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SECONDA EDIZIONE
FÉLIX YUSSUPOV
DA LLA CORTE
ALL'ESILIO
MEMORIE DELL'UCCISORE DI RASPUTIN
Rizzo/i ·Milano
PROPRIETÀ LETTERA RIA RI S ERVATA
Copyright 1927, 1952, 1954 by Librairie Plon, Parigi
LA FIN DE RASPOUTINE
AVANT L'EXILE
EN EXILE
Ed. Plon, Parigi
CESARE GIARDINI
Printed tn Italy
A mia moglie
PARTE PRIMA
P RIMA DELL'ESILIO
{1887-1919)
CAPITOLO I
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Il motto dei Sumarokov, (1) la famiglia di mio padre, era:
"Diritto per la mia strada", e mio padre rimase per tutta la
vita fedele a questa norma. Perciò il suo valore dal punto di
vista morale era superiore a quello della maggior parte delle
persone del nostro ambiente. Inoltre egli era alto, bello, sot
tile ed elegante, con grandi occhi cupi e capelli neri. Benché
con gli anni si appesantisse, conservò sempre un magnifico por
tamento. Aveva più buon senso che vera intelligenza. La sua
bontà faceva sì che fosse amato dagli inferiori e in modo par
ticolare da quanti erano direttamente dipendenti da lui. Ma
nei rapporti con i superiori si mostrava generalmente poco
diplomatico, e più di una volta la sua franchezza gli pro
curò delle seccature.
Ancor giovanissimo, si era appassionato per il mestiere
delle armi ed era entrato nel reggimento delle guardie a ca
vallo di cui più tardi, prima di essere nominato generale al
seguito dell'imperatore, doveva assumere il comando. Verso la
fine del 1914 il sovrano gli affidò una missione all'estero e,
al ritorno, il posto di governatore generale di Mosca.
Mio padre non aveva nessuna delle qualità che ci sarebbe
ro volute per amministrare una fortuna immensa, qual era
quella che mia madre gli aveva recato in dote, e fece parec
chi investimenti disgraziati. Inoltre, il suo carattere era troppo
diverso da quello della creatura che viveva al suo fianco, per
ché questa potesse sperare di essere compresa da lui come
meritava. Egli era soprattutto un soldato e non apprezzava
gran che gli ambienti intellettuali nei quali la moglie avrebbe
desiderato vivere. Per amor suo, mia madre sacrificò le pro
prie preferenze e i propri gusti, e rinunciò a molte cose che
avrebbero potuto contribuire a renderle più gradevole la vita.
Quanto a me e a mio fratello, le nostre relazioni col babbo
erano improntate al massimo rispetto: ci limitavamo infatti
a baciargli la mano il mattino e la sera. Egli non sapeva niente
della nostra vita, e noi, per quanto mi ricordi, non avemmo
mai una conversazione confidenziale, a cuore aperto, con lui.
La mamma era affascinante : una figura slanciata, fine, gra-
(1) La madre dell'A. era l'ultima discendente dell'antica famiglia degli Yussu
pov. Così, quando ella sposò il conte Sumarokov-Elston, questi fu autorizzato a pren
dere il cognome di sua moglie per evitare che esso si estinguesse per mancanza di
eredi maschi. !N.d.T.]
IO
ziosa, capelli neriSSIIDI, carnagione ambrata, occhi azzurri,
scintillanti come stelle. Ed era non soltanto intelligente, colta,
incline alle arti, ma di una squisita bontà d'animo. Nessuno
poteva resistere al suo fascino. Tutte queste qualità non desta
vano in lei vanità alcuna ; al contrario, era la modestia e la
semplicità in persona. < Più beni il cielo vi ha dato», ci diceva
spesso, « maggiori sono gli obblighi che avete verso il pros
simo. Siate modesti, e se ritenete di possedere qualche supe
riorità evitate di farla sentire a coloro che possano essere stati
meno favoriti dalla sorte >.
Era stata richiesta in matrimonio dai più grandi nomi di
Europa, senza eccettuare le famiglie regnanti, ma aveva re
spinto tutti i partiti, risoluta ad accettare unicamente uno
sposo di propria scelta. Mio nonno. che vedeva già la figlia
su un trono, si disperava di trovarla così poco ambiziosa. Il
suo disappunto crebbe quando apprese ch'ella aveva deciso
di sposare il conte Sumarokov-Elston, semplice ufficiale della
guardia.
Mia madre aveva un'inclinazione naturale per il teatro e
per la danza che le avrebbe consentito di stare alla pari con
i migliori professionisti di queste due arti. Durante un grande
ballo in maschera a corte, nel quale tutti gli invitati dovevano
indossare il costume dei boiardi del XVI secolo, l'imperatore
la pregò di ballare la danza russa. Pur non avendo fatto nes
suna prova preliminare con l'orchestra, ella seppe così bene
improvvisare che i musicisti la seguirono senza difficoltà, ed
ebbe, come si dice nei resoconti dei critici teatrali, "cinque
chiamate".
Il celebre direttore del teatro di Mosca, Stanislavsky, aven
dola sentita recitare durante una rappresentazione di benefi
cenza in Les Romanesque di Rostand, andò a trovarla e la
scongiurò di entrare a far parte della propria compagnia, af
fermando che il suo vero posto era sul palcoscenico.
Dovunque entrasse, mia madre portava la luce ; il suo
sguardo splendeva di bontà e di dolcezza. Usava vestirsi con
sobria eleganza, non amava i gioielli, e, benché i suoi fossero
i più belli del mondo, se ne adornava soltanto nelle grandi
occasioni.
Quando l'infanta Eulalia, zia del re di Spagna, venne m
II
Russia, i miei genitori diedero un ricevimento in suo onore
nella nostra casa di Mosca. Ecco come, nelle sue Memorie, la
principessa spagnuola riferisce l'impressione che le fece mia
madre:
"Tra tutte le feste offerte in mio onore, quella organizzata
dalla principessa Yussupov mi colpì in modo speciale. La
principessa era bellissima, una di quelle bellezze maravigliose
che rimangono il simbolo di un'epoca. Ella viveva in mezzo
a un lusso inaudito, in una cornice d'impareggiabile sontuo
sità, circondata da opere d'arte del più puro stile bizantino, in
un grande palazzo le cui finestre si aprivano sulla città cupa,
irta di campanili. Il lusso, il grande lusso fastoso e chiassoso
della vita russa, raggiungeva qui il proprio acme e si alleava
alla più pura eleganza francese. Durante questo ricevimento
la padrona di casa indossava un abito di corte ricoperto di
brillanti e di perle di un'iride perfetta. Alta, di una mirabile
bellezza plastica, ella portava in testa il kokosc'nick ( 1 ) ador
no di perle gigantesche e di brillanti enormi, acconciatura che
teneva il posto del nostro diadema di corte e rappresentava
da solo un patrimonio in pietre preziose. Una profusione ab
bagliante di gioielli fantastici, orientali e occidentali , comple
tava l'insieme. Collane di perle, braccialetti d'oro massiccio
ornati di motivi bizantini, pendenti di perle e turchesi, anelli
da cui scaturivano raggi di tutti i colori, conferivano alla
principessa Yussupov l'aspetto di un'imperatrice del Basso
Impero".
Le cose andarono in modo affatto diverso in un'altra occa
sione ufficiale. I miei genitori avevano accompagnato in In
ghilt «Jra il granduca Sergio e la granduchessa Elisabetta inca
ricati di rappresentare l'imperatore alle feste per il giubileo
della regina Vittoria. Dato che i gioielli erano di prammatica
alla corte inglese, il granduca aveva raccomandato a mia ma
dre di portare quanto aveva di meglio. La grande valigia di
cuoio rosso in cui i gioielli erano riposti fu affidata ad un
cameriere che accompagnava i miei genitori. La sera dell'ar
rivo al castello di Windsor, mentre si vestiva per il pranzo,
mia madre domandò i gioielli alla sua cameriera; ma la vali-
(l) Acconciatura russa molto voluminosa, ricamata e adorna di perle e pietre
preziose.
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gia fu introvabile, e per quella sera la principessa Yussupo-v
apparve con un abito sontuoso, ma senza un solo gioiello. Per
fortuna, la mattina seguente, la valigia fu ritrovata negli ap
partamenti di una principessa tedesca i cui bagagli erano stati
confusi con quelli dei miei genitori.
Nella mia infanzia, nessuna gioia era per me paragonabile
a quella di vedere mia madre in abito da sera. Ricordo in modo
particolare un abito di velluto color albicocca, guarnito di zi
bellino, che ella indossò in occasione di un grande pranzo of
ferto alla Moika in onore di Li-Hung-Ciang, uomo politico ci
nese di passaggio a Pietroburgo. Perle nere e diamanti comple
tavano l'abbigliamento. Il pranzo ci offrì l'occasione di cono
scere una delle più strane manifestazioni della cortesia cinese.
Alla fine del pranzo, due servi dalle lunghe lucide trecce si
avvicinarono a Li-Hung-Ciang recando l'uno un bacile d'ar
gento, l'altro alcune penne di pavone e un tovagliolo. Il loro
padrone prese una penna, si stuzzicò in gola... e vomitò nel
bacile tutto quanto aveva mangiato. Inorridita, mia madre si
volse verso un diplomatico che sedeva alla sua destra e che
aveva vissuto per molti anni nel Celeste Impero.
<Principessa>, le disse questi, <dovete considerarvi estre
mamente onorata, perché questo gesto di Li-Hung-Ciang è un
omaggio reso alla squisitezza delle pietanze e significa che Sua
Eccellenza è pronta a ricominciare>.
�1ia madre era molto amata dalla famiglia imperiale, par
ticolarmente dalla granduchessa Elisabetta, sorella dell'impe
ratrice. Ella rimase sempre in buoni rapporti con l'impera
tore; invece la sua amicizia con l'imperatrice non fu di lunga
durata. Mia madre aveva uno spirito troppo indipendente per
nascondere le proprie opinioni, anche quando queste rischia
vano d'essere poco gradite. Influenzata da alcuni dei suoi
intimi, l'imperatrice smise di vederla.
Nel 1917, il dentista di corte, dottor Kastrinzky, tornando
da Tobolsk dove la famiglia imperiale era prigioniera, ci tra
smise un ultimo messaggio affidatogli dallo Zar. "Quando ve
drete la principessa Yussupov, ditele che mi rendo conto ora
di quanto fossero giusti i suoi avvertimenti. Se fossero stati
ascoltati, si sarebbero certamente evitati molti tragici eventi".
I ministri e gli uomini politici apprezzavano la chiaroveg-
gcnza di mia madre c la sicurezza dei suoi giudizi. Ella avreb
be potuto diventare l'animatrice di un salotto politico; ma
la sua modestia le impedì di recitare una simile parte, e que
sta riscrbatczza accrebbe naturalmente il rispetto da cui era
cireondntn.
Min mndre non era attaccata al proprio denaro c lasciava
libero mio padre di disporne come meglio credesse, limitando
l'nttivitù pcrsonnle ullc opere di beneficenza e al migliora
nwnio delle condizioni di vita dci nostri contadini. Non è ar
rischinio pensare che, se avesse scelto un altro sposo, ella
uvrcbbc potuto recitare una parte importante, non soltanto
in Russia, ma sul più ampio teatro europeo.
J cinque anni che mi separavano da mio fratello Nicola
costituirono da principio un ostacolo alla nostra intimità; ma
quando raggiunsi l'ctù di sedici anni, si stabilì tra noi una
solida amicizia. Nicola aveva fatto gli studi alla scuola e al
l'università di Piciroburgo. Egli non amava In vita militare
più di quanto l'amassi io c aveva rifiutato di scegliere la car
riera delle nrmi; ma il suo carattere, che ricordava quello di
nostro pudre, era differente dal mio. Dalla mamma egli aveva
ereditato una certa disposizione per In musica, la letteratura
c il teatro. A vcntidue anni dirigeva una compagnia di attori
dilettanti che recitavano in teatri privati. Mio padre, ch'era
scandalizzato da queste inclinazioni, gli rifiutò sempre il per
messo di recitare nel nostro teatro. Nicola tentò di farmi en
trare nella sua compagnia, ma la prima parte che mi affidò,
quella di un gnomo, pungendo il mio amor proprio, mi tolse
la voglia di continuare.
Nicola era un ragazzone d'alta statura, coi capelli neri,
gli occhi scuri ed espressivi sotto le sopracciglia foltissime,
e una bocca larga e sensuale. Aveva una bella voce di baritono
e cantava accompagnandosi da sé con la chitarra.
Divenuto, a misura che cresceva in età, autoritario e sprez
zante, considerava trascurabile qualunque opinione in contra
sto con la sua e obbediva soltanto al proprio capriccio. De
testava le persone che frequentavano la nostra casa, e in ciò
io condividevo interamente il suo modo di vedere. Per di
strarci dalla noia che provocava in noi questo ambiente di
gnitoso e ipocrita, avevamo preso l'abitudine ai esprimerci
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silenziosamente col solo movimento delle labbra, ed eravamo
diventati talmente abili a questo giuoco che potevamo farci
beffe senza riguardi di tutti i nostri ospiti, anche in loro pre
senza. Ma questo modo di fare finì con l'essere notato e ci
attirò l'ostilità di molte persone.
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ori e le pietre preziose scintillavano nel sole, che quel giorno
sembrava splendere in modo particolare. Soltanto la Russia
poteva offrire un simile spettacolo. Quando lo zar e le zarine
apparvero dinanzi alla folla, erano veramente gli unti del
Signore. Chi avrebbe potuto prevedere allora che ventidue
anni dopo, di tanta grandezza, di tanto fasto non sarebbe ri
masto che il ricordo?
Più tardi si raccontò che una delle cameriere dell'imperatri
ce, mentre vestiva la sovrana per la cerimonia, si era punta un
dito con una fibbia del mantello imperiale e che una goccia
di sangue era caduta sull'ermellino. Tre giorni dopo, la ter
ribile catastrofe della Khodinka piombò la Russia nel lutto.
A causa della mancanza di organizzazione, durante la distri
buzione dei regali che i sovrani offrivano al popolo, vi fu un
terribile pigia pigia nel quale persero la vita migliaia di per
sone, schiacciate, calpestate dalla folla in preda al panico.
Molti videro in ciò un presagio sinistro per il nuovo regno.
La maggior parte delle feste che dovevano seguire l'inco
ronazione furono sospese. Tuttavia, mal consigliato da una
parte dei familiari, Nicola II si persuase che fosse suo dovere
assistere al grande ballo offerto quella sera all'ambasciata di
Francia. Un profondo disaccordo si era manifestato in pro
posito tra i granduchi. I tre fratelli del granduca Sergio, al
lora governatore generale di Mosca, nell'intento di diminuire
le proporzioni di una catastrofe nella quale era fortemente
impegnata la responsabilità del loro congiunto, affermavano
che non si doveva mutare in nulla il programma dei festeg
giamenti. Per aver espresso con fermezza un'opinione diame
tralmente opposta, i quattro "Mikhailovici" (il granduca Ales
sandro, mio futuro suocero, e i suoi fratelli) si videro accu
sati di intrigare ai danni dei loro maggiori parenti.
Dopo l'incoronazione, i miei genitori tornarono ad Arkhan
gelskoie con i loro ospiti. Il principe Ferdinando di Romania
e la principessa Maria prolungarono il loro soggiorno. Il prin
cipe Ferdinando era nipote del re Caro} l. Ricordo assai bene
il re Carol che veniva spesso a trovare mia madre. Era bello
e d'aspetto maestoso, con i capelli che incominciavano a in
canutire e il suo profilo d'aquila. Si diceva che due sole cose,
la politica e le questioni finanziarie, lo interessassero vera-
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L'autore nel 1918.
Il principe e la principessa Yussupov, genitori dell'autore,
con i figli Nicola e Felix (1889).
mente, e che trascurasse la moglie, principessa di Wiede, ben
nota come scrittrice sotto il pseudonimo di Carmen Sylva.
La coppia reale non aveva figli ; per questa ragione il prin
cipe Ferdinando era stato designato quale erede al trono.
Quest'ultimo era un uomo simpatico, ma affatto privo di per
sonalità, molto timido e indeciso, tanto in politica quanto
nella vita privata. Avrebbe potuto essere un bell'uomo se
non avesse avuto orecchie esageratamente sporgenti. Aveva
sposato la figlia maggiore della principessa Maria di Sassonia
Coburgo, sorella del nostro imperatore Alessandro III .
La bellezza della principessa Maria era già celebre. Ella
aveva soprattutto due occhi magnifici, di un grigio azzurro
così raro, che bastava vederli una volta per non dimenticarli
più ; la sua figura era fine c slanciata come lo stelo di un fiore.
lo ne ero interamente soggiogato : la seguivo dappertutto come
un'ombra, alla notte evocavo il suo viso e non potevo prender
sonno. Una volta mi baciò; ne fui talmente felice che, la sera,
non volli che mi lavassero la faccia. Quando lo seppe, la cosa
la divertì molto. Parecchi anni più tardi, pranzando a Londra
alla tavola dell'ambasciatore d'Austria, rividi la principessa
Maria e le ricordai quell'episodio, che ella non aveva però
dimentica to.
Sempre all'epoca dell'incoronazione fui testimonio di un
fatto che· colpì durevolmente la mia fantasia infantile. Un
giorno, mentre eravamo a tavola, udimmo nella stanza vi
cina il passo di un cavallo. La porta si aprì e vedemmo com
parire un cavaliere di bella apparenza, in sella a un magnifico
animale; il cavaliere aveva in mano un mazzo di rose che
gettò ai piedi di mia madre. Era il principe Grizko Witge
stein, ufficiale di scorta dell'imperatore, uomo molto sedu
cÈmte, che le sue eccentricità avevano reso celebre e per il
quale andavano matte tutte le donne. Mio padre, offeso per
l'audacia di quel giovane ufficiale, gli vietò di varcare in av
venire la soglia della sua casa.
Il mio primo impulso fu di condannare l'atteggiamento
di mio padre. Ero indignato ch'egli avesse oltraggiato così
un uomo nel quale io vedevo un vero eroe, una reincarnazione
degli antichi cavalieri, e che non temeva di proclamare il
proprio amore con un gesto così pieno di nobiltà.
CAPITOLO II
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magine o qualche rivelazione che valesse a darmi un'idea più
precisa della divinità.
Quando cercavo di penetrare il mistero dell'origine degli
esseri viventi, le spiegazioni che mi venivano date mi sem
bravano ancor più confuse. Le persone che interrogavo par
lavano del matrimonio, di un sacramento istituito da Gesù
Cristo ... Mi fu anche detto che ero troppo giovane per capire
certe cose, ma che, più tardi, ne avrei scoperto il senso da
solo. Non potevo accontentarmi di risposte così incerte, e, la
sciato solo di fronte a questi enigmi, li risolvevo a modo mio.
Mi rappresentavo Dio come il re dei re, seduto su un trono
d'oro, in mezzo alle nuvole e circondato da un coro di arcan
geli. Convinto che gli uccelli dovessero essere i fornitori di
questa corte celeste, prelevavo durante i pasti una parte del
mio cibo e la mettevo in un piatto sulla finestra. Quando ri
trovavo il piatto vuoto, me ne rallegravo moltissimo perché
ero persuaso che il re dei re avesse gradito la mia offerta.
Con lo stesso semplicismo infantile risolsi l'enigma della
procreazione. Ero convinto, per esempio, che l'uovo fatto dal
la gallina altro non fosse che un frammento staccato dal
corpo del gallo e subito rinnovato, e che un analogo fenomeno
si verificasse negli esseri umani. La diversità che avevo no
tato tra le statue dei due sessi e un attento esame della mia
anatomia, mi avevano portato a questa singolare conclusione,
della quale mi ritenni pago sino al giorno in cui la verità mi
fu brutalmente rivelata in seguito a un incontro che feci a
Contrexéville, dove mia madre si era recata per cura.
Avevo allora una dozzina d'anni. Quella sera, dopo pran
zo, ero uscito solo per passeggiare nel parco. Passando presso
una sorgente, scorsi, attraverso le finestre di una casetta che
si ergeva in mezzo agli alberi, una donna graziosa tra le brac
cia di un giovanotto abbronzato che la stringeva a sé con ar
dore. Dinanzi all'evidenza del piacere che provava la coppia
allacciata, un sentimento nuovo s'impadronì di me. Mi avvi
cinai per contemplare quelle due giovani e belle creature che,
naturalmente, non sospettavano di essere spiate.
Tornato a casa, raccontai a mia madre quello che avevo
visto. Mi parve che fosse turbata e che si affrettasse a mutare
argomento.
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Quella notte non potei dormire. Ero ossessionato dal ri
cordo di quella scena. Il giorno dopo, alla stessa ora, tornai
alla casetta del parco, ma la trovai vuota. Stavo per rinca
sare quando scorsi nel viale il giovanotto bruno venire verso
di me. Mi avvicinai a lui e gli domandai a bruciapelo se aves
se per quella sera un nuovo appuntamento con la ragazza.
Dapprima mi guardò con stupore, poi si mise a ridere e volle
sapere perché gli facessi una simile domanda. Quando gli
rivelai di essere stato testimone della scena della sera prima,
mi disse che aspettava la ragazza al suo albergo in serata e
mi invitò a unirsi a loro. Immagini il lettore quale turba
mento provocasse in me questa proposta.
Tutto andò in modo da facilitarmi le cose. Mia madre,
stanca, si ritirò di buon'ora e mio padre andò a giocare a car
te con alcuni amici. L'albergo che mi aveva indicato il gio
vanotto era vicinissimo al nostro. Egli mi aspettava seduto
sui gradini, mi complimentò per la mia esattezza e mi con
dusse in camera sua. Mi aveva appena informato che era ar
gentino quando entrò la sua giovane amica.
-Non saprei dire quanto tempo rimasi con loro. Quando
rientrai nella mia camera, mi buttai sul letto senza spogliar
mi e piombai in un sonno profondo. Quella fatale serata mi
aveva bruscamente illuminato su tutto quanto fino allora mi
era sembrato misterioso. In poche ore il ragazzo candido e
innocente che ero ancora aveva subito una completa inizia
zione ai piaceri della carne. Quanto all'argentino autore di
questa iniziazione, il giorno dopo scomparve e non lo rividi
mai più.
Il mio primo impulso fu d'andare a confessar tutto a mia
madre, ma ne fui trattenuto da un sentimento di p udore e,
insieme, di apprensione. Le relazioni tra gli esseri mi erano
sembrate talmente sorprendenti che, alla prima, credetti si
stabilissero all'infuori da ogni distinzione di sesso. In conse
guenza delle rivelazioni dell'argentino, immaginavo gli uomi
ni e le donne che conoscevo negli atteggiamenti più ridicoli
e assurdi. Ma si comportavano veramente tutti in modo così
strano ? Perduto in mezzo alle immagini bizzarre che danza
vano nella mia testa di fanciullo, mi sentivo preso dalla ver-
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tigine. Quando, un po' più tardi, ne parlai con mio fratello,
fui sorpreso di trovarlo tanto indifferente ai problemi che mi
preoccupavano. Allora mi rinchiusi in me stesso, e non parlai
più di questi argomenti con nessuno.
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non c'era nessun motivo di allarmarsi. Passammo la notte in
un rifugio nel quale il freddo ci impedì di dormire. Il giorno
dopo dovemmo convincerci che il caldo della pianura era più
sopportabile del freddo della montagna, e risolvemmo di tor
nare a Catania senza perder tempo. La nostra partenza fu
contrassegnata da un incidente che avrebbe potuto diventare
tragico. Costeggiando il cratere, l'asino del professore mise
un piede in fallo, gettando a terra il suo cavaliere che rotolò
nell'abisso. Per fortuna, egli poté aggrapparsi a una roccia,
e ciò diede alle guide il tempo di accorrere e di toglierlo dalla
scomoda posizione più morto che vivo.
Prima di tornare in Russia, trascorremmo alcuni giorni a
Roma. È un vero peccato che io non traessi maggior profitto
da questo viaggio. Venezia e Firenze mi avevano fatto una
grande impressione, ma ero ancora troppo giovane per ap
prezzarne le bellezze, e i ricordi che riportai da questo primo
viaggio in Italia, come il lettore ha potuto vedere, non ave
vano nulla di particolarmente artistico.
CAPITOLO III
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il governo e l'aristocrazia seminando dovunque l'invidia e
l'odio. Quando i suoi ra ppresentanti presero il potere al tem
po di Kerensky, mostrarono soltanto la loro incapacità a
governare.
I teatri imperiali di Pietroburgo e di Mosca meritavano la
celebrità di cui godevano. Sin verso la metà del XVIII secolo,
per vero dire, non era esistito un teatro russo ; la maggior
parte degli attori erano stranieri. Il primo teatro nazionale
fu creato nel 1?56, sotto il regno dell'imperatrice Elisabetta,
per iniziativa del consigliere di questa, principe Boris Yus
supov. Il teatro russo ricevette un nuovo impulso quando
l'imperatrice Caterina II affidò al mio trisavolo la direzione
di tutti i teatri imperiali. Si può dire che l'influsso del prin
cipe Nicola sia all'origine dello sviluppo preso dal teatro rus
so, il cui livelJo artistico si è mantenuto altissimo sino a oggi
attraverso i più tragici sconvolgimenti. In Russia tutto crollò,
tranne il teatro.
Grazie all'iniziativa di Sergio Diaghilev che, per primo,
rivelò all'Europa occidentale le ricchezze dell'arte russa, l'O
pera e i balletti hanno acquistato una rinomanza mondiale.
Chi non ricorda l'entusiasmo che provocò la loro prima ap
parizione a Parigi, sul palcoscenico dello Chatelet, nel 1909?
Diaghilev aveva saputo circondarsi di artisti eccezionali :
Scialiapin, indimenticabile Boris Godunov, pittori come Bakst
e Alessandro Benois, ballerini e ballerine come Nijinsky, la
Pavlova, la Karsavina e tanti altri. Questi artisti furono ben
presto celebri all'estero come in patria, e molti di essi hanno
formato allievi che conservano tuttora la tradizione del bal
letto imperiale. Tuttavia i nostri attori, come d'altronde l'arte
drammatica russa nel suo insieme, sono in generale meno noti
all'estero. Soltanto in Russia si potevano ascoltare i nostri
grandi artisti in un repertorio classico ispirato dal folclore
nazionale. Le commedie di Ostrovsky, di Cecov e di Gorki .
erano sempre accolte con grande successo. Nicola e io non
perdevamo mai nessuno spettacolo che meritasse d'essere vi
sto, e più d'una volta avemmo occasione di conoscere perso
nalmente qualcuno dei grandi interpreti russi.
La nostra casa di Pietroburgo sorgeva sul lungofiume della
Moika. All'esterno era soprattutto notevole per le propor-
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zioni. Un bellissimo cortile interno, limitato da un colonnato
semicircolare, si apriva da un lato verso il giardino. Questa
dimora era un dono dell'imperatrice Caterina II alla mia
bisavola principessa Ta.tiana. Le opere d'arte di cui era piena
ne facevano un vero museo nel quale ci si poteva aggirare
senza stancarsi mai. Disgraziatamente, le modifiche appor
tate da mio nonno l'avevano notevolmente imbruttita: sol
tanto qualcuno dei saloni, le sale da ballo e le gallerie dei
quadri avevano conservato il loro carattere settecentesco.
Queste gallerie davano accesso a un teatrino in stile Luigi XV.
Attiguo a questo era un ridotto nel quale, dopo lo spettacolo,
veniva servita la cena, tranne nei giorni di gran ricevimento,
che talvolta riunivano più di duemila persone. Allora la cena
veniva servita nelle gallerie e il ridotto restava riservato alla
famiglia imperiale. Questi ricevimenti provocavano lo stu
pore dei visitatori stranieri. Essi, infatti, si maravigliavano
che in una casa privata si potesse offrire a un così gran nu
mero d'invitati una cena calda, servita in piatti d'argento o
di porcellana di Sèvres.
Il nostro vecchio maggiordomo, Paolo, non avrebbe ceduto
a nessuno il privilegio di servire l'imperatore. Siccome era
molto vecchio e non ci vedeva più tanto bene, gli accadeva
talvolta di versare il vino sulla tovaglia. Al tempo dell'ul
timo ricevimento ch'ebbe luogo alla Moika in presenza dci
sovrani, egli era ormai in pensione, e si ebbe cura di non far
gli saper nulla. Lo zar notò la sua assenza c disse sorridendo
a mia madre che quella sera c'era probabilità che la tovaglia
rimanesse pulita. Non aveva ancora finito di parlare, che il
vecchio Paolo apparve come un fantasma, col petto coperto
di decorazioni ; si diresse tentennando verso la poltrona del
l'imperatore e rimase lì, al suo solito posto, sino alla fine della
cena. Per evitare guai, Nicola II sosteneva con sollecitudine
il braccio del vecchio quando questi gli versava da bere.
