. A meno che non portiamo anche Ace con noi, saremo
bloccati.»

Lotus si grattò l’orecchio. «Oh… uhm, che sfortuna.» Non


sembrava particolarmente infastidita da ciò che aveva detto
Junpei. E non sembrava neppure particolarmente sorpresa. «Be’,
cerchiamo un altro modo, okay? Un modo per uscire tutti e 8
insieme.» «È impossibile. Stai scherzando? Sai che massimo
cinque persone possono passare per una porta numerata, no?
La porta 9 non sarà un’eccezione alla regola. Quindi, al di là di
tutto, almeno tre persone dovranno rimanere qui.»

Sia June che Junpei furono colpiti. «Hai ragione… è


vero…» Nel momento in cui lo disse, Junpei sentì un brivido
lungo la sua spina dorsale. Era vero. Come Lotus potesse
rimanere così altezzosa e disinvolta di fronte ad una
prospettiva così terrificante andava oltre la comprensione di
Junpei. Nel momento in cui avessero trovato la porta 9,
avrebbero dovuto scegliere quali tre tra loro sarebbero morti.

Lotus corrugò la fronte. «Posso stare per conto mio un


momento? Devo pensare ad alcune cose.» Junpei e June si
voltarono, e andarono via. Aver parlato con lei li aveva fatti
sentire male. Il cuore di Junpei era appesantito, i suoi passi
fiacchi. Ma, si disse, il pessimismo non li avrebbe condotti da
nessuna parte. Così si costrinse a sorridere, e guardò June.

«Concentriamoci solo sul trovare Snake per adesso, okay?»


«Sì… sì, hai ragione. Penseremo a queste cose più avanti…»
Junpei annuì. Decisero che sarebbero andati alle cabine di
prima classe. Si voltarono, lasciando la sala alla loro sinistra.
122
Fuori dalle cabine, trovarono Clover. Era ferma, di fronte alla
parete. Stava fissando un punto qualsiasi sul muro, i suoi occhi
spenti.

Junpei si avvicinò per parlarle: «Stai bene?» Fece del suo


meglio per sembrare amichevole, ma Clover non rispose.
«Guarda, so che sei davvero preoccupata, ma… ehm…» Non
riusciva a pensare a niente che non suonasse vuoto e falso.
Junpei esitò. Clover era così consumata dalla preoccupazione e
la paura che Junpei ebbe il timore che lei potesse frantumarsi.

Le sue azioni non lo sorprendevano – aveva perso


improvvisamente suo fratello, a cui sembrava molto legata. «…
ola…» La sua voce era debole, e a malapena udibile. «… ola…»
«Uh?» «… ola…» «Eh?» «Ho detto lasciatemi sola!»
All’improvviso, stava urlando. «Siete così scoccianti!
Andatevene via e lasciatemi sola! Solo vedervi mi manda su
tutte le furie! Andatevene, va bene? Andatevene… da qualche
altra parte. Basta stufarmi.» Junpei fu colto di sorpresa. Quella
rabbia, e quell’odio. Anche gli occhi di June si erano spalancati
per la sorpresa.

«Perché siete ancora qui? Non mi avete sentita? Benissimo.


Fantastico. Se non ve ne andrete, io…» «Ok, va bene. Andiamo,
June.» «S-sì…» Si voltarono, e lasciarono Clover. Junpei diede
uno sguardo dietro di sé per vedere Clover, che piangeva.
Clover gli aveva trasmesso tristezza per la sua situazione, ma
Junpei si disse che deprimersi non li avrebbe portati da
nessuna parte.

123
Per il bene di Clover, dovevano trovare Snake, e in fretta.
Fece del suo meglio per scacciare la tristezza e la depressione, e
abbozzò un sorriso. Decisero di andare al corridoio con tutte le
porte. Di fronte ad esse, lungo il corridoio, riconobbero Ace.
«Ehi! Snake! Dove sei? Rispondimi se ci sei!» Con June al
seguito, Junpei corse verso Ace.

Sentendo i loro passi, lui si girò per salutarli. «Ah, ciao.


Snake è… be’, è ovvio, no? Immagino non l’abbiate trovato
neanche voi.» Junpei annuì. «Mi chiedo proprio dove possa
essere finito», disse June. «Be’, ovunque sia sparito, dobbiamo
trovarlo il più velocemente possibile, per il bene di Clover»,
rispose Ace. «Giusto.» Il volto di June sembrava incantato: «Ad
ogni modo… credi che Clover e Snake siano davvero fratelli?»
«Perché dici questo?», rispose Ace.

“Perché dici questo?” La domanda sembrava abbastanza…


strana, per Junpei. «Perché? Be’, ma è ovvio, no? Non si
assomigliano per niente.» Ace lo guardò per un momento, e
poi parlò: «Sì, è vero, ora che me lo fai notare, non si
assomigliano proprio.» “Ora che me lo fai notare”? Ace
proseguì: «Comunque, ci sono moltissimi fratelli che non si
assomigliano. Di certo non è una cosa rara.»

Junpei non era sicuro del perché, o anche se avesse visto


davvero quel che credeva di aver visto, ma avrebbe giurato che
il volto di Ace si fosse teso mentre parlava. «Ad ogni modo,
dobbiamo davvero trovare Snake il più presto possibile.
L’orologio ticchetta. Non possiamo permetterci di sprecare
altro tempo.» June e Junpei rimasero in silenzio. «Molto bene,
torniamo a cercare, ok? Potete lasciare questa zona a me.»
124
«Bene. Andiamo, Jumpy.» All’esortazione di June, se ne
andarono. Si ritrovarono di nuovo a percorrere le scale, e la
mente di Junpei era in subbuglio. C’erano tante cose a cui
pensare, ma doveva metterle da parte, per il momento.

Come aveva detto Ace, trovare Snake era la loro priorità.


Junpei fece del suo meglio per rimettersi a posto le idee. Non
c’erano altre zone in cui cercare, così insieme a June tornò alla
grande stanza d’ospedale. Lì, videro Santa, di fronte alla porta 3.

Si avvicinarono per parlargli. «Che stai facendo?» «Be’,


non si vede? Sto controllando il RED.» June disse: «Perché,
qualcosa ti preoccupa?» «Be’, a te non preoccupa?» «Eh?»
«Questo… l’hardware dei RED… non vuoi sapere chi cazzo li
ha rimessi a posto?» «S-sì, è vero. Be’, anche io sono curiosa,
ma…» «Secondo te chi è stato?» Gli occhi di Santa si strinsero
mentre guardò June.

Lei scosse la testa. «Non lo so.» «Be’, e tu, Junpei? Chi


pensi che abbia aggiustato questi aggeggi per noi?» Junpei ci
pensò un po’, e disse: «Penso che sia stato Zero.» «E perché?»
«Non è ovvio? È lui che ha messo in piedi tutto.» «Non credi
che questo dovrebbe significare l’esatto opposto? Lui è quello
che non ha messo in piedi questo. Voglio dire, chi credi che
abbia preso questa roba e l’abbia messa qui, all’inizio?» «Zero.»
«Esatto. E allora perché diavolo dovrebbe toglierle, dopo averle
messe lui stesso? Non ha senso. Perché tutto quel lavoro
inutile?» Junpei soppesò le parole di Santa, e disse: «Sì…
immagino che abbia senso.» «Quindi cos’è successo? Chi ha
rimesso a posto l’hardware?»

125
Junpei inarcò le sopracciglia: «Così, in altre parole… uno
di noi è la persona che ha messo a posto i RED.» Santa ghignò:
«Bingo. Abbiamo un vincitore.» «Ma se questo fosse vero,
allora la persona che l’ha fatto non vuole che noi lo sappiamo.»
«Sì.» «Ma… perché?» «Non ne ho idea. Forse se facciamo
chiarezza su questo punto, possiamo scoprire qualcos’altro,
qualcosa di brutto.» «Qualcosa di brutto?» «Non so. Qualunque
cosa sia, a questa persona conviene nasconderlo. Potrebbe
avere a che fare con la scomparsa di Snake.»

«Pensi che abbiano potuto fare qualcosa a Snake?» «Non è


fuori discussione.» Junpei guardò Santa. C’era qualcosa in lui
che faceva sospettare Junpei. All’inizio, aveva supposto che
Santa non fosse particolarmente intelligente, ma ora pensava
di dover rivalutare questo giudizio. Quando Santa parlò
nuovamente, la sua voce era calma: «Guarda, se ti fidi di tutti
in questo gioco, perdi. Devi stare attento. La persona di cui ti
fidi di più potrebbe rivelarsi essere quella che ti pugnala alle
spalle.»

Con quel suggerimento deprimente, si voltò e camminò


lentamente via. Junpei e June si guardarono l’un l’altro e
sorrisero goffamente.

Avevano cercato ovunque fosse possibile, ma Snake non


era da nessuna parte. Quando tutti fecero ritorno, Lotus guardò
i volti frustrati di ciascuno e parlò: «Non possiamo continuare
a cercare Snake. Ovunque sia, non è qui. Dobbiamo muoverci.»
Junpei non poteva essere in disaccordo con quello che aveva
detto.

126
Snake sembrava completamente scomparso. Non sarebbe
servito a nulla sprecare altro tempo. Anche gli altri
sembravano pensarla allo stesso modo, ma rimasero in silenzio.
Infine, Seven parlò: «Non abbiamo scelta… Lotus ha ragione.
Non troveremo Snake qui. C’è un problema, comunque.
Dobbiamo decidere chi va per quale porta.» Lotus lo
interruppe: «Sì. Ho una proposta.»

Camminò indietro, i tacchi risuonando contro il


pavimento. Poi, si fermò. «Perché non decidiamo una persona
da sacrificare?» «Sacrificare?!» «Be’, magari è una parola un po’
troppo rude, però sì. Ormai ve ne siete accorti tutti, no? Non
possiamo passare tutti per quelle porte. Se ci dividiamo in due
gruppi, di quattro e tre persone rispettivamente, allora queste
tre persone saranno lasciate indietro. Se ci dividiamo in due
gruppi, di cinque e due persone rispettivamente, allora queste
due persone saranno lasciate indietro. Ma se invece ci
dividiamo in due gruppi di tre persone, e lasciamo una persona,
sarà soltanto lei a rimanere indietro.»

Non era piacevole, ma aveva ragione. Non c’era alcun


modo per far quadrare i numeri: se un gruppo era da quattro,
l’altro gruppo avrebbe avuto invariabilmente una radice
digitale incompatibile con le porte presenti. Quando Seven
parlò, la sua voce era carica di tensione: «Quindi… stai dicendo
che dobbiamo decidere chi rimane indietro?» «Sì, dobbiamo.
Date le circostanze, è logicamente e moralmente la soluzione
migliore. Se le altre sei persone devono sopravvivere, allora
una deve sacrificarsi.»

127
June intervenne: «No! È troppo crudele!» «Cosa c’è di così
crudele?» «Di… di sacrificare qualcuno in questo modo…» «E
allora qual è il tuo piano? Dovremmo sacrificare due persone,
anziché una sola?» «Non è quello che intendevo! Non
dobbiamo sacrificare nessuno!» «Te l’ho detto, è impossibile!
Svegliati!»

«Ehi, ehi, calmatevi, voi due.» Santa si interpose tra Lotus


e June. «Guarda, quello che sta cercando di dire Lotus è che
dovremmo dare la massima quantità di felicità possibile alla
massima quantità di persone possibile, giusto?» «Esattamente.
È così che funziona la democrazia. E per questa ragione, credo
che l’unico modo giusto per decidere chi deve essere sacrificato
è tramite votazione. Che ne dite?»

«No, è terribile.», rispose June. «Non ho chiesto a te! Zitta!


Tu che ne pensi, Santa?» «Io? Be’… sono d’accordo,
immagino.» «Ok, un voto a favore. Contando il mio, fanno due.
Seven?» «Non posso dire che sia d’accordo con te, ma… non
abbiamo realmente una scelta. Se non facciamo qualcosa,
moriremo tutti.» «Sono felice di vedere che l’hai capito. Se
riesco a trovare un altro voto, è fatta. Che ne dici, Clover?»

Clover si era allontanata dal gruppo, e sedeva su uno dei


lettini. Tutto il suo corpo era piegato. Junpei non era neanche
sicuro che lei avesse sentito la proposta di Lotus. Lotus
camminò verso Clover, e posò gentilmente una mano sulla sua
spalla. «Tuo fratello deve essere dietro una delle porte
numerate. Abbiamo cercato ovunque, senza trovarlo. Non
significa forse che deve essere dietro una delle porte?»

128
Clover alzò lentamente lo sguardo. «Andremo a cercarlo
insieme, okay? Se sacrificheremo una persona, potremo andare
a cercarlo. Tu… sei d’accordo con me, vero?» Clover annuì.
Clover fece una risatina. «Mozione approvata!» Lotus si voltò e
camminò verso Junpei. «Ora, iniziamo a votare per…» «Non
sarà necessario.» Ace non aveva quasi parlato per tutto il
discorso di Lotus, e tutti balzarono.

Sei paia di occhi si girarono a guardarlo. Non sembrò


notarlo, o curarsene. «Rimarrò io. Questo risolverà i nostri
problemi, no?» «A-Ace! Che stai dicendo? No, non puoi farlo!
Non risolve un bel niente!» La voce di June tremava, e si
guardò intorno disperatamente in cerca di qualcuno che fosse
d’accordo con lei.

Ace la guardò. «June, temo tu mi abbia frainteso. Ho detto


che rimarrò qui, non che mi sacrifico.» «Eh?» «Mi fido di voi,
ognuno di voi. Credo che tornerete a prendermi.» Seven lo
interruppe: «Ehi ehi ehi, questo è fin troppo ottimistico. Quelle
porte vanno in una sola direzione – entri, ma non torni indietro.
Se le attraversiamo…» «Non sarete in grado di tornare,
giusto?» «Esatto.» «Vero, ma non sarà così una volta che sarete
scappati dalla nave.» «Cosa…?» «Per favore, ve ne prego, una
volta che sarete scappati, tornate indietro e recuperatemi.
Possibilmente entro il tempo limite che Zero ci ha dato…»

«No, questo è ridicolo! Non c’è modo per tornare indietro


in tempo!» Alla fine, Junpei non poteva più tenere a freno la
lingua. «Ci rimangono solo cinque ore. Non sappiamo neanche
dove diavolo siamo. Come pensi che possiamo trovare
qualcuno per venire e recuperarti?» «Allora preferisci restare
129
al posto mio? O vuoi lasciare indietro June?» La voce di Ace
era solenne e priva di crudeltà o malizia. Junpei non ebbe
niente da dire. «Vedi? Non c’è altra scelta. Quindi vedo che
siamo giunti alla nostra conclusione. Andate. Non
preoccupatevi per me. Andate, veloci!» Junpei era bloccato
dall’indecisione, incapace di muoversi.

June si morse la lingua così duramente che Junpei temé


che si sarebbe rotta le labbra. Santa era contro il muro, calmo e
distaccato. Seven si strappò il copricapo dalla testa, e ci
giocherellava nervosamente con le mani. Solo Clover fissava
Ace, con un’espressione che Junpei non riusciva a decifrare.

L’atteggiamento di Lotus, comunque, era diverso da


quello degli altri. «Bene. Accettiamo la sua gentile offerta,
dunque.» Sorrideva, gli occhi illuminati. Ace rispose a sua volta
con un sorriso. «Bene. Immagino questo sia il meglio, per me.
Forse riuscirò a fare un sonnellino. Sarà l’età, ma mi affatico
così facilmente in questi giorni.» Mentre parlava, Ace si sedette
sul pavimento accanto ad uno dei lettini.

Da qualche parte nelle profondità della nave, Junpei


avvertì improvvisamente lo scricchiolio del metallo contro il
metallo. Sembrava quasi che la nave stesse urlando. Sarebbe
davvero resistita per tutto il tempo che gli era stato consentito?
Il ponte D era già affondato… Nell’improvviso silenzio, l’unico
suono era il triste gemito metallico della nave.

Prevedibilmente, Lotus fu la prima a parlare: «Bene, cosa


stiamo aspettando? Stiamo sprecando tempo. Perché non ci
sbrighiamo?» Come se un incanto si fosse spezzato, gli altri
130
parlarono all’unisono. Seven: «Hai ragione. Dobbiamo andare.
Non possiamo fare altro ora.», poi Santa: «Onestamente, non
ne potevo più di sentirvi parlare.» «Anche tu, Santa…?» disse
June. «Io… io devo trovare mio fratello.» «A-aspettate! Tutti
quanti! Calmiamoci e pensiamoci! Ci dev’essere un modo per
portare tutti fuori! Ci deve essere! Giusto, Jumpy? Di’
qualcosa!» «S-sì, pensiamoci… ci deve essere… un altro
modo…» Le sue parole suonavano vuote, e false.

«Oh, va bene! Lasciate perdere! Ci penserò per conto mio!»


June si voltò e corse verso di Ace. Era crollato vicino al letto
quando June afferrò il suo braccio e lo tirò. «Forza, Ace, alzati
per favore! Non puoi cedere così! Dobbiamo solo sederci
insieme e pensarci! Troveremo un modo per salvare tutti!»

Poi, accadde. Ace cadde in avanti. Crollò sul pavimento di


legno, il corpo piegato a metà come un pugile colpito. «Ace!»
June gridò e cadde sulle sue ginocchia. Mise il braccio attorno
al collo di Ace e fece del suo meglio per rialzarlo. «Che è
successo, Ace? Di’ qualcosa!» Lo scosse, freneticamente.

Sbatté le palpebre. «Sto bene…» La sua voce era debole, e


farfugliava lievemente. «Come stai…? Bene?» «Questo…» Ace
mostrò il suo braccio sinistro, e lentamente aprì la mano.
Teneva una siringa, e una piccola fiala. La fiala era vuota. Era
stata svuotata da poco – alcune gocce aderivano ai bordi. C’era
un’etichetta sul lato del contenitore: riportava “Soporil-Beta”.
Junpei non aveva idea di cosa significasse, o di che tipo di
medicina potesse essere.

131
«Hai… hai usato questa?» «Sì… è solo… un anestetico…
starò bene… l’ho trovato prima, mentre cercavamo nelle
camere dell’ospedale… pensavo che avrebbe potuto essere
utile, più avanti… Non pensavo che avrei… dovuto usarlo su di
me…» «Perché l’hai fatto?» «Non te l’ho… detto? Voglio fare
un… sonnellino… Sono… molto stanco.»

Junpei sapeva che non l’aveva fatto per quello. Ace si era
iniettato l’anestetico per prevenire i tentativi di Junpei e June di
portarlo con loro. Se non poteva muoversi, non avrebbero
potuto fare nulla. Se l’era iniettato per costringerli a lasciarlo
indietro. «Ace…» «Sì…? C’è qualcosa che vuoi… dirmi? Voglio
solo dormire… un po’…» «No! Non farlo, Ace! Non
addormentarti!» «Ah… è così… caldo, e soddisfacente… penso
che farò… buoni sogni…» Le palpebre di Ace si abbassarono
sempre di più… come se stesse morendo.

«Ace! Ace!» June gli scosse la spalla, ancora e ancora. Ma


questa volta, non rispose. Solo il gentile salire e scendere del
torace diceva che era vivo. Junpei era sollevato di vedere che,
di fatto, respirava ancora. Sollevò Ace dal suolo, e lo pose sul
letto contro cui premeva.

Quando Junpei si guardò intorno, Lotus gli lanciò uno


sguardo di pietà: «Be’, ora non abbiamo davvero scelta. Non
possiamo lasciare che questo sacrificio sia stato invano.
Giusto?» Non provava alcun rimorso, Junpei ne era certo.
Tuttavia, non aveva nulla da controbattere. Gli sembrava
sbagliato, ma dovette acconsentire.

132
Poi improvvisamente, Santa parlò: «Sì, ma non abbiamo
ancora scelto, no?» «Uh? Cosa intendi?» «Be’, non abbiamo
deciso chi va per quale porta.» «Ah, sì. Sì, è vero.» «Bene, ne ho
abbastanza di questo casino. Decidiamo. Inizia tu, Lotus. Quale
porta preferisci?»

«Io… uhm… voglio la porta 8. È lo stesso numero del mio


braccialetto.» «Capito. Sei l’8. Seven, sei il prossimo. Quale
vuoi?» «Io scelgo la 7. Non posso stare troppo con quella
vecchia signora.» «Cosa? Cosa hai appena detto?» Il suo volto
distorto dall’ira, Lotus fece un passo verso Seven. Lui sollevò le
mani, con una espressione simile a quella di un bambino colto
con le mani nel barattolo di marmellata. «La prossima volta le
prendi!» Lotus lo guardò con uno sguardo così rovente da
sciogliere il metallo, poi si voltò e si fermò.

«Okay, chi è il prossimo…» Lo sguardo di Santa si mosse


tra le tre persone rimaste. Poi, si fermò su Junpei. «Junpei, tu
quale porta vuoi?»

Sia che tu scelga la porta 7 o la 8, prosegui la lettura, per


adesso.

«Io… io penso che sceglierò quella.» «Ok. E sia.» «Bene.»


«Questo significa che June andrà per l’altra.» June e Junpei
esclamarono: «Cosa? Perché?» Santa fece una smorfia, e
mormorò rabbiosamente tra sé, dopodiché iniziò a spiegare:
«Se vogliamo andare avanti tutti e sei, ci sono solo tre modi per
farlo. Piano A: (358) per la porta 7 e (467) per la porta 8. Piano
B: (457) per la porta 7 e (368) per la porta 8. Piano C: (367) per
la porta 7 e (458) per la porta 8. Fine. Queste sono le nostre
133
uniche opzioni. In altre parole, 3 e 4, 7 e 8 non possono mai
passare per le stesse porte. Capite ora?» Non appena Santa ebbe
concluso, June guardò verso Junpei, con lacrime che le
scendevano ai lati degli occhi.

«Oh no… quindi non ci vedremo ancora per un bel po’ di


tempo…» Junpei si sentiva proprio come June. Voleva averla al
suo fianco lungo le prove che di lì a poco avrebbero
fronteggiato. Ma sapeva che se volevano sopravvivere, lui
doveva mettere da parte i suoi sentimenti. Per poter far
proseguire tutti e sei, lui e June dovevano separarsi. Guardò
June. Aveva paura di perderla ma… represse ciò che stava
provando, e risolutamente fece del suo meglio per sorridere.

«Ehi, eddai, la metti giù come se non dovessimo mai più


rivederci. Ci divideremo, ma solo per un po’. È come prima con
le porte 4 e 5, no? Ci siamo divisi, ma poi ci siamo ritrovati tutti
insieme. Scommetto che la 7 e la 8 sono uguali.» «Intendi che
si collegano da qualche parte?» «Sì… probabilmente…»
«Probabilmente?» June non sembrava molto speranzosa.

Fu Seven ad interromperli. «Sono sicuro che si uniscano,


ad un certo punto.» «Perché? Cosa te lo fa pensare?» «Se non si
unissero, nessun gruppo potrebbe raggiungere la porta 9. In
altre parole, il gioco finirebbe qui. Zero ha preparato questa
merda per bene. Figurati se finisce qui. Sono dannatamente
sicuro che quel figlio di puttana vuole divertirsi più tempo
possibile. Non porrà termine a questo gioco finché non
passeremo per la porta 9.»

134
June non disse nulla. Le sue lacrime erano sparite, ma i
suoi occhi erano ancora tristi, mentre guardava Junpei. Lui
ricambiò lo sguardo, e con tutta la rassicurazione che poteva
darle, le pose gentilmente la mano sulla spalla. «Andrà tutto
bene. Ci rivedremo ancora. Te lo prometto.» Junpei si morse le
labbra e annuì impercettibilmente.

«Sì… me lo prometti?» La voce di June era poco più di un


sussurro. La voce di Santa distrusse il momento magico, con
fare annoiato: «Avete finito, ragazzi?»

Se vuoi che Junpei scelga la porta 7, prosegui la lettura.

Se vuoi che Junpei scelga la porta 8, vai a pagina 156.

Non è stata inserita la porta 3 in questo adattamento del


videogioco.

135
7. Porta 7: la Sala Operatoria

Si stiracchiò e proseguì: «Ad ogni modo, faremo così. Io e


Clover andremo per due porte diverse. Io prenderò la 8, e
Clover può andare nella 7. Ci sono problemi a riguardo,
Clover?»

Clover guardò da un’altra parte, e rimase in silenzio per


un momento. «È uguale…» Sembrava più una resa che un
accordo, ma Santa non sembrò preoccuparsene. «Bene,
possiamo andare allora. Muoviamoci!» Al comando di Santa, i
gruppi si divisero, e si misero di fronte alle rispettive porte.

Clover, Seven e Junpei andarono verso la porta 7.

Santa, Lotus e June camminarono verso la porta 8.

Per un lungo momento, stettero di fronte alla porta. Poi,


Seven prese un lungo respiro: «Siete pronti, ragazzi?» «Sì…»
136
«Certo…» «Okay. Andiamo.» Si identificarono, e Seven tirò la
leva. La porta si aprì. Un corridoio stretto si estendeva davanti
a loro.

Seven e Clover varcarono la porta. Appena lo fecero, i


braccialetti iniziarono a ticchettare. I detonatori erano stati
attivati. Junpei camminò per raggiungerli, ma mentre stava
per varcare la soglia, si fermò.

Guardò alla sua destra, verso la porta8. June era lì, come
fosse l’immagine riflessa di Junpei. Si voltò a guardarlo. I loro
sguardi si incrociarono. Annuirono. Il loro congedo durò circa
1,5 secondi. Poi qualcuno afferrò il braccio di Junpei, e lo tirò
con forza attraverso la porta. Udì il suono della porta numerata
sbattere violentemente dietro di lui.

Il suo braccialetto emise un freddo bip elettronico, e il 5


del display si tramutò nel teschio. «Mancano 81 secondi! Non
c’è tempo da perdere, ragazzi! Muoviamoci!» Seven li guidò
lungo il corridoio. Junpei e Clover lo seguirono, il più veloce
possibile.

Dopo quelli che sembrarono molto più di 81 secondi,


raggiunsero la fine del corridoio. A sinistra di una porta di
legno trovarono il DEAD. Non c’era tempo per riposare, o
riprendere il fiato. Tutti e tre sbatterono le loro mani sul DEAD,
in rapida successione.

Sempre cercando di riprendere fiato, Seven si appoggiò


pesantemente contro la parete. «Si è… fermato… si è
fermato…» e scoppiò in una fragorosa ed isterica risata. Il suo

137
sorriso sembrava forzato e deforme. «È la seconda volta che
passiamo per una di queste porte numerate, ma… wuh, non ti
ci abitui mai.»

Si rialzò, non più affannato, e si asciugò un po’ di sudore


dalla testa e dal collo. Clover gli lanciò un sorriso furbo:
«Pensavo che la gente della tua taglia avesse le palle più
grosse!» «Cosa? Che cazzo hai appena detto? Dillo di nuovo, se
hai il coraggio!»

«Tu non hai le…» «Tu, piccola-… argh, vuoi morire?» «Mi
piacerebbe vederti a provarci, tsé!» «Fottuta peste… bene, l’hai
voluta tu!»

Junpei intervenne: «Ehi ehi, calmi, ragazzi. Non è il


momento per… uh, questo. Non ci porterà alcun giovamento.»
Seven e Clover sospirarono, e Junpei con loro. A volte, si
chiedeva se le porte e gli enigmi fossero davvero le sfide
maggiori da fronteggiare.

«Aspettate qui solo un minuto, okay? Vado a controllare


se ci sono altre porte.» Non risposero, ma Junpei non era
comunque dell’umore giusto per una conversazione. Per
cominciare, esaminò la parte interna della porta numerata. Era,
chiaramente, ben chiusa.

A sinistra c’era un unico piccolo corridoio che terminava


quasi immediatamente con una parete di acciaio. Junpei
dubitava che la parete si sarebbe mossa. Alla fine rinunciò, e
tornò da Seven, che stava colpendo leggermente la porta di
legno.

138
«Questa porta è la nostra unica strada, vero?», chiese
Seven. «Sì, pare proprio sia così.» C’era una placca di metallo
incastonata sopra la porta. Diceva “Sala operatoria”. Se
bisognava crederci, dall’altro lato della porta ci sarebbe stata
una sala operatoria. Ciò rendeva Junpei… nervoso…

«Be’, non c’è ragione di stare qui. Meglio entrare e vedere


cosa ci aspetta.» Seven afferrò la maniglia d’ottone, e aprì la
porta lentamente. Il cigolio dei cardini suonava come il
lamento di un’anziana donna.

Un brivido serpeggiò lungo la spina dorsale di Junpei.


Velocemente, raccolse tutto il coraggio che poteva, e fece il
primo passo all’interno della stanza. Seven seguì, e Clover
giusto dietro di loro.

Parte della stanza appena oltre la porta era oscurata da un


paravento. La curiosità di Clover ebbe la meglio su di lei, e
guizzò oltre Junpei per sbirciare cosa si trovava oltre. Il suo
grido quasi spaccò i timpani di Junpei. Insieme a Seven corse
verso Clover, per vedere cosa l’aveva terrorizzata.

Passarono attorno al paravento, e la causa della sua


esplosione di paura fu immediatamente chiara. «Ch-che
diavolo è questo?», urlò Seven. «È… è un cadavere?», esclamò
Junpei. C’era qualcosa che sembrava… un essere umano,
disteso su un qualche tipo di letto. No, non un letto. Un tavolo
operatorio.

Il tavolo stava su una rialzatura di acciaio arrugginito, e


un gruppetto di radiose luci operatorie illuminavano dal

139
soffitto. Lentamente, si avvicinarono. Mentre si avvicinarono al
corpo, divenne chiaro che non si trattava proprio di un corpo.
«Che diavolo… è solo una bambola gigante o roba simile…»,
disse Junpei.

«U-una bambola…?» Clover non venne confortata dalla


notizia. Lentamente, si avvicinò al tavolo operatorio e guardò,
il più attentamente possibile, e dalla maggiore distanza
possibile, a quella cosa. Junpei poté vederla rilassarsi.

«Hai ragione, è solo una bambola… mi ha proprio


spaventato…» Lanciò un gran sospiro di sollievo, e poi si
asciugò alcune gocce di sudore dalla fronte. Seven le lanciò un
sorriso malizioso: «Be’, in effetti immagino sarebbe stato strano
se tu avessi avuto le palle.» «Sta’ zitto! Non cominciare,
ciccione!» «Oh, senti senti… vorresti un pezzo di me, cosina
minuscola?» «Certo, provocami, balena!»

«Ragazzi… non di nuovo, okay? Seriamente, piantatela.»


Seven e Clover ammutolirono, e Junpei sospirò scuotendo la
testa. «Ad ogni modo, sembra che abbia qualcosa che a voi due
manca… parlo del cuore.»

Seven rispose: «Uh? Oh, questo? Intendi sul suo torace?»


«Sì.» Era piazzato un po’ più in alto che in un normale corpo
umano, ma dalla forma dell’organo, non ci potevano essere
dubbi che si trattasse di un cuore in bella vista.

«Perché dovrebbe esserci un cuore in una bambola?»,


chiese Clover. «Non penso sia una bambola», rispose Junpei.
«Pensi che sia, non so, un manichino medico o simili?», chiese

140
Clover. «O magari ha… usi più personali…?» Il largo ghigno
di Seven era un po’ più che perverso. Clover gli lanciò
un’occhiataccia.

Junpei proseguì, ignorandolo: «Ad ogni modo… che ne


dite di dare un’occhiata a questo posto? Okay?» «Okay…»
«Sicuro.»

Una targhetta indica che il manichino si chiama John.


Infissa al tavolo operatorio, una scatola di legno riporta scritto
“kg”. Ha uno sportello, ma è sigillato. Lì accanto c’è un tavolo
pieno di forbici e simili; Junpei prende un bisturi. (È tutto
arrugginito tranne il bisturi).

Sempre lì accanto, su un piedistallo, c’è un manichino


medico dal ventre in su, con le interiora in vista. Lì vicino, su
un altro tavolo, prende una pinza. La usa per estrarre un
polmone dal manichino.

Nella sala c’è anche qualcosa coperto da un lenzuolo.


Togliendolo, si scopre essere un altro tavolo operatorio, con la
testa e il braccio sinistro di un manichino. Un volto femminile,
e si chiama “Lucy”. Anche la sua scatola riporta “kg”. Su una
scrivania lì vicino, Junpei prende un torace finto.

Tornando dall’altra parte del paravento, c’è una porta con


scritto “Armadietto chimico”, sigillata vicino a quella da cui
sono venuti. Tagliando il polmone con il bisturi, all’interno c’è
la chiave per aprire la porta.

Dentro, su un tavolino, Junpei prende bottigliette di


liquido blu e liquido rosso. Sempre sul tavolo, un biglietto dice:
141
“Ferro = 1 Sale = 2 Acqua = 3 Anidride carbonica = ?
Ammoniaca = ? Etanolo = ?”

Sugli scaffali c’è una bottiglia con polvere di ferro (Fe);


una di sale (NaCl); poi dell’acqua (H2O); poi ci sono CO2, NH3,
CH3CH2OH. Sul tavolo c’è una cassa con tastiera elettronica,
che si apre inserendo 349 (il numero di atomi dei tre composti
indicati). All’interno c’è un finto braccio destro e un cuore.

Leggi la parte seguente solo se hai ottenuto la parola


chiave “QUADRIFOGLIO”:

«Pensi che dovremmo tornare indietro?», chiese Clover.


«Sì, penso sia meglio.» Clover annuì, e uscì. Junpei stava per
seguirla, quando realizzò che Seven non li stava seguendo. «Ehi,
Seven, che c’è?» «Oh… be’…» Guardò Junpei distrattamente, e
poi tornò alla bottiglia marrone che teneva stretta nelle sue
larghe mani.

«Cos’è?» In risposta, Seven lanciò gentilmente la


bottiglietta a Junpei. Lui la afferrò, e la girò per leggerne
l’etichetta. «Etilendiamminotetraacetico?» Seven rispose: «EDT
– è etilendiammina tartarica.» «Che medicina è?» «Non è una
medicina. È un detergente industriale.»

«E perché dovrebbero averlo qui?» «Be’, probabilmente


per pulire le cose.» «Per pulire che cosa?» «Cazzo, a saperlo.
Comunque… sembra mi abbia ripulito il cervello.» Junpei
guardò Seven: «Ti sei ricordato qualcosa?» Seven annuì
lentamente, e parlò.

142
«Be’, ricordo una storia sull’EDT. È successa circa
cinquant’anni fa. C’era questa fabbrica, da qualche parte in
America, che faceva grandi cristalli di EDT. Li facevano per
vendere questo detergente industriale, come ti ho detto poco fa.
Ma un anno dopo che la fabbrica iniziò…»

Cominciò a capitare qualcosa di strano con i cristalli che


stavano realizzando. Le molecole d’acqua iniziarono a legarsi ai
cristalli EDT. Questo le condusse ad una sorta di mutazione dei
cristalli originali, rendendoli “idrati”. Una volta che un cristallo
diventa un idrato, comunque, è inutile come detersivo.

La fabbrica dovette semplicemente buttare i cristalli –


come idrati, erano inutili. Ma non finisce qui. Dopo quel giorno,
la stessa cosa iniziò a succedere nelle fabbriche di EDT di tutto
il mondo, anche quelle lontanissime dalla prima fabbrica
americana. Fabbricavano cristalli nello stesso modo, con gli
stessi materiali, gli stessi strumenti e lo stesso ambiente. Ma
ora, all’improvviso, ogni singolo cristallo diventava un idrato.

Di fatto, da quel giorno, nessuna fabbrica da nessuna parte


del mondo è più riuscita a realizzare un cristallo EDT puro.
Anche nelle ricerche sull’EDT condotte anni prima, nessuno
era mai riuscito ad ottenere un idrato. Ma dopo gli
avvenimenti nella prima fabbrica, iniziarono a… propagarsi.

«Fu come… come posso dire…» Fu Junpei a concludere la


frase: «“Come se le molecole stessero comunicando l’una con
l’altra. Trasmettendo informazioni in un modo che gli umani
non possono percepire. Questi fenomeni si propagarono per
tutto il globo”. Giusto?» Junpei guardò Seven con un ghigno.
143
Seven lo fissò, stupito. «Sì, è… è così, esatto. Ma… come
facevi a saperlo?» «Ho sentito una storia simile…» «Dove?»
«Nella cella frigorifera.» «Cosa? La cella frigorifera?» Junpei
raccontò a Seven la storia che aveva sentito da June nella cella
frigorifera della cucina.

Di come un giorno, la glicerina iniziò a cristallizzare… e


la storia del ghiaccio che non si scioglie a temperatura
ambiente. Quando Junpei ebbe concluso, Seven sembrò
sovrappensiero, e assorto si sfregava la cicatrice sul mento.

«Ghiaccio che non scioglie a temperatura ambiente, uh…»


«Suona familiare?» «Sì, fermo un attimo… sento che posso
ricordare qualcosa… ce l’ho qui…» Seven strabuzzò gli occhi.
Fissavano un punto nello spazio, come se stesse cercando
disperatamente di focalizzarsi su qualcosa di lontano.

Junpei gli chiese: «Conosci il ghiaccio-nove?» «Ghiaccio-


nove? Ghiaccio-nove… ghiaccio, ghiaccio, ghiaccio…»
All’improvviso, gli occhi di Seven si spalancarono: «Ma certo!
Ora mi ricordo! Quella donna! È su questa nave!» «Quale
donna?», chiese Junpei.

«Alice!» «Chi è Alice?» «Eddai! La donna che non fonde a


temperatura ambiente!» Fu chiaro a Seven che Junpei non
aveva idea di che cosa stesse parlando. Si portò le mani al volto
e prese un profondo respiro.

«Sai che il Titanic è affondato il 15 aprile 1912, giusto?»


«Sì. Morirono più di 1500 persone. Il peggiore incidente

144
marittimo della storia. Dunque?» «Hai mai sentito della nave
che venne mandata a recuperare i cadaveri?»

«Uh, credo fosse la RMS Carpathia, giusto? Era una nave


da crociera, come il Titanic.» «No. Quella era la nave che
recuperò i sopravvissuti. La nave che prendeva i cadaveri era la
CS Mackay-Bennett. La Mackay-Bennet spuntò fuori il 17 aprile,
due giorni dopo l’incidente. Salpò da Halifax, un porto
canadese. E recuperò 306 corpi. L’Atlantico lì a nord era molto
freddo. Doveva esserlo, per avere iceberg e simili. Ad ogni
modo, i corpi che tirarono su dall’acqua erano congelati.»

«Non è una storia molto carina. Be’, poi che è successo?»


«Be’, dicono che la Mackay-Bennet ha recuperato qualcosa di
più che semplici cadaveri. C’erano varie cose galleggianti
sull’acqua – cose che gli annegati avevano portato con loro, o
che sono uscite dalla nave mentre questa affondava. Una di
queste cose era una bara.» «Una bara?» «Sì. Di legno.»

L’artigiano che la costruì doveva essere molto bravo. Non


era solo una bara di legno. Era completamente di legno. Non
c’erano chiodi, o rinforzi e non c’erano aperture da nessuna
parte nel legno. Era a tenuta d’aria.

L’equipaggio era piuttosto curioso riguardo cosa la bara


potesse contenere, e così la aprirono. Dovettero usare una picca
e un martello per aprirla, da quanto era ben fatta. E
all’interno… trovarono una donna.

O meglio, trovarono il cadavere di una donna. I suoi


capelli erano folti e neri, e la sua carnagione marrone e non

145
mostrava alcun segno dell’invecchiamento o della
decomposizione. Dissero che sembrava sontuosa, come una dea.

Era ovviamente morta, ma chiunque l’avesse guardata


avrebbe detto che stava semplicemente dormendo. La sua pelle
era così naturale, sembrava che avrebbe potuto svegliarsi in un
minuto. Ma non lo fece.

Come tutti gli altri corpi ritrovati, era congelata. Infine, la


Mackay-Bennet concluse la ricerca e ritornò ad Halifax. I 306
corpi vennero rilasciati a riva. C’era abbastanza caldo da far
sciogliere il ghiaccio. Dissero che il fetore era insopportabile.

Ma c’era un corpo che non disgelò… «La ragazza nella


bara», disse Junpei. «Esatto.»

Tutti erano certi che si sarebbe scongelata e avrebbe


iniziato a decomporsi come tutti gli altri, alla fine. Ma le
settimane passavano, e non accadeva nulla. Poi trascorse un
mese, e un altro, e fu estate, e la donna era ancora congelata.

Dopo un po’, le persone iniziarono a dire che si trattava di


un miracolo. Le voci sulla ragazza cominciarono a diffondersi,
e le persone andarono a visitare Halifax da ogni dove. Dopo un
po’, le persone iniziarono a chiamarla All-ice, tutto-ghiaccio…
Alice.

«Chiaramente, queste voci non durarono a lungo.»


«Perché?», chiese Junpei. «Be’, lei scomparve. Un giorno Alice
era lì, e il giorno dopo non c’era più. Dissero che qualcuno si
era intrufolato dove la tenevano e aveva rubato il corpo. Con il
corpo sparito, le voci smisero in fretta. E dopo un po’, nessuno
146
si ricordò più di lei. Dovresti riuscire a trovare qualcosa su di
lei, sui quotidiani di allora.»

«Aspetta… prima hai detto che lei era su questa nave…»


«Sì, l’ho detto. Alice deve essere da qualche parte su questa
nave.» «E perché diavolo dici una cosa del genere? E cosa sai
esattamente?» «Quel che è accaduto ad Alice dopo che fu
rubata.» Junpei deglutì: «Molto bene, dimmi. Cosa è successo
ad Alice?»

Seven annuì, lentamente, e assunse l’aspetto di un uomo


che richiama alla memoria ciò che era stato sepolto da tempo
immemore. «Be’, a quei tempi, si dice ci fosse un florido
mercato nero a New York. Voglio dire, sicuramente c’è ancora,
ma quello era speciale. Erano tutti milionari, da ogni parte del
mondo. Ho sentito che Alice venne venduta all’asta. E la
persona che vinse l’asta era… Lord Dashiell Gordain. Hai già
sentito questo nome prima, vero?»

«Sir Gordain… non è il tizio che ha comprato il Gigantic?


La nave sorella del Titanic.» «Esatto, è lui. Anche se non credo
l’avesse ancora fatto…» «Cosa vuoi dire?», chiese Junpei.
«Gordain comprò Alice nel 1912. Poi, quattro anni dopo, nel
1916, comprò il Gigantic. E nascose Alice da qualche parte nel
Gigantic. Ma nessuno sa dove. Morì nel 1931. E, a quanto pare,
morì senza dire a nessuno dove era nascosta Alice. Ad ogni
modo…»

«… Ad ogni modo?» «Be’, aveva un amico stretto, che gli


chiese… “Dov’è Alice?”, e lui rispose… “Alice riposa in una
piccola camera oltre la foresta della conoscenza, sotto
147
l’ombelico del Gigantic.» «Che diavolo è? Un indovinello?»
«Ne so quanto te.» Seven mostrò le mani in segno di sconfitta.

«Insomma, è così. Qualunque cosa tu pensi, io ci credo. È


nascosta da qualche parte nel Gigantic. In altre parole, è
nascosta da qualche parte su questa nave.» Prima che Junpei
potesse obiettare alla bizzarra pretesa di Seven, udirono la voce
di Clover dalla porta. Non sembrava contenta: «Ehi! Che state
facendo lì? Basta sprecare tempo e venite qui!»

«Okay okay, arriviamo.» Seven guardò Junpei: «Sì, be’,


insomma, questa è la storia. Magari sarà utile un giorno. Non
dimenticarla.» E con quel criptico monito, lasciò la stanza.
Junpei venne lasciato indietro a ponderare su quanto aveva
appena sentito. Cercò di ricordarsi ciò che aveva detto June
prima…

«Quella mummia non era una mummia normale…


Dicono… dicono che fosse congelata. La storia dice che per
tutto il tempo da quando la mummia è stata scoperta, o
quando è stata trasportata sul Titanic… o quando è stata nel
deserto… il suo corpo non si è mai sciolto.»

Alice era la sacerdotessa egizia? L’acqua del suo corpo era


diventata ghiaccio-nove? «No, sono sciocchezze. Non c’è modo
per cui una cosa simile possa esistere.» Junpei scosse la testa,
cercando disperatamente di chiarirsi le idee, e seguì Seven
nella sala operatoria dove Clover stava aspettando.

148
C’è un’altra porta sul fronte opposto a quella da cui sono
arrivati, con scritto “Sala allestimento”. È aperta, e conduce ad
una stanza. Dentro un cassetto c’è un foglio.

C’è la porta con l’uscita e la serratura col simbolo di Giove.


Su un tavolino c’è un becker sistemato tra una torcia e un
cerchio di vetro. Punta verso un armadio con tre ante, con
sopra un rettangolo rosso, uno blu e uno viola.

Usando il liquido rosso la luce diventa rossa, e proiettata


apre la prima anta dell’armadio, che contiene una gamba
destra. Facendo lo stesso con il liquido blu, nell’armadio
trovano una gamba sinistra. Per fare il viola combina insieme i
due liquidi. Nell’armadio trovano quindi il ventre.

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Tornano alla sala operatoria e mettono tutte le parti del
manichino Lucy al suo posto. Non succede nulla, perché il
peso è sbagliato. Devono scambiare le parti del corpo con
quello di John per arrivare al peso corretto.

Dopo vari infruttuosi tentativi, capiscono quali parti vanno


cambiate. La cassa infissa nel tavolo operatorio di John si apre,
mostrando la chiave di Giove. Si dirigono verso l’uscita.

«Ehi, aspetta», disse Seven. Junpei si fermò, mentre stava


per inserire la chiave nella serratura. «Che c’è?» «Dov’è
Clover?» «Uh?» Junpei si guardò intorno. Clover non era da
nessuna parte. «Maledizione! Dov’è andata? Argh. Okay, aspetta
un minuto. Vado a prenderla.» «Certo.»

Junpei lasciò Seven alla porta, e si diresse alla sala


operatoria. La trovo lì, di fronte al tavolo operatorio. Stava
fissando il manichino. «Ehi, Clover, che c’è? Eddai, usciamo da
qui.» Clover non rispose. Se non fosse stata in piedi, respirando,
Junpei avrebbe potuto pensare che era morta.

«Che stai facendo? Volevi tornare indietro a salutare


John?» Non era la battuta migliore, ma se non altro era
qualcosa. Un tentativo di migliorare l’umore. Clover non rise.
Rimase immobile, e non disse nulla. «Ehi, Clover, puoi
sentirmi?»

Forse era per qualcosa che aveva detto, o forse era…


qualcos’altro. Improvvisamente, la sua bocca si aprì, e sussurrò
con una voce asciutta e morta… «Mio fratello… potrebbe

150
essere morto… È per questo che non lo troviamo. E se è
morto… io sarò la prossima.»

All’improvviso la sala operatoria era molto, molto fredda.


«D-di che stai parlando? Che hai?» Junpei la scosse lievemente,
ma continuava a non reagire. Il silenzio crebbe e si fece
pesante.

Leggi la prossima parte solo se hai ottenuto la parola


chiave “QUADRIFOGLIO”:

Senza sapere perché, ma improvvisamente, Junpei ricordò


di qualcosa che gli era stato dato in precedenza. Mise la mano
in tasca, e lo estrasse.

Un quadrifoglio… Santa gliel’aveva dato nella cabina di 2°


classe. Lo diede a Clover. «Sapevi che ogni foglia del
quadrifoglio ha un significato? Speranza, fede, amore e fortuna.
Prendilo. Usalo come portafortuna.» Spinse il quadrifoglio
nelle mani di Clover.

«Ascoltami, Clover. Non importa cosa succeda, non devi


mai perdere la speranza. Devi ricordare qual è la cosa più
importante, ed è avere la fede, e l’amore. Se ricordi tutto questo,
ti porterà fortuna. Snake – voglio dire, tuo fratello – non è
morto. È vivo, da qualche parte. Ne sono sicuro. Devi solo
crederci…»

Clover fissò il quadrifoglio tra le sue mani. Junpei poté


vedere lacrime iniziare a scendere dagli angoli dei suoi occhi.
«Grazie…» La sua voce era rotta, e appena parlò, iniziò a

151
piangere. Provò a nascondere le lacrime guardando il
pavimento, ma servì a poco.

Si asciugò le lacrime con le maniche gonfie della giacca,


ma ne uscivano altre più velocemente. Non importa quanto
provasse, non poteva smettere di piangere. Le sue lacrime
formarono piccoli cerchi bagnati sul suolo.

«Grazie…» Lo disse ancora. Poi guardò Junpei, e sembrò


soffocare l'ultimo dolore. Fece del suo meglio per sorridere.
Junpei asciugò una lacrima errante sulla guancia con il pollice,
e le ricambiò il miglior sorriso che poteva. «Ora vieni. Seven ci
aspetta all’uscita.» Ma ancora, non si muoveva.

«Aspetta. Prima di andare, c’è una cosa che voglio


chiederti.» «Cos’è?» «Cosa ti viene in mente quando senti la
parola “esperimento”?» Per un momento, la sua mente raggelò.
Poi tornò ai suoi sensi, e realizzò che la parola non significava
nulla per lui, a parte per la definizione da dizionario.

«Uhm, cosa?» «Oh… immagino fosse solo una


coincidenza, quindi… voglio dire, che sapessi del
quadrifoglio…» «Oh… guarda, mi spiace, non voglio sembrare
un cretino, ma… non riesco a capire il senso di quel che dici.»
«Oh no no no! Niente. Dimenticatelo.»

«Oh, non penserai che possa lasciar scorrere una cosa così?
Di che “esperimento” parlavi?» Clover guardò altrove. Il
quadrifoglio era ancora nelle sue mani. Lei lo fissò per un
lungo momento e poi, finalmente, parlò: «Tu… mi prometti
che non lo dirai a nessuno?» «Lo giuro sul mio cuore.»

152
«Davvero?» «Davvero.» «Posso… fidarmi di te, giusto?»
«Certo che puoi.» Clover si mise il quadrifoglio in tasca. I suoi
occhi ancora rossi dal pianto, guardò Junpei: «Ti dirò cosa è
accaduto su questa nave, nove anni fa…»

«Ferma ferma ferma ferma! Su questa nave?» «Sì. Questa


nave.» Si sentì completamente perso. Aveva mille domande,
ma… probabilmente era meglio, pensò, tenersele finché
Clover non avrebbe finito. «Fu un esperimento, per testare un
qualche tipo di cosa psichica. Qualcosa riguardo… il
comunicare attraverso campi che non si possono vedere.»

«Campi che non si possono vedere…?» Aveva sentito


qualcosa di simile prima. Clover annuì. «Tipo, pensa a
questo…» Clover indicò il tavolo operatorio. Su di esso c’era un
manichino medico male assortito le cui parti erano state
scambiate con un altro manichino.

«Questo è John, giusto? Ma… è davvero John?» Tutto


quello che Junpei poté pensare fu “È completamente
impazzita”. «Non è come i calzini di Locke? O la nave di
Teseo?» Junpei era ancora più confuso. Non aveva mai sentito
nessuna delle due cose, anche se… suonavano intelligenti.

«Non li conosci? Non hai mai sentito questi paradossi?»


Junpei scosse la testa. Clover rise: «Okay, fai attenzione quindi.
Ecco la storia dei calzini di Locke. Diciamo che ho un paio di
calzini. Sono i miei calzini preferiti. Uno di questi ha un buco.
Cosa faresti se fosse il tuo calzino, Junpei?»

153
«Be’, lo butterei via e comprerei un altro calzino.» «No no
no, è il tuo calzino preferito! Fingi che sia così.» «Okay,
allora… immagino che lo rattopperei. Prenderei del tessuto per
chiudere il buco.» «Okay, e cosa faresti se si bucassero ancora?»

«Aggiungerei un’altra toppa, suppongo.» «E se si aprisse


un altro buco?» «Uhm, un’altra toppa?» «Okay, e poniamo che
continui ad aggiungere toppe… finché, alla fine, il tessuto
originale del calzino è completamente andato via. Una volta
giunto a quel punto… puoi davvero affermare che sono gli
stessi calzini con cui sei partito?»

«Uhm… è… be’, è difficile…» Junpei incrociò le braccia:


«E così, questi sono i calzini di Locke?» «Sì. La nave di Teseo è
molto simile. La nave di Teseo… se continui ad aggiustare le
parti danneggiate di una nave, finirai con il non avere più
nessuna delle parti iniziali. Puoi davvero dire che quella è la
nave di Teseo con cui hai iniziato? E se prendi tutte le vecchie
parti della prima nave, e ne costruisci un’altra, da qualche altra
parte? Quale delle due è la vera nave di Teseo? Quella riparata?
O quella con tutti i pezzi originali?»

Era una domanda interessante. Clover poteva vedere


Junpei intrigato. «Ehi. Pensi che sia lo stesso?» «Cosa?», chiese
Junpei. «Questi tizi. Questo è John? O è Lucy, adesso?» Junpei
guardò il manichino. Un manichino pieno di parti di un corpo
diverso…

Clover aveva ragione. Era proprio come i calzini di Locke


e la nave di Teseo. La parte del corpo che detiene l’identità
della persona è la testa. Certamente, per molte centinaia di
154
anni, il senso comune aveva ritenuto che l’identità risiedesse
nel cuore, o in un certo numero di organi interni.

La testa di John e il suo cuore erano entrambi i suoi… ma


a parte per quello, e per un singolo braccio, il resto del corpo
era stato una volta di Lucy. Quel manichino era davvero John?
Clover parlò: «Noi siamo proprio come questi manichini.»
Guardò Junpei, e proseguì.

«Pensaci: le cellule del nostro corpo cambiano in


continuazione. Quelle vecchie muoiono, e delle nuove
rinascono. Forse parte del mio braccio è fatta di roba che viene
da un pesce che ho mangiato una volta. O magari parte del tuo
lato destro viene da una mucca che hai mangiato. E se vai un
po’ oltre… queste mucche e questi pesci sono fatti da
qualcos’altro anche loro, giusto? È così che siamo tutti connessi.
Tramite campi invisibili ad occhio nudo.»

Il silenzio venne rotto da Seven. «Ehi! Cosa diavolo vi sta


trattenendo così a lungo?» Seven fece capolino oltre il
paravento. Non era felice. «Quanto volete farmi aspettare? Non
abbiamo tempo da perdere!»

Junpei e Clover si guardarono. Clover guardò Junpei


come se ci fosse stato qualcos’altro che voleva dirgli. Lei scosse
la testa. Qualunque cosa volesse dirgli, non voleva dirla di
fronte a Seven. Seven sembrò capire la situazione: «Oh? Che
cosa stavate facendo? Una riunione segreta?»

«No. Non lo era. Stavamo solo…», disse Clover. «Solo?»


«Giocando… con i manichini. Andiamo, Junpei.» Muovendosi

155
un po’ troppo velocemente per essere del tutto innocente,
Clover si diresse verso l’uscita. Seven la fissò, poi si voltò verso
Junpei con un’espressione divertita.

«Giocavi coi manichini, eh… non sapevo che ti


interessassero queste cose, Junpei…» «Sei un coglione.» Junpei
seguì Clover verso l’uscita. Con una breve risata, Seven li seguì.
Si fermarono di fronte alla porta, fissandola. Junpei estrasse la
chiave di Giove, e la inserì nella serratura. La porta si aprì, con
un cigolio soffice e malinconico. Oltre c’era un semplice
corridoio bianco.

Non c’era nessuna fanfara, né confetti. Ovviamente,


nessuno era lì ad applaudirli. Varcarono semplicemente la
soglia. Tutto qui.

«Ehi, che hai?» disse Seven a Junpei. «Sei troppo serio, sai?
Non puoi essere più felice? Sorridente?» «No.»

“Mio fratello… potrebbe essere morto… Io sarò la


prossima.” Clover gli aveva detto pochi minuti prima che suo
fratello era probabilmente morto, e che lei l’avrebbe seguito.
Come poteva essere felice dopo aver sentito una cosa simile?

Hai ottenuto la parola chiave “MANICHINO”. Per


proseguire la lettura, vai a pagina 172.

156
8. Porta 8: il Laboratorio

Si stiracchiò e proseguì: «Ad ogni modo, faremo così. Io e


Clover andremo per due porte diverse. Io prenderò la 7, e
Clover può andare nella 8. Ci sono problemi a riguardo,
Clover?»

Clover guardò da un’altra parte, e rimase in silenzio per


un momento. «È uguale…» Sembrava più una resa che un
accordo, ma Santa non sembrò preoccuparsene. «Bene,
possiamo andare allora. Muoviamoci!» Al comando di Santa, i
gruppi si divisero, e si misero di fronte alle rispettive porte.

Santa, Seven e June andarono verso la porta 7.

Clover, Lotus e Junpei camminarono verso la porta 8.

157
Per un lungo minuto, stettero in fronte alla porta. Poi,
Lotus premette la mano contro il suo petto, e si voltò verso
Junpei e Clover. «Siete pronti? Andiamo.» Misero le mani sul
pannello e Lotus tirò la leva. La porta si aprì. Un corridoio
stretto si stendeva di fronte a loro. Lotus e Clover fecero un
salto oltre la porta. Nel momento in cui la attraversarono, i
loro braccialetti emisero un bip. I detonatori nei loro
braccialetti erano stati attivati. Junpei camminò per
raggiungerli, ma mentre stava per varcare la soglia, si fermò.

Guardò alla sua sinistra, verso la porta 7. June era lì, come
fosse l’immagine riflessa di Junpei. Si voltò a guardarlo. I loro
sguardi si incrociarono. Annuirono. Il loro congedo durò circa
1,5 secondi. Poi qualcuno afferrò il braccio di Junpei, e lo tirò
con forza attraverso la porta. Udì il suono della porta numerata
sbattere violentemente dietro di lui.

Il suo braccialetto emise un freddo bip elettronico, e il 5


del display si tramutò nel teschio. «Mancano 81 secondi!
Svelti!» Lotus scattò oltre di lui, e corse verso il DEAD. Junpei e
Clover la seguirono, più veloci che potevano. Si identificarono,
e sospirarono. Con la mano tremolante, Lotus si asciugò alcune
gocce di sudore dalla fronte. Clover, invece, era calma.
Distaccata, forse. «Senza senso…» Mormorò tra sé, senza
emozione, e iniziò a camminare lungo il corridoio, lasciando
dietro di sé dei confusi Junpei e Lotus.

Lotus osservò la ragazza con un misto di frustrazione e


curiosità. «Che ragazza sgradevole. Scommetto che non ha
molto successo coi ragazzi, lei.» Il suo sarcasmo sembrava più
tagliente di quanto non fosse necessario, ma sospirò, e inseguì
158
la giovane ragazza. Dopo essersi concesso un attimo per
riprendere il respiro, Junpei li seguì.

Il corridoio svoltava un po’ di volte prima di raggiungere


un punto morto. Sulla parete a sinistra c’era una larga porta di
acciaio. Per alcuni minuti, rimasero di fronte, ad esaminarla. In
cima alla porta c’era una targhetta con la scritta “Laboratorio”.
«Un laboratorio, eh…» Lotus commentò: «Non sembra una
bella cosa. Non mi piace l’aspetto di questo posto.» «Neppure a
me, ma non ci sono altre porte. Non è che abbiamo molta
scelta.» «Junpei.» «Sì?» «Prego, prima tu.»

Junpei sospettò che la sua cortesia fosse motivata da


qualcosa d’altro che non il rispetto. Bofonchiò e spinse la porta,
per aprirla. I suoi primi passi per entrare furono lenti e accorti,
ma appena esaminò la stanza, fu chiaro che non c’era alcun
pericolo imminente. Lotus e Clover seguirono.

La stanza in cui si trovarono era divisa in due aree


separate da una parete curva. Una spessa finestra di vetro era
innestata su questa parete, di modo che era possibile guardare
l’altro lato della stanza. Junpei camminò verso la finestra per
guardarci attraverso. «Ma che diamine…?» Non sapeva che
altro dire.

Al centro di una stanza a forma di spicchio di


circonferenza, un manichino riposava su quello che sembrava
un lettino per analisi mediche. «È così inquietante…» Junpei
sobbalzò. Non aveva notato Lotus avvicinarsi a lui, e parlare.
«Non… non hai l’impressione che questa cosa ad un certo
punto… si alzerà in piedi, o roba simile?» «Be’, non lo so.»
159
«Voglio dire, guarda tutti quei cavi attaccati… se premiamo il
bottone sbagliato, chissà… argh. Solo a pensarci è terrificante.»
Lotus si stava stringendo sulle braccia, le nocche delle mani
bianche.

Fu allora che Junpei notò Clover. Stava ancora di fronte


all’entrata della stanza. Il suo volto aveva un’apparenza di
calma, ma era teso, e in qualche modo triste. Il suo sguardo
suscitava compassione. Junpei camminò verso di lei e, il più
gentilmente possibile, parlò. «Stai bene?» Clover guardò
altrove. «Di che stai parlando?» «Cosa… sono solo preoccupato
per te. Sei così silenziosa…» «Cos’è, non posso essere silenziosa
se voglio?» «Certo che puoi, voglio solo dire che…» «Benissimo
dunque, dato che posso stare in silenzio se voglio, lasciami sola,
okay?» «Eddai, sai che non posso farlo. Dobbiamo lavorare
insieme.»

Clover si morse le labbra, rimase in silenzio per un


momento, poi improvvisamente: «Junpei, tu proprio non
capisci!» Il suo pianto colse Junpei di sorpresa, e sobbalzò
indietro di qualche passo, allarmato. «Mio fratello non è il tipo
che mi lascerebbe così indietro! Gli è successo qualcosa…
qualcosa di brutto…» Junpei non aveva nulla da dire. Lotus,
distolta dai suoi incubi dalla voce di Clover, si voltò verso di
loro.

«Che è successo?» Gli occhi di Clover scivolarono su Lotus,


poi ancora su Junpei. «Guardate, semplicemente non seccatemi,
okay? Lasciatemi in pace…» Clover si voltò. Prima che Junpei
o Lotus potessero dire qualunque cosa, Clover aveva iniziato a
camminare rapidamente via. «Ehi! Aspetta, Clover! Ferma!»
160
Avrebbe tranquillamente potuto tranquillamente parlare ad un
muro, e non ci sarebbe stata alcuna differenza.

Senza rallentare, proseguì verso l’entrata di una porta


ritagliata sulla parete che separava la stanza. Senza rallentare,
l’attraversò. E senza preavviso, un cancello di acciaio scese dal
soffitto, chiudendo Clover dall’altra parte. «Ch-che diamine?
Che sta succedendo?»

Clover si aggrappò alle sbarre di acciaio e le scosse più


forte che poteva. «Fermati! Lo apro io.» Junpei afferrò le sbarre
e tirò. In un attimo, Lotus si aggiunse. Tutti e tre tiravano più
forte che potevano, ma non servì a nulla. Clover esclamò: «E-
ehi, aspettate! Lasciate perdere così, in questo modo?» «No, non
sto lasciando perdere. Sarà un altro degli enigmi di Zero.»
Lotus diede man forte a Junpei: «E se è così, dev’esserci un
modo per aprirlo.» Junpei annuì.

