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Romania

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Romania Stato dell’Europa orientale; confina a NE
con Ucraina e Moldavia, a NO con l’Ungheria, a S con la Bulgaria e a
SO con la Serbia; si affaccia per quasi 250 km sul Mar Nero.

1. Caratteristiche fisiche
1.1 MorfologiaIl territorio della R. costituisce un’entità geografica
armonica, malgrado le caratteristiche profondamente diverse dei suoi
elementi costitutivi. L’elemento morfologico essenziale è rappresentato
dalla catena carpatica, formatasi nel Terziario durante il ciclo
orogenetico alpino, di cui alla R. appartengono interamente la sezione
meridionale e solo parzialmente la sezione orientale. È possibile
suddividere i Carpazi romeni in tre settori: Carpazi Orientali, Carpazi
Meridionali e Carpazi Occidentali. I primi, che si allungano con
direzione NO-SO con una pronunciata forma arcuata, hanno
un’altitudine media fra i 1200 e i 1330 m. Vi si distinguono tre zone
geologico-strutturali: una centrale, cristallina, ove si tocca la massima
elevazione di tutto il settore nei Munții Rodnei (Pietrosul: 2303 m); una
zona vulcanica recente che la fiancheggia a oc;cidente per circa 400 km;
una zona a oriente, sul bordo del nucleo cristallino centrale, dove sono
presenti formazioni sedimentarie di età mesozoica e paleogenica. I
Carpazi Meridionali, detti anche Alpi Transilvane, hanno forme più
massicce e sono meno frazionati: si dispongono anch’essi ad arco fra la
valle della Dâmbovița e le Porte di Ferro, angusta gola nella quale per
un centinaio di km scorre il Danubio. In questa sezione, elevata in media
dai 1500 ai 1750 m, si raggiungono le massime altezze carpatiche in R.,
con cime che superano i 2500 m (Moldoveanu 2543 m; Negoiul 2535 m
ecc.). La sezione occidentale dei Carpazi romeni comprende i Monti del
Banato e gli Apuseni, un raggruppamento di massicci allungati per quasi
350 km dal Danubio al fiume Someş e separati fra di loro da alcune
depressioni tettoniche. Nel Bihor si ha la cima più alta degli Apuseni
(1849 m). La Transilvania costituisce una depressione originatasi in
seguito alla tettonica distensiva conseguente ai corrugamenti alpini e
colmata da depositi marini sabbiosi e argillosi paleogenici, miocenici e
pliocenici, con uno spessore variabile dai 2500 ai 4000 m. Fra le Alpi
Transilvane e il Danubio, in direzione OE, si apre la Valacchia, antico
bacino distensivo riempito da sedimenti marini e successivamente
lacustri che il Danubio e i suoi affluenti di sinistra e di destra hanno
gradatamente colmato. Continuazione della pianura valacca verso NE è
la Moldavia, che con la Bucovina meridionale forma l’avampaese
esterno dei Carpazi, fra questi e il Prut. Fra il corso terminale del
Danubio e il Mar Nero si estende la Dobrugia, che si presenta come un
pianoro quasi tabulare arido e steppico, tuttavia fertile per il löss che lo
ricopre; la sezione settentrionale comprende i resti di antiche montagne,
sollevate nel Paleozoico e in seguito peneplanate, elevate in media fra i
400 e i 450 m. Antiche valli solcano il tavolato da E a O. Il Danubio,
sfociando nel Mar Nero, forma un apparato deltizio di spessore variabile
da 83 a 175 m; esso occupa un antico golfo delimitato, in epoca
preistorica, da una serie di cordoni litoranei, e colmato in seguito dalle
alluvioni del fiume. Le terre comprese fra i tre rami principali del delta,
quelli secondari e i canali sono caratterizzate dalle acque stagnanti, per
lo più ricoperte da una vegetazione palustre. Appartiene alla R. anche la
pianura del Tibisco, già ungherese, una fascia larga da 40 a 120 km, che
da N a S occupa la parte più occidentale del paese.
PUBBLICITÀ
1.2 ClimaL’intero territorio della R. è posto nella zona temperata, vale a
dire nell’area di interferenza delle tre principali varianti del clima
temperato europeo: la variante atlantica, che si fa sentire al centro e nella
parte occidentale del paese, quella mediterranea a S e quella continentale
a E. Un clima pertanto complesso, sul quale influiscono anche il rilievo
e la sua disposizione, nonché i venti di provenienza orientale (crivǎtz) e
quelli provenienti da O e SO (austru). Le escursioni termiche sono
rilevanti, dell’ordine di 22-25 °C e sono maggiori nelle pianure che sulle
montagne: nelle pianure pericarpatiche agli alti valori dell’estate (punte
superiori ai 35 °C) si alternano infatti minimi assoluti di −35 °C in
inverno. Le medie di gennaio sono ovunque al di sotto dello zero. Va
anche sottolineata la tendenza delle temperature nei due mesi estremi ad
accentuare i loro valori procedendo da O verso E. Si deve poi
aggiungere la frequenza delle inversioni termiche dovute alla
caratteristica morfologica delle valli dal fondo incassato tra zone
culminanti arrotondate. La piovosità non è abbondante: massima nelle
aree collinose subcarpatiche (700-900 mm all’anno) e soprattutto nelle
Alpi Transilvane occidentali con 1400-1500 mm; nella Moldavia e nella
Valacchia si scende a meno di 600 mm e a minimi notevolmente più
bassi in Dobrugia. Date le basse temperature, le precipitazioni invernali
assumono carattere nevoso, specie sui Carpazi.
1.3 IdrografiaNel complesso (eccetto una piccola sezione della Dobrugia
costiera, peraltro quasi arida) tutte le acque superficiali confluiscono nel
Danubio: l’intero territorio è solcato solo da affluenti di sinistra del
fiume, benché ne comprenda parzialmente anche la sponda destra nel
breve tratto della Dobrugia. In genere gli affluenti che defluiscono verso
l’esterno dell’arco carpatico si gettano direttamente nel Danubio, quelli
invece che scorrono verso l’interno vi arrivano tramite il Tibisco. Tra i
primi, i maggiori, da NE a SO, sono il Prut, che dopo aver segnato con
gran parte del suo percorso il confine con la Moldavia, sbocca nel
Danubio presso Reni; il Siret (che ha le sorgenti in territorio ucraino) vi
si getta poco a sud di Galați; quindi la Ialomița, la Dâmbovița, l’Olt e lo
Jiu. ● Il Danubio, che entrando nel paese si affossa nelle gole delle Porte
di Ferro, interessa il territorio romeno per 1075 km, pari a circa due
quinti del suo sviluppo totale. Convoglia una gran massa di detriti, che
accumula incessantemente nella zona deltizia, oltre la quale riversa le
sue acque nel Mar Nero. Numerosi i laghi, seppure di dimensione
modesta (1% della superficie totale): tra quelli costieri, per estensione
(360 km2) e per pescosità si ricorda il Razim; lungo la sponda sinistra del
Danubio, i laghi fluviali di Potelu, di Greaca e di Călărași; infine i laghi
di montagna, di origine glaciale o vulcanica, con acque calde e salate,
talvolta utilizzate per cure balneotermali.
2. Popolazione
Per mancanza di definiti limiti fisici a N e a O si è sempre avuta una
forte compenetrazione tra i Romeni e le popolazioni ungheresi, slave e
germaniche circostanti. La situazione si è infine virtualmente stabilizzata
solo dopo gli ingenti spostamenti avvenuti in seguito al secondo
conflitto mondiale: l’elemento romeno rappresenta circa l’89%
dell’intera popolazione, ma vi sono anche minoranze di Magiari (6,6%),
Rom (2,4%), Tedeschi (0,3%). Estremamente ridotte rispetto al passato
risultano le minoranze ucraine, russe, turche ecc., ben localizzate nelle
zone di confine. Tuttavia, nonostante la lunga marcia verso la
romenizzazione, protrattasi per decenni, il paese resta, in Europa, uno di
quelli che si distinguono per varietà etnico-culturale e incidenza
numerica delle nazionalità minoritarie. La politica nei confronti di
queste, e in particolare degli Ungheresi, ha attraversato fasi alterne, di
apertura e di restrizione, con momenti di tensione. La scarsità delle fonti
e il fatto che la R. abbia subito numerose variazioni territoriali
costituiscono un serio ostacolo alla ricostruzione storica dell’entità
numerica della popolazione, a partire dalle epoche più remote fino ai
tempi recenti. Accresciutasi per oltre un quarantennio, dall’immediato
secondo dopoguerra al termine dell’esperienza socialista (nel 1946 gli
abitanti erano 15,8 milioni, saliti a 18,4 nel 1960, a 20,2 nel 1970, per
toccare i 22,7 nel 1984), essa ha preso a diminuire a partire dal 1992,
con un decremento medio annuo dello 0,3%: tendenza negativa che però
sembra essersi esaurita nell’ultimo biennio del 20° secolo. Il calo è
dovuto all’andamento del saldo naturale, ma anche al cospicuo flusso
emigratorio iniziato dopo la fine del regime socialista; tale flusso,
allontanando dal paese individui in età feconda, ha a sua volta
determinato un ulteriore abbassamento della natalità: 10,53‰, di contro
a una mortalità del 11,9‰, secondo una stima del 2009, cui contribuisce
anche un tasso di mortalità infantile drammaticamente risalito (22,9‰).
● Meta dell’emigrazione romena è soprattutto la Germania, seguita da
altri Stati europei, tra i quali l’Italia. La distribuzione sul territorio è nel
complesso abbastanza omogenea, con i maggiori addensamenti nella
Valacchia, nelle valli del Siret, del Prut e in alcuni distretti della
Transilvania. Le densità più basse si incontrano nei distretti di Tulcea
(Dobrugia) e di Caraș-Severin (Monti del Banato). L’incidenza della
popolazione urbana, passata dal 23% del 1948 a più del 40% alla fine
degli anni 1960, è oggi del 54% (2006). Tra i centri urbani domina
nettamente la capitale per quanto riguarda sia l’ampiezza demografica
sia il peso delle attività produttrici di beni e servizi. Delle altre città, le
più popolose sono Iași, Timișoara e Costanza. Merita un cenno l’opera
di pianificazione urbanistica imposta dal processo di industrializzazione.
Diversamente da altri paesi dell’Est europeo (come la
ex Cecoslovacchia), si è preferito distribuire la popolazione in un certo
numero di ‘città nuove’, dotate dell’intera gamma di attrezzature
necessarie, ben servite dalle vie di comunicazione, integrate in un più
vasto complesso che include anche città tradizionali, industrie antiche e
recenti. Contemporaneamente si è provveduto al rinnovamento dei
quartieri insalubri delle grandi città, alla creazione di città doppie o
satelliti nelle periferie, allo sviluppo delle stazioni balneari. ● Religione
di gran lunga prevalente (87%) è quella ortodossa della Chiesa romena,
con minoranze cattoliche (5%), protestanti (4%), musulmane ed
ebraiche.

