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Alda Merini

Alda Merini, poetessa milanese, nasce nel


capoluogo lombardo il 21 marzo 1931.
Minore di tre fratelli, le condizioni della famiglia
sono modeste. Ella frequenta le scuole professionali
all'Istituto "Laura Solera Mantegazza"; chiede di
essere ammessa presso il liceo Manzoni, ma -
sembra incredibile - non supera la prova di italiano.
In questi anni dedica molto tempo anche allo studio
del pianoforte.
Spinta da Giacinto Spagnoletti, suo vero scopritore,
esordisce come autrice alla tenera età di quindici
anni. Spagnoletti sarà il primo a pubblicare un suo lavoro, nel 1950: nella
"Antologia della poesia italiana 1909-1949" compaiono le sue poesie "Il gobbo" e
"Luce".
Nel 1947 incontra quelle che definirà come "prime ombre della sua mente": viene
internata per un mese all'ospedale psichiatrico di Villa Turno.
Nel 1951, anche su suggerimento di Eugenio Montale, l'editore Scheiwiller stampa
due poesie inedite di Alda Merini in "Poetesse del Novecento".
In questo periodo frequenta per interesse di lavoro ma anche per
amicizia Salvatore Quasimodo.
Sposa Ettore Carniti, proprietario di alcune panetterie di Milano, nel 1953. Esce
poi il primo volume di versi intitolato "La presenza di Orfeo". Due anni dopo
publica "Nozze Romane" e "Paura di Dio". Sempre nel 1955 nasce la primogenita
Emanuela: al medico pediatra dedica la raccolta "Tu sei Pietro" (pubblicata nel
1961).
La poetessa inizia poi una triste fase di silenzio e di isolamento: viene internata al
"Paolo Pini" fino al 1972, lasso di tempo durante il quale non manca comunque di
tornare in famiglia, e durante il quale nascono altre tre figlie (Barbara, Flavia e
Simonetta).
Dopo alternati periodi di salute e malattia, che durano fino al 1979, la Merini
torna a scrivere; lo fa con testi intensi e drammatici che raccontano le sue
sconvolgenti esperienze al manicomio. I testi sono raccolti in "La Terra Santa",
pubblicato da Vanni Scheiwiller nel 1984.
Nel 1981 muore il marito e, rimasta sola, Alda dà in affitto una camera della sua
abitazione al pittore Charles; inizia a comunicare telefonicamente con il poeta
Michele Pierri che, in quel difficile momento del ritorno nel mondo letterario,
aveva dimostrato numerosi apprezzamenti sui suoi lavori.
I due si sposano nel 1983: la poetessa si trasferisce a Taranto dove rimarrà tre
anni. In questi anni scrive le venti "poesie-ritratti" de "La gazza ladra" (1985) oltre
ad alcuni testi per il marito. A Taranto porta a termine anche "L'altra verità.
Diario di una diversa", suo primo libro in prosa.
Dopo aver nuovamente sperimentato gli orrori del manicomio, questa volta a
Taranto, torna a Milano nel 1986: si mette in terapia con la dottoressa Marcella
Rizzo alla quale dedicherà più di un lavoro.
Dal punto di vista letterario questi sono anni molto produttivi: naturale
conseguenza è anche la conquista di una nuova serenità.
Negli anni, diverse pubblicazioni consolideranno il ritorno sulla scena letteraria
della scrittrice.
Nel 1993 riceve il Premio Librex-Guggenheim "Eugenio Montale" per la Poesia,
come altri grandi letterati contemporanei prima di lei, tra i quali Giorgio
Caproni, Attilio Bertolucci, Mario Luzi, Andrea Zanzotto, Franco Fortini.
Nel 1996 le viene assegnato il "Premio Viareggio" per il volume "La vita facile";
l'anno seguente riceve il "Premio Procida-Elsa Morante".
Nel 2002 viene pubblicato da Salani un piccolo volume dal titolo "Folle, folle, folle
d'amore per te", con un pensiero di Roberto Vecchioni il quale nel 1999 aveva
scritto "Canzone per Alda Merini".
Nel 2003 la "Einaudi Stile Libero" pubblica un cofanetto con videocassetta e testo
dal titolo "Più bella della poesia è stata la mia vita".
Nel febbraio del 2004 Alda Merini viene ricoverata all'Ospedale San Paolo di Milano
per problemi di salute. Un amico della scrittrice chiede aiuto economico con un
appello che le farà ricevere da tutta Italia, e-mail a suo sostegno. La scrittrice
ritornerà successivamente nella sua casa di Porta Ticinese, vicino ai Navigli.

