Prima di parlare di quali potrebbero essere le forme di vita che - nascoste
fra il buio e le luci, i pieni e i vuoti delle profondità cosmiche - ci attendono al di là dell'orbita di Plutone, le nuove colonne d'Ercole, dovremmo chiederci di cosa stiamo realmente parlando. In breve, quale è l'oggetto della nostra ricerca? La risposta è ovviamente "la vita" e allora, più o meno banalmente, la domanda diventa "che cos'è la vita?". La domanda, a ben vedere, non è affatto banale se si decide di ignorare che da secoli, posta in modi diversi, essa è stata formulata già tante volte e la si ritrova addirittura come titolo di un famosissimo libro di un altrettanto famosissimo autore rispondente al nome di Erwin Schrödinger. La domanda potrebbe trovare immediata risposta consultando un qualsiasi vocabolario. Il Garzanti, per citarne uno fra i tanti ottimi vocabolari in commercio, recita: "Lo stato di attività naturale di un organismo che mette in moto e coordina le funzioni inerenti alla sua conservazione, sviluppo e riproduzione e alle sue relazioni con l'ambiente e gli altri organismi". Il discorso potrebbe quindi essere considerato chiuso, ma mentre in una collezione di parole e significati come un dizionario il termine vita trova (e non potrebbe che essere così; saremmo evidentemente disturbati dal trovare scritto: Vita: significato in costruzione!) una così precisa e articolata definizione, non appena si interroga chi di vita se ne intende (!) e se ne interessa da un punto di vista scientifico, ci ritroviamo invischiati in pasticci filosofici. In un meraviglioso articolo comparso nel Settembre del 1998 nella sfortunata rivista "Scienza nuova" dal titolo"Life is...", scritto da Bob Holmes- collaboratore di NewScientist- si possono trovare alcune tra le tante risposte possibili ma mai definitive a questa apparentemente semplice domanda: riprenderò di seguito molti degli spunti offerti da questo articolo in quanto costituiscono un ottimo panorama dello stato dell'arte. L'autore si prese la briga di telefonare a numerosi esperti di settori che si interessano al fenomeno vita in tutte le sue forme, vere o presunte. Pagò quindi con una bolletta salatissima la soddisfazione di sapere che un bravo giornalista può ancora permettersi di creare serie difficoltà a scienziati e filosofi che sono ben lungi dal mettersi d'accordo su una definizione comune, almeno nel caso del termine "vita", una definizione che accontenti tutti e che tenga conto almeno di tutti gli aspetti a noi noti che tale fenomeno assume in Natura. Holmes interpellò un biologo dell'evoluzione, Carl Woese, il quale rispose che "semplicemente è viva un'entità che riesce a fare una copia di sé utilizzando dei componenti che sono tutti molto più elementari. Perfino un computer potrebbe pretendere il diritto di essere considerato vivo se fosse progettato per costruire e prendersi cura, senza alcun aiuto esterno, di una copia di sé". Ma, essendo che il primo della serie di questi robot dovrebbe comunque essere costruito da ingegneri umani, lo stesso Woese ci ripensa e afferma che "la storia evolutiva dovrà avere una parte importante in qualunque definizione di vita che sia veramente applicabile". Stanley Miller, autore in passato di importanti esperimenti sul "brodo prebiotico" esprime forse meglio il di Woese pensiero affermando che "non esiste un organismo vivente finchè non c'è una selezione darwiniana" e gli fa eco Gerald Joyce affermando che "la vita è un sistema chimico che si automantiene, capace di evolversi in termini darwiniani". Nel dibattito ovviamente non poteva non intervenire almeno un filosofo e in questo caso Holmes interpella Mark Bedau che si occupa proprio di filosofia della biologia. Questi sostiene, con termini che già da soli basterebbero a far capire quanto a volte possa discostarsi la visione di un filosofo da quella degli uomini di scienza, che "l'evoluzione non è soltanto una proprietà della vita. E' ciò che spiega perché esistono tutte le altre proprietà. E' l'essenza, la causa prima". Lynn Margulis, ancora una biologa, risponde alla domanda dicendo che "la vita è un sistema che si è dato dei confini, costituiti da materia del sistema. Non è una cosa ma un processo e questi processi riguardano la creazione e il mantenimento dell'identità". A questo punto di vista si può opporre quanto sostiene Jeffrey Bada, un biogeochimico che dirige le ricerche di esobiologia della Nasa. Egli afferma che l'inizio della vita è stato sottoforma di schiuma di molecole autoriproducentesi e senza confini di alcun tipo. Aggiunge poi che alla NASA si aspettano di trovare proprio qualcosa del genere su Europa, forse il satellite gioviano più famoso. Michael Meyer, direttore del programma di astrobiologia della NASA, interrogato su cosa sia la vita sostiene che "Quando si pensa a come riconoscere le forme viventi, si considera che cosa la vita faccia, non che cos'è". Spiega quindi che, come sulla Terra la vita lascia delle tracce evidenti della sua esistenza quali l'ossigeno libero presente nella nostra atmosfera generato dal processo di fotosintesi clorofilliana, così andando su Europa o in qualunque altro posto dovremmo stare attenti a riconoscere, ove possibile, tracce chimiche dell'attività vitale di qualche organismo lì presente.