3. Condizioni economiche
Il processo di sviluppo iniziato nel secondo dopoguerra è stato
rapidissimo fino agli anni 1970, ma successivamente la vulnerabilità alle
congiunture negative internazionali, agendo su un apparato produttivo
ancora squilibrato e instabile, ha frenato la crescita economica. Le basi
per la politica di sviluppo socioeconomico furono simili a quelle degli
altri paesi socialisti: nazionalizzazione di tutte le branche produttive;
collettivizzazione dell’agricoltura, preceduta da una riforma agraria
attuata con la confisca delle proprietà eccedenti i 50 ha, il frazionamento
e la distribuzione dei lotti ai contadini senza terra; organizzazione e
sviluppo dell’economia nazionale in un tutto unico, governato secondo
piani annuali e quinquennali. Dopo il 1989, l’avvio di politiche di
privatizzazione dei mezzi di produzione e di apertura agli investimenti
esteri, attratti dal basso costo della manodopera, ponevano le premesse
per una riconversione produttiva che non può dirsi ancora conclusa.
Progressi non irrilevanti sono stati compiuti per raggiungere l’obiettivo
dell’ingresso nell’Unione Europea (2007), in particolare per quanto
concerne la privatizzazione delle attività e la modernizzazione dei settori
secondario e terziario, soprattutto in termini di occupazione. ●
Nonostante la numerosa popolazione occupata e la notevole estensione
della superficie destinata all’arativo e alle colture arboree (42,7%),
l’agricoltura risulta poco produttiva. Oltre la metà della superficie
coltivata è adibita alla cerealicoltura, in particolare alla produzione di
mais e frumento. In aumento è l’orzo, mentre declinano le coltivazioni
dei cereali minori, come avena e segale, ormai superate dal riso, che
trova lungo il Danubio condizioni ottimali. Da segnalare altre colture
alimentari (patate, pomodori, fagioli, cipolle, cavoli, piselli ecc.),
industriali, fra cui le oleifere (girasole, soia, colza ecc.), la barbabietola
da zucchero, il tabacco e alcune piante tessili (lino, canapa, cotone). Le
colture arboree riguardano in primo luogo il prugno, dal cui frutto si
ricava per distillazione il liquore nazionale, la zuica, il melo, il pero, il
pesco ecc. La vite, diffusa un po’ dovunque, fornisce uva sia da tavola
sia per la vinificazione. Le foreste, che coprono vaste superfici in
Transilvania e nei Carpazi Orientali, sono costituite in prevalenza di
faggi, conifere e querce; la produzione di legname nel 2006 è stata di
13,8 milioni di m3. Rilevante l’allevamento: prevale quello ovino e
suino, seguito da quello dei bovini. Latte, burro, formaggio, carne, uova
sono, insieme con la lana, i prodotti zootecnici offerti al mercato interno
ed estero. ● Le risorse energetiche presenti nel sottosuolo, così come
l’abbondanza delle acque superficiali, hanno permesso di attuare una
politica di sfruttamento diversificata. Rilevanti le riserve di petrolio (i
cui pozzi sono collegati mediante oleodotti con Giurgiu sul Danubio,
con Costanza sul Mar Nero e con Galați-Reni), gas naturale e lignite. Il
sottosuolo fornisce anche salgemma, ferro, bauxite, argento, oro,
manganese, piombo, rame ecc. L’energia elettrica si basa
prevalentemente su centrali termiche e in parte su impianti idroelettrici
(tra cui quello alle Porte di Ferrro); a Cernavodă è attiva una centrale
nucleare. ● Il forte impulso dato all’industrializzazione ha assorbito la
parte più cospicua degli investimenti governativi. Dall’industria pesante,
privilegiata dai piani di sviluppo degli anni 1950-1970, si è poi passati
alla creazione di industrie diversificate (tessili, materie plastiche, beni di
consumo ecc.) per rispondere, seppure non sempre in modo sufficiente,
alle istanze dei mercati interno ed estero. Il processo di espansione è
stato rapido, avendo potuto contare su buone basi locali, oltre che
sull’assistenza tecnico-finanziaria sia dei paesi socialisti sia di quelli a
economia liberista. I pianificatori ebbero il vantaggio di poter impiantare
strutture completamente nuove nelle regioni che non erano state
interessate dall’industrializzazione del 19° sec.: così attrezzature e
impianti si sono localizzati in funzione della presenza di manodopera e
delle necessità regionali. ● Il processo di privatizzazione e riconversione
di prodotto e processo del settore industriale è ancora in corso. Buoni
risultati si sono manifestati nell’industria leggera, in seguito agli
investimenti esteri e ai processi di delocalizzazione che hanno
decentrato in R. fasi di lavorazione di aziende di paesi occidentali; fra le
altre, numerose industrie dell’Italia nordorientale (per la massima parte
venete), essenzialmente appartenenti ai rami dell’abbigliamento e delle
calzature, hanno trasferito parte della loro attività in città della R.
occidentale (Timișoara e Oradea). ● L’industria è sviluppata, in
particolare, nei settori siderurgico, metallurgico e meccanico
(produzione di motori diesel, macchine agricole, materiale ferroviario,
macchinario petrolifero, utensile ed elettrico, autoveicoli, natanti ecc). Il
comparto chimico è articolato in una serie di complessi recenti, tra i
quali emergono quelli petrolchimici, che forniscono una gamma svariata
di prodotti (fertilizzanti fosfatici, ceneri di soda, concimi azotati, acidi,
detersivi, coloranti, caucciù sintetico, resine e materie plastiche ecc.). Di
qualche rilievo l’industria tessile, che si avvale del cotone, della lana e
dell’impiego crescente di fibre sintetiche, la calzaturiera, la cartaria,
quelle del cemento, del legno e della cellulosa. Infine vanno menzionate
le industrie alimentari, già pilastro dell’economia romena, e in
particolare la molitoria, sorta nei principali centri del commercio
cerealicolo (Brăila, Galați, Costanza, Timișoara). ● Il settore delle
comunicazioni, nonostante i progressi, manifesta ancora squilibri. La
funzione dei trasporti terrestri resta preponderante. La rete ferroviaria
(10.781 km nel 2006, di cui 3978 elettrificati) è costituita da un sistema
concentrico con due cinture principali, con tronchi transcarpatici, e con
altre linee che dalla capitale si irraggiano in ogni direzione. La rete
viaria comprende 198.817 km di strade asfaltate e 228 di autostrade
(2006). I trasporti fluviali svolgono una funzione limitata, nonostante
l’estensione delle vie navigabili (1780 km), quasi tutte lungo il Danubio.
I porti più attivi si trovano sul Mar Nero (Costanza e Mangalia); sul
Danubio, degni di nota, sono gli scali di Brăila, Galați e Giurgiu. Le
linee aeree garantiscono i collegamenti con le principali città europee. ●
Il commercio estero presenta una bilancia in passivo. Gli scambi
avvengono principalmente con la Germania e con l’Italia. Nelle
importazioni prevalgono macchinari, prodotti tessili e alimentari. ● Il
turismo è in prevalenza balneare, diretto verso le spiagge del Mar Nero,
sebbene a partire dagli ultimi anni del 20° sec. abbia cominciato a
diversificarsi, attratto anche da luoghi di grande interesse naturalistico
(il delta del Danubio) e culturale.