«Proprio quel che penso io. Ora tutto quel che dobbiamo
fare è trovarlo. Lotus e io controlleremo qui attorno. Clover,
dovrai cercare dalla tua parte.» «Oh, sì! Lo farò!»

Clover nota una porta dalla sua parte, ma è bloccata. Dalla


parte di Junpei e Lotus ci sono degli armadietti: gli
scompartimenti superiori hanno delle luci verdi (a sinistra) e
rosse (a destra), quelli inferiori sono più grandi e senza luci –
nonché vuoti.

Uno degli armadietti con la luce verde si apre, e al suo


interno c’è una boccetta di etanolo anidrico, ottimo per

161
rimuovere anche macchie indelebili. A destra c’è un computer,
ma senza case: solo monitor, tastiera e mouse.

Sulla parete opposta a quella della vetrata c’è uno strano


macchinario con un computer, una serratura per l’accensione,
due leve. Tirarle non serve a nulla. Dei cavi sono collegati a
questo macchinario, che sono collegati all’altra parte della
stanza. Lì vicino c’è un cavo d’accensione.

Infine, c’è una porta sigillata oltre a quella d’entrata, con


una luce rossa. Il cavo non si può usare sul monitor, perché ha
3 denti mentre la presa ha 2 buchi.

Dalla parte di Clover, su un tavolino, ci sono delle


macchie fatte con un pennarello indelebile. Junpei passa
l’etanolo a Clover, che cancella le macchie. Al di sotto c’è uno
strano disegno. Clover usa penna e foglio lì vicino per copiarlo,
e lo passa a Junpei.

4 3

Trova inoltre una presa che trasforma quella con 3 denti


in una a 2 denti, e la passa a Junpei che la utilizza sul cavo
d’accensione. Stanno per accendere il computer, quando Junpei
fa notare che non è connesso comunque a nessun case, e

162
quindi non può funzionare. Lotus ribatte che non si può mai
sapere finché non si prova.

Junpei premette il bottone sotto al monitor. Con un


debole ronzio, si accese. Flussi di lettere che per Junpei erano
prive di senso cominciarono a scorrere sullo schermo. Sperava
si accendesse, ma non si aspettava questo. «Uh? Sta
funzionando?», disse Junpei. «Così pare», rispose Lotus. «Non è
un po’… assurdo?» «Cosa?» «Be’, non è connesso a nessun
computer, no? C’è solo la tastiera, e lo schermo. L’unico cavo è
quello di accensione che abbiamo appena usato. Dunque…
come fa a funzionare?»

«Magari è un display wireless.» Chiaramente, questa era


una spiegazione ragionevole per Lotus. «Un display wireless?»
«Sì, che si connette al computer senza fili. Da cui il nome. Vivi
nelle caverne, Junpei?» Di certo non ci viveva, eppure… «Ed
è… è… normale?» «Sì, almeno dove ho lavorato io.»

All’improvviso, le righe di lettere si fermarono, e


scomparvero. L’unica cosa rimasta sullo schermo era la parola
“pass”, seguita dai due punti. Lotus parlò: «Sembra che
dobbiamo inserire la password.» «Ancora. Dev’esserci un
suggerimento qui da qualche parte…» «Tu pensaci, io intanto
vedo se riesco a fare per conto mio.» Lotus tirò a sé la sedia più
vicina e ci si sedette sopra, di fronte alla tastiera. Per un attimo
fissò lo schermo. Fece schioccare le nocche, sistemò il suo
didietro a sinistra, poi a destra. «Benissimo, e ora spacchiamo
qualche culo.»

163
Poi, prima che Junpei avesse tempo per battere le
sopracciglia, Lotus si mise a scrivere ad una velocità incredibile,
con il suono delle dita sulla tastiera simile al fuoco di una
mitragliatrice. Junpei era senza parole. «Non te l’aspettavi, eh?»
«Certo che no! Che lavoro facevi? Che cosa sei?» «Al momento
sono disoccupata. Ho lavorato per una società di sicurezza
informatica, ma poi ho… smesso.» «E perché?» Lotus batté le
ciglia. «Uh? Be’, per… è stata… una cosa.» Smise di scrivere per
un momento, e guardò in basso.

Non era il momento di chiedergli una cosa simile, realizzò


Junpei, e si zittì. Le dita di Lotus ricominciarono a muoversi, e
in pochi secondi tornò alla massima velocità. Mentre scriveva,
lettere e simboli che per Junpei non significavano nulla
iniziarono a ricoprire lo schermo. «Uh… e ora che stai
facendo?» «Sto tentando un attacco brute-force.» «Brute-cosa?»
«Forza bruta. Significa che, uhm… be’, la versione corta è che è
un attacco diretto a questa macchina. La versione lunga…»
Senza guardare Junpei, né rallentare, Lotus iniziò a spiegare.

Un attacco brute-force è uno dei modi più semplici per


decifrare una password, gli disse. Tenta ogni possibile
combinazione fino a trovare quella giusta. Per una password
complessa, può volerci moltissimo tempo. Il solo pensiero di
fare una cosa simile fece sentire Junpei stanco, ma Lotus gli
spiegò che stava scrivendo un programma che avrebbe inserito
tutte le combinazioni da sé.

«Certo, non è la soluzione più elegante, ma date le


circostanze non posso fare molto altro.» Anche se stava
parlando, le sue dita non rallentarono mai né persero dietro
164
qualche lettera. Junpei non poté che provare una sorta di
timore reverenziale.

Lotus proseguì: «E invece, riguardo a quello di cui


parlavamo prima…» «Di cosa stavamo parlando?» «Il display
wireless. È abbastanza strano se ci pensi, no? Uhm, come dire…
be’, immagina di scrivere un programma che risolve per te
delle addizioni, okay? Quindi tu inserisci 1 + 1, e lo schermo ti
mostra 2. Vedi? Non è strano?» «Eh? No, non proprio.» «Eddai.
Di certo un cavernicolo come te penserebbe che è strano. L’hai
detto giusto un minuto fa.»

Junpei era perplesso, ma la donna continuò: «Proprio non


ci arrivi? Chi ha calcolato 1 + 1?» «Il… il computer, no? Hai
detto che è connesso al monitor senza fili.» «Certo, ma
qualcuno che fosse cresciuto nelle caverne non lo saprebbe,
giusto? Probabilmente loro penserebbero che è questo, il
monitor, a svolgere i calcoli. E una volta che avessero stabilito
ciò, inizierebbero ad esaminare il monitor. Potrebbero colpire
lo schermo, o qualcosa di simile. “Ah, guarda, i colori
cambiano se premo qui”. Poi potrebbero esaminare l’hardware
interno. “Ah, guarda, questo filo fornisce l’energia”. Magari poi
potrebbero tagliare i cavi. “Sì, proprio come mi aspettavo.
Quando il cavo è tagliato, non compare più niente. Quindi, è
proprio questo dispositivo a fare i calcoli!”»

Junpei non capiva dove Lotus volesse arrivare. Lei


continuava a parlare: «Ma la verità è che, proprio come hai
detto, è il computer a fare i calcoli. Questi uomini delle
caverne, però, non lo saprebbero. Perché non hanno idea che il
monitor e il computer sono collegati senza fili.» Lotus
165
continuava a scrivere. Junpei si grattò il capo: «Quindi… cosa
stai cercando di dire?» «Nulla. Davvero. È solo… stavo
pensando, che forse… la relazione tra noi esseri umani e i
nostri cervelli non potrebbe essere la stessa?» «Eh?»

«Be’, immagina che qualcuno ti innesti un tot di elettrodi


in varie parti del cervello. Uno scienziato che esamina i segnali
che arrivano potrebbe dire: “Interessante, quindi lo stimolare
questa area cerebrale causa il fatto che la persona veda i colori.
Questo significa che questo gruppo di neuroni controlla questa
funzione. E ora vediamo cosa succede se taglio questa parte. Ah,
proprio come immaginavo! Se taglio via questa parte la
persona perde questa funzione! Quindi, i processi del pensiero
umano avvengono nel cervello!” Capito? È come questo
monitor. Magari il cervello è solo un dispositivo di output,
come questo monitor. Magari i nostri pensieri in realtà
avvengono da qualche altra parte, in un “main body”… solo
che non lo sappiamo. Non ci abbiamo mai neppure pensato.
Proprio come quegli uomini delle caverne non saprebbero
nulla della comunicazione wireless, noi non possiamo
immaginare che c’è un tramite sconosciuto che trasferisce le
informazioni nei nostri cervelli, in cui abbiamo esperienza di
quelle informazioni in forma di pensieri.»

Junpei non disse nulla. Non perché non avesse nulla da


ribattere. No, la sua tesi sembrava semplicemente… stupida, ed
era un po’ sorpreso di sentire qualcosa di simile da qualcuno
come lei. Il cervello era solo un dispositivo output? I pensieri
umani avvengono in realtà da qualche altra parte? Chissà se
Lotus lo pensava davvero, si chiese. Era abbastanza

166
raccapricciante, pensò. Suonava molto simile ai dettami di una
bizzarra setta religiosa.

«Magari è la causa dell’amnesia di Seven.» Ignara del


crescente disagio di Junpei, Lotus continuò. «Se la memoria è
effettivamente conservata altrove, in un qualche tipo di “main
body” come il “main computer”, da qualche parte… forse non
ha davvero “dimenticato” nulla. Sta solo avendo difficoltà ad
accedere ai suoi ricordi, perché il monitor – il suo cervello – è
stato danneggiato. Immagino che con questa teoria si
potrebbero spiegare anche l’afasia e la visione cieca. Magari
possono parlare, o vedere… però il monitor non funziona
correttamente. Uhm… immagino che le persone con la
prosopagnosia potrebbero soffrire dello stesso problema.»

«Aspetta… pro… socosa?» Conosceva l’afasia grazie alle


serie TV sui medici, e la visione cieca era abbastanza semplice
da indovinare, ma non aveva mai sentito il termine
“prosopagnosia” prima.

«Cosa, non l’hai mai sentita nominare?» Lotus ruotò sulla


sedia per guardarlo. Junpei scrollò le spalle e scosse la testa.
«No. Cos’è?» «Be’, messa in modo semplice, è la condizione per
cui la mente non può distinguere i volti umani. In altre parole,
la mia faccia sembrerebbe uguale a quella di Clover, o alla tua.
Chi ne soffre non può ricordare i volti, che sono il metodo che
utilizziamo maggiormente per riconoscerci l’un l’altro. Questo
significa che le persone con la prosopagnosia hanno difficoltà
anche a riconoscere le persone cui sono più vicine. Di solito, se
la cavano associando le persone ad altre cose – le loro voci, i
vestiti, i capelli.»
167
«Questo significa che le facce delle persone gli
sembrano… tipo… vuote?» «No, no, non penso sia così. Hai
visto le scimmie, tipo allo zoo, no? Per te e me, tutte le facce
delle scimmie sembrano uguali. Anche se loro ovviamente
hanno volti diversi… è quasi impossibile per un umano
distinguerli. Lo staff dello zoo che lavora con loro imparerebbe
a identificare varie scimmie, magari, ma noi due non
potremmo, a meno che qualcuna non avesse una cicatrice o
qualcosa di particolare. Ecco come appaiono le persone a chi
ha la prosopagnosia.»

«Prosopagnosia, eh… non sapevo neanche che esistesse


una cosa simile…» Junpei fece del suo meglio per non farle
capire che la sua conferenza gli stava facendo scoppiare la testa.
«E… uh, di cosa stavamo parlando?» «Dell’idea che il tuo
cervello è solo un dispositivo di output, come un monitor.»
«Credi veramente a questa roba?» «No. Ti stavo prendendo in
giro, per una buona metà.» «E che ne è dell’altra metà?» «Be’…
ti stavo lasciando in giro?4» «Non fa ridere.» Lotus sfoggiò un
sorriso che aveva del masochistico. «Non è niente di più di una
storiella che ho inventato per la noia. Non prenderla
seriamente. È la prima cosa che mi è venuta in mente, e l’ho
raccontata giusto per ammazzare il tempo. Ma… sembra che
non abbia più bisogno di parlare.» «Perché?» «Perché non devo
più ammazzare il tempo.» Mentre parlava, Lotus sollevò il

4
Nella versione inglese, Lotus dice a Junpei che lo sta kidding, per poi
usare il termine inventato adulting. Era impossibile riprodurre in italiano
questo gioco di parole.

168
braccio destro in alto, e lo riabbassò solennemente per premere
il tasto Invio.

Il programma impiegò pochi secondi per analizzare il


sistema. Stralci di testo tremolavano in rapida successione, e
poi comparve una riga di numeri, lampeggiò, e scomparve. Lo
schermo si schiarì, e tutto ciò che era rimasto era la parola
“Accettato”.

«Eh eh, sono un genio.» Lotus si sarebbe chiaramente data


una pacca sulla spalla da sola, se l’intera scena non fosse
risultata ridicola. Dopo pochi secondi, “Accettato” scomparve,
per lasciare il posto a 9 quadratini disposti in un quadrato 3 x 3.
«Ma che è ‘sta roba…» «Non ne ho idea. Sembra un puzzle.»
Con queste parole, Lotus si alzò.

«Uh? Non continui con le tue… cose informatiche?» «Non


ho altro da fare. Non mi lascerà programmare ulteriormente.
Vedi, la tastiera… niente. Non risponde più. Non c’è altro che
possa fare. Be’, lascerò questo a te, Junpei.» «Cosa?» «Lasciami
prendere una pausa, ok? Ho fatto la mia parte.» Non sapeva
come rispondere. Di certo lei aveva fatto la sua parte. Di fatto,
senza Lotus, avrebbero brancolato nel buio.

Non dovrei affidarmi così tanto agli altri, pensò Junpei tra
sé. Da quel momento in poi, si disse, non avrebbe fatto più
affidamento su nessuno. Junpei incrociò le braccia e fissò il
puzzle mostrato sullo schermo.

169
Cliccando sui quadratini nell’ordine indicato dal disegno
di Clover, tutto il quadrato diventa verde, e si sente il rumore
di qualcosa che si sblocca. Sono gli armadietti con le luci rosse,
che ora sono verdi. L’armadietto centrale si apre, e contiene
due chiavi. Una è una normalissima chiave, l’altra ha il
simbolo della terra, quello della porta sul ponte A.

Leggi la parte seguente solo se hai ottenuto la parola


chiave “PIANO”:

In quel momento, sentì una voce dietro di lui. Era Clover.


«Junpei, hai un minuto?» Junpei annuì e si avvicinò alle sbarre.
«Che c’è?» «Io, ehm, volevo chiederti una cosa…» «…?»
«Junpei, tu sei andato nella porta 5 con mio fratello, giusto?
Per caso l’hai sentito dire… qualsiasi cosa di strano?» Chissà
perché me lo chiede, si domandò Junpei.

Più ci pensava, però, più aveva senso. Snake era sparito da


un bel po’. Clover era molto legata a suo fratello. Di certo era
preoccupata per lui. Ripensò a quello che era successo lungo il
percorso 5, sperando di poter ricordare qualcosa, anche un
minuscolo dettaglio che potesse aiutarla.

170
Ad ogni modo… «Mi spiace, Clover… non mi viene in
mente nulla. Voglio dire, diceva di avere capacità superiori a
quelle di una persona media, o roba simile, ma… no, niente.»
«Okay…» Le parole di Clover furono a malapena udibili.
Annuì vagamente a Junpei, e si allontanò.

«Ehi, aspetta un attimo!» «Uh?» «Guarda, non so se


dovrei… chiedertelo, ma… se non ti dà fastidio, volevo
chiederti, ecco… se Snake è nato…» «Parli dei suoi occhi?»
«Sì…» «No… Non è nato cieco. Quando era piccolo, ha avuto
un incidente. Un incidente d’auto, molto grave. Non può
vedere da allora. E il suo braccio…» «Il suo braccio?» «Il
braccio sinistro di mio fratello è… be’, non è come il normale
braccio di una persona. È finto. Non è un braccio vero.
L’incidente fu davvero grave… per salvarlo, dovettero…
dovettero tagliargli il braccio… è tutto quello che volevi
chiedermi?»

Parlare di suo fratello era chiaramente un grande sforzo,


per Clover. Junpei annuì. «Ti chiedo scusa. Per averti fatto
parlare di questi fatti dolorosi.» Clover scosse semplicemente
la testa, e scese le scale.

La chiave accende lo strano macchinario e il relativo


monitor, in cui compare una scritta che avverte che c’è di
nuovo energia per le apparecchiature degli esperimenti.
Avverte inoltre che il sistema di emergenza verrà attivato in
caso di comportamento anomalo.

Clover preme tasti a caso nel macchinario vicino al


manichino dopo aver messo il voltaggio massimo. La testa del
171
manichino prende fuoco. Si sente il suono di un allarme. Una
voce dice “Emergenza, emergenza, evacuare immediatamente
la zona.”

Una delle due porte che prima era bloccata, con la luce
rossa, ora è verde. Aprendola, Clover li raggiunge. Tossisce
molto. I tre finalmente escono usando l’altra porta con la luce
verde.

Junpei, Clover e Lotus saltarono fuori dal laboratorio,


sbattendo la porta dietro di loro. Tutti e tre collassarono contro
il muro, respirando affannosamente. Il cuore di Junpei batteva
forte e tutto il suo corpo era debole. Inalò boccate d’aria fresca,
e insieme agli altri sentì il suo corpo calmarsi.

Hai ottenuto la parola chiave “COMPUTER”. Prosegui la


lettura.

172
9. Una vecchia conoscenza

«Okay, andiamo». Annuirono e percorsero il corridoio. In


breve tempo, trovarono alcune nuove porte, ma erano tutte
bloccate. Ben presto, avevano provato tutte le porte tranne una.
L’ultima porta era all’angolo del corridoio. Junpei afferrò la
maniglia, e stava per tirarla, quando una voce gridò dietro di
lui.

Non era nessuno del suo gruppo, ma la riconobbe. Non


c’era dubbio, quella voce apparteneva ad Akane. «Jumpy!» Si
voltò. Lì, all’altro capo del corridoio oltre l’angolo, Junpei vide
figure umane correre verso di lui. Erano gli altri, tutti. Tutti
tranne Ace, ovviamente. Si fermarono di fronte a Junpei e i
suoi compagni, boccheggiando in cerca di aria.

173
Santa parlò: «Ehi! Che ci fate voi qui?» Junpei rispose:
«Cosa? Ma… noi non…» Prima che potesse terminare, Clover
disse: «Uhm, ragazzi, potete venire qui?» Lei stava vicino alla
fine del corridoio che poi girava a destra. Tutti corsero da lei,
curiosi di sapere cosa avesse trovato. C’era qualcosa sulla
parete alla fine del corridoio.

«Una mappa dell’interno della nave…» Riportava “Ponte


C” sull’angolo in alto a sinistra. Probabilmente era una mappa
del piano in cui si trovavano.

Le porte 7 e 8 si riunivano entrambe nel corridoio in cui si


trovavano. Seven disse: «Be’, è quello che avevo detto. Finché
non troveremo la porta 9, Zero non ci farà dividere. Ci
separeremo per un po’, ma ci ritroveremo sempre insieme.
Altrimenti, non potremo aprire la porta 9. È così che funziona
il Nonary Game.»

Junpei guardò ancora la mappa. Guardando più


attentamente, la sua sorpresa e l’eccitazione lascarono il posto

174
all’incredulità. Uno ad uno, gli altri notarono ciò che lui aveva
visto. Come un unico corpo, si diressero tutti verso la porta che
poco prima Junpei era stato in procinto di aprire.

Lui si mise la mappa in tasca, e li seguì. I sei stavano di


fronte alla porta, disposti in semicerchio. Santa fece un passo
avanti. Afferrò la maniglia della porta e parlò, senza guardare i
cinque dietro di lui: «Pronti…? Adesso la apro.»

Annuirono in silenzio. Con un profondo respiro, Santa


aprì la porta. Varcarono la soglia, e furono nella stanza. Anche
senza guardarsi attorno, ciascuno di loro sapeva dove si
trovavano. Si trovavano esattamente dove la mappa indicava
che si dovevano trovare. La stessa stanza in cui si erano trovati
non molto tempo prima. La tremenda stanza d’ospedale, con
lettini vuoti da parete a parete.

«Certo. Credo di capire quello che mi state dicendo. Vi


siete divisi in due gruppi, e siete andati nelle porte 7 e 8. Avete
risolto gli enigmi in una sala operatoria e in un laboratorio e
poi vi siete incontrati tutti in un corridoio dopo aver aperto le
rispettive porte bloccate.» Ace appariva come chiunque altro
sarebbe stato appena dopo essersi svegliato, ma sembrava che
la sua testa funzionasse bene come al solito.

Era riuscito a raccogliere, riassumere e comprendere


ognuno dei resoconti dei gruppi. «Ad ogni modo… mi sento
abbastanza stupido per il mio piccolo atto di altruismo. “Sono
certi che tornerete indietro per me”. Speravo che tornaste
indietro, ma confesso che non mi aspettavo che tornaste così
presto.» Ace scosse la testa con un mesto sorriso.
175
«Be’, ci siamo rivisti tutti, e non siamo morti, quindi direi
che ci va abbastanza bene.» Seven sorrise. «Ad ogni modo, direi
che dobbiamo andarcene da questo vecchio posto inquietante.
Abbiamo trovato le chiavi che ci servivano.» «Le chiavi?» «È
quello che ho detto. Parlo della chiave di Giove della sala
operatoria e della chiave della Terra del laboratorio. E la carta
di Saturno del percorso 4 di prima.»

June parlò: «La chiave di Giove dovrebbe aprire la porta


alla fine del corridoio lunghissimo, giusto?» Seven rispose: «Sì.
Se la mappa è corretta, ci porta alle scale principali. Poi, dopo
le scale…»

«Aspettate.» Erano le prime parole che tutti sentissero da


Clover da parecchio tempo. Il suo volto suggeriva che quelle
che stava per pronunciare non erano parole felici. «E la porta
3?» La risposta di Seven fu pronta: «Guarda, la mappa. È come
la 7 e la 8. Ci riporta di nuovo qui. Non ha senso vedere cosa ci
sia oltre quella porta.» «Sì che c’è, un senso. Almeno c’è per
me…»

C’erano lacrime nei suoi occhi, ma tentò di guardare


Seven più fermamente che poté. Sembrava una bambola
spaventata. Nessun uomo sul pianeta avrebbe potuto resistere a
quegli occhi. Seven guardò ovunque nella stanza tranne che
verso Clover, e bofonchiò e tossicchiò delle scuse sottovoce: «Sì,
hai ragione, mi spiace… Snake potrebbe essere oltre la porta
3…»

Clover annuì. Il successivo a parlare fu Ace: «Molto bene.


Verrò con voi, quindi. Mi sono riposato ben bene. È tempo di
176
rialzarsi e ripartire. Quindi, Seven… mi aiuterai, vero?» «Eh?
Io?»

Junpei calcolò rapidamente. 4 + 1 + 7 = 12 -> 1 + 2 = 3

Pare che anche Seven ci stesse pensando. «Maledizione. Be’,


immagino che dovesse andare così… Quindi verrò con voi,
eh?» Ace rispose: «Sì, verrai. Forza, muoviamoci.» E così fu
deciso che Clover, Ace e Seven avrebbero scoperto cosa si
celava oltre la porta 3.

«Bene, andiamo», disse Seven. «Fate attenzione», disse


Lotus. «Non pensavo avrei mai sentito qualcosa di simile da te,
Lotus.» «Non farti strane idee. Sarei in grossi guai se voi tre
spariste. Noi altri non potremmo aprire la porta 9.» «Ah, la
verità viene a galla.» Seven annuì, come se quella risposta
avesse più senso, e tirò la leva del RED.

L a porta si aprì, e Ace, Clover e Seven saltarono dentro.


Dopo nove secondi esatti, la porta si richiuse rumorosamente.
«Bene. Dovremmo muoverci anche noi», disse Lotus. «Uh?»
«Muoverci?» «Dove dovremmo andare?» Tutti tranne Lotus
sembravano piuttosto confusi.

«Be’, sarebbe uno spreco di tempo starcene semplicemente


qui con le mani in mano, no? Dobbiamo vedere cosa c’è oltre le
porte con le chiavi che abbiamo racimolato. Se siamo fortunati,
potremmo addirittura trovare Snake.»

Raggiunsero la fine del lungo corridoio con le stanze. Il


simbolo di Giove ornava la serratura. «Bene, Junpei. Aprila.»
Junpei prese la chiave di Giove dalla sua tasca e la inserì nella
177
serratura. La girò. Con un click, sentì la porta sbloccarsi. «Bene.
Pronti, ragazzi?» I compagni di Junpei annuirono. Lui annuì di
rimando, e lentamente aprì la porta.

Dentro c’era esattamente quello che si aspettava di vedere,


in base alla mappa. Erano in una immensa sala, quasi una sala
da ballo, con delle massicce scalinate centrali. «Grande, siamo
tornati all’inizio. Sicuri che sia una buona idea?», chiese Santa.
«Cosa intendi?» «Be’, abbiamo già cercato ovunque qui, no? Vi
sto chiedendo se c’è una sola ragione per cui siamo tornati
qui.»

«Certo che c’è una ragione», rispose Junpei. «A volte non


riesco a capire se sei intelligente o solo fortunato.» «Uh‽ »
«Queste.» Junpei estrasse due cose dalle sue tasche. La carta di
Saturno, e la chiave della Terra. Santa piegò la testa da un lato,
come un volatile curioso, e le osservò.

Dopo dei lunghi momenti, durante i quali era chiaro che


Santa non avesse idea di cosa significassero le carte, June ebbe
pietà di lui. «Non ti ricordi, Santa? Sul ponte C, dove siamo ora,
c’era un grande ascensore dietro le scale, ricordi? E vicino
all’ascensore, c’era un card reader col simbolo di Saturno. E sul
ponte A, la porta sulla sinistra aveva una serratura con il
simbolo della Terra. Quindi, le chiavi di Jumpy…»

«Dovrebbero lasciarci usare l’ascensore e la porta del


ponte A… uh…» «Esatto.» June sorrise, soddisfatta di sé. Santa
fece lo stesso. «Okay, ho capito. Andiamo, dunque. Che ne dite
di dividerci in due gruppi? Io e Lotus useremo la chiave della
Terra, e voi due la carta di Saturno, va bene?»
178
«Va bene.» Junpei diede la chiave della Terra a Santa.
Decisero che la loro ricerca iniziale avrebbe dovuto essere
breve: massimo dieci minuti. Si sarebbero ritrovati alle
scalinate principali una volta finito. Junpei e June raggiunsero
gli ascensori. Poco ma sicuro, c’era proprio un card reader
accanto all’ascensore di sinistra.

Junpei estrasse la carta di Saturno e la fece passare


attraverso il reader. Una luce sull’angolo in alto a sinistra del
dispositivo si accese. Era verde. «Ottimo», disse Junpei.
«Perfetto, ora come chiamo l’ascensore?» C’era solo un bottone
accanto ad esso.

Sul bottone c’era un triangolo a testa in giù – il simbolo


che sta universalmente per “giù”. Non c’era un tasto “su”.
Junpei lo premette. Non aveva molta scelta. «Si… si è aperto!
Guarda, Jumpy!» La voce di June era carica di eccitazione, ma
Junpei poteva distinguere una tinta di ansia. «Bene, si è aperto.
Andiamo.» Fece un ampio sorriso a June, e camminò verso la
porta aperta.

Mentre era lì lì per mettere il primo piede all’interno, sentì


una mano sul suo braccio. «A-a-a-aspetta…» «Cosa?» «I-i-io non
sono… uh… io…» Junpei era senza parole. Da cosa poteva
essere spaventata? Dopo averci pensato un po’, Junpei decise
che doveva essere nervosa per il fatto di rimanere chiusa in
uno spazio così piccolo con un ragazzo. A suo modo, la cosa era
tenera. Era così… riservata, pensò.

Ad ogni modo, anche se non era esattamente spazioso,


non sarebbero certo stati uno contro l’altro come sardine. O,
179
almeno, non dovevano necessariamente esserlo. Comunque,
questo la rendeva nervosa. Junpei non poté che pensare a
quanto fosse pudica e innocente.

«Forza, andiamo.» Di nuovo, si avviò verso l’ascensore. E di


nuovo, venne bloccato. «Aspetta un minuto!» «Perché?» «Non
sei spaventato, Jumpy?» «Spaventato da cosa?» «Be', non ho
mai... lo sai...»

Non è mai stata in ascensore con un maschio da sola prima


d'ora? Anche se fosse, sembrava comunque troppo spaventata...

«Potrei... potrei bagnarmi.»

C-cosa?!?

«Laggiù... mi bagnerei tutta...» «B-be', ovviamente ti


bagneresti, è così che funziona. Voglio dire, non ho mai sentito
di nessuno che si bagna... da qualche altra... parte.»

«Sì... è vero...»

«...»

«Non... non ti preoccupa?»

«Preoccuparmi cosa?»

«Di... bagnarti...»

«Be', non so, immagino che probabilmente potrebbe... ecco,


sai... piacermi.»

180
«Oh, Jumpy! Sei così coraggioso!»

«... Davvero? Voglio dire, immagino che qualunque altro


ragazzo farebbe lo stesso, no? Quello che succede, succede,
giusto? Se hai la possibilità, fallo e basta. È questo che ci si
aspetta che faccia un uomo, immagino.»

«S-sei così forte, Jumpy! Ti ammiro moltissimo!»

«Uh, questo... non sembra davvero ciò per cui si ammira


qualcuno...»

«Sono... molto spaventata...»

«S-sì... insomma, come hai detto, non l'hai mai... fatto...


prima d'ora...»

«Sì...»

«Non penso che durerò molto a lungo, e poi sarà... finita...»

«F-finita...?

«Sì... andrò in paradiso...»

«... Paradiso...?»

«È come volare nello spazio, e nella tua testa è tutto un


casino, come quando passi... be', almeno, questo è ciò che ho
sentito da persone che ne hanno avuto esperienza...»

«A-ah, sì, ne ho sentito parlare anche io. Anche se non


penso che succeda lo stesso ai ragazzi.»

181
«...Eh?»

«...Uh?»

«Be', succederebbe anche agli uomini, no? Succederebbe a


chiunque. Una volta che ti entra nel corpo, succede la stessa
cosa a chiunque.»

«...Be', voglio dire... normalmente... non entra... dentro... gli


uomini... voglio dire, di solito.»

«Sì, succede invece. Be', a volte devi. Non hai realmente


scelta... Il tuo corpo ti costringerà ad ingoiarne un po', alla
fine...»

«Ch-che cosa stai cercando di farmi...?»

«Niente... non ho intenzione di farti niente. Sto solo


dicendo ciò che succede. È una reazione psicologica a ciò che ti
sta succedendo...»

Era... era proprio così che succedeva? Forse era così che
funzionava... magari si era sbagliato per tutti questi anni. Aveva
frainteso la vita in modo così grave? Il solo pensiero lo
terrorizzava. June sembrava totalmente ignara della crescente
confusione e della paura di Junpei.

«So che gran parte degli uomini probabilmente ha


polmoni più grandi delle donne, ma... anche così, non penso
potresti trattenere il respiro per 20, o anche 10 minuti. Alla
fine dovrai respirare, e l'acqua ti entrerà dentro... e quando

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accadrà, il tuo corpo non riuscirà a prendere più ossigeno, e
comincerai a sentire quella sensazione di volare...»

«...»

«...»

«...»

«...»

«Ahah... Ahahahah... Ahahahahahahah!»

Infine, Junpei comprese. Comprese cosa June cercava di


dire, e perché era così spaventata. «Sì, hai ragione, non
dureresti molto a lungo.» Era spaventata dal fatto che
l’ascensore andasse soltanto verso il basso. L’ascensore poteva
andare solo ai ponti inferiori. E il piano inferiore a quello in cui
erano – il ponte D – era completamente sommerso.

«Ehi, aspetta un attimo! Questo ascensore viene su da un


punto più in basso rispetto a qui, no?», disse Junpei. «Uhm…
be’, immagino di sì. Non si è aperto subito quando hai premuto.
C’è stato un rumore, si stava muovendo, e poi si è aperto.»
«Esatto. Quindi, diamo un’occhiata all’interno.» Junpei mise la
testa dentro l’ascensore.

«Non è per niente bagnato, vedi? Sia le pareti che il


pavimento sono completamente asciutti.» «Oh… hai ragione,
lo sono.» June guardò l’ascensore, sottilmente imbarazzata.
«Che ne dici di controllare comunque, per sicurezza?» Junpei
mise un piede dentro e uno fuori l’ascensore, e guardò i tasti

183
all’interno. Erano due: E e C. Premette il tasto E e saltò fuori
dall’ascensore.

La porta si richiuse, e sentirono il rumore del motore


dell’ascensore che scendeva. Pochi istanti dopo, sentirono il
suono dell’ascensore che si fermava vari piani più in basso.
Junpei annuì a June, e premette ancora il tasto dell’ascensore.
Dopo un po’, la porta si aprì nuovamente.

Come Junpei si aspettava, non c’era acqua. Junpei non


resistette al gonfiarsi il torace, giusto un po’. June, comunque,
era ancora confusa. «Che significa? Come può il ponte E essere
salvo mentre il ponte D è allagato?» «Be’, ecco come la penso.
L’ascensore e il ponte E devono essere a tenuta stagna, e
separati da qualunque sia la zona in cui la nave è stata forata.
Ecco, lascia che ti mostri.»

Estrasse il suo quaderno e la penna, e abbozzò un rozzo


disegnino.

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«Capisco… quindi è per questo che la nave non è
affondata? La forma interna le impedisce che si riempia tutta
d’acqua?» «Sì, penso sia così.» Junpei richiuse il quaderno e lo
rimise in tasca. «Ok, ora scendo a controllare. Tu rimani qui, va
bene?» «Ma io…» «Eddai, fallo e basta, ok?»

Diede alla spalla di June una rassicurante stretta, poi balzò


nell’ascensore. Premette il bottone E. June sembrava
preoccupata, i suoi occhi guizzavano avanti e indietro come se
stesse per prendere una decisione, quando improvvisamente…
«I-io vengo con te!» «Uh?»

All’ultimo istante possibile, June si slanciò in avanti,


girandosi di traverso giusto in tempo per scivolare lungo lo
spazio tra le due porte che si chiudevano. Junpei premette
ripetutamente il tasto “Apri”, ma era troppo tardi. La porta si
era chiusa, lui e June erano nell’ascensore, e questo stava
scendendo, verso il ponte E.

Era così sorpreso da June che non ebbe neppure tempo di


pensare a cosa li avrebbe attesi al ponte E. L’ascensore si fermò,
e la porta si aprì. Uscirono dall’ascensore. Nulla sembrava
particolarmente strano. Nessun pesce a fare le sue cose
pesciose, nessuna medusa che fluttuasse pigramente nell’acqua.

C’era, comunque, un pesce palla. O almeno qualcosa che


gli somigliava molto. Le guance di June erano gonfie e la sua
bocca si era fatta piccola, tesa e chiusa. «Ecco, nessuna sorpresa.
È esattamente come pensavo, questa parte non è sommersa.
Eddai, guardati in giro! Non c’è acqua qui!»

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June si guardò attorno nervosamente, e poi… espirò. «Hai
ragione. Non è sommersa.» «Già.» «Ma c’è comunque un sacco
di acqua.» «Sì, proprio sopra di noi.» «Cosa succede se il soffitto
cede?» Junpei ci pensò un po’. «Be’, probabilmente ci
bagneremmo un sacco… quassù.» «Eh?» «Ad ogni modo,
dobbiamo fare alla svelta a controllare. Lotus e Santa
potrebbero già essere tornati indietro.» «Okay. Buona idea.»

Junpei diede un’occhiata alla stanza in cui si erano


ritrovati. La prima cosa che notò era una serie di spesse sbarre
di acciaio. Erano per tutta la lunghezza della stanza, separando
l’ascensore di sinistra da quello di destra. Poi, all’angolo della
stanza che ospitava gli ascensori, Junpei trovò un’apertura.
Camminò verso di essa e sporse la testa oltre l’angolo.

Un lungo corridoio dritto si stendeva di fronte a lui.


«Quella porta alla fine del corridoio… c’è scritto qualcosa
sopra.» «Sì. Andiamo a controllare.» Junpei e June percorsero il
corridoio con passo sostenuto, qualcosa a metà tra una corsa e
un piccolo trotto. In poco tempo, si ritrovarono di fronte alla
porta.

Su di essa c’era un numero scritto in lucente vernice rossa:


un 6. «Una porta numerata!» «Sì!» E chiaramente, c’era un RED
incastonato sulla parete giusto accanto alla porta. Ovviamente,
con sole due persone, non avrebbero potuto farci molto.
«Perfetto, torniamo indietro.» «Sì!» Junpei e June tornarono al
ponte C.

186
Nel tornare indietro, Junpei notò una mappa sulla parete.
Come poté constatare, era una mappa bruciacchiata del ponte
E.

«Oh… quindi voi ragazzi avete trovato la porta 1…»


Avevano ritrovato Santa e Lotus, e si erano raccontati quel che
avevano trovato. Apparentemente, c’era un’altra porta
numerata sul ponte A, proprio come quella sul ponte E, oltre la
porta aperta con la chiave della Terra. Stando a Santa e Lotus,
c’era un 1 su essa.

«È interessante che il ponte E non fosse sommerso…»


Lotus stette in silenzio per un momento, persa nei suoi pensieri.
Junpei aggiunse: «Be’, non sappiamo davvero se tutto il ponte E
è salvo. Abbiamo controllato solo la zona attorno agli
ascensori.» «Anche così, è molto interessante.» Santa si
intromise: «Hai detto che c’era la porta 6, giusto?»

June rispose: «Sì.» «Questo significa che Zero ha


pianificato tutto, anche l’affondamento. Deve aver fatto dei seri
rimodellamenti dell’interno della nave.» Lotus disse: «È
abbastanza fuori di testa, se ci pensi.» June disse: «Sì. Mi chiedo
quanto tempo gli sia servito… non posso neanche immaginare
quanto dev’essere costato.»

«Dev’essere stato tantissimo, poco ma sicuro.», rispose


Santa. «Be’, questo concorda con ciò che diceva Ace. La
spiegazione più ragionevole è che tutto questo sia fatto da
qualche organizzazione con accesso ad una grande somma di
denaro.» «Sì, ha senso…»

187
Quell’idea li fece pensare in silenzio per un po’. June si
morse le labbra, mentre Lotus sospirava sommessamente tra sé,
e Santa si scrocchiava il collo teso e fissava il vuoto.

June spezzò il silenzio: «Non penso sia una buona idea


rimanere qui.» Guardò Junpei con grandi occhi supplicanti. «Sì,
hai ragione. Ace e gli altri potrebbero essere già tornati.» Lotus
intervenne: «Be’, io June e Junpei dovremmo essere in grado di
aprire la porta 1.»

La reazione di Santa giunse repentina: «Eh? Volete


lasciarmi indietro?» «Stavo scherzando. Bene, andiamo.» Le
parole di Lotus ebbero la foga di cui c’era bisogno, e tornarono
alla larga stanza d’ospedale.

Appena entrarono dentro, una voce potentissima echeggiò


per la stanza. «Ehi! Dove cazzo eravate andati?» Era Seven. Ace
era proprio dietro di lui, e Clover era dietro Ace, benché
sembrasse bloccata. Sembrava avessero qualcosa di strano.

Seven aveva l’aspetto di un uomo che aveva appena visto


un fantasma. Ace era pallido, e Clover sembrava fosse a pochi
istanti dall’andarsene all’altro mondo. Per lunghi istanti,
stettero semplicemente a fissarsi, guardandosi l’un l’altro.

Junpei si guardò intorno nervosamente, aspettando che


qualcun altro parlasse. Nessuno lo fece. Guardò Seven. «Cosa…
è successo?» «Che razza di domanda è?» Seven ce la metteva
tutta per sembrare arrabbiato, ma qualcosa l’aveva scosso a
fondo. Le sue spalle tremavano, e la voce era forzata.

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«Snake era… Snake è…» Seven non poteva terminare.
Volse lo sguardo altrove, il volto contratto da… Junpei non era
sicuro da cosa. Invece, parlò Ace. Prese un profondo respiro,
chiuse gli occhi, e parlò: «Snake è… morto. È morto… proprio
come il nono uomo.»

Fu come se tutta l’aria della stanza si fosse


improvvisamente prosciugata. Junpei sentì il suo battito
cardiaco accelerare, e realizzò che aveva difficoltà a respirare.
Poteva sentire gocce di sudore freddo colare sulla sua fronte e
sul suo collo.

June, Santa, e Lotus avevano lo stesso aspetto. Tutti e tre


erano congelati sul posto, i volti bianchi. June disse: «Oh mio
Dio… non può essere vero…», poi Lotus: «Dobbiamo esserne
sicuri.» «S-sì, dovremmo», esitò Junpei. Tutti annuirono, e si
diressero verso la porta 3.

«Aspettate! Non da lì.» Si fermarono di colpo, e si


voltarono verso Seven. Stava indicando la porta senza il
numero. «Ho incastrato un cacciavite nella porta, per impedire
che si chiudesse completamente. Potete andare da lì.» «Dov’è…
lui dov’è?» «Nella doccia, sul lato sinistro del corridoio. Pure lì,
ci ho messo una scopa, per tenere la porta aperta.»

«Possiamo raggiungerla senza passare per la porta


numerata, giusto?», chiese Santa. «Sì, esatto.» Junpei e gli altri
si avviarono alla porta senza numero. Una volta nel corridoio,
fu semplice trovare la porta metallica sulla parete sinistra.

189
Non era aperta quando ci erano passati prima. Ma ora,
proprio come aveva detto Seven, c’era una scopa incastrata tra
la porta e la sua cornice, mantenendola aperta. La guardarono
per un momento, e poi entrarono.

«Fa una puzza terribile…» Lotus si tappò il naso e coprì la


bocca dal disgusto. Anche Santa si chiuse il naso: «Sì, è
orrendo… Sto per vomitare.» Era terribile come avevano detto
– forse anche peggiore. Un fetore abominevole riempiva l’aria,
così fitto che potevano quasi toccarlo. Era acido, puzzava di
pesce, feci, e carne bruciata.

Strisciò dal naso di Junpei e lungo la sua gola, per


premere contro l’entrata del suo stomaco. Si portò le mani alla
bocca, e lottò per mantenere quel poco che rimaneva nel suo
stomaco nel luogo che gli apparteneva.

Non dovettero chiedersi dove si trovasse il corpo. C’era


sangue ovunque, e alcune membra si estendevano fino a loro
da quando erano passati per la porta. Tutto quello che
dovevano fare era seguire i vari pezzi sparsi fino alla loro fonte.

Il corpo era nascosto dietro un divisore. «June, tu dovresti


rimanere qui.» «Ma…» «Per favore, fammi semplicemente un
favore, okay? Va bene?» Non le diede la possibilità di dire di no.
Le mise la mano sulla spalla, come per spingerla sul terreno, si
voltò e camminò verso la fine del divisore.

Gli sembrò volerci un’eternità per arrivarci. Santa e Lotus


seguirono, timidi e nervosi come un paio di bambini. Infine,
raggiunsero il divisore. Si guardarono l’un l’altro e annuirono,

190
lentamente. Junpei mise le mani sul divisore e scrutò dietro
l’angolo. Per un momento, si dimenticò di respirare. Sentì il
suo cuore collassargli nel torace come un pacchetto di
sigarette vuote, e il tempo congelò.

Quel che era rimasto del corpo giaceva in un mare di


sangue. Pezzi di carne, strappati dal corpo, giacevano nel
sangue come piccole isole in un grande mare rosso. Un esteso
buco frastagliato squarciava il torso, e quel che rimaneva dei
suoi intestini era sparso fuori come spaghetti freschi.

Pezzi di carne più piccoli erano spiattellati contro la parete,


ed erano rimasti lì appena si erano seccati. Grumi di grasso
giallastro avevano lasciato scie come piccole lumache appena
la gravità le aveva fatte scendere dalla parete, anch’essi ora
secchi.

«Proprio come aveva detto Ace…» La voce di Santa era


tesa e innaturale. Junpei sospettò che stesse trattenendo a forza
i conati di vomito. «Proprio come il nono uomo. Il detonatore
nel suo braccialetto ha attivato la bomba nelle sue viscere.»

Sembrava che l’esplosione fosse stata piuttosto potente. Le


sue gambe erano entrambe piegate in modo strano, innaturale,
e il suo braccio sinistro era lacerato, esponendo l’osso bianco
dell’ulna. Il suo braccialetto giaceva vicino a lui.

Sembrava aver colpito il muro abbastanza duramente da


aver frantumato il display, che era sparso in pezzi sul terreno.
Metà della sua testa era semplicemente collassata. Il sangue

191
che la ricopriva la faceva sembrare quasi l’impasto crudo della
pizza ricoperto da pomodoro.

I suoi vestiti, a loro volta, erano ricoperti di sangue. La


cravatta burgundy, la maglia bianca, la giacca a righe gialle, i
pantaloni grigi… Erano tutti familiari, per Junpei.

«Non c’è dubbio. È Snake.» La voce di Lotus era


innaturalmente profonda e tesa, e Junpei la sentì trattenere i
conati dalla gola.

Tornarono alla stanza dell’ospedale. Lo stridio del metallo


fece storcere i denti a Junpei. Sembrava il lamento proprio di
un fantasma. Non importa quante volte l’aveva sentito, non si
sarebbe mai abituato.

Ogni volta, gli veniva la pelle d’oca. Certamente non


aiutava che vicino a lui ci fosse una ragazza che sembrava più
un fantasma che un essere umano, vivo. Era Clover. Sedeva
sulla punta del letto, la testa penzolante senza forza sul petto. I
suoi occhi erano pallidi, e fissava il nulla. Il suo respiro era
lento e meccanico.

A parte il salire e scendere del torace, non si muoveva.


Junpei aveva l’impressione che anche un colpetto di gomito
potesse disintegrarla in mille pezzi.

Seven ruppe il silenzio. «Snake è stato probabilmente


assassinato.» Seven abbassò la voce, per non farsi sentire da
Clover. C’erano altre quattro persone nella stanza insieme a
Junpei e Seven.

192
Ace, Santa, June e Lotus. Seven li guardò fissi negli occhi,
uno a uno, e poi proseguì. «È abbastanza semplice. Non è
difficile immaginare come abbiano fatto. Prima, gli assassini
hanno presto Snake per identificarlo sul RED della porta 3. Poi
l’hanno scaraventato dentro, da solo… e hanno atteso 9 secondi
per far chiudere la porta. Una volta che la porta si è chiusa, era
finita per Snake, ma lui non si è arreso. Probabilmente pur
sapendo che non sarebbe servito a nulla, è corso verso le docce
cercando il DEAD. Era una piccola chance, ma non aveva nulla
da perdere. Sfortunatamente, non ha funzionato. I detonatori si
disattivano solo se tutti quelli che si sono identificati entrano e
usano il DEAD. E poi, 81 secondi dopo essere stato gettato
dentro… è successo.»

Junpei prese fiato e rispose: «Capisco. Ecco cosa intendi


per “assassinato”. Comunque, servono almeno tre persone per
aprire una porta numerata, Snake compreso. Non si sarebbe
aperta per Snake e un singolo killer.» «Esattamente. Il che
significa che stiamo parlando di vari assassini.»

Junpei incrociò le braccia e grugnì. «Be, giusto per


sicurezza, voglio controllare una cosa. Poniamo che tu abbia
ragione… quando pensi che Snake sia stato ucciso?» Seven
rispose: «Quando ci siamo divisi tutti per cercare le parti del
RED, credo. Poco dopo ci siamo accorti che era sparito.»

«Questo significa che nessuno di noi ha un alibi. Eravamo


tutti in giro a cercare nelle stanze assegnate, cercando quei
componenti.» «Sì. Ognuno di noi potrebbe essere un assassino.»
June si intromise: «A-aspetta un minuto! Di cosa state
parlando?» June sembrava scioccata.
193
«Come potete dire che uno di noi è un assassino con
questa disinvoltura?» «Be’, non solo uno di noi. Se ho ragione,
almeno due di noi sono assassini.» «Perché non ti calmi un po’,
Seven… che cosa ci guadagni ad essere così sospettoso? È
proprio quello che vuole Zero, lo sai», disse Ace.

«Quello… che Zero vuole?» «Esattamente. Questo gioco è


stato creato da Zero, no? E ogni gioco ha dei vincitori e dei
perdenti. Chiunque passa per la porta 9 è vincitore, e chi non lo
fa è perdente. Zero sta cercando di metterci uno contro l’altro
per questa vittoria.»

June disse: «Quindi stai dicendo che Zero cerca di dividerci


facendoci litigare tra noi?» «Sì. È per questo che non possiamo
permetterci il lusso del sospetto. Dobbiamo fidarci l’uno
dell’altro, e formare un forte legame di amicizia. Altrimenti,
finiremo intrappolati dalle manipolazioni di Zero.»

Lotus intervenne: «Quindi, questo significa che… la


persona che ha ucciso Snake…» Ace rispose: Sì. Quasi
certamente è stato Zero stesso. Se c’è qualcuno di cui
dovremmo dubitare, è Zero. Ha architettato tutto questo, e ci
ha rapiti tutti. Non è ragionevole pensare che abbia anche
ucciso Snake?»

Junpei non aveva considerato questa possibilità. Se Zero


aveva ucciso Snake, allora era sulla nave insieme a loro. Junpei
non ne era sicuro. «Come fai ad essere così sicuro che Zero sia
su questa nave?»

194
Le sopracciglia di Ace si innalzarono rapidamente. «Sei
serio, Junpei? Lo confesso, sono un po’ deluso. Di solito sei così
sagace. Non è ovvio? “Questa nave”.» «Cosa?» «Zero ha ripetuto
più volte “questa nave” quando ci parlava. “Sono Zero, il
capitano di questa nave.” E poi “lasciate questa nave vivi.” E
ancora, “questa nave ha iniziato ad affondare.” Se non fosse
stato qui, non avrebbe detto questa nave, no? Avrebbe detto
qualcosa come quella nave o la nave.»

«Oh… sì, suppongo abbia senso.» La spiegazione di Ace


quadrava perfettamente. Junpei si sentì un po’ stupido per non
esserci arrivato da solo. Ad ogni modo, aveva ancora una
domanda, e non era di poca importanza.

«Se Zero è sulla nave… dov’è?» Improvvisamente, tutti


fecero silenzio. Il silenzio era freddo e viscido, e Junpei poteva
sentirlo strisciargli dietro e attorno la sua gola. Di nuovo, udì
quel lamento simile ad un fantasma. E qualche istante dopo,
una persona che sembrava più fantasma che umano apparve.

Era Clover. Guardava al pavimento mentre parlava, e la


sua voce era fredda e monotona: «Io penso… penso che Zero
sia… uno di noi.»

Ogni corpo umano nella stanza raggelò. L’unico suono era


il fruscio attenuato dei respiri. Gli occhi dardeggiarono da viso
a viso. Uno di quei volti era il volto del loro carceriere. Ma chi?

Junpei esclamò: «Questa è follia! Questa nave affonderà in


poche ore! Se Zero fosse qui, metterebbe se stesso in pericolo.
Perché diavolo dovrebbe fare una cosa simile? Non c’è

195
ragione!» Clover guardò Junpei, poi di nuovo a terra: «Tu…
non mi credi…»

I suoi occhi erano così tristi, mettevano compassione…


Quando Junpei li incontrò sentì il suo cuore serrarsi. Non
pensava che quello che aveva detto fosse sbagliato. Forse il
problema era il tono. Era stato troppo insensibile.

Clover aveva appena perso suo fratello. La sua morte


sarebbe stata già di per sé una cosa negativa, ma aveva anche
dovuto vedere i brandelli della sua carcassa. Junpei a malapena
lo conosceva, e quella vista era stata abbastanza per farlo
sentire male.

Quello che aveva provato Clover… non riusciva neppure


ad immaginarlo. Nello stato in cui era al momento, era
comprensibile che guardasse agli altri intorno a sé con sospetto.
Sentiva che tutti erano contro di lei. Il minimo che Junpei
avrebbe potuto fare era cercare di capire come si sentiva.

Si vergognò per ciò che aveva detto. Forse, pensò, dovrei


scusarmi. Ma prima che le sue scuse avessero inizio, fu Ace a
parlare: «Clover, capisco come ti senti. Non credi di poterti
fidare di nessuno di noi.» Ace aveva battuto Junpei sul tempo.
Il suo volto era calmo e amichevole.

«Ma devi capire… più sospettiamo l’uno dell’altro, più


cadiamo nella trappola del vero nemico. È stato Zero a fare
quelle cose orribili a tuo fratello. Vuoi lasciarti manipolare da
qualcuno che ha fatto una cosa simile?»

196
Clover non rispose. Non aveva neppure guardato Ace. Per
tutto il tempo, i suoi occhi erano su Junpei. Poteva sentire lo
sguardo di Clover perforarlo. Erano del colore di un profondo
lago d’inverno. Junpei non vide sospetto in quegli occhi, solo
tristezza.

Poi, in quell’orribile silenzio, sentirono la campana iniziare


a suonare. Era l’orologio delle scale principali. «Sono le 3 del
mattino, ci rimangono solo 3 ore.» «Allora dobbiamo muoverci,
ora. Seven, Clover. So come vi sentite, ma capite che, adesso, è
importante che ci fidiamo l’uno dell’altro, no?»

Seven e Clover rimasero in silenzio. I loro occhi


guardavano altrove. «Dobbiamo andare! Ci rimane pochissimo
tempo!» Le parole di Ace li mise in movimento. Sapevano tutti
dove si stavano dirigendo. La loro prossima destinazione era
Mercurio.

Era lì, incastonato nella parete vicino alle scale che


portavano al casinò e alla cucina, tra i due ascensori. Il card
reader di Mercurio. Junpei era di fronte ad esso, con la carta di
Mercurio. Gliel’aveva data Seven. L’aveva trovata nelle docce.
O almeno, così aveva detto.

Junpei fece scorrere la carta attraverso il reader. La luce


del reader si accese di verde e fece un piccolo suono elettronico.
Ora, erano pronti. Junpei e June erano stati scelti come
investigatori. Come prima, Junpei mandò l’ascensore vuoto,
per essere sicuri che il piano verso cui erano diretti non fosse
sommerso dall’acqua.

197
Come prima, l’ascensore tornò asciutto quanto come era
partito. Dopo essere stato controllato, Junpei e June entrarono
nell’ascensore. C’erano solo due bottoni: C e “In fondo”. Gli
altri erano distrutti, oppure non facevano nulla se premuti.
Junpei premette il tasto “In fondo”.

La porta si chiuse. Lentamente, iniziarono a scendere.


Poco tempo dopo, Junpei e June uscirono dall’ascensore, verso
il ponte inferiore. Videro che il corridoio alla loro destra
terminava a sei o sette metri da loro. Il corridoio di fronte era
un vicolo cieco, ma non un comune vicolo cieco. «Questa è una
porta numerata…», disse June. «È l’ottava che incontriamo… e
questa ha il numero 2.» «Pensi… che la prossima che
troveremo…» «Sì, penso di sì. La prossima sarà la porta 9.»

Malgrado tutto, Junpei si sentì elettrizzato. C’era qualcosa


in quella eccitazione che lo spaventava. Fece del suo meglio
per togliersela dalla testa, e tornò al ponte C con June.

Dopo un po’…

«Okay, apriamoli.» I bigliettini che avevano piegato erano


sparsi a terra, davanti alle gambe di Junpei. Ce n’erano sette in
tutto. Erano stati scritti su una pagina presa dal quaderno di
Junpei, e ognuno riportava un nome in codice e una porta
numerata. Perché avevano deciso di votare in quel modo?

Avevano stabilito che non era corretto chiedere


semplicemente a tutti a turno – ciò avrebbe permesso ad alcuni
di forzare altri ad andare in determinate porte. Be’, non era

198
l’unica ragione. Junpei aveva proposto questo sistema di voto
perché aveva un piano.

Era un piano che gli altri non avrebbero dovuto scoprire,


comunque, quindi fece del suo meglio per sembrare calmo e
iniziò ad aprire e leggere i bigliettini.

Lesse il primo: «Ace chiede la porta 1.» «Sì, è così. Volete


che vi spieghi perché?» «No, non ne abbiamo il tempo. Scusa.
Proseguiamo…» Aprì il secondo: «Il prossimo è Santa. Vuole la
porta 6.» «Sì, è quello che ho scritto.»

Junpei proseguì con il terzo, quarto e quinto pezzetto di


carta. «Clover vuole la 1, Lotus vuole la 2, e anche Seven vuole
la 2.» Lotus esclamò: «Eh? A-a-aspetta un minuto! Per nessuna
ragione andrò da nessuna parte insieme all’Uomo Elefante!»
Junpei rispose: «No. Non avrebbe senso votare se
permettessimo di cambiare le scelte per robe simili. «Ma!»

Seven si intromise: «Fattene una ragione, Lotus. Non che


io voglia ritrovarmi con qualche nonna esibizionista.» «Non
sono un’esibizionista! Sono vestita!» «A malapena, sì.» «E
quindi? L’ultima volta che ho controllato, non era un crimine!»
«Certo, ma che ne è della decenza? Nessuno vuole posare lo
sguardo su una ragazza che sembra uva passa mezza nuda.»

«Ti uccido!» I capelli di Lotus si allargarono come la


criniera di un leone arrabbiato, e lei ruggì con una voce tale da
far tremare le pareti. Lotus si gettò su Seven che, con difficoltà,
riuscì a trattenerla. Ace si intromise: «Junpei! Leggi i
rimanenti!» «O-oh… giusto…» Junpei volse lo sguardo altrove,

199
poi guardò giù al sesto biglietto. Lo aprì. «June vuole la porta
6…» «Sì. Non è che ci sia un motivo, semplicemente sentivo di
voler quella.»

Tutti i foglietti, eccetto quello di Junpei, erano stati letti.


Fece dei veloci calcoli tra sé.

Persone che volevano la porta 1: Ace + Clover.

Era la porta sul ponte A, vicino alle scalinate principali.

Persone che volevano la porta 2: Seven + Lotus.

Era la porta sul ponte inferiore e si raggiungeva tramite


l’ascensore.

Persone che volevano la porta 6: Santa + June.

Era la porta sul ponte E, e si raggiungeva tramite


l’ascensore vicino alle scalinate principali.

Gli ci volle meno di un secondo per fare i calcoli. Aprì il


settimo pezzo di carta e parlò. «Okay, l’ultimo è il mio. Voglio
la porta…»

Se vuoi che Junpei scelta la porta 1, prosegui la lettura.

Se vuoi che Junpei scelta la porta 6, vai a pagina 232.

Non è stata inserita la porta 2 in questo adattamento del


videogioco.

200
10. Porta 1: Il quartier generale

«La mia scelta… è la porta 1.» Santa non era convinto.


«Ehi, aspetta un attimo. Stai imbrogliando?» «Imbrogliando?»,
disse Junpei. Santa lo incalzò: «Non è che hai cambiato il tuo
numero dopo aver sentito le porte che vogliamo noi?» «E come
avrei potuto farlo? L’ho scritto sul foglio, prima.»

«Fammi vedere.» Junpei scrollò le spalle e gli diede il


biglietto. Santa lo esaminò furiosamente. Anche gli altri lo
scrutarono. Mentre lo facevano, Junpei fece scivolare
rapidamente nella sua tasca il foglietto di carta che nascondeva
in mano.

Anche se non l’avrebbe mai saputo, Santa aveva fatto bene


a sospettare. Junpei aveva imbrogliato. Aveva preparato tre
foglietti, per le porte 1, 2 e 6, e aveva messo il foglietto con la
porta 6 nel mucchietto. Ci aveva messo un piccolo segno, così
da poterlo riconoscere.

Poi aveva tenuto il foglietto con la porta 1 nella mano


sinistra, e quello con la porta 2 nella sua destra. Durante il
pescaggio, aveva fatto attenzione a tenersi per ultimo. Il resto
era semplice: se avesse voluto scegliere la porta 1, avrebbe
usato la mano sinistra, viceversa la destra per la porta 2.

Chiaramente, se avesse voluto la porta 6, sarebbe stato


ancora più semplice. Non avrebbe dovuto fare nulla, e lasciare
tutto così com’era.

201
«Be’? Cosa c’è scritto?» Junpei si trattenne dal sorridere
compiaciuto. «Mh, hai avuto fortuna.» Santa sbuffò, e gettò il
bigliettino per terra, frustrato.

«Molto bene. Abbiamo stabilito chi attraverserà la porta 1.


Saremo io, Clover, e Junpei», disse Ace. «Il problema sono i
due gruppi rimanenti», proseguì. «Io e June vogliamo la porta
6», disse Santa. «Io e Lotus vogliamo la 2», disse Seven.

«Non va bene… non possiamo aprire nessuna delle due


con sole due persone», osservò June. «Bene. Seven, andremo
con loro nella porta 6», propose Lotus. «Sicuro. Non volevo
davvero la porta 2, d’altronde. Inoltre, con una ragazzina più
giovane con noi, si abbasserà l’età media. Vero, June?», disse
Seven.

«Eh… be’… io…» June era senza parole. Lotus, invece, no.
«Lurido cane… aspetta e vedrai…» I suoi occhi erano gli occhi
di una donna pronta ad uccidere. Un brivido corse lungo la
spina dorsale di Junpei. Anche dopo che si erano separati alle
scale principali, Lotus continuava a borbottare rabbiosamente
tra sé.

Le circostanze vollero che anche questa volta Junpei e


June si separassero, ma questa volta la cosa non li preoccupò
eccessivamente. Dopo tutto, sapeva che l’avrebbe rivista.

Junpei, Ace e Clover si diressero verso il ponte A. Presero


la chiave della Terra e aprirono la porta sulla sinistra. Era
proprio come avevano detto Santa e Lotus. Alla fine del

202
corridoio c’era una porta con un grosso e rosso 1. Una porta
numerata. A sinistra, incastonato alla parete, il RED.

Ace andò per primo, e portò il polso sullo scanner. Junpei


seguì, e infine, svogliatamente, Clover alzò anche il suo braccio.
Si inclinò verso il pannello scanner. Il terzo asterisco prese vita,
e si udì un bip. Ace afferrò la leva. Prese un profondo respiro, e
si voltò verso Junpei e Clover: «Siete pronti? Tiro?»

Junpei rispose: «Quando vuoi.» Clover non disse nulla.


Annuì, con poco più di una letargica contrazione del capo.
«Molto bene allora, andiamo. 3, 2, 1!» La porta si aprì. I tre
varcarono la soglia.

Freneticamente, Junpei esaminò la stanza. I suoi occhi si


fermarono sul dispositivo che avrebbe deciso della loro vita o
della loro morte. «Eccolo! È lì!» Vicino alla porta da cui erano
passati c’era il DEAD.

