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POLITICA MONETARIA

Le banche centrali hanno il privilegio di creare quella che viene chiamata moneta ad alto
potenziale o base monetaria (M0): stampano banconote e forniscono liquidità alle banche in modo
da “assicurare la stabilità dei prezzi e favorire la sicurezza e l’efficienza del sistema dei pagamenti”.
Cosa si intende per liquidità? Secondo il FMI bisogna distinguere tra due tipologie di liquidità:
 Liquidità di mercato: definita come la facilità con la quale è possibile vendere attività
finanziarie (asset) senza modificarne significativamente il prezzo (es: obbligazioni, molto
più liquide rispetto a prodotti più complessi come i derivati);
 Liquidità di finanziamento: definita come la facilità con la quale un’istituzione solvibile può
onorare i suoi debiti alla scadenza.

I due tipi di liquidità sono distinti ma interdipendenti. La banca centrale ha il compito di assicurare
la continuità dei sistemi di pagamento e vigila per assicurare la liquidità delle banche a condizione
che esse siano solvibili (se non hanno capitale a sufficienza, i governi devono fornirlo).

Le banche si prestano reciprocamente denaro a breve e brevissimo termine su un mercato


denominato mercato monetario o mercato interbancario. L’equilibrio tra offerta/domanda di
liquidità non è lasciato solo al mercato: senza l’intervento della BC il prezzo della liquidità (i)
varierebbe considerevolmente. Le variazioni dipendono anche da ingresso/uscita di capitali dal
paese, in particolare:
 Dai continui movimenti di fiat money: monete metalliche e
banconote;
 E di moneta scritturale (depositi bancari);
 Da prelievi/depositi del Tesoro presso la BCE.

La BC fornisce liquidità alle banche accreditando i conti delle banche presso se stessa.
Tecnicamente compie 2 tipologie di operazioni per fornire liquidità:
a) Acquista asset dalle banche (vendendoli in casi di riduzione di
liquidità);
b) Svolgendo un ruolo intermediario in operazioni di repurchase
agreements (repo): presa liquidità alle banche per un tempo determinato e riceve in
garanzia (per proteggersi contro rischio di insolvenza) un pacchetto di asset delle banche
(collateral).

Queste due modalità di fornitura di liquidità sono definite operazioni di mercato aperto.
La FED utilizza tradizionalmente acquisti/vendite di asset, mentre la BCE utilizza i repo, chiamati
anche operazion di rifinanziamento. Il collateral in garanzia comprende, generalmente,
obbligazioni (bonds) pubbliche e private, ma anche prestiti bancari e asset backed Securities
(ABS). La BCE richiede un volume di garanzie maggiore del prestito accordato per munirsi dal
rischio di insolvenza. Come indicatore di qualità si utilizza il rating dei titoli.

La BC può influenzare il comportamento delle banche chiedendo loro di conservare una parte dei
depositi ricevuti: queste riserve obbligatorie non sono imposte da tutte le banche centrali (UK,
Canada e Svezia le hanno eliminate).
In Europa le banche sono universali:
o Raccolgono depositi del pubblico e finanziano famiglie e imprese (banca commerciale o
di deposito);
o Intervengono direttamente sui mercati finanziari e svolgono il ruolo di consulenti delle
imprese (banca d’investimento).

Una parte del finanziamento dell’economia è realizzata al d fuori delle banche tramite fondi
d’investimento a breve termine o tramite enti specializzati, controllati da le banche ma
giuridicamente distinti (scado banking system considerevolmente sviluppato prima della crisi
finanziaria).

Quadro: la moneta e gli aggregati monetari

La moneta emessa dalla banca centrale è chiamata moneta ad alto potenziale e costituisce il primo
degli aggregati monetari (M0). Gli altri aggregati includono attività finanziarie che sono meno
liquidi della base monetaria:
 M1 = M0 + depositi a vista;
 M2 = M2 + depositi a termine che maturano prima di due anni;
 M3 = M2 + strumenti del mercato monetario (titoli che maturano prima di un anno).

Anche le banche commerciali creano moneta. Esempio: supponiamo che un cliente accordi un
credito con la banca di 100€, il quale li spende in beni e servizi. Il cliente ritira 80€ per trasferirli su
conti di altri clienti (conserva solo 20€ di credito). Le altre banche riceveranno quindi 80€ che
possono a loro volta essere utilizzati per concedere altri prestiti.

Per quanto concerne la riserva obbligatoria, essa funziona in questo modo: sia r il coefficiente di
riserva. Supponiamo che un cliente depositi 100€ nella banca A. la banca A deve depositare presso
la BC un importo pari a r euro dunque possiederà 100 x (1-r) da prestare a un’ipotetica banca B.
quest’ultima depositerà ( 100 x (1-r) ) x r alla BC e disporrà quindi di 100 x (1-r)^2. questo
meccanismo di moltiplicatore monetario può continuare all’infinito ed è pari a “1/r”.
Nel caso in cui una proporzione b dei depositi è detenuta sotto forma di moneta dalla banca e non
concessa in prestito, il moltiplicatore diventa 1/[b+r(1-b)].

Le banche, quando si finanziano presso la banca centrale, pagano un prezzo calcolato in funzione
del tasso di rifinanziamento (ha il potere di influenzare la domanda di liquidità).
Nell’Eurozona, la BCE fissa il tasso d’interesse delle sue operazioni settimanali di rifinanziamento,
chiamato refi o tasso principale di rifinanziamento. Essa fissa altri due tassi:
 Tasso marginale di prestito per la marginal lending facility (strumento utilizzato dalla
BCE per fornire liquidità a brevissimo termine (un giorno) agli istituti di credito in cambio
di garanzie);
 Tasso marginale di deposito per la marginal deposit facility.

Questi tre tassi sono chiamati lending interest rates perché regolano i tassi di mercato. il motivo è
che ogni banca può ottenere liquidità sia sul mercato interbancario, al tasso di mercato monetario,
che direttamente presso la banca centrale, al tasso della marginal lending facility. L’EONIA è una
media dei tassi praticati da un paniere di banche dell’Eurozona nel mercato interbancario per prestiti
overnight di brevissima durata (fluttua all’interno dei due limiti dei marginal facilities).

Quadro: gli strumenti della BCE


La BCE è un’istituzione federale dell’Unione europea il cui statuto è stabilito dal Trattato sul
funzionamento dell’UE. La politica monetaria è gestita in modo decentralizzato grazie
all’Eurosistema, formato da BCE + 17 banche centrali dei paesi euro (il SEBC è invece costituito da
tutte le banche centrali, anche di quei paesi nona aderenti all’euro).
Gli strumenti utilizzati dalla BCE sono quattro:
a) Riserve obbligatorie: remunerate al tasso delle operazioni principali di
rifinanziamento;
b) Permanent facilities: assicurano liquidità in situazioni di crisi e fissano un limite
superiore ed uno inferiore al tasso di interesse a brevissimo termine:
 Marginal lending facility a 24 ore sotto forma di repurchase agreement (a
tasso elevato);
 Marginal deposit facility (a basso tasso, a volte negativo <0).

c) Operazioni principali di rifinanziamento: sono settimanali, in forma di asta a


chiamata. Ogni settimana l’Eurosistema fornisce liquidità alle banche in cambio di titoli
pubblici o privati acquistati con un’operazione di repurchase agreement per la durata di una
settimana. Il tasso delle operazioni di repo è di solito variabile e determinato da un’asta: il
tasso minimo di rifinanziamento (refi) costituisce il tasso principale della BCE. La BCE
conduce anche operazioni di rifinanziamento a lungo termine (LTRO);
d) Strumenti “non convenzionali”: creati nel 2010 in risposta alla crisi dell’Eurozona
per preservare la trasmissione di politica monetaria, riduzione del rischio e riattivare i
prestiti sul mercato interbancario. Questi due strumenti sono:
 Covered Bond Purchase Program (CBPP);
 Due programmi di acquisto di obbligazioni emeses dai governi di paesi
dell’Eurozona sul mercato interbancario: Outright Monetary Transactions (OMT)
sostituto del Security Markets Programme (SMT).