ANTROPOLOGIA
Le popolazioni rurali della R. avevano, fino a pochi decenni fa,
un’economia agricolo-pastorale, con sopravvivenza di antiche tecniche e
strumenti (l’aratro ligneo senza ruote con la punta indurita al fuoco, i
forni d’argilla, le macine a mano ecc.). I pastori, durante la transumanza,
usavano, e in parte usano ancora, particolari capanne (stâne), dove in un
apposito ambiente si confezionano i formaggi che, una volta pronti,
vengono pressati e conservati entro pelli. Laddove non siano intervenuti
i violenti e spesso drammatici mutamenti imposti dal potere politico
negli anni 1950-90, l’abitazione rurale è di struttura variabile, secondo il
censo: in alcune zone della pianura danubiana si incontrano ancora le
antiche dimore di argilla e di terra. Altrove prevale un tipo di abitazione
a balconata anteriore, attraverso la quale si accede agli ambienti interni;
questi hanno le pareti circondate da panche e adorne di specchi, icone,
tappeti. ● Il costume varia da luogo a luogo: caratteristici
dell’abbigliamento femminile le bellissime camicie ricamate e il doppio
grembiule, di quello maschile gli stretti pantaloni bianchi e il corpetto di
pelle di pecora. Nelle leggende, nelle credenze e nella letteratura si
notano sovrapposizioni e influssi romani, bizantini, slavi, cristiani ecc.
sull’antico patrimonio dei Daci. Diffusi la credenza nel diavolo, al
tempo stesso antagonista e collaboratore di Dio, con potere notturno,
capacità di incarnarsi in vari animali e di rendere gli uomini ossessi;
come anche il timore delle streghe e dei licantropi. Tracce di magia si
riscontrano nei riti agresti. Abbastanza ricca e varia la letteratura
popolare: colinde, ossia stornelli augurali con parti epico-drammatiche,
cantati da giovani uomini nel periodo tra Natale e Capodanno; racconti
agiografici o storico-leggendari; liriche; epigrammi mordaci che ragazze
e giovanotti si scambiano durante un caratteristico ballo in tondo (hora).
La danza è di solito accompagnata dal canto: in alcune zone si usa il
flauto, più raramente cornamuse e zampogne.

PREISTORIA
Manufatti litici di tipo paleolitico inferiore sono stati trovati in siti di
superficie, ma le più antiche testimonianze sicure si riferiscono al
Musteriano, di cui esistono varie facies. Per il Paleolitico superiore sono
documentati l’Aurignaziano e il Gravettiano, la cui età e tipologia sono
mal conosciute. Un ricco sito mesolitico è stato scoperto a La Scaune,
nei Carpazi Orientali. Dopo un orizzonte aceramico, il Neolitico con
ceramica comincia verso la metà del 6° millennio a.C. ed è fortemente
influenzato dalla ‘cultura della ceramica lineare’, le cui genti penetrano
nell’area carpato-danubiana, provenienti dall’Europa centrale; altri
influssi provengono dalle regioni a sud della Romania. Nel Neolitico
finale (circa 2900-2700 a.C.), specie nella parte occidentale della R., si
moltiplicano gli insediamenti fortificati, a riprova di mutate condizioni
di vita; si diffondono strumenti e armi di rame, mentre l’oro è utilizzato
per gli oggetti di ornamento; alcuni gruppi di popolazioni pastorali
cominciano a penetrare, provenienti in particolare dalle steppe nord-
pontiche. ● La transizione all’età del Bronzo si effettua in momenti
diversi nelle varie zone del paese: verso il 2200 a.C. nelle regioni
meridionali e sud-orientali, fin verso il 1800-1700 a.C. nel resto della
regione. Durante l’età del Bronzo sono intensamente sfruttati i locali
giacimenti di rame, fonte di ricchezza tramite il commercio con regioni
vicine e lontane. La metallurgia continua ad avere grande importanza
durante l’età del Ferro, che vede lo sviluppo delle popolazioni note
come Traci. ● Alla fine del 6°-inizio del 5° sec. a.C. cominciano a
manifestarsi elementi scitici, mentre l’influenza della Grecia si fa
sempre più forte, specie dopo la fondazione delle colonie sulle sponde
del Mar Nero (Histria, Tomis, Callatis). Verso il 300 a.C. penetrano in
R. anche elementi celti, provenienti dall’ovest e dal sud-ovest. Nel
periodo successivo i Geto-Daci creano una ricca cultura, con una
metallurgia molto sviluppata, un’architettura originale e moneta propria.
Dopo la conquista romana di parte dei territori occupati da queste
popolazioni, una evoluzione indipendente continuò nelle aree non
assoggettate.

STORIA
1. Dal Medioevo all’età moderna
La R. si costituì in Stato, con il nome di România, ancora soggetto alla
sovranità della Sublime Porta, il 24 gennaio 1862, in conseguenza
dell’unione della Moldavia e della Valacchia in un unico principato.
L’unità politica si era preparata nel corso delle lotte combattute per
secoli dai Romeni dei due versanti dei Carpazi, nati dall’antico popolo
dei Daci, e avente come centro la Transilvania. Esso si è sempre
considerato e chiamato rumân o român, cioè «romano», in seguito alla
conquista traianea quando nella Dacia furono trasferiti coloni da ogni
parte del mondo romano (➔ Daci).

1.1 Alto MedioevoNell’Alto Medioevo si costituirono le prime


formazioni politiche romene (ducati e voivodati), raggruppatesi dal 14°
sec. nei ‘grandi voivodati’ di Valacchia e di Moldavia. Le formazioni
statali della Transilvania seguirono un’evoluzione storica differente in
seguito alla penetrazione dei Magiari: nel 10° sec. alcune genti magiare
si stabilirono accanto alla popolazione autoctona e dal 12° sec. per oltre
4 secoli la Transilvania fece parte dello Stato ungherese quale
voivodato. Nelle tre regioni i Romeni conservarono e svilupparono
una cultura materiale e spirituale specifica in stretto legame con il
mondo bizantino. Il lungo processo di organizzazione statale, in
particolare, fu influenzato dal cristianesimo di rito bizantino.
1.2 La ValacchiaLa Valacchia, suddivisa in judete o giudicati e retta
localmente da giudici, tenuti insieme dall’autorità di un voivoda o duca,
era nel 14° sec. tributaria dei Mongoli dell’Orda d’oro, pur rimanendo
soggetta alla sovranità del re d’Ungheria. Nel 14° sec. uno dei voivodi,
Basarab di Câmpulung, riuscì a imporsi sugli altri duchi e giudici nella
cosiddetta Oltenia; nel 1330, sconfiggendo il re d’Ungheria Carlo
Roberto d’Angiò, ottenne il riconoscimento della sua posizione di
primato come «Gran Voivoda di tutto il paese romeno». I suoi
successori ne continuarono la politica tendente ad affermare la nuova
unità statale: da Nicola Alessandro (1352-64) per giungere a Mircea il
Vecchio (1386-1418), si assiste a un progressivo estendersi delle
conquiste territoriali insieme a una più definita organizzazione dello
Stato. ● Suddivisa in tre classi (boiari, contadini e schiavi), la società
valacca dei sec. 14°-16° era tenuta insieme dal principe, capo militare,
giudice supremo e padrone di tutte le terre a lui sottoposte. Lo Stato
valacco si era appena consolidato che già nei primi anni di regno di
Mircea il Vecchio i confini vennero minacciati dai Turchi: Mircea, dopo
la sconfitta cristiana nella battaglia di Kosovo (1389), fu battuto a
Rovine, poi con l’aiuto ungherese batté i Turchi a Turnu-Măgurele; ma
dopo la sconfitta di Nicopoli (1396), l’indipendenza della Valacchia
venne limitata e lo Stato dal 1417 fu assoggettato a tributo da Maometto
I. I 20 domni o voivodi che si succedettero sul trono di Valacchia dal
1418 sino alla battaglia di Mohács (1526) riuscirono sì a conservare al
paese una certa autonomia, ma dopo la sconfitta di Mohács la Valacchia
di fatto fu sottomessa e i suoi voivodi interamente soggetti al sultano.
Solo con la salita al potere di Michele il Valoroso (1593-1601) la
riscossa contro il dominio turco trovò un condottiero capace, che riuscì a
realizzare per la prima volta l’unione di Valacchia, Transilvania e
Moldavia, proclamandosi principe di tutti i Romeni. Nel 17° sec. si
segnalarono i principi Matei Basarab (1632-54), Șerban Cantacuzeno
(1678-88) e Costantino Brâncoveanu (1688-1714), cui seguì il regime
fanariota.
1.3 La MoldaviaLa futura Moldavia era invece interamente soggetta al
dominio dei Mongoli. Solo quando il potere mongolico si indebolì,
emerse come marca di confine contro il pericolo mongolico. Verso il
1360 Bogdan, voivoda del Maramureş, regione del nord della
Transilvania, si eresse a domn, dando la prima dinastia al paese e
sottraendosi anche alla dipendenza dall’Ungheria. La sua posizione era
identica a quella del domn di Valacchia e non diversa si presentava la
struttura sociale della popolazione moldava. I suoi successori nell’arco
di circa un secolo estesero il proprio potere a tutto il territorio compreso
fra il Dnestr, il delta del Danubio e i contrafforti nordorientali dei
Carpazi, fin oltre Cernauṭi, ai confini con la Polonia. ● Tenere a bada i
Mongoli, poi i Russi che premevano da oltre il Dnestr, i Polacchi e i
Magiari, quindi anche i Turchi, rappresentò un problema non facile e
solo con Stefano III il Grande (1457-1504) la regione trovò un
assestamento che doveva essere decisivo per la formazione della nazione
romena. Con la Polonia del re Casimiro IV si giunse a un accordo; verso
l’Ungheria Stefano respinse gli attacchi del re Mattia Corvino; più
difficile fu il compito di dare sicurezza alla frontiera meridionale: nel
1474 Stefano si collegò di fatto con la grande lega cristiana insieme al
pontefice, a Venezia, a Mattia Corvino e al re di Napoli e il 10 gennaio
1475 batté Solimano l’Eunuco, giunto in forze dall’Albania. Il possesso
della linea del Danubio e di tutte le coste del Mar Nero era troppo
importante per i Turchi perché potesse essere trascurato. Dopo la
sconfitta di Valea Alba a opera degli eserciti congiunti ottomano e
crimeano (1476), nell’agosto del 1484 Stefano III, attaccato dalle truppe
di Bāyazīd II, perse i porti di Chilia e Cetatea Alba. L’aiuto polacco gli
fece vincere i Turchi, ma la pace conclusa fra Turchi e Polacchi nel
1489 lo indusse a pagare un tributo al sultano e a inviare suo figlio
Alessandro in ostaggio presso la Sublime Porta. Alla sua morte (1504) la
Moldavia era completamente inserita fra i domini ottomani.
1.4 La TransilvaniaIn Transilvania la grande maggioranza della
popolazione del voivodato, comprendente anche il Banato, la Crișana e
il Maramureș, era romena. I Sassoni, insediati come coloni insieme ai
Secleri dalla corona ungherese, e i pochi ungheresi stabilitisi nelle città
rappresentavano una minoranza. Accanto alle nuove suddivisioni
amministrative del voivodato si mantennero i distretti romeni che
continuavano i cnesati trovati al loro arrivo dagli Ungheresi. Nel 14° e
15° sec. si verificarono varie sommosse di contadini romeni e ungheresi
contro il clero cattolico e la nobiltà ungherese e sassone. Dopo il 1541 la
Transilvania diventò principato autonomo e dal 1691 provincia
dell’Impero asburgico. Nel 1784-85 avvennero violenti movimenti
contadini guidati dai tre famosi capi Horia, Cloșca e Crișan.
2. Il Settecento
In queste secolari lotte di principi di Valacchia e Moldavia contro gli
Ungheresi, padroni dopo il 1000 della Transilvania, contro la Polonia,
che tendeva a espandersi verso il Mar Nero, e infine contro i Turchi
ottomani, che finiranno per dominare quasi tutti i Balcani, nei Moldo-
Valacchi si venne a consolidare la coscienza di una propria individualità.
Un movimento culturale in questa direzione si ebbe soprattutto nel 18°
sec., periodo caratterizzato da un notevole sviluppo economico e
culturale, in cui emersero soprattutto le personalità dei principi
Costantino Brâncoveanu (1688-1714) in Valacchia e Dimitrie
Cantemir (1710-11) in Moldavia. Cantemir, celebre umanista, tese a
eliminare le cause dell’instabilità politica della Moldavia. La libertà e
l’unità dei Romeni furono le idee dominanti della sua opera e delle
azioni che intraprese, la più importante delle quali fu l’alleanza con lo
zar Pietro il Grande nella lotta contro i Turchi (1710-11); il tentativo di
liberare il Principato dalla soggezione ottomana si concluse, però, con la
disfatta di Stănilești (1711), che costrinse Cantemir a riparare in Russia.
● Con Cantemir si rafforzò la coscienza della latinità dei Romeni dei tre
Principati. Dalla fine del 18° sec. in poi questi già saldi legami con il
mondo latino occidentale si rinsaldarono anche grazie alla diffusione
della cultura francese e delle ideologie rivoluzionarie, liberali e poi
democratiche. Sotto il profilo politico la situazione delle terre romene
appariva però quanto mai sfavorevole a una loro unificazione: contro le
aspirazioni ideali di una ristretta élite di intellettuali, il dato reale era
offerto dall’inserimento dei due principati di Valacchia e Moldavia
nell’ambito dell’Impero ottomano con la sostituzione, operata dalla
Porta (1711 in Moldavia, 1716 in Valacchia), dei principi locali con
fanarioti greci. Gli Asburgo, dopo la Transilvania, nel 1775 avevano
esteso il loro dominio anche alla Bucovina, e la Russia dal 1774 (trattato
di Küciük Qainarge) aveva progressivamente accresciuto la sua
influenza sui Principati.