Come un tutt’uno, lo raggiunsero correndo. Misero le


mani tutti insieme come se stessero litigando per chi arrivasse
primo. Si identificarono, e Ace tirò la leva.

«Si è fermato…» «Sì…» Junpei poteva sentire il cuore


martellare contro l’interno delle sue costole. Ace e Clover
respiravano affannosamente. Era la terza volta che seguivano
queste procedure, ma dovevano ancora abituarcisi.

Non che Junpei lo desiderasse: aveva intenzione di


terminare il gioco prima che la possibilità della morte
imminente diventasse un fatto di ordinaria amministrazione.
Junpei si guardò ancora intorno, questa volta più lentamente.
203
C’era un’altra porta. Diversa da quella per cui erano
passati. Afferrò la maniglia e facilmente, gentilmente, la aprì.
«Quindi… questa è la timoniera…?» Richiuse la porta, e si
voltò verso Ace e Clover.

Li fissò entrambi a turno, e poi parlò: «Ace, tu controlla la


timoniera oltre la porta!» «M-molto bene…» «Clover, tu
controlli questa! Di’ qualcosa!» «O-okay, lo farò.» «Molto bene
allora! Cominciamo!»

In un cassetto del comò Junpei trova alcune carte


nautiche.

Nel cassetto di una scrivania, trova invece un orologio da


taschino.

204
Una voce che non si aspettava di sentire fece trasalire
Junpei, mentre esaminava l’orologio. «Oh, un orologio da
taschino. Posso dargli un’occhiata?» Si voltò per vedere Ace
fermo sulla soglia della porta. Junpei scrollò le spalle, e glielo
diede.

«Ehi, che ci fai in questa stanza?» «Volevo semplicemente


venire a controllarvi. È un problema?», chiese Ace. «Sì, lo è!»
Ace inarcò le sopracciglia. «Ci hai controllati, ora esci. Ci
siamo divisi la ricerca per una ragione, okay?»

Era una menzogna. Non c’era motivo di dividersi il lavoro.


Junpei voleva parlare a Clover, in privato. Ecco perché aveva
mandato Ace alla timoniera. C’era una cosa che voleva
chiedere a Clover, e non voleva che qualcun altro li sentisse.

Sapeva anche che Clover sarebbe rimasta in silenzio con


chiunque altro nei paraggi. Per questo era così accanito nel
voler rispedire Ace alla timoniera. Ace aprì la bocca, poi diede
un’altra occhiata a Junpei e la richiuse ancora.

Un sorriso furbo comparve sul suo volto. «Oh oh, capisco.


Certamente…» Guardò ancora Junpei. Poi, di sfuggita, Clover.
«Chiedo scusa per l’intrusione. Be’… buona fortuna.» Ace diede
a Junpei una pacca sulla spalla con aria d’intesa e lasciò la
stanza.

Junpei sospirò e si asciugò alcune gocce di sudore dalla


fronte. Si voltò, e si ritrovò a guardare Clover dritto negli occhi.
Lei aveva sentito quel che Ace aveva detto. Guardò Junpei con
circospezione.

205
Leggi questa parte solo se hai sia la parola chiave
“QUADRIFOGLIO” che “MANICHINO”:

«Di che parlava?» Clover era chiaramente sospettosa, e


con buone ragioni. Gli occhi di Junpei si spalancarono, e agitò
le mani in segno di innocenza. «Oh no no no. Non è come
sembra…» «E com’è, allora?» Volevo solo sentire il resto della
storia. Non ho più avuto la possibilità di chiedertelo.»

«Quale storia?» «Riguardo l’esperimento. Ti ricordi?


Quello di cui hai iniziato a parlarmi alla sala operatoria? Hai
detto qualcosa riguardo un esperimento avvenuto nove anni
fa…» Clover si morse il labbro. Guardò il pavimento per dei
lunghi momenti, e appena iniziò a parlare, si poteva a
malapena sentire.

«Mi spiace, ma… non voglio parlarne adesso. Non sono…


dell’umore giusto. Capisci?»

«Continuo… a pensare a mio fratello… Non… riesco a


fermarmi… voglio dire, chi potrebbe fare una cosa simile? A
mio fratello… Non posso perdonarli. Non li lascerò andare…
La pagheranno, lo prometto… Quindi… Quindi…»

Le sue spalle tremavano. Gocce di sangue spuntarono


sulle sue labbra dove le stava mordendo. Le tolse strofinandosi
con la mano, e guardò Junpei, gli occhi feroci e collerici.
«Junpei… secondo te chi è stato?»

La sua voce era fredda, poco più di un sussurro. Junpei


deglutì. «Be’, se Seven ha ragione, si tratta di almeno due di noi.

206
Ci vogliono almeno tre persone per aprire una porta numerata,
e se sottrai Snake, ne servono due.»

«Hai ragione. Quindi…?» «Be’, basandoci sui braccialetti


dovremmo riuscire a capirlo. Chi può avere aperto la porta 3
con Snake? O meglio, “chi e chi”, o “chi, chi e chi”…»

«Vuoi dire che potrebbero essere state quattro persone?»


«Be’, tecnicamente è possibile…» «Sì, ma non lo so… non mi
sembra molto plausibile…», disse Clover. «Perché?» «Te lo dirò
dopo… ipotizziamo che siano state solo due persone, per
adesso.»

Junpei incrociò le braccia. Il numero di Snake era il 2.


Quali braccialetti, sommati al 2, avrebbero dato una radice
digitale di 3? Santa e Seven. Clover guardò Junpei, e lui
ricambiò lo sguardo. Non c’era motivo di nasconderlo. Le disse
le sue conclusioni.

Lei sembrò meno sorpresa di quanto Junpei si aspettasse.


«Santa e Seven… se fossero state due persone, quella sarebbe
l’unica combinazione possibile», disse Clover. «Ehi, aspetta.
Non pensi che sia un po’ presto per saltare alle conclusioni? Ho
solo detto che loro due avrebbero potuto aprire la porta 3 con
tuo fratello. Ci sono altre possibilità…»

«Tipo? Quali possibilità?», chiese Clover. Junpei non aveva


risposte. Era in procinto di ammettere la sconfitta, quando
Clover parlò: «Vuoi dire che pensi che siano state tre o quattro
persone? Non penso proprio sia possibile…» «Perché?» «Puoi…
prestarmi carta e penna?» Clover allungò le mani, in attesa.

207
Junpei tirò fuori la penna e il quaderno e glieli diede. Lei
aprì il quaderno… e scrisse varie semplici addizioni. Alla fine,
ne aveva ottenute otto che davano 3 come radice digitale.

a. 2 + (1 + 3 + 6) = 12

b. 2 + (1 + 4 + 5) = 12

c. 2 + (4 + 7 + 8) = 21

d. 2 + (5 + 6 + 8) = 21

e. 2 + (1 + 3 + 7 + 8) = 21

f. 2 + (1 + 4 + 6 + 8) = 21

g. 2 + (1 + 5 + 6 + 7) = 21

h. 2 + (3 + 4 + 5 + 7) = 21

«Queste sono le combinazioni per tre e quattro persone.


Queste otto, sono le uniche possibili», disse Clover. «Lo
vedo…» «Junpei…» «Sì?» «Posso… posso fidarmi di te… vero?»
«C-certamente… perché me lo chiedi?»

«Davvero…?» «Sì…» «Quindi posso escludere la b, la d, la


g e la h, giusto?» «Sì. Mettici una croce sopra. E dovresti
togliere anche le tue… quelle con il 4.» «Quindi… cosa
rimane?» Junpei rispose: «La a e la e. Aspetta… non può essere
la a.» «Perché no?», chiese Clover.

«Perché c’è June. Non esiste al mondo che lei faccia una
cosa simile!» «Ne sei sicuro?» «Scommetterei la mia vita.»

208
«Okay… quindi posso togliere anche la a, giusto?» «Sì.»
«Bene… cosa ci rimane?» Ancora una volta, Junpei rispose
prontamente: «La e…»

«Sai cosa significa questo?», chiese Clover. «Che chiunque


tranne me, te e June starebbe complottando insieme.» «E pensi
sia probabile? Se ci fossero quattro persone che lavorano
insieme, non sarebbe molto prudente. Non penso che si
impegnerebbero tanto a sembrare innocenti, dato che sono più
di noi, giusto?»

«Be’, hai ragione…» «Inoltre… se Ace e Seven fossero


dalla stessa parte, avrebbero tranquillamente potuto liberarsi
di me quando sono andata nella stanza delle docce con loro.
Ma non l’hanno fatto. Non ci hanno neanche provato. Se
fossero gli assassini, perché non avrebbero dovuto?»

La sua voce era calma, ma a Junpei era sufficiente


guardarla negli occhi per sapere che si trattava di una calma
forzata. Lacrime si stavano formando agli angoli dei suoi occhi,
e sbatteva furiosamente le palpebre per spingerle indietro.

Forse tentando un’analisi oggettiva su chi potrebbe avere


ucciso suo fratello, l’aveva aiutata a mantenere un distacco con
la bruta realtà della sua morte. Più lei tentava di sembrare
indifferente, e più Junpei sentiva il suo cuore contrarsi.

«Okay, ha senso. È improbabile che siano state tre o


quattro persone», disse Junpei. «Sì.» «Quindi c’è una buona
probabilità che si tratti di Santa e Seven. Ma… perché?» Ci fu
un momento di silenzio.

209
«Io… credo di saperlo», disse Clover. «E cos’è?» Junpei
appoggiò gentilmente la mano sulla spalla di Clover. Era
vicino, così vicino, alla risposta… ma Ace scelse il peggiore
momento possibile per fare ritorno.

Inarcò un sopracciglio e parlò: «Vi ho… interrotti?» «Che


cosa vuoi?», chiese Junpei irritato. «C’era una cosa di cui volevo
parlarti, Junpei. Potresti venire un attimo con me?» Ace girò i
tacchi e tornò verso la timoniera.

Junpei guardò Clover. Annuì, sperando che lei avrebbe


voluto continuare a parlare anche dopo, e seguì Ace. «Di cosa
volevi parlare?», chiese Junpei. Ace lo guardò e sorrise. Era più
un ghigno, che un sorriso…

«C’era una cosa che volevo… controllare.» «Sì? E cos’è?»


«Se puoi scusarmi…» Senza preavviso, Ace infilò le mani nelle
tasche di Junpei. «Ehi! Che stai facendo?» Afferrò il braccio di
Ace, ma ormai era troppo tardi. Nelle mani del vecchio c’erano
i foglietti di carta che Junpei aveva appallottolato e nascosto in
tasca.

«Proprio come pensavo… li hai scambiati, vero? Quando


abbiamo votato. Oh be’, non poso dire che m’importi. Sono
riuscito a passare per la porta che desideravo, a dispetto della
tua bricconata.»

«Quando… quando l’hai…?» «Oh, semplice curiosità.


Spero non penserai male di me per questo.» Ace sorrise, diede
a Junpei una amichevole pacca sulla spalla, si girò sui tacchi e
se ne andò.

210
Era una piccola sconfitta, ma pur sempre una sconfitta.
Junpei non era più in posizione di vantaggio, e lo sapeva.
Poteva sentire il suo stomaco iniziare a contrarsi.

Torna alla stanza di prima, e trova un diario di bordo sulla


scrivania.

Siamo partiti per un nuovo viaggio lungo i mari.

Dopo avere salpato dal porto, ci siamo diretti a sud e a


ovest.

Abbiamo virato a sud-ovest per costeggiare il


continente, poi abbiamo proceduto a nord-ovest.

Abbiamo sostato, e poi abbiamo cambiato la rotta


verso est per un po’, e ora ci stiamo dirigendo a nord.

Presto, raggiungeremo il Regno Unito, patria di


questa nave.

Poi va alla timoniera. Il timone è rotto, ma in una stanza


vicina c’è un timone che ruota, e ruotando fa girare una
bussola piazzata su un piedistallo vicino. Junpei ruota il timone
seguendo le indicazioni della cartina. Una volta fatto, da sotto
il timone spunta una maniglia.

Questa viene inserita in un dispositivo lì vicino, un Engine


Order Telegraph, che permette di decidere la velocità della
nave. Ora può usarlo per mettere le velocità nell’ordine
indicato dalla cartina. Il dispositivo indica FULL, HALF, SLOW,
DEAD SLOW, STOP.

211
Alla timoniera sono comparse delle indicazioni su un
tabellone delle partenze e degli arrivi sulla parete. Indica vari
porti e partenze, ma soltanto una partenza ha una indicazione
temporale. Indica le 03, 00 minuti e 10 secondi.

Ace porta l’orologio da taschino a quell’ora, e Junpei lo


inserisce in un buco della stessa forma sulla porta per uscire.
Possono finalmente aprire la porta.

Il luogo in cui si ritrovarono una volta usciti dalla


timoniera era troppo stretto per essere definito corridoio. Alla
loro sinistra c’era una porta di legno. Junpei la aprì, ed
entrarono in un’altra stanza.

Era piena di ogni sorta di attrezzatura elettronica del


secolo scorso. La maggior parte erano cose che non avevano
mai visto prima. Non avevano idea di quale scopo avessero
potuto avere, né di come funzionassero.

Un macchinario più piccolo aveva una barra di metallo


che terminava in un pomello circolare. Ace sembrò
riconoscerlo. «Oh, sì. Un tasto telegrafico. Venivano utilizzati
per trasmettere in codice Morse, molto tempo fa.» Ace si voltò,
e lentamente osservò la stanza.

«Questo deve essere l’ufficio di comunicazione.» Dall’altro


lato rispetto alla porta da cui erano entrati, c’era un’altra porta.
Una placca di metallo recitava “Quartiere del Capitano”.

«Quartiere del Capitano…», disse Junpei. «Così dice…»,


disse Clover. «Pensate che là ci sia…?», disse Ace, che deglutì.
Junpei poté sentire le sue mani iniziare a sudare. Solo Clover
212
sembrava indifferente. «Be’, non lo sapremo finché non
apriremo.» Camminò verso la porta e mise la mano sulla
maniglia.

Si aprì facilmente, e senza neanche un attimo di reticenza,


Clover entrò. Junpei ed Ace seguirono. La prima cosa che
videro fu un uomo steso al suolo, ricoperto di sangue. Junpei
sentì il suo corpo irrigidirsi. La sua bocca si asciugò, e sentì
molto, molto freddo.

Il sangue nelle sue vene rallentò fino a strisciare, e il suo


cuore si contrasse come a pugno. Questa era la terza volta che
vedeva l’orrore della morte dinnanzi a lui. Non pensava fosse
qualcosa che avrebbe potuto sopportare di vedere
ulteriormente.

Comunque, aveva iniziato ad accettare che qualunque


cosa avrebbe visto, qualunque cosa gli sarebbe successa, era
fuori dal suo controllo, e qualunque forza lo controllasse era
guidata da una determinazione che non poteva sperare di
possedere.

Un senso di impotenza e di disperazione lo avvolse. Lasciò


dietro di sé un sentimento di completa vuotezza che serpeggio
lungo il suo corpo, come l’acido. Poi realizzò che dovevano
ancora controllare il battito cardiaco dell’uomo. Forse era
ancora vivo.

Alimentato da quella scintilla di speranza, Junpei corse


verso il corpo dell’uomo… e il suo cuore piombò. Le sue dita
sul collo dell’uomo non rilevavano alcun battito. Le sue pupille

213
erano dilatate, e non stava respirando. Junpei sollevò l’uomo –
il cadavere. C’era una profonda ferita rossa sul suo torace.
Junpei non dovette interrogarsi a lungo su cosa avesse potuto
ucciderlo.

Accanto al corpo giaceva un’accetta. L’intera lama era


imbevuta di sangue rosso lucente. Dalla forma della ferita
dell’uomo, non ci poteva essere dubbio sul fatto che era stata
inferta dall’accetta.

Junpei osservò nuovamente il corpo. Un lago di sangue si


estendeva attorno ad esso. Indossava i vestiti di un capitano di
una nave, anche se erano macchiati di sangue. Un capitano…
significava forse che quest’uomo era Zero?

Sulla sua mano sinistra c’era un braccialetto. Il numero su


questo braccialetto era… 0. Fu solo allora che Junpei notò il
fetore di sangue che stava riempiendo la stanza. Non poté fare
a meno di ridere. Non c’era nient’altro da dire.

Era troppo semplice. Troppo ovvio; troppo lineare. Se non


ci fosse stato un cadavere al suolo, Junpei avrebbe pensato ad
uno scherzo.

Su un comodino, accanto ad una lampada, c’è una scatola


armonica, che Junpei prende. Davanti alla porta dell’uscita, con
una tastiera elettronica, è piazzata una videocamera su un
piedistallo.

Su una scrivania, dietro, ci sono vari schermi


ammonticchiati. Mostrano quello che avviene in vari punti

214
della nave. In un cassetto di quella scrivania, Junpei trova un
foglio che riporta:

012345678

0123456789abcdef

0123456789abcdefghijklmn

0123456789abcdefghijklmnopqrstuv

Premendo un tasto qualsiasi sulla tastiera della scrivania,


ciò che mostrano gli schermi cambia all’improvviso.

Junpei sbuffò, di pessimo umore per la seconda volta da


quando era entrato nella stanza. I quattro schermi in basso
mostravano una singola lettera ciascuno, formando “z e r o”.
Junpei si sentì preso in giro. Il vero colpevole era da qualche
parte, che rideva di loro.

«Che ne pensi?» Junpei si voltò verso Clover, che era


accanto a lui. La sua voce fu quasi troppo bassa per poterla
sentire: «Nulla…» Sembrò preoccuparsene poco. Chiaramente,
Junpei non poteva biasimarla. Data la tensione cui era
sicuramente sottoposta, Junpei era anzi sorpreso che Clover
avesse di fatto risposto.

Comunque, doveva chiederglielo. Indicò il cadavere: «E


lui? Pensi sia davvero Zero?» Clover scosse la testa debolmente:
«Non può essere lui. Non te l’ho detto? Zero è uno di noi…»
«Sì… giusto. Be’, se anche non fosse uno di noi, quest’uomo
non potrebbe comunque essere Zero», disse Junpei.

215
Clover era confusa. Junpei proseguì: «Non capisci? Le
lettere che dicono “zero” sugli schermi televisivi… i vestiti del
capitano… e, ovviamente, il braccialetto con lo 0. È troppo
ovvio.»

“Guarda, guarda! Questo è Zero, proprio qui! Il cadavere di


Zero!”

«Non ti sembra un po’ ridicolo?» «Sì, hai ragione. Solo un


idiota si fermerebbe all’apparenza di questa cosa…» osservò
Clover. «No, non è questo il punto. Non penso che abbiano
creduto che un trucco come questo avrebbe funzionato. Sono
sicuro che non pensavano avrebbe funzionato. Quindi… perché
l’hanno fatto? Penso sia una sfida. Una sfida da parte della
persona che è realmente dietro tutto questo. Si prende gioco di
noi. Non ci arrivi? Se chiunque abbia ucciso questo tizio vuole
davvero farci pensare che questo cadavere fosse Zero… be’, non
gli avrebbero mai messo il braccialetto. Andare in giro con un
braccialetto con lo 0 è come portarsi un segno al collo che dice
“Sono stato io”. Chiunque con un po’ di cervello si
accorgerebbe che questo tizio è qui per farci pensare che sia
Zero. Proprio come abbiamo pensato… L’assassino doveva
sapere che non avremmo pensato fosse Zero, ma ha messo
comunque il braccialetto. Sai perché?»

«Perché?» «Come ho detto, ci sta prendendo in giro. “Che


peccato, polli! Questo non è Zero!” È lo stesso tipo di giochi
malati che un sacco di criminali adorano mettere in atto. Si
siedono e guardano la gente correre in cerchio. “Guardate,
sono qui! Che c’è, ragazzi? Venite! Prendetemi se ci riuscite!”»

216
«È così… contorto… Sembra quasi infantile…», disse
Clover. «Sì, hai ragione. È davvero infantile. È come se fosse
solo un gioco per chiunque ci sia dietro. È questo che mi
sembra buffo.»

Junpei si piegò verso il cadavere. «Bene, torniamo al punto.


Chi ha ucciso quest’uomo?» «Non lo so», rispose Clover. «E che
ci fa qui? Chi è?» «Come posso saperlo? Se avessi saputo
qualunque cosa, te l’avrei detto». Junpei proseguì: «Non hai
idea di chi sia?» «Perché dovrei?»

Junpei si sedette sulle ginocchia e pensò. «Dovremmo


controllare per vedere se c’è qualsiasi cosa che possa indicarci
la sua identità. Dammi una mano, Clover.» «Cosa?»
«Dobbiamo girarlo. Altrimenti come facciamo a cercare tra le
sue tasche?»

Clover non si mosse. Junpei non ebbe altra scelta che


girare il cadavere da sé. Afferrò una zona non completamente
ricoperta di sangue, e spinse. Ci volle un po’, ma infine Junpei
sentì il corpo iniziare a muoversi. Ma appena lo fece, qualcosa
cadde, dal polso sinistro dell’uomo.

Il braccialetto con lo 0 sul display. Junpei lo fissò.


«Quest’uomo… è morto, sì…» «Eh?», fece Clover. «No, è che…
be’, non l’avevo davvero realizzato fino ad ora… Se il suo
braccialetto è caduto, è morto.»

«Be’, è abbastanza ovvio che sia morto… non c’è bisogno


di guardare il braccialetto per capirlo.» «Sì, sì, hai ragione… è
ovvio. È messo molto meglio degli altri corpi che abbiamo

217
visto, sai? Voglio dire, se non ci fosse tutto questo sangue,
sembrerebbe quasi come se fosse ancora vivo.»

Clover non parlò. Junpei proseguì: «Voglio dire, lo so che


è una cosa un po’ assurda da dire, ma… gli è andata meglio,
ecco. Morire a causa di una bomba dentro di te… voglio dire,
è… alcune delle ossa di Snake hanno oltrepassato la sua
pelle… Penso che l’esplosione deve averle scagliate contro il
muro. C’era un osso rotto che sporgeva dal braccio sinistro…»

All’improvviso, Junpei realizzò quello che stava dicendo.


Come poteva essere stato così crudele? Si tappò la bocca con le
mani. Ma era troppo tardi. Si voltò per guardare Clover, che lo
stava fissando furiosamente: «Cosa hai appena detto?» Le sue
parole suonavano fredde.

Sapeva che delle scuse difficilmente sarebbero bastate per


quello che aveva fatto, ma Junpei ci provò comunque: «Oh
io… io… mi spiace così tanto, scusa. Non avrei dovuto dirlo,
non so proprio a cosa stessi pensando. Voglio…»

«No! Non intendo questo! Cosa hai detto riguardo il suo


braccio?» «B-braccio?» «Sì! Il suo braccio sinistro! L’hai detto,
no?» «B-be’, sì, l’ho detto… voglio dire, non l’hai visto anche
tu?» «Certo che no! Non sono riuscita a guardarlo!» Clover
prese un rapido, profondo respiro.

«Sei sicuro che fosse il braccio sinistro?» Junpei fece


mente locale. «S-sì, sono piuttosto sicuro che fosse il sinistro.»
«E aveva un osso rotto, giusto?» «Dove diavolo vuoi arrivare?»

218
«Sta’ zitto e rispondi!» Clover spinse la sua faccia vicino a
quella di Junpei, che poteva vedere il fuoco nei suoi occhi.

Junpei sobbalzò e deglutì. «Sì, era rotto. E anche messo


piuttosto male. L’osso era praticamente fuori dal braccio…»
Appena le parole uscirono dalla sua bocca, l’espressione di
Clover mutò. Improvvisamente, si mise a piangere. Junpei non
sapeva cosa fare.

«Grazie…» Era più o meno l’ultima cosa che Junpei si


sarebbe aspettato di sentire da Clover. Junpei non aveva idea di
quel che era appena successo. Non credeva di avere fatto nulla
di valoroso o degno di ringraziamento, e non poteva capire per
quale motivo Clover avesse scelto quel momento per iniziare a
piangere.

Così, stesse semplicemente lì, confuso, in silenzio. «Grazie,


Junpei…» Lo ringraziò di nuovo, e poi accadde qualcosa di
ancor più strano. Clover si gettò tra le braccia di un Junpei
sorpreso. «E-ehi, che ti succede?» «Scusa, sono solo… sono così
felice…»

«Perché?» «Il corpo nelle docce. Lui… non è lui. Non è


mio fratello.» «Eh?» «Non è Snake.» «Perché mai dici questo?»
«Perché il suo braccio sinistro è…» Si fermò, poi proseguì:
«Scusa. Io… non dovrei parlarne, davvero.»

Junpei decise che non sarebbe stato saggio farle pressione


per ottenere altre informazioni. Se non desiderava dirglielo,
certamente aveva una buona ragione. Cosa forse più

219
importante, comunque, era che se Clover ne era così certa,
probabilmente aveva ragione.

Questo significava che il corpo nelle docce non era Snake.


Non era molto, ma saperlo alleggerì un po’ del peso del cuore
di Junpei. «È ancora vivo… sono… sono così felice…» Lacrime
splendevano negli occhi di Clover. Quelle lacrime sciolsero il
cuore di Junpei.

Leggi questa parte solo se hai ottenuto sia la parola chiave


“QUADRIFOGLIO” che “MANICHINO”:

Mentre stava piangendo, Clover stava premendo contro il


petto di Junpei, come una bimba. Junpei la abbracciò con forza.
«Junpei… avevi ragione. “Non importa quel che succede, non
devi mai perdere la speranza. Devi ricordare quel che è più
importante, cioè avere la fede, e l’amore. Se ti ricordi tutto
questo, ti porterà fortuna.”»

Clover si mise le mani in tasca ed estrasse qualcosa. Era il


segnalibro plastificato con il quadrifoglio. «Ce… ce l’ho fatta
fin qui solo grazie a te. Sospettavo di chiunque, ero arrabbiata e
triste… Ma grazie a questo quadrifoglio… grazie a quel che mi
avevi detto…»

Junpei non avrebbe mai pensato che le sue parole


avrebbero avuto un tale effetto su di lei. Ora, le parole di
Clover cominciarono a farlo sentire un po’ impacciato. «Grazie
mille, Junpei.» Clover lo guardò.

Lui si grattò il naso e finse di notare qualcosa di


interessante da qualche parte nella stanza. «Se davvero vuoi
220
ringraziare qualcuno, dovresti ringraziare Santa.» «Santa?
Perché?» «Be’, è stato lui a darmi quel segnalibro. E le parole di
ogni foglia? Anche quelle me le ha dette lui.»

Poi improvvisamente, Clover si staccò da Junpei. Junpei


era confuso. Non pensava che lei se la sarebbe presa in quel
modo. Clover iniziò a camminare forsennatamente per la
stanza. Sei passi a sinistra… sei passi a destra… ancora sei a
sinistra… e poi si fermò.

«Santa… ti ha detto davvero quelle cose?» I suoi occhi


erano seri, ma non arrabbiati. «S-sì, me le ha dette lui. Ho…
detto qualcosa di sbagliato?» «Oh, no, per niente. Anzi, queste
potrebbero essere ottime notizie. Credo.» «Credi?»

«Santa sapeva delle parole e del quadrifoglio… gli unici a


saperlo dovrebbero essere gli altri soggetti…» «Soggetti?» «Le
altre persone che erano nell’esperimento di nove anni fa, con
me e mio fratello. Ma lui è cieco, e io facevo parte del gruppo
del Nevada… quindi nessuno di noi due è in grado di
riconoscere i volti delle persone che erano su questa nave.»

«Ehi ehi ehi! Ferma!» Junpei alzò le mani. Prese un


profondo respiro, poi lo espirò: «Calmiamoci per un secondo,
okay? Parti dal principio. Non cominciare dalla fine, per poi
passare a metà. Devi iniziare da 1, poi andare a 2, 3, 4 e così via.
Se non mi dici le cose nell’ordine giusto, non riuscirò mai a
capirci qualcosa.»

Clover annuì. «Molto bene», disse Junpei, e proseguì:


«Iniziamo dall’esperimento. Cosa è accaduto su questa nave

221
nove anni fa?» «Conosci i campi morfogenetici?» Li conosceva,
e questo fece rabbrividire Junpei. Raccontò brevemente quel
che Lotus gli aveva detto in precedenza. Clover annuì.

«Telepatia, uh… non è proprio così, ma possiamo dire che


è simile.» «Quindi stavano testando la telepatia su questa
nave?» «Sì, più o meno.» «E… cosa dovevate fare voi ragazzi
esattamente?» «La stessa cosa che stiamo facendo noi ora.
Esattamente le stesse cose.»

«Cosa?» «Il Nonary Game. Nove persone furono messe su


questa nave, e altre nove nella costruzione che era in Nevada, e
il gioco iniziò.» Junpei si tenne la testa con le mani. «Guarda,
mi spiace, ma non sto capendo… cosa c’entra il Nonary Game
con un esperimento sulla telepatia?»

Clover si morse il labbro. Cercò di nascondere alcune


lacrime improvvise. Cosa le era successo in Nevada…? «La
possibilità di accedere ad un campo morfogenetico è
influenzata da due cose… la prima è l’”epifania”, e la seconda è
il “pericolo”. Hai presente quando qualcuno sta affrontando un
problema molto serio… e semplicemente la soluzione gli viene
in mente? Quella è un’”epifania”. E quello che impari tramite
un’epifania può essere trasmesso con la telepatia. E se aggiungi
il pericolo a questa equazione, diventa più facile trasmettere le
informazioni.»

«Quindi stai dicendo che il Nonary Game avrebbe dovuto


introdurre questi elementi di pericolo…» «Sì, ma… non poteva
essere un pericolo banale… doveva trattarsi di vita e di morte.
E… e… qualcuno… effettivamente morì… una ragazza.»
222
Junpei sentì un’improvvisa stretta al cuore, di disperazione.
Qualcosa di profondo e distante nel suo corpo venne spremuto,
e per un momento si sentì molto, molto vuoto e solo. «Era
sulla nave, con mio fratello… Io ero in Nevada, quindi non l’ho
mai incontrata, ma… ho sentito il suo nome… il suo nome
era… uhm…»

Il suono della porta che si apriva fu come uno sparo.


Junpei si voltò. «Oh, le mie scuse. Sembra che vi abbia
disturbato.» «Ace…» «Voi due dovete avere stomaci molto forti.
Non riesco a capire come abbiate potuto stare in questa stanza
così a lungo…»

Ace guardò il pavimento… Il cadavere, coperto di sangue.


«Ad ogni modo… Junpei, saresti così gentile da venire ad
aiutarmi con una cosa? Sto avendo un po’ di problemi, e mi
saresti di grande aiuto.» Junpei non disse nulla. «Eddai, ci vorrà
solo un attimo.» E con ciò, Ace si voltò e tornò all’ufficio di
comunicazione.

Clover aspettò finché Ace non fu andato, poi disse a bassa


voce: «Non voglio che Ace ci senta… possiamo parlarne
dopo…» «Ehi, aspetta!» Clover lo ignorò. Da fuori, Junpei udì
Ace chiamarlo. Borbottando tra sé, Junpei si diresse all’ufficio
di comunicazione.

In un cassetto della scrivania c’è un foglio bianco. Sulla


scrivania, dei cacciaviti. In un altro cassetto, una boccetta
d’inchiostro. Con il cacciavite apre la scatola armonica e ne
estrae un cilindro. Riempiendo il cilindro di inchiostro e
avvolgendoci il foglio bianco, ottiene questo:
223
...--
.....
–...–
––..
Junpei torna all’apparecchio del codice Morse e digita il
contenuto del foglio. Così facendo si sblocca il cassetto della
scrivania, che contiene un quaderno.

All’interno del quaderno c’era una cartelletta. Junpei la


prese. La copertina diceva: “ALLICE”. All-ice, tutto ghiaccio.
Alice. Questo significava… Junpei non poteva lasciar perdere.
Doveva sapere cosa conteneva quella cartelletta. La aprì.

Ogni pagina era ricoperta di strani caratteri. Sembravano


piccole illustrazioni di uccelli, serpenti, insetti, animali cornuti,
ali, e anche umani inginocchiati. C’erano molte pagine, ed
erano tutte piene di questi strani simboli.

«Che diavolo è questo…» Junpei non realizzò di avere


parlato ad alta voce finché Ace non guardò verso di lui. «Sono
geroglifici. Una forma di scrittura utilizzata nell’antico Egitto.»
«L’antico Egitto?» «Esatto.» «Sai leggerlo?», chiese Junpei ad
Ace. «Certo… che no. Cosa ti fa pensare che ne sia capace?»

Junpei sfogliò alcune pagine. Cercare di leggerle sarebbe


stato inutile. Non voleva perdere altro tempo. Fece per
224
chiudere la cartelletta, quando qualcosa cadde. Si chinò e lo
raccolse. Era una key card, con un simbolo che a Junpei
ricordava i simboli delle card di Saturno e Mercurio. Ad ogni
modo, questa aveva un punto al centro del simbolo maschile.

«Urano… è il simbolo di Urano», disse Ace. Oltre al


simbolo, c’erano 4 parole scritte sulla tessera. In basso a destra,
riportava “BIBLIOTECA DEL PONTE INFERIORE”.

Leggi questa parte se hai ottenuto sia la parola chiave


“QUADRIFOGLIO” che “MANICHINO”:

Il ponte inferiore, la libreria… Junpei ricordò qualcosa che


aveva sentito da Seven quando erano stati nella stanza con
l’armadietto chimico. “Alice riposa in una piccola camera oltre
la foresta della conoscenza, sotto l’ombelico del Gigantic.”

Che “sotto l’ombelico” indicasse il ponte inferiore? E la


“foresta della conoscenza” era la biblioteca? E se era così, Alice
si trovava in una stanza da qualche parte oltre la biblioteca?

«Che c’è?», chiese Ace. Junpei aprì gli occhi. Solo allora
notò che Ace lo stava fissando, curiosità e preoccupazione
dipinte sul suo volto in parti eguali. Non c’era ragione per
Junpei di nascondere i suoi pensieri. Iniziò a spiegare la sua
teoria ad Ace.

Poi si fermò. Non avrebbe avuto alcun senso, se Ace non


sapeva chi si supponeva fosse Alice. Così raccontò ad Ace tutto
quello che June gli aveva detto. Riguardo la sacerdotessa
egizia, il ghiaccio-nove… e infine, riguardo la donna che non si
sarebbe scongelata che è stata ritrovata dal disastro del Titanic.
225
Gli raccontò di come era stata chiamata “All-ice”, che poi
era diventato Alice, di come era stata ottenuta da un milionario
inglese che si faceva chiamare Lord Gordain, e di come
Gordain ha nascosto Alice da qualche parte sulla nave. Ace
fissò un punto sulla parete, le mani che strofinavano
lentamente e in modo assente la barba. Dopo alcuni istanti, la
mano si fermò.

Tornò a guardare Junpei, le sopracciglia alzate: «Junpei…


hai mai sentito il termine “CAS”?» «CAS?» «Sta per “Cells Alive
System”. È una tecnologia avanzata per congelare e preservare
la materia organica. Messa in modo semplice, è una tecnica
che consente di congelare le cose senza che si formino cristalli
di ghiaccio. Normalmente, se congeli qualcosa di fresco,
l’acqua nelle sue cellule si espande cristallizzando, e danneggia
le membrane cellulari. Il CAS, invece, funziona diversamente.
L’oggetto che deve essere congelato è super-raffreddato
tramite campi magnetici, e poi congelato istantaneamente e
uniformemente, senza lasciare il tempo ai cristalli di formarsi.
Inizialmente venne sviluppato per preservare il cibo, come
alternativa ai normali processi di congelamento. Ora, però, si
vocifera che possa essere utilizzato per… altre cose.»

«Che intendi, per “altre cose”?» «Be’, ci sono utilizzi medici


ovvi, ma forse anche… viaggi nello spazio. Avrai certamente
sentito parlare di animazione sospesa, o di criogenia. Sono idee
piuttosto diffuse nei libri e film di fantascienza. Le persone
vengono “congelate” per viaggi nello spazio particolarmente
lunghi.»

226
A quel punto Junpei comprese ciò che Ace stava
suggerendo. «Ehi ehi ehi, aspetta un minuto!» Ace lo guardò e
inarcò un sopracciglio. Junpei proseguì: «Stai dicendo che
Alice fu congelata utilizzando quel… CAS?» «Be’, certamente
la possibilità è piuttosto bassa, ma è una possibilità… Se questo
ghiaccio speciale che chiami ghiaccio-nove esiste davvero, e se
il CAS venne usato per congelarla in quella specie di ghiaccio
istantaneamente…»

«Pensi che possa essere viva?» «Be’, non posso esserne


sicuro, chiaro. Sto parlando in linea teorica. Il punto di fusione
del ghiaccio-nove è 46°C, giusto? Se venisse portata in un posto
in cui può raggiungere simili temperature…»

«Sono stupidaggini! Stai davvero dicendo che potrebbe


scongelarsi e iniziare a camminare?» «Hai ragione, sembra
incredibile. Ma se fosse così, avremmo una spiegazione per
l’uomo che abbiamo trovato morto sul pavimento.»

«Intendi il tizio vestito come un capitano?» «Sì. Era morto,


quando l’abbiamo trovato. Chiaramente, è stato ucciso. Ma se è
stato ucciso, da chi? Non può essere stato uno di noi. Sarebbe
impossibile. Per entrare nel quartiere del capitano, bisogna
prima aprire la porta 1. Quella porta che richiede la chiave
della Terra… non abbiamo potuto entrarci per molto tempo.
Chi l’ha aperta?»

«Santa e Lotus», rispose Junpei. «Giusto», proseguì Ace:


«Chiaramente, loro due non avrebbero potuto aprire la porta 1,
o nessun’altra porta. Chi altro, quindi, può averlo fatto?» Junpei
pensò per un attimo. «Nessuno.»
227
Dopo che Santa e Lotus avevano usato la chiave della
Terra, erano tornati indietro e si erano trovati con Junpei e
June, che erano appena tornati dal ponte E. Loro quattro erano
poi tornati alla stanza dell’ospedale per riunirsi con Ace, Seven
e Clover.

Quando Junpei e il suo gruppo erano andati nelle docce,


Ace, Seven e Clover erano rimasti nella stanza dell’ospedale,
ma non potevano aprire la porta 1. Forse quando Junpei e June
avevano preso l’ascensore per raggiungere la porta 2, allora?

No, sarebbe stato impossibile. Ci avevano messo solo


cinque minuti – nessun essere umano avrebbe potuto correre
al quartiere del capitano, uccidere l’uomo al suo interno, e
tornare indietro in quel tempo.

Ace parlò: «Quindi è impossibile che chiunque di noi sia


l’assassino. Se le cose stanno così, chi l’ha ucciso? Avrebbe
senso se l’assassino fosse qualcuno che è sulla nave da un po’ di
tempo… Una persona che conosce bene la nave. Conoscerebbe
tutti i passaggi nascosti e le porte segrete. Le porte numerate
non significherebbero nulla, per una persona simile. Sarebbe
semplice raggiungere il quartier generale.»

«Stai dicendo che… l’assassina è Alice?» Questa volta fu


Junpei ad inarcare le sopracciglia. Ace si portò il pollice sul
labbro, sovrappensiero. «Be’, è solo una possibile teoria.»

All-ice… Alice era davvero sulla nave con loro? Junpei


aveva solo un indizio… la key card nella sua mano. Gli
avrebbe, sperava, garantito l’accesso alla foresta della

228
conoscenza. Ma oltre a quella… cosa lo attendeva, oltre la
foresta della conoscenza?

Qualunque cosa potesse esserci, comunque, avrebbe


dovuto aspettare. Al momento, Junpei non poteva fare nulla. Si
mise la key card in tasca.

Nel cassetto, sotto il quaderno, Junpei trova anche una


chiave con rivestimento in pelle. Junpei inserisce la chiave nel
pannello con la tastiera elettronica, della porta con davanti la
telecamera. Ora può inserire la combinazione.

Il codice Morse trovato in precedenza significa Z = 35.


Junpei inserisce la combinazione “35 14 27 24”, ossia ZERO
utilizzando i sistemi numerici delle quattro righe del foglio
trovato in precedenza. La porta si apre.

Uscirono dal quartiere generale del capitano per


raggiungere un altro corridoio. Il corridoio si estendeva di
fronte a loro per un po’, prima di voltare a sinistra, come una
grande L a rovescio.

Junpei svoltò l’angolo, e proseguì. Corse, corse, e corse


ancora. Alla fine del corridoio c’era una porta. Stava quasi per
raggiungerla, quando notò un pezzo di carta sul pavimento.
Cosa ci faceva un pezzo di carta in mezzo ad un corridoio?
Junpei si fermò all’improvviso.

Si chinò sulle mani e le ginocchia, e velocemente raccolse


il foglio dal pavimento. Ora che poteva esaminarlo da vicino,
era chiaro che si trattava di una mappa. Nello specifico, una
mappa dell’interno del ponte A.
229
Ace, un po’ lentamente a causa della sua età avanzata,
aveva finalmente raggiunto Junpei. «Cos’è?» Junpei non disse
nulla – semplicemente mostrò ad Ace ciò che aveva trovato.
Ace la guardò abbastanza da capire di cosa si trattasse, e annuì.

Ricominciò a correre, e correre, superando Junpei. Junpei


si rimise la mappa in tasca, e stava per iniziare a correre – ma
qualcosa lo fermò. «Ehi… dov’è Clover?» Si voltò. Clover non
era in vista. «Maledizione! Dove diavolo è andata?»

Junpei mormorò rabbiosamente tra un respiro e l’altro, e


tornò da dove erano arrivati. Appena svoltò l’angolo, la vide.
Era di fronte alla porta del quartiere del capitano, con la mano
sulla maniglia. Appena Junpei la guardò, Clover la chiuse,
gentilmente e con calma. «Che diavolo stai facendo?»
«Niente…» «Che significa “niente”?» Clover aveva,
inconsciamente, messo le mani sulle tasche della sua giacca,
come per cercare di nascondere qualcosa.

«Che diavolo è?» «Cosa?» «Hai qualcosa in tasca. Cos’è?»


«Oh, questo? È… uhm… è… un biglietto.» «Un biglietto?» «Sì.
L’ho trovato nella tasca del tizio coi vestiti del capitano. Dice
qualcosa riguardo “l’oscurità dell’infausta mano”…» «Che
diavolo… fammi vedere.»

Ma Junpei non riuscì a vedere. Dall’altra parte del


corridoio, udì la voce di Ace: «Ehi! Junpei! Clover! Che state
facendo? Sbrigatevi!» Clover scrollò le spalle: «Te lo faccio
vedere dopo, okay? Andiamo! Dobbiamo sbrigarci!» Prima che
Junpei potesse protestare, se ne era andata.

230
Ricominciò a correre, pensando. Una nota? Una nota…
Junpei era curioso. Ma c’era un’altra cosa che lo preoccupava…
le sue tasche erano gonfie, e contenevano molto più di un
pezzo di carta… Junpei fece del suo meglio per convincersi che
avrebbe avuto senso più avanti, e superò Clover.

Junpei aprì la porta, e si ritrovarono in una larga stanza


con una larga scalinata. Era esattamente ciò che si aspettava di
vedere, dopo aver letto la mappa. Lo sguardo di Ace dopo
averla vista suggeriva che anche lui aveva probabilmente
realizzato la stessa cosa.

Ma Junpei si guardò intorno, ed Ace non era da nessuna


parte… Mise le mani sulla ringhiera e guardò giù. Eccolo. E
non solo lui… Santa, June, Seven, e Lotus. Junpei e Clover si
lanciarono uno sguardo d’intesa, e corsero giù. Raggiunsero il
ponte B nello stesso istante. «Jumpy! Clover!» Il volto di June
era elettrizzato. Era successo qualcosa, Junpei ne era certo
semplicemente vedendola. Data la situazione, non era incline a
rallegrarsi per sviluppi improvvisi.

June, ad ogni modo, non riuscì a contenersi: «L’abbiamo


trovata!» «Trovato cosa?» «L’abbiamo trovata!» «Cosa?!» «La
porta 9!» «Co-cosa?» Seven si intromise: «Forza, seguiteci! Vi
spiegheremo strada facendo.» «O-okay, andiamo.»

Seven si voltò, e tornò a scendere le scale. Gli altri


seguirono. «Ce l’abbiamo fatta, finalmente…» Il sollievo e
l’entusiasmo nella voce di June, erano l’eco di ciò che ognuno
di loro sentiva. «Sì… è ora, finalmente…» Junpei non era così
pronto a credere che ce l’avessero fatta, almeno non ancora.
231
Comunque, se tutti dicevano che era la porta 9, probabilmente
lo era…

Poteva sentire il suo cuore correre. Un misto di aspettativa


e paura scorreva lungo le sue vene, e poteva sentire le sue
gambe tremare. Stava facendo del suo meglio per mantenere
un senso di sano scetticismo, ma non poteva negate che la
prospettiva dell’uscita era entusiasmante.

Ma c’era una cosa che non riusciva a togliersi dalla testa…


La porta numerata poteva ospitare da tre a cinque persone.
Loro erano in sette. Questo significava che nella migliore delle
ipotesi, due di loro sarebbero dovuti rimanere lì. Due
persone… non aveva alcuna soluzione a quel problema, ma
sperava disperatamente che se ne sarebbe presentata una da sé.
Junpei guardò l’orologio. Le lancette indicavano le 4:30.
Avevano ancora 90 minuti.

«Ehi! Junpei! June! Che diavolo state facendo, voi due?


Sbrigatevi!» La voce di Santa fece scendere Junpei dalle nuvole.
«Andiamo, Jumpy.» June scese le scale, saltellando più
rapidamente che poteva. Junpei la seguì.

Se hai ottenuto le parole chiave “QUADRIFOGLIO” e


“MANICHINO”, vai a pagina 327.

Se hai ottenuto una sola o nessuna di queste parole, vai a


pagina 321.

232
11. Porta 6: il motore

«Voglio la porta 6.» Junpei aprì e mostrò il foglietto di


carta. C’era scritto “Junpei – porta 6”. Ovviamente. L’aveva
scritto, dopo tutto.

«Questo è un problema…» June emise poco più di un


sospiro, ma tutti sapevano cosa aveva detto. «Nessuno di questi
gruppi potrà andare per le porte che vogliono.» Ace
s’intromise: «Io e Clover abbiamo scelto la porta 1.» Poi Seven:
«Io e Lotus abbiamo scelto la porta 2.» «Non sono abbastanza
per aprire una porta numerata», sottolineò Ace.

«E le radici digitali neanche quadrano», aggiunse Seven.


«Noi abbiamo problemi simili», puntualizzò Santa. «Io, June e
Junpei vogliamo la porta 6. Ma la nostra radice digitale è 5. Se
vogliamo passare per quella, ci serve un 1.»

233
«Maledizione… e ora che facciamo?», chiese Lotus. «Che
facciamo ora…» Junpei incrociò le braccia, e fece del suo
meglio per mettere ordine tra i pensieri. Gli altri fecero lo
stesso, ma con scarsi risultati.

Infine, Clover ruppe il silenzio: «Perché Seven e Lotus non


vanno per la porta 1? Con me.» Il suo volto era freddo, piatto,
come la sua voce, ma quello che diceva aveva senso. Seven e
Lotus si guardarono l’un l’altro. Risolto il primo problema, Ace
parlò: «E che ne è di… me?» «Non è ovvio? Uno degli altri
gruppi non aveva proprio il problema che gli serviva un 1?»

«Vuoi dire… che dovrei unirmi al gruppo di Santa?»


Clover annuì, il suo volto ancora freddo e privo di emotività. Il
suo atteggiamento e la sua postura non avrebbero potuto
essere più diversi dalla ragazza energica che era stata appena
poche ore prima. Nessuno era disposto a obiettarle qualcosa.

Le sue reazioni erano comprensibili, data l’orribile


situazione in cui si era ritrovata. «Comprendo. Andrò anche io
per la porta 6, dunque. Se facciamo come ha suggerito Clover,
possiamo passare tutti per una porta numerata. Nessuno sarà
lasciato indietro. Sembra la soluzione più ragionevole.»

Junpei intervenne: «Seven, Lotus, che ne pensate?» «Per


me non c’è nessun problema», rispose Seven. «Neanche per
me…», abbozzò Lotus. «Bene dunque, possiamo andare.»

Alla fine, Junpei e gli altri sei erano riusciti a separarsi in


due gruppi. Clover, Seven e Lotus si diressero verso il ponte A,

234
dove c’era la porta 1, vicino alle scalinate principali. Junpei,
June, Ace e Santa, invece, presero l’ascensore verso il ponte E.

Il cammino verso il ponte E fu silenzioso. «Bene,


andiamo.» Le parole di Santa li spronarono all’azione, e
uscirono dall’ascensore, in un lungo, dritto corridoio. In poco
tempo, arrivarono alla porta 6. Uno alla volta, si identificarono
al RED.

La porta si aprì, e al tempo stesso tutti e quattro la


varcarono. Fortunatamente, il DEAD era lì vicino. Si
adunarono attorno ad esso velocemente, e frettolosamente
posero i loro palmi sullo scanner uno ad uno.

Il countdown era cessato, ma il cuore di Junpei martellava


ancora nel suo torace, come una frenetica batteria tonante.
Sentì come se potesse salire e scendere lungo la sua gola.
Aveva già visitato altre porte prima, ma non si era ancora
abituato. Non desiderava certo farci il callo, comunque.
Sperava di essere libero da quel gioco ridicolo prima che
succedesse.

«Bene, andiamo!» Con il tentativo di riportare il buon


umore, Junpei prese un profondo respiro, e iniziò a camminare.
Scese le scale al termine del corridoio, e si ritrovò a fissare una
porta molto larga. Era massiccia, fatta di acciaio, e piuttosto
minacciosa.

Afferrò la sbarra che fungeva da maniglia, e la spinse giù.


La stanza oltre di essa lo fece arrestare. Era gigantesca, e fatta
tutta di metallo – nessun accenno del legno o delle mattonelle

235
che aveva visto nel resto della nave. Questa zona era
puramente a scopi tecnici, e assolutamente tremenda.

«Ma che diavolo è questa…» Santa pronunciò alcune


parole, prima che la soggezione gli sottraesse le rimanenti. Gli
altri erano troppo sbalorditi per offrire qualcosa che non
fossero respiri senza fiato.

Era chiaramente la stanza più grande che avessero visto, e


nonostante ciò aveva un ché di chiuso, e opprimente. Il soffitto
era alto almeno due piani normali, se non molto di più. Si
estendeva per decine e decine di metri, e pareva ricoprire tutta
l’ampiezza della nave.

Al centro di quella stanza abnorme c’era una gigantesca


costruzione rotondeggiante. Anche a distanza, la mole era…
opprimente. Junpei poteva sentire la stanza, quella costruzione,
persino l’aria, premere contro di lui.

Junpei e gli altri si trovavano sull’impalcatura che


circondava l’intera area. Il termine appropriato era “passerella”,
pensò Junpei, anche se non sembrava un dettaglio
particolarmente rilevante. «Okay, scendiamo.»

Lì vicino c’era una lunga scala di acciaio che terminava al


pavimento sottostante. Camminarono verso il lato opposto
della costruzione gigantesca, seguendo la passerella. Non
dissero molto mentre camminarono, ma appena raggiunsero
la costruzione, Ace parlò improvvisamente: «Questa sembra
essere la stanza del motore a vapore.»

236
«Stanza del motore a vapore?» «Sì. Quella cosa che sembra
la sezione trasversale di un fungo è la caldaia. Vedi i tre
sportelli rotondi vicino al fondo? Lì dentro va il carbone, che
viene bruciato, e scalda l’acqua che produce il vapore. È lo
stesso principio che fa funzionare le macchine a vapore. Questo
è solo… più grande.»

«Capisco…» Anche se Ace aveva ragione, la caldaia non


stava scaldando proprio nulla. L’intera stanza era silenziosa
come un cimitero. All’improvviso, Junpei udì un urlo dietro di
sé. Si voltò, giusto in tempo per vedere June crollare sulle
ginocchia.

«Ehi! Che c’è che non va? Stai bene?» Si gettò su di lei, e le
avvolse il braccio attorno le spalle per sorreggerla. Fu a quel
punto che se ne accorse. «Sei… sei caldissima! Ti è tornata la
febbre?» «Sì… sì, probabilmente è così… Ma… sto bene… per
favore, non preoccuparti… per me… devo solo riposarmi…
starò bene…»

La sua voce era debole, e forzata, e rivelava molto più di


quanto non dicessero le sue parole. Junpei la accompagnò alla
parete più vicina, e la mise a sostenersi su di essa. June lasciò
che la sua testa cadesse contro il muro, come se non avesse più
la forza di sorreggerla, ed esalò un respiro affaticato.

I suoi occhi erano vuoti, come se avesse problemi a


mettere a fuoco la vista, e anche parlare sembrava difficoltoso.
Junpei sentì la sua mano serrarsi a pugno, e le nocche
sbiancare. Doveva trovare un’uscita, e alla svelta.

237
Si voltò. E guardò Ace e Santa. Magari non potevano
condividere la profondità delle sue emozioni, ma certamente
condividevano la stessa preoccupazione. Non ebbe bisogno di
parole per esprimere l’urgenza della situazione. «Ok,
cominciamo. Resisti, June… ti porterò fuori di qui molto
presto.» June annuì leggermente prima di riappoggiare la testa
al muro.

Accanto ad uno sportello, diverso dai tre circolari, c’è una


luce arancione. L’interno è un cubo vuoto, con tre fessure in
basso a sinistra disposte a triangolo.

Salendo le scale, c’è una porta che conduce all’altro lato


della fornace, dove trovano una ruota. Sistemandola dall’altro
lato su un argano e ruotando, fa scendere una scatola
all’altezza del suolo.

Junpei sporse la testa, e guardò giù. La scatola era lì,


vicino a dove June era collassata. Junpei poteva vederla, ancora
appoggiata contro il muro, senza la forza di stare in piedi.
Anche da quella distanza, non era difficile notare che non era
migliorata.

Pensò che poteva quasi vedere il calore salire dal suo


corpo. «Non sembra star migliorando.» L’espressione di Ace
era imperscrutabile, ma aveva detto quello che tutti stavano
pensando. «Be’, ovvio che no. Non migliorerà così velocemente,
no? Ci vorrà un po’ di tempo.» Junpei tentò disperatamente di
convincersi che quello che aveva detto era vero.

238
Ace disse: «Quale sarà la causa di tutto ciò, mi chiedo. Una
malattia, forse?» «No, è stremata.» La risposta di Santa era
fiduciosa e certa. «È stata portata in una nave del cazzo,
costretta a giocare a questo gioco incasinato… se ci pensi, è
molto più strano che noi non stiamo male quanto lei, sai?»

Ace rispose: «Quindi stai dicendo che noi siamo…


anormali?» «Sì. Stiamo qui, a girare per la stanza, risolvendo
enigmi come se fosse ordinaria amministrazione. Come cazzo
potresti definirlo “normale”? Siamo solo dei porcellini d’india.»
Santa sbuffò disgustato.

«Un porcellino d’india… intendi come una cavia da


laboratorio… vuoi dire che ci stanno usando per qualche
esperimento? È questo che stai dicendo?», chiese Junpei. «Non
lo so. Ma… è una possibilità, sai?» Detto questo, Santa si voltò,
e si allontanò dall’argano. Junpei ed Ace lo seguirono.

«Sai, a proposito di esperimenti…» Santa si fermò


all’improvviso. «C’è questo esperimento che alcuni scienziati
hanno fatto con dei topi. Prima, hanno preso una vasca a forma
di ferro di cavallo ma spigolosa, e l’hanno riempita con acqua
sufficiente a far annegare i topi. La vasca ha due uscite: A e B.
L’uscita A è completamente nera – così scura, che persino un
ratto non vede nulla. L’uscita B, comunque, è elettrificata, il
che significa che il topo non può uscire da lì. Cosa farebbe un
topo messo in questa situazione? Quale uscita sceglierebbe il
topo?»

239
Ci fu un momento di silenzio dopo che Santa pose la
domanda, e poi Ace rispose: «B, ovvio. Il topo non ha modo di
sapere che l’uscita B è elettrificata.» «Esatto. Il topo sceglie
l’uscita B. Chiaramente, come ho detto, è elettrificata. Il che
significa che il topo non può uscire da lì. Così, dopo vari
tentativi ed errori, il topo finalmente trova l’uscita A.»

Ace commentò: «Non mi sembra particolarmente


interessante, o rilevante. È solo l’aneddoto di un esperimento
da laboratorio.» «Hai ragione, non è molto interessante… non
ancora.» Questi scienziati ripeterono gli esperimenti ancora e
ancora, usando centinaia di ratti diversi attraverso le
generazioni.

Questo produsse risultati sorprendenti. Ogni generazione


di ratti impiegava meno tempo a trovare l’uscita corretta. Alla
fine, fu messo un topo nella vasca che scelse istantaneamente
l’uscita A senza neanche provare a seguire il percorso B. Ma
non è questa la cosa più sorprendente.

240
Lo stesso esperimento venne condotto in un altro
laboratorio, lontano dal primo, con gli stessi risultati. No, a dire
il vero, i risultati non furono proprio gli stessi. I topi di questo
secondo esperimento trovavano l’uscita molto più velocemente
di quelli del primo esperimento.5

Questi ratti non erano collegati ai ratti usati per il primo


esperimento, e non erano mai neppure entrati in contatto.
Eppure, trovarono tutti l’uscita A molto più facilmente, come
se già sapessero. Cosa significava?

«Vorresti dire che si tratta di qualcosa tipo la telepatia?»,


chiese Ace. «Che si passavano informazioni l’un l’altro tramite
qualche mezzo non sondabile scientificamente?» Ace sembrava
scettico. Santa sbuffò. «E che diavolo ne so? Non sono uno
scienziato, non so come si potrebbe spiegare. Ma so che la
storia è vera, e se hai una spiegazione migliore, sarei ben lieto
di sentirla. Forza, andiamo. Abbiamo ancora molte cose da
controllare, e dobbiamo uscire prima che June trapassi.»

Senza attendere una risposta, si voltò e iniziò a camminare.


Junpei, comunque, non era poi così pronto a lasciar cadere così
l’argomento. «Ehi, aspetta. C’è una cosa che vorrei chiederti.»
Santa si fermò, e si voltò.

5
Il primo esperimento è stato condotto da William McDougall ad Harvard,
a partire dal 1920 e utilizzando 34 generazioni di topi. Il secondo
esperimento è stato realizzato da W.E. Agar a Melbourne, nel 1938, per 20
anni. La prima generazione di topi usata da Agar era veloce quanto l’ultima
di McDougall.

241
«Perché hanno usato una vasca, per l’esperimento? Voglio
dire, mi sembra che si potesse fare allo stesso modo senza
l’acqua. Potevano usare una scatola asciutta, no? Se avessero
dovuto motivare i topi a fuggire, avrebbero potuto, non so…
mettere un’esca all’uscita B, o roba simile. Voglio dire… è così
importante che i topi stessero per affogare?»

Santa scoppiò in una risata sgradevole. «Lo sapevi che la


parola “emergenza” ha la stessa radice della parola “emergere”?
Ci avevi mai pensato? Be’, un’emergenza è qualcosa di urgente
– spesso qualcosa di pericoloso. E “emergere” significa qualcosa
che esce fuori, che appare, che risale da qualcos’altro. E che
cosa ti serve per “emergere” da un’ “emergenza”?
L’ispirazione.»

«L’ispirazione?» «Sì. Pensaci. Quando sei a corto di soldi, o


crolli, oppure ti concentri e tiri fuori ciò di cui hai bisogno.»
«Quindi in un’emergenza, il tuo vero potenziale… emerge? È
questo che stai dicendo?», chiese Junpei.

«Sì. È per questo che i topi dovevano affogare. Dovevano


essere in pericolo. Occorreva un’emergenza per far emergere
l’ispirazione.» Junpei sentì freddo all’improvviso. La sua testa
faceva male, e il suo stomaco si muoveva.

Junpei trova un macchinario che si inserisce nello


sportello con le tre fessure. Premendo il bottone, si accende, e
comincia ad uscire carbone da un nastro trasportatore. Lo
mettono in scatole e riempiono i tre sportelli circolari.

242
June chiede di aiutare, ma Junpei le dice di riposare e lei,
riluttante, acconsente. Devono però accenderla, e usano un
dispositivo sopra le scale per farlo. All’improvviso tre
ingranaggi che sporgono dal terreno iniziano a ruotare. Uno è
di bronzo, uno d’argento e uno d’oro. Fanno mezzo giro per
esporre ciascuno un disco, che Junpei raccoglie.

Salendo le scale c’è un piedistallo che mostra una


depressione in cui si possono inserire i tre dischi. Ruotandoli e
scambiandoli di posto, infine Junpei riesce a disporli
correttamente.

«Sì! La porta si è aperta!» Date le circostanze, la felicità di


Junpei era certamente comprensibile. Ace pareva condividere
la sua febbrile gioia. «Bene, Junpei. Perché non raggiungi June
ora? Io e Santa terremo d’occhio questa stanza.» Santa fece una
smorfia. «Perché dovremmo? Anche se si chiudesse, ormai
sappiamo come risolvere l’enigma. Potremmo aprirla di
nuovo.»

243
«Sì, suppongo sia vero», rispose Ace. «Dovremmo andare
tutti e tre da June, quindi?» «No, fa niente. Lascerò che se ne
occupi Junpei.» Sembrava ancora irritato da qualcosa,
comunque, e si sedette sulle scale in modo insolente.

«Quindi volevi solo fare il bastian contrario?» Ace sospirò,


con l’aria di un genitore paziente. «Okay, vado a prendere June.
Torno subito.» Junpei annuì velocemente ad Ace e Santa, e poi
scese velocemente le scale.

In breve tempo, era tornato a terra, vicino al nastro


trasportatore, e a June. Mentre si avvicinava, June si rialzò,
lentamente. «Stai bene?» Fece del suo meglio per sembrare
calmo e noncurante, ma non c’era modo di nascondere la
genuina preoccupazione nella sua voce.

«Sì. Sto bene adesso. Mi dispiace di averti fatto


preoccupare.» June arrossì. Junpei non era sicuro se fosse
imbarazzata, o ancora febbricitante. Giusto per esserne sicuro,
le mise la mano sulla fronte. «Bene. Stai molto meglio.» Era
molto meno calda di quanto non fosse prima, ma non era
ancora una temperatura normale.

«Sicura di stare bene?» June lo guardò: «Oh, sei così


interessante, Junpei… ops! V-volevo dire… interessato…6» June
emise una risatina. Junpei non era sicuro se lei avesse solo fatto
una battuta, oppure no, ma vederla sorridere ancora lo
tranquillizzò molto. Se stava abbastanza bene da sorridere, e

6
Nella versione inglese, il gioco di parole è tra “warrior” e “worrier”.

244
ridere, allora stava davvero molto meglio. Le diede un colpetto
amichevole sulla fronte. «Andiamo.» «Andiamo dove?» «Ah
giusto, non te l’ho detto… abbiamo aperto la porta!» «Oh,
fantastico! Andiamo!» June batté le mani e annuì.