Paolo era al nostro servizio da più di sessant'anni. Cono
sceva tutte le relazioni dei miei genitori e le trattava secondo
le proprie simpatie o antipatie personali, senza tener mai
conto della loro qualità e del loro rango; gli invitati che non
erano nelle sue grazie potevano rassegnarsi a restare senza
vino o senza dolce. Quando il generale Kuropatkin, il capo
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della disgraziata spedizione in Estremo Oriente del 1905, era
nostro ospite, il vecchio maggiordomo gli dimostrava il pro
prio disprezzo voltandogli le spalle, sputando in terra e rifiu
tandosi di servirlo a t a vola.
Vedo ancora Gregorio, il nostro capo guardaportone, col
bicorno piumato e l'alabarda. Gregorio si mostrava meno se
vero per il generale in disgrazia. Durante la guerra del 1914,
un giorno che ricevevamo l'imperatrice madre, Gregorio si
avvicinò a lei e le disse: "Vostra Maestà sa perché il generale
Kuropatkin è stato dimenticato nella scelta dei comandanti
d'armata? Se avesse ricevuto un comando, avrebbe potuto ri
scattare gli errori commessi in Giappone". L'imperatrice ri
ferì a suo figlio le parole del nostro portinaio. Quindici giorni
dopo sapemmo che il generale Kuropatkin aveva ricevuto il
comando di una divisione!
I nostri domestici ci erano tutti devoti e compivano volon
terosamente i loro lavori. Al tempo in cui la casa era ancora
illuminata con candele e lampade, un buon numero di co
storo erano addetti al servizio d'illuminazione. Quello che di
rigeva il servizio fu talmente rattristato quando venne fatto
l'impianto elettrico che si mise a bere per annegare il proprio
dolore e non andò molto che morì.
Il nostro personale era reclutato un po' dappertutto: c'e
rano arabi, tartari, negri e calmucchi che rallegravano la casa
con i loro costumi multicolori. Tutti erano sotto il controllo
di Gregorio Bujinsky. Questo fedele servitore dette la misura
della propria devozione quando i bolscevichi vennero a sac
cheggiare i nostri palazzi : egli morì tra le più atroci torture
rifiutandosi di rivelare ai carnefici dove fossero stati nascosti
i gioielli e altri oggetti preziosi. Il fatto che il nascondiglio
fosse scoperto alcuni anni più tardi ha reso vano il suo sacri
ficio senza mutarne il valore, e ci tengo a rendere omaggio
in queste pagine all'eroica fedeltà di Gregorio Bujinsky, che
non arretrò dinanzi alla più orribile delle morti pur di non
tradire il segreto dei padroni.
Il sottosuolo della Moika era una specie di labirinto di
stanze blindate, ermeticamente chiuse, che uno speciale di
spositivo permetteva di inondare in caso d'incendio. Queste
cantine non contenevano soltanto innumerevoli bottiglie di
vino delle migliori qualità; vi erano conservati anche il va
sellame d'argento e i servizi di porcellana riservati ai grand i
ricevimenti, oltre a numerosi oggetti d'arte che non avevano
trovato posto nelle sale e nelle gallerie. Ce n'era abbastanza
per costituire un museo, e io ero veramente scandalizzato di
vederli abbandonati alla polvere e all'oblio.
Al pianterreno v'erano gli appartamenti di mio padre che
davano sul canale della Moika. Erano molto brutti, ma pieni
zeppi di opere d'arte e di ninnoli preziosi : quadri di grandi
maestri, miniature, bronzi, porcellane, tabacchiere, ecc. Al
lora non m'intendevo gran che di oggetti artistici, però avevo
la passione, senza dubbio ereditaria, per le pietre preziose.
Una delle vetrine conteneva tre statuette che mi piacevano
in modo particolare: un Budda scolpito in un blocco di ru
bino, una Venere ricavata da un blocco di zaffiro e un negro
di bronzo che reggeva un cesto pieno di gemme.
Attigua allo studio di mio padre, c'era una sala moresca
che dava sul giardino. Questa sala, tutta musaici, era l'esatta
riproduzione di una sala dell'Alhambra. Colonne di marmo
circondavano una fontana centrale, divani coperti di stoffe
persiane correvano tutt'intorno lungo le pareti. Questa sab.
mi andava a genio per il suo carattere orientale e voluttuoso
e mi piaceva sedervi fantasticando. Nell'assenza di mio pa
dre, vi organizzavo quadri viventi. Radunavo tutti i nostri
servitori orientali e mi vestivo da sultano. Seduto su un di
vano, adorno con i gioielli di mia madre, mi immaginavo di
essere un satrapo circondato dai propri schiavi ... Un giorno
avevo organizzato una scena che rappresentava il castigo di
uno schiavo disobbediente, e precisamente di Alì, uno dei no
stri servitorelli arabi. Questi, prosternato, fingeva di doman
dare grazia. Nel momento in cui alzavo il pugnale sul col
pevole, la porta si aprì e apparve mio padre. Poco apprez
zando le mie qualità di regista, egli si abbandonò alla col
lera : "Levatevi tutti dai piedi!", gridò. E tutti, satrapo e schia
vi, fuggirono urtandosi per fare più presto. Da quel giorno
l'ingresso alla sala moresca mi fu vietato.
Dall'altra parte degli appartamenti di mio padre, in fondo
a una sfilata di saloni, c'era la sala da musica in cui dormiva
la collezione di violini e nella quale nessuno sonava mai.
31
Gli appartamenti di mia madre erano al primo piano e
davano sul giardino. Anche questo piano aveva le sue sale
di ricevimento e da ballo; qui erano le gallerie di quadri in
capo alle quali si trovava il teatro. La nonna paterna, mio
fratello e io abitavamo al secondo piano, dove era anche
la cappella.
Il vero focolare della casa era l'appartamento di mia ma
dre. L'ambiente in cui questa viveva era come una irradia
zione della sua finissima personalità, un riflesso e un prolun
gamento della sua bellezza e della sua grazia. Nella stanza
da letto, tappezzata di damasco azzurro, la mobilia era di
legno rosa ornato d'intarsi : lunghe vetrine contenevano le
sue acconciature. Nei giorni di ricevimento le porte resta
vano aperte e ognuno poteva ammirare gli splendidi gioielli
di mia madre. Questa camera rinserrava un mistero: a volte
vi si udiva risonare una voce femminile che chiamava le per
sone per nome. Le cameriere accorrevano credendo di essere
chiamate dalla loro padrona, e, non trovando nessuno, si spa
ventavano. Mio fratello e io abbiamo sentito più volte questi
misteriosi richiami.
I mobili del salottino erano appartenuti a Maria An
tonietta ; dipinti di Boucher, Fragonard, Watteau, Hubert Ro
bert e Greuze ornavano le pareti; il lampadario di cristallo
di rocca proveniva dal boudoir della marchesa di Pompadour.
I più preziosi ninnoli erano sparsi sui tavoli e nelle vetrine :
tabacchierc d'oro o di smalto, portacenere d'ametista, di to
pazio, di giada montati in oro e incrostati di gemme. In que
sta stanza, sempre piena di fiori, mia madre trascorreva abi
tualmente il tempo. Quando era sola, la sera, mio fratello e io
pranzavamo lì con lei. I l pranzo era servito su una tavola
rotonda, illuminata da candelabri di cristallo. Un fuoco chia
ro scoppiettava nel caminetto e la mobile fiamma delle can
dele faceva scintillare gli anelli sulle dita affusolate di mia
madre. Non posso evocare senza emozione le nostre serate di
felice intimità in quel piccolo delizioso salotto, cornice mira
bile di una mirabile donna. Qui avemmo momenti di una per
fetta felicità. Ci sarebbe stato impossibile, allora, prevedere
e persino immaginare le disgrazie che, più tardi, dovevano
abha ttersi su di noi.
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-
-
All'approssimarsi del Natale una grande animazione re
gnava alla Moika. I p reparativi duravano parecchi giorni.
Arrampicati sulle scale, aiutavamo i domestici ad abbellire
il grande abete che toccava il soffitto con la cima. Lo scintil
lio delle palle di vetro e dei "capelli d'angelo" affascinava
particolarmente i domestici orientali. L'agitazione cresceva
con l'arrivo dei fornitori che portavano i regali destinati ai
nostri amici. Il giorno di Natale gli invitati erano special
mente bambini della nostra età, i quali arrivavano muniti
di valigie per portarsi via i doni che sarebbero tocca ti loro.
Terminata la distribuzione, ci venivano servite paste squisite
e cioccolata. Poi tutti i bambini venivano riuniti in una sala
da giuoco nella quale si trovavano le "montagne russe". Ci
divertivamo molto, ma, generalmente, la festa terminava con
un pugilato al quale, felice di trovare un'occasione per mal
menare quelli tra i miei compagni che m'ispiravano antipatia
o che erano più deboli di me, io ero il primo a partecipare
entusiasticamente.
Il giorno dopo veniva preparato un altro albero di Natale
per i domestici e le loro famiglie. Un mese prima, mia madre
riceveva una lista nella quale ognuno aveva potuto indicare
il regalo che desiderava. Il giovane arabo Alì, che aveva so
stenuto la parte del condannato nella memorabile rappre
sentazione della sala moresca, domandò un giorno "un giocat
tolo brillante" , che era semplicemente un diadema di p erle
e diamanti che mia madre aveva portato una sera per re
carsi a un ballo al Palazzo d'Inverno. Alì era rimasto lette
ralmente abbagliato quando mia madre, che si vestiva sem
pre con molta semplicità, gli era apparsa in abito di corte,
coperta di pietre preziose. Senza dubbio egli l'aveva creduta
una dea, perché si era prosternato davanti a lei, e c'era vo
luto non poco per indurlo ad abbandonare questo atteg
giamento.
La Pasqua era festeggiata con grande solennità. Gli amici
più intimi e la maggior parte dei servitori assistevano con noi
alle funzioni della Settimana Santa, nella nostra cappella, co
me alla messa di mezzanotte che la Chiesa ortodossa celebra in
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quell'occasione. Dopo la messa, la cena riuniva molti invitati.
Si trattava sempre di un festino gigantesco : porcellino di lat
te, oche, fagiani e champagne a profusione; poi arrivavano
i dolci pasquali adorni di rose di carta e con la loro corona
di uova colorate. Il giorno seguente a queste agapi eravamo
quasi tutti indisposti.
Dopo il pasto scendevamo con i genitori nella dispensa.
Mia madre era molto attenta a che i servitori fossero sempre
ben nutriti, e la loro tavola differiva pochissimo dalla nostra.
Auguravamo loro la buona Pasqua baciandoli ciascuno tre
volte, secondo la vecchia costumanza russa.
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La nostra casa di Mosca era stata costruita nel 1 551 dallo
zar Ivan il Terribile. A quel tempo era circondata dalla bo
scaglia e gli serviva come convegno di caccia. Un sotterraneo
lungo parecchi chilometri la metteva in comunicazione col
Cremlino. Era stata costruita dagli architetti Barna e Postnik
cui Mosca deve la celebre chiesa di Basilio il Beato. Per essere
sicuro che non avrebbero più compiuto una simile maraviglia,
lvan il Terribile ricompensò i due architetti accecandoli e
facendo tagliar loro la lingua e le braccia. Le crudeltà di
questo spietato sovrano erano sempre seguite da rimorsi e
da severe penitenze ; d'altra parte, egli era un uomo dotato di
una rara intelligenza e un grande politico.
Lo zar non soggiornava mai a lungo in quella casa. Vi dava
qualche splendida festa, poi tornava al Cremlino percorrendo
il sotterraneo. Quel labirinto di corridoi segreti a veva nume
rose uscite che gli permettevano di apparire nel momento e
nel luogo in cui era meno atteso. Dopo la morte di lvan il
Terribile, la dimora rimase abbandonata per un secolo e mezzo
circa. Nel 1729 Pietro II la donò al principe Yussupov. I la
vori di restauro intrapresi dai miei genitori alla fine del se
colo scorso, misero in luce l'ingresso del famoso sotterraneo.
Coloro che vi entrarono, si trovarono dinanzi a un lungo cor
ridoio nel quale file di scheletri erano incatenati alle pareti.
La casa, in vecchio stile moscovita, era dipinta a colori
vivaci. Da un lato dava su un cortile d'onore, dall'altro sui
giardini. Tutte le sale erano a volta e adorne di dipinti; la più
vasta conteneva una collezione di bellissimi oggetti di orefi
ceria ; i ritratti degli zar, entro cornici intagliate, ornavano le
pareti. Il resto era fatto di una quantità di piccole stanze,
di passaggi oscuri, di scalette minuscole che conducevano a
qualche segreta. Grossi tappeti soffocavano ogni rumore, e il
silenzio aumentava l'impressione di mistero che spirava da
quella casa tutta piena del ricordo del terribile zar.
Confesso che nessuno di noi amava gran che questa cupa
dimora dal tragico passato. D'altronde, i nostri soggiorni a
Mosca non erano mai molto lunghi. Quando mio padre fu no-
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minato governatore generale di questa città, scegllemmo per
alloggiarvi un edificio adiacente unito al corpo principale per
mezzo di un giardino d'inverno. La casa di I van il Terribile
rimase riservata alle feste e ai ricevimenti.
I moscoviti erano spesso gente curiosa e originale. D'altra
parte, mio padre amava circondarsi di persone bizzarre che
sapessero distrarlo. Erano, in maggioranza, membri delle di
verse società di cui egli era p residente onorario, società canine,
di avicultura, e, in modo particolare, di un centro d'apicul
tura i cui componenti, tutti allevatori, appartenevano a una
setta di evirati molto diffusa in Russia, gli skopzi. Uno di costo
ro, il vecchio Moscialkin, che dirigeva il centro di apicultura,
veniva spesso a trovare mio padre. Col suo volto di vecchietta
e la sua voce di soprano, egli m'ispirava un certo timore. Ma
la cosa mutò quando mio padre mi portò a visitare il centro
di sfruttamento apiario. Gli apicultori che ci accolsero erano
almeno un centinaio. Ci venne offerto un pranzo succulento
seguito da un bellissimo concerto eseguito da que gl i uomini
dalla voce femminile. Il lettore immagini che effetto doves
sero fare quelle vecchie donne vestite da uomo che cantavano
con voci infantili canzoni popolari ... Era una cosa commovente
e, insieme, comica e triste.
Un altro curioso personaggio era un ometto tondo e calvo
di nome Alferov. Costui aveva un passato alquanto torbido.
Era stato pianista in una casa chiusa e poi venditore di uc
celli. Quest'ultima profession e gli aveva attirato qualche noia
da parte della giustizia quando aveva venduto come uccelli
esotici dei volatili da cortile di cui aveva dipinto le penne a
colori brillanti. Egli ci dimos trava il più grande rispetto, tanto
da mettersi in ginocchio al momento dell'arrivo e da non
abbandonare questo atteggiamento se non dopc. che i padroni
di casa eran entrati. Un giorno che i domestici avevano tra
scurato di annunciarci il suo arrivo, ci aspettò per un'ora in
ginocchio in mezzo al salotto. Durante il pranzo, si alzava in
piedi ogni volta che uno di noi gli rivolgeva la parola, e non
si rimetteva a sedere se non dopo aver risposto alla domanda.
Questo era diventato per me un giuoco di cui non mi stancavo
mai. Quando veniva a farci visita, indossava una vecchia mar-
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sina che un tempo doveva essere stata nera, ma che gli anni
avevano reso di un colore indefinibile, la stessa probabilmente
che aveva indossato per far danzare le dame della casa chiusa.
Il colletto duro, molto alto, gli nascondeva in parte le orec
chie. Portava appesa al collo un'enorme medaglia d'argento,
ricordo dell'incoronazione di Nicola Il; altre medaglie più pic
cole gli coprivano il petto : erarto i premi ricevuti nei con
corsi per i suoi sedicenti uccelli esotici.
41
mento dei presenti se non del paziente. Mio padre, che la
principessa sceglieva spesso quale vittima, apprezzava assai
poco questo genere di scherzi. Il conte e la contessa Olsuviev
erano una vecchia e amabile coppia di sposi. La contessa, che
a quel tempo occupava un'alta carica a corte, faceva pensare
a una marchesa del XVIII secolo; suo marito era un uomo
piccolo, calvo e rotondetto, sordo come una campana. Quando
indossava l'uniforme di generale degli ussari, portava una
sciabola grande quasi quanto lui e la trascinava sul pavimento
facendo un rumore infernale. La granduchessa temeva sempre
la sua presenza a messa a causa del baccano che faceva quella
disgraziata sciabola, tanto più che il generale era incapace di
star fermo in un dato posto : cominciava col fare il giro delle
icone, molto numerose nelle chiese russe e che è consuetudine
baciare facendosi il segno della croce. A quelle cui non arri
vava, mandava baci a volo. Senza preoccuparsi del rispetto do
vuto al luogo santo, egli interpellava tutti i presenti e persino i
preti all'altare con voce tonante. Tutti ridevano, compresi i
preti, ma la granduchessa era sulle spine.
42
rosa o viola, ornati di delicati intarsi, mi permettevano di
immaginare quale dovesse essere stata la magnificenza di
quel luogo abbandonato.
Il vento s'ingolfava nelle sale, urlava intorno alle spesse
mura, risvegliava tutti gli echi di quel palazzo in rovina, come
per affermare che ormai esso solo ne era il padrone. Fu i preso
da un brivido d'angoscia. I gufi appoggiati alle travi mi fissa
vano con i loro occhi rotondi e sembravano dirm i : "Guarda
che cosa è accaduto della dimora dei tuoi antenati".
Allora mi allontanai col cuore stretto, pensando agli errori
imperdonabili che possono commettere gli uomini padroni di
beni troppo grandi.
CAPITOLO V
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lori vivaci e un caffetano nero con le maniche lunghe, ricamate
in oro. Portavano calzoni rigonfi sugli alti stivali, e in testa
un cappello dalle larghe falde. Gli abiti delle donne erano
sempre di tinte vivacissime, con le sottane arricciate, ampie
e lunghe ; sulle spalle portavano uno scialle, e avevano la testa
stretta in un fazzolettone annodato sulla nuca. L'abito che
indossavano la sera per comparire in pubblico era uguale, ma
fatto di stoffe più ricche. A esso aggiungevano ornamenti bar
barici : collane di zecchini, pesanti bracciali d'oro o d'argento.
Il loro passo era morbido e tutti i loro movimenti avevano una
grazia felina. Molte di esse erano bellissime, ma queste belle
creature erano altresì schive e non permettevano nessuna fami
liarità se non accompagnate da una promessa di matrimonio.
La vita degli zigani è molto patriarcale e rispettosa delle
tradizioni : non ci si reca da loro in cerca di avventure, ma
soltanto per sentirli cantare.
Io non avevo mai udito cantare gli zigani. Fu per me una
rivelazione. Benché ne avessi sentito parlare spesso, ero ben
lontano dall'aspettarmi un simile incanto. Capivo che si potes
se esserne stregati al punto da lasciar lì una fortuna.
Quella sera capii anche che il mio travestimento mi per
metteva di andare dove meglio mi piacesse. E allora cominciai
a condurre una doppia vita : di giorno ero uno studente ginna
siale, di sera una donna elegante. Polia si vestiva assai bene
e tutti i suoi vestiti mi andavano a pennello.
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La consegna era di non lasciar entrare nessuno nel mio came
rino, ma mentre io, Nicola e Polia, rovesciati sul divano, ci
sentivamo venir meno dal gran ridere, i fiori e i biglietti
galanti affluivano. Alcuni ufficiali, che conoscevo molto bene,
mi invitarono a cena con loro a "l'Orso". Avevo una gran vo
glia di accettare, ma Nicola me lo proibì assolutamente e mi
portò a finir la serata con tutti i nostri amici dagli zingari.
A tavola si bevette alla mia salute, e alla fine dovetti salire
su un tavolo per cantare accompagnato dalle chitarre degli
zigani.
Per sei volte cantai all'Aquarium senza incidenti, ma la set
tima sera scorsi in un palco alcuni amici dei miei genitori che
tenevano il binocolo puntato su me. Mi avevano riconosciuto
per la mia somiglianza con la mamma e dai gioielli che por
tavo. Così scoppiò lo scandalo. I miei genitori mi fecero una
terribile scenata. Nicola mi difese lealmente assumendo tutta
la responsabilità della faccenda. Gli amici dei miei genitori, al
pari dei compagni della nostra vita dissipata, giurarono di non
dir mai parola di questa avventura. Mantennero quello che
avevano promesso e la faccenda fu soffocata. La mia carriera
di canzonettista venne spezzata all'inizio, tuttavia io non ri
nunciai ai travestimenti che mi procuravano tante allegre
soddisfazioni.
A quell'epoca i balli in costume erano in gran voga a Pie
troburgo. lo ero abilissimo nell'arte di travestirmi e possedevo
una vera collezione di bellissimi costumi, sia femminili che
maschili. Per un ballo in costume all'Opéra riprodussi fedel
mente il ritratto del cardinale di Richelieu di Filippo di
Champaigne. La cappa magna, il cui strascico era sostenuto
da due negretti gallonati d'oro, mi valse un vero trionfo.
Un altro ballo terminò con un'avventura tragicomica. Quel
la sera ero vestito in modo da rappresentare l'Allegoria della
Notte, con un abito coperto di lustrini blu acciaio e una stella
di diamanti sulla parrucca. In quelle occasioni, Nicola, che
diffidava delle mie idee stravaganti, mi accompagnava sempre
o mi faceva sorvegliare da qualche amico sicuro. Quella sera
un ufficiale della Guardia, noto per i suoi successi con le donne,
IDI fece una corte assidua. Questo ufficiale e due o tre amici
suoi mi proposero di portarmi a cena a "l'Orso". Accettai a
dispetto del pericolo, o piuttosto a causa di quel pericolo che
mi divertiva follemente, e vedendo che mio fratello, dal canto
suo, stava facendo la corte a una mascherina, ne approfittai
per uscire inosservato.
Arrivai a "l'Orso" scortato da ben quattro ufficiali che
domandarono una saletta riservata. Furono chiamati gli zigani
per creare l'atmosfera e, con la musica e lo champagne, i miei
compagni si fecero audaci. lo mi difendevo come meglio pote
vo, quando il più ardito scivolò alle mie spalle e mi strappò la
maschera. Davanti all'imminenza di uno scandalo, afferrai una
bottiglia di champagne e la lanciai contro uno specchio che
andò in frantumi, poi, approfittando del momento di stupore
provocato dal mio gesto, balzai alla porta, girai l'interruttore
della luce e me la diedi a gambe. Una volta all'aperto, chiamai
un cocchiere e gli diedi l'in dirizzo di Polia. Allora mi accorsi
di aver dimenticato a "l'Orso" la mia pelliccia di zibellino.
Così, in una notte glaciale, una giovane donna in abito da
ballo e coperta di diamanti, filò a tutta velocità, in slitta sco
perta, attraverso le vie di Pietroburgo. Chi avrebbe potuto ri
conoscere, in quella pazza, il figlio di una delle più rispettabili
famiglie della città?
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approfittai per dirgli quello che avevo sul cuore. Gli ricordai
che a varie riprese avevo chiesto invano il suo appoggio e i
suoi consigli, specialmente dopo il mio incontro con l'argentino
a Contrexéville. Gli feci osservare che la prima idea di ve
stirmi da donna per divertimento era venuta a lui e a Polia, e
questo era stato l'inizio della doppia vita che conducevo tut
tora. Nicola dovette riconoscere che avevo ragione.
È vero che questo giuoco mi aveva divertito, lusingando
nello stesso tempo il mio amor proprio, perché a quel tempo
ero ancora troppo giovane per piacere alle donne, mentre po
tevo piacere a certi uomini. Quando, più tardi, ebbi dei succes
si nel campo femminile, la mia vita ne fu ulteriormente com
plicata. Le donne mi attiravano, ma le relazioni che avevo con
loro erano di breve durata. Avvezzo a essere adulato, mi
stancavo presto di corteggiare una donna. La verità è che ama
vo soltanto me stesso. Mi piaceva essere circondato da una
corte nella quale tenevo il primo posto. In fondo, non prendevo
molto sul serio tutto ciò, ma questo sistema di vita che mi per
metteva di soddisfare tutti i miei capricci era di mio gradi
mento Trovavo naturale cercare il piacere dove e come prefe
rivo, senza preoccuparmi di ciò che gli altri potevano pensare.
È stato detto sovente che io non amavo le donne. Niente di
meno esatto. Le amo quando sono amabili. Alcune di esse
hanno avuto una parte notevole nella mia vita, senza parlare
di quella cui devo la mia felicità. Ma debbo riconoscere di
averne incontrate assai poche che rispondessero all'immagine
ideale che io mi facevo della donna. La fiducia che riponevo
in esse fu spesso delusa. In linea generale, trovo negli uomini
una lealtà e un disinteresse che mancano assolutamente alla
maggioranza dell'altro sesso.
D'altra parte, l'ingiustizia umana verso coloro che cercano
l'amore fuori delle vie stabilite mi ha sempre indignato. Am
metto che si possa biasimare queste relazioni in quanto anor
mali, ma perché estendere il biasimo agli esseri cui le relazioni
normali, per essere contrarie alla loro natura, sono inibite?
Debbono essi, per il fatto di essere stati creati diversi dagli
altri uomini, vivere nell'isolamento?
CAPITOLO VI
51
modeste, quel palazzo non sarebbe stato privo di splendore
senza le infelici trasformazioni che gli aveva fatto subire la
giovane imperatrice. La maggior parte dei dipinti, degli stuc
chi e dei bassorilievi erano stati sostituiti da ornati in mogano
e da cosy corners d'un incredibile cattivo gusto. Mobili fab
bricati da Maple erano stati fatti venire dall'Inghilterra e
messi al posto della vecchia mobilia relegata nei magazzini.
La presenza dei sovrani a Zarskoie Selò portava con sé
quella dei granduchi e di molte famiglie dell'aristocrazia. Le
scampagnate, le cene, i ricevimenti si succedevano senza inter
ruzione, e il tempo scorreva allegramente nella semplicità di
una vita agreste.
Durante gli anni 1912 e 1913 frequentai molto il gran
duca Dimitri Pavlovic, entrato da poco nel reggimento delle
guardie a cavallo. I sovrani lo amavano come un figlio. Egli
abitava con loro a Palazzo Alessandro e accompagnava dap
pertutto lo zar. lo lo vedevo quasi ogni giorno perché tra
scorreva con me tutte le ore di libertà, durante le quali fa
cevamo insieme lunghe passeggiate a piedi o a cavallo. Era
un ragazzo molto seducente : alto, elegante, aristocratico, con
grandi occhi pensosi ; ricordava gli antichi ritratti dei suoi
antenati. La sua anima era piena di slanci e di contraddi
zioni : romantico e mistico insieme, non mancava di interio
rità e di penetrazione, il che non toglie che fosse molto al
legro e sempre pronto alle più folli imprese. Il fascino che
spirava da lui faceva sì che fosse circondato dalla simpatia
generale, ma la debolezza del suo carattere lo rendeva peri
colosamente influenzabile.
Quasi ogni sera partivamo insieme in automobile per Pie
troburgo, dove menavamo la più gaia esistenza, passando dai
ristoranti ai locali notturni, per finire con una visita agli
zingari. Sovente invitavamo a cena in un salottino riservato
artisti e musicisti. La celebre ballerina Paulova era spesso
dei nostri. Rincasavamo soltanto all'alba, e le notti maravi
gliose scorrevano per noi come in sogno.
Una sera stavamo cenando al ristorante quando vidi ac
costarsi a me un ufficiale della scorta dello zar : era un uomo
52
ancor giovane, molto bello, con la vita stretta nella giubba
da cavaliere cerkess e il pugnale infilato nella cintura.
« Dubito che possiate riconoscermi » , disse dopo essersi
presentato. c: Ma forse ricorderete le circostanze del nostro ul
timo incontro; esse furono infatti abbastanza singolari. Il mio
ingresso a cavallo nella sala da pranzo di Arkhangelskoie
spiacque talmente a vostro padre, che mi fece mettere alla
porta �.