3. Il Principato e il regno di Romania


Nel marzo 1821 il greco A. Ipsilanti tentò di sollevare i Principati
entrando in Moldavia e giungendo fino a Bucarest, mentre una più vasta
ribellione, con centro la Valacchia, trovò un capo in T. Vladimirescu.
Dopo un inizio di intesa i due movimenti entrarono in contrasto e
Vladimirescu fu fatto arrestare e decapitare da Ipsilanti, le cui forze
furono poi battute dai Turchi. La Porta, tuttavia, temeva che le
aspirazioni nazionali greche si saldassero con quelle dei Principati e
dopo il 1821 i principi di Moldavia e Valacchia non furono più di
nazionalità greca ma autoctoni. A seguito della guerra russo-turca i
Principati furono occupati dalla Russia (1828-34) e affidati al governo
del generale P.D. Kiselëv. ● Nel 1848-49, la rivoluzione nei Principati e
in Transilvania, punto più avanzato verso oriente della ‘primavera dei
popoli’ del 1848, fu soffocata dalle forze collegate di Austria e Turchia;
Valacchia e Moldavia furono occupate dalla Russia dall’autunno del
1853 alla primavera del 1854 e, quindi, dall’Austria. Il movimento di
indipendenza si concretò con l’elezione (1859) di A. Joan Cuza a
principe di Moldavia e Valacchia, unificate nel Principato di R.,
soggetto però alla nominale sovranità ottomana. Furono realizzate allora
fondamentali riforme: l’incameramento dei beni ecclesiastici; la
creazione di una seconda camera, nel quadro di una vera e propria
Costituzione che rafforzò l’autorità e le prerogative del capo dello Stato;
la creazione di un Consiglio di Stato; la riforma agraria; l’unificazione
della legislazione civile, penale e commerciale. Questo complesso di
riforme ardite e moderne aveva però toccato troppo a fondo gli interessi
dei boiari e della borghesia radicale: a Cuza, rovesciato dal trono e
costretto all’esilio (1866), succedette Carlo di Hohenzollern-
Sigmaringen, che introdusse una Costituzione che accresceva i poteri del
sovrano in senso dispotico, mentre una legge elettorale rigidamente
censitaria assicurava il monopolio del potere politico agli esponenti della
grande proprietà terriera. ● Nel 1876, con la rivoluzione
di Bosnia, Erzegovina e Bulgaria e la guerra della Serbia e
del Montenegro (con l’aiuto della Russia) contro la Turchia, il
Principato si alleò con la Russia che, pur rivendicando la Bessarabia,
prometteva la piena sovranità. Riconosciuta indipendente dal Congresso
di Berlino (1878), alla R. furono attribuite anche la Dobrugia e la foce
del Danubio. ● Nel 1913 il paese partecipò alla seconda guerra
balcanica; l’anno successivo salì al trono Ferdinando I. Scoppiata
la Prima guerra mondiale, la R. entrò nel conflitto nell’agosto 1916, al
fianco della Triplice Intesa, e nel dicembre fu occupata dagli Imperi
centrali. Il periodo tra le due guerre fu segnato da violente tensioni e dal
succedersi di governi autoritari. Acquistò un ruolo crescente la Guardia
di ferro, un’organizzazione paramilitare di stampo fascista e razzista
fondata nel 1930. Anche la monarchia espresse, nel corso del decennio,
una propria tendenza autoritaria. Alla morte di Ferdinando I (1927), la
corona era passata al nipote, Michele, assistito da un consiglio di
reggenza; il padre di questo, Carlo, che aveva rinunciato al trono nel
1925, fu richiamato in patria e incoronato re nel 1930; nel 1938 assunse
poteri dittatoriali sotto una nuova costituzione corporativista e costituì il
Fronte della rinascita nazionale, partito unico fino al 1940. Sul piano
internazionale Bucarest sviluppò, nel corso degli anni 1920, stretti
legami con la Francia; nel decennio successivo tuttavia la R. si avvicinò
progressivamente alla Germania. ● Nel 1940, dopo aver perso la
Bessarabia e la Bucovina settentrionale (annesse all’URSS in giugno),
dovette cedere la Transilvania settentrionale all’Ungheria (agosto) e la
Dobrugia meridionale alla Bulgaria (settembre). All’interno, il
filonazista maresciallo I. Antonescu assunse i pieni poteri, forzando
Carlo I all’abdicazione e richiamando al trono il figlio Michele; le
Guardie di ferro furono riconosciute quale unico partito legale e il paese
sottoposto a un durissimo regime repressivo, mentre dall’ottobre vi si
dislocavano truppe tedesche. Con il mutare delle sorti del conflitto,
nell’agosto 1944 Antonescu fu destituito dal re Michele, che firmò
l’armistizio e dichiarò guerra alla Germania. La R. condusse quindi le
ultime fasi della guerra a fianco degli Alleati, occupata dall’esercito
sovietico; sul piano politico si affermò progressivamente il ruolo dei
comunisti, che divennero la forza egemone nel nuovo esecutivo
costituito (marzo 1945) da P. Groza (primo ministro fino al 1952),
autore di una radicale riforma agraria.