Mentre tornavano all’uscita, Junpei notò Santa, seduto


sulle scale. Stava tenendo qualcosa nella mano destra, e la
osservava con una strana espressione. Junpei e June
rallentarono, e poi si fermarono di fronte a lui. «Che stai
guardando?»

Santa risposte senza guardarlo, la sua voce calma. «È una


foto. È mia sorella.» June chiese: «Sorella? Santa, hai una
sorella?» Santa annuì. «Sì… da piccola era bella come una
gemma…» June piegò la testa, confusa. «Era alta solo qualche
centimetro, quindi?»

Santa la guardò. «A-ah… scusa… i-immagino che qualche


centimetro sia anche troppo per una gemma… Magari un
centimetro?» Junpei era perplesso. Santa non sorrise, né rise.
Ritornò semplicemente a guardare la foto, e disse: «Ero il suo
Santa Claus.» Questa rivelazione improvvisa colse Junpei di
sorpresa. Non aveva idea di cosa significasse Santa.

Guardò June, che scosse la testa. Neppure lei lo sapeva.


Santa proseguì: «Non avevamo i genitori. Sono morti in un
incidente quando eravamo ancora bambini. Così io fui per lei
come un padre. E questo significa che le comprai i regali di
Natale ogni anno. Alla Vigilia di Natale, lasciavo i regali vicino
al suo cuscino. E la mattina dopo, veniva nella mia stanza col
suo sorriso… “Guarda! Guarda! Babbo Natale mi ha lasciato un
245
regalo! Mi ha dato proprio la bambola che desideravo! Sono
così felice che abbia ricevuto la mia lettera!” Ero io a dirle di
scrivere quelle lettere. Le dicevo… “Scrivi i regali che desideri,
e spediscila a Santa Claus.” L’indirizzo che le indicavo, da
qualche parte nel Nord Europa, non esisteva. Ad ogni modo, lei
scriveva la sua lettera, metteva il francobollo, e la spediva.
Pochi giorni dopo, ritornava alla nostra cassetta postale, con
scritto “Indirizzo sconosciuto”. Aprivo la lettera prima che lei
potesse notare che era tornata. Dopo averla letta, andavo nei
negozi, con i soldi che avevo risparmiato durante l’anno, e le
compravo quello che aveva chiesto. Fu molto faticoso
risparmiare tutti quei soldi, ma riuscii a comprarle i regali tutti
gli anni.»

Junpei rimase in silenzio. Non aveva idea di cosa dire.


June guardò in basso, a disagio. La parete accanto a loro
improvvisamente scricchiolò. Come se non avesse sentito il
suono, o come se non ci badasse, Santa proseguì.

«Ma un anno, la sua lettera fu diversa. Non scrisse una


lista di giocattoli che desiderava, o cose simili. Invece, scrisse:
“Non voglio nessun regalo quest’anno. Vorrei che esaudissi il
mio desiderio. Desidero che saremo felici per molto, molto
tempo.” Ma non riuscii ad esaudire il suo desiderio. Che razza
di Santa sono…»

Santa sembrava triste. Junpei non l’aveva mai visto così


triste prima. Non era sicuro che gli piacesse. Junpei decise che
era probabilmente meglio non fargli nessuna domanda. Ma…
«Cosa è successo?» June guardò Santa rapidamente, mentre
parlò. Lui rispose, ma con grande sforzo.
246
«Lei… morì. Venne uccisa… 9 anni fa…» Non c’era nulla
che Junpei potesse dire. Sentì contrarsi il suo cuore. June si
morse le labbra e guardò altrove. Il suo volto era pallido.
«Bene. Andiamo.» Santa si rialzò improvvisamente, e il suo
atteggiamento abbattuto era scomparso.

Rimise la foto in tasca, e salì i gradini due alla volta.


Junpei e June si guardavano l’un l’altro. Non riuscivano a
pensare a cosa dirsi. «Ehi, che state facendo voi due?
Muoviamoci! Andiamo!» La voce di Santa echeggiò per la
stanza, sopra di loro. Annuirono, e salirono rapidamente le
scale.

Ace li stava aspettando in cima. Era appoggiato al


corrimano. Sembrava molto stanco. La porta si era richiusa, ma
non destò preoccupazione. Junpei risolse velocemente l’enigma
dei dischi una seconda volta, e la porta si aprì nuovamente.

Come un unico blocco, uscirono. Dopo aver camminato


per quattro o cinque metri, si ritrovarono di fronte ad una
porta metallica. Si aprì con facilità, e la varcarono. Una nuova
stanza li aspettava…

«È un… magazzino?, chiese Junpei. Ace rispose: «No,


credo che questa sia la stanza del carico. Dev’essere il luogo
dove immagazzinano tutto il carico della nave.» June disse: «Ci
sono casse di legno ovunque… Mi chiedo quanto siano
vecchie…»

Junpei, Ace e June si fermarono inconsciamente,


prendendo tempo per ambientarsi in questo nuovo posto. La

247
voce di Santa interruppe il loro momentaneo stato di trance:
«Be’, probabilmente dovremmo iniziare trovando l’uscita, no?
Andiamo!»

Sulle casse c’è una sacca che contiene una tessera con il
ritratto del nono uomo. Su un’altra cassa, c’è una sacca la cui
tessera ritrae Santa. C’è una grata che li separa dall’altra parte
della stanza, ed è elettrificata. Le casse pesano troppo per
essere spostate in modo da oltrepassarla.

Altre sacche vicino a dei barili contengono una tessera


con Snake, e una con Clover. Dentro una scatola lì vicino c’è la
tessera con Ace. Una sacca per terra ha la tessera di Seven.
Dentro un’altra cassa c’è la tessera di Junpei.

«Ah, vigliacco. Questa l’hai presa senza il mio permesso!»


«Sei molto carino in quella foto, Junpei», disse una June
arrossita. «Smettetela, piccioncini!», si intromise Santa. June
imbarazzata esclamò: «Non siamo piccioncini! Non siamo una
coppia, in nessun modo!»

Junpei intanto trova la tessera con la foto di June, lì


accanto.

«Oh no! Non guardarla! Sono uscita malissimo, non sono


per niente fotogenica, e non sono sexy… rispetto a Clover, la
mia pelle sembra grezza. E non sono sexy come Lotus…»

Junpei era perplesso. «So che a voi ragazzi piacciono le


donne come Lotus… ma! Ma, ma! Ce la metto tutta anche io!
Faccio il meglio che posso. Quindi per favore, non chiamarmi
cozza, o sacco di spazzatura, o cesso…» «A-aspetta un attimo…
248
Non ho mai detto nulla di simile… l’ho detto?» June non disse
nulla.

Per terra ci sono nove scatole verde acqua collegate tra


loro a formare un quadrato 3x3, e numerate da 1 a 9. Lì vicino,
c’è la carta di Lotus. Ora che le hanno tutte, Junpei, June e
Santa le commentano.

Avevano collezionato tutte e nove le tessere. Rimaneva


solo da inserirle nelle fessure di ognuna delle scatole. Junpei
osservò le carte che aveva in mano. Ace poggiò la mano sulla
sua spalla. Junpei lo guardò. Ace disse: «Sai a quale scatola
corrisponde ogni figura?»

«Certo che lo so. È ovvio. Basta far combaciare i nostri


numeri con quelli della scatola. Quindi, la tua figura va nell’1,
quella di Snake nel 2, e così via.» Junpei pensò che Ace doveva
ovviamente averlo capito, eppure avrebbe potuto giurare che si
fosse irrigidito.

Proprio in quel momento, sentì un rumore. Si voltò, giusto


in tempo per vedere June crollare vicino alla grata. «June, stai
bene?» Non rispose. Junpei si rivolse a Ace: «Scusa, mi occupo
di lei. Finisci tu di mettere le tessere nelle scatole, okay?»
«Uh?» «Metti le tessere nelle scatole e basta! Conto su di te!»

Ficcò a forza le carte tra le mani di Ace, e corse verso June.


«Stai bene? Che è successo?» Appena arrivò, June si reggeva
sui suoi piedi grazie all’aiuto di Santa. «Ah, mi spiace… sto
bene… sono solo inciampata.» «Non darmela a bere! Non è il
momento di…» «Ma è vero! Sono inciampata contro una

249
scatola!» Junpei le mise il palmo sulla fronte. La sua
temperatura era la stessa dell’ultima volta che aveva
controllato. Non era calda come prima, ma ancora tiepida. La
febbre non era completamente sparita.

«Io l’ho vista cadere. È davvero inciampata.» Junpei


sarebbe stato più felice di sentirlo se June non avesse avuto
bisogno di aiuto per rialzarsi. Santa proseguì: «Comunque,
cadere in quel modo… mi sa che sta ancora male.»

June fece del suo meglio per tenersi occupata ripulendosi


i vestiti dalla polvere. Il suo sorriso era un po’ imbarazzato, e il
suo volto un po’ arrossito. Ma sembrava molto meglio di prima.

«Bene, dunque, usciamo da qui più veloci che possiamo,


così potremo portarti in un ospedale.» «Oh… non penso sia
una cosa così seria. Mi serve solo qualche medicina e un po’ di
riposo, e starò bene.»

Santa si intromise: «Medicine, eh, medicine… be’, se


riusciamo ad uscire tutti quanti, scommetto che Ace potrebbe
procurartele facilmente.» «Ace? Perché?», chiese June. «Uh?
Non lo sai? È il presidente di una compagnia farmaceutica. La
Cradle Pharmaceutical, mi pare. Il loro cavallo di battaglia è
un anestetico chiamato Soporil.»

«Soporil… soporil…» Junpei non poteva scrollarsi di dosso


la sensazione di aver già sentito Soporil prima d’allora. Santa
proseguì: «Soporil… è un anestetico che è gassoso a
temperatura ambiente, come il protossido d’azoto.» Ci mette
pochissimo a propagarsi, e anche una piccola dose è molto

250
efficace. Per queste ragioni, ha riscosso un vasto successo tra le
forze di polizia e militari in molti paesi.

È molto utile da usare sulle folle, o per ripulire le stanze,


ed è pratico, etico ed umano. Era stato sviluppato sei anni
prima, ricavato dagli estratti di diverse piante. Divenne
popolare quasi subito, e molti governi ne ordinarono in gran
quantità. La richiesta di Soporil salì alle stelle, e così fecero gli
incassi della Cradle Pharmaceutical.

«Come fai a sapere tutte queste cose?» Le informazioni di


Santa erano interessanti, ma Junpei non poté fare a meno di
insospettirsi. La risposta di Santa fu schietta e semplice: «L’ho
sentito dal vecchio. Gli ho chiesto cosa facesse per guadagnarsi
da vivere, e ha detto che aveva la sua compagnia. Poi ha
iniziato a raccontare, e il resto vien da sé, no?»

Junpei era perplesso. June chiese: «C’è qualcosa che ti


preoccupa, Jumpy?» «No, nulla…» Mentre rispose, Junpei
guardò verso Ace. Sembrava in difficoltà con le scatole. «Ma
che sta facendo…» Junpei si voltò verso June e Santa.

«June, fai attenzione, okay? E Santa, puoi prenderti cura di


lei?» «Chiaro.» Annuì, e tornò da Ace. «Che stai facendo?»
L’anziano uomo si voltò verso Junpei, il suo volto pallido e
ricoperto di sudore. «Che è successo?», richiese Junpei. «Niente.
Io… la mia vista è sfocata, penso per la fatica. Non riesco a
vedere molto bene, al momento.»

«Cos’è che non riesci a vedere bene?» «Queste figure.» Ace


mostrò le carte a Junpei, distese a ventaglio. «Non mi

251
vergogno a confessarlo, ma credo di stare sviluppando la
presbiopia. Invecchiare è cosa difficile.» Fece del suo meglio
per sfoggiare un sorriso di auto-commiserazione, ma il suo
volto era arrossito e le sue labbra erano pallide e contratte.

«Ad ogni modo, lascerò il lavoro a te. Mi sento


tremendamente stanco, non fa niente se riposo un po’?» Ficcò
le carte in mano a Junpei e camminò rapidamente via. Junpei
lo guardò interrogandosi. Come poteva il solo guardare delle
carte averlo stancato a questi livelli? Junpei osservò le carte
che teneva in mano. Tutte le figure erano piuttosto chiare, e
ogni persona facilmente riconoscibile. La vista di Ace era
davvero così pessima? Ma se non lo era, che cosa l’aveva messo
così a disagio?

Leggi la parte seguente se hai ottenuto la parola chiave


“COMPUTER”:

Fu a quel punto che Junpei ricordò ciò che Lotus gli aveva
raccontato un po’ di tempo prima. «Prosopagnosia… Be’, messa
in modo semplice, è la condizione per cui la mente non può
distinguere i volti umani. In altre parole, la mia faccia
sembrerebbe uguale a quella di Clover, o alla tua. Chi ne soffre
non può ricordare i volti, che sono il metodo che utilizziamo
maggiormente per riconoscerci l’un l’altro. Questo significa
che le persone con la prosopagnosia hanno difficoltà anche a
riconoscere le persone cui sono più vicine.»

«Che… che abbia la prosopagnosia?» Junpei diede un’altra


occhiata a Ace. Sedeva al primo gradino delle scale, con aria
depressa. Era ragionevole, chiaramente, che si sentisse a quel
252
modo. Se davvero fosse affetto da prosopagnosia, senza dubbio
sarebbe un’esperienza dolorosa e deprimente. Junpei non
credeva che dargli una pacca sulla spalla e dirgli che sarebbe
andato tutto bene avrebbe potuto consolarlo molto.

Inoltre… Junpei sentì che era meglio tenere la bocca


chiusa riguardo la condizione di Ace, almeno per un il
momento. Facendo del suo meglio per schiarirsi le idee e
tornare all’enigma, si voltò verso le scatole.

Junpei mette le tessere nelle relative scatole, e tutte si


aprono in un colpo solo. Guarda all’interno, e ciascuna
contiene uno spillo. Sembravano simili agli spilli per cucire,
ma più spessi, ed erano numerati da 1 a 9. Junpei li mette in
tasca.

Sale le scale e raggiunge un apparecchio con dei tasti ed


un monitor, fissato a terra. Per accenderlo deve inserire sei
spilli che a tre a tre formino la stessa radice digitale; formando
tutte le radici digitali da 1 a 9 una alla volta.

Dopo averlo fatto appare la lettera F e un quadrato 3x3.


Junpei deve inserire gli spilli in modo che presi tre spilli in fila,
compresi in diagonale, la somma faccia F in codice
esadecimale, ossia 15.

8 1 6

3 5 7

4 9 2

253
Finalmente il monitor si accende, e mostra un software
chiamato Pushmaster 5000. Permette di manovrare una
macchina dall’altra parte della stanza che sposti le casse, in
modo da formare un percorso salvo per raggiungere una bara
posta su una cassa.

Avendo una batteria limitata, la macchina inizia a


muoversi solo dopo che il programma ha ricevuto istruzioni
sui movimenti che deve fare e gli spostamenti non devono
superare il numero di 50.

Dopo che Pushmaster 5000 ha fatto il suo lavoro, il


gruppo può andare.

Camminarono lentamente sulle casse, finché raggiunsero


la bara. Si fermarono e annuirono l’un l’altro, poi Junpei mise
la mano sul coperchio della bara. Santa esclamò: «M-m-m-
mummia!» Gli altri gli lanciarono delle occhiatacce. «Stavo
solo scherzando.» Si mise a ridere per il suo stesso scherzo.

254
Junpei brontolò e scosse la testa. «Eddai, aprila», disse
Santa. Junpei resistette alla tentazione di ricordare a Santa che
l’avrebbe già aperta da un po’, se lui non l’avesse interrotto, e
fece scorrere velocemente il coperchio via dalla bara.
Sbirciarono all’interno.

Contrariamente a quanto si aspettavano, l’interno della


bara era quasi completamente vuoto. Sul fondo giaceva una
chiave arrugginita. E, vicino alla chiave… «È una p-pistola!»,
esclamò June. «Sì, una rivoltella», puntualizzò Santa. «Sembra
molto vecchia», aggiunse Ace.

«Mi chiedo se sia… finta», disse June. Junpei la raccolse


lentamente e con cautela. Nelle sue mani, sembrava pesante.
Controllò il cilindro. C’erano sei pallottole. Non aveva mai
visto una pistola vera, o neppure un vero proiettile, prima d’ora.
Non sapeva stabilire se fossero veri o meno.

La canna era rigata, e nulla sembrava bloccarla. Come


aveva detto Ace, era una pistola molto vecchia. Ad ogni modo,
sembrava essere stata mantenuta bene. Se fosse stata una
pistola vera, Junpei pensò che avrebbe molto probabilmente
funzionato alla perfezione.

Se fosse stata vera… Tenere quella pistola fece sentire


Junpei a disagio. Con attenzione, la rimise nella bara. «Non la
prendi?», chiese Santa. Junpei replicò: «Certo che no. Una cosa
come questa non potrebbe che causarci altri problemi. È
un’arma potentissima che dà ad una persona un grande
vantaggio. È troppo pericoloso portarsela dietro. Siamo già
abbastanza messi male.» «Sì, suppongo tu abbia ragione.»
255
June parlò: «Forse Zero ha piazzato qui la pistola sperando
che succeda qualcosa di simile… magari l’ha messa per
metterci uno contro l’altro…» Ace aggiunse: «In tal caso,
dovremmo certamente lasciarla qui. Io, per quanto mi riguarda,
non ho alcun desiderio di farmi controllare da Zero.»

Gli altri annuirono. Non avevano alcun desiderio di essere


sotto il controllo di Zero. Santa disse: «Okay, su questo siamo
d’accordo, ma non vuoi lasciare anche la chiave lì, no?» «Sì, sì.
Certo che no.» Junpei raccolse la chiave arrugginita, e fece
scorrere nuovamente il coperchio sulla bara, lasciando la
pistola dove l’avevano trovata.

Inserirono la chiave nella porta, per poter finalmente


uscire. Il corridoio che lasciava il magazzino conduceva alla
poppa. Junpei e gli altri tre procedettero, silenziosamente. A
breve distanza, un’ampia stanza si stendeva a sinistra.
Sembrava… familiare.

Una grata di acciaio ricopriva entrambi gli ascensori, e il


cancello di acciaio divideva la stanza in due. Erano dall’altra
parte rispetto a molto tempo prima. Junpei chiamò l’ascensore,
e la porta si aprì. Premettero il bottone per scendere e si
ritrovarono in un lungo e ampio corridoio.

Dopo aver camminato per un po’, Santa si fermò di fronte


ad una porta. Per quello che poteva vedere Junpei, non c’era
altra via per procedere. O quella porta, o niente. «Perfetto,
apriamola.»

256
Junpei prese un profondo respiro, si preparò, afferrò la
maniglia e tirò. Si fermò per un momento, poi varcò la soglia,
ed entrò nella stanza. E lì, vide il numero che avevano
continuato a pensare da quando si erano svegliati.

Il 9. Come i numeri su ogni altra porta, anche questo era


rozzamente disegnato con vernice rossa. La porta era nella
parete all’altro capo della stanza. Junpei schizzò verso di essa
con un improvviso scatto di energia e speranza.

Era una porta doppia, larga, pesante, e dall’aria solenne.


Afferrò le maniglie e provò a scuoterle. Non accadde nulla, ma
non si aspettava di aprirla. Il RED era al muro, accanto alla
porta. Il display mostrava la parola “LIBERO”. Finalmente,
l’avevano trovata. Junpei si sentì sovrastato da un torrente di
emozioni.

257
Alla fine, avevano trovato l’uscita, ma un brivido freddo
gli strinse il cuore, e sapeva troppo bene la ragione. Mentre era
lì, pietrificato, incerto di cosa pensare o provare… «Jumpy!
Guarda! Dietro di te!» Si voltò. E non poté credere a ciò che
vide.

Era una porta, con il numero 9. C’era… una seconda


porta? «Perché…» La voce di Junpei era a malapena udibile,
anche a sé stesso. Incespicò verso la seconda porta, come
costretto. Era una piccola porta singola.

Si trovava all’angolo destro della stanza, sulla stessa parete


della porta da cui erano entrati, ma all’angolo opposto. Era un
9, non c’era dubbio. C’era un RED anche lì accanto. Junpei
scosse le maniglie senza scopo, e borbottò tra sé.

«Perché… perché diavolo ci sono due porte?» Fu Santa a


rispondere. «Ci sono sempre state due porte. Pensaci… Zero
non ha mai detto “C’è solo una porta col numero 9”.
Chiaramente noi abbiamo presupposto che ce ne fosse solo una.
Dopotutto, perché avrebbero dovuto essercene di più?»

Junpei era scioccato. L’inganno di Zero l’aveva


completamente colto di sorpresa. C’erano due porte. Questo
significava che tutte e nove le persone che si erano incontrate
alle scalinate principali avrebbero potuto fuggire, senza
lasciare nessuno indietro.

Ora era chiara la ragione per cui i braccialetti avevano i


numeri dall’1 al 9. Dividendosi in due, la radice digitale di
entrambi sarebbe stata 9. Ad esempio, 1278 e 34569: la radice

258
digitale di entrambi i gruppi è 9. O 2349 e 15678: anche queste
radici digitali sono uguali a 9. C’erano molte altre
combinazioni possibili, ma tutte finivano allo stesso modo: con
la radice digitale 9.

Cosa significava? La risposta era piuttosto semplice. Fin


dall’inizio, il Nonary Game era stato progettato per salvare tutti
e nove. Zero non aveva mentito. Zero non aveva mai detto che
c’era solo una porta. Ma chiunque si fosse trovato nel gioco
avrebbe supposto che fosse così. Lotte, litigi sarebbero emersi.

Un gruppo avrebbe presumibilmente tradito o ingannato


l’altro. Qualcuno si sarebbe ferito. Qualcuno avrebbe potuto
essere ucciso. Ma infine, avrebbero raggiunte la stanza in cui
Junpei si trovava allora, e avrebbero realizzato l’inutilità di
tutta la violenza che avevano commesso gli uni sugli altri.

C’erano due porte. Nessun bisogno di uccidersi.


Compresero, e furono atterriti, sovrastati dal senso di colpa per
ciò che avevano fatto, per come erano andati gli eventi. Forse
era quello lo scopo del gioco. Forse era così che si supponeva
che il Nonary Game venisse giocato.

Per fortuna, non avevano ancora iniziato a litigare gli uni


con gli altri, o perlomeno non ancora. Ma se qualcuno avesse
compiuto un passo falso, se fosse accaduto qualche brutto
errore, roghi e cappi avrebbero fatto la loro comparsa. Questo
pensiero provocò a Junpei un brivido lungo la spina dorsale.

«Dunque… cosa facciamo, Junpei?» Una voce interruppe i


convulsi pensieri di Junpei. La voce di Santa. Riportò Junpei al

259
mondo presente. Non aveva senso preoccuparsi del futuro.
Dovevano decidere cosa fare in quel momento. C’erano quattro
persone nella stanza.

Ace, Santa, Junpei e June. I loro braccialetti erano 1, 3, 5 e


6. La loro radice digitale era 6. In altre parole, loro quattro non
potevano aprire una porta col numero 9. Ma… se ne avessero
usati solo tre?

La porta 9 poteva essere aperta da tre di loro? Non servì


tempo per determinare la risposta. C’era solo una
combinazione di tre persone che desse la radice digitale di 9. 1
+ 3 + 5 = 9. Il che significava…

«No! Dobbiamo tornare indietro!» esclamò Junpei. Non


era una possibilità che aveva intenzione di prendere in
considerazione. Santa ed Ace erano d’accordo. «Sì.» «Sono
d’accordo. Non possiamo lasciare indietro June.»

Junpei lasciò andare un respiro che non si era accorto di


stare trattenendo. «S-siete sicuri? N-non è un problema…
restare…» Il corpo di June tradiva i suoi veri sentimenti. I suoi
occhi erano inumiditi da un principio di lacrime, e le sue
gambe tremavano.

«Tranquilla. Non ti lasceremmo mai indietro.» Santa disse


quello che Junpei sapeva dal momento in cui aveva realizzato
quali tre persone avrebbero potuto attraversare la porta.
«Inoltre, preferirei affogare nel fondo dell’oceano piuttosto che
fuggire con gente da festa della salsiccia. Magari raggiungerò
Atlanta», disse Junpei.

260
«Ah… non è che volevi dire Atlantide?», chiese Ace. Forse
fu per l’improvvisa rassicurazione che nessuno voleva lasciare
indietro June, ma Junpei rise come non aveva riso per molto
tempo. Santa ed Ace sorrisero.

«Ragazzi…» June piangeva dalla commozione e si


mordeva le labbra. Sembrava non sapere che altro dire. «Molto
bene. Torniamo indietro al ponte C. Dovremmo poter prendere
l’ascensore di prima. Magari Clover, Seven e Lotus hanno fatto
ritorno dalla porta 1.»

Nonostante l’idea di Ace, sapevano che trovare gli altri


non avrebbe migliorato la situazione. Non c’era modo per
dividersi in due gruppi che potessero entrambi passare per le
porte. Ace lo sapeva. Tutti lo sapevano. Ma non c’era altro che
potessero fare.

Avrebbero trovato gli altri tre, e cercato un’altra soluzione.


«Bene, andiamo.» Ace guardò gli altri tre, poi si voltò e si
diresse verso la porta. Santa e June seguirono. Junpei si diresse
un attimo verso la porta 9, quella doppia, e si fermò. Era stato
troppo occupato da altri problemi per osservare la stanza stessa.

Non sembrava di primaria importanza al momento, ma…


cos’era esattamente? Junpei si guardò intorno, notando per la
prima volta tutte le cose che non erano porte con dei 9 sopra.
Un tappeto rosso si stendeva tra due colonne di panche di
legno che percorrevano tutta la lunghezza della stanza.

Il tappeto iniziava dalla porta doppia, e arrivava a…


Junpei non era certo di cosa fosse. Forse un altare? C’era una

261
piccola alcova rettangolare alla fine del tappeto, e nell’alcova
una piattaforma rialzata. In cima alla piattaforma c’era una
bara. Una bara. Una bara. Perché diamine una bara doveva
trovarsi in un posto come quello?

Ma prima che Junpei avesse tempo di rispondere a quella


domanda… «Ehi, Junpei! Che stai facendo? Muoviamoci!» La
voce di Santa echeggiò dalla sala fuori da lì. «Okay, okay.
Arrivo!» Junpei lasciò la stanza triste e quieta, con la sensazione
che qualcosa bussasse da dentro la bara.

Presero l’ascensore per raggiungere il ponte C. Una volta


lì, si diressero alla sala principale e alle scalinate. Non ci volle
molto. Junpei trovò Seven e Lotus che li attendevano. Non
sembravano felici. «Abbiamo un problema», disse Seven.
«Clover se n’è andata!», esclamò Lotus.

Junpei e i tre compagni si guardarono l’un l’altro. Si voltò


verso Seven e Lotus. «Cosa intendete dicendo… “andata”?»
Santa, Ace e June avevano a loro volta domande da porre.
«Quando?», chiese Santa. «Perché?», esclamò June. «Voi due
eravate nella porta 1 con Clover, no?», chiese Ace.

Seven e Lotus risposero meglio che poterono. «Sì, siamo


andati per quella porta insieme.» «Ma Clover ci parlò a
malapena…» «Si fece i fatti suoi tutto il tempo.» «C’erano
quattro stanze dall’altro lato della porta 1…» «Non ci ha
lasciato entrare nella quarta stanza.» «Ha detto semplicemente
“Mi occupo io di questa…”» «E ha chiuso la porta.» «Deve
averla bloccata in qualche modo dall’interno.»

262
«Abbiamo aspettato un po’, ma Clover non usciva.»
«L’abbiamo chiamata, ma non rispondeva…» «Così ho
sfondato la porta, e siamo entrati.» «Ma…» «…era vuota.»
«Clover non era lì.» «C’era una porta dall’altro lato.» «Ed era
aperta.»

«Abbiamo supposto che abbia aperto la porta e se ne sia


andata da lì.» «Abbiamo corso per cercarla, subito…» «Ma
ovviamente non l’abbiamo trovata. Questo l’avevate capito.»
«Clover è andata.»

Junpei pensò per un momento. «Quando è successo?»


«Noi siamo arrivati qui poco prima di voi», disse Seven. «Avete
un ottimo tempismo», aggiunse Lotus. «Quindi non avete
cercato da qualche parte oltre a qui vicino?», chiese June. «No,
non l’abbiamo fatto», rispose Seven.

Infine, Ace parlò. La sua voce aveva una punta di


determinazione e preoccupazione. «Molto bene, dunque.
Dovremmo separarci e cercare Clover. Non ci rimane molto
tempo. Cominciamo!» Ci furono rapidi cenni d’assenso
tutt’intorno, e i sei giocatori rimanenti si sparpagliarono.

Se hai ottenuto le parole chiave “PIANO” e “COMPUTER”,


vai a pagina 268.

Se hai ottenuto una sola o nessuna di queste parole,


prosegui la lettura.

263
12. Coltello

Dopo un po’, Junpei e June corsero verso la stanza


dell’ospedale insieme. Più veloci che poterono, cercarono lì
attorno e sotto i lettini e in ogni angolo. «Non è qui…» «No,
non è qui.» Cercarono ancora un po’, ma con scarso successo.
Non riuscirono a trovare Clover. Infine, si arresero, e
lasciarono la stanza dell’ospedale.

Lentamente, fecero ritorno all’ingresso. Raggiunsero le


scale, e Junpei disse: «Bene. Penso che dovremmo dividerci. Io
mi dirigerò di nuovo verso le scale, e prenderò l’ascensore per
scendere al ponte E. June, tu puoi salire al ponte B.» «Okay,
sembra una buona idea. Ma, uhm…» «Cosa?»

«Potresti smetterla di chiamarmi con quel nome in codice


quando siamo da soli?» «Uh? Oh… c-certo, giusto… io… lo
farò, sì.»

C’era una ragione se Junpei persisteva a chiamarla “June”


anche quando erano da soli. Sebbene, forse, non fosse la
migliore delle ragioni. Era in imbarazzo a chiamarla col
soprannome che usava quando erano bambini, Kanny.

Nove anni prima, veniva spontaneo – dopotutto, erano


bambini. Ma ora che erano adulti, suonava… strano.
Indipendentemente da quel che potesse sperare, chiamare una
donna che non stava frequentando con un soprannome così
infantile gli sembrava stravagante.

264
Naturalmente, chiamarla “Signorina Kurashiki” sarebbe
stato ancor più maldestro, e semplicemente “Kurashiki” un po’
brusco. E sebbene non sapesse dire esattamente perché, gli
sembrava in qualche modo impertinente chiamarla “Akane”
quando non l’aveva vista per così lungo tempo.

In breve, era più semplice per lui chiamarla “June”, e


chiuderla lì. «Bene, allora vado.» «Sì… fai attenzione, Kanny.»
«Stai attento anche tu, Jumpy.» June – o forse più
appropriatamente Kanny – arrossì e sorrise. Junpei la osservò
per un momento mentre saliva le scale, poi si voltò e si diresse
all’ascensore, e scese con esso.

Le tragedie avvengono sempre quando uno meno se


l’aspetta. Ma attendere che un uomo si rialzi prima di assestare
un colpo sembra quasi più crudele che infliggere il colpo fatale
quando giace sul terreno. Come una luce nell’oscurità, il
sorriso di June gli aveva dato speranza – sia per la fuga da
quell’orrida nave, che possibilmente per… qualcosa di più. Era
quella speranza che risollevò il suo spirito quel che bastava
affinché di lì a poco affondasse del tutto.

Aprì la porta dell’ascensore, e lei era lì. Una donna giaceva,


scomposta contro la parete. Lotus. Junpei sentì il suo sangue
diventare ghiaccio. Il suo corpo era floscio, e la sua pelle liscia
e pallida come sempre… era ricoperta di sangue di un rosso
radioso.

Junpei sentì il petto comprimersi. Non poteva respirare, e


le sue gambe iniziarono a tremare. Un lento, freddo rivolo di

265
sudore gocciolò lungo la sua schiena. Sentì il suo stomaco
capovolgersi.

La mente di Junpei si svuotò – tutti i suoi pensieri


rimpiazzati da un bianco sibilo senza fine. Guidato da poco più
che l’istinto, iniziò a camminare verso Lotus, lentamente. Ogni
piccolo movimento dei suoi arti irrigiditi lo conduceva più
vicino al suo cadavere.

Infine, fu davanti a Lotus. Meccanicamente, si piegò, e le


premette la mano contro il collo. Non c’era alcun battito.
Nessuna variazione di respiro. Era leggermente tiepida.
Qualcosa, da qualche parte nella mente scossa di Junpei, gli
suggeriva che ciò significava che era stata uccisa di recente.

Sì, pensò Junpei, con la sua mente che lentamente faceva


ritorno alla realtà, Lotus era stata uccisa. Qualcuno l’aveva
uccisa. C’era un taglio profondo sul lato sinistro del suo petto.
Il sangue stava ancora fluendo lentamente dalla ferita, anche
se chiaramente il suo cuore aveva smesso di battere da un po’
di tempo.

L’arma era stata un coltello, quindi^ Forse era stata


pugnalata al cuore, una volta. Probabilmente era morta
immediatamente. Non fu di molto conforto sapere che doveva
aver sofferto molto poco. Solo allora Junpei se ne accorse… il
braccialetto di Lotus era sparito.

“Infine, parliamo di come rimuovere il braccialetto. Ci


sono solo due modi per farlo.

Primo: riesci a fuggire da questa nave.


266
Secondo: il tuo battito cardiaco raggiunge lo zero.

In altre parole, appena il braccialetto sarà portato fuori dai


confini della nave, oppure noterà che il tuo battito cardiaco è
sceso a zero, si sbloccherà automaticamente.”

Era stato per quello, che l’assassino aveva messo termine


alla vita di Lotus? Per ottenere il braccialetto numero 8? Se era
così, l’omicida era qualcuno che desiderava il numero 8. O,
forse più accuratamente, la persona che avrebbe ottenuto il
maggiore vantaggio dal braccialetto numero 8. Chi era? Chi
avrebbe beneficiato maggiormente di quel braccialetto?
Questo pensiero era appena entrato nella mente di Junpei,
quando…

Udì un rumore. Un suono come un coltello affilato che


tagliava carne umida. Gli sembrò strano che il rumore veniva
da dentro il suo stesso corpo. Un momento dopo, il dolore lo
raggiunse. Non era soltanto dolore – c’era anche calore, calore
estremo. Sentì come se del ferro fuso fosse stato schizzato
contro il suo corpo.

Infine, il suo cervello riuscì a connettere – era stato


accoltellato. Ma dove…? Il suo corpo si stava velocemente
intorpidendo. Non sapeva dire dove il coltello aveva incontrato
la sua carne. Date le circostanze, comunque, era molto
probabilmente stato accoltellato alla schiena.

Chiunque avesse ucciso Lotus aveva appena fatto lo stesso


con Junpei. La sua voce fu poco più di un debole gemito. Con
la poca forza che gli rimaneva, Junpei si voltò, cercando di

267
intravedere l’aggressore. Ma non appena lo fece, il coltello si
spinse più in profondità, torcendosi viscidamente. Junpei
collassò al suolo – un burattino coi fili tagliati. Le sue braccia e
le sue gambe giacevano dove erano cadute, contorte
goffamente.

Il corpo di Junpei era completamente intirizzito. Poteva


sentire il sangue sgorgare fuori da sé, ma nulla si muoveva.
Nulla, tranne i suoi occhi. Mentre giaceva al suolo, la sua vita
che scemava, Junpei riuscì a vedere l’aggressore. Due piccole
immagini dell’omicida, si riflessero nei suoi occhi.

Con quel riconoscimento, sopraggiunse… il nulla. Non


provò emozioni – né rabbia, né tristezza, né rimpianto. La
paralisi che aveva reclamato il suo corpo ora aveva raggiunto
la sua mente. L’omicida guardò con scherno il suo corpo… poi,
senza una parola, chiamò l’ascensore e se ne andò.

La sua vista iniziò ad affievolirsi. Il mondo si annebbiò, e


iniziò a dissolversi in una vuota nebbia bianca. La nebbia
strisciò fino ai bordi della sua mente e iniziò a penetrare
inesorabilmente verso l’interno. Presto, inghiottì tutto quel che
rimaneva della mente di Junpei, e la sua coscienza lo lasciò.

Non c’era più nulla. In quel vuoto assoluto, precipitò – in


Zero. Qualunque cosa Junpei fosse stata, non c’era più.

Fine.

Hai ottenuto uno dei finali negativi. Ripeti la lettura


compiendo altre scelte se vuoi ottenere altri finali.

268
13. Cassaforte

Dopo un po’, Junpei e June corsero verso la stanza


dell’ospedale insieme. Più veloci che poterono, cercarono lì
attorno e sotto i lettini e in ogni angolo. «Non è qui…» «No,
non è qui.» «Giusto per sicurezza, dovremmo andare a
controllare nelle docce», propose Junpei. «Le docce?» «È lì che
si trova suo fratello. Potrebbe essere andata a… trovarlo.»

June si morse le labbra. Sapeva, come sapeva Junpei, che


c’era solo una cosa da vedere nelle docce, e non era piacevole.
«Be’, dobbiamo comunque controllare, no? Andiamo.» C’era un
cacciavite incastrato tra la porta e la cornice. Junpei e June
entrarono, proseguirono lungo il corridoio, e si fermarono alle
docce.

«Che sfortuna», disse Junpei. «Già… non penso lei sia


qui…». La voce di June era debole, e si mise le mani sulla
bocca. La sua faccia era verdognola. Il fetore nella stanza era
insopportabile. Era peggiorato dall’ultima visita. Se Junpei
avesse pranzato, avrebbe avuto difficoltà a trattenere il pasto.

Voleva abbandonare la stanza il prima possibile, ma…


doveva esserne sicuro. E l’unico modo per assicurarsene era
controllare l’altro lato del divisore. «Aspetta qui.» June non
oppose resistenza, e annuì debolmente a Junpei mentre lui si
dirigeva verso il divisore.

Si fermò all’angolo e sporse la testa. Come si aspettava,


Clover non c’era. L’unica cosa presente era una carcassa, che

269
giaceva su una pozzanghera rossastra-marrone di sangue secco.
Ci sono vari modi in cui un uomo può morire, ma questo…

Il cranio era frantumato in pezzi, la testa poco più che una


massa carnosa di cervella, ossa e viscere. Il braccio sinistro era
orribilmente contorto in una orripilante forma aliena, il bianco
lucente dell’ulna che ancora brillava in mezzo ai resti di pelle e
muscoli.

«…Eh? Aspetta…» Bianco lucente… ulna… Ossa. Tutti i


pezzi del puzzle andarono al loro posto. Junpei ricordò
qualcosa che Clover gli aveva detto al laboratorio. «Il braccio
sinistro di mio fratello è… uhm, non è come il normale braccio
di una persona. L’incidente fu molto grave… per salvarlo,
dovettero… dovettero amputargli il braccio…»

Ma certo… ma certo! Perché non l’aveva capito prima?


Clover aveva detto a Junpei che il braccio sinistro di Snake era
una protesi. Ma il braccio sinistro del corpo oltre il divisore era
chiaramente un reale braccio umano – o lo era stato, almeno.
Questo significava che il corpo…

Junpei e June tornarono indietro alla stanza d’ospedale, e


si rimisero in cerca di Clover. Avevano raggiunto le scale
quando comparve Seven, senza respiro e urlando: «Junpei!
June! Dove eravate?» Sembrava pallido, e il suo volto era teso.
Era accaduto qualcosa di terribile. Il respiro di Junpei si fermò
nella sua gola.

«È… è successo qualcosa?» Seven si portò una mano


tremolante al viso, e deglutì sonoramente: «Clover è… Clover

270
è morta. L’ho trovata… nel bagno della cabina di prima
classe…»

I tre corsero verso la cabina senza fermarsi. Tutti i suoni


cessarono, per Junpei. Il mondo era una vuota, ovattata distesa
di nulla. Poi ricominciò a sentire il proprio respiro. La bocca di
June si mosse, ma Junpei non sentì nulla. June tentò un’altra
volta, e la sua energia la abbandonò, e lei crollò contro il muro.

Junpei avrebbe potuto aiutarla, ma non l’aveva fatto, e ora


Clover giaceva lì, morta. Rimase lì, raggelato, sul posto.
Clover… Clover… perché era successo? Si costrinse a
muoversi. Ogni passo era un chiodo conficcato nel suo cuore.
Infine, fu di fronte a lei.

Si inginocchiò, e mise tre dita contro il collo di Clover.


Nessun battito. Nessun respiro. Ma era ancora tiepida, e i suoi
occhi erano chiusi, pacifici. Sarebbe stato semplice pensare che
fosse addormentata. Semplice, non fosse per la pozzanghera di
sangue che si espandeva lentamente sotto di lei.

Junpei notò che la fonte era la sua schiena. Un taglio


giusto sotto la sua scapola. L’arma usata era forse un coltello?
Se era un coltello, l’assassino l’aveva preso mentre erano via…

Quando Junpei chiuse gli occhi, vide il sorriso di Clover. Il


suo sorriso innocente… la sua energia… non avrebbe mai più
rivisto il suo sorriso. Avrebbe potuto fare qualcosa… avrebbe
potuto aiutarla… Il suo stomaco si contorse in un nodo.

Junpei sollevò una June stremata dal suolo, e la


accompagnò al bagno. «Tutto bene?» Era una domanda idiota,
271
e lo sapeva. «Sì, io… sì…» La sua voce era debole. La febbre era
sparita, ma le ferite emotive che aveva ricevuto non se ne
sarebbero andate così rapidamente.

Junpei le mise una mano sulla spalla, e tornarono alla


camera da letto. «Dovresti riposare.» Fece distendere June,
finché non fu seduta contro il letto. Annuì, una volta, e fissò il
pavimento.

C’erano altri quattro nella stanza. Ace, Lotus, Santa e


Seven. Tutti fissavano il vuoto, i volti tesi e stanchi. Dopo un
po’, si trascinarono in bagno per vedere il cadavere di Clover.
Una volta che tutti furono tornati alla stanza da letto, Junpei
camminò lentamente verso il centro, e si guardò intorno
vedendo le figure depresse che si erano riunite.

«Chi è stato il primo a trovare il corpo?», chiese Junpei.


«Io…» Seven parlò dietro Junpei, che si voltò. La mano di
Seven era alzata. «Perché sei venuto in questa stanza?»

«Per cercare Clover. Che altro? Ho trovato il suo corpo in


bagno… e sono corso subito fuori. Sono giunto in cima alle
scale, dal casinò, e ho urlato più forte che ho potuto. “Ehi!
Ragazzi! L’ho trovata, ma è morta! È in bagno, alla cabina di
prima classe! Veloci!” Poi sono tornato in bagno. Ace, Santa e
Lotus mi hanno raggiunto velocemente. Ma immagino che voi
due non mi abbiate sentito, o qualcosa di simile, perché non
siete arrivati. Così ho sceso le scale per cercarvi. Dopodiché…
be’, conoscete il resto, no?»

272
Junpei annuì e chiuse gli occhi. C’era un’altra cosa che
doveva chiedere. «Seven, c’è un altro fatto che mi
preoccupa…» «Cosa?» «Quando abbiamo finito gli enigmi di
questa stanza, e abbiamo aperto la porta… tu hai incastrato
una di queste targhette tra la porta e la cornice, giusto? Perché
l’hai fatto?»

«Eddai, non te l’avevo già detto? L’ho fatto per non far
chiudere la porta. Per tornare indietro, in questa stanza… oh.
Pensi che sia stato io?» «Be’, non lo so. Questo dipende da ciò
che dirai, non credi?» Seven sospirò, e scosse la testa:
«Seguimi.»

C’erano due porte una di fronte all’altra. Aprì quella sulla


destra. Dietro la porta c’era un comò. Seven entrò, e prese una
scatola. Era un piccolo cubo di metallo. Guardò Junpei.

«Questa è la ragione. Questa cassaforte. Non abbiamo


potuto aprirla mentre eravamo nella stanza. Pensavo potesse
esserci qualcosa di importante, all’interno. Non potevo
smettere di pensarci. Ho pensato che magari più avanti
avremmo capito qual è la combinazione. E se l’avessimo
trovata, non sarebbe stato il caso di passare di nuovo per la
porta 5. Così ho messo la targhetta sulla porta d’uscita, per
tornare indietro da lì. Capisci ora?»

Junpei annuì, e guardò la cassaforte. Afferrò la maniglia e


la scosse. Non successe nulla. Era sigillata come quando Seven
l’aveva trovata. C’era una differenza, comunque. Giusto sotto la
cassaforte c’era un mucchietto di fine polvere rossastra-
marroncina. Ruggine.
273
Junpei la osservò per un momento. Qualcuno l’aveva
aperta, rimuovendo la ruggine? Junpei uscì dallo stanzino.
Seven lo seguì alla camera da letto. C’era freddo, e silenzio.
Nessuno parlava. Stavano fermi, congelati dallo shock e il
dolore e la fatica.

La stanza sembrava piccola e opprimente, e l’odore


metallico e forte del sangue riempì il luogo. Junpei si voltò, e si
diresse verso la sala. Qualunque posto, pur di andarsene da lì.
Magari c’era qualche altro indizio? Qualunque cosa che potesse
condurlo a chi aveva pugnalato Clover. Si prese il suo tempo,
ed esaminò la stanza accuratamente.

I suoi occhi furono rapiti dalla porta. La porta che


conduceva al corridoio della porta 5. Dietro quella porta
giaceva il corpo morto del nono uomo. «Forse dovrei dargli
un’altra occhiata, per sicurezza…» Lentamente, aprì la porta.

Il fetore lo colpì come una botta in faccia. I suoi polmoni


si contrassero, restii ad inalare una simile aria fetida. Dell’acido
ribollì dal suo stomaco, consumando quel poco cibo che era
rimasto in una violenta schiuma. Era troppo per lui, e vomitò.
Un modesto flusso di acqua giallastra e bile schizzò sul
pavimento.

Si strofinò la bocca debolmente, e osservò il cadavere.


Pezzi di carne lacerata giacevano attorno al corpo. Ciò che
rimaneva degli intestini era scivolato sul suolo. La pozza di
sangue era ormai per metà secca, ma così densa che aveva una
composizione simile a quella di un tuorlo d’uovo fritto.

274
Sul pavimento, vicino all’ammasso frantumato di quella
che era la testa dell’uomo, giacevano i suoi occhiali, con varie
fratture sulle lenti. Chiazze di sangue vicino agli occhiali si
erano già asciugate, come croste sul suolo.

Fu a quel punto che se ne accorse. «È sparito… il suo


braccialetto… è sparito.» Era lì quando Junpei era passato per
la porta 5, tempo prima. Ne era sicuro. Proprio accanto agli
occhiali. Mentre ora… era sparito. Il braccialetto 9 non c’era
più. Ma… perché? Qualcuno l’aveva preso?

Continuava a chiederselo e a pensarci quando udì la voce


di Seven: «Uh? Dov’è andato Junpei?» Proveniva dalla sala.
Junpei lo raggiunse lentamente. «Oh, eccoti. Cercavi qualcosa
nel corridoio? Hai trovato qualcosa?»

Junpei pensò per un po’ prima di rispondere: «No. Nulla.»


Tecnicamente, non era una bugia. Non aveva trovato nulla. Di
fatto, però, il problema era proprio questo. Qualcosa che si
aspettava di trovare non era lì… il braccialetto del nono uomo.

«Che c’è?», chiese Junpei a Seven. «Oh, be’, volevo farti


vedere una cosa.» «Cos’è?» Seven lo riaccompagnò al bagno,
senza parlare. Appena vide di nuovo il cadavere di Clover, sentì
il battito del suo cuore accelerare, e poi cadergli al fondo dello
stomaco.

Qualcosa a metà tra un sospiro e un gemito fuoriuscì dalle


sue labbra. «Cosa volevi farmi vedere?» La sua voce era
depressa, e vuota. «Ho dato un’altra occhiata al corpo di Clover.

275
Ho trovato questo.» Mentre parlava, si era avvicinato alla testa
di Clover. Si inginocchiò, e le aprì la mano destra.

«Cosa…?» Stava trattenendo un pezzo di carta. «Non l’ho


ancora guardato. Non volevo alterare la scena del crimine, hai
presente? Roba di base. Be’, ho preso una cosa in realtà.» «…?»
Non era sicuro di cosa significasse, ma al momento non aveva
importanza. Il biglietto era più importante. Lo raccolse e lo
aprì con attenzione.

C’erano scritte due frasi:

“La verità è andata, la verità è andata, e la verità è


andata.

Ah, ora la verità giace dormiente nell’oscurità


dell’infausta mano.”7

«Che cos’è? Una specie di codice segreto?» Seven guardò


attentamente la nota, oltre la spalla di Junpei. Junpei si
allontanò dal corpo di Clover, e tornò alla sala. Iniziò a
camminare in cerchio attorno al tavolo, lentamente, cercando
di decodificare il messaggio.

Il primo indizio era probabilmente la frase “infausta


mano”. L’infausta mano era la mano sinistra. La mano sinistra.
La mano sinistra… che cosa significava? Junpei guardò la sua
mano sinistra. Aveva il braccialetto al polso. Che “l’oscurità

7
Truth had gone, truth had gone, and truth had gone. Ah, now truth is
asleep in the darkness of the sinister hand.

276
dell’infausta mano” avesse qualcosa a che fare con il
braccialetto?

Lo esaminò da vicino. C’erano due bottoni, uno su ciascun


lato del display. Sul lato sinistro e sul lato destro del display.
Sinistro e destro… sinistro e destro… destro e sinistro… La
verità è andata… verità… andata…

Curioso… cosa significava? “Verità”, “andata”… magari


significavano qualcos’altro. Qualcosa che è “vero”,
naturalmente, significa qualcosa che è “corretto”; qualcosa di
“fatto”. In altre parole… qualcosa che è “giusto” – in inglese
“right”, che significa anche “destra”.

Ne conseguiva, quindi, che “andata” significasse “sinistra”.


Dopotutto, in inglese, se qualcuno se ne va, “left” (sinistra), se
n’è “andato”.

Se era così, quindi, si riferivano chiaramente alle direzioni


omonime nella lingua inglese. Sembrava avere senso. Junpei
guardò ancora il braccialetto: i due pulsanti, a sinistra e a
destra dello schermo.

Junpei li premette, prima il destro e poi il sinistro, poi


ancora il destro e il sinistro, e una terza volta il destro e infine
il sinistro. E così… uno dopo l’altro, otto numeri comparvero, e
poi scomparvero, dal display del braccialetto di Junpei.

Controllò un’altra volta, per essere sicuro. 1, 4, 3, 8, 3, 4, 2,


1. «14383421», disse Junpei. «Eh? Ehi, cosa sono quei numeri?»,
chiese Seven. Junpei non rispose. Non poteva rispondere. Non
aveva idea di che cosa fossero. Inoltre, era certo che si sarebbe
277
dimenticato i numeri, e l’ordine in cui erano apparsi, se avesse
detto qualunque cosa.

14383421… borbottando i numeri tra sé e sé, più e più


volte, Junpei si diresse alla camera da letto. 14383421… aprì la
porta dello sgabuzzino. 14383421, si trovò di fronte alla
cassaforte. Era l’unico dispositivo che gli veniva in mente che
richiedesse una serie di numeri come quella che aveva appena
scoperto.

Inoltre, qualcuno aveva già aperto la cassaforte almeno


una volta. Forse Clover era tornata alla camera da letto per
aprirla? 14383421… Junpei lentamente inserì i numeri che il
braccialetto gli aveva fornito.

Junpei sentì il piccolo suono di una serratura che si apre.


Afferrò la maniglia, prese un profondo respiro, e tirò. Dentro
c’era un pezzo di carta. Era approssimativamente della stessa
misura di quello che teneva Clover. Junpei lo prese. Ecco cosa
diceva:

“Fatto 1:

Il Nonary Game è stato giocato un’altra volta prima


d’ora, nove anni fa.

Fatto 2:

La persona con il braccialetto numero 2 ha giocato al


Nonary Game nove anni fa.

Fatto 3:

278
Fu pianificato dalle seguenti quattro persone:

 Direttore della Cradle Pharmaceutical:


Gentarou Hongou

 Principale della Cradle Pharmaceutical: Nagisa


Nijisaki

 Supervisore della ricerca e dello sviluppo della


Cradle Pharmaceutical: Teruaki Kubota

 L’azionista di maggioranza della Cradle


Pharmaceutical: Kagechika Musashidou

Devo punirli.

Per le vite innocenti che hanno sacrificato.

Questo è l’unico monito che riceveranno.

Quelle anime innocenti possono essere salvate. Sto


affermando la verità.

Zero.”

Junpei lasciò lo sgabuzzino. Cinque persone lo


attendevano nella camera da letto. Ace, Lotus, Santa, Seven, e
June. Li guardò uno alla volta, poi lentamente si mise le mani
in tasca: «Scusate, potreste venire tutti con me?» «Venire con
te?», chiese Ace. «Vorrei che veniste tutti alla stanza
dell’ospedale.» «Perché?», chiese Lotus. «C’è una cosa di cui
vorrei essere sicuro.»

279
«Di cosa…. Vorresti essere sicuro?», chiese Santa. «Voglio
sapere se la persona di cui sospetto è davvero il colpevole.»
«Aspetta… quindi, stai dicendo che…», iniziò Seven. «Sì. Penso
di aver capito. So chi ha ucciso Snake e Clover.» L’atmosfera
nella stanza cambiò. Il dolore sparì improvvisamente,
rimpiazzato da una tensione, come una cinghia di pelle tirata
fino al limite.

Cinque paia di occhi fissarono Junpei. Finse di non


accorgersene. «Ad ogni modo, se cortesemente poteste
seguirmi tutti alla stanza dell’ospedale… Vi spiegherò tutto
appena saremo lì.» Poi, come a suggerire di muoversi, la
campana iniziò a suonare.

La udirono tutti. Era la campana dell’orologio alle


scalinate principali. La campana suonò cinque volte, poi cessò.
Erano le cinque in punto. Gli mancava solo un’ora. «Non ci
rimane molto tempo. Andiamo.» Lentamente, uno ad uno,
seguirono Junpei fuori dalla stanza, e tutti raggiunsero la
stanza dell’ospedale.

«In effetti, prima di cominciare, speravo che poteste fare


una cosa per me.» Junpei si fermò di fronte alla porta 3 e si
voltò. «Ace, Seven e Lotus… potreste cortesemente porre i
vostri palmi sul RED?» «Uh?» «Eh?» «Perché? Se dobbiamo
andare alle docce, perché non…»

Junpei proseguì: «No, non entreremo dentro. Una volta


che vi sarete identificati, allontanatevi dalla porta.» «Perché?»,
chiese Seven. «Per favore, fallo e basta. O forse non vuoi sapere

280
chi ha ucciso Snake e Clover?» Quello che Junpei sottintendeva
era palese, e Seven capì perfettamente. «Ugh… okay.»

«E voi? Ace, Lotus?» Annuirono, e si identificarono


rapidamente. Una volta finito, si allontanarono dalla porta,
come Junpei aveva chiesto. Il display mostrava tre asterischi.
Junpei si avvicinò, e mise il suo braccialetto vicino allo
scanner.

Fece molta attenzione a non piazzare il palmo su di esso, e


invece solo a metterci il braccialetto vicino. Il quarto asterisco
comparve. Proprio come Junpei si aspettava. Era possibile
identificarsi senza mettere il proprio palmo sul RED, se il
braccialetto era portato vicino allo scanner. Junpei abbassò la
leva.

La porta 3 si aprì, come una bocca affamata. Nove lunghi


secondi passarono, e la porta si richiuse, non nutrita. Junpei
camminò lentamente verso gli altri, che aspettavano a poca
distanza dalla porta, parlando l’uno con l’altro. Santa e June li
avevano a loro volta raggiunti.

Sembrava che non avessero ancora trovato un modo per


inserirsi nella conversazione. Appena Junpei si avvicinò, tutti si
girarono a guardarlo, i volti pieni di curiosità. Chiaramente,
tutti stavano aspettando spiegazioni. «Grazie. Apprezzo la
vostra collaborazione.» Chiaramente, speravano in qualcosa di
più interessante. Junpei proseguì.

«Ad ogni modo, Ace… c’è qualche problema se ti faccio


qualche domanda?» «Che domanda?» «Tu sai… chi sono io?»

281
«C-cosa? Che razza di domanda…» «Rispondi e basta, per
favore. Chi sono io?» «Tu sei… Junpei. È ovvio. Chi altro
potresti essere?»

«Sfortunatamente, questa è la risposta sbagliata. In


effetti… io sono Santa.» «C-cosa?» La voce di Ace era piena di
sorpresa, e c’era anche una tinta di confusione, e di paura.
Anche gli altri erano sorpresi. Santa sembrava particolarmente
scioccato dalla scoperta di essere, in effetti, qualcun altro.

Se avesse parlato, comunque, la trappola sarebbe stata


smascherata. Junpei proseguì rapidamente: «I vestiti che
indosso, li ho presi in prestito da Junpei. E i vestiti che indossa
lui sono i miei. Abbiamo fatto un piccolo baratto.»

«Questo è ridicolo! Impossibile!» «Quindi, stai dicendo che


non sono Santa?» «Certo che non lo sei!» «Perché? Cosa ti
rende così sicuro che non sono Santa?» «Se tu fossi Santa, la
porta 3 non si sarebbe aperta poco fa! 1 + 7 + 8 + 3 fa 19! 1 + 9 fa
10! La radice digitale sarebbe 1! Ma noi quattro abbiamo
appena aperto la porta 3! Non puoi essere Santa! Il numero del
tuo braccialetto non è 3!»

«È 5. Giusto?» Solo allora, quando era ormai troppo tardi,


Ace comprese il suo errore. Serrò la mascella e guardò Junpei
con occhi furiosi. Junpei proseguì: «Hai perfettamente ragione.
Il numero del mio braccialetto è 5.» Mentre lo disse, Junpei
espose il suo polso per mostrare a tutti il luminoso 5.

«Mi spiace, Ace… ti ho imbrogliato. Ovviamente, non


sono Santa. Sono Junpei. Chi mai avrebbe potuto pensare che

282
lo fossi? È ovvio che non lo sono. Solo pensarlo è… ridicolo. Ma
tu non hai notato quanto era ovvio. Te l’ho chiesto prima, no?
“Cosa ti rende così sicuro che non sono Santa?” E tu hai
risposto… “Se tu fossi Santa, la porta 3 non si sarebbe aperta
poco fa!” La maggior parte della gente non direbbe una cosa
simile. Come ragione per cui io non potrei essere Santa,
intendo. La prima cosa che salterebbe alla mente di chiunque
altro non sarebbe il numero del braccialetto. Direbbero solo
una cosa. Una frase. “Tu non hai la sua faccia.” Ace. Tu hai la
prosopagnosia. Dico bene?»

La voce di Junpei era tranquilla e calma. Sapeva la verità.


E con lui, Ace. Poteva udire un improvviso brusio provenire
dagli altri… “Prosopagnosia?”, “Cos’è?”. Sentì Lotus iniziare a
spiegare. Ace li guardò furioso, poi si voltò nuovamente verso
Junpei e sospirò.

«Molto bene. Confesso. Ho la prosopagnosia. Non posso


distinguere i volti umani. È a questo che volevi arrivare? Vuoi
prenderti gioco di me per la mia malattia?» «No, no,
assolutamente no. Non mi sto prendendo gioco di te, nella
maniera più assoluta. Anzi, sono un po’ in pena per te. No, la
ragione è che… c’è un’altissima probabilità che la persona che
ha ucciso Snake abbia la prosopagnosia.»

Il volto di Ace si contrasse. I suoi occhi si serrarono. «Cosa


vuoi dire?» Junpei si appoggiò con disinvoltura alle sbarre di
acciaio di uno dei lettini. «Esattamente quello che ho detto.
Penso che sia stato tu, Ace. Tu l’hai ucciso.» Junpei fu
improvvisamente consapevole delle cinque paia di occhi
puntati su di lui.
283
Aveva conquistato la loro attenzione assoluta. La stanza
era diventata molto, molto silenziosa. Junpei prese un
profondo respiro. «Questo è ridicolo. Quali possibili prove
avr…» «Ho tre prove. La prima. Torniamo a poche ore fa. Alla
discussione sulle tre porte di questa stanza. Non c’era modo per
cui tutti e sette potessimo passare. Lotus suggerì di sacrificare
uno di noi.»

Lotus guardò goffamente altrove. Junpei le diede un


rapido sguardo e proseguì: «E tu, Ace, dicesti… “Rimarrò io
qui.” Perché dovresti dire una cosa simile? È molto semplice,
davvero. Non volevi che vedessimo il cadavere nelle docce.
Vedete, se Ace fosse rimasto indietro, avremmo potuto aprire
solo due porte… la 7 e la 8. Che è quello che abbiamo fatto.
Non c’era modo di passare per la porta 3 – le docce. E tu lo
sapevi, vero Ace? È per questo che ti sei offerto volontario per
rimanere indietro.»

«Eddai, penso tu stia fraintendendo un bel po’… posso


capire che tu sia invidioso del mio coraggio, ma… per favore,
non svalutare così le mie azioni. Volevo solo salvare voi altri.
Di sicuro potrai comprendere il mio altruismo…»

«Altruismo, eh… Tu lo sapevi già, non è vero? Sapevi che


qualunque porta avessimo preso, poi saremmo tornati nella
stanza d’ospedale…»

«Ma che stai dicendo? Ovvio che non lo sapevo! Come


avrei potuto saperlo?» «Davvero?» «Sì! Sì!» Le suppliche non
erano qualcosa che avessero sentito da Ace prima d’allora.

284
Junpei proseguì: «Capisco. Molto bene. Be’, ho ancora due
prove che suggeriscono che l’assassino sei tu. La seconda è che,
come ho detto, hai la prosopagnosia.» «Stai dicendo che una
persona che non può distinguere i volti umani deve essere una
cattiva persona? Junpei, questo si chiama pregiudizio.»

«No. Non sono così stupido.» «E allora perché?» «Be’,


prima di spiegarlo, suppongo ci sia qualcosa che dovrei dirvi. Il
cadavere nelle docce… non è quello di Snake.» «Che… cosa?»
Il volto di Ace impallidì. Gli altri erano altrettanto confusi. Se
il corpo non era di Snake…

«Non ve l’ho detto prima, ma c’è una cosa che mi ha


raccontato Clover… mi ha detto che il braccio sinistro di Snake
è una protesi. Ha perso il braccio in un incidente. Ma il corpo
che abbiamo visto nelle docce – chiamiamolo “Mister X”… il
braccio sinistro di Mister X era chiaramente fatto di carne e
sangue. In altre parole, Mister X non può essere Snake.»