Alda Merini nella sua Milano, vicino al naviglio


Nel 2004 esce un disco che contiene undici brani cantati da Milva tratti dalle
poesie di Alda Merini.
Il suo ultimo lavoro è datato 2006: Alda Merini si avvicina al genere noir con "La
nera novella" (Rizzoli).
Alda Merini muore a Milano il giorno 1 novembre 2009 nel reparto di oncologia
dell'ospedale San Paolo a causa di un tumore osseo.
In memoria della sua persona e della sua opera, le figlie Emanuela, Barbara, Flavia
e Simonetta, hanno dato vita al sito internet www.aldamerini.it, un'antologia in
ricordo della poetessa, un elogio all'"ape furibonda", alla sua figura di scrittrice e
madre.
Nel 2016, in occasione della ricorrenza della sua nascita, Google le ha dedicato un
logo.
Una diffusa ed errata convinzione vuole che gli artisti più sono pazzi più sono
geniali. Essa nasce principalmente da un altro sbagliato presupposto, ovvero la
definizione di pazzia: spesso questa non è altro che troppa, esagerata ed estrema
sensibilità. Ovviamente non capita dai cosiddetti “normali”.
Ecco cosa ci dice Alda Merini nella poesia Io sono folle, folle: lei è
pazza d’amore, nulla più. Il tormento è dovuto all’amato, non all’impossibilità di
gestire il proprio corpo e la propria mente, quei versi non sono il frutto di un
attimo di follia che le ha guidato la mano nella scrittura né una serie di parole
dettate dall’irrazionalità di un cervello malato. Perché solo quando si è lucidi si
può creare, solo quando si è in possesso delle proprie facoltà che prende vita
l’arte. Certo, in quei momenti si possono anche raccontare quegli attimi di
straniamento che hanno colpito l’artista in precedenza, ma quando egli scrive,
dipinge, scolpisce, suona è lui in tutta la sua interezza.
Per questo le poesie di Alda sono così pungenti: sono le parole scritte dalla
poetessa nella totale consapevolezza e lucidità, così leggere e naturali che
sembrano esistere da sempre, scritte lontano con la mente e con il corpo da quei
luoghi che non seppero prendersi cura di lei e della sua malattia. Affetta con
buona probabilità da disturbo bipolare, passò la vita tra picchi d’umore
incontrollabili, davanti agli occhi e all’incapacità dei dottori della sua epoca di
formulare una diagnosi e quindi una cura. Ma nonostante un vissuto faticoso e
doloroso, ogni parola di Alda vibra di vita, è un inno all’esistenza fatta di
amore, di corpo e soprattutto di tenerezza. Spirito e carne nella maniera più
genuina e reale possibile si incrociano e prendono vita nelle sue eterne e libere
poesie.
Alda Merini senza il manicomio sarebbe stata la stessa persona? Forse sì, forse no.
Probabilmente non avrebbe avuto quell’acuta sensibilità che nasce in chi ha
provato lancinanti dolori emotivi e fisici, estraniato, allontanato dagli affetti e
annullato nella propria personalità, ma di certo quel talento per la scrittura così
diretto, innato e spontaneo sarebbe vissuto comunque attraverso la sua penna e i
suoi dolci versi.
Incompresa dal marito e giudicata dalla società, che la bollava distrattamente
come matta, arrivò a rimpiangere il manicomio e quell’assenza di socialità
comunque meno crudele di quella presunta, ma di fatto inesistente, al di fuori
dell’ospedale psichiatrico, tra abbandono e solitudine. Internata la prima volta a
sua insaputa, l’esperienza fu traumatica: allontanata dalle quattro figlie e
ignorata dalla famiglia, fu ricoverata a più riprese e subirà in tutto 46
elettroshock, non uno di più, non uno di meno, che però non spensero la sua
anima creativa, balsamo della sua sofferenza, che le permise inoltre di raccontare
gli orrori di questi luoghi prima della Legge Basaglia:
Nelle malattie mentali la parte primitiva del nostro essere, la parte strisciante,
preistorica, viene a galla e così ci troviamo a essere rettili, mammiferi, pesci, ma
non più esseri umani. Così la mia bellezza si era inghirlandata di follia, ed ora
ero Ofelia, perennemente innamorata del vuoto e del silenzio, Ofelia bella che
amava e rifiutava Amleto.
Alda Merini fu moglie, amante, madre e figlia, soprattutto fu artista, capace di
mettersi a nudo completamente, come nelle ironiche e provocatorie fotografie
che le scattò Giuliano Grittini, così come nelle sue poesie così autentiche e senza
remore. Alda è stata una calda presenza nell’anima e nello spirito di chi ha saputo
accostarsi a lei senza pregiudizi, pronto a raccogliere ogni sua parola e ogni sua
disperata esperienza, accogliendo quel messaggio d’amore per la vita che
comunque rimase saldo nella sua poetica e nelle sue convinzioni.
Alda Merini è stata una donna libera: nonostante i ricoveri forzati e la prigione
che le costruirono i giudizi altrui, mantenne sempre la sua dignità, la sua integrità
e la sua essenza, fu sempre autenticamente lei nel bene e nel male, con il suo
immancabile rossetto rosso e le unghie smaltate. Libera di scrivere ciò che voleva
come voleva, libera di farsi ritrarre nuda, libera di accumulare oggetti e ricordi,
libera di essere se stessa e di vivere come voleva.
Spentasi nella sua Milano il 1° novembre 2009, la sua poesia è diventata musica, la
sua casa un museo e o suoi versi un classico. E l’incapacità di comprenderla
nel suo essere diversa un enorme rimpianto.