4. Il regime comunista
Il 30 dicembre 1947 il re Michele fu forzato all’abdicazione e nell’aprile
1948, con il varo di una nuova Costituzione, la R. divenne formalmente
una repubblica popolare; nello stesso anno, nazionalizzate le grandi
proprietà industriali, fu avviata la pianificazione dell’economia, tendente
in particolare allo sviluppo dell’industria pesante. Delle perdite
territoriali del 1940, la R. riacquisì nel dopoguerra solo la Transilvania
settentrionale. Una serie di accordi bilaterali, conclusi nel corso del
1948, portarono all’inserimento del paese nel blocco sovietico,
rafforzato dall’adesione al COMECON (1949) e al Patto
di Varsavia (1955). Nei primi anni 1950 si verificò un irrigidimento del
regime in senso stalinista. ● Nel 1965, alla morte di G. Gheorghiu-Dej,
segretario del Partito romeno dei lavoratori – nato nel 1948 dalla fusione
di comunisti e socialdemocratici – divenne segretario generale del
partito (dal luglio denominato Partito comunista) N. Ceauşescu, che varò
una nuova Costituzione, proclamando la repubblica socialista.
Ceauşescu impose al paese una dittatura personale, assumendo nel 1967
la carica di capo dello Stato e nel 1974 quella, appena istituita, di
presidente della Repubblica con poteri esecutivi. La rivendicazione di
una maggiore autonomia nazionale portò Bucarest a condannare
l’invasione della Cecoslovacchia da parte delle forze del Patto di
Varsavia nel 1968, mentre buone relazioni venivano mantenute con la
Cina. Al tempo stesso furono incrementati i rapporti con i paesi
dell’Europa occidentale. Il forte aumento del debito estero, verificatosi
nel corso degli anni 1970, segnò tuttavia la crisi del modello di sviluppo
incentrato sulla crescita dell’industria pesante. ● L’autarchia economica
applicata dal 1983, unita al progressivo isolamento internazionale
determinato dalla politica di riforme avviata da M.S. Gorbačëv in URSS,
portò alla crisi. Nel 1989 l’esplodere della protesta popolare sfociò nel
rovesciamento di Ceauşescu, che fu condannato a morte e fucilato.

5. Il postcomunismo
Caduto Ceauşescu, sino al 1995 fu al potere J. Iliescu, ex comunista e
leader del Fronte di salvezza nazionale, in seguito rinominato Partito
socialdemocratico. Fin dai primi anni 1990 fu avviata una
trasformazione dell’economia del paese attraverso la ristrutturazione del
settore industriale, la privatizzazione dell’agricoltura e il passaggio a
un’economia di mercato, suscitando violente proteste per i pesanti costi
sociali. Per altro verso, la situazione politica era connotata dall’emergere
di sempre più forti spinte nazionaliste e xenofobe che attraversavano
tutti gli schieramenti politici. Le opposizioni vinsero per la prima volta
le elezioni presidenziali nel 1996 con E. Constantinescu, ma già nelle
seguenti consultazioni del 2000 Iliescu tornava alla presidenza. ●
Divenuta Stato associato della CEE nel 1993, la R. sottoscrisse un
accordo di cooperazione con la NATO nel 1994 e appoggiò l’intervento
aereo contro la Iugoslavia nel 1999. Nel 2004 il paese entrò a far parte
della NATO, nello stesso anno le elezioni presidenziali furono vinte da
T. Băsescu, del Partito liberaldemocratico di centrodestra, che annunciò
un programma di avvicinamento all’Europa unita e di lotta alla
corruzione. Contemporaneamente si svolsero le elezioni legislative, da
cui scaturì un governo di coalizione presieduto da C. Tariceanu. Dopo la
firma del trattato di adesione (2005), nel 2007 la R., insieme alla
Bulgaria, entrò nella UE. Nel 2008, dopo l’esito incerto delle elezioni
politiche, si costituì un altro governo di coalizione, a guida di E.
Boc. Già sospeso dalle sue funzioni da una maggioranza di centro-
sinistra nel 2007 ma rieletto per un secondo mandato nel 2009, Băsescu
è stato destituito dal Parlamento nel luglio 2012 con le accuse di
violazione della Costituzione e usurpazione del ruolo del primo
ministro, che dall'aprile dello stesso anno è ricoperto da V. Ponta, ma il
referendum popolare per l'impeachment non ha raggiunto il quorum e
Băsescu è rimasto in carica. Alle elezioni legislative tenutesi nel
dicembre 2012 la coalizione di centrosinistra che sostiene il premier ha
conseguito una larga vittoria, ottenendo il 57% circa delle preferenze
contro il 19% riportato dall'opposizione di centrodestra guidata da
Băsescu. Al primo turno delle consultazioni presidenziali svoltesi nel
novembre 2014 il premier socialdemocratico Ponta ha ricevuto oltre il
40% di consensi contro il 30,5% aggiudicatosi dall'esponente della
minoranza sassone K. Iohannis, che lo ha sconfitto al ballottaggio
ottenendo il 54,5% dei consensi e subentrando nel mandato
presidenziale a Băsescu. Nel novembre 2015, a seguito delle violente
proteste di massa esplose dopo il devastante incendio scoppiato in una
discoteca in cui hanno perso la vita almeno 32 persone, il premier Ponta
e l'intero governo romeno si sono dimessi, sostituiti nello stesso mese da
un esecutivo tecnico guidato dal premier D. Cioloș. Le elezioni
parlamentari anticipate, tenutesi nel dicembre 2016 con un'affluenza alle
urne del 39%, hanno confermato la sinistra al potere, con il Partito
socialdemocratico che ha ottenuto il 46% delle preferenze, seguito dal
Partito liberaldemocratico, in forte calo con il 20% circa delle
preferenze, e la nuova formazione dell’Unione per la salvezza della
Romania (Usr), alla sua prima esperienza elettorale a livello nazionale,
che aggiudicandosi l'8,5% dei voti è entrata in Parlamento come terza
forza politica; nello stesso mese il presidente Iohannis ha affidato al
socialdemocratico S. Grindeanu l’incarico di primo ministro. Profonde
tensioni sociali, sfociate in numerose manifestazioni di piazza che hanno
mobilitato l'intero Paese, si sono aperte ad appena un mese
dall'insediamento del nuovo esecutivo a causa dell'approvazione nel
febbraio 2017 di misure per la depenalizzazione di una serie di reati
legati alla corruzione. Malgrado il ritiro del decreto le proteste non si
sono placate, e i manifestanti hanno continuato a chiedere una
moralizzazione del Paese e le dimissioni del governo Grindeanu. Nel
giugno successivo il premier ha rinunciato alla carica, subentrandogli il
socialdemocratico M. Tudose, sostituito nel gennaio 2018, dopo le
dimissioni, dalla socialdemocratica V.V. Dăncilă. Le elezioni europee
tenutesi nel maggio 2019 hanno evidenziato una perdita di consensi dei
socialdemocratici, che hanno ottenuto il 23,3% circa dei consensi contro
il 37,6% delle consultazioni del 2014, seguiti dalla coalizione Alleanza
2020 formata dall'Unione salvate Romania e dal Partito della Libertà,
dell'Unità e della Solidarietà dell'ex premier Cioloș, che si è imposto con
il 21,4% dei voti come seconda forza politica del Paese. Nell'ottobre
2019, sfiduciata dal Parlamento e contestata da violente manifestazioni
di piazza con l'accusa di incompetenza e corruzione, la premier Dăncilă
è stata costretta a rassegnare le dimissioni, subentrandole nella carica L.
Orban. Le elezioni presidenziali svoltesi nel novembre successivo hanno
registrato al primo turno l'affermazione del presidente uscente Iohannis
con il 33,6% dei consensi, contro il 23,8% aggiudicatosi dalla ex
premier Dăncilă, che ha sconfitto al ballottaggio aggiudicandosi oltre il
65% dei consensi. Nel febbraio 2020 l'esecutivo guidato da Orban è
stato sfiduciato dal Parlamento a seguito di una mozione presentata dalle
opposizioni, mentre il premier ha riottenuto la fiducia nel mese
successivo. L'insuccesso registrato dal Partito nazionale liberale di
Orban alle consultazioni legislative svoltesi nel dicembre 2020, alle
quali ha ricevuto meno del 25% dei consensi a fronte del 29% dei voti
aggiudicatosi dal Partito socialdemocratico (Psd), ha spinto l'uomo
politico a rimettere nuovamente il mandato, subentrandogli dallo stesso
mese F.V. Cîțu, sfiduciato dal Parlamento nell'ottobre dell'anno
successivo.

Dal 1° gennaio al 30 giugno 2019 la Romania ha esercitato la presidenza


del Consiglio dell'Unione Europea.

LINGUA
Il romeno è la lingua romanza formatasi sul territorio della Dacia.
Cronologicamente, si configurò come idioma romanzo tra il 6° e il 10°
secolo. L’insediamento delle popolazioni slave nella regione nord-
danubiana a partire dal 6° sec. non alterò in modo sostanziale la struttura
romanza, ma l’influenza dell’adstrato slavo ebbe ripercussioni sul
lessico, che si arricchì di numerosi prestiti. A partire dal 10° sec. ebbe
inizio la separazione nei quattro dialetti nord- e sud-danubiani:
il dacoromeno, continuazione del latino parlato nella Dacia romana e
diventato lingua nazionale della Romania e, nella variante dialettale
moldava, della Repubblica di Moldavia; l’aromeno o macedoromeno,
diffuso soprattutto nella Grecia settentrionale e in Macedonia;
il meglenoromeno, diffuso in una zona a nord-est di Salonicco, e
l’istroromeno, parlato in Istria. ● Il dacoromeno si presenta come una
lingua sostanzialmente unitaria nei suoi tratti fondamentali e differenze
dialettali si notano solo a livello fonetico-lessicale. Le sue principali
peculiarità morfologiche sono: la conservazione, seppure parziale, della
declinazione in casi propria del latino (vocativo, maschile e femminile, e
genitivo-dativo femminile); la posposizione dell’articolo determinativo;
la presenza di forme verbali perifrastiche, futuro e condizionale. Il fondo
lessicale è formato da elementi latini, cui si sono sovrapposti elementi
slavi e, in misura minore, turchi e neo-greci. Dal 18° sec., il vocabolario
si è arricchito di numerosi prestiti neologici di origine francese e
italiana.