«Oh mio Dio… no… è impossibile…» Ace aveva iniziato a


bofonchiare e delirare tra sé, scuotendo la testa avanti e
indietro. Junpei era tutto fuorché in pena: «Diciamo che,
ipoteticamente, l’assassino non avesse la prosopagnosia. In tal
caso, si sarebbe accorto immediatamente che Mister X non era
Snake. Anche se i vestiti erano gli stessi di quelli di Snake, i
loro volti sarebbero stati completamente diversi. Sarebbe stato
ovvio che si trattava di persone diverse. Eppure, questo
assassino l’ha comunque ucciso. Perché? Perché uccidere un
estraneo che aveva semplicemente fatto la sua comparsa?»

285
Ace non disse nulla. Junpei proseguì: «D’altro canto, se
ammettiamo che l’assassino aveva la prosopagnosia, tutto ha
senso. Credeva che Mister X fosse Snake e l’ha ucciso.»
«Aspetta. Aspetta solo un attimo. Ammettiamo che tu abbia
ragione, e che io ho scambiato Mister X per Snake. Anche in
questo caso, non avrei motivo di ucciderlo! Perché avrei dovuto
voler uccidere Snake?»

«Posso pensare ad almeno due motivi. Uno, Snake


conosceva il tuo passato. Se avesse rivelato ciò che sapeva,
sarebbe stata una gran brutta cosa per te. Tu non volevi che
questo accadesse. Quindi, per assicurarti che Snake stesse
muto, hai dovuto ucciderlo. Secondo, Snake cova del rancore
verso di te. Tu lo sapevi, o quantomeno potevi sospettarlo
ragionevolmente. Anche senza esporre la tua identità, per te
costituiva un pericolo. Non potevi sapere quando saresti stato
attaccato. Non avresti mai potuto abbassare la guardia. In ogni
momento avrebbe potuto fare qualcosa. Non volevi che un
simile pericolo aleggiasse su di te, quindi tu…»

«Ehi, aspetta un minuto.» Per la prima volta dall’inizio


della spiegazione di Junpei, qualcuno oltre ad Ace parlò. Era
Santa, che proseguì: «Cos’è questo passato di Ace che non
vuole che conosciamo? Perché Snake covava del rancore verso
di lui?» «Guarda qua.» Consegnò a Santa un pezzo di carta.

Santa guardò il foglio, e iniziò a leggere. «”Il Nonary


Game è stato giocato un’altra volta prima d’ora, nove anni fa.
La persona con il braccialetto numero 2 ha giocato al Nonary
Game nove anni fa. Fu pianificato dalle seguenti quattro
persone: Direttore della Cradle Pharmaceutical: Gentarou
286
Hongou”… cosa… è questo…?» Lentamente, Santa sollevò lo
sguardo. I suoi occhi incontrarono quelli di Junpei.

«È un messaggio di Zero. Era nella cassaforte della cabina


di prima classe.» Poi, all’improvviso… «Datemi una tregua!» Il
volto di Ace era rosso e tremava, e la voce era piena di furia e
disperazione. «Quel foglio mente! Qualcuno sta tentando di
incastrarmi!»

«Incastrar”ti”? Hai detto “ti”, vero?» Gli occhi di Junpei si


strinsero, e la trappola iniziò a chiudersi. Ace inspirò
bruscamente. I suoi occhi scattarono da Junpei a qualcos’altro.
Questo significa che ammetti di essere Hongou, il direttore
della Cradle Pharmaceutical? O sbaglio?»

Il colore svanì dal volto di Ace, e appena realizzò ciò che


aveva fatto, i suoi occhi si allargarono. «Molto bene. Lo
ammetto. Sono il direttore della Cradle Pharmaceutical,
Gentarou Hongou. E quindi? Non so nulla su questo Nonary
Game che presumibilmente ha avuto luogo nove anni fa. Tutto
quel che c’è scritto su quel pezzetto di carta è una stronzata.
Qualcuno cerca di tendermi una trappola, vedete! Prima di
tutto; prima di tutto…» Ace balbettò mentre cercava
disperatamente di trovare una posizione più sostenibile.

«Junpei, stai dicendo che ho fatto tutto questo da me.


Pensaci, okay? Come potrei avere ucciso Snake da solo?» «Non
Snake. Era Mister X.» «Non importa chi fosse! Hai detto che
l’assassino ha messo quest’altro tizio nella porta 3, giusto?» «Sì,
può darsi.»

287
«Quindi non posso averlo fatto da solo. Non posso aver
aperto la porta 3, solo io e Mister X.» «No. Sì che hai potuto.»
Tutti furono scioccati. Il volto di Ace era teso e contratto, i suoi
denti digrignavano. Junpei lo guardò con sguardo fermo. La
trappola stava per scattare.

«In effetti, Ace… mentre eri addormentato, ho preso


qualcosa da te. Ricordi quando ti sei iniettato l’anestetico e ti
sei addormentato nella stanza d’ospedale, qui? Be’, in quel
momento. Io… ho preso questo.» Junpei si mise la mano in
tasca. «No! Non puoi averlo…” La mano destra di Ace scattò.

Junpei sorrise. «Fregato, Ace. La tua mano destra dice


tutto quello che avevo bisogno di sapere. Vorresti dirmi cosa ti
preoccupa così tanto? Cosa c’è nella tua tasca? È il braccialetto
numero 9, vero? Ace, Mister X e il braccialetto del nono uomo.
Era tutto quel che ti serviva per aprire la porta 3.»

1 + 2 + 9 = 12 -> 1 + 2 = 3

«Ecco come hai ucciso Mister X tutto da solo, Ace! Tutto


ciò di cui avevi bisogno era il braccialetto numero 9, nella tua
tasca! Ace abbassò la mano da dove si era fermata, vicina alla
tasca. Guardò il pavimento, il volto nascosto a Junpei. Tutto
quello che poteva vedere era l’angolo della bocca di Ace, con
spasmi simili a quelli di un pesce morente.

«Se vuoi fingerti innocente, fa’ pure. Forza, dimmi “Non


ho il braccialetto”, se è quello che vuoi fare. Ma se potessi
toglierti la giacca e lasciarmi controllare, lo apprezzerei molto.
Altrimenti, dovrò prenderla con la forza. Giusto, Seven?»

288
«Certo. Sarà un piacere.» Seven si schioccò le nocche con un
suono simile ad uno sparo.

Ace ruggì in una risata delirante. Allargò le braccia e tirò


indietro la testa e rise, riempiendo la stanza con un suono che
certo non gli apparteneva. Poi si fermò. Le braccia scesero, e la
testa ritornò a guardare avanti, verso Junpei. Il suo viso era
piatto e freddo, privo di qualsiasi emozione.

«Ben fatto, Junpei. Come hai correttamente dedotto, ho io


il braccialetto numero 9. L’ho ritrovato mentre cercavamo
l’hardware mancante per il RED. Ho lasciato perdere la stanza
in cui avrei dovuto cercare, e mi sono diretto alla cabina di
prima classe del ponte B.»

La sua voce non mostrava alcuna emotività, nessun segno


di rimorso o interesse. Era quasi… annoiata, come se stesse
leggendo un contratto aziendale particolarmente tedioso.

«Il mio scopo era ottenere il braccialetto 9. Il 9 è un


grandioso alleato nel Nonary Game. Aggiungendo 9 a
qualsiasi serie di numeri non si altera la radice digitale. Con
quel braccialetto, uno può andare ovunque, con chiunque. Così
ho raggiunto la cabina di prima classe, per ottenerlo. Ho
trovato anche qualcosa che non mi aspettavo – il coltello del
nono uomo. Sono tornato dove avrei dovuto essere, e allora ho
incontrato… Mister X, scambiandolo per Snake. “Snake” si
faceva i fatti suoi nella stanza dell’ospedale, e non mi aveva
notato. Mi sono assicurato che continuasse a non notarmi, e
l’ho seguito. Dietro di lui, a bassa voce, l’ho chiamato…
“Snake…”.»
289
L’uomo si voltò, ma nessuna risposta uscì dalla sua bocca.
Sembrava stordito, come un uomo mezzo addormentato. Forse
era stato drogato? Per Ace questo non importava, dacché era
sicuro che si trattasse di Snake. Sapeva che Snake aveva fatto
parte del Nonary Game nove anni prima.

Snake non aveva riconosciuto Ace immediatamente, ma


era cieco. La cosa aveva senso. Perché, quindi, Snake non gli
aveva detto nulla? Di certo non si era dimenticato di ciò che gli
era successo nel Nonary Game, eppure non una volta tentò di
fronteggiare Ace. Forse, la mancanza della vista gli impedì di
riconoscere Ace.

O forse Snake aveva cospirato con Zero per raggirare Ace.


In ogni caso, era una minaccia, ed era meglio occuparsene il
prima possibile. Ace aveva deciso. Si mosse. Mise il braccialetto
9 vicino al RED. Poi il suo braccialetto, e infine afferrò il
braccio di “Snake”, spingendolo a forza contro lo scanner.

La porta si aprì, e Ace scagliò dentro l’uomo. Nove secondi


dopo, la porta si chiuse. Trascorsero ottantuno secondi. L’uomo
oltre la porta trapassò.

«Dopo di ciò, sono tornato al mio posto come se nulla


fosse accaduto. Dopo aver condotto le mie ricerche, sono
tornato alla stanza dell’ospedale quando è suonata la campana
dell’una.» Gli occhi di Ace erano freddi, le guance incavate e
ceree. Mentre parlava, solo le labbra e la lingua si muovevano.
Il resto del volto era spaventosamente immobile.

290
Junpei osservò Ace. Prese un profondo respiro, e pensò
alla prossima domanda che aveva da porre. Non voleva. Aveva
paura della risposta. Non voleva sentirla. Junpei deglutì, e poi
parlò: «Ace… Hai ucciso Clover?» «Sì.» «Perché… perché l’hai
uccisa?»

«Era la sorella di Snake. È possibile che le avesse detto


qualcosa di pericoloso. Inoltre, era passata per la porta 1. È
probabile che l’avesse trovato.» «Trovato cosa?» «Perché non
vai nella porta 1 tu stesso? Forse è nascosto lì da qualche
parte.»

Seven e Lotus li interruppero. «Sì, ma anche io e Lotus


siamo passati per la porta 1.» «Non abbiamo trovato nulla di
sospetto.»

Ace proseguì: «Be’, per quelli che sono stati i vostri


resoconti, dubito che voi due poteste trovarlo. Ma forse Clover
era diversa. Forse lei l’aveva trovato. E io dovevo trovare lei. E
alla fine l’ho trovata, nella cabina di prima classe. Le ho parlato
molto lentamente. “L’hai visto?” “V-visto cosa?” “Non fare finta
di non capire. Eri nel quartier generale del Capitano, no?” “Uh?
Di cosa stai parlando?” “Molto bene.” “…” “Ad ogni modo, cosa
fai qui, Clover?” Cosa? Nulla…” “C’è del sangue sulle tue
scarpe. Sembra fresco.” “…” “Sei andata a dare un’occhiata al
cadavere del nono uomo?” “…” “Il tuo silenzio suggerisce che
l’hai notato. Hai visto qualcosa, non è così? Hai visto che il
braccialetto è sparito.”»

Clover corse via. Cercò un’uscita, ma Ace le sbarrava la


strada. La prese per il colletto e la sbatté violentemente al
291
suolo. Lei balzò indietro e guizzò oltre di lui, nel corridoio. Ace
la seguì di corsa. Lui fu più veloce.

«Ecco come ho ucciso Clover.» Il suo volto non era


cambiato. Se provava colpa, rimorso, o qualsiasi altra cosa
potesse sentire per aver tolto la vita ad un altro essere umano,
non la mostrò.

«Figlio di puttana…» L’intero corpo di Seven tremava di


rabbia, la sua voce rimbombava di odio. Gli occhi di Santa
erano iniettati di sangue e i volti di Lotus e June erano stravolti
da collera ed odio.

Ace li guardò e sorrise. Fu un sorriso freddo e crudele,


senza umore. Scosse la testa e sospirò: «Lo ammetto… ho
perso. Ho perso, completamente e assolutamente. Ma non
fraintendermi, Junpei. Non sei stato tu a fregarmi. È stato Zero,
non tu. Sono disgustato da me stesso per essere caduto in una
trappola così semplice. Ed era una trappola, senza ombra di
dubbio. Sono stato intrappolato e manipolato da Zero. L’uomo
che ho ucciso nelle docce… Se non è Snake, non ho idea di chi
sia. Ma indossava i vestiti di Snake, e questa non è una
coincidenza. Inoltre gli era stato iniettato qualcosa che ha
ridotto la sua percezione e gli ha impedito di resistermi. E non
dimentichiamo le componenti hardware che sono state rimosse
dai RED prima che arrivassimo. Non ho alcun dubbio, Zero ha
pianificato tutto questo. Zero ha fatto sì che io uccidessi
quell’uomo. Ne consegue, naturalmente, che Zero sapeva tutto
quello che avrei fatto. Che avrei cercato di ottenere il
braccialetto numero 9, che avrei cercato di uccidere Snake…
Tutto…»
292
Improvvisamente, Junpei ricordò il foglio che aveva
trovato nella cassaforte. Ricordò le ultime parole che Zero vi
aveva scritto.

“Devo punirli.

Per le vite innocenti che hanno sacrificato.

Questo è l’unico monito che riceveranno.

Quelle anime innocenti possono essere salvate. Sto


affermando la verità.

Zero”

E ricordò altre parole, parole che aveva udito da Clover.


«Penso che Zero sia… uno di noi…» Uno ad uno, Junpei
guardò le cinque persone che erano con lui. Ace, Santa, June,
Seven, Lotus. “Zero è… uno di noi…” No… Junpei si fermò.
C’era anche un’altra persona…

Snake. Era ormai chiaro che l’uomo morto nelle docce


non era Snake. Questo significava che Snake era quasi
certamente ancora vivo. Forse Snake era Zero. Forse Snake
aveva fatto indossare i suoi vestiti a Mister X per farlo apparire
morto. Dov’era Snake adesso? Forse era da qualche parte, a
ridere di loro…

Se era Zero, di certo aveva mentito su molte altre cose…


Li stava osservando?

«Bene… credo di aver concluso con la mia confessione.


Perché non ci muoviamo?» Sembrava come se Ace pensasse di
293
non aver parlato di qualcosa di più interessante che descrivere
il tempo. Per Santa, fu la goccia che fece traboccare il vaso:
«Ma che cazzo dici, stronzo! Tu non vai da nessuna parte, figlio
di puttana! Lasceremo il tuo culo qui a marcire!»

«Perché? Perché ho ucciso Clover? È ridicolo. Perché ti


turba così tanto che io abbia ucciso quella troietta? Non era
nessuno, per te. Un’estranea che hai incontrato poche ore fa.
Sbaglio?»

«Bastardo!» Seven ruggì, e sferrò un pugno che avrebbe


probabilmente distrutto la mascella di Ace… ma qualcuno fu
più veloce. Fu Lotus. Andò verso Ace, e gli assestò un pugno
dritto sul naso.

«Oh, che peperino. Lo confesso, mi piacciono le donne


tenaci.» Tirò su col naso, e si pulì alcune gocce di sangue che
scendevano alzando le sopracciglia.

«Bene, allora magari ne vuoi ancora?», gridò Lotus. «Ah,


prima però… lascia che te ne dia uno dei miei.» «Uh?» Lotus
ebbe a malapena il tempo di batter ciglio. Ace avvolse il
braccio attorno a lei e tirò Lotus a sé.

Nello stesso momento, si mise l’altra mano nella tasca


della giacca. Era una pistola. La rivoltella. Quasi pigramente, la
puntò alla testa di Lotus. «Se chiunque di voi osa batter ciglio,
non esiterò a premere il grilletto. Ho già ucciso due – no, tre
persone. Non pensate che non sia pronto a raggiungere il
quattro.»

294
«Tre persone? Che intendi?», chiese June. «Uhm, bene.
Coglierò questa opportunità per illuminarvi. Sono stato io ad
uccidere il nono uomo. O, per essere più accurato, l’ho
incoraggiato ad uccidersi da sé. Mentre stavamo esaminando le
scalinate principali, mi ha raggiunto e mi ha detto il suo nome.
L’ho riconosciuto subito. Così gli ho dato una piccola… spinta.
Con una piccola piccola bugia. “Sembra che le impostazioni dei
DEAD siano cambiate. Ora basta una sola persona per
disattivare il detonatore nel braccialetto. Investiga su cosa c’è
oltre la porta 5. Ci ritroveremo più avanti.” Avevo quattro
ragioni per ucciderlo. Come detto prima, nel Nonary Game il
braccialetto 9 è di massima importanza. Se gli avessi permesso
di tenerlo, lui – o esso – sarebbe diventato una minaccia, per
me. Così, ho deciso che dovevo eliminarlo alla svelta. Seconda
ragione: volevo il braccialetto 9. Se avessi potuto ottenerlo,
avrei potuto manipolare il gioco a mio piacimento. Ma non
potevo ottenerlo a meno che il possessore non fosse morto.
Terza, anche al di là del numero, non avrebbe rappresentato
altro che problemi per me. Conosceva il mio passato. Sapeva
cosa era accaduto nove anni fa. Era fondamentale eliminarlo
prima che potesse diffondere questa informazione. Ultimo,
volevo fare un test. Un test per vedere se questo Nonary Game
era serio, oppure solamente uno scherzo. Dovevo
accertarmene. Così, l’ho incoraggiato ad andare contro le
regole per osservare il risultato.»

Junpei lo fissò: «Non ho colto il terzo motivo. Che diavolo


è successo nove anni fa?» «Non l’ho detto? Ebbe luogo un
primo Nonary Game. Fui io a pianificarlo, e a condurne
l’esecuzione.» «Perché? Perché cazzo l’hai fatto?» «Non credo tu

295
sia nelle condizioni di obbligarmi a dirtelo.» Ace fece un
sorriso compiaciuto. Cercava di provocarli, e stava
funzionando.

Anche se Ace aveva prestato ben poca attenzione a Lotus


dopo averla catturata, la pistola non si era mai allontanata
dalla sua tempia. Lotus era piuttosto pallida, e quando parlò, la
sua voce tremava: «Ma… e questa pistola? Dove… dove l’ha
presa?» «Perché non glielo dici tu, Santa?»

Santa mostrò i denti affilati e fissò furiosamente Ace:


«Oltre la porta 6. Abbiamo trovato la pistola in una bara nel
magazzino… il bastardo deve averla presa mentre non
guardavamo.» «Esattamente. È stato un grave errore, sapete…
e dire che volevate lasciarla lì!» Ace rise – una corta, decisa
risata – e lanciò a Junpei un’occhiata di finta compassione.

«Be’, non manca molto tempo. Io vado.» «D-dove vai?»,


chiese June. Ace rispose: «Devo davvero spiegarlo? Pensavo
fosse ovvio. Ho il braccialetto numero 9. E ora ho Lotus.»

9 + 8 + 1 = 18 -> 1 + 8 = 9

«Non c’era mica una porta col 9 nella stanza che sembrava
una chiesa? È lì che stai andando, vero?», esclamò Seven. «E
come fai tu a saperlo?» «Me l’ha detto Santa mentre cercavamo
Clover.» «Capisco. Be’, dici bene, è la mia destinazione, ma ora
devo dare l’addio a tutti voi. Ah, e per favore, non dimenticate
il mio avviso. Muovetevi, e premerò il grilletto. Non mi serve
viva per aprire la porta, lo sapete.»

296
Mentre parlava, Ace iniziò a indietreggiare verso la porta,
praticamente trascinando Lotus con sé. Junpei, Santa, June e
Seven rimasero immobili, congelati. Ace aveva l’espressione di
un uomo divenuto pazzo. Non avevano dubbi sul fatto che
avrebbe davvero premuto il grilletto.

Ace raggiunse l’uscita. Forzò Lotus ad aprirla, poi si voltò


e parlò al gruppo ancora una volta: «Addio.» Poi varcò la
soglia. Si chiuse. In un batter d’occhio, se n’erano andati. Non
appena Ace e Lotus se ne furono andati, Junpei e gli altri
corsero verso la porta, all’inseguimento di Ace.

Ma appena Junpei mise la mano sulla maniglia, ci fu un


rumore dietro di lui. Si voltò. June era in ginocchio sul
pavimento, respirando affannosamente. «Ehi! June, che è
successo? Stai bene?» Santa corse verso June e le avvolse il
braccio attorno prima che potesse crollare così.

«Gesù, stai bruciando! La febbre è tornata… stai bene?» La


febbre di June era ritornata, di nuovo senza apparenti ragioni. I
suoi occhi erano bagnati, e le palpebre abbassate. Il suo respiro
si tramutò in rantoli secchi e deboli. «Sto bene… davvero, sto
bene… dovreste… preoccuparvi per Lotus…»

Respirava affannosamente ora, e poteva a malapena


raccogliere le forze per parlare. Junpei era combattuto. Non
poteva lasciare sola June in quello stato… ma per ogni
momento di esitazione, Ace si allontanava, con la vita di Lotus
tra le sue mani.

297
Cosa doveva fare Junpei? Gli occhi di June si posarono su
di lui. Lei riuscì ad esprimere un debole sorriso: «Jumpy…
non… preoccuparti per me. Mi serve solo… un po’ di riposo.
Starò bene. Non ti… ricordi? Dovevo solo riposare… un po’…
l’ultima volta. Quindi, per favore… per favore… salva Lotus…»

Seven si intromise: «Pensa a quel che ha già fatto Ace,


Junpei. Quando avrà ottenuto ciò che gli serve da Lotus, pensi
davvero che la lascerà semplicemente andare via?»
«Maledizione!» «Voi due andate! Appena June si sentirà
meglio, vi raggiungeremo! Andate!», gridò Santa.

Junpei guardò June. Lei annuì. Non poteva fare molto di


più. Ma era tutto ciò di cui Junpei aveva bisogno. Ora era
determinato. «Bene! Forza Seven, seguiamo Ace!» «Diavolo, sì!»
«Santa, prenditi cura di June! Mi fido di te!» Santa annuì.
Junpei si voltò, prima di avere la possibilità di cambiare idea, e
corse verso la porta.

Poteva sentire i pesanti passi di Seven dietro di lui.


«Andiamo!» Junpei e Seven corsero lungo il corridoio, i loro
piedi martellanti sul pavimento di metallo. Infine raggiunsero
la chiesa, esausti e senza respiro. Mentre i loro polmoni
lottavano per dell’ossigeno, i loro occhi esaminavano
freneticamente la zona. Nessun segno di Ace o Lotus.

«Pensi che siano già andati?» Seven si asciugò il sudore


sulla fronte. «Può darsi.» Mentre parlava, Junpei si stava già
avvicinando alla larga porta col numero 9. Guardò il RED. Il
display diceva “LIBERO”. Si voltò e si diresse alla porta più

298
piccola. Questo RED gli avrebbe detto se Ace e Lotus erano
passati di lì.

«“OCCUPATO”», lesse Junpei. «Quindi sono passati di


qui.» «Sì, così pare.» Junpei e Seven si allontanarono dalla
porta. Indietreggiarono al centro della stanza, e Seven iniziò a
parlare: «Cosa facciamo adesso…?» «Eh, cosa facciamo… be’, la
porta grande è ancora vuota, ma…» «Noi due non possiamo
farcene nulla.»

«Già. Prima di tutto, la nostra radice digitale non è 9.»


Mentre ponderavano sul da farsi, udirono un rumore. Un
rumore come di qualcuno che colpisce uno spesso pannello di
legno. Junpei guardò in su, sorpreso. Seven seguì, gli occhi che
indagavano nella stanza, cercando la sorgente del suono.

Non ci volle molto a trovare l’altare. O, più precisamente,


ciò che stava lì sopra. «La bara…», disse Junpei. «Sì…»,
continuò Seven. «Apriamola!» «Come?» «Con la forza!» «Non
penso funzionerà…» «Be’, non puoi saperlo finché non provi,
no? “L’unica cosa necessaria per il successo è la forza di volontà
per sopportare mille fallimenti!”», disse Junpei. «Chi l’ha
detto?» «Mi sono dimenticato… Ad ogni modo, dobbiamo
tentare!»

Junpei e Seven si precipitarono verso la bara. Afferrarono i


punti in cui si poteva afferrar qualcosa, e tirarono. «Visto? Te
l’ho detto! Se si potesse semplicemente tirare, non avrebbe una
cosa simile.» Seven indicò una tastiera numerata a lato della
bara.

299
«Capisco… quindi finché non inseriamo la password, non
si aprirà.» Il rumore non si era fermato. Di fatto, era
continuato, ed era anzi diventato più forte. Che cosa dovessero
fare, si chiese Junpei. C’era qualche indizio da qualche parte?
Rimasero fermi per qualche momento, fissando la bara, e poi
Seven parlò.

«Ehi, Junpei… mi ricordo che stavi bofonchiando dei


numeri strani al bagno nella cabina di prima classe… li avevi
ottenuti capendo il messaggio segreto che aveva Clover, giusto.
“La verità è andata”, una cosa così.» «Sì, è vero… Quindi?» «Be’,
magari è la password anche per questa bara.»

«Eddai, è impossibile. I numeri servivano a sbloccare la


cassaforte.» «Sì, ma la persona che ha messo quella cassaforte e
questa bara è la stessa persona, giusto? Zero le ha piazzate
entrambe.» «Sì, probabile.» «Bene, quindi potrebbe aver scelto
la stessa password.»

«È ridicolo…» «Perché non provi? Voglio dire, di certo le


cose non possono peggiorare.» «Sarebbe solo una perdita di
tempo. Non può essere lo stesso codice.» «Come fai a saperlo?
Non puoi esserne sicuro finché non provi. “L’unica cosa
necessaria per il successo è la forza di volontà per sopportare
mille fallimenti!”», disse Seven. «E chi l’ha detto?», disse Junpei.
«Tu.»

«E va bene.» Si inginocchiò di fronte alla tastiera e la


guardò. Forse fu per il fatto di esserseli ripetuti così tante volte,
ma i numeri gli tornarono facilmente in mente. 14383421.

300
Rapidamente, li digitò. Controllò di avere inserito i numeri
corretti, prese un profondo respiro, e premette E.

LOCK-OPEN.

«Che… Dev’essere uno scherzo…» Ci fu un clic. E con un


tonfo pesante, il coperchio della bara scivolo via, cadendo al
suolo. Qualcuno si alzò dall’interno.

«Snake!» «Tu… perché…?» «Ah, queste voci… Junpei e


Seven, se non mi sbaglio? Dove sono gli altri? Da un’altra
parte?»

Ovviamente, non c’era alcuna ragione per cui Snake


avrebbe dovuto sapere qualcosa su dove si trovassero gli altri.
Junpei e Seven si guardarono l’un l’altro. C’erano parecchie
cose che doveva sapere, ma…

Ad ogni modo, qualcosa dovevano dirglielo, così


iniziarono a parlare. Snake spiegò loro come venne rinchiuso
nella bara – apparentemente, era stato colpito da un qualche
tipo di urto – mentre Junpei e Seven gli spiegarono cosa era
successo al resto di loro.

C’era una cosa, comunque, che né Seven né Junpei


riuscirono a dire… che Ace aveva ucciso Clover. Temevano
che se Snake l’avesse saputo, avrebbe potuto impazzire.
Decisero di non dire nulla con una semplice occhiata, nel
momento in cui Snake era uscito dalla bara.

La storia di Snake spiegava deludentemente poco. La vera


identità di Zero rimaneva avvolta nel mistero, e con essa le sue
301
intenzioni. Perché Zero aveva messo lì Mister X con i vestiti di
Snake? Zero aveva lasciato loro una nota dicendogli che il
Nonary Game era stato giocato nove anni prima… c’era
qualche collegamento?

Junpei pose la domanda a Snake. La sua risposta fu tutto


fuorché illuminante: «Di cosa stai parlando? Mi spiace, ma non
ho idea di quel che dici.» Sembrava che Snake non fosse
completamente onesto, ma anche sapendolo Junpei e Seven
non potevano fare molto.

Non importa quante volte chiedessero, lui insisteva di non


sapere nulla. Stava diventando chiaro che Snake non avrebbe
parlato, e ogni secondo passato a chiederglielo era un secondo
sprecato. Si stavano avvicinando al tempo limite. La fuoriuscita
di Snake dalla bara non aveva cambiato nulla – dovevano
ancora seguire Ace più velocemente possibile.

Ad ogni modo… si fermarono in silenzio, l’opprimente


atmosfera della cappella quasi asfissiante. Junpei, Seven e
Snake semplicemente si fermarono, senza la minima idea di
cosa avrebbero dovuto fare. Junpei guardò il polso di Snake:
«Cosa facciamo adesso?» Poteva vedere il 2 sul braccialetto.

«Noi tre non possiamo formare una radice digitale di 9»,


disse Snake. «Già… facciamo 5.» «Siamo bloccati qui, quindi»,
sospirò Snake. «Oh… ehi, mi sono appena ricordato una cosa.»
Seven iniziò a dare colpetti alle sue tasche, come per
controllare se una di esse contenesse qualcosa.»

302
«Cosa?» «Cosa c’è?» «Io, eh… ho trovato una cosa,
prima…» «Cosa hai trovato?» «Questo.» Aveva finalmente
trovato la tasca che voleva, e vi infilò la mano. Seven estrasse
qualcosa di rotondo, e metallico. Un braccialetto. Non c’era
dubbio sul numero che brillava davanti a loro, come un occhio
disegnato.

«0… Il braccialetto di Zero…» disse Junpei. «Che diavolo?


Stai dicendo che Seven ha il braccialetto con lo 0?», chiese
Snake. «Dove l’hai preso?», proseguì. La domanda di Snake era
ingenua e lui non era al corrente di nulla, ma… se avesse
saputo la verità… Se avesse potuto vedere, avrebbe notato
Seven guardare altrove.

«Clover… me l’ha dato.» «Clover?» «Sì…» «E lei come l’ha


avuto?» «Be’, l’ha trovato, sai… Oltre la porta 1, ponte A. Nel
quartier generale del Capitano. Mi ha chiesto di tenerlo perché
era troppo grande e ingombrante per lei, per trascinarselo
dietro.»

Era una menzogna, e Junpei lo sapeva. “Non l’ho ancora


guardato [il pezzo di carta di Clover]. Non volevo alterare la
scena del crimine, hai presente? Roba di base. Be’, ho preso una
cosa in realtà.”

Seven disse: «Bene, Junpei. È stato bello conoscerti.»


«Cos… cosa?»

7+2+0=9

«Andiamo, stavo solo scherzando. Però, giusto per


sicurezza, voglio controllare se il braccialetto 0 viene rilevato
303
dal RED. Snake, dammi una mano, ok?» Senta attendere una
risposta, si diresse verso la porta. Junpei e Snake lo seguirono,
con calma.

In breve tempo, si ritrovarono di fronte alla più larga delle


due porte. Seven e Snake posero i propri palmi sul RED. Dopo
averlo fatto, Seven avvicinò il braccialetto numero 0 allo
scanner. Un terzo asterisco comparve sul display. Ora
avrebbero solo dovuto tirare la leva, e la porta si sarebbe
aperta.

Invece, la scritta “ERRORE” comparve sul display. «Uh?


Perché non si apre?», chiese Junpei. «Uhm… be’, il terzo
asterisco c’è, quindi… il braccialetto dovrebbe essere stato
identificato», disse Seven. «Magari non è davvero uno 0»,
intervenne Snake.

«Uh?» «Cosa?» «Quel braccialetto, potrebbe produrre un


numero diverso da 0 quando viene identificato. Perché non
proviamo altre combinazioni? Forse riusciamo a determinare il
numero che effettivamente contiene.» Junpei annuì.

Decisero di provare la combinazione con Snake, Junpei e il


braccialetto 0. 2 + 7 = 9. Se il braccialetto avesse funzionato, il
suo numero sarebbe stato 2. Ad ogni modo, la porta non si aprì.
Il misterioso braccialetto non era un 2.

Junpei proseguì tentando con il suo braccialetto, quello di


Seven e lo 0. 5 + 7 = 12 -> 1 + 2 = 3. Se avesse funzionato, allora
il numero del braccialetto sarebbe stato un 6. Identificarono i
loro braccialetti. «Si è aperta…» «Sì, così pare.»

304
Seven chiaramente non aveva pensato che i loro
esperimenti avrebbero portato a qualcosa di utile, ed era
piuttosto confuso. Snake era, come sempre, calmo e
compiaciuto. La porta si richiuse.

La fronte di Junpei si corrugò mentre lui pensava. «Questo


significa che il numero del braccialetto misterioso è un 6…»
Ma come faceva ad essere un 6? Il display sul braccialetto
mostrava chiaramente uno 0.

Improvvisamente, da qualche parte molto sotto di loro,


udirono lo stridio e il cigolio di metallo dilaniato. Con esso, li
raggiunse il suono di acqua riversantesi in parti della nave che
erano, fino ad allora, rimaste asciutte.

«Ragazzi, non va per niente bene… mi sa che il tempo sta


per finire, eh?», disse Seven. «Ad ogni modo, sappiamo che la
porta può essere aperta. Andiamo!», disse Snake. «Ma… Snake,
sei sicuro?» «Già… sai che solo io e Junpei possiamo andare…»

«Non c’è bisogno che vi preoccupiate. Ho una soluzione a


questo problema. La mia ultima risorsa, e se questo non è il
momento per le ultime risorse, quand’altro potrebbe essere?»
«L’ultima…» «… risorsa?»

Junpei e Seven si identificarono insieme allo strano


braccialetto. La porta si aprì, ed entrarono tutti, Snake
compreso. Trovarono il RED e si identificarono anche lì. I tre
corsero, più che poterono, lungo un dritto corridoio. Erano
diretti alla poppa della nave, e non c’era tempo per distrarsi.

305
Mentre correvano, Seven parlò: «Devo ammetterlo, mi hai
davvero sorpreso lì dentro, ragazzo. Non avrei mai immaginato
che avresti trovato un modo per venire. Ma perché non l’hai
fatto anche le altre volte?»

«Come ti ho detto, era l’ultima risorsa. Se l’avessi usata


all’inizio del gioco, avrei destato moltissimi sospetti. Immagino
che molti di voi avrebbero ritenuto che significasse che io sono
Zero. Una volta convinti di ciò, sarei molto ottimista a pensare
che sarei uscito vivo di qui, e indenne. Ho sentito che sarebbe
stato meglio tenere nascoste le mie carte all’ultimo, se fosse
stato il caso. In questo modo, se mi fossi trovato in una
situazione in cui non avrei potuto più nulla… avrei avuto un
piccolo… asso nella manica. Avrei semplicemente tolto il mio
braccialetto.»

Il piano di Snake era stato semplice, ma efficace: aveva


semplicemente rimosso il suo braccialetto. Come? A Junpei
sembrò che Snake avesse semplicemente rotto le ossa della sua
mano, finché divennero abbastanza piccole da lasciar scorrere
il braccialetto lungo il polso.

Certamente, questo sarebbe stato praticamente


impossibile, quindi… come aveva fatto? Come aveva detto
Clover, il suo braccio sinistro era una protesi. Snake si era
sfilato il braccialetto, e l’aveva gettato nella bara. Senza quello,
non aveva nulla da temere attraversando le porte numerate.

Semplicemente varcò la soglia, senza essersi identificato.


Attraversò la porta, illeso, e iniziò a correre lungo il corridoio
insieme a Seven e Junpei. Continuarono a correre per un po’, e
306
infine raggiunsero una rampa di scale, che li conduceva in
basso, posta sul lato destro del corridoio.

Si fermarono, e scrutarono oltre le scale. Per quel che


potevano constatare, giungeva fino al ponte inferiore. Non
sembrava esserci alcun allagamento. Annuirono velocemente
l’un l’altro, e corsero giù per le scale. Ci vollero pochi minuti
per raggiungere il ponte inferiore.

C’era un singolo corridoio di fronte a loro, alla fine del


quale si trovava una singola porta. Junpei la aprì. Dentro c’era
un massiccio cancello di acciaio. Una targhetta era affissa sulla
sua sommità. Recava la scritta “INCENERITORE”.

«Inceneritore…?» disse Junpei. «Oh mio… non suona


particolarmente gradevole. Vedi una leva vicino al cancello,
per caso?», chiese Snake. «S-sì… Proprio qui…» «Come lo
sapevi?», chiese Seven. «Be’, mi piacerebbe deliziarti con la
storia. Immagino ci vorrebbe solo… mezza giornata, o giù di
lì.»

Junpei brontolò, lanciò a Snake un’occhiataccia, e si


avvicinò alla leva. «Se la tiri, la porta dovrebbe aprirsi.»
«Capito!» Con il rumore di un vecchio motore, la porta si aprì.
Non c’era bisogno di fermarsi, non c’era tempo di esitare.
Entrarono all’interno.

Di fronte a loro c’erano Ace e Lotus. Ace teneva ancora il


revolver stretto in mano. Ed era ancora puntato contro la
tempia di Lotus. Un piccolo livido nero aveva iniziato a

307
formarsi vicino all’estremità. Anche a vari metri di distanza,
Junpei poteva vedere Lotus tremare. Era terrorizzata.

Ma più interessante fu ciò che Junpei vide oltre di loro…


un’altra porta col numero 9. Ma… perché? Perché ce n’era
un’altra? La porta atterrì Junpei. Non avrebbe dovuto essere lì,
semplicemente. Quando finalmente il suo cervello iniziò a
considerare i motivi, il lamento di un allarme riempì l’aria,
scacciando ogni pensiero.

«Attenzione. Attenzione. Il comando di incenerimento di


emergenza è stato accettato. L’incenerimento automatico avrà
luogo in nove minuti. Per favore, evacuare la zona
immediatamente.»

«Oh mio… emozionante. Hai imbastito un bello show qui,


Zero!» Un sorriso terrificante contorse il volto di Ace. «Qual è il
problema? Siete troppo spaventati per capire? Ecco, lasciate che
vi spieghi…» Ace venne interrotto da Snake: «Dice che il
sistema di incenerimento sta per attivarsi. In nove minuti,
questa stanza sarà inghiottita dalle fiamme.»

«Uh? Chi sei tu…?», chiese Ace. «Non mi riconosci? Mi


ritengo offeso. Sono io, Snake.» «Snake…? Ah, già, sei vivo.
Temo che il tuo look bizzarro mi abbia confuso. Sono…
piuttosto lieto di vedere che sei vivo.» Il tono di Ace non
cambiò.

Snake digrignò i denti. «Se non è un problema per voi


rispondere, come siete giunti qui? Snake, Junpei, Seven… voi

308
tre non potete avere aperto una porta con il 9. Avete usato il
braccialetto di Clover, per caso?» «C-cosa?» esclamò Snake.

2 + 5 + 7 + 4 = 18 -> 1 + 8 = 9

«Ah. Be’, la tua reazione suggerisce che non l’avete fatto.»


«Aspetta! Perché pensavi che avessimo il braccialetto di
Clover?», disse Snake agitato. Junpei sentì serrarsi il petto.
«Oh… loro… non te l’hanno detto?» «D-Detto cosa?» «Mh,
chiaramente no. Normalmente, mi prenderei il tempo che mi
serve e mi gusterei il momento, ma temo che il tempo sia un
lusso, in questa situazione. Dovrò velocizzare il tutto. Clover…»

«Non farlo, Ace! Tieni la tua maledetta boccaccia chiusa!»,


urlò Junpei. «Clover…» «Ti ho detto di fermarti! Non
ascoltarlo, Snake!» Junpei poteva udire la propria voce
diventare più rauca, ma Snake non lo stava ascoltando.

«Cosa è successo a Clover?» Ace lo guardò. L’angolo ella


bocca curvò a formare un crudele sorriso. «Clover è morta.» Il
colore abbandonò il volto di Snake. Scosse la testa, debolmente.
«No… non è vero… è impossibile… è una menzogna. Deve
essere una menzogna…» «Oh, no, è piuttosto vero. Posso
assicurartelo. Vedi, l’ho uccisa io.»

«Cosa?» «Oh, mi scuso, ho balbettato?» Ace scandì le


parole: «L’ho uccisa io.» Il volto di Snake si contorse in una
maschera di ira, chiazze rosse cosparsero la sua pelle pallida.
Tutto il suo corpo tremò. Sembrava preoccupantemente simile
a un demone.

309
«Avrei preferito morisse con meno sofferenza… una
pallottola nel cervello, forse, sarebbe stata l’ideale.
Sfortunatamente, avrebbe fatto troppo rumore. Le circostante
erano quelle che erano, sono stato costretto a ricorrere al
coltello. Quello del nono uomo, ricordi? Credo di averla colpita
giusto sotto la scapola. Sono stato abbastanza fortunato, di
fatto. Il primo fendente è finito tra le sue costole. La sua carne
era così soffice. Il coltello è scivolato così facilmente… non c’è
stata resistenza. Quella sensazione era… lo confesso, mi sento
piuttosto emozionato. È un… ricordo grandioso. Un giorno,
forse, spero di poterlo sentire ancora.»

«L’incenerimento avrà luogo in sette minuti.»

«Ti ammazzo…» Le parole di Snake erano un ringhio


gutturale, a malapena udibile. «Uh? Chiedo scusa, cosa hai
detto?» «Ti ammazzo…» «Ah, quindi hai intenzione di
uccidermi. Prego. Vieni, sto aspettando.»

«Non farlo! Non ascoltarlo, Snake!», urlò Junpei. Seven gli


diede manforte: «Fermati, ragazzo! Ti farà esplodere la testa!»

Ace proseguì: «C’è qualche problema? Cosa aspetti,


ragazzo? Non vuoi che ti aiuti ad unirti alla tua sorellina?»
«Non farlo, Snake!» «Non farlo!»

Ma Snake non poteva più sentirli. Snake non poteva più


sentire nulla. Si mosse come un lampo. Le sue urla
echeggiarono per la camera di incenerimento, piene di ira e
disperazione. Ace gli sparò, e Snake cadde.

310
Un altro urlo riempì la stanza. Era Lotus. Corse lungo la
stanza verso Junpei, gli occhi pieni di terrore. Il fallito attacco
di Snake aveva allentato la morsa di Ace su di lei, che era
fuggita. Aveva raggiunto Seven e Junpei, e si era acquattata
dietro di loro.

Junpei poteva sentire le dita di lei sul suo braccio,


conficcate abbastanza da essere dolorose, per tenerlo interposto
tra lei ed Ace.

«L’incenerimento avrà luogo in cinque minuti.»

«Dammi la donna.» Ace sollevò la pistola. «Ho bisogno di


lei. Senza il suo braccialetto, non potrò aprire la porta. Veloce,
ora. Non ho tempo per i vostri inganni.»

Al centro della stanza, il corpo di Snake si muoveva


ancora, spaventosamente. Sembrava una larva umana, prono e
vulnerabile al suolo.

«Molto bene. Vedo che non ho scelta. Anche il resto di voi


deve morire. Fortunatamente, ho ancora cinque proiettili. Uno
per Junpei, un altro per Lotus, e i restanti tre per
quell’ammasso di uomo idiota che chiamate “Seven”. Porterò il
corpo di Lotus con me, e lascerò questa stanza.»

«L’incenerimento avrà luogo in quattro minuti.»

«Be’, pare che il nostro tempo insieme sia agli sgoccioli.


Mi sarebbe piaciuto giocare con voi. Addio.»

311
Junpei poté vedere il dito di Ace irrigidirsi. Poté vedere
come iniziava a premere sul grilletto. Il suo corpo teso,
preparato all’impatto catastrofico di piombo caldo contro la
carne umana.

Poi, accadde.

Snake si rialzò.

«Cosa? No… è impossibile!» Per la prima volta, la


compostezza di Ace venne meno. Con grande sforzo, Snake
camminò avanti, un passo più vicino ad Ace. Poi un altro…
sembrava uno zombie. «Ti ammazzo… ti ammazzo…» La sua
voce era il lugubre lamento dei non-morti.

«Stai… stammi lontano! Torna indietro! Fermati! Se ti


avvicini, io… io… Vattene via!» Un poco alla volta, Ace stava
arretrando. Snake non si fermò. Proseguì, cadaverico e
inesorabile, gli occhi specchi gemelli di pura furia.

«A-ascoltami! Ho detto, non avvicinarti! Merda! Bastardo!»


La rivoltella di Ace esplose cinque volte. Cinque volte, l’aria
nell’inceneritore venne sferzata dallo scoppio di un proiettile. Il
corpo di Snake si contrasse, mentre cinque nuvole di sangue e
carne squarciata guizzarono in aria, attorno al suo corpo.

Una fine nebbiolina rosa fluì dal suo corpo e scomparve.


Snake emise una strana sorta di tosse soffocata… e poi la sua
forza lo abbandonò. Le sue gambe si sbriciolarono e il suo
corpo rotto e danneggiato rovinò al suolo.

«L’incenerimento avrà luogo in tre minuti.»


312
Ma Snake non aveva terminato. Anche se la pozza di
sangue sotto di lui cresceva, iniziò a muoversi. Strisciò e scivolò
verso Ace. Un braccio insanguinato si avvolse attorno alla
gamba di Ace… e l’altro si strinse sulla coscia con la forza che
avrebbe dovuto da tempo abbandonarlo.

«Figlio di puttana! Sei… sei un mostro! Vattene! Lasciami!


Maledetto!» Calciò Snake con la sua gamba libera, dirigendo il
piede sulla faccia di Snake, il braccio, la spalla… non faceva
differenza. Snake si rifiutava di lasciarlo. Quando un serpente
aveva intrappolato la sua preda, raramente la lasciava andare.

«Uh… è così, Ace… bruceremo fino alla morte…


insieme.» «C-cosa?»

«L’incenerimento avrà luogo in due minuti.»

Ace urlò. «Maledetto! Dannato! Staccati! Lasciami andare,


mostro!» Assestò altri calci, invano. «Okay okay okay… guarda.
Mettiamola in questi termini. La mia compagnia possiede un
ospedale fantastico. Abbiamo eccellenti medici. N-non sei
ferito troppo seriamente. Sono sicuro che potranno facilmente
rimetterti in sesto. Non devi morire. Puoi salvarti… lasciami
andare!»

Snake esplose in una risata delirante: «Patetico.


Elemosinare per la tua… vita…» Poi Seven e Lotus iniziarono a
parlare. Junpei li sentì piangere, le loro parole forzate. «Snake!
È abbastanza! Puoi fermarti ora!» «Sì! Ha ragione, Snake! Hai
fatto abbastanza!» «Dai, Snake! Andiamo! Usciamo di qui!»
«Devi venire con noi! Dobbiamo andarcene insieme!»

313
Snake si girò verso di loro. Tossì, e del sangue spruzzò sul
pavimento. Poi sorrise con tristezza. «Chiedo scusa, ma temo…
di non poterlo fare. Fareste meglio a… dimenticarvi di me.
Dovete… andarvene, presto… Lo porterò… con me…» Ace
urlò: «Stai zitto! Calmati!» Stava continuando a scalciare.

«Non ho potuto… salvare Clover… mia sorella è morta…


a causa mia… forse questo… potrà… espiare la mia colpa…
forse nell’aldilà… potrà… perdonarmi. Ora andate!
Andatevene! Dovete uscire!»

«L’incenerimento avrà luogo in un minuto.»

«Maledizione! Merda! Non c’è più tempo! Dobbiamo


andarcene!» Seven corse verso l’uscita. Lotus lo seguì. Ma
Junpei, non riusciva a muoversi. C’erano linee bianche lungo le
guance di Snake, dove le sue lacrime avevano lavato via il
sangue.

Era distrutto, il suo corpo e la sua anima, e Junpei sentì


come se metà del suo stesso cuore fosse stato lacerato. I suoi
occhi bruciavano, e cercò disperatamente di deglutire per
liberarsi dal groppo nella sua gola.

«Junpei! Cosa stai facendo? Devi… uscire… adesso!» Il


torace di Junpei si contrasse, afflitto da collera, tormento, e una
fredda sensazione di vuoto… Pure emozioni fluivano dal suo
cuore, accanto al torrente di sangue. Poteva sentirla crescere,
un’immensa onda farsi più alta, sempre più alta…

E poi si infranse, con forza tonante contro la sua mente


scossa e impreparata. «Snake… Snake!» La mente razionale di
314
Junpei se ne era andata. Ora era guidato dall’istinto, e si lanciò
sul pavimento verso Snake e Ace.

O almeno, ci provò. «Aspetta! Non essere idiota, Junpei!»


Sentì una mano afferrarlo da dietro. Era Seven. Prima che
avesse tempo di reagire, la sua larga mano aveva bloccato le
braccia di Junpei, e lo stava trascinando verso la porta.

«No! No! Devo aiutare Snake! Snake! Lasciami! Lasciami


andare!»

«L’incenerimento avrà luogo in dieci secondi.»

Junpei urlò e si dimenò.

«Sette… sei…»

«Maledizione! Non ho scelta, ragazzo! Non prendertela con


me per questo, ok?» Seven assestò un colpo al ventre a Junpei,
che urlò dolorante.

«Cinque… quattro… tre… due…»

Junpei sentì il pugno di Seven affondare fino allo stomaco,


e poi le sue gambe smisero di sorreggerlo. Seven lo sorresse, e
balzò oltre la porta. Si chiuse violentemente dietro di loro.

«Uno… zero. I cancelli 2 e 3 sono bloccati. Avviare


incenerimento.»

Junpei si sforzò per stare in piedi sulle sue gambe


tremolanti. Guardò oltre per vedere Lotus a breve distanza da

315
loro. Junpei corse verso la porta. C’era una piccola finestrella.
Dentro, poté vedere Ace e… Snake…

«Merda! Maledetti! Perché! Perché! Perché io! Non mi


merito questo! Rispondimi! Rispondimi, Zero! Perché! Perché?
Zero! Zero!»

Junpei non sapeva quanto tempo fosse passato. Non


sapeva quanto tempo era rimasto lì, di fronte all’inceneritore.
Guardò di lato. Il volto di Lotus era cinereo, e non fosse per la
mano che premeva contro la parete, Junpei non pensava che
avrebbe potuto sorreggersi.

Seven sembrava vecchio, stanco, vissuto. I suoi occhi


fissavano il pavimento, nel nulla. Junpei non disse niente,
semplicemente si diresse verso la porta aperta, verso il
corridoio da cui erano giunti.

«Ehi! Aspetta, Junpei!» «Junpei! Dove stai andando?»


Junpei li guardò quando le loro voci ruppero il silenzio. Si
fermò. «Voi rimanete qui. Vado a prendere Santa e June.» «Li
porti qui?», chiese Seven. «E come?», aggiunse Lotus.

«Non preoccupatevi. Rimanete qui e aspettate. Okay?»


Ricominciò a camminare. Si guardò indietro e vite Seven e
Lotus diventare sempre più piccoli. Erano lì, dietro, immobili.
Non era neppure sicuro che potessero muoversi. Si voltò
ancora.

Sapeva dove era diretto. Quando avevano attraversato il


corridoio, prima, aveva notato un ascensore, di lato. Se era
ancora in funzione, allora forse…
316
In breve tempo, si ritrovò di fronte all’ascensore. Vicino
alla porta c’era un tasto con un triangolo. Lo premette, e la
porta si aprì. Si ritrovò nella stanza dell’ospedale.

«June! Santa!» Continuò a chiamarli, camminando verso il


centro della stanza. Ma per quanto cercasse, non riusciva a
trovarli. «Maledizione! Dove sono andati?» Con crescente
frustrazione, e con crescente preoccupazione, Junpei lasciò la
stanza dell’ospedale.

Non aveva scelta. Doveva trovarli. Il cuore di Junpei si era


appesantito. Non poteva scrollarsi di dosso quella sensazione,
ma c’era una parte di lui che sentiva che sarebbe stato
sbagliato, anche se avesse potuto. Ad ogni passo, le sue gambe
sembravano sempre più di piombo.

Cercò ovunque, e qualche tempo dopo, si ritrovò alla


cappella. Entrò, aspettandosi di non trovare nulla. E invece lì,
sul tappeto rosso al centro della stanza… June! No, ormai i
nomi in codice non avevano più importanza. Lei era Kanny…

«Kanny!» Junpei strillò il suo nome, e corse. Corse come il


lampo, lungo la stanza, verso di lei. «Mio Dio… Kanny…»
Incespicò e si fermò. Mentre guardava giù, il suo corpo, che
giaceva sul pavimento, sentì una morsa gelata di paura sul
cuore.

Era silenziosa… troppo silenziosa… No… no, non poteva


essere. Era impossibile. Lentamente, Junpei si piegò verso di
lei. Le sue mani tremavano, e sentiva molto freddo e molto

317
caldo al contempo. Si forzò a guardare. La sua schiena… la sua
schiena si muoveva. Lentamente, si rialzò e ricadde.

Il sollievo riempì il suo corpo. «Kanny!» Junpei si abbassò


e gentilmente, molto gentilmente, la sollevò. «Kanny! Kanny!
Stai bene?» «Jumpy…» Il suo viso era pallido, le sue labbra
asciutte e screpolate. I suoi occhi erano bianchi e appannati.
Fissavano dritto verso Junpei, ma non vedevano nulla.

Tremolante, Junpei avvolse il suo braccio attorno alla sua


schiena. Era fredda… molto fredda. Junpei tentò di convincersi
che si trattasse solo della sua immaginazione, ma sembrava
come se stesse scomparendo. Poteva sentire il suo cuore
martellare freneticamente nel torace. «Mio Dio… Kanny…
cosa diavolo ti è successo…» «Jumpy… mi dispiace…» La sua
voce era molto fiacca.

«Potrei… potrei non farcela.» «N-no! Non esiste! Non


esiste che ti lasci morire! Ti salverò, lo prometto!» «Grazie,
Jumpy… grazie mille… per tutto… sono stata… molto felice,
di rivederti… Jumpy… molto felice…» «Non dire “sono stata”!
Mi vedrai ancora moltissime volte! Devi… devi solo resistere,
okay Kanny?»

«Jumpy, sai… tu… sei stato molto importante, per me…


quando eravamo bambini… mi piacevi… mi sei piaciuto per
molto tempo, Junpei… moltissimo… tempo…»

La vista di Junpei si annebbiò e si fece indistinta. Gli ci


volle un momento per realizzare che i suoi occhi erano pieni di

318
lacrime. Poteva sentire un calore penetrante nel profondo del
cuore, come una fiamma incandescente. Guardò Akane.

Ci fu un rumore elettrostatico da sopra la sua testa, e una


voce parlò: «Game over.» Zero! «F-figlio di puttana! Dove ti stai
nascondendo?» Junpei cercò freneticamente per trovare la
fonte della voce.

«Sono proprio qui. Ero sempre accanto a te.»

«Di che diavolo stai parlando?»

«Non importa. Te lo dirò di nuovo. Game over. Questo


gioco è terminato.»

«No! No, non è così! Non lascio perdere adesso! Uscirò di


qui con Kanny!»

«Non puoi. È impossibile.»

«Perché?»

«Perché hai scelto il percorso sbagliato.»

«Il percorso sbagliato?»

«Esatto.»

«Il tuo percorso era inevitabile, ad ogni modo. Ammetti la


sconfitta. Dove c’è ombra, c’è luce. Dove c’è luce, c’è ombra.
Funziona così.»

«D-di cosa stai parlando?»

319
«Non ha importanza. La sconfitta è stata decretata.»

«Te l’ho detto, non perderò!»

«No. Non hai capito. Non hai perso. Io… ho perso.»

«C-Cosa?»

Junpei non ebbe tempo di considerare cosa significasse,


prima che… udì la porta chiudersi violentemente dietro di lui.
Si guardò intorno. Non c’era nessuno. Era stato… Zero?

«Kanny, aspetta qui, ok?» Lei annuì. Junpei la pose a terra


gentilmente, e corse verso la porta. La tirò a sé e balzò fuori.
Nessuno. Il corridoio era vuoto. Nulla si muoveva.
«Maledizione!»

Non voleva lasciare Kanny da sola per troppo tempo, così


si voltò e tornò alla cappella.

«Uh? Kanny?»

Lei non c’era più. Non era da nessuna parte. Giaceva lì, al
suolo, solo qualche istante prima. E ora se ne era andata.

«Oh Dio… No… no… dov’è… Kanny… Kanny… Kanny…


Kaaaannyyyyy!»

Il suo grido lacerò il cielo stesso. Urlò finché ebbe voce.


Poi, urlò ancora. Ma non c’era nulla. Nessuna risposta. La sua
voce sparì, e tutto ciò che rimase fu del freddo, impassibile
silenzio.

320
A quel punto se ne accorse. Uno strano odore, che aveva
già sentito in precedenza… l’odore di un peculiare… fumo…
bianco… nove secondi dopo, la mente di Junpei si spense.

Fine.

Hai ottenuto uno dei finali negativi. Rileggi compiendo


scelte differenti se vuoi ottenere altri finali. Hai ottenuto la
parola bonus: “CASSAFORTE”. Potrebbe esserti richiesta in
successive letture, compiendo altre scelte.

321
14. L’ascia

Tutto andò tranquillamente per un po’, finché


raggiunsero il ponte C e Clover parlò: «Ehi… e la porta 2?»
Tutti si fermarono, e si voltarono a guardare Clover. Lei
proseguì: «La porta 2 è l’unica che non abbiamo controllato…
non ci siamo andati, intendo…»

«Sì, è vero», commentò Ace. «Per voi va bene così? Non


controllarla, intendo?», disse Clover. «E quindi? Abbiamo
trovato la porta 9! Non ci serve nessun’altra porta!», sbraitò
Santa. «E a che serve?», disse Clover. June sospirò.

Clover proseguì: «A che serve andare nella porta 9? Non


possiamo passarci tutti, no? Quindi dovremmo almeno fare
tutto quel che dobbiamo fare prima di proseguire
ulteriormente. È come un puzzle… il miglior modo di finirlo
velocemente è cominciare dai bordi. Altrimenti cosa… pensate
che dovremmo andare tutti e sette verso la porta 9? E poi
litigare per chi sta indietro e chi se ne va? Vogliamo davvero
farlo di nuovo? Chi lo sa… magari se controlliamo la porta 2,
scopriamo qualcosa… magari troviamo un modo… per
salvarci tutti quanti. Non so cosa ci sia. Potremmo non trovare
nulla. Ma non pensate che sia meglio almeno dare un’occhiata?
Voglio dire… sto sbagliando? Vi sembra che stia sbagliando?»

Eramo rimasti tutto ammutoliti, durante il discorso di


Clover. Quando ebbe finito, Junpei commentò debolmente: «Sì,
hai ragione…» Gli altri annuirono. «L’ultima volta che ho
controllato l’orologio, erano le quattro e mezza. Non abbiamo
molto tempo, ma… se facciamo veloci, potremmo trovare il
322
tempo di dare un’occhiata», disse Junpei. «Hai ragione.
Andiamo a controllare alla porta 2», esclamò June.

Tornarono di fronte all’ascensore. Lì vicino, c’era la stanza


dell’ospedale. L’ascensore li avrebbe condotti giù alla porta 2.
Dopo alcuni minuti di discussione, decisero che Clover, Santa,
June e Seven sarebbero andati.

4 + 3 + 6 + 7 = 20 -> 2 + 0 = 2

«Molto bene. Andiamo…» «Ci vedremo dopo…» «Fate


attenzione.»

Scesero con l’ascensore e Junpei ascoltò i suoi scricchiolii


e tremiti giù fino al ponte inferiore. Erano rimasti solo Junpei,
Ace e Lotus. Non appena l’ascensore ebbe finito i suoi rumori,
Ace disse: «Lotus, saresti così gentile da venire con me?»
«Venire con te? Non pensavo che le persone si esprimessero
così dagli anni ’50… be’, io sono una madre. È un problema per
te?»

«Uh… non era quello che intendevo…» «Stavo


scherzando!», disse Lotus ridendo, e proseguì: «Quindi, dove
volevi portarmi?» «C’è una cosa che volevo mostrarti.» A quel
punto si intromise Junpei: «Ehi, che diavolo? Io non sono
abbastanza importante?» «Be’, no, non è così. Una volta che
l’avrò mostrata a Lotus, la vedrai anche tu.»

«Davvero?» «Certamente.» Il sorriso di Ace era


amichevole. «Bene. Fate quel che volete.» «Grazie. Verrai,
Lotus?» «Certo. Non credo che gli altri torneranno così presto.
Posso benissimo venire a vedere quel che ti sembra così
323
importante.» «Grazie. Bene… andiamo?» Ace si voltò, e iniziò a
camminare. Lotus lo seguì. Scomparvero nel corridoio a
sinistra.

Junpei non era sicuro di quanto tempo fosse passato


quando l’ascensore si aprì improvvisamente. Ne uscì una sola
persona… Clover. Guardò Junpei, poi lentamente uscì
dall’ascensore. La porta si richiuse dietro di lei.

«Dove sono tutti gli altri? Che è successo?», chiese Junpei.


Clover non rispose. Invece, i suoi occhi controllarono la stanza,
e poi si fermarono su Junpei. «Dove sono Ace e Lotus?» Junpei
spiegò ciò che era successo.

«Oh… quindi se ne sono andati da lì?» La sua voce era


debole e timida. «Sì. Dunque, dove sono June, Santa e Seven?
Perché non sono con te?» «Vuoi davvero saperlo?» C’era
qualcosa di sbagliato nel suo sorriso. Junpei annuì. «Okay…
qui, lascia che ti faccia vedere…»

Clover estrasse qualcosa dalle sue tasche e lo gettò sul


pavimento, ai piedi di Junpei. Guardò in basso. Sul pavimento,
di fronte a lui, c’erano tre braccialetti.

«Oh mio Dio… oh merda…» Junpei crollò. «No… non


può essere… è uno scherzo… non può essere reale…» Il corpo
di Junpei divenne molle come la gomma. Il suo cuore era un
freddo ammasso nel torace, le sue mani tremavano
incontrollabilmente. Del sudore cadeva lungo il suo volto.

I tre braccialetti giacevano sul pavimento davanti a lui.


Poteva vederne i numeri sui display. 3. 7. E… 6.
324
“Infine, parliamo di come rimuovere il braccialetto. Ci
sono solo due modi per farlo.

Primo: riesci a fuggire da questa nave.

Secondo: il tuo battito cardiaco raggiunge lo zero.

In altre parole, appena il braccialetto sarà portato fuori dai


confini della nave, oppure noterà che il tuo battito cardiaco è
sceso a zero, si sbloccherà automaticamente.”

«Ma… perché…» La voce di Junpei era piatta e rotta. La


risposta di Clover fu fredda: «Vendetta per mio fratello. È stato
spinto nella porta 3 e ucciso. Ti servono almeno tre persone per
aprire una porta. Chi sono stati gli altri due ad aprirla con lui?
Possono essere stati solo Santa e Seven. È per questo che li ho
uccisi.»

2 + 3 + 7 = 12 -> 1 + 2 = 3

«Ma… perché… perché hai ucciso June?» «Perché ha


tentato di proteggerli. Era un intralcio. Doveva morire anche
lei.» «No… no…» Junpei scosse la testa, tentando
disperatamente di risvegliarsi da quello che doveva essere un
incubo. Non poteva essere reale, semplicemente non poteva.