Ricordavo assai bene quell'episodio. Gli dissi che il suo
gesto mi aveva colmato di ammirazione e gli confessai anche
la ribellione da me provata dinanzi alla reazione di mio pa
dre. Invitato da me, sedette alla nostra tavola e trascorse
con noi una parte della serata. Parlava poco e mi esaminava
con attenzione.
« Come somigliate a vostra madre ! �. esclamò alla fine.
Sembrava molto emozionato. Bruscamente si alzò e, salu
tatici, uscì.
Il giorno dopo mi telefonò a Zarskoie Selò per sapere
se potesse venire a trovarmi. Gli risposi che abitavo con i
miei genitori e che, in considerazione di ciò ch'era avvenuto
in passato, la sua presenza sarebbe stata per lo meno scor
retta. Allora mi offrì di andare a passare una serata con lui
a Pietroburgo. Accettai e nel giorno fissato lo accompagnai
dagli zingari. Da principio fu molto taciturno, ma verso la
fine della serata, con l'aiuto dell'ambiente e d ello champagne,
si fece comunicativo. Mi confidò di essere sempre rimasto
fedele ai sentimenti che mia madre gli aveva ispirato e mi
parlò dell'impressione che la mia rassomiglianza con lei gli
aveva fatto provare. Egli avrebbe voluto vedermi ancora,
ma, nonostante la simpatia che m'ispirava, gli feci capire
come le nostre relazioni non potessero essere che passeggere
e che un'amicizia tra noi era impossibile. Questo fu il nostro
ultimo incontro.
I miei rapporti con Dimitri dovevano subire un'eclissi
momentanea. I sovrani non ignoravano le voci scandalose che
circolavano sul mio conto e quindi non vedevano di buon
occhio la nostra amicizia. Essi finirono col proibire al gran-
53
duca di frequentarmi, e io stesso fui sottoposto a una sgra
devole sorveglianza. Membri della polizia segreta si aggira
vano continuamente intorno alla nostra casa e mi pedina
vano quando mi recavo a Pietroburgo. Tuttavia Dimitri non
tardò a riprendere la propria indipendenza. Lasciò il palazzo
Alessandro per stabilirsi nel suo palazzo a Pietroburgo e mi
pregò di aiutarlo a sistemare la nuova dimora.
54
le relazioni, e le riunioni erano frequentissime. La mia fami
glia aveva in Crimea parecchi possedimenti. I due più im
portanti erano Koreiz, sulla riva del mar N ero, e Kokoz, in
fondo a una valle circondata di alte montagne. Avevamo an
che una casa sulla baia di Balaclava, ma non ci abitam
mo mai.
Koreiz era un grande edificio di pietra grigia, abbastanza
brutto, che sarebbe stato più a posto in una città che in riva
al mare. Non per questo era meno accogliente e comodo.
Altre piccole costruzioni riservate agli invitati erano disse
minate nel parco. Aiuole di rose di Francia imbalsamavano
i dintorni della casa. I giardini e i vigneti scendevano in ter
razze sino alla riva del mare.
Mio padre, che aveva ereditato Koreiz da sua madre, vi
esercitava un'autorità discretamente gelosa, sia nel campo
amministrativo, sia in quello degli abbellimenti che appor
tava alla proprietà. Per un certo tempo egli aveva avuto una
grande passione per la scultura. Il numero di statue che ac
quistò è incredibile. Il parco ne era sovrappopolato. Ninfe,
naiadi e dee sorgevano in tutti i boschetti e da tutti i ce
spugli : si viveva in piena mitologia. Sulla riva del mare mio
padre aveva fatto costruire un padiglione con una piscina
nella quale l'acqua era mantenuta a una temperatura co
stante che permetteva di fare il bagno in tutte le stagioni.
Gruppi di bronzo raffiguranti leggende tartare erano collo
cati sulla riva, e una Minerva, alzata sull'imbarcatoio, evo
cava la statua della Libertà che brandisce una fiaccol a al
l'ingresso del porto di New York. C'era anche una naiade
su uno scoglio ; quando a-vveniva che una tempesta se la por
tasse via, era subito sostituita.
I capricci di mio padre assumevano a volte gli aspetti
più singolari. Ricordo ancora lo stupore di mia madre il
giorno in cui egli le offrì per la sua festa la montagna Ai
Petri che domina la costa sud della Crimea. Si tratta di una
montagna rocciosa, la più alta della penisola, senza alberi
e priva anche del più minuscolo cespuglio.
Mio padre amava la vita all'aria aperta. Le lunghe pas
seggiate a cavallo sulla montagna che gli piaceva organiz-
55
zare duravano talvolta tutto il giorno. Egli si metteva in testa
alla colonna e andava a capriccio, senza dar retta alle guide e
senza preoccuparsi di quelli che lo seguivano. La sua pas
sione per la pesca ebbe inaspettate ripercussioni sulla mia
educazione. Allontanatosi di casa un mattino all'alba, tornò
in compagnia di uno sconosciuto e mi disse : « Ecco il tuo
nuovo precettore ». Lo aveva scort<> su uno scoglio con la
lenza in mano, gli aveva offerto di andare a pescare con lui
nel suo battello e se l'era portato a casa per la colazione.
Il nuovo precettore era una specie di nano, sudicio e ma
leodorante. Portava tutta la settimana la stessa camicia bian
ca ornata di fiocchi rossi. Alla domenica, sin dal mattino,
appariva in smoking con una cravatta colorata e le scarpe
gialle. Mia madre, costernata, volle tentare di muovere qual
che obiezione, ma mio padre era entusiasta della scoperta
e non volle sentir ragioni. Quanto a me, lo avevo preso in
odio sin dal primo giorno e gli resi la vita talmente dura che
non tardò a domandare di andarsene.
Allora mio padre risolvette di darmi un'educazione spar
tana. Cominciò col far togliere dalla mia camera tutti i mo
bili che avevo scelto io stesso, per sostituirli con un letto da
campo e uno sgabello. Io seguivo questo sgombero con una
rivolta interna tanto più violenta in quanto che non poteva
manifestarsi. A questa si aggiunsero serie apprensioni quan
do vidi i domestici sistemare in mezzo alla camera una specie
di armadio dall'apparenza sospetta. Quando fui solo, tentai
invano di aprirlo, e le mie inquietudini aumentarono.
Il giorno dopo il cameriere di mio padre, un ragazzone
che evidentemente era incaricato della parte di carnefice,
mi afferrò con le braccia vigorose e mi chiuse nell'armadio.
Nello stesso istante ricevetti una doccia gelata sulla testa.
Io non ho mai potuto sopportare l'acqua fredda, e questa
esperienza fu per me una tortura. Ma ebbi un bell'urlare
e dibattermi, dovetti adattarmi a ricevere tutto il contenuto
del serbatoio. La scossa nervosa che provai fu tale che, quan
do la porta si aprì nudo com'ero scappai per i corridoi, mi
precipitai all'aperto. come un demente e, tutto d'un fiato, mi
arrampicai in cima a un albero. Di lassù, gettai tali urli che
allarmai tutta la casa. I miei genitori, subito accorsi, mi or
dinarono di scendere. ma io non acconsentii se non in cam
bio dell'assicurazione formale che non si sarebbe più parlato
di doccia fredda, minacciando anzi di buttarmi giù dall'al
bero se non mi avessero dato soddisfazione. Dinanzi a questo
ultimatum, miò padre si arrese. Ma io avevo preso freddo
e stetti male per parecchi giorni.
57
Un'altra volta trovammo addirittura la casa interamente im
brattata di rosso, con righe bianche che simulavano i giunti
di mattoni immaginari ; le sta tue, così care a mio padre, non
erano state risparmiate e ci apparvero dipinte di un rosa
color carne che, senza dubbio, avrebbe dovuto dar loro l'ap
parenza della vita. Fu l'ultima volta che l'amministratore i n
parola poté esercitare la sua immaginazione a spese dei nostri
beni: mio padre lo licenziò su due piedi. Ma ci volle un anno
intero per ripulire la casa e le statue.
C'era a Koreiz, nella tenuta, un idiota grande e grosso, di
origine tartara, chiamato Missiud. Aveva una statura colos
sale ed era afflitto da un gozzo abbastanza sviluppato. Que
sto gigante innocente e gozzuto adorava il padrone e lo se
guiva dappertutto come un'ombra. Seccato di una fedeltà
tanto ingombrante, ma d'altra parte non volendo addolorare
il buon Missiud, mio padre finì col trovargli una sinecura :
vestito come il custode di un harem, con un caffetano rica
mato d'oro e un turbante, armato di corno e di fucile, Mis
siud fu posto di guardia accanto a una fontana che si tro
vava davanti alla casa. Ogni volta che si presentava un visi
tatore, egli doveva suonare il corno, sparare un colpo di fu
cile e gridare « Urrà ». Però gli accadeva spesso di sbagliarsi
e di compiere queste azioni rituali non già all'arrivo, ma alla
partenza dei nostri amici, qualcuno dei quali se la prese a male.
Eravamo a Pietroburgo, quando mio padre ricevette dal
la Crimea un telegramma così concepito: "Missiud annuncia
a Sua Altezza d'essere morto". Il nostro bravo Missiud, ca
duto gravemente infermo, aveva redatto egli stesso il tele
gramma raccomandando che fosse spedito subito dopo la
sua morte.
Il giorno dopo il nostro arrivo a Koreiz, cominciava la
sfilata dei vicini. Il feldmaresciallo Miliutin, più che ottan
tenne, faceva a piedi gli otto chilometri che separavano la
sua proprietà dalla nostra. La baronessa Pilar era un'amica
della nonna o, per essere più esatti, la sua schiava. Piccola,
grassa, col volto coperto di verruche adorne di lunghi peli,
nonostante l'incredibile bruttezza, riusciva ad apparire ama
bile e buffa. Ella si prestava a tutti i capricci di mia nonna
58
che le affidava i propri bachi da seta o la requisiva per cer
car lumache.
L'aspetto leonino del principe Galizin, colosso dalla cri-
niera arruffata, giustificava il suo nome di battesimo: Leone.
Nonostante la proverbiale generosità, Galizin era temuto da
tutti. Sempre in istato di semiubriachezza, egli cercava tut
te le occasioni di dare scandalo, e, non contento di bere lui,
pretendeva ubriacare quanti gli venivano a tiro col vino usci
to dalle sue tinozze. Arrivava sempre accompagnato da cas
se di vino e di champagne. Appena la sua vettura era entrata
nel cortile, gridava con voce stentorea : <t Arrivano gli invi
tati! » . Scendeva e si metteva a far giuochi di destrezza con
le bottiglie, intonando una canzone da taverna :
Bevi bevi sino in fondo,
Bevi bevi sino in fondo.
59
fumava con acqua di Cipro, il che non gli impediva di puz
zare di caprone. Tutto sommato, però, un buon diavolo e per
sino abbastanza simpatico. La sua più grande distrazione
era giocare con i fiammiferi : gliene veniva posta accanto
una larga provvista ed egli passava le ore accendendoli e
spegnendoli; poi se ne andava senza dire una parola o fare
un cenno. Il più bel giorno della sua vita fu senza dubbio
quello in cui gli portai da Parigi una scatola di fiammiferi
alti un metro che avevo trovato sui boulevards.
La sua bruttezza e il suo rimbecillimento non gli impe
divano di occuparsi di donne. Egli suscitò uno scandalo du
rante un servizio religioso celebrato al Palazzo d'Inverno,
in presenza della famiglia imperiale. Poiché tutte le dame
erano, secondo l'uso, in abito di corte, il conte Orlov si in
castrò nell'orbita il monocolo e si mise a ispezionare le scol
lature emettendo suoni tali che fu necessario metterlo fuori
dalla chiesa. C'era chi affermava ch'egli avesse avventure
amorose. Certo era molto sentimentale e di una commovente
fedeltà. Per esempio, non c'era pericolo che dimenticasse la
festa di mia madre : poteva essere a Koreiz o altrove, egli
giungeva puntualmente con un enorme mazzo di rose.
Una delle nostre vicine, la contessa Kleinmichel, posse
deva un'importante biblioteca, composta principalmente di
opere sulla massoneria. Un giorno fu scoperto tra i libri un
manoscritto ebraico su pergamena che venne inviato a Pie
troburgo e tradotto in russo. Quella traduzione fu poi pub
blicata col titolo: I protocolli di Sion ; ma la maggior parte
dell'edizione sparì misteriosamente subito dopo la pubblica
zione. Essa fu di sicuro distrutta. Comunque, è certo che, al
momento della rivoluzione bolscevica, tutti i membri delle fa
miglie in casa delle quali veniva scoperta una copia del li
bro in questione, venivano fucilati seduta stante. Un esem
plare della pubblicazione giunse in Inghilterra. Conservato
nella Biblioteca Nazionale di Londra, fu tradotto in inglese
col titolo di The ]eros Perii e in francese con quello, appunto,
di Protocoles de Sion ( 1 ) .
( l ) I n italiano questo pamphlet antiebraico sulla cui origine e autenticità s i è
molto discusso. uscì col titolo : c I protocolli dei Savi anziani di Sion , (Roma, 192 1 ) .
]N. d . T . ]
6o
La contessa Panin era una donna molto intelligente, con
idee nettamente avanzate. Abitava una specie di castello feu
dale nel quale riceveva uomini politici, artisti e scrittori. In
casa sua incontrai Leone Tolstoi, Cecov e anche due coniugi
affascinanti con i quali restai in relazione : la celebre can
tante Yan Ruban e suo marito Pohl, compositore e pittore
di grande valore. La signora Ruban mi diede anzi qualche
lezione di canto e venne spesso a trovarci. Non credo di aver
mai sentito una cantante che avesse una dizione altrettanto
perfetta né che mettesse tanta anima nell'interpretazione del
le melodie di Schumann, di Schubert e di Brahms.
Tra le proprietà che si trovavano dalla parte di Sebasto
poli, una delle più belle, Alupka, apparteneva alla famiglia
Woronzov. Piante di glicine si arrampicavano sui m uri, il
parco era ornato di fontane e di statue. Disgraziatamente,
l'interno della casa era lasciato in abbandono dai proprietari
che ci venivano raramente. Si diceva che tra l'edera che co
priva i muri vivesse un enorme serpente, che talvolta si ve
deva balzare sino alla riva e sparire nei flutti. Quando ero
bambino, questa leggenda mi atterriva, tanto che rifiutavo
sempre di andare a passeggio in quei paraggi.
Nel piccolo porto di Yalta - reso celebre dalla confe
renza dei Tre G randi nel 1 945 - era ormeggiato lo yacht
imperiale Standard. Yalta era un centro di escursioni. Se
dute sulla banchina, le guide tartare, giovani robusti di una
bellezza inquietante, aspettavano i turisti ai quali noleggia
vano i cavalli e che accompagnavano su per la montagna.
Queste spedizioni assumevano assai spesso un carattere ga
lante. Si parlò a lungo della brutta avventura toccata alla
moglie di un ricco mercante moscovita, la quale, annoiata
dalla vita coniugale al fianco di un vecchio marito, si era
recata a Yalta per distrarsi. Costei prese per guida un bel
giovanotto e si internò con lui nella montagna. l due si piac
quero talmente che, stando alle dicerie, la signora non poté
più servirsi del cavallo nel ritorno e la faccenda terminò nel
gabinetto di un medico... La storiella fece il giro della città,
per cui la signora dovette lasciare Y alta coperta di vergogna.
Il marito apprese l'avventura e domandò il divorzio.
Tutte le proprietà della famiglia imperiale erano in riva
al mare. Lo zar e la sua famiglia abitavano Livadia, palazzo
di stile italiano dalle grandi stanze bene illuminate, che ave
va sostituito l'antico palazzo, cupo, umido e scomodissimo. La
proprietà del granduca Alessandro Mikhailovic, Ai-Todor, era
prossima alla nostra. I ricordi che essa evoca in me mi sono
particolarmente cari. I muri della vecchia casa, sepolti nella
verzura, sparivano sotto le rose e il glicine. Questa dimora,
dovè tutto era piacevole, doveva la sua maggiore attrazione
alla presenza della granduchessa Senia Alessandrovna, la
cui seduzione, più che dalla bellezza, dipendeva da un ec
cezionale fascino che ella aveva ereditato dalla madre, l'im
peratrice Maria Fiodorovna. Lo sguardo dei suoi splendidi
occhi grigi penetrava sino in fondo all'animo. La sua grazia,
la sua modestia e la sua estrema bontà esercitavano intorno
a lei un incanto al quale nessuno poteva sottrarsi. Sin dalla
mia infanzia, le sue visite erano per me una festa. Dopo che
ella se n'era andata, percorrevo le stanze ove aleggiava an
cora il profumo di mughetto che aspiravo con vera dc1izia.
Il granduca Alessandro, d'alta statura, bruno e molto bel
lo, aveva una forte personalità. Il suo matrimonio con la
granduchessa Senia, la giovane sorella di Nicola Il, aveva
rotto la tradizione che obbligava i membri della casa regnan
te a sposare principesse straniere di sangue reale. Egli era
entrato per vocazione nella scuola navale e fu per tutta la
sua vita un marinaio convinto e appassionato. Persuaso del
la necessità di costruire una flotta potente, era riuscito a far
condividere questa convinzione all'imperatore, ma si trovò
a dover lottare con l'opposizione dei grandi pontefici della
marina, gli stessi che furono poi responsabili del disastro
della guerra russo-giapponese. Il granduca prese attiva par
te allo sviluppo della marina mercantile di cui gli era stato
affidato il ministero, creato per suo consiglio. Diede le di
missioni il giorno in cui lo zar firmò il manifesto che con
vocava la prima Duma. Nondimeno accettò il comando di
un gruppo di torpediniere nel Baltico, felice di ritrovarsi a
bordo di una nave.
Incrociava nelle acque della Finlandia, quando un tele
gramma da Gàscina, dove la granduchessa si era stabilita
con i figliuoli, lo chiamò al capezzale del figlio Teodoro, gra
vemente ammalato di scarlattina. Tre giorni dopo appren
deva dal cameriere, restato a bordo della nave ammiraglia,
che l'equipaggio, risoluto ad ammutinarsi, aspettava il suo
ritorno per catturarlo quale ostaggio. Egli ascoltò, sconvolto,
il saggio verdetto del cognato: «: Il governo non può correre
il rischio di lasciare un membro della famiglia imperiale
nelle mani dei rivoluzionari ». Così si era espresso Nicola Il.
Il granduca prese come pretesto, per allontanarsi, la salute
dei figli e, con la morte nell'anima, partì per l'estero.
Prese in affitto una villa a Biarritz dove trascorse molti
mesi con la famiglia. Doveva tornarvi regolarmente negli
anni successivi. Qui ebbe notizia della traversata della Ma
nica compiuta da Blériot. Il granduca era stato uno dei pri
mi a entusiasmarsi per l'aviazione nascente. L'impresa di
Blériot lo riportò nella lotta in quanto intravvide la neces
sità di dotare la Russia eli apparecchi più pesanti dell'aria.
Si mise in relazione con Blériot e Voisin, e partì per la Rus
sia con idee e progetti precisi. Vi fu accolto con sorrisi sar
castici.
«: Se vi ho ben compreso, Altezza imperiale », disse il ge
nerale Sukhomlinov, ministro della Guerra, « voi proponete
di introdurre il giocattolo di Blériot nell'esercito? Posso chie
dervi se i nostri ufficiali abbandoneranno il servizio per an
darsene a volteggiare sul Passo di Calais o se la fantasia si
svolgerà qui, a Pietroburgo? ».
Essa si svolse a Pietroburgo, ch'ebbe, nella primavera del
1909, la sua prima settimana di aviazione. Il generale Su
khomlinov la giudicò «: superlativamente divertente, ma pri
va di qualsiasi interesse per la difesa nazionale :.. Il gran
duca poté tuttavia posare, tre mesi dopo, la prima pietra
della scuola d'aviazione che, nel 19 14, doveva fornire la mag
gior parte dei nostri piloti e dei nostri osservatori.
Un giorno, durante una passeggiata a cavallo, incontrai
una deliziosa fanciulla accompagnata da una dama at
tempata. I nostri sguardi si incontrarono, e l'impressione
che ella mi fece fu talmente viva che fermai il cavallo per
seguirla con gli occhi mentre si allontanava. Nei giorni se
guenti, rifeci la stessa passeggiata alla stessa ora con la spe
ranza di incontrare di nuovo la mia bella sconosciuta. Ella
non si fece vedere e io rincasai molto triste. Ma un pome
riggio il granduca Alessandro e la granduchessa Senia ven
nero a farci visita accompagnati dalla principessa lrina, lo
ro figlia. Immagini il lettore quale sorpresa e quale gioia
provassi riconoscendo la fanciulla incontrata per istrada !
Questa volta potei completare a mio agio la maravigliosa
bellezza di colei che doveva diventare la compagna della
mia vita.
CAPITOLO VII
6s
servare quel che accadeva intorno a noi. Era uno spettacolo
terribile. Tutti coloro che ci circondavano, veri relitti umani
dei due sessi, giacevano seminudi, sudici e ubriachi. Da ogni
parte si sentivano saltare i tappi; gli uomini vuotavano d'un
sorso la loro bottiglia di vodka, poi la gettavano addosso al
vicino. Quei miserabili litigavano, s'ingiuriavano, si accop
piavano, vomitavano gli uni sugli altri. Il fetore che regnava
nell'ambiente era spaventoso. Nauseati da quello spettacolo
immondo, non tardammo ad andarcene.
Una volta all'aperto, respirai a pieni polmoni l'aria fre
sca della notte. Stentavo a credere alla realtà di ciò che
avevo visto. Come, in un'epoca come la nostra, un governo
poteva tollerare che esseri umani fossero ridotti a condizioni
d'esistenza tanto abbiette? Per molto tempo fui come osses
sionato dal ricordo di quell'atroce visione.
Il travestimento doveva conferirci davvero un bell'aspet
to, perché stentammo a farci riconoscere dal nostro porti
naio, il quale si rifiutò per qualche tempo di !asciarci rien
trare in casa.
6g
Prima di tutto mi recai da mia madre. Stava seduta da
vanti allo specchio e la sua cameriera la pettinava per la
notte. Vedo ancora l'espressione del suo volto e i suoi occhi
splendenti di felicità : « Tutte le voci riguardanti il duello
sono false », mi disse, « tuo fratello è venuto a parlarmi que
sta sera. Tutto è accomodato. Non puoi immaginare come sia
felice ! Temevo tanto più questo duello, in quanto Nicola
compirà in questi giorni i ventisei anni ». Appresi allora la
strana fatalità che sembrava gravare sulla famiglia Yussu
pov sin dalle sue origini: tutti gli eredi, eccettuato uno, mo
rivano prima di aver raggiunto l'età di ventisei anni. Mia
madre, che aveva avuto quattro figli dei quali Nicola e io
eravamo i soli sopravvissuti, non aveva mai cessato di tre
mare ora per l'uno ora per l'altro di noi. L'avvicinarsi del
ventiseiesimo compleanno di Nicola, in coincidenza con la
minaccia del duello, l'aveva sprofondata nella più terribile
angoscia. Abbracciai mia madre che versava lacrime di gioia
e mi avviai verso il ristorante dove Nicola mi aveva dato
appuntamento. Non avendolo trovato, lo cercai invano per
tutta la città e rincasai più preoccupato che mai. Dopo le
predizioni che mi erano state fatte e le rivelazioni della
mamma, la scomparsa di Nicola non poteva che aumentare
la mia angoscia. Egli stesso mi aveva detto come il suo duel
lo fosse imminente. Certo aveva voluto trascorrere con me
quell'ultima sera. Quale circostanza imprevista glielo aveva
impedito? Pieno di idee funebri, finii tuttavia per addor
mentarmi.
Al mattino, il domestico lvan venne a svegliarmi sgo
mento : « Venite presto, è accaduta una terribile disgra
zia!... ». Preso da un improvviso presentimento, balzai dal
Ietto e corsi da mia madre. Sulle scale incontrai molti dei
nostri servitori col viso sconvolto, ma nessuno rispose alle
mie domande. Grida laceranti venivano dal gabinetto di to
letta di mio padre. Entrai e lo vidi pallidissimo, ritto ac
canto a una barella sulla quale giaceva il corpo di Nicola.
Mia madre, inginocchiata accanto alla barella, sembrava aver
perduto la ragione...
Soltanto a fatica riuscimmo a strapparla dal corpo di
70
suo figlio e a stenderla sul letto. Quando fu un po' calmata,
mi fece chiamare, ma, scorgendomi, mi p rese per mio fra
tello, e allora si svolse una scena atroce che mi lasciò im
pietrito per l'emozione e lo sgomento. Più tardi, m�a madre
cadde in preda a una grande prostrazione; e quando tornò
in sé, non mi permise di allontanarmi neppure per un istante.
Il corpo di mio fratello fu posto nella cappella. Comin
ciarono allora le lunghe ed estenuanti cerimonie funebri e
la sfilata di tutti i nostri parenti e amici. Qualche giorno
dopo partimmo per Arkhangelskoie, dove doveva aver luo
go l'inumazione nella tomba di famiglia.
La granduchessa Elisabetta Fiodorovna si trovava tra gli
amici che ci aspettavano alla stazione di Mosca e ci accom
pagnò ad Arkhangelskoie. Una grande quantità di contadini
assistettero al servizio funebre. La maggior parte piange
vano, e tutti ci manifestarono nel modo più commovente la
loro partecipazione al nostro dolore.
La granduchessa rimase per qualche tempo con noi. La
sua presenza, benefica per tutti, fu, in modo particolare,
di grande aiuto per mia madre la cui disperazione era im
mensa. Mio padre, molto chiuso per natura, dissimulava il
proprio dolore, ma era facile rendersi conto ch'era annientato.
Quanto a me, mi sentivo come ossessionato da un desiderio
di vendetta che mi avrebbe probabilmente indotto a com
piere qualche gesto eccessivo se la granduchessa non fosse
riuscita a calmarmi.
Avevo appreso le circostanze del duello, che si era svolto
a mattino avanzato nella proprietà del principe Belosselsky,
nell'isola Krestovsky. L'arma era la pistola e la distanza tra
gli avversari era stata fissata a trenta passi. Dopo il segnale,
Nicola aveva fatto fuoco in aria. Il suo avversario aveva
sparato contro di lui, ma senza colpirlo. Allora aveva voluto
che la distanza fosse ridotta a quindici passi. Nicola aveva
fatto fuoco di nuovo in aria. L'ufficiale aveva mirato e spa
rato uccidendolo sul colpo. Non era stato un duello, ma un
assassinio. Più tardi, mettendo in ordine le carte di mio fra
tello, trovai una corrispondenza che mi rivelò la parte tene
brosa recitata in questa faccenda da un certo Scinsky, oc-
71
cultista molto noto. Appariva chiaro dalle lettere che Nicola
era diventato il suo succubo. L'occultista scriveva a mio fra
tello che egli, Scinsky, era il suo angelo custode e che la vo
lontà di Dio lo guidava ; gli aveva presentato come un obbligo
il matrimonio con la ragazza di cui era innamorato e lo aveva
poi indotto a seguirla a Parigi. Egli faceva sempre l'elogio
della ragazza e consigliava Nicola a essere riservato nei rap
porti con i miei genitori e con me.
Prima di lasciarci, la granduchessa mi fece 'prom.ettere
che, non appena mia madre si fosse sentita meglio, sarei
andato a farle visita a Mosca per parlare con lei del mio
avvenire. Lo stato di salute di mia madre migliorò, ma ella
non doveva più rimettersi dal dolore provocato dalla morte
del figlio.
74
di Mosca. Nella nuova residenza, la granduchessa acquistò
ben presto una grande popolarità. Conduceva la stessa vita
attiva di Pietroburgo, suddividendo il proprio tempo tra gli
obblighi mondani e numerose opere di carità.
Il 17 febbraio 1 905, mentre il granduca attraversava il
Cremlino e giungeva sulla piazza del Senato, un terrorista
gettò nella sua carrozza una bomba che lo fece a brani. In
quel momento la granduchessa era occupata nel laboratorio
da lei organizzato al Cremlino per confezionare indumenti
di lana destinati alle truppe di Manciuria. Al rumore del
l'esplosione, uscì di corsa, senza neanche indossare un so
prabito. Vide sulla piazza il cocchiere ferito e due cavalli
uccisi. Il corpo del granduca era stato letteralmente ridotto
a brandelli, e questi erano sparsi sulla neve. La granduchessa
li raccolse con le proprie mani e li fece trasportare nella cap
pella del suo palazzo. La violenza dell'esplosione era stata
tale che alcune dita del granduca, nelle quali erano ancora
infilati gli anelli, vennero trovate sul tetto di una casa vi
cina. Tutti questi particolari ci furono comunicati dalla
granduchessa in persona. L'annuncio della tragedia ci aveva
raggiunto u Pietroburgo, e noi eravamo subito accorsi a
Mosca.