LETTERATURA
1. Dalle origini al 17° secolo
Con la divisione dell’Impero romano, le province orientali passarono
dalla sfera d’influenza latina a quella greca. In tal modo, la cultura della
popolazione di lingua romanza stanziata nel bacino del Danubio si
sviluppò in un contesto culturale non solo isolato rispetto a quello
occidentale, ma contraddistinto da influenze esterne diverse che nel
resto della Romània. Tali condizioni di isolamento furono alla base della
peculiarità della cultura e della letteratura romena medievali: le prime
opere letterarie, di carattere prevalentemente religioso, apparvero in un
ambiente ortodosso, la lingua ‘sacra’ di riferimento fu lo slavo-
ecclesiastico, l’alfabeto in cui furono scritte fu un alfabeto ‘straniero’: il
cirillico. Questa situazione di dicotomia tra la lingua di origine romanza
e la cultura cui essa faceva riferimento caratterizzò lo sviluppo della
letteratura romena delle origini fino all’apparizione della letteratura
moderna, nei primi decenni del 19° secolo. Gli eventi storici che nel
tempo divisero la sorte dei territori nord-danubiani fecero sì che la
regione extracarpatica – Moldavia e Valacchia – restasse nell’ambito
dell’influenza religiosa e culturale bizantino-slava, mentre la
Transilvania venisse attratta nella sfera d’influenza dell’Ungheria e,
quindi, dell’Occidente latino e cattolico. Sul piano letterario, da tale
specifica evoluzione rispetto all’Occidente latino conseguì che nei
territori nord-danubiani le prime attestazioni scritte apparvero nella
locale redazione slavo-romena. Bisognerà attendere l’inizio del 16° sec.
per trovare la prima attestazione in lingua volgare romanza (Scrisoarea
lui Neacșu «La lettera di Neacșu», 1521). ● La letteratura medievale fu
essenzialmente letteratura religiosa, poiché i monasteri erano gli unici
centri di cultura, dove si traducevano e si copiavano i testi fondamentali
della liturgia. Accanto a essi, e sempre muovendo dalla letteratura
bizantino-slava, apparvero compilazioni storiche, annali e cronografie.
Le prime testimonianze letterarie in lingua volgare, databili al 16° sec.,
sono tramandate da 4 codici contenenti le traduzioni del Libro dei
Salmi e degli Atti degli Apostoli. Tali testi furono alla base delle edizioni
del Salterio e degli Atti degli Apostoli stampate dal diacono Coresi nella
seconda metà del 16° sec. a Brașov. L’importanza di Coresi nell’ambito
della letteratura romena deriva non dal valore artistico delle sue edizioni,
ma dall’aver contribuito all’affermazione del volgare sullo slavo
ecclesiastico con un processo che nel secolo seguente divenne
irreversibile. ● Dal 17° sec. si moltiplicarono le traduzioni, accanto a cui
cominciarono ad apparire opere originali di carattere religioso o storico,
molto spesso contraddistinte da autentico valore letterario. Al
metropolita di Moldavia Dososftei si deve la traduzione integrale di
un Salterio versificato (1673), considerato il primo testo poetico della
letteratura romena. In Muntenia, l’imposizione del romeno avvenne
grazie all’opera del metropolita Antim Ivireanul, il quale all’attività di
traduzione e stampa affiancò una produzione letteraria di rilevante
originalità. Nello stesso secolo, si affermò anche un filone storico-
profano. Grazie all’opera di un gruppo di cronisti che, continuando la
tradizione annalistica, crearono opere originali, la letteratura romena si
affermò in quanto tale. Le cronache di G. Ureche, M. Costin e I.
Neculce, dedicate alla storia moldava e scritte nella variante locale,
testimoniano sia la cultura umanistica di stampo occidentale degli autori
sia la loro consapevolezza del legame che univa la lingua romena al
latino. Accanto a loro vanno ricordati i cronisti munteni, pur se con esiti
di minor rilievo: C. Cantacuzino, R. Greceanu, R. Filipescu. Il 17° sec.
si chiude con l’opera di D. Cantemir, il primo intellettuale romeno di
livello europeo per la notevole cultura umanistica e la profonda
conoscenza del mondo ottomano.

2. Dal 18° al 19° secolo


Con l’attività di Antim in Muntenia e Cantemir in Moldavia si conclude
un ciclo della storia e della letteratura romene: a partire dal 1711-16,
infatti, i Turchi imposero a Moldavia e Valacchia la reggenza di principi
greco-fanarioti. La loro dominazione determinò il declino della cultura
di ascendenza slava e l’imporsi di quella greca. La concomitanza di
questa innovazione con l’affermarsi del romeno quale lingua ufficiale
dello Stato e della Chiesa prefigurò per la letteratura romena un’epoca di
transizione. Nel corso del 18° sec. si assistette, infatti, a una rapida
laicizzazione della letteratura, grazie all’importazione dall’Occidente,
per il tramite neo-greco, di innovatori elementi culturali. Accanto alle
rilevanti trasformazioni che si verificarono nei due principati, fuori dai
loro confini si andò delineando una corrente di pensiero le cui teorie
storico-linguistiche svolsero un ruolo determinante nel processo di
modernizzazione della cultura romena. ● In Transilvania nella seconda
metà del 18° sec. nacque la Scuola latinista, un movimento di idee dal
pronunciato carattere illuminista, il cui fine era la dimostrazione della
latinità del popolo romeno e della sua lingua. Sulla base dell’ideologia
latinista si formò una vera scuola di studi storico-filologici grazie alla
quale si elaborarono grammatiche e dizionari e vennero enunciati, su
base etimologica, i principi fonetico-ortografici che regolarono il
passaggio dall’alfabeto cirillico a quello latino. Tra i principali
rappresentanti della Scuola latinista, la cui opera scientifica assunse
anche un rilievo letterario: S. Micu-Klein, G. Șincai, P. Maior e I.
Budai-Deleanu. ● Alla fine del 18° sec., dunque, la cultura romena
sembra percorsa da due fondamentali direttrici di rinnovamento. Da un
lato, la Transilvania si ricollega all’illuminismo moderato austriaco e
persegue, attraverso il latinismo, una ri-romanizzazione linguistica e
culturale; dall’altro, la Moldavia e la Valacchia abbandonano gli schemi
medievali quando vi si impongono, per il tramite neo-greco, le più
radicali ideologie politiche e culturali europee, in particolare francese e
italiana. Conseguenza sul piano letterario fu l’apparizione in Moldo-
Valacchia di una poesia originale, pur se non di rado di maniera e
influenzata da modelli neoanacreontici. Sono da ricercare, dunque, in
poesia i primi tentativi di creazione artistica, espressione di una nascente
letteratura profana di diletto intesa in senso moderno. Le più importanti
opere in versi di questo periodo appartengono ai poeti Ienăchiță, Alecu e
Nicolae Văcărescu. ● All’inizio del 19° sec., l’ideologia latinista penetra
anche in Valacchia e in Moldavia. A Bucarest, il transilvano G. Lazăr
fondò la prima scuola romena (1818), alla cui guida, nel 1823, subentrò
I. Heliade Rădulescu. Questi nella sua opera elabora un’originale visione
romantica che si accompagna a motivi romantici, come la creazione di
una norma linguistica unitaria, elemento imprescindibile per realizzare
l’unificazione della nazione romena. Intellettuale poliedrico, Heliade
Rădulescu fondò il giornale Curierul românesc («Il corriere romeno»,
1829) e la rivista letteraria Curierul de ambe sexe («Il corriere per
entrambi i sessi», 1836), primi esempi di stampa periodica in romeno. In
Moldavia, analogo sforzo di diffusione culturale sarà compiuto dal
poeta G. Asachi, fondatore della rivista Albina românească («L’ape
romena») e iniziatore del teatro in lingua romena. ● Su questo sfondo si
inserirono le prime manifestazioni letterarie riconducibili al
Romanticismo, il quale non ebbe, come in Occidente, un carattere di
rottura, data l’assenza di una consolidata tradizione classica cui opporsi.
In R. il Romanticismo fu recepito innanzitutto come movimento
culturale e politico che fondava la propria ideologia sulla difesa del
principio di nazione, sul recupero della storia, sulla riscoperta e la
valorizzazione delle tradizioni etniche. Di qui si formò una generazione
che combinava attività letteraria e forte impegno politico, perseguendo
la nascita di uno Stato unitario. Un altro elemento che, pur derivando
dall’estetica romantica, assunse in ambito romeno un particolare rilievo
fu l’importanza accordata al folclore, in quanto depositario delle
autentiche tradizioni nazionali e testimone dello ‘spirito etnico’. Organi
ufficiali delle istanze romantiche furono le riviste Dacia
literară (1840), Propășirea («Il progresso», 1844) e România
literară (1855), cui collaborarono, tra gli altri: G. Alexandrescu. G.
Negruzzi, N. Bălcescu, I. Ghica, M. Kogălniceanu, V. Alecsandri, D.
Bolintineanu, A. Russo. ● Nella seconda metà del secolo, realizzata
l’unione dei principati di Moldavia e Valacchia, al mutato contesto
politico nazionale corrispose un cambiamento delle esigenze culturali. In
letteratura, il rinnovamento fu affidato all’opera del critico T.
Maiorescu, il quale, nel 1863 fondò a Iași il circolo
letterario Junimea («Giovinezza»). Il suo programma si basava sull’idea
che la vera opera d’arte dovesse essere sciolta da qualsiasi impegno
legato alle contingenze storico-sociali. A differenza della generazione
precedente, quindi, e in opposizione a essa, i junimisti valutavano
l’opera letteraria secondo criteri strettamente estetici e non per il grado
di impegno. La critica junimista, inoltre, affrancò la letteratura romena
dall’epigonismo soprattutto verso la letteratura francese, orientando
l’estetica letteraria verso l’area culturale tedesca. All’attività del
cenacolo letterario sono legati gli esordi dei maggiori scrittori, poeti e
critici della seconda metà dell’Ottocento: I. Negruzzi, A.D. Xenopol, I.
Slavici. Inoltre, pubblicarono in Convorbiri literare (1867), organo
ufficiale di Junimea, M. Eminescu, I. Creangă, I.L. Caragiale, le cui
opere testimoniano come la letteratura romena avesse ormai raggiunto la
maturità tanto nella poesia quanto nella prosa e nel teatro. ●
Contemporanea all’attività di Junimea fu l’opera di A. Macedonsky, il
quale, attraverso la rivista Literatorul (1880), introdusse in R. il
simbolismo. Tuttavia, l’ambiente letterario romeno, ancora legato a
stilemi romantici e dominato dalla figura di Eminescu, non era pronto
alla recezione di modelli poetici troppo moderni e perciò estranei ai suoi
canoni. Il simbolismo si impose solo nei primi decenni del Novecento
con l’opera di O. Densusianu, fondatore della rivista Viața
nouă (1905), G. Bacovia e I. Minulescu.