«Ehi, Junpei…» Sentì la mano di Clover sulla sua spalla. Il


suo sorriso era sbagliato – terribilmente sbagliato. Il suo volto
sembrava una maschera fatta con pelle umana allungata. Il
sorriso delle sue labbra non si estendeva agli occhi. Erano
morti, e vuoti. La ragazza di fronte a lui non era più la Clover
che aveva conosciuto. Forse non era neanche umana.
325
Gli allungò la mano: «Andiamo. Usciamo di qui. Lasciamo
questa nave.» «Cos… di cosa diavolo stai parlando? Per aprire
una porta numerata…» «Sì, lo so. Servono almeno tre persone.
Ma finché abbiamo questi…» Una volta di più, Clover si mise
le mani in tasca, e tirò fuori qualcosa.

Era un altro braccialetto. Junpei vide il numero sul


display. 0.

“Hai qualcosa nelle tasche. Cos’è?” “Oh, questo? È… non è


nulla…”

«Capisci ora? Con questo braccialetto, possiamo fuggire.


Io e te possiamo aprire la porta 9.»

4+5+0=9

«Vedi? Quindi andiamo. Forza. Sbrigati!» Junpei guardò


Clover. Aveva il volto di un demone. Ma c’era… qualcos’altro.
C’era una luce sacra che la circondava. Era sia un dio spietato
che una dea benevolente, colma d’amore.

«Junpei…?» La sua voce era soffice. I suoi occhi non erano


più vuoti… erano profondi – così profondi, che Junpei si
sentiva sprofondare in essi. Gli venne il capogiro. C’era
qualcosa di stranamente ammaliante in lei. La sua mente stava
iniziando a spaccarsi, e il suo cuore iniziò a sciogliersi.

«Junpei…?» La mano che gli stava offrendo… sembrava


così soffice, così invitante… Junpei allungò la sua mano
tremolante, e la chiuse sulla sua.

326
Junpei si contorse, in agonia. Tremò in preda agli spasmi,
il suo corpo sotto shock. Urlò finché la sua gola non fu
squarciata e sanguinante, e poi urlò ancor di più. Le sue grida
echeggiarono per la stanza.

Infine, i suoi movimenti rallentarono, e appassirono…


non c’era più forza in Junpei. Sentì il suo corpo iniziare a
intorpidirsi. Non sentiva più dolore. Non sentiva più nulla.
Tutto ciò che Junpei era stato, non era più. Gli ultimi residui
della sua mente iniziarono a dissolversi…

Anche se la sua vista sbiadì nel nulla, vide Clover.

«Grazie, Junpei. Questo lo prendo in prestito, okay?» Il suo


sorriso era freddo. Quel che era rimasto della mente conscia di
Junpei fluì via. Tutto ciò che rimase fu un corpo contorto e
distrutto.

Fine.

Hai ottenuto uno dei finali negativi. Rileggi la storia


compiendo altre scelte per ottenere altri finali.
327
15. La bara

In gruppo, si ammucchiarono dentro l’ascensore, e scesero


impazientemente al ponte E. Sembrava familiare. C’era una
grata di metallo tra i due ascensori. Seven la afferrò ed iniziò a
parlare: «So che ho detto che vi avrei spiegato strada facendo,
ma onestamente, non c’è molto da spiegare. Dopo che ci siamo
divisi da voi, noi quattro abbiamo preso l’ascensore a sinistra. E
ci ha portato all’altro lato della grata. Poi…»

Avevano proseguito lungo un altro corridoio. Li aveva


portati alla prua della nave, e infine alla porta 6 che Junpei e
June avevano trovato in precedenza. In quattro, avevano aperto
la porta e avevano proseguito.

Avevano completato gli enigmi di due zone per sbloccare


la porta. Una volta oltrepassata, c’era un altro corridoio che
andava nella direzione opposta, verso la poppa.

«Quindi… a vostro modo, avete trovato l’ascensore.»


«Esatto.» «In altre parole, tutto il giro è servito a portarvi da un
lato all’altro della grata.» «Esatto.» Stabilito ciò, Junpei si
guardò intorno.

«E quindi… dov’è la porta numero 9?» «Qui, seguitemi.»


Seven iniziò a camminare, lungo il corridoio che portava a
poppa. Junpei e gli altri si urtavano per poterlo seguire.
Stavano camminando da un po’, June in silenzio accanto a
Junpei, quando lei parlò.

328
«Sai, è grazie a Santa se siamo tutti qui.» «Uh?» «Tutti e 7
varcheremo la porta 9.» Junpei era confuso. «Non ci arrivi?
Santa, Seven e Lotus… Qual è la loro radice digitale?»

3 + 7 + 8 = 18 -> 1 + 8 = 9

«9… è 9…», rispose Junpei. «Esatto. Avrebbero potuto


semplicemente lasciarmi indietro e proseguire, se avessero
voluto.» «Ma non l’hanno fatto.» «Già. Perché Santa non
gliel’avrebbe permesso. Ha detto “Non possiamo lasciare
indietro June”… Ecco perché siamo tornati a prendervi.» «E
avete preso l’ascensore, e siete tornati alle scalinate principali.»

«Sì.» «Be’, non l’avrei mai detto… che Santa si sarebbe


preoccupato per te, intendo…» Junpei sentì le sue sopracciglia
aggrottarsi mentre lo stava dicendo. «Oh, non fraintendere…»
June aveva percepito la preoccupazione di Junpei.

«Non intendo che Seven e Lotus hanno detto che volevano


lasciarmi indietro. Ne stavamo solo parlando, e Santa ha
obiettato per primo.» Junpei stava per rispondere, quando
Seven si fermò all’improvviso.

Di fronte a loro c’era una porta. «Dunque, è questa…?»


Junpei non poteva vedere il volto di Seven, ma lo vide
comunque annuire. «Non c’è nessun altro posto in cui
possiamo andare?», chiese Junpei. «No. Guardati intorno.»

Alla fine del corridoio c’era una spessa porta di acciaio. A


sinistra e a destra, altri corridoio conducevano ai lati della
nave, con porte chiuse e sigillate da spesse grate di metallo.

329
Sembrava che Seven avesse ragione. La porta di fronte a loro
era l’unica scelta.

«Bene. Muoviamoci.» Seven la tirò, e la aprì. Junpei prese


un lungo respiro, ed entrò. Sembrava che avessero detto il
vero. La prima cosa che Junpei notò entrando fu il numero. 9.
Come tutti gli altri, era rozzamente disegnato con vernice
rossa.

La porta che decorava era infissa alla parete di una stanza


rettangolare. Junpei corse verso di essa. Era una larga porta
doppia, in grande stile. Aveva qualcosa di maestoso, e la
vernice rossa sembrava particolarmente sgargiante.

Junpei afferrò la maniglia e la scosse. Non si mosse, ma a


quel punto non se lo aspettava davvero. Il RED era incastonato
alla parete accanto alla porta. Il display diceva “LIBERO”.
Finalmente, erano arrivati.

Junpei percepì un torrente di emozioni lungo il suo corpo.


Sentì un brivido lungo la schiena, e il suo torace si contrasse
appena il sangue iniziò a ribollire. Stava per parlare, quando…

«Junpei. Guarda dietro di te…» Si voltò. Junpei poteva a


malapena credere a ciò che vide. Una porta… e un 9. Ce n’era
un’altra. «Ehi… che diavolo… che sta succedendo…?» Le
parole gli uscirono lentamente, e il suo cervello lottava per
capire ciò che stava vedendo.

Su gambe tremanti, si fece strada fino al secondo 9. Era


una porta piccola, parallela a quella da cui erano entrati, ma
all’altro angolo della stanza.
330
9. Non c’era alcun dubbio sul numero, e se serviva qualche
altra prova, c’era un RED sulla parete accanto alla porta.
Afferrò la maniglia e scosse la porta, non perché si aspettava di
aprirla, ma perché doveva assicurarsi che era reale.

«Perché diavolo… ci sono due porte?» Fu Ace a rispondere


per primo: «Pensi forse che una sia la porta “giusta”, e l’altra
quella “sbagliata”?» Lotus era scettica: «Non… saprei. Mi
sembra improbabile.» «Cosa te lo fa pensare?», chiese Ace.

«Be’, pensa a tutte le stanze fino ad ora. Erano piene di


enigmi, ma c’erano sempre precisi indizi su come risolverli.
Sono piuttosto sicura che non ci siano stanze in cui dobbiamo
tirare a indovinare, e lasciare al nostro istinto gli enigmi. Pensi
davvero che alla fine del gioco, Zero improvvisamente ci
metterebbe di fronte ad una situazione che dipende
interamente dalla fortuna?»

«Quindi stai dicendo che c’è qualche indizio nella stanza?»,


chiese Ace. Fu June a rispondere: «No… non penso ci siano
indizi qui. Ho cercato molto bene quando siamo arrivati qui,
prima. Non ho trovato nulla che somigliasse ad un indizio.»

«Umh… bene, questo significa…», iniziò Ace. Santa


proseguì: «Sì. Entrambe sono la porta “giusta”. Voglio dire, se ci
pensate… Zero non ha mai specificato che c’era solo una porta
con il 9.» Junpei iniziò a borbottare tra sé: «Quindi, se ci sono
due porte col 9… se ci dividiamo correttamente…»

«Non funzionerà.» Junpei aprì gli occhi, e guardò Clover.


Lei allungò la mano: «Hai un quaderno e una penna, giusto?

331
Puoi prestarmeli?» Ancora confuso, estrasse quanto richiesto
dalle tasche.

«Guarda qui.» Clover aprì il quaderno su una pagina


bianca, e lo poggiò su una scrivania. Tutti gli altri si
radunarono attorno a lei, che stava scrivendo una serie di
numeri.

1 + 3 + 5 = 9 Rimanenti: 4 + 6 + 7 + 8 = 25

3 + 7 + 8 = 18 Rimanenti: 1 + 4 + 5 + 6 = 16

4 + 6 + 8 = 18 Rimanenti 1 + 3 + 5 + 7 = 16

5 + 6 + 7 = 18 Rimanenti 1 + 3 + 4 + 8 = 16

1 + 3 + 6 + 8 = 18 Rimanenti 4 + 5 + 7 = 16

1 + 4 + 5 + 8 = 18 Rimanenti 3 + 6 + 7 = 16

1 + 4 + 6 + 7 = 18 Rimanenti: 3 + 5 + 8 = 16

3 + 4 + 5 + 6 = 18 Rimanenti: 1 + 7 + 8 = 16

«Capito? Ho messo prima le combinazioni che danno una


radice digitale di 9, e poi quelli di noi che rimangono. Ci sono
solo queste otto possibilità, se ci dividiamo in gruppi da tre e
quattro. E non riusciamo a formare due gruppi con la radice da
9.»

Sulla stanza calò il silenzio. Il silenzio si depose su tutti


loro come uno spesso, pesante manto. Nessuno parlò. I loro
volti erano assenti. Alla disperata ricerca di qualcosa a cui

332
guardare, Junpei osservò la stanza attorno a lui. Mentre lo fece,
iniziò a chiedersi… che cos’era?

La stanza era ricoperta di candele. Le fiamme ondeggianti


rendevano le ombre di Junpei e i suoi compagni come se
stessero danzando. Due file di panche di legno riempivano
gran parte della stanza. Tra esse, un sontuoso tappeto rosso. Il
tappeto scorreva dritto lungo la stanza, terminando alla porta
che puntava a poppa. All’altro capo del tappeto… un altare?
C’era una zona rialzata, posizionata nella parete tra le due altre
porte. E sulla parte rialzata, giaceva… una bara.

Una bara… una bara… una bara… Alice… No. Non


poteva essere… Ma se non era così, allora il corpo di chi, la
riempiva? Questo era il punto fino a dove Junpei voleva
spingersi. Decise di non pensare ulteriormente alla bara, per il
momento.

A quel punto, Seven parlò. C’era una punta di giovialità


nella sua voce, ma era forzata: «Okay. Ci rinuncio. Ci rinuncio.
Pensavo che se avessimo aspettato qui abbastanza a lungo,
qualcuno si sarebbe offerto, ma… sembra che nessuno sia
abbastanza forte di stomaco da farlo.»

Junpei non capì, e non fu l’unico. Seven disse: «Cosa? Non


ci siete ancora arrivati? Ugh. Bene, bene. Lasciate che vi
illumini. Clover era molto vicina al vero con la sua breve
spiegazione, prima, ma ha tralasciato qualcosa. Non è che
abbia sbagliato, semplicemente… argh! Che importa! Ve lo
scrivo.»

333
Seven afferrò il quaderno e iniziò a scriverci sopra. Gli
altri si raggrupparono attorno a lui, tentando forsennatamente
di sbirciare.

1+3+5=9

4 + 6 + 8 = 18

Rimanente… 7

«Se si prova ad uscire con un gruppo di tre e uno di


quattro, e salvare tutti, Clover ha ragione. Ma c’è un altro
modo… Una sola combinazione, ecco. Se ci dividiamo in
gruppi da tre, tre e uno… Possiamo fare questa combinazione.»

Junpei disse: «Aspetta… Questo significa...» «Non


fraintendetemi, eh. Non sto cercando di copiare Ace né nulla di
simile. Se anche non si fosse comportato così eroicamente alla
stanza dell’ospedale, ora starei comunque dicendo la stessa
cosa.»

«La stessa cosa…? Stai dicendo…», chiese June. «Sì, è così.


Rimarrò qui.» Tutti trasalirono. «P-perché ti comporti così
coraggiosamente all’improvviso? Sei stupido?» Lotus fu la
prima a parlare. Il che fu un po’ strano. Aveva reagito molto
diversamente quando Ace si offrì volontario. «Sono
completamente contraria! Che io sia maledetta se dovrò esserti
debitrice per essere uscita da qui!»

Tutti gli altri parlarono, all’unisono. June: «Anche io sono


contraria! Non volevo lasciare indietro Ace, non voglio lasciare
qui neanche te!» Clover: «Non mi piace l’idea. Ci devono essere
334
altre soluzioni.» Ace: «Neanche io sono d’accordo. Non che mi
importi del fatto che ora sia tu l’eroe…» Infine, si zittirono.
Junpei guardò Seven: «Be’, ecco qui, Seven. Proposta rifiutata.
Clover ha ragione. Dev’esserci un modo migliore di questo.»

Seven emise un suono a metà tra uno sbuffo di derisione e


un colpo di tosse. «Non ha alcun senso…» Stava facendo del
suo meglio per fingere che stessero prendendo una decisione
folle, ma Junpei vide lo scintillio acquoso agli angoli degli
occhi di Seven. A quel punto, parlò Santa: «Ehi, aspettate un
attimo. Io non ho ancora detto nulla.»

Fino ad allora, Junpei non aveva realizzato che Santa se


n’era davvero stato calmo per l’intera discussione sul destino di
Seven. Qualcosa nella sua voce mise Junpei a disagio. «Tu sei…
D’accordo? Vuoi lasciarlo qui?» Santa scosse la testa: «Nah,
sono contrario. Non voglio lasciarlo qui da solo.»

«Quindi non vedo come possa importarci se-», fece Junpei,


interrotto da Santa: «Ho detto da solo.» «Eh?» «Ho detto che
non voglio lasciare Seven da solo.» Ci fu un glaciale scintillio
negli occhi di Santa. Erano freddi, duri. Junpei rabbrividì: «Ch-
che diavolo stai…» «Cosa, non ci arrivi? Non posso lasciare
solo una persona. Me ne servono altre due. Tre persone,
compreso Seven. Lascerò indietro tre persone. Questa è la mia
proposta. … No… Questi sono i miei ordini.»

Junpei esclamò: «Che intendi dire, “ordini”? Cosa diavolo


ti fa pensare che tu possa darci ordini? Chi cazzo vuoi che ti
ascolti?» «Voi tutti, mi ascolterete. Tra tre secondi, non avrete
scelta.» «C-cosa?» «Tre… due… uno…» Santa fu così rapido,
335
che Junpei poté a malapena vederlo. Quando si mosse, fu quasi
come guardare una danza. I suoi piedi si mossero come un
lampo. Si voltò, e… «Aaah!»

Ebbe June. L’aveva afferrata da dietro, e aveva premuto


quella che il cervello scosso di Junpei aveva identificato come
una pistola rozzamente contro la sua tempia. «Visto? Ve l’ho
detto.» Le sue labbra si curvarono in un sorriso beffardo e
crudele. Un fremito percorse la spina dorsale di Junpei. Il suo
petto congelò, e poté sentire il suo respiro avvizzire nei
polmoni. Non aveva senso. Junpei sentì che la sua testa era in
procinto di esplodere.

Questo mutamento nell’atteggiamento di Santa… dicendo


che aveva bisogno di altre due persone… La pistola nella sua
mano destra – una rivoltella… Cosa stava facendo con una
pistola? Dove diavolo poteva aver trovato una pistola? Queste
domande ruggivano nella mente di Junpei, ma la sua bocca si
rifiutò di porle.

Seven parlò, quasi come se avesse percepito la confusione


di Junpei: «La pistola dell’altra stanza…» «Quale stanza?»,
chiese Junpei. «Una di quelle della porta 6. Avrei dovuto
immaginare che l’avrebbe fatto… avrei dovuto prendere la
pistola…»

«Eh. Be’, adesso è troppo tardi, culone», esclamò un


beffardo Santa. «Maledizione…» Un misto di furia e
frustrazione contorse il volto di Seven, che guardò
furiosamente Santa. Santa, da parte sua, non si ritrasse.

336
L’angolo delle sue labbra si contrasse in un sorriso
leggermente più ampio.

Poi il sorriso scomparve, e iniziò a muoversi. Camminò


all’indietro, trascinando June con sé. In breve tempo, la sua
schiena premeva contro la porta. Sulla parete accanto a lui
c’era il RED. Mise la sua mano sullo scanner, rapidamente, e
costrinse June a fare lo stesso.

«E ora… è tempo per voi di iniziare a seguire i miei ordini.


Ace, Lotus, congratulazioni. Vi ho scelti per venire con me.
Mettete le vostre mani sul RED.»

3 + 6 + 1 + 8 = 18

Ecco cosa intendeva Santa, dicendo che gli servivano altre


due persone.

«Be’, siete sordi? Vi ho dato un ordine.» Gli occhi di Santa


si strinsero in fessure. Guardò iroso Ace e Lotus. Loro
giacevano congelati, come cervi colti dai fari di un’auto in
arrivo. «Okay. Bene. Non volevo sprecare proiettili, ma a
quanto pare non capite.» In un batter d’occhio la sua mano si
contrasse; e la pistola ruggì.

Un pezzo di pavimento esplose, schegge di legno si


sparsero attorno. Un sottile pennacchio di fumo serpeggiò
fuori dal buco del pavimento. Non ci poteva essere dubbio sul
fatto che la pistola era vera, e funzionava. «Ma… perché? Santa,
perché stai…» La voce di Clover aveva un tono spezzato dalla
perdita di fiducia. «Santa… pensavo… pensavo che fossi uno di
noi… Pensavo fossimo amici…»
337
«Cosa?», esclamò Santa in risposta a Clover, che proseguì:
«Sapevi delle parole dei petali del quadrifoglio…». Le guance
di Santa ebbero uno spasmo quasi impercettibile. «Di che
merdate stai parlando? Non ho idea di-» «Stai mentendo!», lo
interruppe Clover. «Stai zitta! Stai zitta, stupida troia. Vuoi che
ti pianti una pallottola nella tua fottuta testa?»

Chiazze di sputo volarono dalla bocca di Santa, il suo volto


contorto dall’ira. Clover indietreggiò, i suoi occhi spalancati.
Quando parlò, la sua voce fu molto bassa. «Santa…» «Molto
bene, idioti. Cosa state aspettando, ancora? Andate a
identificare quei braccialetti. Non abbiamo tutta la giornata.
Oh, qual è il problema? Il vostro udito sta iniziando a perdere
colpi? State invecchiando, forse?»

Ace e Lotus continuavano a non muoversi. Sembrava


quasi come se non potessero farlo. Il volto di June era pallido,
dietro il braccio di Santa. I suoi occhi erano stralunati e il suo
petto si sollevava ad ogni breve respiro, come un animale
circondato da un predatore.

La mente di Junpei lavorava furiosamente. Cosa avrebbero


dovuto fare? Poi, realizzò qualcosa. Non c’era nulla, che
avrebbero dovuto fare. Non c’era nulla da discutere. La
salvezza di June era la priorità. Questo era piuttosto ovvio. Fare
ciò che Santa comandava significava che sarebbe stata salva da
almeno due minacce… non le avrebbe sparato, e avrebbe
lasciato la nave viva, con Santa, Ace, e Lotus.

C’era solo una cosa da fare, per Junpei. Si voltò da Ace e


Lotus. «Per favore. Andate.» Seven e Lotus gli restituirono uno
338
sguardo interrogativo. June esclamò: «Jumpy! Che stai
dicendo? Se rimarrai qui, ci resterai secco, Jumpy! E anche
Clover e Seven!» «Lo so. Ma non c’è bisogno che ti preoccupi
per noi. Ci inventeremo qualcosa. Giusto, Seven?»

«G-giusto! Lascia fare a noi! Quel che dice Santa mi fa


incazzare, ma…» Clover disse, a sua volta: «Non preoccupatevi
neanche per me. C’è ancora una cosa di cui devo occuparmi.»
«Ma… No! Non potete! Ace! Lotus! Non fatelo! Non
preoccupatevi per me! Per favore!» June fu quasi sul punto di
piangere. Junpei si spostò dietro Ace e Lotus. Senza una parola,
pose una mano su ciascuno dei loro dorsi, e gentilmente li
spinse avanti.

Essi quasi incespicarono, poi si raddrizzarono e fecero un


altro passo. E un altro… Si voltarono, e Junpei annuì. Ace e
Lotus si voltarono ancora, e camminarono lentamente verso la
porta dove Santa li stava aspettando. Dopo quella che sembrò
un’eternità, si fermarono, di fronte alla porta contrassegnata
dal 9.

Santa sorrise. «Molto bene, ora piazzate i palmi sullo


scanner.» Ace e Lotus esitarono. Santa proseguì: «Qual è il
problema? Pensate che stia scherzando? Non me ne frega un
cazzo di questa ragazza. Al RED non serve una persona, lo
sapete. Tutto quello che mi serve sono i braccialetti. Lo capite?
Bene. E ora mettete le vostre cazzo di mani sullo scanner. Non
lo ripeterò ancora.»

Spinse la rivoltella più duramente contro la testa di June,


che sussultò. «E sia…» Ace sospirò, sconfitto, e pose la sua
339
mano sullo scanner. Lotus seguì. Guardò furiosamente Santa e
schiantò con violenza la mano sullo scanner. Il quarto asterisco
si accese. «Buon lavoro. Ora Lotus, tira la leva. E appena la
porta si aprirà, muovete i vostri culi là dentro. Provate qualsiasi
stupidaggine, e sapete cosa succederà, giusto?»

Junpei poté quasi udire i denti di Lotus digrignare. La


porta si aprì. La porta numero 9 si aprì, alla fine. Si aprì con un
basso, potente fragore – un rullo di tamburi per dare il
benvenuto ai pochi eletti. «Perfetto! Andate!» Lotus e Ace
oltrepassarono la porta, gli sguardi furiosi ma sconfitti. Santa
attese finché furono completamente dentro, poi si trascinò a
sua volta portando June sulla soglia a sua volta.

Esattamente nove secondi dopo, la porta si richiuse. La


folata d’aria creata fece tremolare e infine perire le candele
sull’altare. Sulla stanza calò il silenzio. Junpei, Clover e Seven
erano rimasti indietro. Clover si guardò la mano, e tracciò con
un dito le deboli vene che si incrociavano. Seven spinse le
braccia davanti a sé, poi si grattò il ventre.

Nessuno parlò. Il silenzio rendeva l’aria ancor più


opprimente. Alla disperata ricerca di qualcosa, qualsiasi cosa,
che occupasse la sua mente, Junpei procedette verso la più
larga delle due porte 9. Si mise di fronte ad essa, e guardò il
RED. C’era scritto “OCCUPATO”. Raggiunse la porta più
piccola. Il RED riportava “LIBERO”. La loro radice digitale era
7.

Non c’era modo di aprire una porta con il 9. Junpei toccò


la superficie della porta. Pensò a June… ad Akane Kurashiki. Si
340
era salvata? Questo era tutto ciò che gli importava. Se fosse
viva, se fosse uscita da questa orribile nave. Questo era ciò per
cui Junpei pregava. Seven si avvicinò. Si tolse il cappello, si
grattò il capo, e sospirò.

«Quindi… cosa vuoi fare, Junpei?» «Cosa intendi con “cosa


voglio fare”? Cosa possiamo fare?» Seven aprì la bocca per
rispondere, quando… un rumore echeggiò per la stanza.
Qualcuno stava martellando su qualcosa, vigorosamente. Non
era meccanico… era certamente umano. Junpei e Seven si
guardarono l’un l’altro: «Ch-che diavolo è?»

«Shh! Zitti!» Clover fece un gesto per zittire Seven. Si mise


un dito sulle labbra, e chiuse gli occhi per concentrarsi. Tutti e
tre ascoltarono, cercando di capire da dove provenisse il
suono… dove… da dove proveniva… che fosse per caso… «E-
ehi! Penso che venga dalla bara!», esclamò Seven.

«Hai ragione!», fece Clover, seguita da Junpei:


«Apriamola!» «Ma come?», chiese Seven. «A cosa servono quei
muscoli? Per bellezza?», chiese Clover. «Mi stai dicendo di
forzarla?» «Zitto e prova!» Junpei e Seven afferrarono la bara.
Cercarono di ottenere una buona presa per quanto fosse
possibile, e tirarono con tutta la loro forza.

Ma non servì a nulla. C’era una specie di tastierina,


attaccata alla bara. Non era difficile determinarne la funzione.
I loro occhi vennero quasi immediatamente catturati da essa.
«Non un’altra…» «Sì… pare così…» «Pensate che serva la
password corretta, altrimenti non si aprirà?» «Credo di sì.»

341
Il rumore non si stava fermando. Di fatto, il volume
aumentava. Non avevano idea di chi ci fosse nella bara, ma
volevano farlo uscire, e volevano farlo subito. Ma non avevano
idea di cosa fare. Senza password, sembrava non ci fosse molto
che potessero fare. Non potevano neanche dire di quante cifre
fosse composta. «Non c’è un indizio da qualche parte?», chiese
Clover. «Be’, cerchiamo!»

Sfortunatamente, non sembrava esserci nulla vicino alla


bara. Clover corse ad esaminare le panche, e Seven investigò
sullo scrittoio, ma non trovarono niente. Il suono non si
sarebbe fermato. Non era un rumore che apparteneva a quella
stanza. Qual era la password… cosa avrebbe dovuto fare
Junpei? Cosa avrebbe dovuto inventarsi?

Aveva bisogno di… qualcosa.

Se hai ottenuto la parola chiave “CASSAFORTE” in una


precedente partita, vai a pagina 342.

Altrimenti, Junpei non ha modo di capire come aprire la


bara, e rimarrà bloccato con gli altri nella cappella fino allo
scadere delle nove ore.

Fine.

Hai ottenuto uno dei finali negativi, ma c’eri così vicino!


Rileggi compiendo diverse scelte se vuoi ottenere altri finali.

342
16. Nove anni fa

Il mondo brillò.

Improvvisamente, ci fu una voce, dentro la testa di Junpei.


“La verità è andata, la verità è andata, e la verità è andata. Ah,
ora la verità giace dormiente nell’oscurità dell’infausta mano.”
«Ch-che diavolo è stato…? Quella voce…?» Junpei era
assolutamente e completamente sconcertato.

«Eh? Di che stai parlando?», chiese Seven. «Che c’è?»


Seven e Clover corsero verso di lui, ma Junpei non sapeva cosa
dir loro. Se gli avesse detto che aveva sentito una voce,
avrebbero riso – o peggio, avrebbero pensato che era impazzito.
Così, tutto ciò che disse fu… «Oh, niente…»

Si rischiarò la gola, e guardò il suo braccialetto. Un paio di


bottoncini sporgeva da ciascun lato. Junpei premette il tasto

343
destro e poi quello sinistro, tre volte di seguito. Otto cifre si
susseguirono sul display. Junpei controllò un’ultima volta:

14383421

«Eh? Che diamine erano quei numeri?», esclamò un


esterrefatto Seven. «Oh mio Dio… sono…?» Junpei non rispose.
Semplicemente, si avviò verso la bara. Si inginocchiò di fronte
alla tastierina, ripetendosi i numeri a mente in modo da non
dimenticarli. Con dita tremolanti, li digitò. Premette il tasto E.

Ci fu un momento di completo silenzio. E poi ci fu il


suono di una bara che si scoperchiava. Qualcosa ne uscì. Clover
cacciò un lungo urlo. «Oh… sei tu, Clover? Chiedo scusa per
averti preoccupata.» Junpei esclamò: «Snake!» Seven disse
invece: «Oh mio… Snake, come hai…?» «Junpei… e Seven?
Siete voi? Ci sono anche tutti gli altri?» Proprio come Rip Van
Winkle8. Inoltre, era nello stile di Snake andare direttamente al
cuore della questione, e chiedere.

Junpei e Seven abbozzarono un sorriso smorzato. Gli occhi


di Clover erano colmi di lacrime: «S-sei tornato!» Con un
pianto di gioia, si gettò tra le braccia di Snake.» «Con
delicatezza, per favore… il mio corpo è ancora un po’
debole…» «Sei tornato! Sei tornato!» Clover sembrava come

8
Racconto scritto da Washington Irving nel 1819. Il protagonista si
addormenta sotto un albero e fa ritorno al villaggio dopo vent’anni,
inconsapevole del tempo trascorso.

344
una bimba sperduta che aveva finalmente trovato la via di
casa.

Pianse, pianse e pianse ancora. I suoi occhi erano rossi, il


suo naso gocciolante. Singhiozzò e respirò affannosamente,
come se fosse sul punto di andare in iperventilazione. «Sei
tornato… Sei davvero qui…» La sua voce era felice, ma quasi
disperata – come se temesse che sarebbe scomparso
nuovamente, se avesse smesso di parlargli. Lacrime dopo
tremende lacrime le scesero lungo il viso.

Le sue piccola braccia si sforzarono di afferrare il corpo di


Snake più saldamente possibile. Forse, doveva convincere se
stessa che era reale. Forse era preoccupata che se ne sarebbe
andato, nel momento in cui lei l’avesse lasciato. Forse
semplicemente non sapeva cos’altro fare. «Sei proprio
tornato…» «Ehi, che ti prende? Ti comporti come se fossi
appena tornato dalla tomba.» «Non “come se”! L’hai fatto!
Pensavo davvero fossi morto!» «Uh?» «Cretino! Stupido,
stupido, stupido!»

Clover iniziò a singhiozzare al punto da non riuscire più a


parlare. Fu un toccante ritrovamento tra fratello e sorella.
Anche se Junpei sapeva che rimaneva loro poco tempo, e che
ogni minuto che avessero aspettato era un minuto buttato, gli
sembrava crudele separarli. Junpei e Seven si sedettero su una
delle panche, aspettando che Clover si calmasse, prima di
spiegare a Snake cosa era accaduto. Dopo un po’ di tempo,
poterono raccontargli tutto.

345
«Capisco. Credo di aver compreso alquanto bene adesso, vi
ringrazio. Nelle docce, c’è un cadavere che indossa i miei
vestiti. A causa di ciò, avete supposto che io fossi morto. È
esatto?» Aveva velocemente e accuratamente riassunto gli
eventi di svariate ore. Junpei annuì.

«Avete anche scoperto un cadavere nei quartieri del


capitano, e Santa vi ha portati qui, in questa stanza. Ho capito
bene?» Seven era stato piuttosto sorpreso di scoprire del
cadavere nei quartieri del capitano. Con tutto ciò che era
avvenuto, Junpei si era semplicemente dimenticato di
menzionarglielo.

«Dunque… ho un’idea discretamente soddisfacente


riguardo ciò che è accaduto mentre ero indisposto, ma… è
ancora un mistero chi abbia fatto tutto ciò, e perché. Il
cadavere nelle docce che sembrava me… e il cadavere nei
quartieri del capitano… Perché sono stati uccisi a quel modo?»

«Non lo sai?», gli chiese Seven. «No. Perché dovrei?» «Il


tizio nelle docce… non sappiamo chi sia, quindi chiamiamolo
semplicemente Mister X. Ad ogni modo, questo Mister X sta
indossando i tuoi vestiti. Mentre tu stai indossando queste vesti
strane… Questo significa che qualcuno ha preso i tuoi vestiti e
li ha messi a Mister X. Dobbiamo capire chi…»

«Chiedo scusa, ma non ho idea di chi possa avermi fatto


questo. Mi sono risvegliato solo adesso. Sono stato incosciente,
durante tutti gli eventi che mi avete descritto. Devono avermi
svestito e cambiato abiti in quel periodo.» Clover gli chiese:

346
«Quand’è che sei svenuto?» «Quando ci siamo divisi per
cercare il RED.»

«Dove ti hanno portato? Ricordi qualcosa?», chiese Junpei.


«Era una piccola stanza in uno dei corridoio del ponte C.»
«Cosa è successo?» «La stessa cosa che è successa a tutti noi
quando siamo stati rapiti. Una bomboletta ha rilasciato un
qualche tipo di gas nella stanza. Credo che quel gas sia un
qualche tipo di agente debilitante.»

«Quindi, questo significa che è stato…» «… Zero.» Fu


Junpei a concludere la frase di Clover. «Così pare, sì. Non c’è
nient’altro da dirvi. Al momento del mio risveglio, mi trovavo
in questa bara.» Junpei incrociò le braccia e pensò. Perché Zero
aveva fatto indossare a Mister X gli abiti di Snake? In che modo
questo trucchetto andava a vantaggio di Zero?

Era un mistero. Junpei non riusciva a trovare un senso.


Inoltre, non aveva una spiegazione soddisfacente di come
avesse scoperto la password della bara. Non aveva senso. “La
verità è andata, la verità è andata, e la verità è andata.” Cosa
significava? Significava qualcosa? E perché Junpei si era sentito
costretto a premere i tasti del braccialetto dopo aver udito
quelle parole?

Seven gliel’aveva chiesto mentre aspettavano che Clover


smettesse di piangere. Non aveva saputo fornire una risposta, e
non la sapeva ancora dare. Tutto quello che poté dire è che
sembrava come una reazione inconscia. Le sue dita si erano
semplicemente mosse di loro spontanea volontà. Era la sola

347
spiegazione che avesse un qualche senso, ma quasi non ce
l’aveva.

Junpei non aveva idea di cosa significasse. La sua mente


era un vortice di misteri, indizi, teorie, e ancora misteri. Poteva
a malapena pensare. E naturalmente, Snake e Clover erano
stati dei soggetti di un esperimento simile, nove anni prima.

Junpei ricordò ciò che gli aveva rivelato Clover: «La


possibilità di accedere ad un campo morfogenetico è
influenzata da due cose… la prima è l’”epifania”, e la seconda è
il “pericolo”. […] E… e… qualcuno… effettivamente morì…
una ragazza. […] Il suo nome era… uhm…»

Un altro esperimento era stato condotto sulla stessa nave,


nove anni prima. Una ragazza era morta. Teoria dei campi
morfogenetici. I due omicidi. Scambio di vestiti. Il Nonary
Game. E lo strano fatto appena avvenuto a Junpei. Il vortice
nella sua testa sputò parole e idee che scomparvero
nuovamente inghiottite appena credeva di averle afferrate. Ma
mentre si sforzava, Junpei iniziò a realizzare qualcosa… C’era
qualcosa che le legava tutte insieme…

… Zero. Era la guida; colui che aveva intrappolato nove


persone su una nave in affondamento. Zero sapeva tutto. Se
avessero potuto scoprire l’identità di Zero, tutte le loro
domande avrebbero ottenuto una risposta. Chi era Zero…
Junpei iniziò ad abbozzare una teoria. Se solo avesse potuto
verificarla… o, forse…

348
Snake interruppe i suoi pensieri: «Ad ogni modo, avremo
tempo in abbondanza per decifrare ulteriori dettagli in seguito.
Al momento, è di somma importanza che fuggiamo. Junpei,
erano le 4:30 l’ultima volta che hai controllato l’orologio, sì? Il
che significa che abbiamo meno di un’ora. Dobbiamo
affrettarci!»

«E-ehi… uh, come pensiamo di uscire da qui?», chiese


Seven. «Non è ovvio? Attraverso l’altra porta 9», rispose Snake.

5 + 4 + 7 + 2 = 18 -> 1 + 8 = 9

«Oh! Oh sì! Sì, hai ragione! Con Snake, possiamo aprire la


porta!», esclamò Seven in visibilio. «Non dirmi che non ci eri
ancora arrivato…» disse Clover. Mentre i due si lanciavano
frecciatine, Junpei osservò la mano sinistra di Snake. Indossava
un braccialetto con il numero 2.

«Eddai, avresti dovuto dirmelo!», esclamò Seven. «Io, ehm,


avevo dato per scontato che l’avessi capito…», rispose Snake.
«Lasciamo stare! Andiamo e basta!» Seven camminò pestando i
piedi fino alla porta 9 più piccola. Clover, Snake e Junpei
seguirono. Seven pose velocemente la sua mano sul RED.
Comparve un asterisco sullo schermo. Junpei e gli altri fecero
lo stesso, portando le mani sullo scanner. Ben presto, quattro
asterischi brillavano sullo schermo.

Seven li osservò, poi portò la mano sulla leva del RED.


«Molto bene! Pronti ad andare?» Clover e Snake assentirono.
Junpei rimase in silenzio per un momento. «Non ancora.»
«Uh?» «Prima di entrare, voglio controllare una cosa.» «Vuoi…

349
controllare una cosa?», chiese Snake. «Sì, ma prima di farlo…
Seven, potresti tirare la leva, per favore? Voglio essere sicuro
che possiamo autenticarci con solo quattro di noi.»

«Che intendi dire? Non abbiamo bisogno di…» «Fallo e


basta, okay? Ma se la porta si apre, non entrarci ancora, okay?»
Seven era perplesso, e Junpei insistette: «Per favore. È molto
importante. Ho davvero bisogno di controllare, okay?» Guardò
direttamente negli occhi di Seven, che lo guardò di rimando
per un momento, poi annuì.

Seven tirò la leva e la porta 9 si aprì cigolando. Poi


attesero. Sei, sette, otto, nove. Dopodiché, la porta si chiuse.
«Molto bene, significa che noi quattro possiamo attraversare la
porta 9», disse Junpei. «Quindi? Lo sapevamo già. È ovvio»,
esclamò Seven. «Ovvio… Sì, hai ragione. Lo è. Ora, che succede
se aggiungiamo il braccialetto di Zero?», chiese Junpei.

«… Cosa?» «Il braccialetto… di Zero?» Seven e Snake


erano scioccati. «Perché non lo tiri fuori, Clover?» Per un
istante, Clover sembrò sorpresa, ma si riprese rapidamente, e
mostrò la lingua con sorriso maliziosamente innocente:
«Allora sapevi che ce l’avevo… L’ho raccolto perché pensavo
che avrebbe potuto tornare utile.»

Estrasse da una delle tasche della sua voluminosa giacca il


braccialetto. Junpei lo prese e lo diede a Seven. «Questo era
sulla mano sinistra del cadavere nel quartiere del capitano. Se
guardi, ha uno 0 sul display. Giusto per rendere più semplice il
discorso, chiamerò il tizio che abbiamo trovato morto nel
quartiere del capitano “Cap”. Se Cap era davvero Zero… allora
350
dovrei poter aprire la porta 9 semplicemente col mio
braccialetto, quello di Clover e il suo. Ma cosa ancor più
importante, se voi foste Cap, e questo fosse il vostro gioco…
indossereste davvero uno di questi braccialetti? Ad ogni modo,
facciamo un tentativo. Su, Clover, dammi una mano.»

«O-okay…» Dopo che Junpei e Clover autenticarono i loro


braccialetti, sventolò quello di Cap vicino allo scanner. Poi tirò
la leva. Ad ogni modo, la porta non si aprì. Il display mostro la
parola “ERRORE”. «Lo sapevo… ora, questo cosa ci dice?»
Seven azzardò una risposta: «Forse bisogna portare il
braccialetto al polso per funzionare?»

«No, è impossibile. L’hai visto, il display ha mostrato il


terzo asterisco quando ho autenticato il braccialetto di Cap.
Che sia o meno al polso non importa. Tutto quel che serve è
metterlo vicino al pannello, per identificarlo.» Seven avvicinò
il braccialetto allo scanner. Un asterisco comparve sul RED.
«Uh… sembra che tu abbia ragione.»

«Visto? Quindi, che significa? C’è una sola possibilità»,


fece Junpei. «Quel braccialetto non è il numero 0. È questo che
stai dicendo?», lo interruppe Snake. «Esattamente.» «Quindi…
che numero è…?», chiese Clover. «Scopriamolo.»

Tentarono varie combinazioni, fino a che funzionò quella


con il braccialetto di Seven, quello di Junpei e quello con lo 0.
La porta si aprì. «E-ehi! Si è aperta! La porta si è aperta!» «Cosa?
Perché? Che significa?» Sia Seven che Clover sembrarono
alquanto scossi. E appena si girarono verso Junpei in attesa di
risposte… la porta si richiuse pesantemente.
351
Junpei alzò il sopracciglio: «Non è ovvio? Il braccialetto di
Cap è il numero 6.»

7 + 5 + 6 = 18 -> 1 + 8 = 9

«Ma… non c’è mica scritto 0?», chiese Seven grattandosi il


capo. «Non è uno 0. Il simbolo sul display non è il numero 0. È
la lettera “O”.» Dopo alcuni attimi di silenzio, Clover disse:
«No, aspetta… non ho capito. Voglio dire, abbiamo scoperto
che il braccialetto di Cap è il 6, giusto?» «Sì.» «Quindi ci sono
due persone con il 6?»

Prima che Junpei potesse rispondere, fu Snake a parlare:


«C’è, molto probabilmente, una sola persona con il 6.» «Ma…
non capisco… e June?» Snake rispose: «Be’, questa è solo una
raffinata congettura, ma credo che il numero di June non sia
mai stato un 6. Il suo braccialetto era capovolto. In altre
parole… il vero numero di June è…» «… 9?», conclude Seven.

Snake proseguì: «Sembra l’ipotesi più probabile.» «Quindi


tutta questa roba delle porte numerate era una stronzata?»,
chiese Clover. «Perché dici questo?», le chiese Snake. «Perché!
Perché se June è il 9, allora i conti non tornano.» Clover prese
il quaderno di Junpei e iniziò a scrivere furiosamente.

“Lista di tutte le porte numerate per cui June è


passata:

1. Porta 4

6 + 3 + 5 + 8 = 22 -> 2 + 2 = 4

352
2. Porta 8

6 + 3 + 8 = 17 -> 1 + 7 = 8

3. Porta 6

6 + 3 + 7 + 8 = 24 -> 2 + 4 = 6

4. Porta 9

6 + 3 + 1 + 8 = 18 -> 1 + 8 = 9”

Clover lesse ogni riga ad alta voce in modo che anche


Snake potesse seguire. «Ecco, ho fatto una lista di tutte le porte
numerate per cui è passata June. Ho scritto in quale porta è
andata, e con chi. E ho scritto tutti i numeri qui, all’inizio. Così
se scambi il 9 con il 6 ogni volta che compare, i conti non
funzionano. Se la radice digitale è 7, non puoi aprire la porta 4.
E così via…»

«Clover… noti nulla di interessante sulla lista?», le chiese


Snake. «Cosa vuoi dire?» Fu Seven a rispondere: «Stai parlando
del numero 3, vero?» «3?», chiese Clover. «Santa è sempre in
stanza con lei. È questo che stai dicendo, no?», fece Seven. «Sì.
Esattamente», rispose Snake.

«E quindi?», chiese Clover. «È piuttosto semplice, davvero.


Mi hai detto che la prima volta che siete venuti in questa
stanza, Santa è stato il primo a rifiutarsi di lasciare indietro
June. Ora, ciò non ci impone per caso di chiederci “perché”?
Perché Santa avrebbe dovuto farlo? La risposta è semplice.
Perché Santa non può aprire la porta 9 solo con Seven e Lotus.

353
E naturalmente, c’è solo una ragione per questo… il suo
numero non è il 3. Il vero numero di Santa è… Seven, saresti
così gentile da modificare le equazioni di mia sorella?»

Seven prese il quaderno e la penna da una confusa Clover,


e iniziò a scrivere.

1. Porta 4

9 + 0 + 5 + 8 = 22 -> 2 + 2 = 4

2. Porta 8

9 + 0 + 8 = 17 -> 1 + 7 = 8

3. Porta 6

9 + 0 + 7 + 8 = 24 -> 2 + 4 = 6

4. Porta 9

9 + 0 + 1 + 8 = 18 -> 1 + 8 = 9”

Lesse le modifiche che aveva fatto. Non appena ebbe


terminato, guardò Snake. Snake sorrise. «Grazie. È corretto,
Seven. Il vero numero di Santa non era 3. Era Zero», disse
solennemente Snake. «Non è possibile… Santa è… Zero…?»,
chiese Clover sconcertata.

Snake proseguì: «E June era il 9, non il 6. Al contrario,


Santa era lo 0, non il 3. +3 e -3. Si annullano a vicenda. Nulla
sembra fuori posto.» Seven disse: «Quindi questo significa che
anche se ha messo in piedi tutta questa dannata cosa… Santa

354
ha giocato comunque secondo le regole del Nonary Game, per
tutto il tempo.» «Precisamente.»

«State dicendo che Santa ha pianificato tutto questo?»,


chiese Clover. «Non sono certo se abbia agito da solo o meno.
Ma penso sia pacifico concludere che lui è Zero. Se… la mia
ipotesi è corretta.» Clover si morse il labbro. Sembrava avere
qualche difficoltà a credere alla spiegazione di suo fratello.

Junpei rimase in silenzio, e pensò. L’ipotesi di Snake non


lo soddisfaceva. Il braccialetto di June era capovolto… se anche
fosse stato possibile, allora ci sarebbero stati due braccialetti
col 9. E se era così…

«Molto bene, abbiamo parlato abbastanza. Andiamo! È


giunto il momento di varcare la soglia!», sentenziò Snake. Si
identificarono, tirarono la leva, e la porta 9 si aprì. Balzarono
dentro. Il DEAD si trovava proprio di fronte a loro, appena
entrarono. Velocemente, identificarono i braccialetti, e il
detonatore si fermò.

Dopo qualche momento di pausa per recuperare


collettivamente il respiro, Junpei e i suoi compagni si diressero
lungo il corridoio di fronte a loro. Alla fine c’era una rampa di
scale che conduceva di sotto. Sembrava che conducesse al
ponte inferiore. Guardarono in giù. Non sembrava allagato.
Dopo aver deciso che era sicuro, scesero le scale.

In breve tempo, Junpei e i suoi compagni si ritrovarono al


ponte inferiore. Si voltarono a sinistra, verso un altro corridoio,
alla fine del quale trovarono un’altra porta. E naturalmente,

355
c’era un simbolo inciso sopra la serratura. Somigliava ad un
arpione di quelli usati per prendere pesci, con tre denti. Snake
ne tracciò la forma con le dita.

«È il simbolo di Nettuno. Deve esserci una chiave, qui


attorno.» La chiave di Nettuno… tutto ciò che Junpei
possedeva era la key card di Urano. Non era lo stesso pianeta, e
neppure lo stesso tipo di chiave. Chiaramente, non avrebbe
potuto aprire questa porta. Dopo averla esaminata per qualche
altro minuto, lasciarono perdere e tornarono da dove erano
giunti.

Con una ricerca un po’ più accurata, trovarono una porta


metallica. Di lato c’era un card reader, con inciso un simbolo.
Era il simbolo di Urano, il medesimo della key card che Junpei
possedeva. «Ecco, è qui che va…» Borbottò tra sé, e fece
scorrere la carta lungo il lettore. Emise un bip, e poi la luce
divenne verde.

Con un gran clangore metallico, la porta si aprì. Junpei,


Clover, Snake e Seven si guardarono l’un l’altro ed entrarono.
La stanza era piena zeppa di libri. Sembrava chiaramente una
biblioteca. Non quel tipo di biblioteca in cui un gran numero di
persone veniva per leggere libri – più quel genere di biblioteca
che era semplicemente un luogo per conservare libri.

Si sentì un po’ sopraffatto dalla maestosa quantità di libri,


ma Junpei fece del suo meglio per parlare con fermezza:
«Molto bene, se vogliamo aprire quella porta, ci serve la chiave
di Nettuno. Direi di dividerci e cercarla.» Gli altri annuirono.

356
“Alice riposa in una piccola camera oltre la foresta della
conoscenza”… Appena iniziò la sua ricerca, per ragioni che non
comprendeva del tutto, Junpei sentì queste particolari parole
girargli per la testa.

Le sezioni dei libri sono dedicate all’evoluzione delle


specie, la geologia, Abdul Alhazred (Necronomicon),
teletempotrasporto e telepatia, astrofisica, storia, informatica,
biologia, ecc.

C’è uno scaffale quasi vuoto se non per quattro libri con 4
lettere ciascuno sul bordo laterale: ERNL, PEIU, NEDB, OHFB.
Scambiandoli si può ottenere, leggendo in verticale, OPEN
HERE FIND BULB. Si apre uno scomparto segreto a destra, in
cui c’è una lampadina.

In mezzo a tanti libri seri ce n’è uno per bambini con


pagine pop-up, e Junpei lo prende con sé in quanto sospetto.
Succede lo stesso con un secondo libro così. I pop-up dicono
HEAD e RKL.

Un’altra lampadina si trova dietro un libro messo


diversamente dagli altri.

Al piano di sotto ci sono altri scaffali. Ipotesi di Riemann,


matematica indiana, congettura di Goldbach, letteratura e
folklore giapponese

C’è un altro libro per bambini, che viene preso. I pop-up


dicono SE-5.

357
Un’intera libreria è protetta da una teca di vetro e contiene
solo sei libri. È chiusa con un lucchetto e una combinazione di
sei cifre. I libri all’interno sono numerati 6, 3, 2, 4, 1, 5. Questa
è anche la combinazione. All’interno c’è un’altra lampadina.

Al centro del piano di sotto c’è un cilindro rialzato con tre


deboli lampadine che proiettano dei leggii sul fondo. Mettendo
i tre libri pop-up nei leggii compare qualcosa sul fondo; a
causa della debolezza delle lampadine, però, non si legge.

Junpei sostituisce quindi le lampadine con quelle più


potenti che hanno trovato. La scritta che si forma è sulla prima
riga SHELD e RAKE-5 a capo.

«Sheldrake…» Junpei lesse il testo ad alta voce. Seven


disse: «Penso di aver visto questa collezione di libri da qualche
parte…» «Sì, era qui da qualche parte…», fece Clover.
Andarono a cercare, lasciando indietro Junpei e Snake.

Snake chiese: «Hai mai sentito parlare di lui? Sheldrake,


intendo.» Junpei fece una smorfia: «Sì. Lotus mi ha parlato di
lui.»

Lotus aveva detto: “C’è un biochimico inglese chiamato


Sheldrake. Ha una teoria piuttosto interessante. Parla dei
campi morfogenetici, è la teoria della risonanza morfica.”

«Davvero. Da Lotus, eh…», commentò Snake. «Be’…


anche Clover mi ha detto qualcosa su questa roba…» «… l’ha
fatto?» «Sì. Uhm, com’era… “La possibilità di accedere ad un
campo morfogenetico è influenzata da due cose… la prima è

358
l’”epifania”, e la seconda è il “pericolo”.» Snake sospirò: «Quella
ragazza… le avevo chiesto di non parlarne con nessuno…»

«Perché?» Gli occhi di Junpei si strinsero, e proseguì:


«Guarda, non ho insistito perché eravamo di fretta, ma ormai
sono stufo di tutti questi misteri. Perché non me lo dici e
basta?» «Dirti cosa?» «Non prendermi in giro.
Dell’esperimento.» Le spalle di Snake crollarono e scosse la
testa lentamente. Alla fine aveva rinunciato.

«Bene. Benissimo. Ti racconterò ogni cosa. Ma non qui.


Spostiamoci al piano superiore.» Junpei annuì, e salirono le
scale. Snake rimase in silenzio per un momento, dopo il loro
arrivo, infine incrociò le braccia e parlò: «Suppongo che possa
iniziare raccontandoti perché ho mantenuto il silenzio, e
perché mi sono assicurato che Clover facesse lo stesso. Ad
essere onesto, la spiegazione è piuttosto semplice. Zero mi ha
detto di non farlo. Avevo ben poca scelta. Non me l’ha detto di
persona, chiaramente. Mi ha lasciato un messaggio inciso su
una foglio.»

Snake cercò all’interno della manica ed estrasse un


piccolo, rigido pezzo di carta. Sembrava come quello che aveva
mostrato a tutti alle scalinate principali. «Quindi avevi due
fogli.» «No, soltanto uno.» «Uh? Che intendi? Pensavo che
contenesse solo le regole del Nonary Game…»

«Sì, è così. E quelle erano le regole che vi ho letto. Ad ogni


modo… non era l’unico contenuto del messaggio. C’era
qualcosa che non ho letto. O meglio, dovrei dire, c’era qualcosa
che non ho potuto leggere.» «Cioè…?»
359
«”Non raccontare a nessuno degli eventi che hanno avuto
luogo qui nove anni fa. Fallo, e attiverò il detonatore di tua
sorella.”» Junpei bofonchiò qualcosa. Snake annuì. «E riguardo
Clover? Anche lei ha ricevuto un messaggio da Zero?», chiese
Junpei.

«Non credo. Ma non è curioso che Zero abbia intimato di


tacere me, ma non lei?» «Sì, sembra un po’ strano.» «Per
sicurezza, ad ogni modo, le ho detto che sarebbe stato meglio
non parlarne con nessuno. Tuttavia… apparentemente lei te
l’ha detto. Quella ragazza…»

«Che c’è di male se me ne ha parlato? Avevo messo


insieme vari pezzi in base a quel che mi aveva detto. E poi,
voglio dire, sembra che tutta la storia dell’”attivare il suo
detonatore” fosse solo un bluff. Sta saltellando al piano di sotto,
felice come una pasqua, ora che sei tornato.»

Snake lanciò un’occhiata giù a Clover e Seven,


esaminando uno degli scaffali. «Questo è vero. Ho deciso che
posso fidarmi di te. Ho deciso di raccontarti la verità. La
possibilità che Santa sia Zero è molto elevata. Mi sento di poter
assumere che Santa non ha il tempo di osservarci, al momento.
E in ogni caso, se anche fosse, dubito fortemente che ci
ucciderebbe.»

«Perché no?» «Clover mi ha raccontato del quadrifoglio.


Delle parole. Se lui ne era a conoscenza, allora era nel mio
gruppo durante il primo esperimento. Ne sono certo. Non ci
ucciderebbe. Non ha rilevanza in quali circostanze…» Snake si

360
fermò, e piegò di lato la testa, come se stesse ascoltando
qualcosa in gran lontananza.

Il suo volto sembrava cupo, come se qualcosa gravasse su


di lui. «Ehi, uh… Snake…» Junpei non era molto sicuro su cosa
dire. Snake si voltò a guardarlo. «Sì, lo so. Vuoi sapere cosa è
avvenuto durante l’esperimento.» «Sì.» «Quanto sai?» Junpei
ripeté a Snake tutto quanto Clover gli aveva rivelato.

I campi morfogenetici e gli esperimenti di nove anni


prima ad essi collegati. Di come l’esperimento avesse avuto
luogo simultaneamente in due luoghi, la nave e una struttura
nel Nevada. Di come avevano giocato al Nonary Game. Gli
disse ogni cosa.

E infine… gli disse di come una ragazza era morta


durante l’esperimento. «Oh… lei… ti ha detto tutto questo…»
Snake guardò in basso. Il suo volto era teso. Un lieve tremore
scosse il suo corpo, e tentò di nasconderlo. Stava mantenendo
una buona facciata, ma anche Junpei poteva capire che Snake
stava trattenendo qualcosa di profondo, e potente. Fece come
per spazzar via qualcosa dalla faccia, e guardò Junpei. «Ad ogni
modo, adesso ho la consapevolezza di quanto hai imparato.
Tutto ciò che ci rimane da determinare…»

«È chi ha fatto questo, e perché, giusto?», chiese Junpei.


«Sì.» «Puoi dirmi cosa è successo?» Snake annuì lentamente.
«Le persone che organizzarono l’esperimento iniziale facevano
parte di una compagnia chiamata “Cradle Pharmaceutical”.
Erano in quattro, ad eseguire questo spettacolo. Gentarou
Houngou, Nagisa Nijisaki, Teruaki Kubota, Kagechika
361
Musashidou. Hongou era il Direttore. Nijisaki era il suo braccio
destro, e fece la parte del leone, nel progetto. Kubota
supervisionava la ricerca e lo sviluppo. Musashidou era il loro
azionista di maggioranza. Furono loro quattro a progettare
l’esperimento iniziale. Lascia che semplifichi il tutto. Hongou
l’ha abbozzato, e Nijisaki ha rifinito e messo tutto insieme.
Kubota ha sviluppato la tecnologia necessaria, e Musashidou
ha fornito il denaro.»

Junpei non poteva scrollarsi di dosso la sensazione di


avere già sentito questi quattro nomi, da qualche parte prima
d’allora. Snake proseguì: «Chiaramente, erano necessarie più di
quattro persone per condurre un esperimento di questa portata.
A tale scopo, organizzarono un team top-secret che li assistesse
nelle ricerche. Nel complesso, riunirono all’incirca dieci
persone. Questi dieci completarono la squadra, e furono in
grado di dare avvio al progetto. Lo chiamarono il Nonary
Project. Lo scopo dell’esperimento era di ricercare sulla
possibilità di controllare una mente umana tramite la pura
volontà. Il… mezzo, suppongo si potrebbe dire, per questo
controllo era il campo morfogenetico.»

Snake si fermò un momento, per consentire a Junpei di


metabolizzare queste informazioni, e proseguì: «Perché la
glicerina ha iniziato improvvisamente a cristallizzare? Perché
la struttura cristallina dell’EDT ha subito un cambio repentino?
Perché i ratti migliorano le proprie abilità di risoluzione di
problemi ad ogni generazione? Gli esperimenti con gli umani
produssero i medesimi risultati. Più persone erano a
conoscenza della risposta ad una domanda… e più persone

362
erano in grado di rispondervi correttamente, pur senza aver
mai visto il problema in precedenza. Perché? Come?»

Junpei era sempre più ammutolito, e Snake continuò a


spiegare: «La risposta è che la “forma” della risposta è stata
conservata in un campo invisibile all’occhio nudo. E attraverso
quel campo, l’evento di risonanza trasmette le informazioni
relative a quella risposta. Questa è… essenzialmente l’idea che
sta dietro i campi morfogenetici.»

«Ma è solo una teoria…» «Non riesci a crederci?», lo


incalzò Snake. «Non particolarmente…», rispose Junpei.
«Poniamo che qualcuno abbia ucciso un altro individuo,
perché il diavolo gli ha detto di farlo. Che il diavolo esista o
meno non è rilevante per l’omicida. Lui crede che il diavolo
esista, e agirà di conseguenza.»

«Quindi quello che importa è che Hongou credeva ai


campi morfogenetici…», disse Junpei. Snake annuì. «Ma
continuo a non capire… hai detto che volevano capire come
controllare le persone… giusto? È questo che stavi dicendo?»
«Esattamente.» «E come pensavano di farlo con un campo
morfogenetico?»

«La farò semplice. Supponiamo che diecimila persone


abbiano risolto un certo problema. La probabilità che tu
conosca la risposta, anche se nessuno te ne ha parlato, crescerà.
Prendiamo un altro esempio, va bene? Diciamo che un milione
di persone stanno facendo la verticale proprio adesso. Domani,
la probabilità che tu faccia una verticale sarebbe maggiore,
anche se tu non avessi sentito nulla su questa ipotetica e
363
atletica massa di persone. I processi mentali e le azioni del
genere umano fanno tutti parte di un evento di risonanza. Tutti
questi eventi di risonanza, codificati nei campi, sono proiettati
su di te. Naturalmente, tutto ciò è valido assumendo che la
teoria sia vera. Riesci a seguire fino a qui?»

«Sì…» «E ora poniamo, ipoteticamente… che ci sia una


singola persona che ha lo stesso effetto di quello di milioni di
persone. Che cosa accadrebbe? Se questo individuo facesse la
verticale, altre persone si ritroverebbero a voler fare la
verticale a loro volta. Riesci a immaginare che cosa sarebbe in
grado di fare una persona con simili poteri?»

«Andiamo, non è possibile che…» «Non ho terminato.


Immagina un altro scenario. Immagina quest’altra persona. Un
individuo ordinario. Poniamo che lui faccia una verticale. Cosa
accadrebbe se ci fosse qualcuno che possa afferrare l’evento di
risonanza che ha creato facendo la verticale… e lo usasse per
far sì che altre persone facciano la verticale? Cosa
accadrebbe?»

La confusione di Junpei cresceva ad ogni istante. Snake,


però, ormai era inarrestabile: «Una persona che abbia il potere
di scrivere nel campo e qualcuno che possa leggere dallo
stesso… potresti pensarli come lo Scrittore e il Lettore, o il
Trasmettitore e il Ricevitore. E se nel mondo ci fossero persone
con abilità come queste?»

Junpei ci pensò per un momento: «Quindi l’evento di


risonanza del Trasmettitore può essere trasmesso attraverso il
campo, e inviato al Ricevitore. E il Trasmettitore può
364
controllare il Ricevitore a suo piacimento… È questo che stai
dicendo?» Snake rispose: «Sì. Ci sei abbastanza vicino,
quantomeno.» «Andiamo, è pura follia.»

«Be’, se vuoi dimostrarlo, dovrai prima testarlo. O almeno,


è così che ragionarono loro. È per questo che decisero di fare i
loro esperimenti. Così che iniziò il Nonary Project.» Snake si
fece improvvisamente molto serio: «Junpei, hai mai sentito
parlare dell’esperimento Ganzfeld?»

«No, mai sentito.» Junpei scosse la testa. «Metti una coppia


di soggetti in stanze separate. Poi mostri ad uno un’immagine,
e chiedi all’altro cosa stia vedendo il primo. In teoria, è stato
pensato per testare l’esistenza della telepatia.» «Oh… e perché
te ne sei uscito con l’esperimento Ganzfeld?»

«Venne usato per selezionare i soggetti per il Nonary


Project. L’ospedale di una piccola cittadina era affiliato con la
Cradle Pharmaceutical. Hongou lo utilizzò per condurre
esperimenti, esaminando bambini in segreto. Alcuni di loro,
trovò, avevano del potenziale… iniziò a raccogliere i bambini
che sembravano promettenti… che sembravano in grado di
accedere al campo. Ovviamente, nessuno di loro aderiva
volontariamente. Furono… rapiti.»

Il suo volto si muoveva a malapena mentre parlava.