La calma e la serenità della granduchessa suscitavano
l'ammirazione di tutti. Ella trascorse in preghiere i giorni
che precedettero i funerali, e attinse dai propri sentimenti
cristiani il coraggio per compiere un passo che stupì quanti
la conoscevano: si fece condurre nella prigione in cui era
rinchiuso l'assassino, e chiese di essere introdotta nella sua
cella.
« Chi siete voi ? ), chiese l'attentatore.
« La vedova di colui che avete ucciso. Perché avete com
messo questo delitto? » .
Nessuno seppe mai quale fu esattamente il seguito del
loro colloquio. Le versioni che circolarono erano tutte più
o meno fantasiose. Taluni hanno affermato che, dopo la vi
sita della granduchessa, l'assassino fu visto piangere dispe
ratamente, con la testa tra le mani. Di certo v'è questo, che
la granduchessa scrisse all'imperatore per impetrare la gra-
75
zia del prigiOniero, e che Nicola II gliel'avrebbe accordata,
se l'assassino non avesse rifiutato di chiederla in persona.
Egli scrisse anzi alla granduchessa, negando di aver dimo
strato o di provare un qualsiasi pentimento e respingendo
in anticipo la grazia che ella cercava di ottenere per lui.
La granduchessa andò all'ospedale a far visita al coc
chiere ch'era stato ferito mortalmente. Vedendola, il disgra
ziato, al quale era stata tenuta nascosta la morte del padro
ne, domandò : « Come sta Sua Altezza Imperiale? ». « Vengo
appunto da parte sua a prendere tue notizie », rispose ella.
Dopo la morte del marito, ella continuò ad abitare a Mo
sca, ma rinunciò del tutto alla vita mondana e si consacrò
interamente alle opere di religione e di carità. Distribuì ai
parenti una parte dei propri gioielli e vendette gli altri. Mia
madre comperò da lei una splendida perla nera, dono del
l'imperatore Nicola II.
Dopo aver rinunciato a tutti i propri beni, la grandu
chessa acquistò un terreno a Mosca, alla Ordinka, quartiere
della riva destra, e nel 1910 vi fece costruire il convento di
Marta e Maria di cui divenne superiora. Mossa da un'ultima
civetteria di donna elegante che aveva sempre dimostrato un
gusto raffinato, fece disegnare l'abito del suo ordine da un
artista moscovita, il pittore Nesterov : tonaca di bigello fine
grigio-perla, soggolo di lino stretto intorno al viso e un gran
de velo di lana bianca ricadente in pieghe ieratiche. Le mo
nache non erano costrette alla clausura, ma si consacravano
specialmente alla visita dei poveri e alla cura dei malati. Si
recavano anche in provincia per crearvi nuovi centri di be
neficenza. Questa organizzazione si sviluppò rapidamente ;
in pochi anni tutte le grandi città russe ebbero conventi del
lo stesso genere. Quello dell'Ordinka dovette anzi essere in
grandito : vennero costruiti una chiesa, un ospedale, labora
tori, scuole di tirocinio e aule scolastiche. La superiora abi
tava in una casetta di tre stanze, ammobiliata semplicemen
te ; riposava su un letto di legno, senza materasso e con un
guanciale di fieno. Non dormiva mai se non poche ore, quan
do non passava la notte al capezzale di un ammalato o a
vegliare un morto nella cappella ; le cliniche e gli ospedali
76
le inviavano i casi disperati, dei quali assumeva personal
mente la cura. Così, un giorno le fu portata una donna che
aveva rovesciato una stufa a petrolio accesa. Gli abiti le si
erano incendiati e tutto il suo corpo non era più che una
sola piaga ; era apparsa la cancrena, e i medici la conside
ravano perduta. Con una dolce e coraggiosa ostinazione, la
granduchessa si mise a curarla. La medicazione richiedeva
ogni giorno più di due ore, il fetore delle piaghe era tale che
varie infermiere svennero. E tuttavia la malata guarì in po
che settimane, guarigione che allora fu considerata mira
colosa.
La granduchessa non ammetteva che i morenti fossero
ingannati circa il loro stato ; si sforzava, al contrario, di pre
pararli alla mor:te e di ispirar loro la fede nella vita eterna.
Durante la guerra del 1914, ella estese ulteriormente la
propria attività caritatevole accentrando tutti i doni che ve
nivano inviati per i feriti e creando una nuova organizza
zione. Pur avendo una nozione esatta degli avvenimenti, non
si occupava mai di politica : era troppo assorbita dal lavoro
per pensare a qualcos'altro. La sua popolarità aumentava
ogni giorno. Quando usciva, la folla si inginocchiava sul suo
passaggio e faceva il segno della croce ; i poveri venivano
a baciarle le mani e le vesti quando scendeva di carrozza.
Nonostante tutto il bene che faceva, c'era chi criticava
il suo nuovo modo di vita. Taluni giungevano a dire che,
abbandonando il palazzo e distribuendo i propri beni ai
poveri, la sorella della zarina aveva offeso la dignità impe
riale ; la stessa imperatrice non era lontana dal condividere
questa opinione. Le due sorelle non si intendevano gran che.
Convertite entrambe alla religione ortodossa, erano entram
be ferventemente pie, ma capivano la nostra religione in
modo affatto diverso. L'imperatrice cercava volentieri ]e vie
complicate e pericolose, per cui si gettò in balìa di un mi
sticismo esaltato che fu uno dei motivi della sua p erdita.
La granduchessa adottò invece la giusta via, unica e vera,
quella dell'umanità e dell'amore ; la sua fede era semplice co
me quella di un bambino. Ma la causa principale del suo di
saccordo con la zarina risiedeva nella cieca fiducia che que-
77
st'ultima accordava a Rasputin. La granduchessa, che lo con
siderava un impostore, un servo di Satana e nulla più, non
nascondeva il proprio pensiero alla sorella. I loro rapporti
andarono sempre più allentandosi e finirono col cessare
del tutto.
La rivoluzione del 1917 non scosse in nulla la fermezza
d'animo della granduchessa. Il 1o marzo un reparto di sol
dati rivoluzionari circondò il convento. « Dov'è la spia te
desca? », gridavano. La superiora si avanzò · e rispose con la
massima calma : « Qui non ci sono spie tedesche. Questo è
un convento di cui io sono la superiora ».
Siccome essi insistevano per portarla via, rispose che era
pronta a seguirli, ma che prima desiderava dire addio alle
sue suore e ricevere, in chiesa, la benedizione del prete. I sol
dati accettarono con la condizione che una loro delegazione
presenziasse alla cerimonia.
Quando la superiora entrò nella cappella, circondata dai
soldati in armi, tutti i presenti caddero in ginocchio pian
gendo. Dopo aver baciato la croce che il prete le presentava,
ella si volse verso i soldati e li invitò a fare lo stesso: tutti
baciarono la croce. Impressionati dalla calma della grandu
chessa e dalla venerazione di cui era circondata, i soldati
uscirono in silenzio, risalirono sugli autocarri e se ne anda
rono, lasciandola libera. Qualche ora più tardi alcuni mem
bri del governo provvisorio vennero a presentarle le loro
scuse. Dichiararono di essere impotenti a domare l'anarchia
che regnava nel paese e supplicarono la granduchessa di
tornare al Cremlino, dove sarebbe stata più al sicuro. Ella li
ringraziò ma rifiutò l'offerta. Poiché, disse, aveva abbando
nato volontariamente il Cremlino, non sarebbe stata la ri
voluzione a ricondurvela ; era risoluta, se Dio lo voleva, a
restare con le sorelle e a condividerne il destino. Il kaiser
le fece proporre a varie riprese, per il tramite dell'ambascia
tore di Svezia, di rifugiarsi in Prussia, dato che la Russia
era alla vigilia di avvenimenti terribili. Egli poteva certo
saperlo meglio di chiunque altro, poiché non era estraneo
ai torbidi che agitavano il nostro paese. Ma la granduchessa
gli fece rispondere che non avrebbe mai abbandonato volon-
tariamente né il proprio amato convento né la R ussia.
Dopo questo allarme la comunità ebbe un certo tempo
di respiro. Assumendo il potere, i bolscevichi avevano con
cesso a tutte le persone che abitavano all'Ordinka l'autoriz
zazione di vivervi come per il passato. Avevano anzi inviato
loro un po' di viveri. Ma nel mese di giugno del 1 9 1 8 la gran
duchessa fu arrestata con la fedele cameriera Varvara e con�
dotta verso una destinazione ignota. Invano il patriarca
Tikhon mise in opera la propria autorità per ritrovare le
sue tracce e farla liberare. Finalmente si seppe .che era de
tenuta nella cittadina di Alapaievsk, nel governatorato di
Perm, col cugino, il granduca Sergio Mikhailovic, i principi
Giovanni, Costantino e Igor, figli del granduca Costantino
Costantinovic, e ·il figlio del granduca Paolo Alessandrovic,
principe Vladimiro Paley.
Nella notte tra il 17 e il 18 luglio, ventiquattr'ore dopo
l'assassinio dello zar e della sua famiglia, essi furono gettati,
vivi, in un pozzo di miniera. Alcuni abitanti che, da lontano,
avevano assistito alla strage, dopo la partenza dei bolsce
vichi raccontarono di essersi accostati al pozzo donde usci
vano lamenti e canti religiosi. Ma nessuno osò recare soc
corso alle vittime.
Qualche settimana dopo, l'esercito bianco entrava nella
città. Per ordine dell'ammiraglio Kolciak, i corpi di quei
martiri vennero estratti dal pozzo. Fu detto che molti di essi
avessero bendaggi fatti con un velo da suora. Posti entro
casse mortuarie, essi furono trasportati a Kharbin e di qui
a Pechino. Più tardi, la marchesa di Milford Haven fece
portare a Gerusalemme i resti della granduchessa e della
domestica Varvara. Essi furono inumati nella cripta della
chiesa russa di Santa Maddalena, in prossimità del Monte
degli Ulivi. Durante il trasporto da Pechino a Gerusalemme
la bara della granduchessa si spezzò, lasciando uscire un li
quido trasparente e profumato. Il suo corpo era rimasto in
tatto, e molte guarigioni miracolose furono operate sulla sua
tomba. Uno dei nostri arcivescovi ha raccontato che, trovan
dosi a passare per Gerusalemme, mentre pregava sulla tomba
della granduchessa, aveva visto la porta della chiesa aprus1
79
e una donna avvolta in veli bianchi attraversare la navata
e arrestarsi dinanzi all'icona dell'arcangelo san Michele.
Quando si era voltata indicando l'icona, egli l'aveva ricono
sciuta. Poi, la visione era scomparsa.
Le sole reliquie che possiedo della granduchessa Elisa
betta sono alcuni grani del suo rosario e un pezzetto di legno
della sua bara. Talvolta, questo legno sprigiona uno squisito
profumo di fiori. Ho la ferma convinzione che la qualifica di
"santa", che già le era stata attribuita dal popolo russo,
riceverà prima o poi una consacrazione ufficiale.
as
granduca Alessio, la Russia fu rattristata da quella di padre
Giovanni da Kronstadt. Già da vivo, padre Giovanni era
stato considerato un santo. Ordinato prete a vent'anni, nella
cattedrale Sant'Andrea di Kronstadt, sin dagli inizi del mi
nistero si era acquistato l'amore e la venerazione dei fedeli.
Quasi tutto il suo tempo era consacrato alla visita dei po
veri e degli ammalati. Egli dava loro sino all'ultimo soldo,
e più volte gli capitò di rincasare a piedi nudi per aver re
galato le proprie scarpe a qualche mendicante trovato lun
go la via. Un numero incalcolabile di visitatori veniva da
tutte le parti, e a volte si trattava persino di maomettani e
di buddisti, per sollecitarne l'intervento a favore dei loro ma
lati. Le guarigioni ottenute grazie alle sue preghiere erano
spesso considerate miracolose.
In occasione della nascita di uno dei miei fratelli, mia
madre si trovò in condizioni talmente gravi che i medici si
riconobbero impotenti a salvarla. Era già in coma quando
padre Giovanni fu chiamato al suo capezzale. Nel momento
in cui egli entrò nella camera, i presenti videro mia madre
aprire gli occhi e tendere le braccia verso di lui. Padre Gio
vanni s'inginocchiò accanto al suo letto e si immerse in una
lunga preghiera. Quando si rialzò, benedisse mia madre e disse
semplicemente : « Dio l'aiuterà, essa guarirà ». E infatti
fu ben presto fuori pericolo.
Dinanzi al numero sempre più grande dei penitenti, pa
dre Giovanni aveva istituito la confessione collettiva. Molte
persone che furono presenti a qualcuna di queste manife
stazioni mi dissero che il rumore delle voci nella chiesa era
inimmaginabile, giacché ognuno voleva farsi udire al di so
pra degli altri. La voce delle donne, più acuta, dominava
sempre quel coro selvaggio. Una setta femminile che si inti
tolava delle " Janite" dava a padre Giovanni le più grandi
noie. Convinte ch'egli fosse una reincarnazione di Cristo
esse si abbandonavano talvolta a manifestazioni molto pros
sime all'isterismo, come, per esempio, gettarglisi addosso e
morderlo a sangue. Per cui abitualmente egli rifiutava loro
la comunione.
Egli aveva serbato molta amicizia per mia madre e ve-
86
niva spesso a farle visita quando io ero ancora piccolo. Non
dimenticherò mai il suo sguardo chiaro e penetrante e il suo
buon sorriso. Lo rividi un'ultima volta in Crimea poco pri
ma della sua morte, e ricordo le parole che mi disse quel
giorno : « Il soffio divino è per l'anima ciò che il respiro è
per il corpo: come l'uomo non può vivere senza aria, l'anima
non può vivere senza il soffio di Dio » .
Padre Giovanni aveva settantotto anni quando, col p re
testo di una visita a un moribondo, fu attirato in un tra
nello e bastonato ferocemente. Soltanto l'intervento del coc
chiere che lo aveva accompagnato gli salvò la vita. Questi
riuscì a strapparlo dalle mani degli aggressori e a riportarlo
a casa mezzo morto. Non doveva rimettersi mai più dai col
pi ricevuti, e morì qualche anno dopo senza aver voluto ri
velare i nomi degli aggressori. La sua morte fu una grande
sventura per la Russia, e particolarmente per i sovrani che
persero in lui un saggio e fedele consigliere.
Nel corso di quello stesso inverno, un fatto misterioso ven
ne a ricordarmi una promessa scambiata tra mio fratello e
me in un tempo nel quale ci eravamo interessati di occulti
smo. Ci eravamo giurati allora che quello di noi che fosse
morto per primo si sarebbe manifestato al sopravvissuto. Tro
vandomi per qualche giorno a Pietroburgo, alla Moika, una
notte mi svegliai e, mosso da un impulso irresistibile, mi
alzai, attraversai il mio appartamento e mi diressi verso la
camera di mio fratello. Questa camera era rimasta chiusa
dal giorno della sua morte. Improvvisamente, vidi la porta
aprirsi e Nicola apparire sulla soglia. Il suo volto splendeva,
ed egli mi stendeva le braccia... Volevo slanciarmi verso di
lui, ma la porta si richiuse pian piano e non vidi più nulla.
8g
perdere tempo. Tanto la principessa quanto il vescovo mi fe
cero la più cordiale delle accoglienze e sia l'uno sia l'altro mi
consigliarono di entrare all'università di Oxford.
Munito di lettere di raccomandazione, andai a presentarmi
al rettore dell'University College, uno dei più antichi tra i
numerosi collegi appartenenti all'università di Oxford. Il ret
tore mi accolse molto gentilmente e mi pose al corrente della
vita e degli usi dell'università. Appresi così che ogni due mesi
avrei avuto una lìcenza di tre settimane e che le vacanze esti
ve duravano tre mesi. Questo comodo regolamento mi avreb
be permesso di tornare spesso in Russia. Il rettore mi fece vi
sitare il collegio e le camere degli studenti, piccole ma molto
comode e bene ammobiliate. Ce n'era una libera, al piano ter
reno. Questa era più grande delle altre, con una finestra di
fesa da un'inferriata che dava sulla strada e una seconda stan
zetta attigua. Il rettore mi disse che quell'appartamento ve
niva chiamato "il club", perché gli studenti avevano l'abitu
dine di riunirsi attorno a colui che abitava lì, per bere.
Aggiunse che durante il primo anno era obbligatorio abi
tare nel collegio, ma che nei due anni successivi avrei potuto
prendere in affitto una casa o un appartamento in città. Lo
pregai di riservarmi le due stanze per il prossimo inverno.
In Inghilterra acquistai tutta una collezione di animali per
Arkhangelskoie - un toro, quattro mucche, sei maiali e una
grande quantità di galli, galline e conigli - che furono spe
diti direttamente a Dover per essere imbarcati e inviati in
Russia. Nel viaggio di ritorno sostai alcuni giorni a Parigi per
vedere qualche amico, tra cui Reynaldo Hahn e Francis de
Croisset. Passammo insieme parecchie gaie serate musicali.
A Reynaldo piaceva molto sentirmi cantare e mi insegnava
le più deliziose melodie.
Tornai in Russia molto in forma, pieno di energia e di pro
getti. I miei genitori erano a Zarskoie Selò. Trovai mia madre
molto più calma e rassegnata. Il granduca Dimitri era impa
ziente di conoscere i particolari del mio viaggio. L'imperatrice,
che allora era ancora in buoni rapporti con mia madre, veniva
spesso a farle visita. Anch'ella mi interrogò a lungo sul mio
soggiorno in Inghilterra e sulla principessa Vittoria. Natural-
go
mente mi guardai bene di parlarle delle inquietudini che l'in
flusso di Rasputin provocava in sua sorella.
Passai l'estate ad Arkhangelskoie dove ritrovai gli animali
acquistati in Inghilterra. Mio padre, contentissimo dei miei
acquisti, mi pregò di far arrivare un secondo toro e altre tre
mucche. Spedii dunque il seguente telegramma che dava un'al
ta idea dei miei progressi nella lingua inglese: "Please send
me one man coro and three Jersey roomen". (Prego inviarmi
un uomo vacca e tre donne Jersey). L'ordinazione fu corret
tamente interpretata, come dimostrò l'arrivo degli animali, ma
un giornalista in vena di umorismo s'impadronì del testo del
telegramma che venne pubblicato dai giornali inglesi, e ciò
valse a far ridere alle mie spalle tutti gli amici londinesi.
Trascorremmo, come al solito, l'autunno in Crimea. Il tem
po scorreva rapidamente. lo studiavo l'inglese ed ero già in
ispirito a Oxford.
CAPITOLO X
starez.
La casa dei G . . era sul canale d'Inverno. Quando entrai
.
93
ti. C'era veramente qualche cosa di straordinario in quel vol
to di contadino. Non aveva gran che l'aria di un sant'uomo,
ma piuttosto di un satiro malizioso e lascivo. Ero soprattutto
colpito dall'esp ressione orribile dei suoi occhi, molto piccoli,
molto vicini l'uno all'altro, e talmente sprofondati nelle or
bite che a una certa distanza non erano neppure visibili. An
che da vicino, qualche volta era difficile vedere se fossero
chiusi o aperti, e si aveva più l'impressione di essere trafitti
da due punte di spillo che osservati da Rasputin. Il suo sguar
do era penetrante e greve insieme, il suo sorriso melato col
piva quasi quanto il suo orribile sguardo. Qualche cosa
di abbietto filtrava attraverso la sua maschera virtuosa ; egli
sembrava cattivo, astuto e sensuale. La signorina G ... e sua
madre non staccavano gli occhi da lui e non perdevano nes
suna delle sue parole.
Poco dopo Rasputin si alzò e, girando su di noi uno sguar
do di una dolcezza piena di ipocrisia, mi disse indicando la
signorina G .. : « Che amica fedele hai in lei! Devi ascoltarla,
.
95
salvezza, di rotolare allontanandomi dalle rotaie. L'espresso
di Londra passò come un ciclone e il suo soffio mi mandò a
finire in fondo al fosso. Mi rialzai senza una graffiatura. Il
mio camerata era vivo, ma in condizioni pietose, con varie
membra rotte. Quanto all'automobile, è inutile dire che dopo
il passaggio del treno non ne rimaneva gran che. Dal casello
ferroviario telefonai per far mandare un'ambulanza, e, dopo
aver accompagnato all'ospedale di Oxford il mio povero com
pagno, rincasai con due ore di ritardo; tuttavia, in conside
razione delle circostanze, evitai l'espulsione.
97
Stolypin era sfuggito a un altro attentato nel 1906. Le pru
denti misure prese negli anni seguenti avevano ristabilito l'or
dine. Quando fu ucciso da un colpo di rivoltella durante uno
spettacolo di gala cui presenziava anche lo zar, egli stava
preparando una nuova legge per lo sviluppo della proprietà
rurale e per la soppressione dei beni comunali. Morente, ab
bandonato a terra, Stolypin si rialzò, raccolse le ultime forze
e fece un gesto di benedizione verso il palco imperiale. L'as
sassino era un certo Bagrov, ebreo rivoluzionario che appar
teneva, per quanto possa sembrare strano, alla polizia segreta
ed era amico di Rasputin. L'inchiesta fu subito insabbiata,
come se si temesse qualche rivelazione imbarazzante.
La morte di Stolypin era un trionfo per i nemici della
Russia e della dinastia ; nessuno poteva più ostacolare i loro
piani criminali. Dimitri mi espresse la propria indignazione
davanti all'indifferenza dei sovrani, ch'erano, così pareva, in
capaci di misurare la gravità della situazione. L'imperatrice
gli aveva fatto questa strana osservazione : « Coloro che hanno
offeso Dio nella persona del nostro amico non possono più con
tare sulla protezione divina. Soltanto le preghiere dello sfarez,
salendo direttamente al Cielo, hanno il potere di preservarli » .
Oltre le mie licenze regolari, mi accadeva a volte di es
sere chiamato da un telegramma al capezzale di mia madre,
la cui salute rimaneva cagionevole. Una crisi particolarmente
violenta si manifestò durante un soggiorno fatto a Berlino
con mio padre. Allora questi, che sapeva come io fossi l'unico
che potesse calmarla, mi telegrafò a Oxford e io accorsi.
Con un caldo tropicale, trovai mia madre a letto, seppel
lita sotto le pellicce, con le finestre chiuse. Rifiutava ogni cibo,
soffriva di dolori atroci e i suoi urli si udivano in tutto l'al
bergo.
Sapevamo da tempo che non aveva nessuna malattia or
ganica e che i suoi mali erano puramente nervosi, per cui
chiamammo uno psichiatra, una delle celebrità del mondo me
dico berlinese. Quando arrivò lo feci entrare nella camera
di mia madre, con la quale lo lasciai a quattr'occhi. Improv
visamente, uno scoppio di risa mi giunse attraverso la porta.
Era tanto tempo che non avevo sentito ridere mia madre che
gB
ebbi un istante di stupore. Aprii la porta ; era proprio lei che
rideva di un bel riso contagioso. Il professor X era seduto
su una sedia, con una strana aria d'imbarazzo, evidentemente
sconcertato dall'ilarità della sua paziente.
« Te ne prego, portalo via ,, mi disse mia madre veden
domi entrare. « Non ne posso più, mi farà morire dal ridere ! :..
Riaccompagnai il professor X stupefatto. Quando tornai
da mia madre, non mi lasciò neanche il tempo di interrogarla.
« Il tuo famoso dottore ha p iù bisogno d'essere curato di
me », mi disse. « Ha guardato il mio orologio da notte, e che
cosa credi che mi abbia detto vedendolo fermo? "È strano !
avete notato che il vostro orologio si è fermato proprio all'ora
della morte di Federico il Grande ? " » .
Tutto sommato, l a visita d i quel medico eminente non fu
inutile, ma certamente egli non aveva preso in considerazione
la possibiltà di alleviare l'ammalata destando in lei il senso
del comico.
Partii da Berlino qualche giorno dopo, lasciando mia ma
dre in condizioni di salute molto migliori.
99
Fulham Road. Con le loro larghe sottane e le loro cuffiette
di pizzo, esse sembravano uscite da un romanzo di Dickens.
Tutto andò bene sino al giorno in cui ordinai un tappeto nero.
Evidentemente ciò fece sì che mi prendessero per il diavolo
in persona, perché da allora in poi, quando entravo nel loro
negozio, sparivano dietro un paravento al di sopra del quale
vedevo tremare le due cuffiette di pizzo. Il mio tappeto nero
ebbe un grande successo a Londra e fu molto imitato. Quella
moda provocò anzi un divorzio. Il marito di una signora in
glese che lo aveva adottato, lo considerò troppo macabro:
"O me o il tappeto nero!", disse alla fine. Sfida incauta : la
moglie scelse il tappeto.
Un pomeriggio fui chiamato al telefono da una persona
molto nota che mi chiese di presiedere con lei a un grande
pranzo ch'essa offriva al Ritz. Accettai e feci del mio meglio
per aiutarla a ricevere gli invitati, scelti tra quanto Londra
offriva di meglio. I cibi erano fini, i vini sceltissimi, l'ambien
te e i convitati gradevoli, insomma, il pranzo fu un successo.
Ma quale non fu il mio stupore quando, il giorno dopo, rice
vetti il conto che ammontava a una cifra astronomica !
Diaghilev era allora a Londra con i balletti russi. La Pau
lova, la Karsavina, Nijinski trionfavano al Covent Garden.
La maggior parte di questi artisti erano miei amici personali,
ma io avevo soprattutto una grande amicizia per Anna Pau
lova. L'avevo vista a Pietroburgo, ma allora ero ancora troppo
giovane per apprezzarla come meritava. A Londra, quando
la vidi nella Morte del cigno, mi sconvolse. Dimenticai Oxford,
gli studi e gli amici. Giorno e notte, non facevo che pensare
a quell'essere immateriale che teneva il pubblico col fiato so
speso, come incantato dal fremito delle piume bianche su cui
splendeva la macchia sanguinante di un cuore di rubini. An
na Paulova non era ai miei occhi soltanto una grande artista
dotata di una bellezza celeste : era un messaggio divino! Abi
tava nei sobborghi di Londra, in una casa graziosa, lvy House,
dove andavo spesso a trovarla. Aveva il culto dell'amicizia,
nella quale vedeva con ragione il più nobile dei sentimenti.
Me ne diede più di una prova nel corso degli anni in cui ebbi
la fortuna di vederla spesso. Ella mi conosceva bene : c: Hai
1 00
Dio in un occhio e il diavolo nell'altro 1>, mi diceva talvolta.
Una delegazione di studenti d'Oxford si recò a chieder!�
di danzare nel teatro dell'università. Siccome doveva partire
per un giro artistico e non aveva una sola serata libera sino
a quel momento, da principio rifiutò, ma quando seppe che
quegli studenti erano miei amici, promise, con grande p reoc
cupazione del suo impresario, di accomodare le cose in modo
da accontentarli. Il giorno del1o spettacolo si presentò a casa
mia con tutta la compagnia. Poiché voleva riposare p rima
della rappresentazione, la feci entrare nella mia camera e
portai i compagni a fare un giro per Oxford.
Quando tornammo dalla passeggiata, scorsi davanti alla
mia porta l'automobile dei genitori di una signorina che certe
persone male informate consideravano come la mia fidanzata.
Incontrai tutta la famiglia che scendeva le scale con aria
estremamente imbarazzata : non avendomi trovato in salotto,
erano saliti al primo piano e, aprendo la porta della mia ca
mera, avevano visto Anna Paulova addormentata sul mio letto.
Quella sera, Oxford in delirio acclamava la Paulova sul
palcoscenico del suo teatro.
In questo stesso periodo andai soggetto a strani fenomeni
che da principio attribuii a un'alterazione della vista. Tro
vandomi in una sala di teatro, in un salotto o per la strada,
certe persone mi apparivano improvvisamente avvolte da una
nube. Ciò si ripeté più volte, per cui mi risolvetti a consul
tare un oculista, il quale, dopo avermi esaminato con la mas
sima cura, mi assicurò che non riscontrava niente di anor
male. Non mi preoccupai più di questo fenomeno fino al gior
no in cui esso parve assumere un nuovo, terribile significato.