Ieri ho sofferto il dolore,


non sapevo che avesse una faccia sanguigna,
le labbra di metallo dure,
una mancanza netta d’orizzonti.
Il dolore è senza domani,
è un muso di cavallo che blocca
i garretti possenti,
ma ieri sono caduta in basso,
le mie labbra si sono chiuse
e lo spavento è entrato nel mio petto
con un sibilo fondo
e le fontane hanno cessato di fiorire,
la loro tenera acqua
era soltanto un mare di dolore
in cui naufragavo dormendo,
ma anche allora avevo paura
degli angeli eterni.
Ma se sono così dolci e costanti,
perché l’immobilità mi fa terrore?
Alda Merini – La terra santa

Una diffusa ed errata convinzione vuole che gli artisti più sono pazzi più sono
geniali. Essa nasce principalmente da un altro sbagliato presupposto, ovvero la
definizione di pazzia: spesso questa non è altro che troppa, esagerata ed estrema
sensibilità. Ovviamente non capita dai cosiddetti “normali”.

Ecco cosa ci dice Alda Merini nella poesia Io sono folle, folle
La poetessa si rivolge al suo amato al quale dichiara il suo amore: l’uomo sa del
suo passato doloroso fatto di delusioni e attraverso le poesie della donna, che ella
reputa giocattoli rotti perché non trasmettono più gioia; metafora, la quale
sottolinea la sua profonda sofferenza dovuta ai suoi disturbi mentali e ai lunghi
periodi trascorsi in un ospedale psichiatrico. Alda nei versi successivi mostra la sua
completa devozione nei confronti di quest’uomo, tanto da arrivare a donare tutto
di sé stessa e a desiderare di diventare un dolce vento di canti d’amore per te,
sperando di trovare la pace e la serenità che tanto desidera. L’autrice ha a
disposizione solo la sua poesia e attraverso ad esso sfoga e concretizza i suoi
pensieri, ciò è dimostrato da diversi versi e da alcune figure retoriche: ad esempio
io sono solo una fanciulla piena di poesia, e la metafora io voglio solo
addormentarmi sulla ripa del cielo stellato e diventare un dolce vento di canti
d'amore per te. La poesia è formata da una sola strofa e da versi liberi, i quali
mettono ancora più in risalto l’epoca moderna e caratterizzata dalla privazione di
regole metriche in cui essa è stata scritta.

Parafrasi 

Sono folle di te, amore

Che riesci a riconoscere

Nel mio passato

Le mie parole, che sono come giocattoli rotti

Se vuoi di me posso donarti tutto

Non sono altro che un’ingenua

Piena di sogni

E di delusioni

Vorrei solo addormentarmi

Sotto la volta del cielo stellato

E disperdermi in un vento

Che ti porti dei canti d’amore.

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