Le banche centrali dell’Eurozona hanno anche la possibilità di concedere un aiuto urgente a banche
solvibili che non riescono più a rifinanziarsi sul mercato: Emergency Liquidity Assistance (ELA).
Devono essere garantiti dal collaterals.

Quadro: la crisi di liquidità del 2007-2008

A partire dalla primavera del 2007, aumentarono le inquietudini sulle conseguenze del brusco crollo
del mercato immobiliare americano. Il problema risiedeva nel valore dei subprime mortgages,
mutui ipotecari di bassa qualità il cui valore dipendeva principalmente dal prezzo di mercato degli
immobili. Il 9 agosto del 2007 la BNP Paribas annunciò che, in conseguenza della sua esposizione
nei confronti di questi mutui, non sarebbe stato possibile un aumento di valore di quei prodotti
strutturati che combinavano sia asset molti sicuri (Buoni del Tesoro), sia subprime mortgages che
titoli derivati. Quali meccanismi entrarono in gioco affinché un problema immobiliare si trasmise a
quello interbancario; 2 furono i meccanismi:
 All’inzio del 2000 molte banche (EU e USA) avevano creato delle entità giuridiche
chiamate Structured Investment Vehicles (SIV) e i conduits. Queste entità acquistavano asset
e si finanziavano emettendo titoli dic redito a breve termine (la caduta dei prezzi degli
immobili diminuì il valore dell’attivo del loro bilancio);
 Le banche si mostrarono sempre più riluttanti a prestare sul mercato interbancario e,
temendo di non poter più prendere a prestito, preferirono trattenere la propria liquidità.

Si diffonde un clima di diffidenza che induce nelle banche un deterioramento della percezione del
rischio di controparte, unito alla difficoltà di accedere, a costi ragionevoli, a finanziamenti a breve
termine. Risultato: riduzione del credito sul mercato interbancario.
La liquidità del mercato interbancario può essere misurata dalla differenza (spread) tra:
 Tasso interbancario a tre mesi;
 Quello giornaliero (EONIA) capitalizzato.

In dollari e sterline è chiamato spread Libor, Euribor in euro.


Per reazione, le banche centrali si dichiararono disposte a concedere credito al sistema bancario (per
evitare mancanza di liquidità). In un primo momento lo fanno senza aumentare la dimensione del
loro bilancio (qualitative easing), sostituendo crediti privati in attivo con titoli pubblici e rientrando
liquidità a maturità più lontana (sterilizzazioni). Con il prolungarsi della crisi, le banche centrali
hanno dovuto sostituirsi al mercato interbancario aumentando la dimensione del loro bilancio
(quantitive easing). Le banche non americane si trovarono di fronte a una mancanza di liquidità in
dollari, dato che i fondi d’investimento americani a breve termine garantivano una parte importante
del rifinanziamento delle banche europee. Il funzionamento del mercato interbancario si è
progressivamente normalizzato negli USA a partire dal 2009; nell’Eurozona è rimasto molto
perturbato a causa della crisi dei debiti sovrani.

I tassi di interesse a breve termine sono molto vicini al tasso di rifinanziamento principale a causa
dell’arbitraggio, da parte delle banche, tra operazione sul mercato interbancario e con la banca
centrale. La sequenza dei tassi di interesse a scadenze diverse forma la yield cruve.

Quadro: la “yield curve”

La maggior parte delle obbligazioni hanno un tasso d’interesse fisso e danno diritto a un pagamento
regolare (di solito annuale o semstrale), detto coupon, che è il prodotto del capitale per questo tasso.
Si definisce tasso d’interesse di mercato il tasso di rendimento dell’obbligazione tenuto conto del
suo prezzo di mercato. la teoria standard della yield curve si basa sull’arbitraggio dei risparmiatori
tra un investimento a lungo termine e a breve termine, ognuno remunerato al tasso del momento in
cui viene fatto l’investimento. Dato che l’investimento a lungo è più rischioso (rischio d’inflazione),
sarà meglio remunerato rispetto quello a breve.
Più precisamente, sia N una maturità di un’obbligazione e il suo tasso d’interesse. Questo è una
funzione dei tassi a breve termine futuri anticipati a un anno e di un premio di scadenza di
solito positivo (supplemento annuale offerto ai risparmiatori che accettano di detenere
obbligazioni con scadenza N piuttosto che titoli a breve).

Il premio di scadenza cresce in genere con la maturità N. se gli agenti economici prevedono dei tassi
stabili, la curva è crescente, ma normalmente concava (il premio di rischio aumenta ma sempre
meno). Questa può rovesciarsi se viene prevista una diminuzione dei tassi d’interesse.

È molto importante distinguere il tasso d’interesse nominale dal tasso d’interesse reale: il secondo
è definito come differenza tra il tasso nominale e il tasso d’inflazione previsto per quel periodo. Dal
momento che il tasso d’inflazione deriva da un’aspettativa, il tasso d’interesse reale è anche
chiamato tasso d’interesse reale ex ante “ ” (quello ex post è calcolato nel periodo
successivo tenendo conto dell’inflazione osservata “ ”). L’ex post è usato per valutare
l’accumulazione di attività e passività nel tempo, l’ex ante è quello che conta per le decisioni
economiche.
 Tasso d’interesse nominale: tasso risk free + premio rischio di default;
 Tasso di interesse reale ex-ante: (risk free + premio rischio di default) – tasso di
inflazione.
TEORIE

La questione più importante è sapere se la politica monetaria influenza le variabili reali. È ormai
largamente accettato che nel lungo periodo non sia così. L’ipotesi di neutralità della moneta nel
lungo periodo, ovvero l’assenza di effetti permanenti della moneta sulle grandezze reali
dell’economia, è stata formulata da Hume nel suo saggio sulla moneta. La moneta influenza solo le
variabili nominali senza modificare quelle reali (non è però neutrale nel breve periodo).
Questa ipotesi di neutralità può essere formalizzata utilizzando il concetto di velocità di
circolazione della moneta, che misura il rapporto tra output nominale e quantità di moneta: esso è,
all’incirca, il valore delle transazioni che ogni unità monetaria permette di realizzare in un anno.

Quadro: la teoria quantitativa della moneta

La velocità di circolazione V è definita come il valore delle transazioni effettuate ogni anno da
ciascuna unità monetaria in circolazione:

PY=MV

Dove Y è il PIL, P è il livello generale dei prezzi e M la massa monetaria. Supponiamo che V si
evolva a un tasso costante e indipendente dalla politica monetaria. Se la banca controlla il tasso di
crescita della massa monetaria, allora per un dato tasso di crescita del PIL controlla anche
l’inflazione:

Seguendo la Bundesbank, la BCE aveva inizialmente preso da questa teoria quantitativa la


definizione del pilastro principale della sua strategia monetaria. Questo pilastro consisteva in un
obiettivo di crescita della massa monetaria di 1,5% compatibile con un obiettivo di inflazione
dell’1,5% (π = 1,5%) all’anno se il PIL dell’Eurozona fosse cresciuto del 2,5% (g = 2,5%) all’anno
e se la velocità di circolazione fosse diminuita dello 0,5% (v = 0,5%):

1,5% = -0,5% + 4.5% -2,5%

Secondo questo approccio, l’aggregato monetario costituisce un obiettivo intermedio di politica


monetaria (vantaggio: essere rapidamente osservabile e più facilmente controllabile dell’obiettivo
finale della stabilità dei prezzi; buon indicatore futuro dell’inflazione).