Era consuetudine che una volta la settimana, nel giorno
dedicato alla caccia a cavallo, gli amici si radunassero in casa
mia per far colazione prima della caccia stessa. Ora, fu ap
punto durante una di queste colazioni che ebbi per la p rima
volta un sinistro presentimento vedendo quella nuvola biz
zarra coprire un compagno che stava seduto di fronte a me.
Poche ore dopo, saltando un ostacolo, quel ragazzo fece una
grave caduta che mise la sua vita in pericolo per vari giorni.
Poco dopo un amico dei miei genitori, di passaggio a Ox-
101
ford, venne a colazione da me. Mentre mangiavamo, lo vidi
improvvisamente entro quella strana nebbia. Scrivendo a mia
madre, le parlai di quell'anomalia, aggiungendo d'essere per
suaso che un pericolo minacciava il nostro amico. Qualche
giorno dopo, una sua lettera mi annunciava che egli era morto.
Avendo narrato questa storia a un occultista incontrato a
Londra in casa di amici, egli mi rispose che la cosa non lo
sorprendeva. « Si tratta » , spiegò, « di una forma di doppia
vista di cui conosco parecchi esempi, specialmente in Scozia ».
Per un anno intero vissi nel terrore di vedere quella nu
vola sinistra coprire un essere caro. Ma, fortunatamente, que
sti accidenti cessarono improvvisamente come erano co
minciati.
1 02
in casa mia e si faceva invitare dovunque andassimo. La par
tenza delle cugine non interruppe le sue visite, e restammo
ottimi amici.
Quell'ultimo anno del mio sog�iorno in Inghilterra fu il
più allegro di tutti. I balli in costume erano alla moda, tanto
che ce n'era uno quasi ogni sera. Ben presto ebbi tutta una
serie di travestimenti diversi, ma quello che otteneva il mag
gior successo era sempre il mio costume russo.
Ero in ottime relazioni con un'inglese, la signora Hwfa
Williams. Nonostante l'età e una sordità notevole, il suo
brio, il suo spirito e il suo slancio erano tali che molti gio
vanotti e molte belle donne frequentavano assiduamente la
sua casa. Il defunto re Edoardo VII, che ella sapeva tenere
allegro, non poteva fare a meno di lei e la portava con sé
in tutti i suoi spostamenti. La sua casa di campagna doveva
il nome di Coomb Spring a una sorgente cui la signora Hwfa
attribuiva la virtù di ringiovanire. Ella faceva imbottigliare
quella pretesa acqua di giovinezza e la vendeva agli amici a
prezzi favolosi. I suoi roeek-ends si svolgevano sempre in una
atmosfera di folle allegria e la sua piccola corte ostentava
maniere molto libere e persino alquanto equivoche. Gli amici
potevano piombare da lei a qualunque ora, certi d'essere sem
pre bene accolti o di trovarla pronta a seguirli nei locali not
turni di Londra.
Essendo andato a passare qualche giorno nell'isola di Jer
sey, spinto dal mio interesse sempre vivo per il bestiame lo
cale, mi ero fermato sul margine di un prato per ammirare
un branco di splendide mucche. Una di esse si avvicinò alla
mia automobile, e la simpatia che credetti leggere nei suoi
grossi occhi mi fece venire il desiderio di comprarla. Da p rin
cipio il proprietario oppose qualche difficoltà, ma poi finì
col cedermela. Appena tornato a Londra mi affrettai ad an
dare dalla signora Hwfa per affidarle la mucca, che fu ac
colta con entusiasmo. Ella le mise al collo un nastro con una
campanella e la battezzò Felicita.
Felicita si addomesticò come un cane. Ci accompagnava
nelle passeggiate e ci seguiva fin quasi nell'interno della casa.
Con l'autunno venne il momento della partenza definitiva per
1 03
la Russia ; ma quando volli riprendere la mucca per mandarla
ad Arkhangelskoie, la signora Hwfa, esagerando la propria
sordità, fece finta di non capire. Scrissi su un pezzo di carta :
"Questa mucca è mia". Ella fece a pezzettini il foglio sotto
il mio naso senza leggerlo, ne gettò i frammenti in aria e li
disperse con un soffio guardandomi con aria sorniona. Da
vanti a una così evidente mala fede, risolvetti di rapire
Felicita.
Riunii alcuni amici e ci recammo, di notte e mascherati,
a Coomb Spring. Per disgrazia, il rombo del motore svegliò
il portinaio, che, credendo a un attacco di banditi, avvertì
la padrona. La vecchia signora saltò giù dal letto, afferrò una
rivoltella e cominciò a sparare contro di noi dalla finestra.
Impossibile farle capire chi eravamo. Quando tutto il per
sonale della casa fu in piedi, svegliato da quel baccano, po
temmo finalmente farci riconoscere dalla nostra vecchia ami·
ca. La perfida creatura ci fece servire una magnifica cena,
e ci offrì vini talmente squisiti e traditori che finimmo col di
menticare del tutto lo scopo della spedizione.
Il giorno precedente a quello della mia partenza per la
Russia, offrii un pranzo d'addio all'Hotel Berkley. Quel pran
zo in costume fu seguito da un ballo nello studio di un pit
tore mio amico. Il giorno dopo lasciai Londra, portando con
me, del soggiorno in quella città, i migliori e più durevoli ri
cordi. Quei tre anni passati in Inghilterra sono da annoverare
tra i più felici della mia gioventù.
CAPITOLO XI
1 07
andare a teatro e cenare con lei quasi ogni giorno. A teatro,
in genere, si addormentava sin dal primo atto, poi, risveglian
dosi bruscamente, dichiarava che la commedia era "impossi
bile" e che voleva andare altrove. Ci accadeva spesso di cam
biare due 9 tre teatri in una stessa sera. Siccome era molto
freddolosa, faceva sedere il proprio domestico fuori della por
ta del palco, con una piccola valigia piena di scialli, di sciarpe
e di pellicce. Tutti questi oggetti erano numerati. Quando per
caso non dormiva, se sentiva la minima corrente d'aria si chi
nava verso di me e mi pregava di portarle questo o quel nu
mero. Tutte queste sarebbero state inezie. La cosa peggiore
è che andava pazza per la danza. Passata la mezzanotte, del
tutto sveglia, ella poteva ballare sino all'alba.
Per mia grande fortuna, verso la fine di settembre Irina
fu ristabilita e partimmo tutti per la Crimea.
1 09
Finalmente fu stabilito che il matrimonio sarebbe stato ce
lebrato il 22 febbraio 1914, presso l'imperatrice madre, a pa
lazzo Anisc'kov. I miei genitori avevano ceduto a Irina e a
me l'ala sinistra del pianterreno rialzato della nostra casa
della Moika. Feci aprire un ingresso particolare e apportai
all'appartamento · le necessarie modifiche.
Si entrava nel vestibolo mediante una scalinata di pochi
gradini di marmo bianco ornata di statue. A destra v'erano
le sale di ricevimento che davano sul lungofiume : prima la
sala da ballo con le colonne di marmo giallo, in fondo alla
quale grandi arcate si aprivano sul giardino d'inverno. Poi
veniva il grande salone tappezzato di seta avorio e ornato di
dipinti della scuola francese del XVIII secolo. I mobili "a
collo di cigno", in legno bianco e oro, erano ricoperti della
stessa seta, ricamata a mazzolini di fiori. La mobilia del mio
salotto personale era di mogano, coperta di stoffa color verde
vivo con un ricamo centrale. Una tappezzeria azzurro-zaffiro
serviva di sfondo agli arazzi Gobelins e ai quadri olandesi.
Nella sala da pranzo ametista, grandi vetrine, che la sera ve
nivano illuminate, contenevano la collezione delle porcellane
di Arkhangelskoie. Nella biblioteca gli scaffali erano di legno
di betulla della Carelia, la tappezzeria verde-smeraldo. Tutti
i soffitti erano dipinti a mezzatinta, con stucchi di un'esecu
zione perfetta. Tappeti d'Aubusson, oggetti d'arte, lampadari
e candelabri di cristallo di rocca, completavano quell'arreda
mento. L'insieme apparteneva a quello stile che va da Lui
gi XVI all'Impero e che ha sempre goduto tutte le mie pre
dilezioni.
Sul cortile davano un oratorio e i nostri appartamenti par
ticolari : la nostra stanza da letto e il salottino di Irina esposti
a mezzogiorno, una piscina in mosaico e una stanzetta rive
stita d'acciaio con vetrine per i gioielli.
A sinistra del vestibolo d'ingresso mi ero riservato un pic
colo appartamento per il caso che avessi dovuto venire solo
a Pietroburgo. Alcune colonne e un tendaggio dividevano il
salotto in due parti ineguali, la più piccola delle quali, leg
germente sopraelevata, doveva servire da stanza da letto. La
I lO
mobilia era di mogano; la tappezzeria di tela grezza metteva
in risalto i quadri antichi. Lì accanto, v'era una saletta da
pranzo ottagonale illuminata da una vetrata e con le porte così
ben dissimulate che, quando erano chiuse, sembrava che la
piccola sala non avesse nessuna uscita. Una di queste porte
dava su una scala di servizio che portava nel sottosuolo. Era
mia intenzione sistemare in questa parte della cantina un sa
lone Rinascimento. A metà della scala, una porta invisibile
permetteva di uscire direttamente nel cortile. Da quella porta,
due anni più tardi, Rasputin doveva tentare la fuga.
I lavori erano appena terminati quendo scoppiò la Rivo
luzione. Non potemmo dunque mai approfittare di quella ca
sa, al cui abbellimento avevamo dedicato tante cure.
La granduchessa Elisabetta non doveva assistere al nostro
matrimonio; era d'opinione che la presenza di una suora a
una cerimonia così mondana sarebbe stata fuor di luogo. Ma
io andai a trovarla a Mosca qualche giorno prima. Mi accolse
con la consueta bontà e mi diede la sua benedizione. L'impe
ratore mi fece chiedere dal mio futuro suocero che cosa avrei
desiderato come dono di nozze. Pensava di offrirmi una ca
rica a corte, ma io risposi a Sua Maestà che avrebbe colmato
i miei voti accordandomi il diritto di assistere alle rappresen
tazioni teatrali nel palco imperiale. Quando gli fu trasmessa
questa risposta, Nicola si mise a ridere e assicurò che il mio
desiderio sarebbe stato esaudito. Eravamo pieni di regali ;
i più sontuosi gioielli figuravano accanto ai semplici e com
moventi doni dei contadini.
L'abito da sposa di lrina era stupendo, di seta bianca rica
mata d'argento e con un lungo strascico. Un diadema in cri
stallo di rocca e diamanti tratteneva il velo di pizzo che aveva
appartenuto a Maria Antonietta. La questione di come avrei
dovuto vestirmi fu molto discussa. Ero risolutamente con
trario a indossare la marsina di pieno giorno, ma la mia p ro
posta di sposarmi in giacchetta sollevò una vera tempesta.
Finalmente l'uniforme dei membri della nobiltà - finanziera
nera con bavero e pistagne ricamati in oro e calzoni di panno
bianco - mise tutti d'accordo.
III
Tutti i membri della dinastia che si sposavano con una
persona che non fosse di sangue reale dovevano firmare una
rinuncia al trono. Per quanto lontana ne fosse, prima di spo
sarmi lrina dovette sottoporsi a questa formalità, cosa che
fece con l'aria di non esserne per nulla spiacente.
.
Il giorno delle nozze una carrozza tirata da quattro ca
valli bianchi andò a prendere la mia fidanzata e i suoi genitori
per portarli al palazzo Anisc'kov. Il mio arrivo mancò invece
di decoro. Il vecchio ascensore asmatico, che portava al piano
in cui si trovava la cappella, si arrestò a metà strada, tanto
che la famiglia imperiale e l'imperatore in persona dovettero
darsi da fare per liberare il promesso sposo immobilizzato.
Accompagnato dai genitori attraversai molte sale, già piene
di invitati in gran toletta e in uniformi gallonate, per rag
giungere la cappella dove andai ad attendere lrina nei posti
a noi assegnati.
La sposa fece ingresso al braccio dell'imperatore, che la
condusse accanto a me. Quand'ella fu al mio fianco, la fun
zione ebbe inizio. Secondo un rito in uso nei matrimoni russi,
uno dei preti distese dinanzi a noi il tappeto di seta rosa sul
quale gli sposi devono camminare durante la cerimonia. La
tradizione vuole che quello dei due congiunti che vi posa il
piede per primo sia destinato a esercitare il comando nella
famiglia. lrina era risoluta a essere lei la prima, ma il suo
piede s'impigliò nel lungo strascico, e io ne approfittai per
sopra vanzarla.
Terminata la cerimonia, ci mettemmo in testa al corteo
per recarci nella sala di ricevimento, dove fummo collocati
dinanzi ai sovrani per ricevere i rallegramenti abituali. La
sfilata durò più di due ore ; lrina era sfinita. Dopo di ciò ci
recammo alla Moika dove i miei genitori ci avevano preceduti
e ci aspettavano ai piedi delle scale per offrirei il pane e il
sale tradizionali. Ricevemmo poi i rallegramenti dei domestici,
e la stessa cerimonia si ripeté al palazzo del granduca Ales
sandro.
Finalmente giunse l'ora della partenza. Una folla di pa
renti e di amici ci aspettava alla stazione. Dovemmo di nuovo
112
-
-
stringere mani e ricevere complimenti. Dopo le ultime effu
sioni, salimmo nel nostro vagone. Un grosso tartufo nero emer
geva da una profusione di fiori : il mio Punch era lì, e troneg
giava gravemente tra i cesti e i mazzi floreali. Nel momento
in cui il treno si mise in moto, vidi allontanarsi la figura so
litaria di Dimitri rimasto sul marciapiede.
1 15
con gran dispiacere di Irina e dei domestici europei. La nuova
recluta si chiamava Tesfé ed era arrivato a Gerusalemme
fuggendo dal proprio paese in seguito a non so che delitto.
Era un selvaggio, ma un selvaggio intelligente ; imparò pre
stissimo il russo e ci si mostrò sempre molto devoto. Debbo
tuttavia riconoscere che non tardò ad attirarci molte secca
ture. Avevamo lasciato la Palestina per l'Italia. A Napoli
dovetti subire le proteste del gerente dell'albergo, perché
Tesfé aveva fatto vari tentativi di violentare le cameriere,
senza parlare delle due vecchie inglesi che si lamentavano
di non poter mai entrare nel bagno dove Tesfé si era stabilito
in permanenza occupato nel giuoco entusiasmante di far scor
rere continuamente l'acqua del roater-close{. Per molto tempo
fu impossibile convincerlo a coricarsi in un letto : si ostinava
a dormire sul pavimento, nel corridoio, davanti alla nostra
porta.
A Napoli ritrovammo la nostra automobile, e partimmo,
in compagnia di Tesfé e di Punch, per un viaggio di pochi
giorni attraverso l'Italia. Avevamo mandato i domestici ad
aspettarci a Roma, e anche Irina dovette riconoscere che, in
questa occasione, Tesfé si rivelò un'eccellente cameriera.
Dopo aver passato qualche giorno a Roma, partimmo per
Firenze. Qui avevo molte conoscenze, ma le frequentai poco,
perché desideravo essere solo con Irina in questa ch'era la
città preferita da entrambi. Il giorno prima della partenza
vidi davanti alla Loggia dei Lanzi una figura che mi parve
familiare. Era quel principe italiano soprannominato "bam
bino", che avevo conosciuto a Londra quando le mie belle
cugine abitavano in casa mia. Lo presentai a Irina e lo invitai
a pranzo con noi. Era molto mutato; aveva perduto tutta la
sua gioia di vivere e la sua gaiezza infantile. Venne il giorno
dopo ad assistere alla nostra partenza e ci assicurò che lo
avremmo ritrovato ben presto a Parigi e a Londra. Qualche
settimana dopo, invece, apprendemmo che si era ucciso. Mi
aveva scritto una lettera d'addio che mi commosse profon·
damente.
1 16
Al nostro passaggio da Parigi, il vecchio Chaumet venne
a portarci i gioielli di lrina rammodernati durante la nostra
assenza. Aveva impiegato bene il tempo : le cinque guarni
zioni che aveva composto, di diamanti, perle, rubini, sme
raldi e zaffiri, erano l'una più bella dell'altra. Esse furono
molto ammirate a Londra in occasione dei ricevimenti dati
in nostro onore. Debbo dire però che nessun ornamento po
teva aggiunger qualcosa alla bellezza di lrina.
A Londra alloggiammo nel mio vecchio appartamento da
scapolo che avevo conservato. Ero felice di trovarmi per così
dire a casa mia e di rivedere tutti gli amici inglesi. Subito
dopo il nostro arrivo fummo presi nell'ingranaggio della vita
mondana che non tardò ad accaparrarci interamente. C'erano
a Londra anche i miei suoceri e l'imperatrice madre che abi
tava presso sua sorella, la regina Alessandra, a Marlborough
House, dove andavamo spesso a farle visita.
Una mattina fummo destati dal rumore di un alterco da
vanti alla nostra porta. Infilai una vestaglia e andai a vedere
che cosa succedesse. Trovai la regina Alessandra e l'impera
trice che discutevano con Tesfé, il quale rifiutava di !asciarle
entrare. L'imperatrice, a corto d'argomenti, lo minacciava col
suo ombrello. Dopo essermi scusato per il mio abbigliamento,
spiegai che Tesfé conosceva soltanto la propria consegna e
che, essendo andati a letto tardi, gli avevamo dato l'ordine
di non lasciar entrare nessuno.
In mezzo alle feste mondane della grande stagione londi
nese ci giunse la notizia dell'assassinio dell'arciduca Fran
cesco Ferdinando. Poco dopo ricevemmo una lettera dei miei
genitori che ci pregavano di andarli a raggiungere a Kissin
gen, dove mio padre si trovava in cura.
CAPITOLO XII
1 19
vamo a non occuparci di p olitica e a restare in Germania
"per sempre". Ne rimanemmo atterriti. Mia madre ebbe una
crisi di nervi e parlò di andare in persona a trovare l'im
peratore. Passai il foglio al diplomatico spagnuolo perché
prendesse conoscenza di questa clausola stravagante.
« Com'è possibile che vi si chieda di firmare una . simile
sciocchezza ? », esclamò dopo aver letto il documento. « C'è
sicuramente un errore. È stato scritto "per sempre" in luogo
di "per tutta la durata del1a guerra" » .
Dopo una breve discussione, invitammo i l tedesco a far
rettificare il testo del documento e a riportarcelo la mattina
seguente, alle undici. Mio padre tornò da Sverbeev in com
pagnia del diplomatico spagnuolo. Fu stabilito che quest'ul
timo avrebbe chiesto al ministro degli affari esteri, von Ja gow,
di mettere a disposizione dell'ambasciatore di Russia un treno
speciale per i membri del1'ambasciata e per quelli dei suoi
compatrioti che avessero desiderato lasciare la Germania. Una
lista con i nomi degli eventuali viaggiatori gli sarebbe stata
comunicata al più presto. Sverbeev assicurò mio padre che
i nostri nomi e quelli del nostro personale sarebbero stati
inclusi nella lista. Quello stesso giorno gli fece sapere che
l'imperatrice madre di Russia e la granduchessa Senia erano
passate per Berlino. Apprendendo che noi eravamo al
l'Hotel Continental, esse avevano espresso il desiderio di ve
derci e di portarci in Russia con loro. Ma era ormai troppo
tardi : anche la loro situazione stava facendosi tragica, e il
treno imperiale aveva dovuto lasciare in fretta la stazione di
Berlino per sottrarsi alle manifestazioni di una folla ostile che
spezzava i vetri e strappava gli stoini dalla vettura in cui si
trovava Sua Maestà.
La mattina dopo, per tempo, ci recammo all'ambasciata
di Russia e di qui alla stazione dove avremmo dovuto pren
dere il treno per Copenaghen. Non era stato disposto nessun
servizio d'ordine - come sarebbe stato doveroso per la par
tenza ufficiale dell'ambasciatore - e noi eravamo intera·
mente alla mercé della folla scatenata che ci scagliò sassate
lungo tutta la strada. Fu un miracolo se non finimmo. linciati.
1 20
Parecchi membri dell'ambasciata, alcuni dei quali erano ac
compagnati dalla moglie e dai figli, ricevettero violente ba
stona te sulla testa ; taluni erano sanguinanti, altri a ve
vano i cappelli e gli abiti stracciati. Poiché la nostra carrozza
era l'ultima, la folla credette che fossimo soltanto dei dome
stici, e questo ci risparmiò d'essere molestati. Pochi minuti
prima della partenza del treno vedemmo arrivare i servitori
che si erano sbagliati di stazione : nel loro sbigottimento ave
vano perduto lungo la strada tutte le nostre valige. Il mio
cameriere inglese Arturo, rimasto all'albergo con tutti i ba
gagli per far credere che non fossimo partiti definitivamente,
restò prigioniero in Germania per tutta la durata della guerra.
Quando il treno si mise in moto, provammo un vero sol
lievo. Sapemmo più tardi che l'inviato del kaiser era arrivato
all'albergo poco dopo la nostra partenza e che l'imperatore
Guglielmo, apprendendo la nostra fuga, aveva dato ordine
di farci arrestare alla frontiera. L'ordine arrivò troppo tardi
e noi passammo la frontiera senza essere inquietati. Quanto
all'aiutante di campo, il poveretto dovette andare a espiare
il proprio errore in trincea.
Arrivati a Copenaghen, senza neanche un nécessaire da
toletta, andammo ad alloggiare all'Hotel d'Angleterre, dove
ricevemmo immediatamente numerose visite : il re e la regina
di Danimarca con tutta la famiglia, l'imperatrice madre di
Russia, mia suocera e una quantità d'altre persone che si tro
vavano di passaggio nella capitale danese. Tutti erano scon
volti per causa degli avvenimenti. L'imperatrice domandò e
ottenne che parecchi treni venissero posti a disposizione dei
numerosi russi che non avevano mezzi per farsi rimpatriare.
Il giorno dopo lasciammo la Danimarca. Dal ferry-boat
che ci portava in Svezia, l'imperatrice guardava allontanarsi
la costa del paese natale con visibile emozione. Ma il suo do
vere la chiamava al fianco del popolo russo.
Al nostro arrivo in Finlandia trovammo il treno imperiale
ad attenderci. Durante tutta la strada, Sua Maestà fu fatta
segno a ovazioni entusiastiche da parte dei finlandesi. Que
ste dimostrazioni smentivano le false notizie di una insurre-
121
zione finlandese che ci erano arrivate in Danimarca. L'aspetto
generale di Pietroburgo non era cambiato in modo visibile.
Non si aveva davvero l'impressione di essere in guerra.
Ci installammo nella nostra casa della Moika. Gli appar
tamenti del pianterreno non erano ancora terminati, per cui
occupammo momentaneamente quello che in altri tempi ave
vo abitato con mio fratello. Non essendo chiamato alle armi
nella mia qualità di figlio unico, mi occupai a organizzare
ospedali nelle nostre diverse case. La presenza dell'impera
trice Maria alla testa della Croce Rossa mi facilitò le cose,
e il primo ospedale p er feriti gravi fu installato nella mia casa
della Liteinaia. Misi tutto il mio cuore nel compito che mi ero
assegnato, dicendomi ch'era meglio alleviare che infliggere la
sofferenza. Il mio personale era bene scelto: medici e infer
mieri erano tutti di prim'ordine.
1 23
to lei a narrarle, diment icando spesso la giovane puerpera
che aspettava le sue cure.
Il battesimo ebbe luogo nella nostra cappella in presenza
della famiglia imperiale. L'imperatore fu il padrino, l'impe
ratrice madre la madrina. Mia figlia, come un tempo suo
padre, per poco non annegò nel fonte battesimale.
1 28
mugic ubriacone, ladro e cozzone di cavalli, di nome Efim
Novy. Ladro di cavalli come suo padre (un oarnak, che è in
Siberia la peggiore delle ingiurie), ancor giovane, quel bric
cone aveva ricevuto dai suoi compagni il soprannome di
"Rasputnik" (il dissoluto, il predatore), donde il suo nome.
Spesso bastonato di santa ragione dai contadini, fustigato
pubblicamente per ordine dell'ispraonik, si sarebbe detto che
queste correzioni non avessero avuto altro risultato che quel
lo di renderlo più robusto e più resistente.
L'influenza di un prete risvegliò i suoi istinti mistici. Con
versione di dubbia sincerità : il suo temperamento brutale e
sensuale doveva ben presto orientarlo verso la setta dei fla
gellanti o khlystys. I proseliti di questa setta pretendevano
nientemeno che di infondere in se stessi il Verbo, di incar
nare Gesù Cristo, e di ottenere la celeste comunione attra
verso le più bestiali passioni. Confusione mostruosa, nella
quale sussistono sopravvivenze pagane e superstizioni primi
tive. Assemblee notturne riuniscono i fedeli in un isba o in
'
1 29
i principali monasteri della Siberia e della Russia, serven
dosi, per acquistare una reputazione di santità, persino delle
sue mostruose cadute alle quali fa seguire penitenze terri
bili e spettacolose. Si impone privazioni da fachiro per svi
luppare la volontà e il magnetismo dello sguardo. Nei con
venti studia i libri santi. In mancanza di una cultura elemen
tare, la sua memoria prodigiosa gli permette di raccogliere
nella mente i testi ch'è incapace di assimilare, ma che gli
serviranno non soltanto nei rapporti con gli ignoranti, ma
anche in quelli con i dotti e con la stessa zarina, laureata in
filosofia a Oxford.
A Pietroburgo è accolto nel convento di Sant'Alessandro
Nevsky, dal padre Giovanni da Kronstadt, di cui, da prin
cipio, sorprende la buona fede e che crede di riconoscere in
questo giovane profeta siberiano "una favilla di Dio".
Questa prima visita alla capitale ha spalancato dinanzi
al contadino astuto e privo di scrupoli nuove prospettive.
Egli torna al villaggio natale con più vaste ambizioni e con
la borsa piena. Dapprincipio frequenta il basso clero, più
o meno colto, ma poi, a poco a poco, riesce ad acquistarsi la
considerazione degli arcipreti e degli igumeni che, anch'essi,
lo vedono "segnato dal sigillo di Dio".
E tuttavia il diavolo non ci perde nulla. A Zaryzin viola
una suora col pretesto di esorcizzarla. A Kazan lo si vede
uscire da un postribolo, spingendo davanti a sé una ragazza
nuda che fustiga a colpi di cintola. A Tobolsk seduce la mo
glie religiosa di un ingegnere e la innamora di sé al punto
che essa grida il proprio amore dappertutto e si fa una gloria
della sua vergogna. Che importa ! Tutto è permesso a un
khlyst, e un ravvicinamento intimo con lui deve essere con
siderato come una grazia di Dio.
La sua reputazione di santità diventa ogni giorno più gran
de. La folla s'inginocchia al suo passaggio : « Nostro Cristo,
nostro salvatore, prega per noi, poveri peccatori ! Dio ti ascol
terà... ,. E lui : « Nel nome del Padre, del Figlio e dello Spi
.
rito Santo, io vi benedico, fratellini miei. Abbiate fiducia!
Cristo tornerà presto. Pazientate in ricordo della sua agonia !
Per amore di Lui, mortificate la vostra carnei :..
1 30
Questo è l'uomo che, nel 1906, un giovane missionario
credente, colto, ma di una ingenuità infantile, presentò al
l'archimandrita Theofano, rettore dell'accademia teologica di
Pietroburgo e confessore della zarina. E fu proprio quel
l'onesto e pio prelato a introdurlo e appoggiarlo negli am
bienti devoti della capitale.
Il profeta siberiano non fece molta fatica a soggiogare una
parte notevole della società pietroburghese, dedita alla ne
gromanzia e all'occultismo. Le due granduchesse montene
grine ( 1 ) erano predestinate a diventare le più fervide am
miratrici dell' "uomo di Dio". Già nel 1900 esse avevano in
trodotto il mago Filippo alla corte di Russia ; ancora loro, nel
1906, presenteranno Rasputin all'imperatore e all'imperatrice.
La raccomandazione dell'archimandrita Theofano dissiperà gli
ultimi dubbi dei due sovrani: « Gregorio Efimovic è un sem
plice. Le Vostre Maestà non potranno ascoltarlo senza pro
fitto, giacché quella che parla per la sua bocca è la voce
della terra russa. Io conosco i suoi peccati : sono innumere
voli, e nella maggioranza dei casi abbominevoli ; ma v'è in
lui una tale forza di contrizione e una così ingenua fede nella
misericordia celeste, che io mi sento quasi di farmi garante
della sua salvezza eterna. Dopo ogni pentimento, egli è puro
come il bambino appena lavato dall'acqua lustrale. Dio lo
favorisce manifestamente con la sua predilezione ».