Questo atteggiamento che, accomunando anche Bada, mi sembra possa
essere considerato quasi una filosofia dell'agenzia NASA, può però risultare limitato in quanto possiamo sperare di cogliere indizi di vita solo se già ne possediamo una certa conoscenza, se sappiamo cosa e dove cercare. Bada infatti si dice fiducioso nella possibilità che, se c'è vita oltre il nostro pianeta, questa sia della stessa natura di quella che abbiamo qui, ovvero che sia basata sul carbonio. "Nessun altro elemento si avvicina anche lontanamente alle sue possibilità di formare un assortimento così vario di legami e questa varietà è essenziale per la complessità chimica dei sistemi viventi". Questo punto di vista, oserei dire "per fortuna", non è condiviso da tutti gli astronomi e ve ne sono altri che si aspettano di potere imbattersi in qualche organismo che non presenti niente di simile a quanto possiamo incontrare sulla Terra. L'astronomo Christopher Chyba ritiene che "Avanzando troppe ipotesi su quanto si sta cercando si corre il rischio di imbattersi in qualche reazione chimica non prevista che potrebbe però rispondere a quella definizione di vita". Nello stesso articolo vengono presentati anche i risultati in campo informatico che saranno argomento di una delle prossime sezioni dedicate proprio ai programmi che si autoriproucono. Lo stesso Holmes, commentando in chiusura d'articolo il risultato della sua ricerca, afferma "Si potrebbe pensare che una precisa definizione di vita sia il prerequisito di tutte queste attività di ricerca. Ma tentando di trovarne una, mi accorgo di portare alla luce uno dei piccoli e sporchi segreti della biologia: i migliori cervelloni del mondo possono anche essere bravissimi nel separare i vivi dai morti nell'esperienza quotidiana, ma non riescono a mettersi d'accordo su che cosa sia la vita. E' vivo ciò che mangia, si muove e produce delle escrezioni? Lo fa anche la nostra automobile (…).
La vita è capacità di moltiplicarsi? Allora i cristalli sono vivi, ma non
altrettanto i muli, le donne di una certa età e molti uomini anziani". A questo proposito mi sembra utile citare la posizione di due cosmologi, John Barrow e Frank Tipler, espressa nel loro libro "Il Principio Antropico", importante principio del quale parleremo più avanti . Secondo gli autori, tutte le argomentazioni dei biologi falliscono proprio per il grado di ambiguità insito in ciò che si tenta di definire. Fanno notare come tutti gli organismi viventi che conosciamo sono metazoi, ovvero animali costituiti dall'aggregazione di diverse cellule che cooperano tra loro per dar luogo a una forma di vita. Queste singole cellule hanno tutte la capacità di riprodursi spontaneamente e di riparare, quindi, eventuali danni della struttura cellulare di cui fanno parte. Ogni animale, ogni pianta parte da una o due cellule che duplicandosi si differenziano andando a formare tessuti e organi specializzati. L'incapacità di riparare i danni della propria struttura porterebbe un vivente a non vivere abbastanza a lungo da essere riconosciuto come tale. Quindi la capacità di riprodurre una copia di se stessi è essenziale ma non è una condizione sufficiente. Come dicevamo, anche un cristallo di sale in una soluzione salina super-satura si riproduce esattamente fino a costruire un cristallo più grande. La differenza tra cellule che si autoriproducono e cristalli che apparentemente fanno la stessa cosa è data dall'informazione che nei primi è soggetta a selezione naturale, mentre nei secondi si propaga senza dovere affrontare una "lotta per la sopravvivenza". Quando si parla di autoriproduzione di cellule non si intende che vengano prodotte copie esatte dell'originale, cosa che comporterebbe l'impossibilità dello specializzarsi di alcune di esse come quelle muscolari e di altre come quelle ossee o nervose. Parimenti non verrà mai dato di osservare una mutazione nella crescita di un cristallo di sale tale per cui la vecchia struttura venga rimpiazzata da un'altra più adatta all'ambiente. A tutta questa serie di definizioni probabili, tutte con il loro grado di verità relativa, consci del fatto che la serie è stata di proposito troncata forse per noia o più probabilmente per mancanza di fondi nel portafoglio di Holmes, si può dare una degna fine con l'affermazione del poeta Wallace Stevens il quale sostiene laconicamente che "La vita consiste in proposizioni sulla vita". Da questa carrellata di punti di vista illustri emergono le due caratteristiche fondamentali dello studio del fenomeno vita: si tratta di uno studio 1) ancora in fase iniziale; 2) con uno spiccato