La principale spiegazione dell’assenza di una relazione tra crescita monetaria e inflazione nel breve
periodo risiede nell’esistenza delle rigidità nominali (dopo un aumento dell’offerta, i prezzi/salari
non si aggiustano istantaneamente).
Nella Teoria generale di Keynes, un aumento della massa monetaria provoca, nel breve periodo,
una diminuzione del tasso d’interesse. In mancanza di aggiustamento verso l’alto del livello
generale dei prezzi, l’offerta di moneta è superiore alla domanda e l’aggiustamento avviene grazie
alla diminuzione di i. Esso stimola a sua volta la domanda di beni e servizi. In presenza di capacità
produttive inutilizzate, il PIL aumenta. Nel lungo periodo, l’aumento dei prezzi fa crescere la
domanda di moneta, riportando i e tutte le grandezze reali al loro livello iniziale.
3 sono le spiegazioni fornite per descrivere le rigidità nominali:
a) Informazione asimmetrica: i produttori osservano meglio i prezzi nei loro mercati
di riferimento piuttosto che quelli del sistema economico nel suo complesso. Di conseguenza
confondono un aumento del livello generale dei prezzi con un aumento del prezzo lordo del loro
prodotto. D fonte ad uno stimolo monetario, se i produttori credono, sbagliando, di essere di
fronte a una variazione del prezzo relativo del loro prodotto, rispondono aumentando la loro
offerta. Non è tuttavia un modello generalizzabile a qualsiasi situazione. Questo modello si
fonda su 2 hp molto importanti: esistenza di informazione imperfetta e offerta molto elastica;
b) Contratti multiperiodali tra imprese e lavoratori: i salari non reagiscono
immediatamente agli shock di domanda/offerta. L’adeguamento si verifica, al massimo, in
occasione della successiva negoziazione salariale, e si può pensare che non sia completo;
c) Nuova economia keynesiana (menu costs): le imprese adeguano i prezzi una o due
volte l’anno mentre l’ambiente economico cambia molto più rapidamente (menù costs deriva
dal fatto che i ristoranti non adeguano i loro prezzi tutti i giorni a causa dei costi di stampa del
menù): per l’impresa, il guadagno derivante da un’ottimizzazione continua non è sufficiente per
comprendere i costi connessi al continuo aggiustamento dei prezzi. A causa di questa mancanza
di coordinazione, l’adeguamento dei prezzi è minore di quanto sarebbe necessario.

L’introduzione dell’euro come unità di conto è stata un esperimento naturale dove tutti i prezzi al
dettaglio sono stati convertiti in questa nuova moneta. I consumatori dell’Eurozona hanno percepito
un rialzo significativo dei prezzi dal momento del passaggio all’euro. Una possibile spiegazione è
che i consumatori assegnano un maggior peso (psicologicamente) alle transazioni piccole ma
frequenti. Inoltre molti si ricordano dei prezzi passati espressi nella valuta nazionale, senza
considerare che i prezzi sarebbero aumentati comunque.

Controllo dei tassi d’interesse

La responsabilità principale delle banche centrali è quella di fissare un obiettivo o target per i tassi
d’interesse a breve termine. Il legame tra crescita monetaria e inflazione si è rivelato debole,
perlomeno nel breve periodo, mentre la liberalizzazione e le innovazioni finanziarie hanno reso
difficile il controllo degli aggregati monetari. Le banche centrali hanno cercato una strategia
alternativa.
Clarida, Galì e Gertler (1999) hanno sviluppato un modello di tipo neokeynesiano con aspettative
razionali, agenti ottimizzati e rigidità nominali. In questo modello, la banca centrale fissa il tasso
d’interesse a breve termine per mantenere il tasso d’inflazione futuro e l’output gap futuro più
vicini possibile agli obiettivi.
Un aspetto importante del modello è che si suppone che la banca centrale adotti un approccio
forward looking: la BC cerca di controllare il livello atteso dell’inflazione e output gap, non quello
attuale.
Dato che l’output gap è inversamente proporzionale al tasso d’interesse reale e direttamente
proporzionale all’inflazione, i due obiettivi della banca centrale sono coerenti in presenza di shock
di domanda, che fanno variare output gap e inflazione nella stessa direzione (contraddittori in caso
di shock da offerta; variano inversamente).

Quadro: il modello neokeynesiano [Clarida, Galì e Gertler 1999]

Il modello poggia su due equazioni:

IS modificata: con “φ > 0”

C di Philips modificata: con “λ > 0” e “0 < β < 1”

Dove i simboli indicano rispettivamente:


o output gap; shock della domanda; aspettativa condizionata (al tempo t);
o inflazione tra t-1, t ; β tasso di sconto; shock S, rigidità nominali; β tasso di
sconto

Gli shock D e S sono auto correlati tra loro e scompaiono gradualmente nel tempo.

La presenza nella IS modificata dell’output gap atteso deriva dal consumption smoothing,
ossia dal fatto che le famiglie preferiscono un livello stabile di consumo nel tempo. Il tasso
d’interesse reale influenza la ripartizione del consumo nel tempo (più il tasso d’interesse è alto, più
le famiglie risparmiano).

L’equazione della CPh modificata deriva da un modello di scaglionamento delle decisioni di prezzo
(staggered price setting) da parte delle imprese in un regime di concorrenza monopolistica: a causa
delle rigidità nominali di breve periodo, un’impresa ha una probabilità fissa di adeguare il suo
prezzo al livello corrispondente alla massimizzazione del suo profitto che dipende dalle sue
aspettative sui prezzi futuri e dal tasso di sconto β. Più la rigidità nominale è alta, meno l’inflazione
dipende dall’output gap corrente (λ basso; vedi equazione).

Reiterando l’equazione della CPh modificata verso il futuro si ottiene:

L’inflazione alla data t dipende dunque da tutta la sequenza di output gap e dagli shock d’offerta
previsti da t all’infinito.

La BCE fissa un i nominale in modo da minimizzare la funzione di perdita:

Per la BCE la cosa migliore da farsi sembra dunque quella di far crescere i in caso di un shock D
positivo o in caso di shock S negativo, che implica un aumento dei prezzi:
 Shock D+ : l’output gap e il tasso d’inflazione resteranno tutti e due, ex post, ai loro livelli
programmati, perché non c’è contraddizione tra i due obiettivi;
 Shock S- : c’è contraddizione tra domanda aggregata e mantenimento di una moderata
inflazione (reagiscono in maniera opposta).

Nella misura in cui gli shock S sono autoregressivi (si assorbono mano a mano nel tempo), uno
shock S alla data t determina un aumento delle aspettative (razionali) di inflazione per t+1. la
funzione della BCE può essere scritta come:

> 1

La BCE deve reagire con un aumento di i di più di un punto all’aumentare dell’inflazione attesa di
1 punto. Questo significa che la BCE deve aumentare i per esercitare un peso sulla domanda
aggregata.

Credibilità delle banche centrali

La BC cerca di far crescere l’output al di sopra del suo livello naturale (output gap positivo)
partendo dall’ipotesi che il livello di equilibrio sia troppo basso, perché implica un tasso di
disoccupazione elevato. Gli sforzi della BC per ridurre la disoccupazione attraverso il canale della
politica monetaria si traducono solo in un’inflazione più alta (inflation bias). Questa scompare se la
banca centrale si impegna nella riduzione dell’inflazione, per esempio se è indipendente e se le è
stato affidato un mandato esplicito di contenimento dell’inflazione, oppure se è più contraria
all’inflazione della società nel suo insieme. Perché questo avvenga, la banca centrale deve essere
considerata dal pubblico o molto rigorosa nel rispettare il suo mandato.

Barro e Gordon hanno proposto un modo semplice e convincente di giustificare l’indipendenza


delle banche centrali. Per credibilità della banca centrale intendono la sua capacità di rispettare
gli annunci di politica economica. La credibilità viene messa in discussione da problema
dell’incoerenza temporale (una politica ottimale al tempo t può non esserlo alla data t+1). La BC
può esser tentata di ingannare gli agenti privati annunciano una politica di bassa inflazione e, una
volta “ancorate” le aspettative a un livello basso, il costo di una politica espansiva, in termini di
maggiore inflazione, risulta minore, il che fornisce alla BC un incentivo a deviare dalla politica
annunciata. Se gli agenti riescono ad anticipare tale comportamento, la BC non è credibile e
l’inflazione crescerà ulteriormente. Ci sono diversi modi perché una BC possa garantire la
credibilità delle sue dichiarazioni:
 Legarsi le mani adottando una regola monetaria fissa;
 Regime di cambi fissi: si impegna ad intervenire per mantenere fisso il cambio nominale con
una valuta di riferimento a un livello prefissato (o entro certi limiti);
 Stipulare contratto incentivante con il governatore della bc: legando la sua retribuzione ai
risultati ottenuti sull’inflazione (l’inflation bias viene eliminata se la retribuzione è
inversamente proporzionale alla crescita monetaria o inflazione).