Con grande chiaroveggenza e con molta astuzia, Rasputin
si guarderà bene dallo spogliarsi dell'involucro contadine
sco : « È un mugic di suola grossa che è entrato nel palazzo
imperiale e ne calca i pavimenti », dirà di se stesso. Il suo
ascendente sui sovrani non è dovuto all'adulazione, al con
trario : egli parla loro rudemente, con una familiarità audace
e persino triviale, con "la voce della terra russa". Maurice Pa
léologue, allora ambascia tore di Francia a Pietroburgo, rac
conta come, avendo domandato a una dama se subisse il fa
scino dello starez, questa gli rispondesse : « lo?... nemmen
per sogno!... Fisicamente mi disgusta ; ha le mani sudice, le
{1) Si tratta della granduchessa Miliza e della granduchessa Stana di Monte
negro, sorelle della regina d'Italia; la prima aveva sposato il granduca Pietro
Nicol � ievic, la seconda il duca di Linchtenberg. Le due principesse, assai impo
polan a corte, erano chiamate "Le due cornacchie" a causa del loro colorito
bruno. [N. d. T.(
unghie nere, la barba incolta. Puh !... Confesso, tuttavia, che
mi diverte. Ha un brio e una fantasia straordinari. A volte
è anche molto eloquente ; ha il dono delle immagini e un sen
so profondo del mistero ... È, a volta a volta, familiare, iro
nico, violento, allegro, assurdo, poetico. E oltre a ciò, nes
suna posa. Al contrario, una disinvoltura inaudita, un cini
smo sbalorditivo... » (1).
Anna Wirubov, dama d'onore e confidente della zarina,
divenne ben presto un'amica e un'alleata preziosa per Ra
sputin. Quest'Anna Wirubov, nata Taneev, donna priva di
grazia e di bellezza, era stata una delle mie compagne di
gioventù. Diventata nel 1903 dama d'onore dell'imperatrice,
aveva sposato quattro anni dopo l'ufficiale di marina Wi
rubov. Il matrimonio fu celebrato con gran pompa nella
cappella del Gran Palazzo di Zarskoie Selò, e l'imperatrice
fu testimone per la sposa. Qualche giorno prima della ceri
monia, l'imperatrice aveva voluto che Anna avesse un col
loquio con Rasputin. Impartendole la benedizione, Rasputin
aveva detto alla fidanzata : « Il tuo matrimonio non durerà
a lungo, tu non sarai felice ». Predizione che si rivelò esatta.
La giovane coppia s'installò a Zarskoie Selò, in una villa
vicina al Palazzo Alessandro. Una sera, rincasando, Wiru
bov trovò chiusa la porta di casa e seppe che l'imperatrice
e Rasputin erano da sua moglie. Attese la loro partenza per
entrare nella villa, e fece poi una scenata alla moglie, per
ché le aveva formalmente proibito di ricevere lo starez. Si
dice anzi che la picchiasse. Anna fuggì e corse a rifugiarsi
dall'imperatrice, scongiurandola di proteggerla contro suo
marito che, così disse, voleva ucciderla. Il divorzio fu pro
nunziato ben presto.
Quella faccenda, che fece molto chiasso a causa delle
persone che vi si trovarono immischiate, portò con sé con
seguenze disastrose. L'imperatrice sostenne la sua protetta,
e Rasputin ne approfittò per asservire definitivamente An
na, che da allora fu soltanto un docile strumento nelle sue
mani.
La Wirubov non era degna dell'amicizia che le dimo-
(l) MAURICE PAUOLOGUE - La Russia des Tzars.
strava l'imperatrice. Il suo attaccamento era sincero, ma non
certo disinteressato. Era l'attaccamento di una creatura in
feriore e servile per una sovrana inquieta e malata, che essa
si sforza,va di isolare destando la sua diffidenza verso tutte
le altre persone che la circondavano. La sua intimità con
l'imperatrice valeva già ad Anna Taneev una situazione pri
vilegiata, ma l'apparizione di Rasputin le aprì nuovi oriz
zonti. Ella era certo troppo limitata per aver mire politiche
personali, ma l'idea di recitare la parte della persona in
fluente, fosse anche soltanto come intermediaria, la inebria
va. Grazie a lei, Rasputin verrà messo al corrente dei se
greti più intimi dei sovrani, e sarà lei a facilitare le sue in
trusioni continue negli affari di Stato.
L'influenza dello sfarez non tardò a estendersi anche agli
ambienti politici. Postulanti d'ogni genere assediavano la sua
casa : alti funzionari, membri del clero, donne della buona
società, ecc. Egli aveva scovato un prezioso ausiliario nella
persona del terapeuta orientale Badmaiev, individuo tarato
che esercitava la medicina senza diploma e pretendeva di
.
aver portato dalla Mongolia piante medicinali e ricette ma
giche da lui strappate non senza fatica, così diceva, agli
stregoni tibetani. La verità è ch'egli stesso fabbricava le dro
ghe procurandosene gli elementi da un farmacista suo com
plice. Faceva così commercio di stupefacenti, narcotici, ane
stetici e afrodisiaci che battezzava : Elisir del Tibet, Balsamo
di Nyen-Cen, Essenza di loto nero, ecc. Questi due ciarlatani
erano fatti per comprendersi e associarsi.
1 33
ma non si dirà mai abbastanza ciò che spiega e, fino a un
certo punto, scusa questo accecamento.
La principessa Alice di Hesse aveva fatto il proprio in
gresso in Russia dietro una bara, ed era salita sul trono senza
aver avuto il tempo di conoscere la sua nuova patria e di ac
quistare un minimo di familiarità col popolo sul quale era
chiamata a regnare. Diventata immediatamente il punto di
mira di tutti gli sguardi, ella sentì crescere la timidezza e il
nervosismo che le erano peculiari e che la fecero accusare di
freddezza e di indifferenza. Non ci voleva di più perché la
giovane zarina fosse considerata altera e sprezzante. La fede
mistica che ella aveva nella propria missione e il desiderio ar
dente di venire in aiuto al marito, doppiamente impressio
nato dalla morte del padre e dalle difficoltà del potere, la
spinsero a occuparsi degli affari di stato. Ben presto si rim
provererà all'imperatrice di amare troppo il potere, e all'im
peratore di non esercitarlo abbastanza. Comprendendo di non
essere riuscita a guadagnarsi la simpatia del popolo russo
e, ancor meno, quella della corte e dell'aristocrazia, la gio
vane sovrana si chiuse sempre più in se stessa.
La sua conversione alla religione ortodossa aveva svilup
pato in lei la naturale tendenza a un misticismo esaltato che
la preparava a subire l'ascendente di Rasputin, come, in pre
cedenza, aveva subìto quello dei maghi Papus e Filippo.
Ma fu soprattutto la terribile malattia dello zarevic a fare
dell'infelice zarina uno strumento passivo nelle mani del
l' "uomo di Dio". Nulla poté scuotere la fiducia di quella
madre in colui che le appariva come il protettore della vita e
della salute del suo bambino. E quel figlio tanto amato e
tanto aspettato, per la vita del quale non cessava di tremare,
era l'erede del trono! Speculando appunto sulle angosce di
un padre e di una madre e sulle loro preoccupazioni dina
stiche, Rasputin riuscirà a regnare da padrone su tutte le
Russie.
È fuor di dubbio che lo starez possedeva un potere ipno
tico. Il ministro degli Interni Stolypin, che lottò apertamente
contro di lui, ha raccontato come, allorché egli aveva fatto
chiamare alla sua presenza Rasputin, questi avesse tentato
1 34
di ipnotizzarlo: « Egli fece scorrere su di me i suoi occhi in
colori e proferì sentenze misteriose e incoerenti tratte dalla
Bibbia, mentre faceva gesti strani con le mani. E io sentivo
ingigantire in me un irresistibile impulso contro quella cana
glia che mi sedeva di fronte ; egli cominciava a produrre su
di me una forte impressione morale. Nondimeno riuscii a do
minarmi e lo fermai brutalmente, dicendogli ch'egli era in
teramente in mio potere » .
Stolypin che, nel 1906, era sfuggito per miracolo a un pri
mo attentato, fu assassinato qualche mese dopo quel colloquio.
La condotta scandalosa dello starez, la sua occulta in
fluenza sulle deliberazioni del potere supremo, l'oscenità dei
suoi costumi, finirono tuttavia per preoccupare gli ambienti
più chiaroveggenti della capitale. Persino la stampa, sfidando
i rigori della censura, denunciava l'ignominia del "sant'uo
mo". Rasputin pensò che fosse prudente eclissarsi, almeno
momentaneamente. Nel mese di marzo del 191 1 riprese il
bordone di pellegrino e partì per Gerusalemme, poi per Za
ryzin, dove trascorse l'estate in casa di uno dei suo accoliti,
il monaco Eliodoro. Al suo ritorno, nei primi mesi dell'in
verno, le orge ripresero più sfrenate.
La pretesa santità dello starez non può convincere se non
coloro che lo vedono da lontano. I vetturini di piazza che lo
portano ai banias in compagnia di donne, i camerieri dei ri
storanti che lo servono durante le orge notturne, i poliziotti
segreti che vigilano sulla sua sicurezza, sanno che cosa si
debba pensare di questa santità. È facile immaginare come
tutto ciò potrà essere sfruttato dal partito della rivoluzione.
Molti di coloro che si sono prestati a introdurlo negli am
bienti pietroburghesi hanno aperto finalmente gli occhi. L'ar
chimandrita Theofano, maledicendo il proprio errore e non
potendo perdonarsi di aver introdotto Rasputin a corte, alzò
coraggiosamente la voce contro di lui : ma l'imprudente pre
lato ottenne semplicemente di farsi relegare in Tauride. Nel
lo stesso tempo la sede episcopale di Tobolsk veniva affidata
a un contadino ignorante e venale, amico d'infanzia di Ra
sputin, allo scopo di permettere al procuratore del Santo Si
nodo di proporre Rasputin per il sacerdozio. La Chiesa or-
1 35
todossa si agitò. Monsignor Ermogene, vescovo di Saratov,
si mostrò particolarmente violento. Circondato da alcuni pre
ti, tra cui il monaco Eliodoro, antico compagno dello sfarez,
ebbe con questi un colloquio tempestoso. Il candidato al sa
cerdozio non fu risparmiato : « Maledetto ! ... Sacrilego !.. For
nicatore ! ... Bestia puzzolente ! ... Vipera del diavolo! ... ». Per
finire, gli sputarono in faccia. Rasputin cercava di rispondere
vomitando le ingiurie più grossolane. Monsignor Ermogene,
ch'era un colosso, lo colpì al cranio con la sua croce petto
rale : « In ginocchio, miserabile ! ... In ginocchio davanti alle
sante icone ... Domanda perdono a Dio delle tue immonde
contaminazioni ! Giura che non oserai più ammorbare con la
tua presenza il palazzo del nostro beneamato zar ! » .
Rasputin, sudando per l a paura e perdendo sangue dal
naso, si batteva il petto, borbottando preghiere, e giurò tutto
quello che si volle fargli giurare. Ma appena poté scappare
corse a lamentarsi a Zarskoie Selò. La sua vendetta non si
fece attendere : pochi giorni dopo, monsignor Ermogene per
deva il seggio episcopale, e il monaco Eliodoro veniva ar
restato e internato in un convento penitenziale. Tuttavia Ra
sputin non ricevette mai il sacerdozio.
Dopo la Chiesa, ecco agitarsi la Duma. Il deputato Pu
risc'kevic esclama : « Voglio sacrificarmi e uccidere quella ca
naglia ! » . Vladimiro Nicolaievic Kokovzov, presidente del con
siglio, interviene presso lo zar e lo scongiura di rimandare
Rasputin in Siberia. Il giorno stesso Rasputin chiamava al
telefono un amico intimo di Kokovzov : « Il tuo amico pre
sidente ha cercato di spaventare Papà. Gli ha detto su di me
tutto il male possibile ; però senza alcun successo. Papà e
Mamma mi amano sempre. Puoi telefonarlo da parte mia a
Vladimiro Nicolaievic » . Kokovzov doveva essere esonerato
dalle proprie funzioni, nel 1914, per le pressioni di Rasputin
e della sua banda.
L'imperatore capì tuttavia ch'era necessario fare qualche
concessione all'opinione pubblica. Per una volta tanto tenne
testa alle lamentele dell'imperatrice, e Rasputin fu rimandato
al suo villaggio siberiano.
Per due anni lo starez farà soltanto qualche breve a ppa
rizione a Pietroburgo, ma continuerà egualmente a essere
consultato e obbedito. Prima di partire ha dato questo avver
timento : « So che i perfidi mi spiano. Non ascoltateli ! Se mi
abbandonate, perderete vostro figlio e la corona entro sei
mesi ».
Pare che un amico dello starez abbia avuto tra le mani
una lettera di Papus all'imperatrice, scritta verso il 1 9 1 5, che
terminava con queste parole : "Dal punto di vista cabalistico,
Rasputin è un vaso simile a quello di Pandora, e racchiude
in sé tutti i vizi, tutti i delitti, tutte le macchie del popolo
russo. Se quel vaso si spezza, si vedrà il suo terribile conte
nuto spandersi immediatamente sulla Russia" ( 1 ) .
Nell'autunno del 1912, durante un soggiorno che l a fami
glia imperiale fece a Spala, in Polonia, un accidente, appa
rentemente non grave, provocò nello zarevic una terribile crisi
di emofilia che mise in pericolo la sua vita. N ella chiesa di
Spala i popi si davano il cambio per pregare notte e giorno ;
una funzione fu celebrata a Mosca davanti all'icona mira
colosa della Vergine lverskaia ; a Pietroburgo, il popolo sfi
lava senza sosta a Nostra Signora di Kazan. Rasputin, tenuto
al corrente della situazione, telegrafò all'imperatrice : "Dio
ha visto le tue lacrime e udito le tue preghiere ; tuo figlio vi
vrà". Il giorno dopo, la temperatura scendeva ; due giorni più
tardi il bambino era fuori pericolo e la disgraziata zarina
riconfermata nella sua aberrazione.
Nel 1914 Rasputin ricevette da una contadina una coltel
lata che mise la sua vita in pericolo per varie settimane.
Contro ogni aspettativa guarì dalla terribile ferita e, in set
tembre, ricomparve a Pietroburgo. Pare che da p rincipio si
tenesse un po' in disparte. L'imperatrice è occupata della sua
ambulanza, del suo laboratorio, del suo treno sanitario. Chi
le sta accanto, afferma che non ha mai avuto una cera mi
gliore. Fatto nuovo che molti notano e di cui si rallegrano,
Rasputin non si presenta più al palazzo senza prima telefo
nare. Ma v'è intorno a lui tutta una cricca di personaggi m-
( l ) Citato da MAURICE PALtOLOGUE - La Russia des Tzara.
1 37
fluenti che hanno legato la propria fortuna alla sua, e ben
presto egli è più potente che mai.
Nel luglio 1915 il nuovo procuratore del Santo Sinodo,
Sasarin, fece presente all'imperatore che egli non avrebbe po
tuto conservar� le proprie funzioni se Rasputin continuava
a dirigere dietro le quinte l'amministrazione ecclesiastica. Egli
ottenne dal sovrano l'ordine di allontanamento dello starez,
ma un mese dopo costui era di ritorno.
CAPITOLO XIV
1 39
Pietroburgo. Confidai la mia risoluzione a questo amico SI
curo e gli chiesi se fosse disposto a darmi il suo aiuto.
Mi rispose affermativamente, senza esitare.
Questa conversazione si era svolta proprio il giorno del
ritorno di Dimitri, col quale
. m'incontrai il giorno dopo. Non
mi nascose che l'idea di sopprimere Rasputin lo ossessionava
da molto tempo, ma che ancora non aveva escogitato i mezzi
per riuscirei. Mi comunicò le impressioni poco incoraggianti
che portava dal Gran quartier generale. Era intimamente per
suaso che le pozioni propinate all'imperatore come medicine
avessero lo scopo e il risultato di paralizzare la sua volontà.
Aggiunse che avrebbe dovuto tornare di lì a poco al Quar
tier generale, ma che certo non vi sarebbe rimasto a lungo,
perché il generale Woeikov, comandante del Palazzo, sem
brava ben risoluto ad allontanarlo dalla persona del sovrano.
Il capitano Sukhotin venne a trovarmi in serata. Gli ri
ferii la mia conversazione col granduca e ci accordammo su
bito per fissare un piano d'azione. Fu stabilito che io dovessi
prima di tutto riavvicinarmi a Rasputin e acquistarne la fi
ducia, allo scopo di ottenere da lui stesso informazioni sulla
sua azione politica.
Non avevamo ancora rinunciato a ogni speranza di allon
tanarlo con mezzi pacifici, come l'offerta di una grossa som
ma di denaro. Rimaneva da stabilire quale sarebbe stato il
modo di esecuzione nel caso che fosse apparso inevitabile
ricorrere alla violenza. Proposi di tirare a sorte quello tra noi
che si sarebbe incaricato di abbattere lo starez a colpi di
rivoltella.
1 43
Questo tentativo di difendere la sua reputazione fece an
dar così in collera Rasputin, che picchiò il pugno sul tavolo
insultando le due donne, le quali tacquero immediatamente.
Poi, volgendosi di nuovo a me :
« Ebbene », riprese, « verrai con me? Io ti guarirò... ve
drai ... Più tardi mi ringrazierai. Porteremo con noi anche lei ».
E indicò la signorina G ... che si fece tutta rossa. Sua madre
si agitò.
« Gregorio Efimovic », gli disse, « che cosa vi prende? Per
ché vi calunniate ? e perché immischiate mia figlia in questa
faccenda? Essa vuole soltanto pregare Dio con voi, e voi
volete condurla dagli zingari. È male parlare così ... » .
« Che ti viene in mente ? », l e rispose Rasputin, gettando
su di lei uno sguardo cattivo. « Non sai che con me si può
andare dappertutto senza peccare? Che cosa hai oggi? Quan
to a te, mio caro », continuò rivolgendosi di nuovo a me,
« non darle retta, fa come ti dico, e tutto andrà bene ».
La proposta di andare dagli zingari non mi sorrideva gran
che, ma, non volendo rifiutare in modo reciso, risposi evasi
vamente che, appartenendo al corpo dei paggi, mi era vietato
frequentare luoghi di divertimento.
Ma Rasputin era attaccato alla propria idea. Mi assicurò
che mi avrebbe travestito in modo che nessuno ne avrebbe
saputo niente. Nondimeno non ottenne nessuna risposta defi
nitiva ; gli promisi di telefonargli più tardi.
Lasciandomi, mi disse :
« Voglio vederti spesso. Vieni a prendere il tè da me. Sol
tanto, avvisami prima ». E mi batté più volte la mano sulla
spalla, familiarmente.
1 45
guì, interrotta continuamente dallo squillo del telefono o dal
l'arrivo di visitatori ch'egli andava a ricevere nella stanza
vicina. Pareva che questo andirivieni lo irritasse. Durante
una delle sue assenze venne recato nella sala da pranzo un
cesto di fiori. V'era appuntato un biglietto.
« Che sia per Gregorio Efimovic? », domandai alla signo
rina G ...
Mi rispose con un cenno affermativo del capo.
Rasputin tornò subito, non guardò neanche i fiori ; sedette
al mio fianco e si versò una tazza di tè.
« Gregorio Efimovic », gli dissi, « vi offrono fiori come a
una prima donna » (1).
Egli si mise a ridere.
« Tutte queste donne sono delle sciocche, e mi vtztano. Mi
mandano fiori tutti i giorni. Sanno che mi piacciono ».
Poi si rivolse alla signorina G ... :
« Vai un momento nell'altra camera, devo parlare con lui ».
Ella obbedì e uscì dalla sala da pranzo.
Quando fummo soli, Rasputin avvicinò la sedia e mi pre
se la mano.
« Ebbene, mio caro, il mio appartamento ti va? Vieni dun
que a trovarmi più spesso, te ne troverai bene ».
E intanto mi guardava fissamente negli occhi.
« Non aver paura di me », continuò con voce carezzevole.
« Vedrai, quando mi conoscerai meglio, che uomo io sia. lo
posso tutto. Se Papà e Mamma mi dànno retta, a maggior ra
gione puoi darmi retta tu. Li vedrò proprio oggi e dirò loro
che hai preso il tè a casa mia. Ne saranno molto contenti ».
L'idea che i sovrani sarebbero stati messi al corrente della
mia visita non mi garbava molto. Sapevo che l'imperatrice
non avrebbe tardato a informare della cosa la Wirubova, e
che questa, venendo a conoscenza della mia "amicizia" per
lo starez avrebbe certo concepito qualche giusto sospetto, per
ché conosceva fin troppo bene la mia opinione su Rasputin,
del quale le avevo parlato più volte in altri tempi.
< Sentite, Gregorio Efimovic », gli dissi, « sarebbe preferi
bile che non parlaste di me. Se i miei genitori fossero infor-
(l) l o italiano nel testo.
mati che vengo da voi, mi farebbero dei rimproveri che vo
glio evitare a qualunque costo ».
Rasputin si dichiarò d'accordo con me e mi promise di
non dir nulla. Si mise poi a parlare di politica, criticando la
Duma dell'impero.
« Non fanno altro che dir male di me, e questo disturba
lo zar. Ma non ne avranno ancora per molto. Ben presto farò
sciogliere la Duma e manderò i deputati al fronte. Vedranno
allora a che servono le loro chiacchiere, e si ricorderanno
di me ».
« Ma dite un po', Gregorio Efimovic, se aveste veramente
il potere di sciogliere la Duma, come vi comportereste? » .
« Ebbene, mio caro, è una cosa semplicissima. Quando sa
rai mio amico e mio alleato, saprai tutto. Per il momento ti
dirò soltanto questo: la zarina è davvero una sovrana dallo
spirito saggio e forte, io posso ottener tutto da lei. Quanto
a lui, è un'anima semplice. Non ha la stoffa del sovrano ; è
fatto per la vita di famiglia, per ammirare la natura e i fiori,
ma non per regnare. Questa è una cosa al di sopra delle sue
forze ... Allora noi gli veniamo in aiuto, con la benedizione
di Dio ».
Contenni la mia indignazione e gli chiesi col tono più na
turale se fosse ben sicuro di coloro che lo circonda vano.
« Come potete sapere, Gregorio Efimovic, ciò che costoro
aspettano da voi e quali siano le loro intenzioni? E se aves
sero progetti criminosi ? » .
Rasputin ebbe un sorriso indulgente.
« Vuoi dunque insegnare al buon Dio ciò che deve fare ?
Non è senza scopo ch'Egli mi ha inviato a fianco dell'Unto
del Signore per assisterlo. Te lo ripeto, senza di me sarebbero
già tutti · periti. Non ho molti riguardi con loro; se non obbe
discono alla mia volontà, do un pugno sul tavolo, mi alzo e
me ne vado. Allora mi corrono dietro supplicandomi : "Non
andartene, Gregorio Efimovic. Faremo tutto ciò che vuoi, pur
ché tu non ci abbandoni". Per questo, mio caro, mi amano
e mi rispettano. L'altro giorno gli parlavo di una persona
alla quale bisognava dare un posto, ma egli rimandava con
tinuamente la nomina a più tardi. Allora ho minacciato di ab-
1 47
bandonarli. "Me ne andrò in Siberia", dichiarai loro, "e voi
resterete qui soli a marcire. Se vi allontanerete da Dio sarete
causa della perdita di vostro figlio, e allora cadrete negli ar
tigli del diavolo". Ecco in che modo gli parlo. Ma non ho
ancora finito il mio compito. C'è ancora una quantità di gen
taglia, a corte, la quale non fa altro che sussurrar loro al
l'orecchio che Gregorio Efimovic è un cattivo uomo che vuole
perderli ... È assurdo. Perché dovrei volere una cosa simile?
Essi sono buoni e pii ».
« Gregorio Efimovic », risposi, « non basta che l'impera
tore e l'imperatrice abbiano fiducia in voi. Non ignorate cer
tamente quel che si dice di voi. E non soltanto in Russia si è
severi sul conto vostro; all'estero i giornali non vi trattano
con molti riguardi. Quindi io penso che se amate veramente
i sovrani, dovreste andarvene per sempre e tornare in Si
beria. Diversamente, chi sa?, potrebbe darsi che qualcuno
vi facesse un brutto scherzo ».
« Ma, mio caro, tu parli così perché non sai nulla. Dio non
permetterebbe mai una cosa simile. Se Egli si è compiaciuto
di !nviarmi al loro fianco, è che la cosa doveva andare così.
Quanto a ciò che dice la gente da nulla e a ciò che scrivono
gli stranieri, me ne infischio, ci sputo sopra ; non riusciranno
a far male che a se stessi ».
Rasputin si alzò e cominciò a misurare la stanza con pas
so nervoso. Lo osservavo con attenzione. Era diventato cupo
e preoccupato. Improvvisamente si volse verso me e, chinan
dosi, mi fissò in viso a lungo. Il suo sguardo mi gelò. Si sen
tiva in esso una forza immensa. Senza staccare gli occhi da me,
mi passò leggermente una mano sulla nuca e, con voce dolce
e insinuante, mi domandò se volessi bere un bicchiere di vi
no. Accettai. Andò a prendere una bottiglia di madera, empì
un bicchiere per sé, un altro per me e bevve alla mia salute.
« Quando tornerai a farmi visita? », domandò.
In quel momento la signorina G ... entrò nella s�la da pran
zo per ricordargli che era ora di andare a Zarskoie Selò.
< E io che chiacchieravo! Avevo del tutto dimenticato di
essere aspettato laggiù. D'altronde, il male non è grande ...
non è la prima volta che mi succede. Qualche volta mi chia-
1 48
mano al telefono, mi mandano a cercare, e . io non ci vado.
Poi, arrivo all'improvviso... Che gioia allora ! Ciò non fa che
dare maggior pregio alla mia visita. Addio, mio caro >, sog
giunse, e, volgendosi alla signorina G ... , le disse indicandomi :
« È intelligente, molto intelligente, purché qualcuno non gli
rovini lo spirito. Se continua a obbedirmi, tutto andrà bene.
Non è forse vero, piccola mia? Spiegagli bene ciò, perché lo
capisca ... Ebbene, addio; torna a farmi visita ».
Mi abbracciò.
Quando se ne fu andato, la signorina G ... e io rifacemmo
in senso inverso la scala di servizio.
« Non vi pare che ci si senta a proprio agio in casa di
Gregorio Efimovic? », mi disse la ragazza. « E come, in sua
presenza, si dimenticano tutte le miserie di questo mondo!
Ha il potere di dare all'anima un senso di calma e di se
renità ».
Non volevo contraddirla ; nondimeno le suggerii :
« Gregorio Efimovic farebbe bene · a lasciare Pietroburgo
al più presto possibile » .
« E perché? », fece lei.
« Ma perché si finirà per ucciderlo. Ne sono sicurissimo,
e vi consiglio di usare tutta la vostra influenza per fargli ca
pire il pericolo che corre. Deve partire ».
« Ma no! », esclamò spaventata. « Una cosa simile non ac
cadrà mai, Dio non lo permetterà. Capite dunque che egli è
la nostra sola consolazione, il nostro unico sostegno. Sparito
lui, tutto sarà perduto. L'imperatrice ha ben ragione di cre
dere che sino a che egli sia qui non può accadere nulla di
male a suo figlio. Anche Gregorio Efimovic lo ha affermato :
"Se sarò ucciso, lo zarevic morrà". Già vari attentati sono
stati commessi contro di lui, ma Dio ce l'ha conservato. Ora
è talmente prudente e così ben sorvegliato che noO: c'è nulla
da temere per lui » .
Eravamo giunti alla casa dei G ...
« Quando vi rivedrò? » , mi domandò la mia compagna.
« Telefonatemi quando lo avrete rivisto >.
Ero ansioso di sapere quale impressione avesse p rodotto
.
su Rasputin il nostro ultimo colloquio. La speranza di allon-
1 49
tanarlo senza violenza si faceva sempre più chimerica. Egli
si sentiva potente e credeva di essere perfettamente al sicuro.
Non c'era da pensare a offrirgli denaro perché evidentemente
disponeva di mezzi notevoli, e se era vero che egli lavorava,
sia pure non del tutto coscientemente, per la Germania, è
certo che per questa via si procurava somme infinitamente
più importanti di quelle che noi avremmo potuto mai of
frirgli.