3. Dal 20° agli inizi del 21° secolo


Il 20° sec. si aprì su un panorama letterario ormai ben delineato, i
movimenti impostisi nel secolo precedente furono ‘recuperati’ in senso
moderno. Con gli ideologi di questa corrente, A. Vlahuță, G. Coșbuc, N.
Iorga, che ponevano al centro della loro riflessione il recupero del
mondo rurale, il villaggio assurse a emblema della spiritualità romena,
luogo privilegiato dove si manifesterebbe più compiutamente lo
‘specifico nazionale’. Collaborarono a Sămănătorul («Il seminatore»,
1901), la rivista che diede il nome alla corrente, molti poeti e
prosatori: P. Cerna, Ș. Iosif, I. Agârbiceanu, E. Gârleanu, M. Sadoveanu.
A questo movimento si opposero gli scrittori e i poeti riuniti intorno alla
rivista Viața românească, fondata nel 1906 da C. Stere, P. Bujor e dal
critico letterario G. Ibrăileanu. Le premesse della posizione critica di
Ibrăileanu, ideologo del gruppo, coincidevano in parte con quelle
di Sămănătorul. Il recupero della tradizione rurale, tuttavia, non fu
utilizzato come motivo letterario per descrizioni idilliache e pittoresche
della vita del villaggio, ma rappresentò il fulcro per una critica, in senso
sociale, delle condizioni di vita dei contadini. Tra gli aderenti al gruppo
di Viața românească vi furono N. Gane, D. Anghel, I.A. Brătescu-
Voinești, O. Goga, G. Galaction. ● Il periodo interbellico coincise con
un momento particolarmente fecondo della storia letteraria: si imposero,
soprattutto in poesia, correnti originali ma in un rapporto di interazione
con i coevi movimenti europei. La ricchezza tematico-stilistica non
permette di inserire i singoli autori in correnti o movimenti ben definiti,
sebbene si possano individuare due direttrici fondamentali, che in parte
continuano la contrapposizione fra tradizione e modernità, nata alla fine
dell’Ottocento. Tale contrapposizione, tuttavia, si annulla, per es.,
nell’opera di T. Arghezi, dove temi tradizionali sono espressi in un
linguaggio assolutamente moderno. Appartengono alla corrente
tradizionalista, riunita attorno alla rivista Gîndirea («Il pensiero», 1921),
da cui il nome del movimento, gîndirismo, prosatori e poeti che
individuano nei valori della tradizione autoctona e nell’ortodossia il
carattere precipuo della cultura romena: N. Crainic, I. Pillat, V.
Voiculescu, L. Blaga. La corrente modernista, il cui ideologo sarà il
critico E. Lovinescu, espresse in modo evidente e immediato
l’originalità raggiunta dalla letteratura romena, innanzitutto nella ricerca
tecnico-formale. Movimenti di avanguardia quali il surrealismo e il
dadaismo, ricevettero contributi di grande originalità da autori come T.
Tzara, I. Vinea, S. Pa;nă, I. Voronca, B. Fundoianu, Urmuz. La prosa
attesta anche la presenza di generi più attuali. È il caso del romanzo di
introspezione psicologica di H. Papadat-Bengescu, M. Caragiale, C.
Petrescu o del romanzo di ispirazione storico-sociale di L. Rebreanu.
Appartiene al periodo immediatamente precedente la Seconda guerra
mondiale una parte della produzione in prosa di G. Călinescu. ●
L’immediato dopoguerra, con la divisione dell’Europa in blocchi
contrapposti e la collocazione della R. nella zona di influenza socialista,
fu caratterizzato dalla capillare ingerenza del potere politico in ogni
ambito sociale: di conseguenza, la cultura fu costretta a un rigido
allineamento alle direttive imposte dal regime. Tuttavia, a partire dalla
fine degli anni 1950, la letteratura riuscì, almeno in parte, a sottrarsi alle
indicazioni più marcatamente impegnate. In poesia, si segnala l’opera di
M. Isanos, A.E. Baconsky, N. Cassian, D. Deșliu, M. Beniuc; nella
prosa, oltre ai romanzi della maturità di Călinescu, un posto di assoluto
rilievo è occupato dalla produzione di M. Preda. Tra gli anni 1960 e
1970 si assistette a un rinnovamento totale, anche grazie ai versi di N.
Labiş e di altri poeti come N. Stănescu, M. Sorescu, I. Alexandru, C.
Baltag, M. Ivănescu. In questo periodo, inoltre, si affermò quel
particolare genere che è l’onirismo, i cui rappresentanti più importanti
furono D. Ț epeneag (in Francia dal 1975 e attivo con una produzione sia
in romeno sia in francese: Hotel Europa, 1996; La belle Roumaine,
2004), V. Mazilescu, L. Dimov. In prosa si affermarono C. Ț oiu, I.
Lancrănjan, A. Ivasiuc, N. Breban, A. Buzura, G. Adameșteanu, E.
Uricaru. Appartengono, almeno cronologicamente, a questa generazione
i poeti che, durante i decenni più bui del regime comunista (1970-89),
riuscirono a opporsi alla censura: A. Blandiana, I. Mălăncioiu, G.
Melinescu, C. Buzea, M. Dinescu. ● Agli inizi degli anni 1980 ha
esordito un gruppo di poeti, accomunati dalle definizioni
di optezciști («quelli degli anni Ottanta») o di poeti in blue-jeans, che
propugnano il superamento di canoni letterari ormai convenzionali, per
imporre un linguaggio poetico postmoderno (T. Coșovei, F. Iaru, I.
Stratan, M. Cărtărescu, I.B. Lefter). In prosa, un analogo rinnovamento
si riscontra nell’opera di B. Horosangian, S. Agopian, M. Nedelciu. ● In
seguito alla caduta del regime di Ceauşescu si produce una sorta di
rivolgimento nel modo di intendere e fare letteratura: la fine della
censura spinge ad abbandonare la metafora e il simbolismo che, per
quasi mezzo secolo, avevano contraddistinto la scrittura artistica.
L’elemento assolutamente innovatore è la relazione che si instaura tra
testo letterario e tecnologie multimediali. Si elabora la definizione
di textualism mediatic: il prodotto artistico nasce dalla commistione di
strumenti e generi diversi (computer, realtà virtuale, Internet, arte
cibernetica e visuale).