Politica monetaria e fiscale interdipendenti?

Nel breve periodo, politica monetaria e fiscale sono indipendenti l’una da l’altra. Nel lungo periodo,
l’indipendenza completa si ha solo nel caso in cui la politica fiscale è sostenibile o se la BC è
indifferente al rischio di bancarotta dello stato. se l’indebitamento è insostenibile, i detentori di titoli
possono prevedere un sovereign default o una monetizzazione del debito (finanziamento direttod a
parte della BC).
Si parla di dominanza fiscale quando la politica monetaria è subordinata a quella fiscale.

Quadro: Sargent e Wallace le conseguenze monetarie dei deficit

Sargent e Wallace dimostrano che la dipendenza della politica monetaria e fiscale non è vera nel
lungo periodo. Il loro punto di partenza è un modello a generazioni sovrapposte; in ogni periodo t:
 “giovani” e “vecchi” coesistono con e n > 0 (tasso di
crescita della popolazione).

Ogni individuo, quando è giovane, riceve una dotazione iniziale e può decidere di risparmiarne una
parte per consumarla quando sarà vecchio. Il risparmio prende qui la forma di:
 (moneta) o (titoli del debito pubblico).

I titoli acquistati in data t permettono ad ogni individuo di percepire alla data t+1, in

cui indica il tasso d’interesse reale. Lo stato:


o Preleva un’imposta τ ;
o Consuma ;
o Finanzia il deficit con il debito e/o creando moneta .

Il vincolo di bilancio del governo è dato da:


Andiamo a dividere il tutto per :

Con

Andiamo a sostituire i seguenti rapporti:


o ; ;

o Tasso di crescita della moneta in stato stazionario .

Se r<n allora il debito addizionale viene agevolmente rimborsato, e rende anche possibile
l’abbassamneto del carico fiscale ed il restringimento della politica monetaria. Se r>n allora il
debito va in senso opposto (crescita permanente dell’offerta di moneta o sovereign default).

Il rischio di domninanza fiscale è la principale giustificazione dei dispositivi che limitano


l’indebitamento pubblico in un’unione monetaria, come il Patto di stabilità e crescita nell’Eurozona.
I sostenitori del coordinamento avanzano due argomenti:
1) Governo e banca centrale dovrebbero essere congiuntamente responsabili della gestione
macroeconomica;
2) La politica monetaria e fiscale, nel breve periodo, influenzano entrambe la domanda
aggregata (un non coordinamento non permetterebbe di raggiungere un ottimo paretiano)

Canali di trasmissione della politica monetaria

A) Canale del tasso d’interesse

Il canale di trasmissione del tasso d’interesse fa riferimento al modello keynesiano tradizionale:


espansione monetaria = abbassamento di i = aumento degli investimenti. Nel breve periodo,
l’aumento degli I ha un effetto moltiplicatore sulla domanda di beni e servizi. Tuttavia gli I
dipendono da il tasso d’interesse a lungo temrine, mentre la politica monetaria agisce sul tasso i
nominale a breve. L’effetto di uno stimolo monetario dipende quindi da come le variazioni dei tassi
di interesse a breve termine influenzano i tassi d’interesse a lunga scadenza.
Il canale del tasso d’interesse differisce sensibilmente da paese a paese. Tali differenze sono
particolarmente importanti per l’Eurozona, in cui le pratiche differenti in materia di prestiti
implicano delle asimmetrie nella trasmissione della politica monetaria comune nei diversi paesi.

B) Canale del prezzo delle attività finanziarie

Il secondo canale è quello del prezzo delle attività finanziarie: azioni, obbligazioni e beni immobili.

Quadro: tasso di interesse e asset pricing

Il prezzo di un’obbligazione è inversamente proporzionale al tasso d’interesse per la seguente


ragione: se al tempo t un’obbligazione che vale 1€ mi rende il 4% e al tempo t+1 viene emessa
un’obbligazione di pari importo ma con un rendimento del 5%, con la cedola che resta al 4% del
valore facciale. il prezzo dell’obbligazione al tempo t deve calare affinchè il rendimento salga al 5%
(1/P) x 4% = 5%, cioè P = 0,8.

Una relazione del genere c’è anche per il prezzo delle azioni, ma è meno automatica. Il valore
fondamentale di un’azione è il prezzo al quale per l’investitore è indifferente conservarla,
incassando ogni anno i dividendi che ne derivano, oppure venderla al prezzo di mercato. Se il tasso
d’interesse r e il tasso di crescita g dei dividendi d (che si suppone uguale al tasso di crescita
dell’economia) sono costanti, il prezzo dell’azione p è dato dalla formula di Gordon-Shapiro, cioè:

con

Dove d è il dividendo per il periodo t. un tasso r più elevato riduce il valore attualizzato dei
dividendi futuri, facendo diminuire il valore dell’azione (p). una diminuzione di r potrebbe anche
produrre un aumento di g, quindi provocare un aumento del valore dell’azione.

Un aumento del prezzo delle azioni aumenta la probabilità che un investimento generi profitto
(misuratada dalla q di Tobin) e determina, quindi, un aumento degli investimenti. La q di Tobin è il
rapporto tra il valore di mercato delle imprese e il costo di sostituzione del loro stock di capitale.
Quando q aumenta, il valore di mercato dell’impresa cresce in rapporto al costo di sostituzione del
capitale, il prezzo dei nuovi equipaggiamenti diminuisce in rapporto al suo costo di finanziamento,
cosa che incoraggia l’investimento.

C) Canale del credito

Il terzo meccanismo dipende dall’offerta del credito: le banche aumentano/riducono la loro offerta
di credito in base al modo in cui riescono a finanziarsi sui mercati.
L’offerta del credito varia durante il ciclo economico: è necessario che un’impresa che ha bisogno
di finanziarsi non sia indifferente tra prendere a prestito da una banca o emettere obbligazioni. È
necessario che il teorema di Modigliani-Miller non sia valido:
Teorema di Modigliani-Miller

Le ipotesi di tale modello sono:


a) No costi di transazione;
b) No imposte;
c) Informazioni simmetriche (no asimmetrie);
d) Imprese non fanno default.
Sia A il capitale che serve un’impresa necessita per svolgere la sua attività, formato in parte da
capitale proprio K e in parte preso a prestito D:

A=K+D

Il rendimento da assicurare alle azioni r è superiore al rendimento da assicurare al capitale preso a


prestito i. Ma all’aumentare del debito il valore dell’impresa non aumenta (r>i comporta +D/K ma
non fa aumentare il valore dell’impresa).
Siano due imprese: una interamente finanziata da capitale proprio, la seconda con un mix:

1) e quindi il cash flow (valore) è dato da ;


2) quindi il cash flow (valore) è dato da .

Il Cftotale è dato da:

Il Cftotale (futuro) è lo stesso se si considera l’investimento nel mercato della parte di A residua del
capitale proprio.

Perché le banche razionano il credito anziché aumentare il costo? La ragione è che verificare la
qualità dei progetti d’investimento è molto costoso e difficile e la mancanza d’informazioni porta le
banche a richiedere un premio per il rischio di default a tutti i debitori. Questo costo d’agenzia
(agency cost) penalizza quelle imprese che hanno buoni progetti e avrebbero un’elevata
probabibilità di onorare gli interessi sui loro prestiti. Le uniche imprese disposte a prendere a
prestito a questo tasso d’interesse elevato sono le imprese con progetti d’investimento più rischiosi
ma con profitti più alti in caso di successo. Siamo di fronte a un problema di selezione avversa nel
mercato del credito. Il canale del credito non fa leva quindi sul costo del finanziamento, ma sulla
disponibilità di finanziamento per le famiglie e le imprese.