1 53
essere gradito a Dio, devi soffocare in te ogni sentimento
d'orgoglio >.
Rasputin scoppiò in una risata cinica. Era alticcio e in
vena di confidenze.
Mi confessò di quali mezzi si servisse per domare l'or
goglio:
< Ecco, mio caro », disse fissandomi con uno strano sorriso,
1 54
c: Ce n'è di tutti i generi, mio caro. Allo zar diamo un tè che
fa scendere in lui la grazia divina. La pace regna nel suo
cuore e tutto gli sembra buono e gaio. D'altronde >, proseguì,
c: che razza di zar è? Egli è un bimbo del buon Dio. Vedrai
1 57
Non si trattava dunque più di stabilire se Rasputin do
vesse scomparire, ma soltanto se spettasse proprio a me to
glierlo di mezzo. Il primo piano che avevamo concepito,
quello di ucciderlo nel suo stesso appartamento, doveva es
sere abbandonato. In piena guerra, mentre si preparava una
grande offensiva e nello stato di tensione in cui si trovavano
gli animi, l'aperto assassinio di Rasputin rischiava d'essere
considerato come un atto di ostilità verso la famiglia impe
riale. Bisognava farlo scomparire senza che nessuno sapesse
mai quali fossero le circostanze· della sua morte né quali no
mi avessero i suoi uccisori.
Supponevo che i deputati Maklakov e Purisc'kevic, che
avevo udito attaccare violentemente lo starez dall'alto della
tribuna, fossero disposti a consigliarmi e fors'anche a pre
starmi il loro concorso. Risolvetti di andarli a trovare. Mi
sembrava importante ottenere la partecipazione dei diversi
elementi della nazione. Dimitri apparteneva alla famiglia
imperiale, io ero un membro della nobiltà, Sukhotin era uf
ficiale ; desideravo che un membro della Duma fosse dei no
stri. Mi rivolsi dapprima a Maklakov. La conversazione fu
breve. In poche parole gli esposi il mio piano e gli doman
dai la sua opinione. Maklakov evitò di darmi una risposta
precisa. La sua indecisione e la sua diffidenza si riflettevano
nella domanda che mi fece :
« Perché vi siete rivolto proprio a me ? ».
« Sono stato alla Duma e ho sentito il vostro discorso ».
Ero persuaso che nel suo intimo approvava le mie inten-
zioni. Ma quell'atteggiamento mi deluse. Mancava di fiducia
verso di me o temeva di trovarsi immischiato in una peri
colosa avventura? Comunque sia, capii in breve che non c'era
da far conto su di lui.
Ben diversa fu l'accoglienza di Purisc'kevic. Appena gli
ebbi comunicato l'intenzione di farla finita con Rasputin,
mi assicurò il proprio concorso con la vivacità e l'ardore
abituali. Credeva tuttavia di dovermi avvertire . che Raspu
tin era ben sorvegliato e che non mi sarebbe stato facile
arrivare sino a lui.
« È già fatto >, gli dissi.
158
E gli raccontai le visite allo starez e le nostre conversa
zioni. Gli parlai del granduca Dimitri, del capitano Su
khotin e anche della mia visita a Maklakov. La riservatezza
mostrata da quest'ultimo non lo stupì; mi promise tuttavia
di parlargli e di convincerlo a unirsi a noi.
Anche Purisc'kevic era d'avviso che Rasputin dovesse
scomparire segretamente. Riunitici con Dimitri e Sukhotin,
risolvemmo che il veleno era il mezzo più sicuro per uccide
re lo starez senza lasciar tracce dell'uccisione.
La nostra casa della Moika fu scelta come luogo d'esecu
zione. L'appartamento che facevo sistemare nel sottosuolo si
prestava mirabilmente all'attuazione dei nostri progetti. A
tutta prima questa decisione provocò in me un sentimento
di rivolta : la prospettiva di attirare in casa mia un uomo
che avevo deciso di sopprimere, mi faceva orrore. Chiunque
fosse quell'uomo, non potevo adattarmi all'idea di tramare
la morte di un ospite.
Gli amici condividevano i miei scrupoli ; tuttavia, dopo
lunghe discussioni, risolvemmo di non mutare in nulla i l pia
no: era necessario salvare il paese a qualunque costo, anche
facendo violenza alle più legittime ripugnanze.
Accettammo il quinto complice che ci propose Purisc'kevic
nella persona di un medico del suo distaccamento, il dottor
Lazovert. Stabilimmo di far prendere a Rasputin una dose
di cianuro di potassio bastante per ucciderlo istantaneamen
te. Io avrei dovuto restare a quattr'occhi con lui mentre era
in casa mia. Gli altri si sarebbero tenuti pronti a darmi man
forte in caso di bisogno.
Ci ripromettemmo pure che, quali che fossero le conse
guenze del nostro atto, buone o cattive, non avremmo mai
rivelato la nostra partecipazione all'uccisione di Rasputin.
Qualche giorno dopo questo incontro, Dimitri e Purisc'kevic
partirono entrambi per il fronte.
Nell'attesa del loro ritorno, per consiglio di Purisc'kevic,
andai di nuovo a far visita a Maklakov. Fui gradevolmente
sorpreso dal cambiamento che trovai in lui. Egli approvò
i nostri progetti ; però, quando gli proposi di unirsi a noi,
mi rispose che molto probabilmente affari importanti lo
1 59
avrebbero chiamato a Mosca verso la metà di dicembre. Gli
confidai ugualmente il nostro piano in tutti i particolari.
Mi ascoltò con la massima attenzione ... ma non manifestò
alcun desiderio di prendere parte attiva al complotto.
Quando lo lasciai mi augurò buona fortuna e mi regalò
un rompitesta di caucciù.
« Prendetelo per ogni evenienza », mi disse sorridendo.
I6I
mente a me e mi prese la mano. I suoi occhi avevano una
strana espressione.
« Accompagnami dagli zingari ,, mi disse; « se vieni con
me, ti racconterò tutto, nei minimi particolari ,.
Acconsentii, ma in quel momento il telefono squillò : Ra
sputin era chiamato a Zarskoie Selò. Approfittando del suo
disappunto per il fatto di non poter venire con me dagli zin
gari, lo invitai a venire a passare una delle prossime sere
alla Moika. Da molto tempo egli desiderava conoscere mia
moglie. Credendo che fosse a Pietroburgo, e sapendo che i
miei genitori erano in Crimea, acconsentì a venire a casa
mia. In realtà, Trina era anch'essa in Crimea, ma io pensavo
che Rasputin avrebbe accettato più facilmente l'invito se
avesse creduto di avere la probabilità di incontrarsi con lei.
Dimitri e Purisc'kevic tornarono dal fronte qualche gior
no dopo, e fu stabilito che avrei invitato Rasputin alla Moika
per la sera del 29 dicembre. Egli pose come condizione, per
accettare, che io stesso sarei andato a prenderlo a casa sua e
lo avrei riaccompagnato. Mi raccomandò di salire per la sca
la di servizio e mi disse che avrebbe avvertito il portinaio
che un amico sarebbe venuto a prenderlo a mezzanotte.
Notai con spavento non inferiore allo stupore con quanta
facilità acconsentisse a tutto e appianasse da sé tutte le
difficoltà.
CAPITOLO XV
z 66
a buon mercato che mi dimostrò come egli si fosse molto
preoccupato della propria toletta. Non lo avevo mai visto
così pulito e così curato.
c Ebbene, Gregorio Efimovic, è ora di muoverei ; la mez-
zanotte è passat a :. .
c E gli zingari, andremo a trovar li? )),
1 69
dispetto del suo rifiuto, empii due bicchieri. Ma, come avevo
fatto prima con i biscotti, inspiegabilmente, evitai di pren
dere uno di quelli che contenevano il veleno. Mutando idea,
Rasputin accettò il bicchiere che gli tendevo. Bevette con
piacere, trovò il vino di suo gusto e mi chiese se ne facessi
mo molto in Crimea. Parve stupito di sapere che ne ave
vamo le cantine piene.
« Versami del madera » , mi disse.
Questa volta volli dargli uno dei bicchieri col cianuro,
ma egli protestò:
<�: Versa nello stesso bicchiere » .
1 73
sa che non si aspettava di leggervi. Capii che il momento
supremo era giunto.
"Signore", implorai, "dammi la forza di farla finita".
Rasputin stava sempre ritto dinanzi a me; immobile, con
la testa china e gli occhi fissi sul crocifisso. Alzai lentamente
la rivoltella.
"Dove è meglio mirare?", mi chiesi. "Alla tempia o al
cuore ?. " .
Un brivido mi scosse tutto; il mio braccio si stese. Mirai
al cuore e premetti il grilletto. Rasputin gettò un urlo e si
abbatté sulla pelle d'orso.
Per un momento fui terrorizzato scoprendo come sia fa
cile uccidere un uomo. Un semplice gesto, e quello che un
attimo prima era un essere vivo, giace a terra come una ma
rionetta cui siano stati tagliati i fili.
All'eco dello sparo gli amici erano accorsi. Nella fret
ta uno di essi aveva urtato un interruttore elettrico, per cui
eravamo piombati nell'oscurità. Qualcuno venne a sbattere
contro di me e gettò un urlo; io non mi movevo per tema di
calpestare il cadavere. Finalmente tornò la luce.
Rasputin era steso sul dorso. A tratti, i suoi lineamenti
si contraevano; anche le sue mani erano contratte. Aveva
gli occhi chiusi. Il camiciotto di seta era arrossato da una
macchia sanguigna. Ci chinammo sul suo corpo per �sami
narlo. In capo a qualche minuto lo starez, che non aveva
più riaperto gli occhi, cessò di muoversi. Il dottore stabilì
che la palla aveva attraversato la regione del cuore. Non
v'erano più dubbi : Rasputin era proprio morto. Dimitri e
Purisc'kevic lo tolsero di sulla pelle d'orso e lo deposero sul
pavimento. Spegnemmo la luce e salimmo nel mio apparta
mento dopo aver chiuso a chiave la porta del sotterraneo.
Eravamo pieni di speranza, perché avevamo la convin
zione che quell'avvenimento avrebbe salvato la Russia e la
dinastia dalla rovina e dal disonore. Conformemente al no
stro piano, Dimitri, Sukhotin e il dottore dovevano fingere
di riportare Rasputin a casa sua, per il caso che la polizia
segreta ci avesse seguiti a nostra insaputa. A tale scopo, Su
khotin si sarebbe fatto passare per lo starez indossando la
1 74
sua pelliccia e il suo berretto e sarebbe uscito in compagnia
di Dimitri e del dottore nell'automobile scoperta di Purisc'ke
vic. Dovevano poi tornare alla Moika nella vettura chiusa
del granduca per prendere il cadavere, che sarebbe stato
trasportato nell'isola Petrovski.
Purisc'kevic e io restammo alla Moika. Attendendo il ri
torno degli amici, parlammo dell'avvenire della patria, li
berata ormai per sempre dal suo cattivo genio. Come imma
ginare che coloro ai quali la morte di Rasputin stava per sle
gare le mani, non avrebbero voluto o saputo approfittare
di quel momento unico?
Mentre parlavamo, fui preso improvvisamente da una
strana inquietudine, e un subito impulso mi spinse a scen
dere nel sottosuolo dove stava il corpo di Rasputin. Que
sti giaceva nel punto stesso in cui lo avevamo lasciato. Gli
tastai il polso e non percepii alcuna pulsazione. Era proprio
morto. Non so perché, afferrai improvvisamente il cadavere
per le braccia e lo scossi violentemente. Si piegò da un lato,
poi ricadde.
Dopo essere rimasto per qualche tempo accanto a esso,
mi disponevo ad andarmene quando la mia attenzione fu
richiamata da un trasalimento quasi impercettibile della pal
pebra sinistra. Mi chinai su di lui e lo osservai con atten
zione; fremiti leggieri contraevano il suo viso.
Di botto, vidi spalancarsi l'occhio sinistro... Qualche
istante dopo la palpebra destra cominciò a tremare a sua
volta, poi si sollevò. Vidi allora i due occhi di Rasputin, due
occhi verdi di vipera, fissi su di me con un'espressione di
odio satanico. Il sangue mi gelò nelle vene, tutti i miei mu
scoli assunsero la rigidezza della pietra. Volevo fuggire, chia
mare aiuto, ma le gambe si rifiutavano di obbedire e nessun
suono mi usciva dalla gola contratta.
Ero come in un incubo, inchiodato alle lastre di granito.
Allora accadde una cosa atroce. Con un movimento su
bitaneo e violento, Rasputin balzò in piedi, con la schiuma
alla bocca. Era una visione spaventevole. Un ruggito sel
vaggio risonò sotto la volta e io vidi le sue mani convulse
brancolare nell'aria. Poi si gettò su di me ; le sue dita cer-
' 75
cavano di afferrarmi alla gola, e si affondavano come tena
glie nella mia spalla. Gli occhi gli uscivano dalle orbite, il
sangue colava dalle sue labbra.
Con voce bassa e rauca, Rasputin continuava a chiamar
mi per nome.
Sarebbe impossibile descrivere l'orrore dal quale fui in
vaso. Tentai di liberarmi dalla stretta, ma ero preso come in
una morsa. Allora cominciò tra noi una lotta terribile.
Quell'essere che moriva avvelenato, con la regione car
diaca attraversata da una palla, quel corpo che le potenze
del male sembravano aver rianimato per vendicarsi della
loro sconfitta, aveva qualche cosa di così spaventoso, di così
mostruoso, che non posso evocare questa scena senza un bri
vido d'orrore.
Mi parve di comprendere meglio di quanto lo avessi com
preso sino a quel momento chi fosse veramente Rasputin.
Provavo l'impressione di aver da fare con Satana in per
sona, incarnato in quel contadino, il quale mi aveva affer
rato con i suoi artigli per non }asciarmi mai pm.
Con uno sforzo sovrumano riuscii a liberarmi dalla sua
stretta.
Egli ricadde sul dorso, rantolando paurosamente e strin
gendo nel pugno la mia spallina che aveva strappata du
rante la lotta. Ora giaceva nuovamente immoto sul pavi
mento. In capo a qualche istante, si mosse. Balzai sulle scale
chiamando Purisc'kevic ch'era rimasto nel mio studio.
« Presto, presto, scendete », urlai; « è ancora vivo! l) ,
In quel momento sentii un rumore dietro di me; afferrai
il rompitesta di caucciù che, "per ogni evenienza", mi aveva
dato il deputato Maklakov e mi gettai giù per la scala, se
guito da Purisc'kevic che toglieva la sicura al revolver.
Trascinandosi sulle ginocchia e sul ventre, rantolando e
ruggendo come una belva ferita, Rasputin si arrampicava
rapidamente per gli scalini. Raccolto su se stesso, compì un
ultimo sforzo e riuscì a raggiungere la porta segreta che da
va sul cortile. Sapendo che quella porta era chiusa a chiave,
mi collocai sul pianerottolo superiore, stringendo fortemente
m pugno il rompitesta di caucciù.
Ma quale non fu la mia stupefazione e il mio spavento
vedendo la porta aprirsi e Rasputin scomparire nel buio
della notte ! Purisc'kevic si slanciò all'inseguimento. Due
spari risuonarono nel cortile. Il pensiero che potesse sfug
girei mi era insopportabile. Uscendo dalla scalinata princi
pale corsi lungo la Moika per fermare Rasp utin alla porta
d'uscita, nel caso che Purisc'kevic non lo avesse colpito.
Il cortile aveva tre uscite. Soltanto quella di mezzo non
era chiusa a chiave. Vidi attraverso il cancello che Rasputin
si dirigeva proprio verso di essa. Risonò un terzo sparo, poi
un quarto... Vidi Rasputin barcollare e cadere accanto a un
mucchio di neve. Purisc'kevic corse sino a lui, restò qualche
secondo vicino al corpo, poi, convintosi che questa volta tut
to era finito, si diresse a grandi passi verso la casa.
Lo chiamai, ma non mi udì.
Il lungofiume e le vie adiacenti erano deserte ; v'erano
molte probabilità che gli spari non fossero stati uditi. Rassi
curato su questo punto, entrai nel cortile e mi avvicinai al
mucchio di neve dietro il quale era caduto Rasputin, che non
dava alcun segno di vita. Ma in quel momento vidi accor
rere da un lato due dei miei servitori, dall'altro un agente di
polizia, tutti e tre richiamati dalle detonazioni.
Andai incontro all'agente e mi rivolsi a lui collocandomi
in modo da costringerlo a voltare le spalle al punto in cui
giaceva Rasputin.
c: Altezza », disse quello riconoscendomi, < ho udito alcuni
1 77
Al solo pensiero che potesse rialzarsi di nuovo, lo spaven
to mi invase. Corsi verso la casa e chiamai Purisc'kevic che
era scomparso. Mi sentivo male, vacillavo; udivo sempre la
voce sorda di Rasputin chiamarmi per nome. Benché bar
collante, arrivai sino al gabinetto di toletta e bevetti un bic
chier d'acqua. In quel momento entrò Purisc'kevic.
<! Ah ! eccovi qui ! E io che vi cercavo dappertutto »,
esclamò.
Avevo la vista appannata ; credetti di esser sul punto di
cadere. Purisc'kevic mi sostenne e mi accompagnò nello stu
dio. C'eravamo appena seduti, quando il cameriere venne ad
annunciarmi che lttgente di polizia col quale avevo parlato
poco prima desiderava vedermi ancora. Gli spari erano stati
uditi al posto di polizia, e l'agente di servizio era stato chia
mato a dare spiegazioni su ciò che era accaduto. Poiché la
sua versione non era stata giudicata soddisfacente, la po
lizia insisteva per avere particolari più precisi.
Vedendo entrare l'agente, Purisc'kevic gli disse con voce
forte :
« Hai sentito parlare di Rasputin? Era lui che tramava
la perdita della nostra patria, quella dello zar e dei soldati
tuoi fratelli, era lui che ci tradiva a profitto dei tedeschi,
capisci? ».
L'agente, che non comprendeva che cosa significasse tutto
ciò, se ne stava zitto, con un'espressione inebetita.
« E sai chi sono io? », proseguì Purisc'kevic. c: Tu hai da
vanti a te Vladimiro Mitrofanovic Purisc'kevic, membro del
la Duma. I colpi di pistola che hai sentito hanno ucciso Ra
sputin. Se ami la patria e ]o zar, non dirai nulla :..
Sgomento, ascoltavo quelle parole stupefacenti, pronun
ciate così in fretta che non ebbi tempo d'intervenire. Pu
risc'kevic era talmente eccitato che non si rendeva conto di
ciò che diceva.
« Avete fatto bene », finì col dire l'agente. < Non riferirò
nulla, ma, se sarò obbligato a prestar giuramento, bisognerà
pure che dica tutto ciò che so; nascondere la verità, sarebbe
un peccato :..
E così dicendo uscì, molto impressionato.
Purisc'kevic gli corse dietro.
In quel momento il cameriere venne a dirmi che il cada
vere di Rasputin era stato trasportato sul pianerottolo in
feriore della scala. Mi sentivo molto male; la testa continuava
a girarmi, potevo appena camminare. Mi alzai a fatica, presi
macchinalmente il rompitesta di caucciù e uscii dallo studio.
Scendendo la scala, scorsi il corpo di Rasputin disteso
sul pianerottolo. Il sangue sgorgava dalle su� numerose fe
rite. Un lampadario lo illuminava dall'alto, mettendo in
evidenza i minimi particolari del suo volto sfigurato. Era
uno spettacolo profondamente ripugnante.
Avevo voglia di chiudere gli occhi e di fuggire molto lon
tano, di dimenticare, non fosse che per un istante, l'orribile
realtà. E nondimeno, nonostante tutto, mi sentivo attirato
verso quel cadavere. La testa mi scoppiava, le mie idee si
accavallavano. Ebbi allora qualcosa di simile a un accesso di
follia. Mi buttai su quel corpo e cominciai a colpirlo rab
biosamente col rompitesta di cui ero armato. In quel mo
mento non conobbi più né legge umana né legge divina.
Purisc'kevic mi disse più tardi che quella scena era stata
talmente orribile che mai avrebbe potuto dimenticarla.
Quando, con l'aiuto di lvan, m'ebbe strappato il cadavere
dalle mani, ero svenuto.
Nel frattempo Dimitri, Sukhotin e il dottor Lazovert tor
narono con l'automobile chiusa per prendere il corpo di Ra
sputin. Quando Purisc'kevic ebbe narrato loro ciò ch'era
accaduto, risolvettero di !asciarmi tranquillo e di andarsene
senza di me. Avvolsero il cada vere in una grossa tela e lo
caricarono sull'automobile che partì per l'isola Petrovski.
Là, dall'alto del ponte, lo buttarono nel fiume.
1 79
precauzioni : si trattava di spiegare i colpi di rivoltella. Ed
ecco ciò che immaginai : uno dei miei invitati, avendo bevuto
più del lecito, uscendo aveva avuto la stupida idea di spa
rare a uno dei cani da guardia.
Chiamai i due domestici che avevano assistito alla fine
del dramma e spiegai loro quel ch'era accaduto in realtà.
Mi ascoltarono in silenzio e mi promisero di serbare il se
greto. Erano quasi le cinque del mattino quando lasciai la
Moika per tornare al palazzo del granduca Alessandro.
All'idea che il primo passo per salvare la Russia era stato
fatto, mi sentivo pieno di coraggio e di fiducia.
Entrando in camera mia, trovai mio cognato Teodoro che,
nell'attesa angosciosa del mio ritorno, non aveva potuto chiu
dere occhio.
« Eccoti finalmente, Dio sia lodato! », mi disse. « Eb
bene? ».
« Rasputin è stato ucciso », risposi, « ma in questo mo
mento non sono in grado di parlare, casco dalla stanchezza �.
Prevedendo che il giorno seguente ci sarebbero stati in
terrogatori, perquisizioni, fors'anche denunce, e che avrei
avuto bisogno di tutte le mie forze per far fronte alla si
tuazione, andai subito a letto e mi addormentai di un sonno
profondo.
CAPITOLO XVI
D ormii fino alle dieci. Avevo appena aperto gli occhi, che
un domestico venne a dirmi che il generale Grigoriev, capo
della polizia del nostro quartiere, desiderava vedermi per
parlarmi di una faccenda molto importante.
c: La vostra visita », gli dissi < è provocata probabilmente
181
Sono lieto, generale », dissi, « che siate venuto a prendere
c:
voi ,,
Stavo uscendo dal salotto quando squillò il telefono. Era la
Wirubov che telefonava da Zarskoie Selò. L'imperatrice si
era sentita male ; non poteva ancora ricevermi e mi pregava di
esporle per iscritto tutto ciò che sapevo della scomparsa di
Rasputin.
Uscii, e dopo aver fatto pochi passi per la strada incontrai
un camerata del Corpo dei paggi che, scorgendomi, corse verso
di me tutto agitato.
< Felice, sai la notizia? Rasputin è stato ucciso >.
< Non è possibile. Chi lo avrebbe ucciso? ,,
c: Si dice che la cosa sia accaduta dagli zingari, ma non si
188
sità il nostro gruppo che, circondato dai gendarmi, avanzava
lungo il marciapiede.
Salii nello scompartimento per accomiatarmi da Nikita,
cosa che preoccupò molto gli agenti di polizia. Li calmai di
chiarando che non avevo nessuna intenzione di }asciarli in
asso. Dopo la partenza del treno, risalimmo in vettura per
tornare al palazzo. Mi sentivo molto stanco per quella gior
nata così movimentata. Andai in camera mia e pregai mio
cognato Teodoro e l'amico Rayner di restarmi vicino. Un po'
più tardi ci fu annunciato l'arrivo del granduca Nicola
Mikhailovic. Questa visita tardiva non presagiva nulla di
buono. Il granduca veniva evidentemente per ascoltare da
me che cosa fosse accaduto; ero stanco e non avevo voglia
di ripetere la mia versione del dramma.
Teodoro e Rayner mi lasciarono quando entrò il granduca.
« Ebbene �. mi disse quest'ultimo, « raccontami un po' che
cosa hai fatto ».
« Possibile che anche tu presti fede a tutte le voci assurde
che circolano? Tutta questa faccenda non è che una serie di
malintesi. Io non c'entro per nulla ».
« Vai a raccontarlo ad altri, non a me. lo conosco tutti i
particolari, persino il nome delle signore che si trova vano
alla tua serata >.
Queste ultime parole mi provarono che egli non sapeva
assolutamente nulla e che affermava di essere al corrente di
tutto per farmi parlare. Non so se credette alla storiella che
raccontai ancora una volta per lui ; non volle sembrare trop
po convinto e mi lasciò con aria incredula, un po' seccato di
non aver appreso nulla di nuovo.
Quando se ne fu andato, informai i miei cognati e Ray
ner della mia intenzione di andare il giorno dop o ad abitare
al palazzo del granduca Dimitri. Diedi loro istruzioni su ciò
che avrebbero dovuto rispondere se fossero stati interrogati,
e tutti e tre mi promisero di conformarsi scrupolosamente
a queste istruzioni.
Da principio gli avvenimenti della notte tornarono alla
mia mente con spaventosa chiarezza, poi i pensieri si
annebbiarono, la testa si appesantì, e mi addormentai.
1 89
Il giorno dopo, per tempo, mi recai da Dimitri. Fu molto
stupito di vedermi, perché credeva che la sera prima fossi
partito per la Crimea. Gli raccontai tutto ciò che mi era ac
caduto da quando lo avevo lasciato e gli chiesi ospitalità
per restare al suo fianco nei momenti difficili che avremmo
dovuto certamente attraversare.
A sua volta, mi raccontò che la sera prima aveva dovuto
uscire prima della fine dello spettacolo dal teatro Michele,
dove era andato a trascorrere la serata, perché era stato av
visato che il pubblico gli preparava un'ovazione. Rincasato,
apprendendo che l'imperatrice lo considerava come uno dei
principali autori dell'assassinio di Rasputin, aveva subito te
lefonato a Zarskoie Selò per chiedere un'udienza, ma aveva
ricevuto un rifiuto categorico.
La nostra conversazione si prolungò ancora per qualche
minuto, poi io mi ritirai nella camera che mi era stata as
segnata e diedi una scorsa ai giornali. Questi annunciavano
brevemente che lo starez Gregorio Rasputin era stato assas
sinato nella notte tra il 29 e il 30 dicembre. La mattinata
trascorse tranquillamente. Verso l'una del pomeriggio, men
tre facevamo colazione, il generale Massimovic, aiutante di
campo dell'imperatore, chiamò il granduca al telefono.
Dimitri tornò molto agitato.
« Sono arrestato per ordine dell'imperatrice », mi disse.
« Ella non ha nessun diritto di agire così. Soltanto l'impe
ratore può farmi arrestare ».
Mentre stavamo discutendo, venne annunciato il generale
Massimovic. Appena introdotto, questi disse al granduca :
« Sua Maestà l'imperatrice prega Vostra Altezza impe
riale di non lasciare il palazzo ».
« Che cosa significa? È un arresto? :..
« No, non siete arrestato, ma Sua Maestà insiste perché
non vi allontaniate dal palazzo ».
Allora il granduca rispose alzando la voce:
< Dichiaro che questo ordine equivale a un arresto. Dite
1 90
a Sua Maestà l'imperatrice che mi sottometto alla sua au
torità :..
Tutti i membri della famiglia imperiale che si trovavano
a Pietroburgo vennero a far visita a Dimitri. Il granduca
Nicola Mikhailovic veniva anzi parecchie volte al giorno o
ci telefonava per comunicarci le notizie più inverosimili, ser
vendosi di frasi misteriose che potevano essere variamente
interpretate. Continuava ad affermare di essere a cognizione
di tutto, nella speranza di scoprire il nostro segreto.
D'altra parte, egli si occupava attivamente per aiutare
coloro che cercavano il corpo di Rasputin. Ci avvisò che
l'imperatrice, convinta della nostra complicità nell'assassi
nio dello starez, esigeva che fossimo fucilati immediatamente.
Quella proposta, diss'egli, aveva sollevato una protesta una
nime ; lo stesso Protopopov consigliava di attendere l'arrivo del
lo zar, ch'era stato informato telegraficamente degli avveni
menti e che poteva giungere da un momento all'altro.
Nello stesso tempo appresi dalla signorina G ... che una
ventina delle più fervide settatrici di Rasputin, riunite nel
suo appartamento, avevano giurato di vendicarlo. Ella stessa
era stata presente alla scena e ci raccomandava tutte le
precauzioni necessarie per metterei al riparo da un possibile
attentato.