ARTE E ARCHITETTURA
Le invasioni barbariche non permisero in terra romena la continuità
delle espressioni artistiche basate sulla tradizione dei sec. 5° e 6°,
attestata dalle fondamenta di chiese bizantine ritrovate a Tropaeum
Traiani. L’architettura religiosa (dal 13° sec.) presenta in R. forti
differenze regionali fino alla metà del 19° secolo. In Transilvania,
l’infiltrazione sassone e ungherese modifica il tipo di chiesa bizantina
importato dalla Valacchia, introducendo elementi gotici anche nelle
chiese di legno, caratteristiche di questa regione: la cupola si trasforma
in piramide (come a Maramureș, 12° sec.), quando non si hanno
costruzioni puramente gotiche (chiesa evangelica di Sibiu; «chiesa
Nera» di Brașov, 14°-15° sec.). In Valacchia (Muntenia, Oltenia) il
monumento più antico è la chiesa principesca di Curtea de Argeș (14°
sec., di tipo bizantino, a croce greca, con navata divisa in tre segmenti);
di questo periodo sono anche i monasteri di Cozia, di Vodița e di
Tismana (semidistrutti). Nel 15° sec. predomina ancora l’influsso
di Bisanzio; verso la fine del secolo, appare un tipo di chiesa d’influsso
serbo-georgiano (chiesa vescovile di Curtea de Argeș, 1517), imitata in
Valacchia e in Moldavia. Durante i sec. 17°-18° si sviluppa uno stile
barocco costantinopolitano, ricco di elementi orientali (monastero di
Hurezi, 1693; chiesa Stavropoleos a Bucarest, 1733 ecc.). Una
decorazione ad affresco è presente talvolta all’esterno nelle chiese dei
sec. 15°-16° (Voroneț, 1488; Sucevița, 1590). La scultura è quasi
inesistente in questo periodo e ridotta a decorazione. La pittura si attiene
strettamente alla tradizione bizantina del Monte Áthos, malgrado
qualche sporadico influsso occidentale. Notevoli gli affreschi della
chiesa vescovile di Curtea de Argeș, quelli di Voroneț, Suceava,
Sucevița (16° sec.). Particolare sviluppo ebbe, nei conventi, l’arte del
ricamo (‘epitaffi’, ossia veli con la rappresentazione della deposizione di
Gesù, del 15° sec.). ● Nel 19° sec. l’arte romena si stacca decisamente
dalla tradizione e si volge all’Occidente. Al movimento
moderno contribuirono anche artisti stranieri, specie francesi. I maggiori
pittori del periodo sono G. Ț ătărescu, I. Mirea, T. Aman. Dopo L.
Andrescu, N. Grigorescu e Ș. Luchian, l’arte romena entrò in una fase
postimpressionista con una forte impronta autoctona. Prima la
società Tinerimea artistică («Gioventù artistica»), in seguito «Il gruppo
dei 4» formato dai pittori N.N. Tonitza, S. Dumitrescu, F. Șirato e lo
scultore O. Han crearono un fermento tra le ultime due guerre (1920-40)
cui parteciparono gli artisti G. Petrașcu, T. Pallady, A. Steriadi, D.
Ghiață, L. Theodorescu-Sion, Iser, G. Ressu e gli scultori D. Paciurea, I.
Jalea, G. Medrea e Mac Constantinescu. L’avanguardia romena si
muoveva in Occidente, dal 1904, tra Parigi, Monaco e Zurigo con C.
Brâncuși, Tristan-Tzara, M. Iancu e V. Brauner. In R. tra i pittori
s’impongono A. Ciucurencu, C. Baba, B. Covaliu, I. Bițan, G. Brătescu.
Tra i grafici: V. Dobrian, O. Grigorescu, M. Petrașcu e per i gioielli F.
Fărcașu. Fra tutti, figura isolata nella pittura rimane I. Ṭ uculescu, che
introdusse elementi dell’antico folclore romeno in un repertorio di forme
simboliche. Fedeli alla tradizione nella scultura sono I. Vlasiu, I.
Irimescu, V. Gheza, che si ispirano alla letteratura folcloristica, il
ritrattista G. Anghel e i tre autori di vari monumenti G. Lucaci, O.
Maitec e G. Popovici. Lavorano in Francia D. Grigorescu, G.
Tomaziu, H. Damian, A. Istrati, N. Dumitrescu, P. Ackerman, D. Berea;
in Italia E. Dragutescu, E. Frateș-Caragața, N. Batalli, N. Mavrodin, C.
Demetrescu; in Spagna M. Droc; tra l’Italia e gli USA lo scultore E.
Ciucă. Nell’ambito dell’arte astratta contemporanea un filone di matrice
neocostruttivistica è costituito da I. Pavel, M. Rusu, attivi a Bucarest, e
da un gruppo di artisti di Timișoara: S. Bertalan, R. Cotosman, D.
Sayler. D’impostazione non figurativa lirica sono I. Setran, P. Codiță, I.
Nicodim, I. Pacea, che hanno realizzato anche notevoli arazzi.
Particolarmente sensibili al problema delle arti integrate nell’architettura
sono S. Maitec, M. Șaraga-Maxy, e gli scultori A. Ghiorghisa, A.
Severineanu, P. Mateescu. Notevoli anche le sculture in legno di G.
Iliescu-Călinesți. ● L’interesse per le correnti artistiche d’avanguardia si
ritrova nella ripresa della ricerca artistica dopo la rivoluzione del 1989,
accanto al rinnovato legame con la grande tradizione. Riferimento
imprescindibile rimane C. Brâncuşi, punto di partenza per gli scultori su
legno e pietra. Su questa linea si pone G. Apostu, accanto alle
sperimentazioni di S. Bertalan, M. Cocea, M. Buculei, F. Codre, N.
Tiron (Napo), A. Vlad, M. Zidaru. Lavorano il bronzo N. Paduraru e I.
Pârvan; materiali diversi, come il poliestere, tratta D. Covrig. M.
Spataru, contestato durante il regime di Ceauşescu, è stato poi chiamato
a dirigere l’Accademia di Bucarest. Mentre lo sperimentalismo in
pittura, nel collage e nell’assemblage, ha caratterizzato la vitale attività
di I. Bitzan, a un vasto campo di esperienze si rifanno P. Neagu (che
nella pittura si presenta come Generative arts group), A. Lupas, le
installazioni di I. Grigorescu, le ricerche fotografiche e video di C. Dan,
J. Krály, G. Rasovszky, V. Mladin, D. Perjovschi, S. Vreme. ● Tra gli
architetti va ricordato I. Mincu, creatore del cosiddetto ‘stile romeno’.
La scena architettonica romena ha rivelato una certa impermeabilità
verso i linguaggi d’avanguardia degli anni 1990. Diversità di
atteggiamento si possono riscontrare nella cosiddetta scuola di
Timişoara. Attenzione per la tradizione, per l’espressività dei volumi e
per l’artigianalità dei dettagli si riscontrano nelle opere di I. Andreescu,
R.M. Mihailescu e R. Radoslav, S. Sturdza, I. Andreescu e V.A.
Gaivoronschi ecc. ● Per quanto riguarda
l’archeologia ➔ Daci; Geti; Tracia.

MUSICA
1. La musica popolare
La musica popolare romena è un misto di musica araba, slava e
ungherese che si accompagna, naturalmente, alla tradizione
identificabile nel nucleo etnico di cultura latina. Le manifestazioni
musicali attraverso le quali si esprime il folclore romeno sono le ballate,
canzoni epiche di origine antichissima legate alla tradizione orientale e a
influenze bizantine, eseguite su testi fantastici e mitologici, e la doina, la
forma più autentica e caratteristica, canzone spontanea in forma libera
basata sull’improvvisazione dell’esecutore. Per le feste del solstizio
d’inverno si intonano le colindat, canti augurali con accompagnamento
di strumenti o esclusivamente strumentali su testi leggendari, mentre in
primavera e in estate si eseguono la paparuda, un misto di canto e danza
per invocare la pioggia, lo scaloian, per propiziare la fertilità dei campi,
e il calus, danza rituale per festeggiare il ritorno dell’estate. Danza
nazionale è la hora, ballo in tondo forse di origine greco-romana, mentre
tra gli strumenti popolari si ricordano vari tipi di scacciapensieri
(drimba), il corno bocium, simile all’Alphorn, il muscal (flauto di Pan) e
il salterio tambal.

2. La musica colta
L’attività nel campo della musica colta in R. iniziò soltanto nel 19° sec.;
fino ad allora la musica praticata era quella liturgica (in particolare il
canto bizantino), e soprattutto quella della tradizione popolare, i cui
primi documenti scritti risalgono al 17° sec., quando il monaco
benedettino J. Cajoni (1634-1671), trascrisse per virginale e arricchì del
basso continuo canti e danze popolari, riunendoli nel Codex Cajoni. Nel
18° sec. Dimitrie Cantemir, principe di Moldavia, riunì documenti
nella Descriptio Moldaviae (1716) e apparvero i Valachische Täntze
und Lieder (1781) dell’austriaco J. Sulzer. Una raccolta e codificazione
dei canti liturgici fu realizzata, a partire dal 19° sec., da Macario il
Geromonaco, Anton Pann e I.D. Petrescu, che contribuirono anche a
creare vere e proprie scuole, confluite poi nei conservatori di musica e
d’arte drammatica, sostenuti dallo Stato, promotore, inoltre, di numerose
società filarmoniche, associazioni corali, compagnie di balletto, scuole e
centri di musica popolare. ● L’opera dei compositori romeni
contemporanei ha teso a valorizzare ampiamente il materiale popolare,
traducendolo nelle forme della musica colta europea. Fra i compositori
più noti del Novecento, oltre a G. Enescu, figurano A. Alessandrescu
(1893-1959), D. Cuclin (1885-1978), F. Lazar (1894-1936), Mihail
Andricu (1894-1974), S. Dragoi (1894-1968), P. Constantinescu (1909-
1963), A. Mendelssohn (1910-1966), A. Vieru (n. 1926), P. Bentoiu (n.
1927), T. Olah (n. 1928), W. Berger (n. 1929), D. Popovici (n. 1932), C.
Taranu (n. 1934).

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