Vennero prese nove coppie di fratelli, per un totale di diciotto
bambini. Per ragioni che non furono pienamente comprese ai
tempi, ogni coppia aveva un Trasmettitore e un Ricevitore.
Erano divisi perfettamente. Così, i diciotto bambini vennero
separati in due gruppi da nove.
365
I bambini che vennero messi nel gruppo Q erano quelli
che eccellevano nella trasmissione. Vennero trasferiti nella
struttura fittizia conosciuta come Struttura Q nel deserto del
Nevada. I bambini che eccellevano nella ricezione, invece,
vennero messi nel gruppo A. I membri di questo gruppo
furono mandati nel Gigantic.

Dagli esperimenti condotti, Hongou aveva appreso i


seguenti fatti: ci sono due cose che possono migliorare la
risonanza di un individuo con i campi. La prima è l’epifania; la
seconda è il pericolo.

Sei mai stato alle prese con un problema particolarmente


difficile, pensando che sarebbe stato molto lungo e complesso,
finché una risposta è comparsa improvvisamente nella tua
mente? Può sembrare ovvio da dire, ma è questo che si intende
per “epifania”.

L’informazione ottenuta tramite epifania può essere


facilmente trasmessa attraverso i campi, dove può essere
agevolmente interpretata. L’aggiunta del pericolo in questa
equazione permette un accesso ancora più semplice al campo.

Perciò, Hongou mise un certo numero di enigmi nel


Gigantic. I partecipanti dovevano risolvere ogni rompicapo
prima di poter proseguire alla stanza successiva. Chiaramente,
non aveva dimenticato di aggiungere il fattore pericolo. Più
specificamente, aveva fatto detonare una bomba nello scafo del
Gigantic. I bambini del gruppo A furono costretti a giocare il
Nonary Game mentre la nave affondava.

366
Forzando i bambini in una situazione di vita o di morte,
Hongou sperava di incrementare la probabilità di una loro
connessione ai campi. I bambini del gruppo Q, dall’altro lato,
furono confinati nella struttura Q. Questa struttura era un
perfetto duplicato dell’interno e degli enigmi del Gigantic.

Hongou spiegò la situazione ai bambini del gruppo Q:


“Risolvete gli enigmi che trovate lungo le stanze. Quando li
risolvete, trasmettete le informazioni ai bambini del gruppo A.
Se avrete successo, loro riusciranno a superare gli enigmi e
scappare. Ma se fallirete, il Gigantic affonderà, e i vostri fratelli
e sorelle annegheranno.

Sai perché gli astronauti dell’Apollo 13 furono in grado di


ritornare sani e salvi sulla Terra? Fu perché la NASA aveva
accesso ad una replica della capsula spaziale dell’Apollo 13.
Tutto l’equipaggiamento, gli strumenti, ogni cosa. Tutto
identico. La NASA poté replicare la situazione che gli
astronauti stavano fronteggiando. Mettendosi nella stessa
situazione, tentarono di risolvere i problemi che sapevano che
gli astronauti stavano vivendo.

Una volta trovate le soluzioni, riferivano i risultati agli


uomini a bordo della vera capsula spaziale. E fu così che
poterono tornare vivi. Fu la stessa cosa con il Gigantic e la
struttura Q. I bambini del gruppo Q dovevano usare il potere
dell’epifania per risolvere i puzzle che incontravano, e
trasmettere ciò che imparavano attraverso i campi.

I bambini nel gruppo A, invece, dovevano accedere ai


campi per imparare come avanzare all’enigma successivo.
367
«Questa è la spiegazione più semplice che riesca a
fornirti» Snake sembrava sconfitto. Il suo apatico tentativo di
sminuire la storia servì solo a mostrare quanto questa l’aveva
colpito. Proprio quando Junpei era in procinto di parlare…

«Ehi! Junpei! Snake! Per quanto tempo ancora volete


starvene lì seduti su quei culi ossuti? Scendete qui!» La voce di
Seven echeggiò dal basso. Snake prese un profondo respiro e
strizzò gli occhi rapidamente, come se si fosse appena svegliato
da un lungo pisolino.

«Ha ragione. Andiamo, va bene? Non abbiamo molto


tempo. Dobbiamo uscire di qui, e presto.» Snake si diresse verso
le scale, ma Junpei lo fermò mettendogli un braccio sulla
spalla: «Aspetta. C’è un’altra cosa che devo chiederti. Sei sicuro
che fossero diciotto bambini?» «Perché?»

«Be’, pensavo fossero solo sedici…» «Oh… sì, è quello che


avevano detto ai notiziari, non è così? Sì, non ho dubbi che
diciotto bambini vennero rapiti, e utilizzati nell’esperimento di
Hongou. Dopotutto, non puoi giocare esattamente un Nonary
Game con un numero minore, non trovi?»

«Be’, sì, ma… stai dicendo che le notizie erano sbagliate?»


«Sì, sto dicendo questo. C’erano altri due bambini. Ad ogni
modo, non avevano parenti, per quanto ne sapessi. Immagino
che nessuno abbia denunciato la scomparsa alla polizia quando
vennero rapiti. Erano fratello e sorella, come Clover e me. Il
fratello si chiamava Aoi… il nome della sorella era… il suo
nome era…»

368
Snake sembrava non riuscire a continuare. Pareva come se
quello che stava per dire gli procurasse un grande dolore. «Il
suo nome era Akane. Fu la ragazza che… morì…»

Junpei sentì come se gli fosse stato assestato un pugno


allo stomaco. La sua vista si fece sfocata, e la testa divenne
leggera. Non poteva pensare lucidamente… era tutto… bianco.
Akane Kurashiki era morta nove anni fa…? E se era così,
allora… chi era June?

No… no! Era impossibile. Non poteva essere vero. “Akane”


non era un nome raro. Se Snake avesse conosciuto il suo
cognome, sarebbe stata tutta un’altra cosa. Le due ragazze
condividevano lo stesso nome. Lo stesso valeva per moltissime
altre persone. Non significava nulla.

Era un’altra persona. Certamente era un’altra persona.


Doveva esserlo. Junpei scosse la testa, duramente, e si riportò
alla realtà. «C’è qualcosa che non va, Junpei? Il tuo respiro è
strano.» Dunque Snake l’aveva notato… Junpei si schiarì la
gola e tentò di agire con calma. «Oh no, non è nulla. Sto bene.
Torniamo giù, va bene?»

Snake alzò un sopracciglio, ma non disse nulla. Si diresse


alle scale, con Junpei che lo seguiva stando indietro. Non
riusciva a convincersi a chiederlo. Si disse che sapeva già la
risposta, ma… non riusciva a trovare il coraggio di chiedere
quale fosse il cognome della ragazza.

Con ogni passo che faceva, il freddo, duro suono dei piedi
contro il metallo scavava nel suo cuore.

369
Trovano i volumi di Sheldrake, dietro il quinto c’è un
bottone rosso, una volta premuto al piano di sopra un’intera
arcata di librerie scorre lateralmente, rivelando una parete con
due porte sigillate e una piccola rientranza rettangolare tra
esse, al centro.

Questa rientranza ha una piccola tastiera con lettere ma


non numeri, e ci sono delle scritte in rilievo: XIII XIV X XIII.
Junpei scrive DEAD per via dei sistemi numerici esadecimali.
La porta a destra si sblocca.

La porta si aprì, e Junpei e gli altri ne varcarono la soglia.


Ma non appena l’ebbero fatto, il clangore del metallo contro il
metallo risuonò dietro di loro. Si voltarono. La porta per cui
erano appena passati si era già richiusa. Junpei afferrò la
maniglia con entrambe le mani e tirò con tutta la sua forza.
Non sortì alcun effetto.

C’era un’altra porta per uscire, con accanto un card reader.


Devono quindi cercare la key card nella stanza, che è molto
caotica: vi sono ammassate pile e pile di oggetti vari, sparsi
ovunque.

Gli oggetti sono copie di quelli che hanno utilizzato in


tutti gli enigmi. Junpei prende una cartina. Poi trova un
computer, sul cui schermo si trova questo:

370
Cliccando su una delle caselle blu si scambia
l’accensione/spegnimento di tutte quelle adiacenti. Le due
caselle spente hanno 4 e C. La soluzione si ottiene riuscendo a
spegnere solo D e B tenendo acceso tutto il resto, perché
considerando le lettere come numeri in esadecimale le
equazioni si risolvono così.

A lato del computer si apre un piccolo spazio contenente


lo stemma di una croce in metallo, che Junpei prende. Su una
scrivania con tre monitor ci sono quattro rientranze in cui
inserire quattro di quegli stemmi.

Sulla parete accanto alla porta da cui si dovrà proseguire


c’è una parte di metallo con tante fessure orizzontali,
circondato da strisce gialle e nere. Aprendola, dentro trovano
una bara. Ha una targhetta con scritto ALL-ICE. Al momento,
però, non si apre. Dal soffitto scende un tubo con attaccati vari
monitor, ognuno dei quali mostra una delle stanze della nave.
371
Dentro un armadietto ci sono tre fogli di carta, che
riportano il codice Morse. In mezzo alla stanza c’è invece un
altro schermo, e sotto una bussola e l’equivalente di un timone.
Seguendo il percorso segnato dalla mappa trovata prima, a lato
dello schermo si apre un altro pannello scorrevole che rivela lo
stemma con il timone.

Un altro monitor mostra invece dei punti in codice Morse:

..
....
.
Junpei inserisce invece

..
-.-.
.
Ossia ICE. Un altro pannello scorre rivelando lo stemma
con il simbolo del codice Morse, uno strano cerchio. La bara
sembra inoltre essersi sbloccata. Aprono la bara, che contiene
la chiave di Nettuno e uno stemma con simboli uguali a quelli
sulla bara.

372
I quattro stemmi vanno inseriti nell’ordine corretto, in
base ai simboli presenti nelle rientranze sulla scrivania (ossia
timone, croce, cerchio e bara). Junpei inserisce lo stemma del
timone, e un display si accende. Mostra delle palline coi
numeri da 1 a 9 in alto (il pallino 9 è rosso), e due spazi in
basso che contengono uno il 6 e l’altro il 3.

Le istruzioni dicono:

“Quando tocchi un’area numerata, quell’area sarà


selezionata, e diventerà blu.

Toccare una pallina numerata dopo aver selezionato


un’area sposterà quella pallina nell’area scelta.

Non puoi muovere le palline rosse.

Puoi muovere da un minimo di 3 a un massimo di 5


palline in ogni area.

Premi il tasto “Check” una volta mosse tutte le palline


(tranne le rosse, che non puoi muovere).

La radice digitale delle palline in un’area deve


corrispondere al numero di quell’area.”

Junpei mette 1, 4, 5, 6 e 8 nell’area 6 e 2, 3 e 7 nell’area 3.


Prosegue inserendo lo stemma della croce, e compare un
nuovo puzzle come il precedente. Questa volta le palline rosse
sono l’1 e il 9; le aree hanno l’1 e il 7. Junpei mette 2, 3 e 5
nell’area 1 e 4, 6, 7 e 8 nell’area 7.

373
Inserisce poi lo stemma del codice Morse. Questa volta le
palline rosse sono la 1, la 3 e la 9. Entrambe le aree hanno un
7. Junpei risolve il puzzle utilizzando le palline 8, 2 e 6 da un
lato e 4, 5 e 7 dall’altro. Infine utilizza lo stemma della bara e
ricompare l’enigma. 1, 3, 6 e 9 sono rossi. Le aree hanno l’8 e il
9. Junpei mette tutte le palline utilizzabili nell’area 8 e nessuna
nel 9, risolvendo il puzzle.

Il cassetto sotto la tastiera si sblocca.

«Una… foto?» Nel cassetto c’era solo una fotografia. La


raccolse. Raffigurava quattro uomini.

Involontariamente, Junpei inarcò le sopracciglia. Aveva


già visto ben tre di loro, prima. Sulla destra c’era un uomo coi
baffi. Il medesimo che avevano trovato, ucciso, nel quartiere
del capitano. Stava indossando il braccialetto 0, quando lo
trovarono.

Il secondo uomo da sinistra c’era un uomo con gli occhiali


e il camice da scienziato. Era il nono uomo, quello che aveva
indossato il braccialetto 9. Era entrato nella porta 5 da solo, e

374
aveva incontrato una fine spiacevole. Infine, l’uomo sulla
sinistra. L’uomo con l’abito a righe.

«Ragazzi… questo è Ace…» disse Junpei. «Sì, sembra


proprio lui.» «Non c’è dubbio.» Seven e Clover si erano messi a
sbirciare dietro le spalle di Junpei. Ma… che significava? Cosa
ci faceva Ace nella foto? E forse ancor più importante, perché
c’erano anche il nono uomo e Cap?

Guardando più da vicino, Junpei notò l’espressione sul


volto di ciascun uomo. I loro sorrisi suggerivano che erano
vicini, almeno a qualche grado. Ma perché? Come? Qual era la
relazione tra questi quattro uomini…

La voce di Snake irruppe interrompendo i pensieri di


Junpei: «Hai detto che Ace è in quella foto?» «Sì. Non sembra
scattata recentemente, comunque. Ace, il nono uomo e Cap
sembrano tutti di una decina d’anni più giovani.» «Ah, dunque
il nono uomo e l’uomo che avete trovato ucciso nel quartiere
del capitano sono a loro volta nell’immagine?»

«Sì.» «C’è nessun altro? O ci sono solo tre individui? Temo


di non poterlo vedere.» «No, c’è un altro tizio. Ha i capelli
lunghi. Sembra intelligente, ma un po’ freddo. È l’unico che
non riconosco.» Snake aggrottò le sopracciglia, poi chiese:
«Qual è la data della fotografia?»

«Non ce n’è una», rispose Junpei. «Hai controllato sul


retro?» «Il retro?» «Sì. Dietro. L’altro lato.» Junpei girò la
fotografia. E in effetti c’era. Ad essere precisi, non era una data,

375
ma era certamente significativo. Lo lesse ad alta voce, in modo
da non lasciare Snake all’oscuro del tutto:

«Pregando per il successo del Nonary Project… con


Nijisaki, Kubota, e Musashidou…» Junpei rigirò
immediatamente la foto. Questo significava che i quattro
uomini nella fotografia avevano giocato al Nonary Game nove
anni prima. Solo Hongou non veniva menzionato sul retro, il
che, sentiva Junpei, significava che era l’autore di quelle
parole.

Ma ciò che sorprese Junpei non fu la rivelazione, quanto


piuttosto il fatto che non la percepì per nulla come una
rivelazione. Sembrava… ovvio. Che le loro vere identità non
fossero giunte come una sorpresa fu ciò che Junpei trovò più
sorprendente. Perché, quindi? Perché non era sorpreso?

Junpei aveva appena scoperto che Ace aveva progettato il


Nonary Project, eppure… non sentiva brividi di agitazione, o di
sorpresa. Nulla. Era quasi come se l’avesse già saputo. «Ah…
certamente. Ora capisco», disse Snake. Junpei lo guardò. Nella
propria confusione, aveva tralasciato l’aspetto tetro sul volto
dell’altro.

Snake proseguì: «Ace era il Direttore della Cradle


Pharmaceutical… fu colui che inventò il gioco nove anni fa…
era Gentarou Hongou.» «Ace è… Hongou?» Pur chiedendolo,
Junpei sentì come se l’avesse già saputo. Come se qualcuno gli
avesse sussurrato nella testa che sì, certamente Ace era
Hongou.

376
«Avevo dei sospetti fin dal principio. Le loro voci mi erano
familiari… troppo familiari, per essere una coincidenza. Non
potrò mai dimenticare la sua voce. Era la voce del demonio.
Nondimeno, non potevo esserne certo. Dopotutto, non avevo
modo di controllare. Certamente non avrei potuto
chiederglielo. E se anche l’avessi saputo, ad ogni modo, non ve
l’avrei mai detto. Zero aveva palesato abbastanza chiaramente
cosa sarebbe accaduto se l’avessi fatto.»

«Oh mio Dio, non ne avevo idea!», esclamò Clover. «Uh?»


«Non sapevo che Ace fosse Hongou!» «Oh, sì, è normale che
non lo sapessi», fece Snake, e proseguì: «Nove anni fa, tu ti
trovavi nella struttura Q, nel Nevada. Ma Hongou era nel
Gigantic con noi.» «Lo so. È per questo che non sapevo come
fosse Hongou. Ma… perché? Perché non me l’hai detto? Voglio
dire, sono tua sorella, giusto? Avresti potuto dirmelo…»

«Mi dispiace. Chiedo scusa per aver mantenuto questo


segreto. Ma se te l’avessi detto, Clover, tu l’avresti rivelato a
chiunque altro. E se tu l’avessi fatto, io sarei stato costretto a
raccontare di ciò che successe nove anni fa. Dovevo evitarlo.»
La conversazione tra Clover e Snake non era di particolare
interesse per Junpei.

Non riusciva ancora a capacitarsi della sua strana


sensazione di déjà-vu… stava cercando di riordinare i suoi
pensieri, quando udì la voce di Seven: «Ehi, Junpei. Pensi che
possa prendere in prestito quella foto per un secondo?» Non
avendo ragione di dire di no, Junpei gli diede l’immagine.
Seven la fissò, e iniziò a borbottare tra sé i quattro nomi dei
leader del progetto, ripetutamente.
377
«Hongou… Kubota… Nijisaki… Musashidou… Hongou…
Kubota… Nijisaki… Musashidou…» Cantilenò i loro nomi tra
sé, camminando avanti e indietro. Seven non avrebbe dovuto
conoscere i loro nomi. Dopotutto, non era lì quando Junpei e
Snake li avevano pronunciati nel piano superiore della
biblioteca.

Ma guardandolo mentre camminava pensieroso, per


Junpei era chiaro che in effetti li conosceva… «Ehi, Seven…
tu…» «Sta’ zitto! Sta’… sta’ zitto…» I suoi occhi erano rossi, e
Junpei poté vedere del sudore iniziare a gocciolare sulla sua
fronte. «Sono così vicino a ricordare! Così vicino…» Stava
sudando copiosamente al momento, ma le sue labbra erano
asciutte.

«Hongou… Kubota… Nijisaki… Musashidou… Cradle


Pharmaceutical… Nonary Project…» Poi si fermò. Seven posò
la fotografia e guardò la luce rossa vicino ai suoi piedi. I suoi
occhi si strinsero. Poi improvvisamente si spalancarono, e si
drizzò. «Merda…»

«Che c’è?» «Cosa?» «Merda… questa è follia… ora


ricordo… ricordo tutto…» «Tutto?» «Sì… sì! Ricordo tutto
quanto! La mia memoria è tornata! Ricordo cosa è successo
prima di essere stato preso!» La voce di Seven era colma
d’agitazione. Shock e agitazione avevano congelato Junpei sul
luogo, e così Snake e Clover.

«Lasciate che vi racconti cosa è successo. Seven si portò


rudemente una mano tremolante sulla bocca, e iniziò a
parlare: «Come ha detto Snake, Ace è Hongou. Da destra, gli
378
altri tre sono Musashidou, Nijisaki e Kubota. Musashidou era
quello coi soldi. Nijisaki era il braccio destro di Hongou, e
Kubota sviluppò le tecnologie e i dettagli degli esperimenti.»

La comprensione iniziò a farsi strada per Junpei, insieme


ad una domanda pressante: «Come fai a saperlo?» «Eddai, te
l’ho detto. Finalmente m’è tornata la memoria!» «No, non
intendo questo. Ti sto chiedendo perché sapevi tutte queste
cose, prima di perdere la memoria.»

Seven si strofinò la cicatrice sul mento: «Vuoi davvero


saperlo?» «Certamente!» «Anche io!», esclamò Clover. Snake fu
l’unico a non dare voci ad alcun tipo di assenso. A Junpei
sembrava che fosse semplicemente in attesa, per vedere dove il
recupero improvviso di Seven li avrebbe portati. Seven
proseguì.

«Ci vorrà un po’. Diamine, probabilmente ci vorranno tre


giorni per dirvi tutto…» «Be’, non abbiamo tre giorni», disse
Clover. «Dicci la versione corta», fece Junpei. «La versione
corta…» Il grande uomo si tolse il cappello e si grattò il capo,
poi si rimise il cappello.

«Molto bene. Ci proverò. Ma non prometto niente, eh.»


Junpei e Clover annuirono con serietà. E così Seven raccontò.
Era un investigatore privato, che agiva in base ai suoi valori
prima che alle regole, facendo ciò che era giusto più che ciò
che era scritto. Per questa ragione, quel fatidico giorno, seguì il
suo istinto, ed andò al molo, di notte, seguendo dei piccoli
indizi.

379
Successe nove anni fa. Il molo era scuro, freddo e non
lasciava presagire nulla di buono. Ai tempi, stava
investigando su una gran quantità di rapimenti, tutti
bambini. Avevano tutti una cosa in comune… erano stati
tutti visitati in un preciso ospedale. L’ospedale era
amministrato dalla Cradle Pharmaceutical, e le
investigazioni di Seven avevano reso evidente che la
Cradle era coinvolta nei rapimenti.

Dopo un’opera di persuasione, era riuscito ad ottenere


una pista concreta da qualcuno all’interno della casa
farmaceutica. Gli avevano detto che, quella notte, una
nave avrebbe preso i bambini da dove erano tenuti
prigionieri, verso una grande nave passeggeri al largo.

Seven, naturalmente, si era diretto al molo. Nascosto


nell’ombra, aveva cercato per tutto il porto finché non
aveva trovato la nave che stava cercando. Varie figure
umane si muovevano vicino all’imbarcazione. Erano
vestiti di nero. Molti di loro trasportavano dei larghi
sacchi.

I sacchi… c’era qualcosa nel modo in cui li


trasportavano… non poteva esserci alcun dubbio:
contenevano esseri umani. Seven si mosse prima ancora di
realizzare ciò che stava facendo. Uscì dall’ombra, con la
pistola già in mano. Udì le parole “Non ti muovere”, ma
non erano le sue. Sentì il tocco del metallo dietro la sua
testa.

380
“Lascia la pistola”, disse la fredda voce dietro di lui.
“Potrei ucciderti in questo preciso istante. Non è un
problema. Devo solo legare un’ancora ai tuoi piedi e
dubito che chiunque ti troverà, per una settimana o su di
lì. È questo che vuoi? I pesci qui sarebbero grati per questo
bocconcino…” Con queste parole, udì il freddo oggetto
metallico dietro di lui premere contro il cranio.

Lentamente, Seven si accovacciò, e poggiò la pistola


sul terreno. Poi, improvvisamente… Sentì un penetrante
dolore al collo. Un ago. Lo stavano drogando? Mentre ci
stava pensando, Seven sentì la sua faccia toccare il freddo
calcestruzzo sotto di lui. Poteva sentirne la rigidità
diffondersi in lui.

“Ugh… dannazione! Merda, fa male…” Seven si


svegliò, trovandosi che giaceva su un duro pavimento. Si
torse il collo per scrutarsi attorno, nella stanza in cui si era
trovato. “Dove sono…” C’era un piccolo letto logoro, e un
lavandino sporco. Un water senza privacy di sorta…

Da poliziotto, era un luogo che Seven aveva visto fin


troppe volte. “Sono in cella, uh.” Sulla parete opposta al
water c’era una porta. Seven si sforzò di rimettersi in piedi
e zoppicò verso di essa. Diede alla porta una bella spinta,
poi un’altra. Poi tentò di tirarla. Non si aprì. Be’, d’altronde
era quello che si aspettava. Non era plausibile che
qualcuno l’avesse messo in una cella per lasciarla aperta.

Si scagliò contro la porta alcune volte, ma senza


risultati. “Lo sapevo…” Seven si lamentò tra sé mentre
381
tornava a sedersi sul letto. Rimase seduto per molto
tempo. Per quanto, non lo sapeva. Infine, iniziò ad
addormentarsi, e stava quasi per farlo quando venne
destato da una voce distante.

“È qui! Qui! È… la nove!” La voce era molto lontana –


molto, molto lontana. Seven non poté capire cosa stesse
dicendo. Ciò nonostante, era una voce, e una acuta –
molto probabilmente quella di un bambino. I suoi occhi si
spalancarono.

“Sve…! …ui!” “…rivando!” Ascoltando, Seven riuscì a


distinguere svariate voci diverse. Erano almeno cinque o
sei, forse anche di più. Da dove provenivano quelle voci?
Si guardò intorno nella stanza, freneticamente. Forse dalla
porta? No! Non da lì!

“Cosa… diamo… ra?” Veniva da sinistra? O da… sotto


il letto… ? Afferrò il letto e lo lanciò con facilità. Era lì.
C’era un condotto per l’areazione nella parete dietro il
letto, coperto da una grata di metallo. Seven si mise a
pancia in giù e scrutò attraverso la grata. Non riuscì a
vedere nulla… era troppo buio.

Ma ora che l’aveva trovata, comunque, non potevano


esserci dubbi – quella era la fonte delle voci. Per un
momento fu confuso. Perché quei bambini erano nelle
vicinanze? Poi ricordò quello che gli aveva detto l’uomo
della Cradle Pharmaceutical. Di come una nave avrebbe
preso i bambini rapiti dal molo per portarli ad una nave
passeggeri nell’oceano…
382
Si trovava su quella nave? Non aveva importanza.
Quel che importava era che aveva trovato una via per
raggiungere quei bambini. Seven guardò la grata
metallica. Avrebbe potuto passare per quel condotto?
Infilò le dita attraverso la grata e la tenne ben salda. Tirò
con forza, imprecando. E riuscì.

Il condotto era aperto di fronte a lui. Seven si asciugò


il sudore dalla fronte e strisciò dentro. La prima sezione
era piccola – Seven non riuscì a fare molto di più che
dimenarsi con il corpo. Dopo un po’, comunque, si
allargava, e anche qualcuno largo come Seven sarebbe
stato in grado di avanzare sulle mani e le ginocchia.

Sentì come se fosse appena cresciuto da larva a


insetto. Non un gran progresso, ma meglio di niente.
Aveva iniziato a chiedersi dove il percorso l’avrebbe
condotto, quando… ci fu un suono fragoroso, come una
gigantesca porta metallica che sbatteva con forza. Poi udì
una voce.

“Attenzione. Attenzione. Il comando di incenerimento


di emergenza è stato accettato. L’incenerimento
automatico avrà luogo in diciotto minuti. Per favore,
evacuare la zona immediatamente. Ripeto. Il comando di
incenerimento di emergenza è stato accettato.”

La voce non era dura, ma qualcosa della calma con


cui parlava la rendeva ancor più terrificante. Seven non
era sicuro di cosa significasse, ma “incenerimento”
certamente non suonava bene. Poi, quasi a conferma dei
383
suoi sospetti, udì un coro di giovani voci. “Nooo!”
“Aiutatemi!” Molte delle voci stavano semplicemente
urlando di terrore, mischiandosi l’una con l’altra a creare
un singolo, terrificante ululato.

“Maledizione! Che diamine sta succedendo?” Seven


iniziò a strisciare nel condotto più veloce che potesse, per
quanto le sue braccia e gambe glielo permettessero. Il
rumore che faceva era tremendo, ma non ci badava più.
Dopo alcuni istanti, una porta metallica apparve sul lato
sinistro del condotto.

Seven poteva udire le urla dei bambini provenire


dall’altro lato. Era lì! Afferrò la maniglia e tirò con forza. Il
vecchio metallo gli aprì la via facilmente. “Ma che… che
diavolo è questo posto?” La stanza in cui stava guardando
aveva una cupola come soffitto, e nove pareti della stessa
dimensione. In cima alla cupola c’era una specie di
imbuto al contrario. Sembrava quasi una ciminiera.

Poi guardò in basso. Erano lì. I bambini che stava


cercando. Fissarono Seven, i loro pianti interrotti – per il
momento – dalla sorpresa e dalla paura. Se fossero
spaventati dalla stanza o da lui, Seven non lo sapeva. Era
certamente possibile che fossero spaventati da entrambi.
“Non che io possa biasimarli, spuntare fuori con una
faccia simile mentre se la stanno già facendo addosso…”

Si concesse un breve sbuffo, accenno di risata, poi si


voltò ancora verso i bambini. “Non preoccupatevi, bimbi!
Non sono vostro nemico! Sono buono!” Nessuno di loro si
384
mosse. Tranne uno. Era un ragazzo, leggermente più
grande degli altri, in uniforme da scuola privata. “Chi
diavolo sei?” Mentre parlava, tentò un passo avanti, e
lanciò a Seven uno sguardo sospettoso.

“Sono un detective. Sono qui per salvarvi.” Non


appena ebbe pronunciato queste parole, vide i bambini
tranquillizzarsi. “Come farai ad aiutarci?”, chiese il ragazzo
in uniforme. “Dov’è l’uscita?”, rispose Seven. “Non c’è. La
porta da cui siamo arrivati non si apre, e quella lì…” si zittì
un attimo, indicando un’altra porta col numero 9, ci pensò,
e proseguì: “Comunque, non c’è modo! Non possiamo
uscire tutti da qui! E se non usciamo, saremo bruciati vivi!”

“Bruciati vivi?” “Non senti? La voce ha detto che


l’inceneritore partirà presto!”

La voce parlò ancora. “L’incenerimento automatico


avrà luogo in quindici minuti.” Avevano solo quindici
minuti. Seven guardò ancora giù i bambini. Era ad almeno
otto metri dal pavimento. Non c’era modo di tirarli su. E a
quel punto ebbe un’idea. “Aspettate! Torno subito!” “C-
cosa?” “Dove sta andando?” “Ci stai lasciando qui?”

Seven fece del suo meglio per sorridere con quello


che sentiva essere un sorriso rassicurante. “Non
preoccupatevi, va bene? Tornerò, lo prometto. State calmi,
e aspettate qui. Okay?” Non aspettò di udire la risposta.
Non c’era tempo. Corse, per quanto un uomo poteva
correre inginocchiato a quattro zampe. In breve tempo,
era tornato nella cella.
385
Era tornato da dove era partito, ma aveva un piano.
C’era qualcosa qui di cui aveva bisogno. Appena ebbe
finito, tornò nel condotto, e sbucò di nuovo nella stanza
dell’inceneritore. “Scusate per avervi fatto aspettare,
ragazzi.” Sporgendosi dalla porta del condotto, Seven fece
calare la fune che aveva portato fino al pavimento.

Nella cella, aveva strappato le lenzuola in strisce, e le


aveva legate insieme per formare una corda. Come Seven
stesso, non era molto allettante, ma faceva il suo lavoro.
“Molto bene, legatevela attorno alla vita, okay? Vi tirerò
uno alla volta.” “Bene!” “Uh? Aspettate un attimo…” Fu a
quel punto che se ne accorse. “Eravate di più, prima! Dove
sono finiti gli altri?”

Il ragazzo in uniforme rispose: “Li ho lasciati


proseguire! Abbiamo aperto la porta numero 9 e se ne
sono andati!” “Cosa? Mi state dicendo che avete aperto
quella porta?” “È quello che ho detto!” “E allora che
diavolo ci fate ancora lì?” Non potevamo andare con loro!”
“Perché no?”

“Le uniche persone che possono passare per la porta


numerata sono…”

“L’incenerimento automatico avrà luogo in cinque


minuti.” La voce riverberò contro le pareti della stanza.

“La spiegazione può aspettare, va bene? Adesso tiraci


fuori di qui!” “V-va bene!” Seven strinse la presa attorno
alla fune. La prima fu una ragazza con la coda. Poi ci fu la

386
ragazza con la cravatta rossa, seguita dal ragazzo in
giacchetta che aveva detto che si sarebbe arrampicato da
sé. L’ultimo fu il ragazzo in uniforme. Come il ragazzo con
la giacchetta, si arrampicò da solo.

Sembrava pelle e ossa da lontano, ma dietro il suo


aspetto si celava una forza notevole. Scalò la fune
rapidamente, ma quando mancava poco a raggiungere
Seven… udirono il suono di qualcuno che dava dei colpi.
Tutti gli occhi si voltarono verso la porta.

Intagliata nella porta c’era una spessa finestra


quadrata. Dall’altro lato, poterono vedere un volto
infuriato. “Maledizione! Che sta succedendo qui? Perché la
stanza è vuota! Dove diavolo sono quei fottuti bambini?”
La porta si aprì, ed entrò un uomo mezzo impazzito. Seven
riconobbe il suo volto. L’aveva visto in molte fotografie
durante le sue indagini.

Il nome di quell’uomo… era Gentarou Hongou. Il


direttore della Cradle Pharmaceutical. Hongou vide il
ragazzo arrampicarsi sulla fune. Ruggì come un animale,
e balzò verso la fune. “Sbrigati!” “Lo so!” Il ragazzo in
uniforme riprese l’arrampicata. “Figlio di puttana! Torna
indietro, piccola merdaccia!” Era quattro metri più in là…
due…nel momento in cui fu a portata di braccio, Seven
prese il ragazzo in uniforme.

Con uno scatto, lo lanciò nel condotto dietro di lui.


Hongou urlò al punto da aver perso ogni apparenza di
autocontrollo. Il suo volto non sembrava più umano. Era
387
contorto in qualcosa di terrificante – l’espressione del
demonio, di un mostro inferocito. Seven riavvolse
velocemente la corda, lasciando un furioso Hongou sul
pavimento della stanza, e strisciò dentro il condotto.

“Fottuto bastardo! Non sai quello che hai fatto! Perché


hai compromesso l’esperimento?” “Che esperimento?”, si
chiese Seven.

“L’incenerimento automatico avrà luogo in un


minuto.”

“Ehi, signore! Che diavolo stai facendo? Sbrigati!” Era


il ragazzo in uniforme. Seven lanciò a Hongou un saluto
di scherno, e chiuse la porta. Non c’era ragione di tornare
alla cella di Seven, così proseguirono per il condotto in
altre direzioni. Dopo una decina di metri, un altro
condotto incontrava il loro, diretto in basso.

Annuirono l’un l’altro, e lo seguirono. Dopo breve


tempo, strisciarono fuori dal condotto per ritrovarsi in uno
stretto corridoio. C’era una porta ad ogni lato. Quella sulla
sinistra era una normale porta doppia. Ma quella a destra
era una familiare, spessa porta metallica, con strisce nere
e gialle e un dispositivo accanto ad essa, sulla parete.

Sulla porta c’era una placca con scritto


“INCENERITORE”. “Quindi… qui è dove eravamo?” “Sì…
Hongou potrebbe essere ancora qui. Anche se sembra
essersi zittito…” “Aspetta, cosa? Se è ancora qui…” “Sì, non

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è una buona cosa!” “Ugh” Seven grugnì. “Bene, l’altra
porta! Andiamo nell’altra porta! Svelti!”

I bambini iniziarono a correre, con Seven al seguito.


Dall’altro lato della porta c’era una grande scala a
chiocciola. “Correte!” Urlò Seven. Non ci fu bisogno di
ripeterlo. Salirono, e salirono, e salirono. I loro piedi
martellavano sui gradini, e le braccia facevano ribollire
l’aria.

Corsero in tondo, e ancora, e ancora, come un


tornado umano. La scala continuava. Oltrepassarono un
paio di stanze che sembravano sale da ballo, quando il
ragazzo in uniforme parlò, col fiatone: “È successo
qualcosa… non abbiamo raggiunto Akane” Akane? “La
mia sorellina. La ragazza con la cravatta rossa.” Akane?
Era strano… Seven non ricordava di aver visto quel nome
nella lista dei bambini che erano scomparsi. “Ehi! Akane!”
Portò le mani a coppa attorno alla bocca e urlò. Non
ottenne risposta. “Forse l’abbiamo superata…”

All’improvviso, il ragazzo in uniforme si fermò. Seven


fece lo stesso, e così il ragazzo in giacchetta e la ragazza
con la coda. “E quando è successo?” “Be’, abbiamo passato
due grandi stanze lungo la via. Forse si è presa una pausa
in una di queste?” “No, è impossibile. Mi spiace nonno,
continua ad andare. Torno giù a cercarla!”

Si voltò per andare, ma… “Ehi! Bimbo! Aspetta!


Dannazione, ho detto aspetta!” Il ragazzo sembrava non
averlo neppure sentito. “Fanculo!” Seven si voltò e urlò al
389
ragazzo in giacchetta e la ragazza con la coda. “Io lo seguo!
Voi due continuate ad andare, va bene?” La ragazza annuì,
e iniziò a correre per le scale. Il ragazzo, invece… “Verrò
con te.”

Seven non aveva tempo di replicare. Invece, annuì, e


iniziò a scendere le scale. Il ragazzo in giacchetta lo seguì.
Corsero fino ad arrivare al fondo, chiamandola. Akane
non era da nessuna parte. “Maledizione! Dove diavolo è
andata?” Il ragazzo in uniforme non poté nascondere la
sua frustrazione.

“Aiutatemi! Qualcuno mi aiuti!” Era una voce


femminile. “Akane!” Il ragazzo in uniforme aprì la porta, e
corse verso il corridoio di fronte all’inceneritore. Seven e il
ragazzo in giacchetta seguirono. Seven non poté credere a
ciò che vide. Hongou aveva afferrato Akane per il braccio,
e stava facendo tutto il possibile per forzarla ad entrare
nell’inceneritore. “Eddai, maledizione! Muoviti!” “No, non
voglio! Lasciami! Per favore, lasciami andare!” Aveva
piantato i piedi sul pavimento, e cercava con tutte le sue
forze di andarsene, ma Hongou era molto più grande di
lei. Non avrebbe potuto farcela.

“Akane!”, urlò il ragazzo in uniforme. Ruggì con


rabbia, e caricò verso Hongou. “Siete tornati indietro!” “Ah!
Troppo tardi, idiota!” Hongou sollevò Akane di corpo, e la
lanciò, dimenante, nell’inceneritore. Prima che Seven o il
ragazzo in uniforme potessero reagire, Hongou balzò
nella porta dopo di lei. Lo videro entrare, e poi la porta si

390
richiuse, con la serietà di una grande ghigliottina di
metallo.

I tre corsero verso la porta. Tirarono e si sforzarono,


tentando disperatamente di aprirla. Il ragazzo in uniforme
scoppiò a piangere, e iniziò a sbattere i pugni contro la
porta. Colpiva con una forza tale, che Seven temette che le
sue nocche si sarebbero disintegrate. “Akane! Akane! Stai
bene?” “Aiuto!” La sua voce era attutita dalla porta, ma il
terrore puro in essa era lampante.

“C-cosa devo fare? P-penso di essere intrappolata qui!”


“Dov’è Hongou?” “È uscito dall’altra porta!” “C-cosa?”

“Attenzione. Attenzione. Il comando di incenerimento


di emergenza è stato accettato. L’incenerimento
automatico avrà luogo in diciotto minuti. Per favore,
evacuare la zona immediatamente. Ripeto. Il comando di
incenerimento di emergenza è stato accettato.”

“Non può essere vero…” Seven era esterrefatto. “È la


stessa cosa di prima…” “Siete lì?” La voce di Akane
sembrava vicina al pianto. “Sì, siamo qui! Resisti, va bene?
Troveremo un modo per salvarti!” Se lei avesse potuto
vedere il volto pallido del ragazzo in uniforme, le sue
parole le sarebbero apparse poco più di uno scherzo.

“L’incenerimento automatico avrà luogo in diciassette


minuti.”

“Per favore! Per favore aiutatemi! Ho tanta tanta


paura! Non voglio morire! Per favore, non voglio morire!
391
Non voglio morire…” “Andrà tutto bene! Troverò una
soluzione, te lo prometto! Te lo prometto, okay? Mi senti?
Te lo prometto!” Poterono udire i suoi singhiozzi attutiti
dall’altro lato della porta.

Il ragazzo in uniforme strinse i pugni. Le sue nocche


erano di un bianco esangue. Seven avrebbe detto che stava
trattenendo le lacrime a forza.

Seven si fermò dal raccontare la storia, e rimase in


silenzio. Tutto quel che potevano udire era lo scricchiolare
della nave che si spostava sull’acqua. Attesero. E attesero. Ma
Seven non continuò. «Uh… e cosa accadde poi?» Junpei non
poteva attendere un istante di più. Doveva sapere.

Seven guardò il pavimento. «Eddai ragazzo, mettiti nei


miei panni… non finì per nulla bene. Pensi che voglia
ricordarlo?» «Quindi…» «Sì. Merda… se avessi saputo che
sarebbe stato così… Avrei quasi preferito non ricordare…»
Seven scosse la testa. Ma c’era una cosa che Junpei doveva
sapere: «Ehi… uhm… sei… sicuro?»

«Uh?» «Guarda, non volevo chiederlo, ma… c’è… c’è una


cosa che non capisco… quindi se potessi semplicemente…
dirmi… Quella ragazza, Akane, è davvero…» Seve fissò il
vuoto, davanti a sé: «Sì. Ne sono sicuro. Non ci fu niente che
potevamo fare… Dopo un po’, il countdown terminò… e
udimmo qualcosa… bruciare… noi…»

Anche dopo che il fuoco si era fermato, non poterono


muoversi. Seven e il ragazzo in giacchetta si fermarono

392
dov’erano, pietrificati. Il ragazzo in uniforme collassò,
crollando al pavimento in un guazzabuglio di arti come
un burattino a cui siano stati tagliati i fili. Passarono
alcuni minuti. La porta si aprì.

Il ragazzo in uniforme corse dentro, incespicando sui


suoi piedi. Seven e il ragazzo in giacchetta lo seguirono,
ancora troppo storditi per parlare. L’aria nell’inceneritore
era calda. Ogni respiro faceva sentire Seven come se i suoi
polmoni andassero a fuoco. L’aria brillava di calore.

E al centro della stanza, sotto alle onde di calore…


era lì. Il ragazzo in uniforme gli si avvicinò, con le gambe
che tremavano violentemente. Seven non poteva vederlo
in volto, ma il corpo sembrava in qualche modo vuoto.
Infine lo raggiunse. Il ragazzo crollò sulle ginocchia, le
gambe non più in grado di sostenerlo. Gridò con quanta
voce aveva in corpo, in fiumi di lacrime, disperato.

Junpei sentì una fredda protuberanza formarsi nel suo


stomaco. Una sensazione di nausea lo riempì. Il suo corpo
rabbrividì. Voleva disperatamente evitare di sapere la risposta
che temeva di conoscere già, ma doveva chiedere. Doveva
saperlo, per sicurezza: «Uh… posso chiederti un’altra cosa?»

«Cosa?» «La ragazza… Akane… qual era il suo cognome?»


«Cosa ti importa?» «Tu… dimmelo e basta, okay? Per
favore…» Seven guardò Junpei con curiosità, e si inumidì le
labbra con la lingua: «Kurashiki. Il suo nome era Akane
Kurashiki.»

393
Qualcosa, dentro Junpei, si fermò. Non erano rimaste
parole. Non era rimasto Junpei. Era solo un involucro di ossa e
carne. Seven si voltò verso Snake: «Tu c’eri quel giorno, non è
vero? Il ragazzo alto con la giacchetta… Eri tu, vero?» «Sì, ero
io. Deduzione corretta, detective.»

La mente di Junpei era vuota, isolata dal mondo. Da


qualche parte molto lontano, poteva sentire Seven e Snake
parlare. Snake proseguì: «Non fraintendermi. Ho detto prima
di come Zero mi ha trattato. Non c’era nulla che potessi fare.
Non potevo dire nulla di ciò che successe nove anni fa.»

«Quindi stai dicendo che non stai lavorando per Zero,


giusto?», gli chiese Seven. «Certamente no», rispose Snake.
«Clover …? Tu?», azzardò Seven. «E-ehi… eddai! Pensi davvero
che stia lavorando con Zero? Te l’ho detto prima, stupido! Io
ero in Nevada, nella struttura Q! Avevo saputo che un detective
aveva salvato i bambini della barca, ma… non sapevo fossi
tu…» La sua sorpresa sembrava sincera. Seven valutò Clover
per un momento, e si sfregò il mento, pensieroso.

«Mh. Bene, penso di poterti credere.» Clover annuì, poi


Seven parlò ancora: «Molto bene. Lascia che ti ponga un’altra
domanda.» Si mise le mani in tasca e fece alcuni passi. Poi si
fermò, e si voltò a guardarla ancora: «Il vero nome di Santa è
Aoi Kurashiki. È il fratello di Akane. Lo sapevi?» «N-no! No,
non lo sapevo! Tu sì?»

Snake intervenne: «Be’… sì, so che Aoi Kurashiki era suo


fratello. Ma non sapevo che fosse Santa, almeno non all’inizio.
Nove anni fa, era nel bel mezzo della pubertà. La sua voce è
394
completamente diversa adesso. Mi vergogno ad ammettere che
persino il mio eccezionale udito non è stato in grado di
accorgersene. Di per sé, non avevo alcuna ragione di pensare
che Santa fosse Aoi…»

«Quand’è che l’hai capito?», lo incalzò Seven. «Poco tempo


fa, Clover mi ha detto che Santa avrebbe potuto essere uno dei
soggetti del primo esperimento. Quando me lo ha rivelato, ho
avuto una… sensazione.»

Santa è Aoi? Il fratello di Akane Kurashiki – di June? Quel


lampo infiammò la mente appesantita di Junpei, e la nebbia
iniziò a rischiararsi. Come un motore che inizia a girare,
immagini e pensieri cominciarono a coagularsi nella sua
mente, giungendo sempre più veloci, e formando immagini
maggiori, e pensieri più grandi.

Junpei batté gli occhi. Era tornato: «Ci sono ancora troppe
cose che non sappiamo. Voglio dire, troppe troppe. Ma… c’è
una cosa che penso possiamo dire di sapere.» «E cos’è?», gli
chiese Seven. Junpei proseguì: «Il corpo che abbiamo trovato
nelle docce deve essere quello di Nijisaki, vestito in modo da
sembrare Snake.»

«Cosa?» «Eddai… che razza di detective sei? Non ci sei


ancora arrivato?» «Ehi, vacci piano, ragazzo. Ho appena
recuperato la memoria, va bene? Dammi tempo…» «Be’, se lo
fosse, i tre omicidi avrebbero senso, no? Sì, è così. Omicidi.
Kubota, il nono uomo, è morto per conto suo, ma è stato anche
quello un omicidio. Dunque, perché hanno avuto luogo questi
omicidi?»
395
Snake lo interruppe: «Se Junpei ha ragione, e il cadavere
nelle docce era Nijisaki… significa che tutte le persone uccise
erano coinvolte nella creazione del Nonary Project.» Clover
intervenne: «Vuoi dire che è stata tutta una vendetta? Santa è
Zero… si è vendicato per la morte di sua sorella…»

Junpei disse: «No, non penso che Santa abbia


effettivamente ucciso nessuno.» Di fatto, Junpei non lo pensava
– lo sapeva. Non poteva spiegare perché, o come, ma non aveva
dubbi che Santa non avesse ucciso nessuno. Forse la follia delle
ultime ora lo stava rendendo pazzo, ma Junpei aveva smesso di
sorprendersi riguardo la sua conoscenza improvvisa, e aveva
anche iniziato ad accettarla.

«Se ho ragione, non è difficile capire chi sarà la prossima


vittima, no? Sono abbastanza sicuro di non dovervelo dire…»
Snake, Clover e Seven annuirono. «Il prossimo obiettivo sarà
Gentarou Hongou», disse Snake. «La persona che ha
pianificato il Nonary Project», continuò Clover. «In altre
parole… Ace», concluse Seven. Ci furono attimi di silenzio.

E poi la stanza tremò. In lontananza, udirono


un’improvvisa ondata d’acqua. «Che diavolo sta succedendo?»,
esclamò Seven. «Devono essere le sei del mattino. Il tempo è
finito», osservò Snake. «Merda!» «Andiamo! Dobbiamo uscire!»
«Come?» Nel cassetto che conteneva la fotografia c’era anche
una key card, metà gialla e metà nera orizzontalmente e con
un grande 0 al centro.

Junpei la afferrò: «Scommetto che questa cosa apre


l’uscita! Andiamo, forza!» Con la key card la porta si aprì, e si
396
ritrovarono nella biblioteca. Il tremore era cessato, ma
sapevano che il pericolo non era passato. Corsero lungo il
corridoio, dritto verso la larga porta metallica. Vicino alla porta
c’era il card reader di Urano.

Fecero scorrere la key card, e la porta si aprì. Corsero fuori


dalla biblioteca e verso il corridoio. Alla fine del corridoio c’era
una porta. Junpei mise una mano in tasca per estrarre la chiave
mentre correva. Era la chiave di Nettuno. Girò la chiave, e la
serratura scattò. Come un corpo solo, aprirono la porta e si
riversarono dentro.

Di fronte a loro c’era un’altra grande porta metallica.


Sopra essa c’era una placca. C’era scritto “INCENERITORE”.
«Così questo è l’inceneritore…», disse Junpei. «È la prima volta
che lo vedo da questo lato, ma sì… penso di sì», fece Seven.
«Quindi ci dev’essere una leva vicino alla porta», li informò
Snake.

«Sì… proprio qui.» Junpei corse verso la leva. «Abbassala,


e la porta si dovrebbe aprire.» «Okay.» Tirò la leva. Il motore
nella porta cigolò, e si aprì lentamente. Non c’era tempo da
perdere. Non appena la porta fu aperta sufficientemente da
farli passare, tutti e quattro sgusciarono dentro.

E improvvisamente, lì davanti a loro, c’erano i quattro da


cui si erano separati in precedenza. Ace e Lotus erano ritti
davanti alla porta numero 9. Santa era arricciato come una
palla contro la parete dell’inceneritore, tenendosi lo stomaco e
dolorante. E poi c’era June… giaceva contro la parete, esausta.

397
Cosa era successo… Junpei corse verso June. Si fermò
bruscamente di fronte a lei e si inginocchiò. «Che succede? Stai
bene?» Il suo volto era pallido, le labbra asciutte. Quando
parlò, lui poté a malapena sentirla. «Jumpy… sei tornato a
salvarmi…» «Naturalmente. Ti ho fatto una promessa.»

«Sono così felice che tu sia qui… così felice…» Mormorò


le stesse parole più e più volte, debolmente. Junpei poté sentire
il suo cuore infrangersi. «Ehi… che ti è successo?» «Sto…
bene… sono solo svenuta. Non mi sentivo molto bene… mi
sento… molto meglio adesso, comunque…»

«Sei sicura?» «Sì. Ho solo bisogno di riposare un po’ di più.


Sono… sicura che andrà bene. Non dovresti preoccuparti per
me…» Stava guardando Santa. Junpei si voltò a guardarlo a
sua volta. Santa faceva smorfie, il volto contratto dal dolore.
Seven lo afferrò per il colletto e gli ruggì contro: «Ehi! Dov’è?
Dov’è la pistola? L’hai nascosta da qualche parte?»

Suo malgrado, un grugnito di dolore fuggì dalle labbra di


Santa mentre Seven lo scuoteva. «Non… non ce l’ho… mi
hanno preso a pugni e… hanno preso la pistola.» «Cosa? Chi
l’ha presa?» «Be’, non è ovvio?»

«L’ho presa io, la pistola.» «Ace!» Aveva effettivamente la


rivoltella in mano. Era premuta contro la tempia di Lotus. Ace
la teneva stretta a sé con l’altro braccio, e lei stava tremando
visibilmente. Il suo atteggiamento fiero era sparito,
rimpiazzato dal terrore. Non osava fiatare. C’era del sudore
sulla sua fronte, e quando i suoi occhi non erano rivolti alla

398
pistola premuta contro di lei, sembravano tentare
disperatamente di dire qualcosa.

«Che diavolo stai facendo, Ace… o forse dovrei dire


Gentarou Hongou, direttore della Cradle Pharmaceutical?» Il
rombo profondo e grave scosse le pareti. Ace sogghignò: «Sono
in svantaggio, e la cosa non mi piace. Tu mi conosci, ma io non
conosco te. Hai idea di quanto abbia sofferto? Puoi anche
lontanamente immaginare il mio dolore?»

«Il dolore della prosopagnosia, giusto?» Il tono di Junpei


fu disinvolto. O almeno, tentò di esserlo. Ace grugnì: «Un altro
insetto irritante. E tu come lo sai, eh?» Junpei non sapeva dirlo
– lo sapeva e basta. Un altro mistero inspiegabile. Ace
proseguì: «Non importa. Se non vuoi rispondere, non fa
differenza per me. È comunque una perdita di tempo. È tempo
per me di andare.»

Dietro di Ace, Junpei vide il RED. Era infisso nella piccola


rientranza nella parete. Rapidamente, Ace mise la sua mano
sullo scanner. Emise un bip, e forzò la mano di Lotus a fare
altrettanto. Infine, mise la mano in tasca per estrarre qualcosa
e avvicinarlo allo scanner. Il terzo asterisco comparve sul
display.

La cosa che aveva usato per l’ultima autenticazione era il


braccialetto con il numero 9. Apparteneva al primo uomo
morto… Kubota.

1 + 8 + 9 = 18 -> 1 + 8 = 9

399
«Credo di aver vinto questo gioco.» Il suo sorriso
compiaciuto fece ribollire il sangue nelle vene a Junpei. «È da
un pezzo che gioco con voi. Devo ringraziare Zero, suppongo.»
Aspetta… c’era qualcosa nel modo in cui aveva parlato… Ace
non sapeva chi era Zero? Gli occhi di Junpei scattarono verso
Santa.

Non si era mosso da quando erano entrati nella stanza.


Santa si teneva ancora lo stomaco e gemeva con immenso
dolore. Junpei non era sicuro che si trattasse di vero dolore, ma
non era neppure sicuro che non lo fosse. Chissà se aveva
qualche asso nella manica…

«Ad ogni modo, questo gioco termina qui. Io fuggirò, e il


resto di voi farà una fine leggermente spiacevole. Vi
suggerisco di godervi i vostri ultimi istanti. Addio.» «Aspetta!»
Ace, chiaramente, non prestò attenzione alla richiesta di Seven,
e afferrò la leva accanto al RED. Con un rivoltante senso di
epicità, la tirò.

«Cosa…? Cosa? Perché non si apre?» Lotus tentò di


approfittare della confusione di Ace, e riuscì a sfuggire dalle
sue grinfie, ma all’ultimo secondo, la afferrò per il polso e lo
spinse a forza contro il RED. Sventolò anche il braccialetto 9
contro il RED, e poi il suo. Tirò la leva una seconda volta.

«No! Perché? Perché? La radice digitale dovrebbe essere 9!


Deve essere 9! Quindi perché… perché non si apre?» La furia e
la confusione di Ace avevano sovrastato tutti gli altri pensieri.

400
Aveva posato la rivoltella. Era proprio sotto al RED. Seven
scelse quel momento per agire. Si mosse molto più
velocemente di quanto un uomo della sua stazza avrebbe
dovuto essere in grado, e lanciò la sua stazza dritta contro Ace.

Gli fu addosso prima che chiunque potesse rendersene


conto. In un batter d’occhio, Ace fu steso al suolo. Si girò su un
lato, gemendo di dolore. Lotus corse verso Junpei. Balzò dietro
di lui, assicurandosi di tenere Junpei tra lei ed Ace. Sospirò:
«C’era vicino. Così vicino. Grazie, Seven.» «Figurati.» Seven era
in piedi davanti ad Ace, il suo respiro lento e pesante.

«Un solo cazzotto non è abbastanza per questo pezzo di


merda. Dopo quel che ha fatto nove anni fa, ho il dovere di
farlo a brandelli. Ma se un sospettato non può parlare, non va
bene. Una volta che sarà messo in una cella, potremo parlare.»
«Nove anni fa? Ah, quindi tu devi essere…» «Sì, finalmente
l’hai capito. Coglione.»

Junpei camminò verso di lui. Si fermò, e guardò Ace, con


pietà nel suo volto. «Ace… hai ucciso Kubota, Nijisaki e
Musashidou, non è vero?» «Aspetta… Nijisaki?» Scrutò Junpei,
genuinamente confuso. «Oh, giusto… non lo sai ancora. Molto
bene, andiamo con ordine. Iniziamo da Kubota. Hai parlato con
lui, e sei riuscito a convincerlo ad andare nella porta 5 da solo.
L’hai ucciso senza far sembrare che l’avessi fatto. Per quel che
ho capito, avevi quattro ragioni.»

Primo: nel Nonary Game, il numero 9 è pericoloso.


Chiunque abbia il braccialetto 9 può aggiungersi a qualsiasi
gruppo desideri. Puoi aggiungere 9 a qualsiasi numero, e la
401
radice digitale non cambia. In altre parole, il numero 9 può
fare quello che vuole. Ace aveva voluto eliminare questa
minaccia il prima possibile.

Secondo: Ace voleva anche il braccialetto 9 per sé, in


modo da poterne usare il potere. Di fatto, gli è servito in
seguito per l’omicidio di Nijisaki.

Terzo: se anche il suo numero fosse stato un altro, Kubota


avrebbe comunque costituito un problema per Ace. Kubota
conosceva il passato di Ace. Sapeva cosa era successo nove anni
prima. Prima che lo dicesse a qualcuno, Ace doveva metterlo a
tacere.

Quarto: Ultimo, e forse più disgustoso, Ace ha usato


Kubota come test. Voleva vedere quanto fosse serio questo
Nonary Game. Se era davvero una questione di vita o di morte,
o se si trattava semplicemente di una beffa innocua. Ha
convinto Kubota ad infrangere le regole per vedere cosa
sarebbe successo.

«È per questo che hai ucciso Kubota, ma è stato solo il


primo. Il successivo è stato Nijisaki. Mentre tutti erano a
cercare le parti mancanti del RED… sei corso verso Nijisaki,
vicino alla stanza dell’ospedale. Ad ogni modo, a causa della
tua prosopagnosia, non hai realizzato che si trattava di Nijisaki.
Principalmente perché, quando l’hai incontrato, era vestito
come Snake. È per questo che hai pensato che Nijisaki fosse
Snake.»

402
«N-no… non è… era Nijisaki? Perché… come…» «Ci
arriverò. Ad ogni modo, pensavi fosse Snake. Snake era uno dei
bambini del tuo esperimento di nove anni fa. Ti ricordavi di lui
perché era il bambino cieco. Ma la sua presenza ti aveva fatto
pensare… “Snake era uno dei miei soggetti nove anni fa.
Probabilmente mi odia. Ma se è così… perché non sta dicendo
nulla? Se ne sta zitto perché non può vedere, e non mi ha
riconosciuto? O forse lavora con Zero per vendicarsi di me…
Qualunque sia la ragione, chiunque conosca il mio passato è
una minaccia. Prima che provi a fare qualunque cosa, devo
sbarazzarmi di lui.” E così, hai deciso che dovevi ucciderlo.
L’arma del delitto è stata il braccialetto di Kubota. L’hai
semplicemente sventolato vicino al RED. Hai autenticato il tuo
stesso numero, e poi hai afferrato il braccio di Nijisaki e l’hai
avvicinato allo scanner. Quando la porta si è aperta, poi, l’hai
ficcato dentro. Nove secondi dopo, la porta si è chiusa. E
ottantuno secondi dopo, il povero Nijisaki è morto.»

«Vuoi dire che Snake è ancora vivo…?», disse Ace.


«Spiacente di deluderti, ma sono come nuovo. Ti ringrazio per
aver ucciso l’uomo sbagliato, ma non posso dire di apprezzare
il fatto che mi volessi morto. Sebbene, ad essere onesto, se
anche non avessi tentato di uccidermi, ti avrei odiato molto
comunque.»

«Be’, non posso biasimarti.» L’auto-derisione di Ace era


frustrante. Ma Junpei tenne le sue emozioni sotto controllo, e
proseguì: «Ultimo ma non meno importante, parliamo della
morte di Musashidou. Quando io e Clover stavamo
investigando la stanza con la carta nautica sei venuto a

403
parlarmi. Ricordi cosa hai detto? “Oh, un orologio da taschino.
Posso dargli un’occhiata?” Ti ho passato l’orologio, e hai
lasciato la stanza.»

Ace si era fatto carico del Nonary Project. Conosceva,


naturalmente, la soluzione ad ogni enigma. Ne seguiva,
dunque, che sapeva come uscire dalla timoniera. Tutto ciò che
Ace aveva dovuto fare era piazzare l’orologio nella rientranza
sulla porta per sbloccarla. Con la porta aperta, fu in grado di
entrare nel quartiere del capitano.

Musashidou era lì. Vicino a lui c’era un’ascia che


giustamente implorava Ace di uccidere Musashidou. Prese
l’ascia e la roteò, affondando la lama in profondità nel petto
dell’uomo. Ci volle un solo colpo. Dopodiché, Ace ritornò da
Junpei e Clover come se nulla fosse accaduto.

“C’era una cosa di cui volevo parlarti, Junpei. Potresti


venire un attimo con me?” Senza alcuna ragione per non farlo,
Junpei seguì Ace nell’altra stanza. Quando raggiunsero la
timoniera, Ace mise le mani nella maglia di Junpei. Tirò fuori
un bigliettino, quello che aveva usato per imbrogliare durante
le votazioni.

Ma non era il biglietto, che Ace stava cercando. Il suo vero


scopo era di rimettere l’orologio nelle tasche di Junpei. Non era
un gran piano. Aveva troppe pecche, e la parola sbagliata
l’avrebbe facilmente rovinato. Cosa aveva reso Ace così
disperato? Era l’unica cosa che Junpei non era riuscito a capire.

404
«L’omicidio di Musashidou è l’unico che non capisco.
Ovviamente sei stato tu, ma… perché?» «Per questo…»
Lentamente, Ace allungò la mano e tirò qualcosa fuori dalla
sua tasca. Era un pezzo di carta ripiegato. Junpei lo prese e lo
aprì. Ecco cosa recitava:

“Numero 1.

Ci sono due modi per sopravvivere a questa ordalia. Il


primo è vincere il Nonary Game. Il secondo è confessare i
tuoi peccati di nove anni fa. Ho preparato una telecamera
nel quartiere del capitano. Le immagini riprese da quella
telecamera saranno trasmesse tramite un satellite e
distribuite in tutto il mondo. Semplicemente, guarda la
telecamera e pentiti. Dopo che avrai confessato tutto, ti
libererò da questa nave.

Per rendere la tua confessione più credibile, ti ho


lasciato un testimone nel quartiere del capitano. Forse
confesserà insieme a te. La decisione spetta a te. Agisci
come ritieni più opportuno.

Zero”

«Quando mi sono svegliato in quella stanza nel ponte D,


l’ho trovata in tasca. Per questo che ho scelto la porta 1 quando
abbiamo votato. Se fossi passato per quella porta, sapevo che
sarei giunto al quartiere del capitano. Come hai detto, sapevo
come entrare nella timoniera. Il mio piano era trovare
l’orologio da taschino prima di chiunque altro. Se avessi
potuto, il mio alibi sarebbe stato perfetto. Almeno, questo era il

405
piano… sfortunatamente, l’hai trovato prima tu. Quel gioco di
prestigio è stato il massimo che ho potuto tentare con quel
poco preavviso.»

«Avevi intenzione di ucciderlo fin dall’inizio, quindi?


Musashidou, intendo.» «Ho scoperto che Musashidou era il
“testimone” solo dopo aver raggiunto il quartiere del capitano.
Gliel’ho chiesto… e mi ha risposto. Sembrava intontito. Forse si
era appena svegliato dopo esser stato sedato. Suppongo che
Nijisaki fosse nel medesimo stato. Sembrava confuso e
disorientato, quando l’ho incontrato. Ma sì, hai ragione. Avevo
intenzione di ucciderlo fin dall’inizio, anche non sapendo chi
fosse. Ho proceduto verso il quartiere del capitano per
eliminare questo cosiddetto testimone.»