Bernanke e Gertler parlano di acceleratore finanziario: un aumento (diminuzione) del tasso


d’interesse, non solo diminuisce (aumenta) la domanda di credito, ma anche l’offerta da parte delle
banche, dato che la selezione avversa risulta più (meno) stringente. La risposta razionale di una
banca di fronte alla diminuzione del suo costo di rifinanziamento (tasso d’interesse) è quella di
allentare le restrizioni nell’accesso del credito.
La buona salute delle banche è determinante per la trasmissione della politica monetaria: le banche
concedono meno crediti quanto i portafogli di asset sono svalutati o quando i bilanci sono pieni di
titolti in sofferenza (alto rischio di default). È questo ciò che viene chiamato razionamento del
credito o credit crunch.

Quadro: il razionamento del credito (Stiglitz e Weiss)

Essi considerano un prestito bancario come un contratto fra una banca e chi riceve il prestito,
caratterizzato da un ammontare, una scadenza, un tasso d’interesse e da un collateral.
Di norma l’offerta di credito da parte della banca è una funzione crescente del tasso d’interesse,
mentre la domanda di credito decrescente. Le parti si accorderanno su un ammontare e tasso pari
all’intersezione delle due curve. Stiglitz e Weiss notano che, a causa di asimmetrie informative,
l’offerta di credito non può essere una pura e semplice funzione del tasso d’interesse. Più il tasso è
alto, meno i clienti “buoni” (meno rischiosi) sono spinti a chiedere un prestito, quindi la rischiosità
aumenta crescendo il tasso d’interesse.
L’offerta di credito S(r) può essere una funzione crescente del tasso r fino a un certo livello r*, poi
una funzione decrescente per r>r*. la curva di offerta e di domanda possono anche non incrociarsi.
I soggetti che prendono a prestito vengono quindi sottoposti a un razionamento, dato che non
possono ottenere l’ammontare di credito desiderato indipendentemente dal tasso d’interesse
(razionamento del credito).
Per evitare situazioni del genere, le banche sfruttano la loro offerta di credito in modo da obbligare
chi prende a prestito a rivelare il proprio livello di rischio (+ il collateral in garanzia è alto, + il
tasso sarà basso).

Politica monetaria in un’economia aperta

Il canale estero della politica monetaria è particolarmente importante nelle piccole economie aperte.
Una variazione del tasso di cambio influenza:
a) Il livello dei prezzi: svalutazione o rivalutazione delle importazioni rispetto alle
esportazioni;
b) La domanda aggregata: sostituzione di beni commerciabili e non;
c) L’offerta aggregata: variazione del prezzo relativo di materie prime e beni intermedi
importati.

Quando la mobilità dei capitali è elevata, il tasso di cambio è determinato essenzialmente dai
movimenti di capitali privati. Sia:
 i tasso d’interesse dell’Eurozona, investire 1€ oggi frutterà (1+i) euro tra 1 anno;
 i* tasso d’interessi USA, 1$ investito frutterà (1+i*) dollari tra un anno.

Denominando con S il tasso di cambio (quanti dollari per 1€), 1€ permette all’investitore di
acquistare S dollari oggi, che frutteranno S(1+i*) dollari dopo un anno. A quella data dovrà
riconvertirli in euro a un tasso di cambio Sa che non conosce, ma che deve prevedere. l’investitore si
aspetta che l’investimento in euro varrà S(1+i*)/Sa. se l’investitore non tiene conto del rischio,
investirà in dollari o euro in base al rendimento maggiore tra i due. Se gli investitori sono
indifferenti al rischio, un rendimento atteso più alto degli investimenti in dollari provoca acquisti
massici in tale valuta determinando una rivalutazione del dollaro sull’euro, fino a che i due
rendimenti non risultano uguali:

Questa uguaglianza è chiamata parità scoperta dei tassi d’interesse (UIP) e presuppone che:
a) non ci siano restrizioni di capitale;
b) gli asset nei due paesi siano perfettamente sostituibili;
c) gli investitori siano neutrali al rischio.
Considerando i tassi relativamente bassi e denominando s=ln(S) e sa=ln(Sa), la parità dei tassi
d’interesse si scrive:

Ovvero come differenza tra il tasso d’interesse estero meno il tasso di rivalutazione previsto della
valuta nazionale.
Esempio: supponiamo che il tasso d’interesse nazionale sia del 3% e quello estero del 4%. Se i
residenti non prevedono variazioni del tasso di cambio, investiranno i loro risparmi all’estero. Ciò
fa svalutare la valuta nazionale facendo diminuire s finchè ∆sa=+1%. Cosi la relazione s=sa+i-i*
determina il tasso di cambio corrente in funzione sia del differenziale tra i tassi, che del tasso di
cambio atteso.

Quadro: parità scoperta dei tassi d’interesse, esempio pratico

Partiamo da una condizione in cui la UIP è verificata: i=i*-(sa-s).


Supponiamo che la BC riduca in un anno il suo tasso di interesse i dell’1% rispetto al tasso estero i*.
Se il tasso di cambio atteso, sa, rimane invariato (sa=0), il rendimento degli asset nazionali è minore
rispetto al rendimento degli asset esteri. Ciò comporta un deflusso netto di capitale e un
deprezzamento della moneta nazionale (calo di s), fino a che la UIP non sia di nuovo soddisfatta. Il
tasso di cambio a breve termine diminuisce dell’1% e, a partire da questo livello più basso, gli
investitori si aspettano una rivalutazione dell’1% l’anno.
Supponiamo ora che il tasso d’interesse rimanga di un punto percentuale più basso per 2 anni,
rispetto a quello estero, per poi tornare al suo livello iniziale (UIP): il tasso di cambio diminuisce a
breve termine del 2%; in seguito si rivaluta dell’1% all’anno e torna al suo livello iniziale dopo 2
anni, quando il differenziale di i si annulla. La variazione -∆s iniziale è dunque maggiore del
differenziale del tasso d’interesse.
(stesso ragionamento può essere applciato anche quanto il tasso di cambio atteso si deprezza nel
lungo periodo).

Questo è quello che viene chiamato overshooting del tasso di cambio dovuto da una variazione del
differenziale tra il tasso d’interesse domestico ed estero. Il modello di Dornbush afferma che un
aumento permanente della massa monetaria dell’1%, che nel l.p. determina un aumento dei prezzi e
calo dei tassi nelle stesse proporzioni (neutralità della moneta nel l.p.), causa nel breve periodo un
calo del tasso di cambio superiore al punto percentuale. L’overshooting deriva dall’ipotesi di
apsettative razionali e di aggiustamento graduale dei prezzi dei beni e servizi.

Estendendo il ragionamento, la UIP implica che il tasso di cambio alla data t è la somma dei
differenziali dei tassi previsti tra t e t+T-1 e del tasso di cambio anticipato alla data T+t:
L’equazione implica che il tasso di cambio reagisce istantaneamente ai cambiamenti delle
aspettative sulla politica monetaria futura e, quindi, a tutte le notizie suscettibili di influenzarle.

Stabilità finanziaria (obiettivo PM)

Molte banche hanno il mandato, esplicito o implicito, di garantire la stabilità finanziaria: situazione
in cui gli agenti economici possono contare sul buon funzionamento del sistema finanziario.
Per comprendere i rischi che possono influenzare la stabilità finanziaria dobbiamo partire dalla
definizione dei compiti delle banche. L’operazione più semplice consiste nel raccolgiere i depositi
dalle famiglie per concedere presititi alle imprese. La trasformazione comprota rischi specifici:
 rischio di mercato: cambiamento del valore dell’attivo o passivo in seguito a variazioni di
prezzi o tassi d’interesse;
 rischio di controparte: ossia bancarotta del debitore;
 rischio di liquidità: quando un asset non può essere smobilizzato per onorare un impegno.