carattere interdisciplinare. Voler tentare di dire cose che abbiano una valenza di ampia portata significa cercare di tenere sotto controllo i vari campi dello scibile- dalla biologia alla fisica e alla geologia, dall'informatica alla filosofia, dalla matematica alla psicologia, dalla robotica alla chimica- dai quali dobbiamo aspettarci continuamente sorprese interessanti. In questa trattazione ci si occuperà quasi esclusivamente di quello che è il problema della vita negli spazi cosmici, della possibilità che esista, delle metodologie per stanarla, dei problemi etici e filosofici connessi con il trovarla, se c'è. Quindi alla già lunga lista di prima vanno aggiunti ambiti come quelli dell'astrofisica, della cosmologia, della religione e della letteratura, un condimento del piatto già di suo gustosissimo che si spera rintuzzerà di continuo l'appetito dei lettori. Affrontare il problema dell'origine e dell'evoluzione della vita sulla Terra richiederebbe una lunga e dettagliata trattazione che esulerebbe dagli scopi di questo breve lavoro. Un altro argomento sul quale cercherò di non dilungarmi se non per brevi e circostanziate citazioni inerenti più il cinema e il fumetto che non le teorie scientifiche, sarà quello degli UFO. La scelta è sostenuta da diversi, validi motivi tra i quali- ci tengo a sottolinearlo- non compare una presa di posizione personale sull'argomento: non riveste nessuna importanza il sapere se chi scrive creda o no alle frequenti visite degli extraterrestri. Sembra comunque strano che, come fa notare A. Brahic nel suo libro "Figli del tempo e delle stelle", "Migliaia di astronomi di professione, i quali per mestiere osservano il cielo giorno e notte a tutte le lunghezze d'onda e in tutte le direzioni, dotati dei più elaborati strumenti, non abbiano mai rilevato il benché minimo segno di intelligenza extraterrestre. Se si credesse a certi rendiconti, tutto sembrerebbe avvenire come se gli extraterrestri si mostrassero solo a chi non possiede alcuna cultura scientifica". E insiste dicendo "leggendo le storie di UFO, colpisce constatare come gli extraterrestri ci somiglino e come (i latori di queste storie) manchino di immaginazione. Gli scienziati non rimproverano loro di avere troppo spirito d'invenzione, ma di esserne singolarmente privi".
Comunque ritengo che il non parlare in questa sede dell'argomento non
arrecherà alcun grave danno a tutti coloro che desiderino saperne di più sugli "omini verdi" dato il gran proliferare di letteratura cartacea e on-line che in parte citerò e che sicuramente fa registrare una netta vittoria degli articoli di ufologia su quelli di esobiologia. E' interessante giusto notare come sull'argomento UFO vi siano alcune idee che potrebbero costituire una spiegazione possibile per una certa quantità di casi di avvistamenti e contatti. Addirittura secondo alcuni autori i casi di UFO diventati, dopo accurata analisi, degli IFO (un acronimo che sta per Identified Flying Objects, ovvero oggetti volanti per i quali è stata trovata una spiegazione plausibile per la comunità scientifica) ammontetrebbero a ben il 95% degli avvistamenti, lasciando "solo" un 5% dell'intera casistica a turbare i sonni di scettici e non. Alcuni hanno letto nella crescita incredibile che ha fatto registrare il numero di avvistamenti di oggetti volanti non identificati (Unidentified Flying Object) nell'immediato dopoguerra, un preciso segno di quanto l'immaginario collettivo sia stato colpito dal dover temere l'arrivo dal cielo di bombardieri, V2 tedeschi o bombe atomiche. Il cielo è diventato di colpo il fronte dal quale aspettarsi ignote minacce o semplicemente novità. Lo stesso psicanalista Carl Gustav Jung si pronunciò sull'argomento ravvisando nei racconti di incontri con alieni o di avvistamenti di dischi volanti, elementi tipici di tutte le culture, paure ancestrali e simboli mutuati dal complesso mondo dei sogni. All'ufologia sono comunque grato per il brivido che comunica con l'ipotesi, che parrebbe verificata di continuo, di incontrare qualcuno "di fuori", qualche "forestiero" che ci porti notizie fresche su come è l'Universo se osservato daun altro punto di vista, da un altrove che- pare- ancora per molto non riusciremo a raggiungere. L'arte si avvale continuamente di questo sogno e genera film, racconti, musiche e altro che insieme costituiscono un' incredibile e inesauribile fonte di ispirazione per la ricerca scientifica. La scienza, ben lungi dal farne a meno come spesso vorrebbe far credere, continuamente pesca "di frodo" nel mare della fantascienza e di essa spesso si nutre.