Ace aveva confessato ogni cosa. L’energia lo aveva lasciato


insieme alla verità, e si abbassò sulle ginocchia. Nonostante
avesse confessato, i suoi peccati non erano stati perdonati.
Junpei provò repulsione per l’uomo patetico sul pavimento,
vicino ai suoi piedi. Ma in mezzo alla repulsione c’era un
accenno di pietà.

Dopotutto… Ace non era stato l’unico ad uccidere quei tre


uomini. Junpei parlò lentamente: «Ace… l’hai capito, non è
vero? Sei stato manipolato.» «Sì. Così sembra. Sono stato poco
più di un burattino, sotto vari aspetti. Ovunque sia andato, ogni
cosa era già stata pianificata. I RED nella stanza dell’ospedale
erano smantellati. Nijisaki era vestito come Snake. C’era
un’ascia nel quartiere del capitano. Musashidou era sotto
sedativi, così non ha potuto reagire. Idem Nijisaki. Col senno di
poi, non riesco a capire come abbia potuto cascare in un
406
tranello così semplice. Mi vergogno di me stesso. Ma sì… sì, è
stata una trappola. È stata la trappola di Zero, e ci sono caduto,
sono abboccato all’amo, mi ha colpito e affondato. Ho fatto
tutto ciò che voleva che facessi.»

«Esatto. Manipolando Ace, Zero ha potuto uccidere tre


persone senza sporcarsi le mani di sangue. Tutta questa è stata
una vendetta per ciò che è successo nove anni fa. Ecco perché è
avvenuto il Nonary Game. Ho ragione… Santa?»

Junpei guardò Santa. Mentre stava parlando, Santa si mise


in piedi, le gambe ancora tremolanti: «Uh? Di che diavolo stai
parlando? Non so…» «Non c’è motivo di continuare a fare il
finto tonto, Santa. In effetti, credo che dovrei chiamarti Aoi
Kurashiki, eh?» Il volto di Seven era triste, mentre pronunciò
queste parole.

«Mi è tornata la memoria, bimbo. Sei Aoi Kurashiki, senza


ombra di dubbio. Non avrei mai immaginato che sarei tornato
in questa stanza, a parlare ancora con te. Ma insomma,
immagino facesse tutto parte del tuo piano, giusto? Dopotutto,
la persona che ha pianificato il Nonary Game questa volta è
Zero. E Zero sei tu.»

«Sembra che ti sia tornata davvero la memoria.» Il sorriso


di Santa fu sarcastico, e… qualcosa d’altro. Proseguì: «Be’,
immagino che non ci sia ragione di nasconderlo, quindi, eh? Sì,
ci hai preso. Sono Aoi Kurashiki. Fui uno dei bambini del
Nonary Game di nove anni fa. Riuscii a salvarmi. E così fece
anche Snake. Ma c’è una cosa – anzi, no, ci sono due cose che
hai sbagliato. Primo, non sono Zero.»
407
«Cosa?» «Aspetta, cosa?», esclamarono Seven e Junpei.
«Davvero, ho aiutato Zero, ma non sono nulla di più di… un
assistente. Come un segretario. Ma un assistente è solo un
assistente. Non ho organizzato io tutto questo. Tutto quel che
ho fatto è stato seguire gli ordini di Zero.»

Junpei chiese: «Quindi… se non sei tu Zero, chi è?»


«Calmo, Junpei. Non ho forse detto “due cose”? Avete
commesso un altro errore. Junpei, hai appena detto “Tutta
questa è stata una vendetta per ciò che è successo nove anni fa.
Ecco perché è avvenuto il Nonary Game.” Ma non è così. La
vendetta non è il solo scopo. C’è un’altra ragione per cui voi
state giocando il Nonary Game.»

Junpei lo guardò, con sguardo interrogativo. Santa


proseguì: «Per salvare qualcuno.» «Salvare… qualcuno?»
«Esatto. Siete stati portati qui per aiutare mia sorella. Per
salvare Akane.» Seven urlò: «D-di che diavolo stai parlando?
Akane Kurashiki è morta nove anni fa in questa stanza… ero
qui, l’ho vista…» Improvvisamente, Seven si immobilizzò.

I suoi occhi si spalancarono come piatti da cena, e si voltò


verso June. Junpei seguì il suo sguardo. Era sparita. Dove
prima c’era June, ora c’era il nulla. «Che diavolo…? Dove…
dov’è? Dov’è Akane Kurashiki?» Seven iniziò a mormorare tra
sé una strana serie di parole legate insieme, come se la sua
mente non stesse funzionando correttamente.

Il suo volto era contorto dallo sforzo, come se stesse


lottando con qualcosa che non potevano vedere. Digrignò i
denti e si premette le mani contro i lati della testa. «La mia
408
testa… la mia testa… sto per scoppiare…» Gemette e cadde
sulle ginocchia. «Seven! Che diavolo sta succedendo?», chiese
Lotus. «Non lo so, non lo so… solo… giuro su Dio, è come se la
mia testa stia per esplodere.»

Da un punto in lontananza, tutti udirono un rumore


pesante e profondo. Sembrava come una gigantesca ruota che
lentamente iniziava a girare. Santa sembrava quasi essere
entrato in uno stato di trance. Le sue parole erano calme e
misurate: «Cos’era il Nonary Project? Suppongo che ormai lo
sappiate, ma ve lo spiegherò un’altra volta. Fu un progetto
pensato per testare un particolare fenomeno. E qual era questo
fenomeno? La comunicazione tra due organismi in assenza di
contatto fisico. La teoria dei campi morfogenetici. Possono gli
esseri umani usare questi campi invisibili per scambiare
informazioni? Questo era ciò che l’esperimento condotto
voleva determinare. Ci furono due luoghi separati. Uno era il
Gigantic, e l’altro una costruzione in Nevada chiamata
struttura Q. La struttura Q fu costruita per replicare,
esattamente, l’interno del Gigantic. I nove bambini intrappolati
nella struttura Q affrontarono numerosi enigmi, copie di quelli
identici sul Gigantic. Gli venne detto di inviare le loro risposte
nel campo morfico, e di trasmetterle ai loro fratelli e sorelle
sul Gigantic. I Trasmettitori vennero messi nella struttura Q e i
Ricevitori nel Gigantic. Ogni coppia di fratelli doveva essere
divisa, ma… ci fu un errore. Akane era una Trasmettitrice.
Avrebbe dovuto trovarsi nella struttura Q. Per qualche ragione,
invece, si trovò nel Gigantic, con i Ricevitori come me. Forse
venne confusa con qualcuno che doveva essere nel gruppo A.
Ad ogni modo, Akane finì sul Gigantic. Penso di averti detto

409
abbastanza. Ci sei arrivato, vero? Sono abbastanza sicuro che tu
abbia capito dove stia andando a parare, Junpei.»

«D-dove stai andando a parare?» «Non fare lo stupido. Sai


cose che non dovresti sapere. Cose che non potresti sapere.
Come sapevi che Ace aveva la prosopagnosia? Come sapevi
che Ace voleva uccidere Kubota, e il modo in cui Nijisaki è
stato ucciso? Eri sorpreso quando hai scoperto che Ace era
Hongou? E riguardo la bara in cui Snake era intrappolato…
come diavolo hai fatto ad aprirla?» «Be’… è…» La risposta era
semplice.

Sapeva la risposta perché io la sapevo. Junpei stava


ricevendo informazioni che io gli ho inviato attraverso il
campo morfogenetico. È semplice, davvero. Come faccio a
conoscere i futuri alternativi, quindi? Immagina un fiume
che si divide in due, come una Y al contrario. Il fiume
scorre dalla cima al fondo: da un singolo flusso in due
diramazioni.

Fluisce sempre in una direzione. Non può mai


tornare indietro. L’informazione funziona allo stesso
modo. Si muove dal passato al futuro, ma non torna mai
indietro. È per questo che le persone alla sorgente del
fiume, nel passato, non sapranno mai di quelle a valle, nel
futuro. Ma anche le persone che si trovano a valle non
sapranno mai l’una dell’altra.

L’informazione fluisce solo lungo il percorso del


fiume. Ma per me è diverso. Io posso manipolare il campo
morfico per prendere informazioni dal futuro. Io so cosa
410
accade ad ogni biforcazione del fiume… anche se le
persone su ciascun corso non sanno nulla l’una dell’altra.

Ora… chi sono io? Io sono I 9 , la nona lettera


dell’alfabeto. Ma sono anche Zero. No, non è vero. Non
sono realmente Zero. Non ancora. Forse si potrebbe dire
che sono… minore di Zero. Zero è il mio futuro. Tra nove
anni… io sarò Zero.

“Dove… dov’è finita? June… no, Akane… dove sei


andata?”, pensò Junpei tornando alla realtà. «Santa!», esclamò
Clover. “Perché Clover sta… oh merda.”

«Non ti muovere», disse Santa ad Ace, puntandogli la


pistola alla testa. “Santa ha la pistola. Deve averla presa mentre
non stavo guardando… sembra che abbia ribaltato le carte in
tavola con Ace. Chissà adesso cosa prova lui ad avere la pistola
puntata.”

«Alzati», intimò Santa ad Ace. «Qual è il tuo piano, Santa?


Che stai facendo?», gli chiese Junpei. “Non può passare per
nessuna porta numerata se sono solo in due… che diavolo sta
architettando?” «Non te l’ho detto? Sono Santa Claus. È giunta
l’ora di avverare un desiderio.» “È questo? Ha in mente solo
questo? E che diavolo significa, poi?”

9
«Who am I? I am I.» Non ho trovato modo di tradurre la frase dall’inglese
conservandone il senso. A dirla tutta, trovo curioso che nell’originale
giapponese avesse questo significato.

411
Santa condusse Ace oltre un cancello, che si richiuse
dietro di loro. “E così, noi siamo rimasti chiusi qui dentro. Se
non altro il mal di testa di Seven sembra sparito. Vediamo se la
porta si apre… dannazione. Non c’è verso.”

«Siamo intrappolati qui?», chiese Lotus. «Così sembra»,


commentò Snake. «Che diavolo sta cercando di fare Santa?»,
esclamò Seven. «Mio Dio…», fece Clover. «”Mio Dio” cosa?», le
chiese Seven. «Avete considerato dove ci troviamo? C’è una
sola cosa che Santa potrebbe fare ora», disse Snake.

«N-no… No, non puoi essere serio!», disse una Lotus


preoccupata. “Oh, lo è invece! Merda… dobbiamo fare
qualcosa! Forse possiamo uscire passando per la porta 9… C’è il
RED. Sì, possiamo farlo, devo solo… No. Non funzionerà. Non
c’è modo. Noi cinque non possiamo aprire la porta. 2 + 4 + 5 + 7
+ 8 = 26 -> 2 + 6 = 8. C’è una qualche combinazione
funzionante?”

«Junpei, posso prendere la tua penna e il quaderno?»,


chiese Clover. “Certo, perché no. Non penso ne avrò bisogno.
… Mai più. Be’, se non altro sembra risoluta. Sembra stia
scrivendo equazioni. Un sacco di equazioni. Non sembra molto
soddisfatta. … Cosa? Ehi! Non c’è bisogno di strappare le
pagine così!”

«Che diavolo stai facendo, Clover? Dammi qua!», le urlò


Seven. “Molto bene, almeno Seven lo terrà lontano da lei. Forse
ora posso dare un’occhiata a quel che stava scrivendo…
Vediamo.” C’erano tutte le combinazioni possibili, e solamente
una aveva 9 come radice digitale.
412
2 + 4 + 5 + 7 = 18

“Merda.” «Non c’è altro modo?», chiese Seven con un nodo


in gola. “Lotus… sembra se ne sia accorta anche lei. È troppo
crudele…” «Va bene così», disse. «Eddai, lo sai, non possiamo
farlo», fece Seven. «Oh, non prendetemi in giro. Sono sicura
che non vedete l’ora di sbarazzarvi di me.» «Ma che cazzo dici,
cretina!», la apostrofò Seven.

Proseguì: «Senza… uh… se non sei… guarda, sarebbe una


brutta cosa, eh.» “Per essere un poliziotto, di certo non ha
molta sicurezza di sé.” «Brutta cosa?», gli chiese Lotus. «S-se
non ci fossero degli idioti come te in giro, sarei senza lavoro.»
«Uh?» «Guarda, semplicemente non ti lascerò indietro, va
bene? Fine della storia.»

«Seven…», fece Lotus, commossa. Junpei, Clover e Snake


seguirono: «Ha ragione. Neanche io ti lascio qui.» «Neanch’io!»
«Non pensi veramente che ti abbandonerei, vero?»

«Siete tutti cretini.» “Fai la dura quanto ti pare, Lotus. Ma


vediamo tutti che stai per piangere…”

Snake li interruppe: «Detto questo, comunque… dubito


che potremmo aprire la porta, anche se volessimo lasciare
indietro Lotus.» «Uh? Perché?» «Confido che ricordiate cosa è
appena successo ad Ace. Non ho potuto, eh, vedere esattamente
cosa è successo, ma… ho potuto capire cosa stava tentando di
fare prima, davanti al RED. Giusto per provare, perché non
facciamo un tentativo?»

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«Fare un tentativo?», chiese Seven. «Sì, è quello che ho
detto.» Si autenticarono, ma la porta non si aprì. «Ma nove anni
fa si aprì. La radice digitale era 9 ai tempi, ne sono certo», disse
Snake. «Pensi che abbiano cambiato lo scenario?», chiese
Junpei. «Forse.»

“Merda. Se non possiamo aprire la porta, non possiamo


uscire. Le pareti sono troppo alte. Non c’è modo di raggiungere
il buco da cui Seven era sbucato nove anni fa. Tutto quel che
possiamo fare è stare qui e fissare questa porta con un 9 sopra.
Immagino sia così… questa è la fine.”

Io stavo guardando. Ho visto tutto quello che si è


riflesso nei suoi occhi. Io stavo ascoltando. Ogni suono che
ha vibrato nei suoi timpani, io l’ho udito. Odori, gusti,
tocchi… ho sentito tutto ciò che lui ha provato.

Io sapevo. Sapevo ogni cosa di lui. Ciò che stava


pensando, ciò che stava provando, ciò che stava sentendo.
Tutte le sue emozioni e preoccupazioni e paure divennero
mie. La mia mente, la mia coscienza, era dentro di lui.
Attraverso il campo morfico eravamo in risonanza, ed
eravamo uno. Io ero lui, e al contempo, io ero un
osservatore.

Cominciò con un terrificante rumore come un


applauso di tuoni. Fu approssimativamente nove ore fa.
Una bomba era esplosa sulla nave in cui ci trovavamo. Fu
a quel punto che ebbe inizio la mia risonanza con lui. Il
mio evento di risonanza mi aveva fuso in lui e
diventammo uno. Dentro Junpei… In qualche modo mi
414
ritrovai nella mente di Junpei, nove anni nel futuro. Ma
non mi persi d’animo… Stavo vivendo due realtà in una
volta.

Una era il presente, l’altra era il futuro. Forse si


potrebbe pensarla come se si mostrassero due film sullo
stesso schermo, nello stesso momento. Alla fine, diventa
difficile separarli, e determinare quale film è quale.

Comunque, se mi concentravo, potevo focalizzarmi su


uno o sull’altro. Grazie a questo potei capire quello che
accadeva davanti a me. “Forza! Di qui!” Quello era mio
fratello, Aoi. Stava urlando. Lo seguii. Accanto a me
c’erano altri sette bambini. Sembravano avere tutti più o
meno la mia età.

“Andiamo! Sbrigatevi!” Corremmo lungo un corridoio


dritto, e ci trovammo nella stanza dell’ospedale. Tutti
bisticciavano. Due dei maschi ingaggiarono una rissa. Una
ragazza che li stava guardando iniziò a piangere. “Voglio
andare a casa!”, piangeva. “Voglio andare a casa!”

Un’altra ragazza le diede uno schiaffo, guardandola


duramente. Erano passate due ore da quando il Nonary
Game aveva avuto inizio. Stavamo iniziando a cadere a
pezzi. Ma quando tutto sembrava perduto… Light iniziò a
parlare. Era cieco. Nove anni più tardi, l’avremmo
chiamato Snake.

“Ehi! Tutti quanti! Sì, potreste venire qui un


momento?” Era più grande della maggior parte di noi, e la

415
sua voce aveva autorevolezza e dignità. Le risse
scemarono, e ci riunimmo attorno a lui. “Ho una sorellina
più piccola. Lei è molto importante per me. In questo
momento, lei è nella struttura Q e sta tentando
disperatamente di inviarmi informazioni. Il suo nome è
Clover, e oggi è il suo nono compleanno.”

Mentre parlava, estrasse qualcosa dalla sua tasca.


Nella sua mano c’erano nove quadrifogli. “Volevo
donarglieli, come regalo di compleanno. Ero all’aperto a
raccoglierli, quando sono stato rapito. Sono sicuro di
avervelo già detto, ma sono cieco. Per uno che non può
vedere, collezionare nove esemplari di una pianta molto
specifica è… be’, è difficile. Ma mia sorella significa
moltissimo per me, e speravo che questi avrebbero potuto
mostrarle quanto ci tengo. Dal momento che è il suo nono
compleanno, pensavo che nove quadrifogli sarebbero stati
appropriati. Ciascuno di voi ha un fratello o una sorella
nella struttura Q con Clover. Per il loro bene, noi
dobbiamo sopravvivere. Dobbiamo uscire da questa nave.
Lo capite? E se vogliamo riuscirci, ci sono tre cose che
dovete ricordare. Abbiamo bisogno della speranza e
dell’amore, e dobbiamo avere fede l’uno nell’altro. Se
riusciamo a condurre tutte e tre nel cuore, vi prometto che
la fortuna ci guiderà. Lo sapevate che le foglie del
quadrifoglio significano fede, speranza, amore e fortuna?
Queste parole sono nel linguaggio delle fiori. Così, se
credete a ciò che vi ho detto, e capite, vorrei che ognuno di
voi prendesse uno di questi. Sono una promessa, tra
amici…”
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Diede un quadrifoglio a ciascuno di noi. Anche io ne
presi uno. Infine, rimase con un solo quadrifoglio. Aveva
un’ultima cosa da dire: “E ora, non dimenticate mai…
finché avremo questi, saremo sempre uniti. Capite?” Non
appena ebbe finito, la tensione di pochi minuti prima era
scomparsa. Eravamo… calmi.

Dopo di ciò, corremmo nella nave per molto tempo,


aprimmo varie porte numerate, finché trovammo una
porta con il numero 9. Di fatto, erano due le porte con il 9,
e le trovammo nella cappella. Ci dividemmo in due
gruppi e entrammo.

In breve tempo, ci ritrovammo tutti in una stanza con


un soffitto che sembrava un imbuto rovesciato. Per
qualche ragione, questa stanza aveva un altro numero 9,
ma questa volta, ce n’era solo uno. Ma se c’era solo una
porta… significava che solo cinque persone avrebbero
potuto uscire.

“Cosa facciamo?” “Non ci sono altre porte?”


Andammo nel panico… Poi, come se le cose non si fossero
già messe abbastanza male, le porte dietro di noi si
sigillarono.

“Attenzione. Attenzione. Il comando di incenerimento


di emergenza è stato accettato. L’incenerimento
automatico avrà luogo in diciotto minuti. Per favore,
evacuare la zona immediatamente. Ripeto. Il comando di
incenerimento di emergenza è stato accettato.”

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“Cosa?” “Che sta succedendo?” “Cos’hanno detto?”
“Non sembra una buona cosa!” Mio fratello Aoi deglutì e
rispose: “Penso che significa che questa stanza brucerà…”
“Brucerà…” “La placca sulla porta dice inceneritore. E la
voce dice che l’incenerimento sta per cominciare… e
incenerire significa bruciare…”

“Noooo!” “Aiuto!” L’abietto terrore riempì la stanza, e


ognuno iniziò a urlare e piangere. Ogni paio di occhi era
colmo di disperazione. Poi… Molto in alto su una parete,
una porta si aprì, e comparve un uomo. Era un enorme,
spaventosa montagna d’uomo, largo come un orso.

Nove anni dopo, l’avremmo chiamato Seven. “Non


preoccupatevi, bambini! Non sono vostro nemico! Sono
buono! Sono un detective. Sono qui per salvarvi.” Il resto è
avvenuto proprio come Seven ha raccontato. I quattro di
noi che erano rimasti indietro vennero salvati da Seven.

Strisciammo attraverso il condotto, lontani


dall’inceneritore, e scivolammo giù nell’ingresso. Ci
ritrovammo dall’altro lato della porta 9. Sulla parete
opposta alla porta c’era una porta doppia. Passammo da lì,
e iniziammo a salire la scala a chiocciola.

Io ero più avanti degli altri. Dietro di me c’erano


Nona, mio fratello Aoi, Snake e Seven. Gli altri bambini,
quelli che erano passati per la porta 9 prima di noi, erano
più avanti. Potevo udirli incitarsi l’un l’altro. Corremmo,
corremmo, e corremmo ancora. Saltammo per più gradini

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che potemmo, e continuammo a correre. Le scale salivano
come un tornado.

Alla fine, mi ritrovai molto più avanti degli altri.


Forse Nona li aveva rallentati. Non volevo perderli, così
rallentai anche io. Non mi fermai, ma sbirciavo indietro di
tanto in tanto, per vedere se fossero ricomparsi. Fu a quel
punto che realizzai…

“Oh no! Dov’è? Ho perso il regalo di Jumpy?” Sapevo


che era con me quando strisciai lungo il condotto.
Quindi… l’avevo perso mentre strisciavamo? Dovevo
tornare indietro. Dovevo! Ma sapevo che non avrei potuto
dirlo agli altri. Mi avrebbero fermato; ne ero sicura.

Non mi fermai a pensare, mi mossi e basta. Corsi


all’ingresso centrale, la stanza che collegava a tutte le
altre aree della nave. Mi nascosi nell’ombra, e qualche
istante dopo sentii una folata di vento appena mi
oltrepassarono, nella scala a chiocciola.

Attesi fino a che non furono più a vista, e poi corsi. Mi


mossi più silenziosamente che potei, giù, giù e ancora giù.
Infine, raggiunsi il ponte inferiore. Corsi nel corridoio e
mi guardai attorno freneticamente. “Eccolo!” Era proprio
dove pensavo che sarebbe stato, sotto l’entrata del
condotto.

Corsi per raccoglierlo dal pavimento, ma nel tornare


indietro verso le scale e la libertà… la porta
dell’inceneritore si aprì, e un uomo entrò. Era Hongou.

419
Gentarou Hongou. Nove anni dopo, l’avremmo chiamato
Ace. “Ah, che bello vedere che hai deciso di tornare
indietro.”

Il suo sorriso mi raggelò il sangue nelle vene.


Suonava meccanico, come se qualcuno avesse
semplicemente tirato su gli angoli della sua bocca. “Vieni
con me. Dobbiamo proseguire con l’esperimento.” Scossi
la testa, con gli occhi spalancati. Lentamente, iniziai a
camminare indietro.

Un passo… due passi… tre passi… poi mi voltai, e


iniziai a correre. Sentii la mano di Hongou stringermi il
polso sinistro. “Ti ho detto vieni con me!” C’era una punta
di pazzia nella sua voce. Tirai più che potei. “No, non
voglio! Lasciami andare! Per favore, lasciami!” Dimenai il
mio corpo e agitai le braccia, tentando disperatamente di
districarmi dalla presa di Hongou.

Ma ero ancora solo una bambina… non c’era


paragona con un uomo come Hongou. “Smettila di
agitarti, dannazione! Fa’ come ti dico!” Mi sollevò per il
braccio, cercando di tirarmi dentro l’inceneritore. Urlai.
“Aiuto! Qualcuno mi aiuti!” Poi, improvvisamente…

“Akane!” La porta delle scale si aprì. E mio fratello


Aoi ne uscì correndo. Dietro di lui c’erano Seven e Snake.
“Akane!” Urlò ancora il mio nome, mentre corse verso
Hongou. “Sei tornato!”, gridai. “Troppo tardi, idiota!”
Hongou mi tirò di peso, lanciandomi nell’inceneritore. La
forza con cui lo fece mi stese al suolo.
420
Mi rimisi in piedi, e guardai verso la porta numerata
9, aperta. Hongou era tra me e la porta, ma dietro di lui
potei vedere mio fratello, i pugni serrati. … Ma quei pugni
non avrebbero mai raggiunto Hongou. Con il freddo e
senza cuore stridio del metallo, la porta si richiuse.

Hongou mi guardò meccanicamente; il suo volto


registrò che c’era un oggetto, ma non qualcosa che
avrebbe considerato un essere umano. Poi si voltò, e
camminò verso il RED accanto alla porta. Mise la mano in
tasca, ed estrasse due braccialetti. Li sventolò entrambi
vicino allo scanner.

Apparvero due asterischi sul RED. Controllò il


display, poi gettò i braccialetti con noncuranza sul
pavimento. Cosa stava facendo? Qual era il punto? Non
fece lo sforzo di spiegarsi, naturalmente. Non disse
proprio nulla, e mi oltrepasso come se fossi poco più di un
sasso sul ciglio della strada.

Pochi istanti dopo, le porte doppie si chiusero a loro


volta, e rimasi bloccata nell’inceneritore. Riuscii a udire
qualcuno martellare i pugni contro la porta dietro di me.
Mi voltai e corsi verso la porta con il 9. “Akane! Akane!
Stai bene?” Udii una voce dall’altro lato della porta. Una
voce preoccupata e spaventata.

“Aiuto!” La mia gola era già secca, ma urlai più forte


che potei. La mia voce echeggiò, solitaria, nella stanza
vuota. “Cosa devo fare? P-penso di essere intrappolata qui!”

421
“Dov’è Hongou?” “È uscito dall’altra porta!” “C-cosa?” Poi
iniziò di nuovo.

“Attenzione. Attenzione. Il comando di incenerimento


di emergenza è stato accettato.”

“L’incenerimento automatico avrà luogo in diciotto


minuti. Per favore, evacuare la zona immediatamente. Ripeto.
Il comando di incenerimento di emergenza è stato accettato.”

“Merda! Sapevo cosa stava per dire, ma non immaginavo


che fosse una voce così raccapricciante!”, pensò Junpei. «Lo
sapevo…», disse Clover. «Sta iniziando…» «Santa ha fatto
partire l’inceneritore…» «Fanculo! Non pensavo che avrei
sentito quella dannata voce di nuovo, dopo nove anni…», fece
Seven.

E a quel punto, Lotus sbottò: «Che diavolo! Che diavolo! Di


che stai parlando? È tutto un nove anni di qui, nove anni di lì, e
quando non è nove anni qualcosa, allora parli di qualche cazzo
di esperimento! In nome di Dio, di che cosa stai parlando? Non
ha alcun senso!»

Fu Junpei a rispondere: «Mi spiace, Lotus, ma non c’è


davvero tempo di spiegarti adesso… te lo prometto, ti dirò ogni
cosa appena saremo usciti di qui.» «Ma!»

“L’incenerimento automatico avrà luogo in diciassette


minuti.”

«Sai cosa significa, vero? “Incenerire” vuol dire


“bruciare”…», disse Clover. «Per che razza di idiota mi hai
422
preso? So cosa significa “incenerire”!», rispose Lotus. «Bene…»
Lotus proseguì: «Maledizione! Non chiederò nient’altro. Parlate
di quel che vi pare. Ma fate qualcosa per me. Seven! Inventati
qualcosa!»

«Cosa? Perché io?» «Sta’ zitto e ferma quella cosa!» «Come


diamine…» «Deve esserci qualche pulsante di emergenza per
spegnerlo!» Fu Snake a rispondere a Lotus: «Non… non c’è
nulla di simile.» «E come cazzo fai a saperlo?» «Perché l’ho
cercato, nove anni fa.»

A quel punto, il pavimento si mosse. Il pavimento si aprì


al centro della stanza, e ne uscì un macchinario. «Che diavolo è
quello?» Sembrava simile ad un computer. C’erano un
monitor, una tastiera, e un dispositivo a forma di croce di
qualche tipo.

C’era qualcosa di quel macchinario che mi


spaventava, ma mi costrinsi ad avvicinarmici. Ero
terrificata. Lacrime scendevano dal mio volto. Le asciugai,
anche se molte altre prendevano il loro posto, e mi forzai
ad andare avanti. Infine, lo raggiunsi. Guardai lo schermo.
Era vuoto.

Tutto ciò che vidi era il mio volto spaventato che mi


fissava dal riflesso, colmo di lacrime.

“Tutto quello che vedo sullo schermo è il riflesso del mio


stesso volto. Sembro piuttosto spaventato… so di stare sudando
come un pazzo, ma vederlo è tutta un’altra cosa. Okay, Junpei,
calmati, va bene? Andrà tutto bene. Ah, se solo quel

423
macchinario stesse zitto. Quindici minuti. Torniamo a questo
apparecchio. Se è comparso solo ora, dev’essere importante.
Ma… che diavolo dovrei farci?”

«Ehi, muoviti!», gli urlò Lotus. “Ehi, siamo tutti tesi,


ragazza, questo non significa che puoi prendertela con le
persone attorno a te!” «Okay, si è acceso. Ma non c’è nulla sullo
schermo… non va bene, non va per niente bene… Se non c’è
nulla, cosa possiamo farci?», proseguì Lotus.

“Ma certo, devo solo premere qualche tasto, sono certo


che… oh. Bene, adesso è acceso. Ma che cos’è questa cosa sullo
schermo…?”

«Cos’è questo?», chiese Clover. «Che diavolo…», fece


Seven. «Sembra una specie di… puzzle», commentò Lotus.
C’erano una serie di numeri inseriti in una tabella 9 x 9. I
numeri andavano da 1 a 9.

«Pensate che se risolviamo questo enigma…», iniziò


Clover, «… l’inceneritore si fermerà?», concluse Lotus. «Sì. Be’,
possiamo sperarci, giusto?»

“Molto bene, puzzle… come funzioni? Oh, ancora quella


voce… tredici minuti. Ce la posso davvero fare? Sento il cuore
che mi scoppia…”

Il mio cuore batteva così forte che stava quasi per


esplodere. Fissai il puzzle sullo schermo. Ero sicura di
doverlo risolvere, in qualche modo, ma… non avevo idea
di come. La mia connessione con Jumpy se n’era andata da
un po’. La sua mente era sparita… non potevo ottenere
424
altre informazioni da lui. Sentivo i secondi trascorrere
mentre fissavo lo schermo, completamente persa.

Le mie guance erano roventi sotto lo scorrere delle


lacrime. Poi udii una voce. “Ehi! Cosa stai facendo?” Mi
spaventai, e mi guardai intorno. Premuta contro la finestra
dalla porta d’entrata c’era una faccia – una faccia
spaventosa e malvagia. Era Hongou. Da quanto tempo mi
stava osservando?

“Non sai cosa fare?” Stava gridando, ma la sua voce


era ancora attutita. “È semplice, davvero, ma penso di
potertelo dire! Devi risolvere il puzzle su quella
macchina!” La sua fragorosa risata venne attenuata dalla
porta, ma lacerò comunque il mio cuore come gli artigli
di un mostro feroce. Mi morsi le labbra e guardai Hongou,
lottando per rimandare indietro calde lacrime.

“Sei una persona orribile! Ti odio!”, urlai. “Oh mio…!


Come puoi chiamare un gentiluomo come me una
persona orribile? Non è molto carino. Sono piuttosto
corretto. Non uso trucchi e non gioco sporco. Vedi? Ti ho
anche lasciato una via d’uscita.” “Una via d’uscita?” “Non
mi hai ascoltato? Tutto quello che devi fare è risolvere il
puzzle. Fallo, e potrai fermare l’inceneritore!”

“E a che serve fermarlo? Mi catturerai e me lo farai


rifare! Non ti ascolto! Se tanto mi riporterai dentro, tanto
vale che muoia ora!” “Mio Dio… non hai ascoltato niente
di quello che ho detto? Sono un uomo corretto. Se risolvi il
puzzle, la funzione di verificazione del RED si attiverà. Se
425
questo esperimento deve ottenere dei risultati, dev’esserci
una possibilità di successo. Se avrai successo, scapperai.”

“La funzione di verificazione del RED?” Poi ricordai.


Prima che Hongou lasciasse la stanza, aveva autenticato
due braccialetti. “Ah, ora ricordi. Proprio adesso, ci sono
due numeri sul RED. Il primo è l’1, il secondo è il 3.
Dimmi, Akane, qual è il tuo numero?”

Guardai la mia mano sinistra. Il display sul mio


braccialetto mostrava un 5. 1 + 3 + 5 = 9! Corsi verso la
porta con il 9. Misi la mano sullo scanner del RED. Ma
non accadde nulla. Provai ancora, e ancora, ma invano.

“Non sei una che ascolta molto, vero?” Udii la voce di


Hongou venire da oltre la porta. “Te l’ho già detto, no?
Una volta che avrai risolto il puzzle, la funzione di
verificazione del RED si attiverà. In altre parole, se non hai
risolto il puzzle, non puoi inserire il tuo numero! Che
razza di stupida sei?”

“Perché… perché stai facendo questo?” “Non lo


capiresti. Non sai cosa vuol dire passare ogni singolo
giorno circondato da scimmie. E ora, inizia l’esperimento!
Risolvi il puzzle!” “Non posso! Non so come fare!”
“Certamente non lo sai! Non è quello il punto? Capisci,
non è vero? Accedi al campo morfogenetico e trova la
soluzione!”

“Non posso!” “Allora morirai! Brucerai viva! Ahahah!


Sarà molto caldo qui tra pochi minuti! Immagino che sarà

426
molto doloroso! Ahahah!” La sua orribile risata echeggiò
per la stanza, e anche dopo che il suo volto sparì dalla
finestrella, continuai a sentirla.

“L’incenerimento automatico avrà luogo in 10


minuti.” Stavo piangendo, grandi avidi sospiri rotti da
singhiozzi che mi scuotevano il corpo. Ero terrificata.
Potevo sentire la mia paura opprimermi col suo immenso
peso. In qualche modo, costrinsi le mie tremanti gambe a
portarmi al macchinario.

Fissai lo schermo. “Non posso… semplicemente non


posso, non c’è… modo… non posso arrivarci…” Cosa avrei
potuto fare? Non lo sapevo… non lo sapevo! Non avevo
neppure idea di come cominciare. La paura disperdeva i
miei pensieri, e tutto ciò a cui potevo pensare era di come
stessi per morire.

I miei palmi stavano sudando, e il sangue mi ribolliva


nelle vene. Faceva caldo. Molto caldo. Non potevo
respirare. Mi venne il capogiro. Il cuore strepitò nel torace,
come se stesse facendosi a pezzi.

Misi la mano in tasca. Avvolsi la mano attorno a ciò


che ero tornata a prendere. La bambola che Jumpy mi
aveva donato… Almeno avevo quella… la strinsi con forza
con entrambe le mani e pregai. Aiutami, Jumpy…
Aiutami… Aiutami… Aiutami… Jumpy! Jumpy! Per
favore! Aiutami! Jumpy!

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Junpei urlò: «Akane!» «Akane?», disse Seven. «Chi diavolo
è Akane?», esclamò Lotus. «Zitti! State zitti, cazzo!»

“Seven e Lotus non capiscono. Penso che Clover e Snake


ne abbiano un’idea, invece. Clover mi sta guardando… e credo
che Snake potrebbe aver capito. Ma non importa.”

«Akane! Akane! Puoi sentirmi? Akane? Di’ qualcosa!»

“Fanculo! Qualcosa ha rotto la nostra connessione? Giuro


che l’ho appena sentita… merda!” «Akane! Rispondimi!
Akane!»

“Jumpy?” Mi voltai. Udii una voce. La sua voce… mi


guardai attorno. Non era nella stanza, naturalmente. Ma
l’avevo sentito con una tale chiarezza… come se fosse
stato proprio lì…

“Jumpy!” Urlai più forte che potei. Immediatamente,


lo sentii rispondere.

«Akane!»

“Jumpy!”

“È lei! È qui!”

Quindi, questo significa…

«Akane! Sei in un inceneritore in questo momento?»

“Sì, lo sono! Come… come fai a saperlo?”

428
“Ora capisco cosa intendeva Santa… Bene. C’è un solo
modo di aiutarla.” Junpei ripensò a quello che gli aveva detto
Santa: “Sei stato portato qui per aiutare mia sorella. Per salvare
Akane”. “Ora capisco…”

“L’incenerimento automatico avrà luogo in 7 minuti.”

“Jumpy! Non abbiamo tempo!” Più veloce che potei,


gli dissi che dovevamo risolvere il puzzle per fermare
l’inceneritore.

«Ho capito!» “E così farò. Ora capisco ogni cosa… Alla


fine, ho capito cosa significa tutto questo. So perché oggi è
stato giocato il Nonary Game. So perché siamo stati rapiti e
portati qui. È stato tutto per questo momento. Tutto quanto è
stato pianificato per condurre a questo singolo, preciso,
momento. Mio Dio… è così… così folle! Non posso crederci,
ma c’è una sola possibile risposta… June è… Zero è… Akane
Kurashiki. Ha ricreato la storia del futuro che ha potuto
intravedere, nove anni fa. Ha tentato di salvare sé stessa in quel
modo nove anni fa. No! Sta tentando di salvarsi qui e ora!
Questo significa che c’è solo una cosa che devo fare. Anche se
tutto questo sembra un piano completamente assurdo… la
salverò. Salverò… Akane Kurashiki. Devo salvarla, non
importa a che costo!”

“L’incenerimento automatico avrà luogo in 6 minuti.”

“Jumpy!”

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«Sì, lo so! Resisti, va bene? Ti prometto che ti tirerò fuori
da lì! Non ti lascerò morire! Lo prometto! Non preoccuparti, va
bene? Dammi solo qualche minuto. Okay?»

“Okay…” La mia voce tremò, mentre risposi. Faceva


caldo, nella stanza. Era come se il mio cuore stesse
andando a fuoco. Sei minuti o meno, il mio cuore avrebbe
bruciato per i miei sentimenti per lui.

“Molto bene, è tempo di mettersi al lavoro, Junpei! Snake


sta parlando loro di qualcosa…? Oh, non importa.”

«Ehi, cosa sta…?» «Fidati di me e basta, Lotus, okay?»


“Perdonami, Lotus, non volevo essere brusco ma c’è in gioco
qualcosa di molto più importante del tuo orgoglio. Mi scuserò
più tardi. E ora, guardiamo questa cosa. Ci sono numeri su
tutta la griglia. Ora, se guardo questi a destra… devo riempire
le caselle vuote con altri numeri da 1 a 9. Ma non posso usare
le stesse cifre in una singola riga o colonna. E lo stesso vale per
i quadrati 3x3 con le linee più spesse. Penso che siano queste le
regole. Bene, ce la farò! Per Akane!”

430
Mano a mano che Junpei risolve il puzzle, sullo schermo a
lato si forma una scritta che una volta completa è 2+4+5+7+8.

«Akane! È fatta! Ti è arrivato?»

“Sì! L’ho fatto! L’ho risolto! Cioè, l’hai risolto tu per


me, ma… ho copiato tutto quello che hai fatto! Ora devo
solo premere invio!”

«E che diavolo stai aspettando? Premilo!»

“Okay! Lo faccio!” Premetti il tasto invio.

“Il comando di spegnimento di emergenza è stato


accettato. Il sistema di incenerimento è stato spento.”

“Jumpy!”
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«Cosa c’è?»

“Ha funzionato! Ha funzionato! L’inceneritore si è


spento! Ha funzionato!” Lacrime scesero sul mio volto
mentre gridavo a Junpei, ma era un tipo di lacrime molto
diverso. Un fantastico senso di realizzazione e sollievo
inondò il mio corpo. Al tempo stesso, la forza che mi era
rimasta scomparve, e collassai sul pavimento.

Per un po’ rimasi semplicemente lì, ridendo e


piangendo, felice di essere viva. Ogni volta che pensavo a
lui, pensavo che il mio cuore sarebbe andato a fuoco.

“Non posso credere di avercela fatta… ma sono così


felice… così felice… Sento il mio cuore andare a fuoco… No,
non ho tempo di pensare a queste cose. Devo dire ad Akane…”

«Akane! Scusa, ma le cose si stanno facendo pericolose


qui. Devo “riattaccare” adesso, okay?»

“Oh! Certamente! Va bene!” Mi asciugai le lacrime


dagli occhi e annui vigorosamente, pur sapendo che non
poteva vedermi. Poi guardai all’angolo del pavimento…
c’erano i due braccialetti che Hongou aveva lasciato.

“Ora… be’, Seven e Lotus non sembrano particolarmente


felici. Non è certo questo il modo di guardare qualcuno che vi
ha appena salvato la vita, ragazzi.”

«Junpei, stai…» «… bene?» «Oh, state zitti.»

432
“Giusto. Okay, così almeno hanno una ragione per essere
arrabbiati. Oh, non ho ancora premuto il tasto invio. Bene, ora
non c’è più nulla che mi trattenga! Ecco qua! … Aspetta…”

“L’incenerimento automatico avrà luogo in novanta


secondi.”

«Non… sembra essersi fermato», disse Snake. «Ma che


cazzo? Perché non si ferma?»

“Okay, magari non ho premuto il tasto abbastanza forte.


Ci riprovo… ancora… ancora… Okay, così non funziona,
l’allarme continua ad andare. Che diavolo sta succedendo? Ho
messo tutti i numeri giusti nei posti giusti. È perfetto! Quindi
perché cazzo non si ferma?”

“L’incenerimento automatico avrà luogo in sessanta


secondi.”

“Aspetta… ma certo! Ecco cosa significano questi numeri


sotto il puzzle! 2 + 4 + 5 + 7 + 8! Snake, Clover, io, Seven e
Lotus. Quindi… la porta 9… no… ecco! Quel numero sulla
porta non è un 9! Non è neanche un numero! È una q
minuscola! Quindi dobbiamo solo mettere i numeri giusti nel
RED e…”

“L’incenerimento automatico avrà luogo in trenta


secondi.”

«Correte, ragazzi! Alla porta!»

433
“Oh merda oh merda oh merda oh merda! Non c’è
abbastanza tempo! Spero che si fidino di me e basta o siamo
tutti fottuti! Okay, non c’è tempo di spiegare, dobbiamo andare
e basta!”

«Veloci! Autenticatevi sul RED!» «Autenticarci…?», chiese


Snake. «Chi?», esclamò Seven. «Quale combinazione?», urlò
Clover. «Tutti noi! Dobbiamo autenticarci tutti!», gridò Junpei.
«Perché?», chiese Lotus. «Vi sembra il momento di fare
domande? Fatelo e basta!»

“Svelti svelti svelti svelti svelti!”

“L’incenerimento automatico avrà luogo in dieci secondi.


Nove, otto, sette, sei, cinque, quattro, tre, due, …”

Al due tirarono la leva.

“Il cancello centrale è stato aperto. Il sistema di


incenerimento è stato disabilitato.”

“Non c’è tempo per la felicità!”

«Svelti! Abbiamo solo nove secondi prima che si richiuda!


Andiamo!» “Giusto in tempo… ora dobbiamo trovare il DEAD!”
Trovarono il DEAD lì davanti a loro, e si autenticarono.

«Pare che ce l’abbiamo fatta, eh?», disse Seven, scoppiando


in una fragorosa risata. “Sembra che Clover e Lotus siano
stanche morte… e Snake probabilmente non può vedere il
cielo, ma sono sicuro che possa sentire l’aria fresca. Voglio solo
farmi un pisolino…”

434
«Akane! Akane! Akane, puoi sentirmi?» “Voglio dirle che
ce l’abbiamo fatta… voglio dirle quanto mi sento bene… Ma…
nulla…”

La porta si aprì. Di fronte ad essa, c’era mio fratello.


“Akane!” “Aoi!” Gridai il suo nome, anche se la mia voce
era praticamente andata via per il troppo urlare, e mi
gettai tra le sue braccia.

“Oh, Aoi…” “Akane…!” Affondai la faccia nel suo


petto e piansi ancora. Piansi e piansi e piansi. Lo stabile
battito del suo cuore nelle mie orecchie mi fece sentire
come a casa. Il suo battito era quasi come una
ninnananna.

Strinsi le braccia intorno a lui per quanto potessi, e


più forte che potessi. Il solo essere lì sembrava un
miracolo. Non avevo sentito il calore di un altro essere
umano per quella che mi era sembrata un’eternità. Avrei
solo voluto stare tra le sue braccia per sempre…

Ma non potevo. Nel momento in cui ero passata per


la porta, i braccialetti avevano iniziato il countdown per la
morte. Mi allontanai da lui e guardai intorno. La porta si
era già chiusa. Trovai il DEAD a breve distanza da lì. Ci
volle poco per raggiungerlo e autenticare tutti i
braccialetti. Lasciai quelli che Hongou aveva messo a terra
sullo scanner.

Tirai la leva, e un sospiro di sollievo. L’immenso


detective che avremmo chiamato Seven nove anni dopo e

435
Snake, il ragazzo cieco, mi stavano guardando.
Sembravano totalmente esterrefatti dal mio arrivo
improvviso. I loro occhi erano spalancati e le bocche
aperte. “Molto bene, usciamo da qui. Potremmo trovare di
nuovo Hongou!”

Aoi aveva ragione! Era tempo di andare. Il


menzionare Hongou sembrò dissolvere la sorpresa di
Seven e Snake, che annuirono. Uscimmo correndo, su per
la scala a chiocciola, verso la libertà.

“Su, su, su, su! Queste scale non finiscono mai! Ma se


possono portarci fuori da qui… non importa la fatica che
stiamo facendo per correre. Il mio cuore batte così forte che
sento a malapena… Dio non posso aspettare per respirare di
nuovo vera aria… uh? Seven sta parlando?”

«Ehi, Junpei, posso chiederti una cosa?» «Che c’è?»


«Quella porta, quella con il 9. Perché si è aperta?» Intervenne
anche Lotus: «Sì… ci siamo autenticati tutti e cinque sul RED.
2 + 4 + 5 + 7 + 8 = 26. La radice digitale è 8. Non si sarebbe
dovuta aprire…»

«Non è da te, Lotus. Pensavo l’avessi già capito.» «Uh?


Perché?» «Perché sei stata tu a darmi l’idea delle basi.» «Basi?»,
chiese Seven. Junpei proseguì: «Sì. Quali sono i due numeri in
base 2?» «0 e 1», rispose Lotus. «E in base 10?» «Vanno da 0 a 9,
giusto?», si intromise Seven.

«E in base 16?», chiese Junpei. «Da 0 a f», rispose Lotus,


che continuò: «Dopo il 9, inizia da a e procede così. B, c, d,

436
eccetera.» «Giusto. In altre parole, a in base 16 è 10 in base 10.
B è 11, c è 12, d è 13, e così via.» «Quindi? Che c’entra?» «Non
ci arrivi? Prova a continuare con questo schema. Guarda cosa
succede se superi la base 16 e arrivi in base 27.»

«Base 27?», esclamò Lotus. «Sì.» «Be’, le cifre sono le


stesse… quindi basta aggiungere le lettere dell’alfabeto. E è 14,
f è 15, g è 16… h è 17… i è 18, j è 19, k è 20, l è 21, m è 22, n è
23, o è 24, p è 25…» «Sì, e… poi cosa viene?» «Q!», urlò Lotus,
mentre Seven esclamò: «26!»

«E questo cosa significa?» «Non era un 9 quello sulla


porta!», disse Lotus allibita. «Era una q! Una fottuta q
minuscola!», urlò Seven. «Sì, è così. O meglio, possiamo dire
che era un 9 in base 10, ma una q in base 27.»

Continuarono a correre, senza più fiato in corpo. Come un


tornado che fendeva un mare di nuvole. Finché, finalmente, si
ritrovarono di fronte ad un’ultima porta. Si scambiarono
rassicurazioni mentre recuperavano il respiro, e invitarono
Junpei ad aprirla.

“Sei l’ultima cosa che si frappone tra me e la mia libertà.


Ma cosa molto più importante, sei l’unica cosa che si frappone
tra me e Akane. Ti aprirai, e ti aprirai ora!”

La porta si aprì, e la luce inondò tutti quanti.

437
Sentii una mano sulla mia spalla. Era Aoi. Mi diede
una piccola, rassicurante stretta. Ero così felice che sentivo
avrei potuto sciogliermi. Il mio cuore era in pace. E non
solo perché io e mio fratello eravamo di nuovo riuniti.
Grazie al gigantesco detective, tutti noi nove che eravamo
stati rapiti, riuscimmo finalmente a fuggire dal Gigantic.

Nell’orizzonte lontano, potemmo vedere la sagoma


della nave mentre affondava. Emise un ruggito fragoroso
quando infine si abbandonò sotto le onde. Il suo ultimo
canto echeggiò nell’oceano, e sparì.

“È finita…” Aoi sospirò. Sì, era finita. Finalmente era


finita. Era così? No, non era così. Non era tutto finito. Ne
ero sicura. Non era la fine. Era solo l’inizio. Questo è stato
solo un prologo… di cosa sarebbe successo nove anni
dopo.

“Sì… finalmente… aria! Dannazione, questo sole picchia…


riesco a malapena a vedere… Uh, devo ammetterlo, questo
non sembra proprio… ehi, aspetta… no… è uno scherzo…”

438
«Cosa?» «Non può essere!» «Questo è…»

«Questa è la costruzione nel deserto del Nevada.» «La


struttura finta…» «Oh mio Dio… per tutto questo tempo,
eravamo nella struttura Q.»

“Sì, è sicuro… Questo è un deserto fatto e finito, con


montagne tutte attorno… ciao, sole. Sono così felice di vederti.
Non penso di essere mai stato così felice di vedere l’alba. Uh?
Ho appena sentito qualcosa cadere? Giusto… i nostri
braccialetti. Vediamo cosa c’è dentro di voi… solo uno stupido
chip elettronico. Nient’altro. Nulla che somigli anche
lontanamente ad un detonatore. Non c’è mai stato un
detonatore fin dall’inizio…”

“Jumpy!”

“Akane… eh, devo essere proprio pazzo di questa ragazza


se penso di sentire la sua voce nel vento…”

439
“Stai… bene?”

“Oh, eddai. Non è nulla.”

“Davvero…?”

“Sì.”

“Non sembra…”

Fu poco prima della fine delle scuole elementari.


Jumpy e io eravamo seduti uno accanto all’altro su una
piccola collina, guardando il paese mentre il sole
lentamente tramontava.

“E come sembra, quindi?”

Era per metà serio e per metà scherzoso. Ci pensai per


un minuto.

“Uhm, vediamo… sembra che tu abbia baciato un


rospo e preso delle verruche che sono cresciute, e
cresciute, e cresciute…”

440
“Eh… che significa?” Junpei fece un largo sorriso e
tentò una risata malriuscita.

“Visto? Te l’ho detto che non stai bene. Sei troppo


avventato. Non puoi battere cinque ragazzi delle medie,
Jumpy! È pura follia!”

“Sì, ma non potevo starmene semplicemente a


guardare… dovevo fare qualcosa!”

“Guarda, il deserto del Nevada… per essere un SUV, la


guida sta andando piuttosto liscia. Di certo è stato carino
lasciarcelo fuori dalla struttura, con le chiavi e la benzina,
chiunque sia stato… Quasi come se fosse un regalo, sai? Ad
ogni modo, ci siamo saltati dentro, e ora siamo qui, gridando
nel deserto… Lotus è lì, davanti nel sedile passeggeri… io,
Snake e Seven siamo tutti schiacciati nel sedile posteriore. Non
posso ancora credere che l’abbiamo lasciata guidare…”

«Wohoo! È così divertente! Guidare è fantastico quando


non c’è nulla tutto intorno! E non ci sono limiti di velocità!»

441
«Ehi, Clover… attenta con quegli urti, okay? Appena
l’auto salta un minimo mi sembra di andare incontro alla
morte!», esclamò Junpei.

«Ehi, sta’ zitto! Non posso farci niente se sono grosso, va


bene?»

«Perché non guidi tu, Seven?», chiese Snake. «Perché sono


un poliziotto. Non infrangerò la legge.»

«Non ha una licenza internazionale!», esclamò Clover. «Sì,


ma avresti potuto sederti accanto a lei…», fece Junpei.

«Diamine, no. Non vi lascio questo posto così comodo»,


disse Lotus, che proseguì: «E Clover… non c’è bisogno di
rallentare. L’auto in cui sono Santa e gli altri dev’essere da
qualche parte lungo questa strada davanti a noi.»

«Sì. Ho visto delle tracce fresche fresche, non c’è dubbio»,


commentò Seven. «Quindi dobbiamo sbrigarci se vogliamo
trovarli, no?» «Sicuro!»

“Oh merda! Perché deve guidare così forte? Non pensavo


che un’auto come questa potesse andare così veloce…
vomiteremo un sacco di polvere, ne sono sicuro.”

Fu un paio d’ore dopo che eravamo corsi dagli


studenti delle medie. Si erano nascosti nei cespugli dietro
una delle colline, inzuppando un gattino nella benzina.

Nel momento in cui vedemmo quel che stavano


facendo, Junpei corse verso di loro, furioso. “Ehi! Che

442
diavolo state facendo?” Poi gli saltò addosso. Raccolse il
gattino rapidamente e lo lanciò a me.

Lo presi, e corsi alla stazione di polizia il più veloce


possibile… “Aiutatemi! Polizia, per favore! Dovete venire
con me!” Tornai coi poliziotti alla collina… Tutto ciò che
trovammo era Junpei, seduto scomposto per terra col
volto coperto da grandi protuberanze gonfie.

“Non potevi correre via dopo avermi tirato il micio?”,


gli chiesi. Tirò fuori la lingua da un buchino nella sua
bocca da cui era caduto un dente. “Sì. Immagino che avrei
potuto…” “E perché non l’hai fatto?” “Non volevo. Volevo
dargli una lezione. Una bella lezione.”

“Per quello che stavano facendo al micio?” “Sì, anche,


ma… penso che ci fossero loro dietro le uccisioni del
primo semestre… ricordi?” “Oh… intendi i coniglietti?”
“Sì… i coniglietti.” Strappò un po’ d’erba dal terreno e la
lanciò nel vento.

“Mi hanno chiesto quale scuola elementare


frequentassi, e gliel’ho detto. E così hanno detto che ti
farebbero la stessa cosa che hanno fatto ai conigli. Non
potevo perdonarli. Così… io…”

«Ehi, ci sono ancora delle cose che non capisco…», disse


Junpei. “Chiaramente, è facile che non sappiano nulla di più di
quanto non sappia io…” «Tipo Ace… be’, immagino che dovrei
dire Gentarou Hongou. Perché ha creato il Nonary Project?
Qualche idea? Nessuno?»

443
Seven grugnì: «Perché non glielo chiedi direttamente?»
“Be’ sì, in effetti potrei…” «È ancora nel bagagliaio,
suppongo?», osservò Snake. “Sì, lo è. Ancora legato, presumo, e
con la bocca imbavagliata. Sì, potrei fare una chiacchierata
anche con il vecchio. … I suoi occhi sembrano… vuoti. Senza
emozioni. Sembra come se si sia semplicemente arreso. Mi
chiedo se gli importi ancora di quel che gli accade…”

«Ehi, ci stavi ascoltando?» “Sì, certo, fa’ finta di non aver


sentito, vecchio bastardo. Leviamo il nastro dalla tua bocca.”
«Eddai, so che stavi ascoltando. Rispondimi.» “Potresti almeno
guardarmi mentre parli, eh…”

«Io… io volevo solo vedere i volti. I volti umani.


Pensavo… pensavo che se avessi ottenuto l’abilità di accedere
al campo morfogenetico, forse avrei potuto vedere i volti.
Scrutando nelle menti umane, potresti capire come stanno
processando le espressioni altrui.»

«È così?» «Sì, se vuoi metterla sul semplice. Ma se vuoi


una risposta più filosofica, potrei fornirtene una. Vedi, la
coscienza collettiva…» “Penso che ne abbiamo abbastanza di te.
È tempo per il nastro di tornare al suo posto.”

Clover chiede: «Molto bene, quindi qual è la tua seconda


domanda?» Lotus incalzò: «Avevi detto che c’erano delle cose
che non hai capito, no?» “Oh, qualcuno è un po’ ficcanaso.”
«Be’, la mia prossima domanda non ha nulla a che fare con voi
due. È per te, Seven. Riguarda tutta la faccenda di Alice. Cosa
c’entrava?»

444
«Be’… vedi, nove anni fa, dopo essere fuggito dal
Gigantic… ho continuato a investigare su Hongou per conto
mio, sperando di poterlo catturare quando avrebbe commesso
un passo falso. E durante le mie indagini, ho imparato molte
cose sul Gigantic. Ho scoperto anche di Gordain e Alice.»

«Non stai davvero rispondendo alla mia domanda…


esisteva effettivamente una ragazza che non si scioglieva a
temperatura ambiente?» Hongou emise dei mugolii per
indicare di avere qualcosa da dire a riguardo. Junpei gli tolse
nuovamente il nastro.

«Alice non esiste. Nove anni fa, ho trovato la bara di Alice


dietro la biblioteca sul ponte inferiore. Non c’era nulla
all’interno, tranne la radice di un peculiare genere di pianta. Le
mie ricerche determinarono che faceva parte del genere
Mandragora, della famiglia delle Solanaceae. Riuscii ad
estrarre un particolare alcaloide da essa… ne utilizzai l’estratto
per creare il Soporil. La sua creazione fu di gran beneficio per
il mio nome, e crescemmo rapidamente…»

“Merda, questo potrebbe continuare all’infinito. Sta per


tornare il nastro, caro Hongou. Le mie altre domande possono
aspettare. Per il momento, penso che mi godrò semplicemente
la corsa.”

“Qui… questa è per te…” “Cos’è?” “È una bambola


Per-Te. Il suo nome è J-Junpei.” Jumpy tirò qualcosa fuori
dalla sua tasca e spinse goffamente le sue braccia verso di
me. Nelle sue mani c’era una bambola fatta col filo,
abbastanza piccola da stare nel suo palmo.
445
“Jumpy… sei sicuro che sia una… uh… bambola Per-
Te? “Uh? Sì, la signora del negozio ha detto così. Q-questo
significa che è per te… giusto?” “Io… uhm… sei sicuro
che non sia una bambola voodoo10?” “C-cosa? Questo è…
oddio, oddio!”

“Eh eh… be’, sembra proprio una bambola voodoo.


Voglio dire… sai per cosa vengono usate, vero?” “S-sì…
immagino che chiamarla Junpei non sia una buona idea,
quindi…”

“Perché me la stai donando, comunque? Sembra così


improvviso…” “B-be’… sai che dopo giugno 11 , non
potremo più vederci spesso… andremo in scuole diverse,
e…” “S-sì, lo so…”

“Oh… be’ quindi… perché non la chiamiamo June,


invece?” “O-okay…” “Q-quindi volevo… darti questa…”
“Eh eh… sembri quasi un capo di una tribù in un brutto
film…”

“Sì, io… comando una tribù. Questa bambola…


portafortuna tradizionale della mia… tribù…”
“Ahahahah!” “Quindi io… ti dono questa… così saremo
sempre… insieme.” “Oh, Jumpy…”

10
Credo che questo sia un gioco di parola tre “For-You” doll e “Voodoo”
doll.

11
June

446
“Se qualcosa andrà male, tienila e prega. Arriverà…
ovunque tu sarai. Ecco, prendi.” Presi la bambola
gentilmente. “Grazie… grazie mille, Jumpy.” Prima di
potermene accorgere, scoppiai a piangere. Lacrime
scesero sul mio volto, e caddero sul piccolo corpo
filamentoso di June.

“Oh Jumpy, non ti dimenticherò mai… te lo


prometto.” Jumpy mi guardò dritto negli occhi, e disse
solo cinque parole: “Neanche io ti dimenticherò mai.”

Il cielo era di un bellissimo rosso cremisi che si


scioglieva verso l’orizzonte. Gli ultimi raggi di sole dorati
si estendevano lungo la città e si dipingevano sulle colline.

Rimanemmo lì, immersi nella tiepida luce della sera.


Solo noi due, inclinati gentilmente una contro l’altro,
spalla contro spalla… Il sole tramontò, e noi ancora non
ce ne andammo. Guardammo in silenzio l’oscurità farsi
più profonda, e una ad una, le luci della città iniziarono a
sfarfallare.

“C’è ancora una cosa che non capisco… ad essere onesti, è


il più grande mistero che mi turba, e anche l’unico davvero
importante… ha a che fare con June e Akane. Nove anni fa, lei
morì nell’inceneritore del Gigantic. Ma… lei è ancora viva ora,
come June. Ma come? È stato perché sono entrato nel campo
morfogenetico e l’ho salvata nove anni fa? Mmh… okay,
diciamo che ha un suo folle senso. Ma se è così, allora… non
hanno più senso i ricordi di Seven. Quelli di Snake sì. Lui è
cieco. Non poteva aver visto il suo corpo comunque. Ma
447
Seven… ha detto di essere certo di averlo visto. Significa che
c’è una specie di… discrepanza storica? Oppure… aspetta.
Magari no. C’è un’altra spiegazione logica… mi hai detto la
verità, Seven? Sembri… convinto. No. Non c’è modo… non
potrebbe aver…”

«Ehi, guardate! Laggiù… c’è qualcuno accanto alla


strada», esclamò Clover. Lo sguardo fisso del sole del Nevada
batteva dritto sulla sua testa. Il deserto attorno a lei si
increspava dal calore. Lì, su quella piana scintillante, c’era una
donna, col braccio sporto e il pollice alzato. Non ci volle molto
prima che Junpei capisse di chi si trattava.

Fine.

Hai ottenuto il vero finale. Rileggi compiendo altre scelte


se vuoi scoprire altri finali che non hai ancora visto.

448
17. Sommario

Premessa ................................................................................................................................................. 2

Prologo ..................................................................................................................................................... 4

Che il gioco abbia inizio ............................................................................................................... 14

Convenevoli e non solo................................................................................................................. 25

Bivio ................................................................................................................................................... 51

Porta 4 ........................................................................................................................................ 52

Porta 5 ........................................................................................................................................ 93

La scomparsa ................................................................................................................................... 112

Bivio ................................................................................................................................................ 135

Porta 7 ..................................................................................................................................... 136

Porta 8 ..................................................................................................................................... 157

Una vecchia conoscenza ............................................................................................................ 173

Bivio ................................................................................................................................................ 200

Porta 1 ..................................................................................................................................... 201

Bivio ................................................................................................................................ 232

Porta 6 ..................................................................................................................................... 233

Bivio ................................................................................................................................ 263

Coltello ............................................................................................................................................... 264

Cassaforte .......................................................................................................................................... 269

Ascia ..................................................................................................................................................... 322

Bara ....................................................................................................................................................... 328

Nove anni fa ..................................................................................................................................... 343

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