Questo ultimo rischio deriva dal fatto che i depositi possono essere ritirati senza preavviso. Se i
clienti prevedono il rischio che le banche non riusciranno ad onorare tutti i loro depositi, i clienti
possono ritirarli causando il fenomeno detto crisi sistemica (caso classico di panico bancario).
Il modello di Tirole afferma che un’istituzione solvibile dovrebbe essere sempre in grado di
scambiare un finanziamento immediato con un’ipoteca sui suoi redditi futuri. Se sopraggiunge uno
shock macroeconomico le banche non sono più in grado di assicurare la liquidità richiesta; Tirole
ha chiamato:
a) liquidità interna: la capacità del sistema finanziario di mettere in movimento e redistribuire
le risorse presenti e future dell’economica, attraverso l’emissione di obbligazioni e azioni;
b) liquidità esterna: in presenza di shock aggregati che colpiscono tutte le imprese e le crisi di
impresa sono tra loro correlate le banche non sono in grado di assicurare la liquidità.
Occorre quindi una ttore esterno al mercato.

A chi spetta il ruolo di fornire la liquidità durante una crisi? Farhi e Tirole hanno evidenziato un
vantaggio dell’intervento della BC perché permette di selezionare le banche che effettivamente
hanno bisogno di liquidità; gli interventi del governo, in asimmetria informativa, non sono invece
selettivi. L’intervento della BC non è tuttavia privo di inconvenienti, dato che implica:
o un trasferimento di ricchezza dai risparmiatori alle banche;
o il rischio che le banche continuino a finanziare progetti non redditizi;
o il rischio di ulteriori crisi di liquidità, dal momento che le banche non vengono spinte a
ridurre né le dimensioni del bilancio né i prestiti.

Un basso tasso d’interesse non solo favorisce l’espansione del credito, ma anche l’assunzione del
rischio. Borio e Zhu e Adrian e Shin hannos tudiato il canale del risk taking nella trasmissione della
politica moneatira: 3 sono le possibili spiegazioni:
1) esistenza di un valore di riferimento per il rendimento nominale del capitale che gli
investitori cercano di raggiungere a prescindere dal livello dei tassi d’interesse a breve (risk
taking più alto quando i tassi sono più bassi);
2) una diminuzione dei tassi aumenta il valore delle garanzie utilizzabili per ottenere prestiti e
aumenta il valore dell’attivo delle banche utilizzato per calcolare i coefficienti di
regolamentazioen bancaria;
3) leva finanziaria: i tassi d’interesse più bassi permettono di indebitarsi più facilmente. Il
debito permette di aumentare il rendimento di un progetto per i suoi azionisti, ma lo rende
più rischioso.

Quadro: Leva finanziaria, rischio di fallimento e valore degli asset


Il Leverage è una tecnica che permette di aumentare il rendimento del capitale indebitandosi.
Supponiamo che un investitore disponga di una somma K che può investire in un progetto rischioso,
il cui rendimento atteso è pari a r%. Il valore atteso dell’investimento è apri a (1+r)K e il suo
rendimento nominale p è pari a:

Ovvero ρ=r.
Se l’investitore prende a prestito una somma D al tasso d’interesse nominale i, allor apuò investire
un ammontare maggiore dato da A=K+D. il valore atteso del progetto diventa quindi (K+D)(1+r)-
iD e il rendimento del capitale investito diventa:

Il rendimento nominale è pari a ρ=r+(r-i)(D/K). l=D/K misura la leva finanziaria (leverage) della
strategia d’investimento.
Se però l’investimento da una perdita dello z% il valore realizzato del progetto è pari a (1-z)(K+D)-
iD ed il suo rednimento nominale diventa:

Quando le attività sono valutate al valore di mercato, una semplice perdita di valore aumenta la leva
finanziaria. Basta osservare che:

Una diminuzione del rapporto A/D aumenta la leva finanziaria l.


Consideriamo una banca d’investimento finanziata da fondi propri K=10 e da un debito D=90. Il
suo attivo A=100 è investito in prodotti finanziari valutati al valore di mercato. La leva quindi è
uguale a l=D/K=90/10=9. Supponiamo che i prodotti finanziari si svalutino del 5%; quindi avremo
che l=90/5=18, e riportarlo a 9 implica un considerevole sforzo per ridurre il debito cedendo asset.
È la seconda conclusione: la leva porta gli attori del mercato finanziario a reagire in maniera
prociclica alle fluttuazioni dei mercati, cedendo asset quando il loro valore è diminuito.
Adam e Shin hanno dimostato empiricamente che le banche commerciali americane avevano la
tendenza a mantenre costante la leva finanziaria, facendo corrispondere il loro debito al valore dei
loro asset, mentre le banche d’investimento aumentavano la leva finanziaria quando il valore degli
asset aumentava. Le banche commerciali tendono a mantenere un livello di capitale proporaizonae a
VaR = valore attivo esposto a rischio: con K=λVaR avremo che:

POLITICHE

gli obiettivi che le banche centrali perseguono costituiscono il loro mandato, stabilito dai parlamenti
nazionali, oppure, nel caso di un’unione monetaria, da un trattato internazionale.
A. Stabilità dei prezzi

Alcuni paesi soffrono di iperinflazione, definita in genere come un tasso d’inflazione superiore al
50% mese. Alle banche è stato affidato il compito di contenere l’inflazione perché esse sono
gaaranti del valore della moneta che emettono. È importante distinguere tra:
 Valore esterno di una moneta: tasso di cambio;
 Valore interno: misurato dal reciproco del livello dei prezzi al consumo.

Vi è una relazione causale tra quantità di moneta ed inflazione, di cui il nome è monetarismo. Per
conseguire la stabilità dei prezzi occorre tenere sotto controllo la quantità di moneta e, quindi, la
politica monetaria è lo strumento naturale per controllare l’inflazione. Tuttavia la relazione tra
moneta e prezzi nel medio periodo è diventata più complessa a causa dello sviluppo della finanza.
Gli argomenti a questo proposito sono sia di tipo economico che istituzionale:
 I modelli economici contemporanei continuano a postulare la neutralità della moneta nel l.p.
le grandezze nominali non sono collegate a quelle reali. La politica monetaria, anche se da
effetti reali nel b.p., nel l.p. ha effetti solo sulle variabili nominali. Quella fiscale influenza
invece la composizione della domanda sia nel breve che nel lungo periodo;
 Il controllo dell’inflaizone è facilitato dall’assenza d’interferenza con altri obiettivi.

Questi motivi hanno spinto molti paesi a rendere indipendenti le loro BC e a specilizzarsi nella lotta
all’inflazione. Gli anni 90’ furono addirittura contrassegnati dalla deflazione. Un caso recente è
avennuto in Giappone dopo lo scoppo della bolla immobiliare: dimostrò l’utilità del passaggio da
una politica del controllo dei tassi d’interesse a una politica di quantitive easing (emissione di
moneta) quando i tassi d’interesse sono vicini a zero.

B. Stabilità tasso di cambio

Fino agli anni 90’, numerosi paesi si sogno impegnati a mantenere fisso il tasso di cambio
(ancoraggio nominale) per disciplinare i prezzi. Il tasso di cambio è una variabile facilmente
osservabile la cui misurazione può essere manipolata dalle autorità.
In Europa solo alcuni paesi fissano il loro tasso di cambio nominale: quanto più un paese è piccolo,
tanto più l’ancoraggio esterno tende a coincidere con un obiettivo di stabilità di prezzi (equivalenza
tra infaltion targeting e fissazione del tasso di cambio).

C. Stabilità dell’output

L’uso della politica monetaria per stabilizzare l’uotput è molto controverso. L’esistenza di rigidità
nominali nel b.p., hp essenziale per giustificare una politica monetaria anticiclica, è oggi
largamente ammessa.
Le bance centrali, anche in assenza di mandato esplicito, si comportano come se la minimizzazione
dell’output gap facesse parte dei loro obiettivi (es: FED). Nel 93’ Taylor ha dimostrato che, in
media, la FED reagisce all’inflazione e all’output gap secondo questa semplice relazione:

Dove i indica ilt asso d’interesse nominale, il tasso d’interesse reale naturale, π l’inflaizone (la
differenza tra parentesi è data da l’inflazione – inflaction target), e dall’output gap.
La relazione, chiamata Taylor rule, è diventata uno strumento analitico importante. Il tasso
d’interesse a breve dell’Eurozona è stato spesso paragonato al tasso d’interesse generato da due
Taylor rules:
1) Una basta sull’inlfazione totale (quella classica della formula);
2) L’altra basata sulla core inflation, che esclude i prezzi del cibo ed energia, più volatili degli
altri.
Dopo la recessione del 2009, e ancora nel 2013, la BCE non ha seguito la Taylor rule che avrebbe
portato ad un tasso d’interesse nominale a breve negativo.
La stabilità finanziaria fa parte del codice genetico delle banche centrali e può portare ad agire a
titolo preventivo per evitare una crisi, per esempio alzando il tasso d’interesse per frenare l’offerta
dic redito e l’aumento dei prezzi degli asset.

Le Istituzioni

A. Indipendenza delle banche centrali

L’evoluzione istituzionale è iniziata negli anni 80’ ed è proseguita velocemente negli anni 90’ e
2000. Un argomento a favore dell’indipendenza della BC è che il governo può essere interessato ad
avere un’inflazione più alta. La BC produce banconote a un costo molto basso e le emette al loro
valore nominale più alto. L’inflazione equivale a un’imposta sui detentori di moneta, da cui
l’appellativo di tassa da inflazione. Il gettito derivante da questa tassa, signoraggio, viene
percepito dalla BC e girato, tutto o in parte, al Tesoro in funzione del suo peso nel capitale della
BC.

Quadro: il valore del signoraggio

Ci sono due misure accettate del signoraggio:


1) Crescita della base monetaria in un periodo dato ;
2) Costo opportunità legato al possesso della base monetaria , con i che indica il tasso
d’interesse nominale a breve nello stesso periodo (profitto BC su stock moneta in circolazione).

Si può dimostrare che queste due misure sono equivalenti se la velocità di circolazione della moneta
è costante e il tasso d’interesse reale è uguale al tasso di crescita reale (r=g).
Ripartiamo dall’equazione quantitativa della moneta PY=M0V. nel lungo periodo, se il tasso di
crescita reale è (g) e la velocità di circolazione è costante, allora il tasso di crescita della base
monetaria è uguale al tasso di crescita dei prezzi (π=∆P/P) più il tasso di crescita reale g; si
ha dunque:

Se il tasso d’interesse reale r=g, allora l’equazione può essere riscritta come

Oppure allo stesso modo:

Le due misure del signoraggio sono dunque equivalenti nel lungo periodo. L’equazione msotra che
il signoraggio è più elevato nei paesi caratterizzati da una maggiore crescita del PIL e dei prezzi.
Perciò dipende dalla velocità di circolazione della moneta e può non essere interamente trasferito ai
governi, a seconda di come la BC distribuisce i suoi dividendi.

I teorici hanno suggerito diversi modi in cui la BC può stabilire e conservare la sua credibilità:
 L’indipendenza statutaria: nell’Eurozona, le BC sono più indipendenti dal punto di vista
giuridico che in qualsiasi altro luogo (statuto BCE e BC inseriti nel TFUE, hanno un valore
sovranazionale);
 Il commitment: soluzione che consiste nel “legarsi le mani”, ovvero adottare regole fisse di
politica monetaria oppure nel fissare il tasso di cambio;
 I banchieri centrali conservatori: soluzione proposta da Rogoff: un criterio per scegliere i
governatori delle BC è la loro determinazione nella lotta all’inflazione, il loro profilo
apolitico e la loro età;
 I mandati di lunga durata: dei banchieri sono normalmente lunghi (14 anni membri
Consiglio FED; 8 anni membri Executive Board della BCE, 6 anni governatore Banca
d’Italia);
 I contratti incentivanti: sono poco frequenti;
 La trasparenza: anche nel caso in cui nessuno di questi meccanismi sia applicato, si può
pensare che esistano delle spinte implicite a rispettare gli obiettivi assegnati alla BC, fal
momento che il governatore trae soddisfazione a rispettare gli obiettivi che gli vengono
assegnati.

Negli anni 90’ e 2000, le BC hanno conosciuto un’evoluzione verso un modello di decisione
collegiale, con la creazioni di comitati di politica monetaria.
Eurozona: le decisioni vengono prese dal Governing Council che comprende 6 membri del
direttorio + tutti i governatori delle BC che adottano l’euro. La ragione principale è che un comitato
ha più probabilità di prendere una decisione corretta rispetto a un decisore singolo. Altra questione
riguarda la composizione dei comitati di politica monetaria: se tutti i governatori hanno le stesse
preferenze, la rappresentazione nazionale o regionale ha un ruolo positivo, dato che fornisce delle
informazioni supplementare sulla situazione economica e permette ad ogni membro di spiegare le
decisioni prese nella sua regione/paese.
Le decisioni prese possono dare problemi di:
a) Comunicazione: una comunicazione disordinata può mettere ina gitazione i mercati;
b) Trasparenza: può risultare scarsa se i verbali del comitato non sono resi pubblici.

Una questione importante è se la BCE deve coordinare la sua azione con il governo (o governi).
L’Argomento che giustifica un dialogo è l’esistenza di un’iterazione tra politica monetaria e fiscale
nel breve e lungo periodo.
Nell’Eurozona, il commissario europeo per gli affari economici e il presidente dell’Eurogruppo
possono assitese al Governing Council della BCE e il presidente della BCE può partecipare
all’Eurogruppo. Un coordinamento ex ante della BCE ocn le autorità politiche potrebbe mettere in
pericolo la sua indipendenza. Comuqnue non c’è un accorod unanime tra politici ed economisti su
tale questione. Sul piano politico, c’è chi afferma che un coordinamento potrebbe indebolire la
BCE, chi la potrebbe proteggere meglio.

Le banche centrali sono responsabili della prevenzione e risoluzione delle crisi finanziarie (la
prevenzione riguarda il controllo delle istituzioni finanziarie, ma non va confuso con il controllo dei
mercati). In Italia la vigilanza sulle banche spetta alla Banca d’Italia, mentre quella sui mercati alla
CONSOB. L’elaborazione delle regole base è armonizzata a livello internazionale: i principi di
vigilanza applicabili alle banche sono determinati dal Comitato di Basilea sul controllo bancario.
Il controllo bancario si basa principalmente su una capital adequacy ratio, definito come il
Rapporto di Cooke.

Quadro: gli accordi di Basilea III

Il Rapporto Cooke era stato perfezioanto per distinguere il rischio operativo, di mercato e di credito
e per permettere alle banche di utilizzare i loro modelli di valutazione del rischio.
Gli accordi di Basilea III del 2011 hanno rafforzato i vincoli nei confronti delle banche, soprattutto
verso le più grandi:
a) Il rapporto minimo (Cooke) è stato alzato dal 4 al 7% e a questo si aggiungono un cuscinetto
di sicurezza compreso tra lo 0 e 0,25% per le grandi banche considerate sistemiche;
b) Sono stati creati una leverage ratio (limita la dimesnione totale degli asset in rapporto ai
fondi propri);
c) Liquidity ratios (impongono costituzione di riserve di liquidità a breve e lungo termine).

Tali accordi sono stati fortemente criticati perché porteranno a un aumento del costo del capitale,
che può frenare la crescita nel lungo periodo (anche però che si riduca la probabilità che si verifichi
una crisi sistemica come quella del 2007-2009).

Le scelte chiave

A. Obiettivi di inflazione

L’inidividuazione del tasso d’inflazione ottimale è una problematica, a causa di difficoltà di tipo
statistico e teorico.

Quadro: Effetto Boskin e “bias” nelle misure dei prezzi

L’indice dei prezzi al consumo (IPC) misura il prezzo di un paniere di beni rappresentativi del
consumo delle famiglie. Boskin ha esaminato il metodo di costruzione dell’indice negli USA e,
secondo la sua commissione, l’IPC era stato sovrastimasto di una quota compresa tra lo 0,8 e 1,6%
all’anno; 4 sono le cause della sovrastima:
1) Sostituzione tra prodotti: i consumatori hanno al tendenza a spostarsi velocemente da un
bene all’altro;
2) Sostituzione tra punti vendita;
3) Miglioramento della qulità;
4) Comparsa di nuovi prodotti.

Dopo il Rapporto Boskin, gli USA hanno introdotto una revisione annuale dell’IPC. La percezione
dei consumatori può essere sensibilmente diversa da quella misurata statisticamente (es: passaggio
lira euro; i consumatori hanno dato maggior peso ai beni che acquistano più di frequente rispetto a
quelli che pesano di più nel loro bilancio).

L’inflazione erode il valore reale di tutti redditi e asset non indicizzati, come salari, pensioni o titoli
a reddito fisso (quindi colpisce particolarmente le fasce più povere). Una conseguenza importante è
che l’inflaizone crea essa stessa delle rigidità reali e delle distorsioni, che rendono poi a loro volta
più difficile la disinflazione.
L’inflazione può anche essere troppo bassa: i problemi derivano da asimmetrie informative e
rigidità nominali. Un’inflazione prossima allo zero rischia infatti di scatenare il fenomeno di
trappola della liquidità. Keynes ha osservato che la politica monetaria è impotente quando il tasso
d’interesse nominale è molto basso.
Nel modello IS-LM, quando i si avvicina allo zero, gli agenti economici non esercitano più nessun
arbitraggio tra moneta e titoli e un’iniezioni dei liquidità (spostamento da LM a LM’) non ha alcun
effetto sul livello Y. Inoltre i (come ha fatto notare Fisher) non può diventare negativo, a meno di
non voler supporre uno stoccaggio della moneta.
Akerlof, Dickens e Perry consigliano un’inflazione compresa tra l’1 e il 4% nei paesi sviluppati,
mentre Wyplosz raccomanda di non scendere sotto l’1%. Nel gennaio del 2012 la FED si è data un
obiettivo uguale a quello della BCE, inflazione 2% l’anno.

Una delle maggiori difficoltà della politica monetaria deriva dal fatto che il suo strumento
principale, il tasso d’interesse, influenza l’obiettivo finale, l’inflazione, sono con un “ritardo lungo e
variabile” (circa 18 mesi; Friedman). Supponiamo che la BC miri a un tasso d’inflazione del 2%;
possimao distinguere 3 regole per raggiungere questo obiettivo agendo su i :
 Regole strumentali: esprimono il valore dello strumento di politica monetaria come funzione
di alcune variabili macroeconomich (es: Taylor rule fissa i in funzione del tasso d’inflazione
e dell’output gap);
 Targeting rules: la BC minimizza una funzione di perdita (es: somma delle deviazioni delle
variabili osservate da quelle obiettivo). L’esempio più diffuso è la regola dell’inflation
targeting: ha il vantaggio di essere trasparente al riguardo sia all’obiettivo perseguito che
alla strategia per raggiungerlo;
 Targeting rules intermedie: la BC cerca di controllare un obiettivo intermedio collegato a
quello finale ma più facile da osservare e gestire (strategia ormai abbandonata a causa
dell’indebolimento del legame tra crescita monetaria e inflazione).

L’inflation targeting è un esercizio difficile, dato che la BC non cerca di stabilizzare il livello
d’inflazione corrente, ma la sua previsione (forecast) di inflazione. Tuttavia presenta diversi
vantaggi:
 Assicura elevato grado di trasparenza e previdibilità della politica monetaria;
 È forward looking, cosa che permette alla banca di trascurare gli shock sui prezzi se il loro
effetto è considerato temporaneo;
 Unisce i vantaggi di una politica monetaria fondata su regole, ai vantaggi di un vasto
insieme di informazioni;
 Facilita coordinamento internazionale e stabilizzazione dei tassi di cambio;
 Non impedisce di attribuire un peso importante alla stabilizzazione dell’economia reale.

Un altro dibattito riguarda la tattica delle BC e specificamente sulla frequenza e rapidità delle
modifiche dei tassi d’interesse: 2 BC con la stessa streategia monetaria possono rispondere in modo
differente aglis tessi shock perché usano in maniera diversa l’informazioneo perché attribuiscono un
peso diverso al rischio di sbagliarsi.

In Giappone, alla fine degli anni 90’, la situazione di trappola della liquidità ha spinto la BC ad
abbandonare i come struemtno di politica moneatria (deflazione durata per 7 anni). La BC del
Giappone ha usato la strategia definita commitment to be irresponsible facendo diminuire il tasso
d’interesse ex ante, aumentando l’inflazione anticipata. Nel 2001 è così passata a una politica di
quantitive easing, consistente in massicci acquisti di titoli di stato.
Il quantitive easing ha raggiunto il suo scopo principale, ovvero quello di modificare in maniera
durevole le aspettative di inflazione. Benchè il suo obiettivo sia quello di sostenere l’economia e
non di finanziare il governo, questa politica è stata criticata come suscettibile di portare a una forma
di dominanza fiscale, soprattutto se il deficit di bilancio persiste e se la BC continua a finanziarlo.
La BCE acquista titoli pubblici (a 9 anni) in massicce quantità sul mercato secondario, a cominciare
da quelli risk free: ciò comporta una riduzione dei tassi di interesse e un aumento dei prezzi degli
attivi. Gli effetti sull’economia reale sono:
a) Tassi d’interesse a lungo temrine che si riducono;
b) Effetto portafoglio: i rendimenti degli asset si riducono dopo l’acquisto di essi;
c) Effetto segnale: dichiarare credibilmente che non si faranno crescere i tassi (altrimenti gli
asset acquistati dalla BCE vedrebbero unc alo di prezzo spaventoso con la riduzione
nell’attivo del bilancio).

La BCE vede il suo compito reso più difficile dalla non omogeneità della zona stessa. L’evoluzione
di medio periodo del PIL, dei prezzi, del commercio estero ecc. non era omogenea tra i paesi
partecipanti: i differenziali d’inflazione trai i paesi dell’Eurozona erano dello stesso ordine di
grandezza di quelli esistenti tra gli stati USA, ma molto più persistenti.
Il problema di politica eocnomica è quello di sapere quale parte di questi differenziali era causata da
fenomeni strutturali e quale risultava invece da fenomeni di equilibrio. La BCE non ha la possibilità
di correggere tali difgferenziali tra i paesi dell’Eurozona (possono essere solo affrontati con
politiche strutturali nazionali).

Quadro: la politica monetaria un una zona eterogenea

Supponiamo che la BCE fissi i in modo da minimizzare la seguente funzione di perdita:


In cui π indica il differenziali tra l’inflazione dell’Eurozona e l’obiettivo voluto (2%). Supponiamo
che l’Eurozona si limiti a due paesi di dimensione identica (1 e 2): . L’inflaizone, per
ogni paese, è funzione decrescente del tasso π’(i) < 0. Il termine indica la volontà della BCE
di mantenere i nei pressi del suo livello d’equilibrio.
Minimizzando la funzione di perdita, si ottiene il tasso d’interesse ottimale:

La PM dipende dunque dall’inflazione media e dalla reazione media dell’inflazione al tasso


d’interesse.

Supponiamo ora che la BCE si preoccupi della media dei differenziali d’inflazione rispetto
all’obiettivo voluto, rappresentabile con questa funzione di perdita:

Il tasso d’interesse ottimale diventa quindi:

Se i canali di trasmissione sono identici in entrambi i paesi ( , allora i due risultati sono
equivalenti: la BCE non si preoccupa che dell’inflazione media nell’Eurozona. Se invece ,
cioè la sensibilità di i all’inflazione non è la stessa inentrambi i paesi, la BCE terrà maggiormente
conto del paese 1 rispetto a quella nel paese 2, anche se questi due sono delle stesse dimensioni.

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