Questo continuo andirivieni di curiosi ci teneva in uno
stato di tensione permanente. Dovevamo stare sempre in guar
dia per evitare la parola imprudente o il semplice mutamen
to d'espressione che sarebbe forse bastato per confermare i
sospetti di coloro che ci bombardavano di domande, anche
quando, come nella maggioranza dei casi, si trattava di per
sone animate dalle migliori intenzioni. Così che vedevamo
giungere la fine della giornata con grande sollievo.
La voce, sparsasi rapidamente, di una nostra prossima
esecuzione provocò una notevole effervescenza tra gli operai
delle grandi officine che risolvettero di formare una guardia
per proteggerei.
Il 1 • gennaio, al mattino, lo zar era di ritorno a Zarskoie
Selò. Persone del suo seguito raccontarono ch'egli aveva ri
cevuto la notizia della morte di Rasputin senza fare il mi
nimo commento, ma che il suo buonumore aveva colpito
quanti gli vivevano vicino. Mai, dall'inizio della guerra, il
sovrano era parso tanto allegro. Certo credeva che la scom
parsa dello starez lo avesse liberato dalle pesanti catene che
non aveva avuto la forza di spezzare egli stesso. Ma appena fu
tornato a Zarskoie Selò ricadde sotto l'influenza dei fami
liari, e le sue disposizioni mutarono di bel nuovo.
Benché soltanto i membri della famiglia imperiale fos
sero autorizzati a entrare nel palazzo del granduca, noi riu
scivamo a ricevere altre persone di nascosto. In tal modo
parecchi ufficiali vennero a dichiararci che i loro reggimenti
erano pronti a difenderci. Si spingevano sino a proporre a
Dimitri di sostenere una parte politica. Qualcuno dei gran
duchi pensava che convenisse tentar di salvare lo zarismo
mediante un cambiamento di sovrano. Si sarebbe dovuto
marciare di notte e col concorso di alcuni reggimenti della
guardia su Zarskoie Selò. L'imperatore sarebbe stato con
vinto della necessità di abdicare, l'imperatrice chiusa in con
vento, e lo zarevic proclamato imperatore sotto la reggenza
del granduca Nicola Nicolaievic. Si pensava che la parteci
pazione di Dimitri all'assassinio di Rasputin lo designasse
in modo particolare per mettersi alla testa del moto, ed egli
fu vivamente sollecitato a spingere sino in fondo l'opera di
riscatto nazionale che aveva iniziato. Ma la lealtà vietava al
granduca di accettare proposte di quel genere.
La sera stessa in cui l'imperatore era tornato, il granduca
Nicola Mikhailovic venne a dirci che il corpo di Rasputin
era stato ritrovato presso il ponte Petrovski, in una buca del
ghiaccio. Apprendemmo più tardi ch'era stato trasportato
al ricovero dei veterani di Cesma, a qualche chilometro da
Pietroburgo, sulla strada di Zarskoie Selò. Quando l'au
topsia del cadavere fu terminata, suor Akulina, la giovane
monaca che in altri tempi Rasputin aveva "esorcizzato", si
presentò munita di un ordine della zarina e procedette, in
sieme con un infermiere, alla toletta funebre. Poi mise un
L'autore in costume di boiardo del XVI secolo ( 1 9 10 ).
L'autore con la fidanzata principessa lrina (19 14).
crocifisso sul petto dello sfarez e nelle sue mani una lettera
dell'imperatrice :
1 93
vuto da Protopopov l'incarico di vigilare con i suoi uomm1
sulla vita del granduca Dimitri. Questi fece rispondere che
non aveYa nessun bisogno di protezione da parte del mini
stro degli Interni e che vietava ai poliziotti di entrare in casa
sua. Ciò non impedì che questi continuassero a spiarci
dall'esterno. Ma ben presto vedemmo arrivare un'altra guar
dia, militare questa, inviata dal generale Kabalov, governa
tore di Pietroburgo, per invito del presidente del consiglio
Trepov, il quale aveva appreso come i fedeli di Rasputin
tramassero un complotto contro di noi. Così i nostri sorve
glianti furono a loro volta sorvegliati.
Un ospedale anglo-russo era installato al primo piano,
che comunicava mediante una scala interna con l'apparta
mento abitato dal granduca al pianterreno. Per questa via,
una banda di partigiani di Rasputin, che erano entrati nel
palazzo col pretesto di visitare i feriti, cercarono di arrivare
sino al granduca. Ma furono fermati dalla sentinella che, per
consiglio della capo infermiera, lady Sibilla Grey, era stata
posta all'ingresso della scala.
Così, noi eravamo in una fortezza assediata. Non pote
vamo seguire l'evoluzione degli avvenimenti se non attra
verso gli articoli dei giornali e i racconti di coloro che veni
vano a trovarci. Ognuno, naturalmente, esprimeva un'opi
nione o un giudizio personale. Ma, in tutti, ritrovavamo lo
stesso timore per ogni iniziativa e la stessa assenza di pro
getti per l'avvenire. Coloro che avrebbero potuto agire sta
vano prudentemente in disparte, abbandonando la Russia
al proprio destino. I migliori erano anche i più pavidi, in
capaci di unirsi per un'azione comune.
Nicola II, verso la fine del suo regno, era schiacciato sotto
il peso delle preoccupazioni e delle delusioni politiche. Fa
talista convinto, era intimamente persuaso che fosse inutile
lottare contro il destino. E tuttavia, se avesse visto i membri
della propria famiglia e i più onesti di coloro che occupa
vano le alte cariche dello stato, unirsi per salvare la Russia
e il trono, certo avrebbe ripreso fiducia e trovato l'energia
necessaria per rimettere in sesto la situazione tanto grave
mente compromessa.
1 94
Ma dov'erano gli elementi di una simile associazione ? Per
lunghi anni gli intrighi di Rasputin avevano avvelenato le
alte sfere governative e seminato lo scetticismo e la diffi
denza nei cuori più leali e ardenti. Per questo, mentre gli
uni evitavano di prendere decisioni radicali, gli altri non
credevano nemmeno più alla loro efficacia.
Quando, dopo che i nostri visitatori se n'erano andati,
ci ritrovavamo soli, ricapitolando tutto ciò che avevamo sen
tito dire nel corso della giornata giungevamo a conclusioni
tutt'altro che incoraggianti. L'una dopo l'altra, tutte le spe
ranze per la realizzazione delle quali avevamo vissuto le
terribili ore della notte tra il 29 e il 30 dicembre, crollavano.
Capimmo allora quanto fosse difficile mutare . il corso degli
avvenimenti, sia pure in nome delle idee più nobili e anche
quando si sia pronti a qualunque sacrificio.
Nondimeno non volevamo perdere tutte le speranze. Il
paese era con noi e non poneva in dubbio la possibilità di
una prossima rigenerazione. Un grande slancio patriottico
si manifestava in tutta la Russia, particolarmente nelle due
capitali. I giornali pubblicavano articoli entusiastici, addi
tando nella morte di Rasputin la fine della potenza del male
e facendo risplendere le più belle speranze. In quel momen
to essi riflettevano il pensiero del paese intero. Ma la stampa
non ebbe per molto tempo la possibilità di esprimere le
idee dell'opinione pubblica. Il terzo giorno dopo la scom
parsa dello starez apparve infatti un ordine che vietava ai
giornali sinanche di menzionare il nome di Rasputin. Ciò
non impedì al popolo di manifestare i propri sentimenti.
Una grande agitazione regnava nelle vie di Pietroburgo. I
passanti, anche senza conoscersi, si accostavano l'uno all'al
tro per rallegrarsi della morte del cattivo genio. La gente
si inginocchiava per pregare davanti al palazzo del granduca
e davanti alla nostra casa della Moika. Nelle chiese si can
tava il Te Deum e si accendevano ceri dinanzi all'imagine
di Nostra Signora di Kazan. Nei teatri, il pubblico chiedeva
l'inno nazionale, nelle mense militari si beveva alla nostra
salute, gli operai delle officine lanciavano "evviva" in no
stro onore. Montagne di lettere ci recavano, da tutti i punti
1 95
della Russia, ringraziamenti e benedizioni. È vero che i par
tigiani di Rasputin non ci dimenticavano neppur essi e ci
coprivano d'ingiurie, di maledizioni e di mina�ce di morte.
La sorella di Dimitri, la granduchessa Maria Pavlovna,
arrivata da Pskov, dov'era lo stato maggiore delle armate
del nord, ci descrisse l'entusiasmo provocato fra l11 truppe
dalla notizia della morte di Rasputin. Tutti erano convinti
che l'imperatore, finalmente liberato dall'influsso nefasto
dello starez, avrebbe saputo scegliere, tra quanti lo circon
davano, servitori leali e coscienziosi.
Di lì a qualche giorno ricevetti una convocazione del
presidente del consiglio Trepov. Mi aspettavo molto da un
tale incontro, ma anche questa volta dovetti rinunciare alle
mie illusioni. Il ministro mi aveva mandato a chiamare per
ordine dello zar, il quale voleva sapere a qualunque costo
chi fosse l'assassino di Rasputin.
Fui accompagnato sotto scorta al ministero degli Interni.
Il ministro mi ricevette molto cordialmente e mi pregò di
vedere in lui un vecchio amico della mia famiglia e non un
personaggio ufficiale.
« Suppongo », dissi, « che mi abbiate fatto chiamare per
ordine dell'imperatore ».
« Infatti ».
« Quindi tutto ciò che vi dirò sarà riferito a Sua Maestà ».
197
lizia segreta lgnatiev avevano ordine di accompagnarmi, te
nendomi isolato sino al luogo del mio confino.
A Dimitri e a me fu molto penoso separarci. I pochi gior
ni che avevamo passato insieme, prigionieri nel suo palazzo,
equivalevano a lunghi anni. Quanti sogni avevamo vagheg
giato! ... Quante speranze deluse ! Quando e in quali circo
stanze ci saremmo rivisti ? L'avvenire era cupo; ci assaliva
no sinistri presentimenti.
A mezzanotte e mezzo il granduca Alessandro Mikhailo
vic venne a prendermi per accompagnarmi alla stazione.
L'accesso al marciapiedi era vietato al pubblico. Dovunque
erano dislocati gruppi di poliziotti. Salii nel vagone col cuo
re pesante. La campana sonò, la locomotiva lanciò un fischio
stridente, il marciapiedi della stazione scivolò davanti ai miei
occhi, scomparve ... Poi toccò a Pietroburgo sprofondare nella
notte d'inverno, e il treno si mise a correre nell'ombra, attra
verso le pianure solitarie, addormentate sotto la neve.
Mi isolai nei miei tristi pensieri, cullato dal ritmo mono
tono delle ruote sui binari.
CAPITOLO XVII
1 99
suno. Un giorno ricevetti la visita del procuratore generale
incaricato dell'inchiesta sulla morte di Rasputin. Il nostro
incontro fu una vera scena da operetta. Mi aspettavo di tro
vare in quell'alto dignitario della giustizia un personaggio
severo e intransigente, contro il quale ero pronto a lottare :
vidi arrivare invece un uomo così commosso che sembrava
sul punto di gettarmisi tra le braccia. Durante la colazione
si alzò, col bicchiere di champagne in mano, per pronun
ciare un discorso patriottico e bere alla mia salute. In un
momento nel quale la conversazione si svolgeva sulla caccia,
mio padre gli domandò se egli fosse cacciatore. « No », ri
spose quel bravo funzionario che seguiva la propria idea,
« non ho mai ucciso nessuno ». Poi, accorgendosi della to
pica, arrossì violentemente.
Dopo colazione avemmo un colloquio a quattr'occhi. Co
minciò col divagare come uno che non sappia da che parte
rifarsi. Venni in suo aiuto dicendogli che non avevo niente
da aggiungere alle dichiarazioni già fatte. Parve immedia
tamente molto sollevato, e durante la conversazione, che du
rò due ore, il nome di Rasputin non fu nemmeno pronunziato.
La vita a Rakitnoie era abbastanza monotona. Le prin
cipali distrazioni consistevano nelle passeggiate in slitta.
L'inverno era glaciale, ma splendido. Il sole brillava, e non
c'era il più piccolo alito di vento; potevamo uscire in slitta
scoperta con 30" sotto zero senza soffrire il freddo. La sera
facevamo un po' di lettura ad alta voce.
201
diamo ad essi di compiere il loro patriottico e sacro dovere,
obbedendo allo zar in questa penosa prova nazionale, e di
aiutarlo, con i rappresentanti del paese, a condurre lo stato
russo verso le vie della gloria e della prosperità.
"Dio aiuti la Russia/"
Nicola.
203
giatori che occupavano gli scompartimenti vicini. Uno degli
amici che viaggiava con lui riuscì a trovare sul treno un me
dico che gli fece una iniezione calmante. Ma durante la notte
i suoi urli ricominciarono con maggior vigore. In quell'atmo
sfera di tensione generale l'incontro allucinante con quel po
vero pazzo aumentò l'impressione d'incubo di quel viaggio.
Pietroburgo ci parve molto mutata. Un disordine indescri
vibile regnava nelle strade. La maggior parte delle persone
portava la coccarda rossa. Persino il nostro autista aveva
giudicato prudente mettersi un nastro rosso per venire a pren
derei alla sta zione. « Levati quell'orribile cosa », gli intimò
mia madre esasperata.
La prima cosa cui pensai appena arrivato a Pietroburgo,
fu di andare a far visita alla granduchessa Elisabetta. Ella
mi venne incontro, mi abbracciò e mi benedì. I suoi occhi era
no pieni di lacrime.
« Povera Russia », esclamò, « che terribile prova deve su
bire ! Siamo tutti impotenti davanti alla volontà divina. Dob
biamo soltanto pregare Iddio e implorare misericordia ».
Ascoltò attentamente il racconto che le feci della tragica
notte.
« Non potevi agire diversamente da come hai fatto », ri
prese quando ebbi finito. « Il tuo gesto era un supremo tenta
tivo di salvare il nostro paese e la dinastia. Non è colpa tua
se le conseguenze non sono state quelle che speravi. La colpa
è di coloro che non hanno saputo vedere quale fosse il loro do
vere. Assassinando Rasputin, non hai commesso un delitto;
hai distrutto un'incarnazione diabolica. E non hai neanche
avuto merito nel compiere questo gesto, perché sei stato de
signato e guidato come avrebbe potuto esserlo chiunque altro ».
Mi disse che, qualche giorno dopo la morte di Raspu
tin, aveva ricevuto la visita delle superiore di vari con
venti le quali erano venute per comunicarle certi fatti preoc
cupanti avvenuti nelle loro comunità il 29 dicembre. Pare
che durante gli uffici notturni alcuni preti fossero stati colti
improvvisamente da pazzia e avessero cominciato a bestem
miare gettando grida inumane; certe suore si erano messe a
correre per i corridoi urlando come indemoniate e rialzandosi
le sottane con gesti osceni.
< Il popolo russo non è responsabile degli avvenimenti che
si preparano », proseguì la granduchessa. < Povero Nicky, po
vera Alice, che tremendo calvario li aspetta ! Sia fatta la vo
lontà di Dio! Ma quand'anche tutte le forze dell'inferno si
accanissero contro di loro, la santa Russia e la Chiesa orto
dossa resteranno incrollabili. In questa lotta allucinante, il
Bene, un giorno, trionferà del Male. Coloro che serberanno la
fede, vedranno la Luce vincere le Tenebre. Dio castiga e
perdona ».
Dal nostro ritorno, la casa della Moika era sempre piena
di gente. Quell'incessante andirivieni diventava per noi una
vera fatica. Michele Rodzianko, presidente della Duma e no
stro lontano parente, era tra i nostri più assidui visitatori.
Un giorno mia madre mi fece chiamare nel suo appartamento.
Mi vi recai con lrina e la trovai infervorata in una seria con
versazione con Rodzianko. Questi si alzò vedendomi entrare,
mi si avvicinò e mi disse a bruciapelo:
< Mosca vuole proclamarti imperatore. Che ne dici ? >.
Non era la prima volta che u divo discorsi del genere. Da
un mese, cioè da quando eravamo tornati, persone d'ogni spe
cie, ufficiali, uomini politici o gente di chiesa, mi avevano
detto la stessa cosa. Più tardi l'ammiraglio Kolciak e il gran
duca Nicola Mikhailovic vennero anch'essi a parlarmi di que
sta eventualità. Il secondo mi disse :
« Il trono di Russia non è né ereditario, né elettivo : è usur
20 7
procedevamo verso il sud, il treno si caricava per sopram·
mercato di borghesi che andavano a cercare rifugio in Cri
mea. Noi eravamo in otto, tra cui una vecchia signora e due
bambini, stipati come aringhe in uno scompartimento di
un vagone letto sconquassato.
Avevamo con noi un ragazzo sulla quindicina che si era
presentato alla Moika poche ore prima della nostra partenza.
Non so piÙ - ammesso che lo abbia mai saputo - com�,
alla ricerca di un mezzo di sussistenza, fosse finito presso di me.
A ogni modo era lì, in divisa militare e armato di una rivol
tella. Per quanto giovane, aveva evidentemente ricevuto il
battesimo del fuoco e anche combattuto valorosamente, a
giudicare della croce di san Giorgio appuntata sull'uniforme
stracciata. Il caso di quel giovane eroe mi parve interessante.
Non potendo, per mancanza di tempo, occuparmi di lui sul
posto, gli offrii di portarlo in Crimea dove gli avrei trovato
lavoro. Infelice ispirazione ! Piccolo e mingherlino, non avreb
be gran che aumentato l'ingombro del vagone se si fosse adat
tato a starsene tranquillo. Invece non cessava di agitarsi, sal
tando nella reticella dei bagagli come una giovane scimmia,
oppure uscendo dal finestrino per arrampicarsi sul tetto del
vagone, dove sparava colpi di rivoltella in aria. Tornato per
la stessa via, ricominciava a dimenarsi. Vi fu qualche mo
mento di tranquillità quando si fu sdraiato nella reticella dei
bagagli per dormire. Cominciavamo anche noi a sonnecchia
re, quando una cascata di origine sospetta ci svegliò. Il no
stro giovane compagno aveva evidentemente perso ogni
ritegno.
A Simferopoli, dove scendemmo, si perse tra la folla e non
lo rivedemmo più.
Insieme con noi arrivava la troppo celebre Bresc'kovskaia,
soprannominata "la nonna della rivoluzione russa", che ve
niva in Crimea a riposarsi delle fatiche della detenzione in
Siberia. Viaggiava nel treno imperiale, e Kerensky aveva fat
to mettere a sua disposizione il palazzo di Livadia. La città
di Yalta, interamente pavesata di stracci rossi, fece a quella
vecchia megera un'accoglienza trionfale. Correvano sulla
Bresc'kovskaia le storie più ridicole. La credenza popolare
208
-
vedeva in lei la figlia di Napoleone I e di una bottegaia di
Mosca ! Al suo passaggio per le stazioni la folla l'aveva sa
lutata al grido di "Viva Napoleone !".
209
subito accorsa, ma invano cercò di entrare nella proprietà;
tutti gli ingressi erano guardati a vista, persino i sentieri che
i soli abitanti conoscevano. Soltanto dopo che la banda se ne
fu andata ella riuscì a raggiungere la famiglia.
Da quel giorno gli abitanti di Ai-Todor furono sottoposti
a ogni genere di vessazioni. Una guardia di venticinque · sol
dati e marinai, tutte persone insolenti e grossolane, fu sta
bilita nella proprietà. Il commissario che li accompagnava
presentò il regolamento cui dovevano essere sottoposti i pri
gionieri. Dopo la lista dei divieti veniva quella delle persone
che erano autorizzati a ricevere : lrina e me, i professori dei
ragazzi, il medico e i fornitori. Di tanto in tanto, e senza
nessuna ragione, veniva proibito ai miei suoceri di ricevere
qualsiasi visita, anche quella della loro figliola. Poi, senza
maggiori spiegazioni, il divieto veniva tolto.
Quando lrina mi ebbe posto al corrente di ciò ch'era av
venuto nella mia assenza, risolvemmo di comune accordo che
essa sarebbe andata a trovare Kerensky, per chiedergli d'in
tervenire. Partimmo dunque per Pietroburgo. Ma soltanto
dopo un mese Trina poté ottenere un'udienza dal capo del
governo provvisorio.
Entrando al palazzo d' Inverno, essa vi ritrovò qualche
vecchio servitore che manifestò una gioia commovente nel
rivederla. Introdotta nell'antico gabinetto di lavoro dello zar
Alessandro Il, vide arrivare di lì a poco Kerensky, molto
cortese e persino un po' imbarazza to. A vendo egli invitato
la visitatrice a sedersi, questa rispose installandosi delibera
tamente nella poltrona del proprio bisavolo, costringendo così
il capo del governo a occupare il posto dei visitatori. Appena
ebbe capito di che cosa si trattasse, Kerensky cercò di spie
gare che la cosa non dipendeva da lui. Ma Trina, trascurando
le sue osservazioni, continuò il racconto senza rispar
miargli nulla. Alla fine, però, dovette accontentarsi della sua
promessa di fare ciò che avrebbe potuto, e uscì per sempre
dal palazzo degli antenati, salutata per l'ultima volta dai
vecchi servitori.
Nonostante gli avvenimenti e l'inquietudine generale, le
riunioni erano frequenti. Quali che siano le circostanze del
210
momento, la gaiezza e la giOia di vivere, specialmente nella
gioventù, non perdono mai i loro diritti. Di conseguenza, se
rate venivano organizzate continuamente, sia alla Moika, sia
in casa di questo o quello dei nostri amici rimasti a Pietro
burgo. Andammo persino a trascorrere una serata a Zarskoie
Selò dal granduca Paolo Alessandrovic. Dopo il pranzo le
sue due figlie, Irene e Natalia, recitarono con molta intelli
genza una commedia francese che il fratello Vladimiro aveva
composto per loro. Il granduca Michele Mikhailovic ci faceva
lunghe visite e non cessava un momento di tempestare con
tro tutto e tutti.
Verso la fine del nostro soggiorno a Pietroburgo i bolsce
vichi tentarono per la prima volta di impadronirsi del potere
con la forza. Autocarri carichi di truppe percorrevano la
città, sparando raffiche di mitragliatrici in tutte le direzioni ;
soldati sdraiati sul marciapiede puntavano il fucile non im
porta contro chi e contro che cosa. Le strade erano dissemi
nate di cadaveri e di feriti, il panico regnava nella capitale.
Questa volta, però, l'insurrezione fallì e una calma relativa
si ristabilì provvisoriamente.
Poco dopo questi avvenimenti tornammo in Crimea. Du
rante la nostra assenza una commissione d'inchiesta era stata
inviata ad Ai-Todor in seguito a una querela avanzata dalla
famiglia di mia moglie a proposito dei furti commessi durante
la perquisizione di maggio. Tutti gli abitanti della casa erano
stati interrogati separatamente. Quando venne la volta del
l'imperatrice, questa fu invitata a firmare la propria depo
sizione come : " l'ex imperatrice Maria". Ella prese la penna
e firmò: " la vedova dell'imperatore Alessandro III ".
Un mese dopo arrivò l'inviato di Kerensky. Aveva paura
di tutto e non era buono a nulla. La sua presenza non migliorò
la situazione.
In agosto apprendemmo che lo zar e la sua famiglia erano
stati condotti a Tobolsk, in Siberia. Sia che quella fosse una
misura imposta dai boscevichi o - come affermava Keren
sky - il preludio di un'azione diretta contro di loro, non era
possibile non concepire le maggiori inquietudini per la sorte
dei prigionieri imperiali. L'offerta di ospitalità fatta loro dal
21 1
re Giorgio V s'era urtata all'opposizione del governo inglese
nella persona di Lloyd George. Il re di Spagna aveva formu
lato la stessa proposta, ma i nostri sovrani l'avevano respinta
dichiarando che, qualunque cosa accadesse, non avrebbero
mai lasciato la Russia.
213
tava. Salendo in carrozza, notai che una grande croce rossa
era stata dipinta sulla facciata della nostra casa.
Il treno era rigurgitante. V'erano viaggiatori fin sul tetto
dei vagoni ; i vetri erano rotti, gli stoini strappati. Con mia
grande sorpresa, i miei compagni mi accompagnarono a
uno scompartimento chiuso a chiave e che sembrava essermi
stato riservato. Vi fummo lasciati tranquilli per tutta la notte.
A Kiev tutti gli alberghi erano pieni. Non avevo nessuna
voglia di accettare l'ospitalità offertami dall'ufficiale ; tutta
via finii per adattarmici, pur di non dormire in mezzo alla
strada. Per fortuna, dalla carrozza nella quale eravamo saliti,
vidi aprirsi la porta di una casa e uscirne una delle mie ami
che, la principessa Gagarin. Ella mi riconobbe e fece un ge
sto di sorpresa. Dopo aver fatto fermare la carrozza e pregato
il mio compagno di aspettarmi un istante, corsi a salutarla.
« Che cosa fate », mi domandò, « e come avete potuto tro
vare un letto per dormire? ».
« Che cosa faccio a Kiev ? Non mi spiacerebbe che qual
cuno me lo dicesse », risposi, « e, quanto all'alloggio, ho do
vuto accontentarmi di una soluzione che è ben lontana dal
soddisfarmi » .
Allora ella mi offrì d i andare a casa sua, cosa che accettai
con premura.
Il giorno dopo, apprendendo che il telegrafo funzionava
ancora, uscii per mandare un telegramma alla mia famiglia
che, priva di notizie, doveva essere preoccupata. Non fu una
cosa agevole. Come a Pietroburgo, il più assoluto disordine
regnava a Kiev. I colpi di fucile crepitavano da tutte le parti
e si correva il rischio a ogni momento di ricevere una pallot
tola perduta. A intervalli, le mitragliatrici spazzavano i mar
ciapiedi. Strisciai come potei sino all'ufficio postale e tornai
nello stesso modo. La mia ospite fu spaventata vedendomi ar
rivare con gli abiti laceri, il volto e le mani coperti di fango.
L'ufficiale venne a trovarmi e mi disse che la casa in cui
abitava e nella quale mi aveva offerto ospitalità era stata
distrutta da una bomba. Egli stesso doveva la vita soltanto
al fatto di aver dormito altrove.
Aprendo per caso un giornale, sobbalzai leggendo che si
ricercava un criminale il cui nome era precisamente quello
scritto sui miei falsi documenti. Avvisai immediatamente l'uf
ficiale che me ne procurò di nuovi, altrettanto falsi, e, appa
rentemente, con la stessa facilità.
In capo a una settimana gli dichiarai che non avevo l'in
tenzione di restare per sempre a Kiev dove non avevo nulla
da fare, e ch'ero risoluto a raggiungere la mia famiglia in
Crimea. Volevo inoltre ripassare da Pietroburgo per p rendere
gli indumenti che vi avevo lasciato al momento della preci
pitosa partenza. Ma il mio programma non sembrava andare
a genio all'ufficiale. Nondimeno mi promise di avvisarmi non
appena la prudenza ci avesse permesso di partire, poiché
sembrava deciso a non !asciarmi padrone di me stesso. Due
giorni dopo tornò a dirmi : « Preparatevi a partire domani >.
Infatti il giorno seguente venne a prendermi, accompagnato
dal misterioso accolito.
Arrivato alla stazione di Pietroburgo comperai un gior
nale e lessi queste parole: « Il principe Yussupov è stato arre
stato e imprigionato nella fortezza di Pietro e Paolo :�> .
2 15
A giudicare dalla grande Delaunay-Belleville dei miel. ge
nitori che mi aspettava col suo bravo gagliardetto recante le
armi degli Yussupov, si sarebbe potuto credere che la Crimea
fosse relativamente calma ; ma poco dopo il mio Titorno co
minciarono le stragi. La flotta del Mar Nero era passata dalla
parte dei sovieti. Qualche mese prima, dopo aver lottato sino
alla fine per mantenere la disciplina, l'ammiraglio Kolciak
che la comandava, spezzando la spada d'oro che aveva rice
vuto per il suo leggendario coraggio, ne aveva gettato i tron
coni in mare e aveva abbandonato il comando. Un terribile
massacro di ufficiali di marina ebbe luogo a Sebastopoli, men
tre i saccheggi e gli assassinii si moltiplicavano in tutta la
penisola. Bande di marinai s'introducevano nelle case, violen
tavano le donne e i bambini davanti ai mariti e ai genitori.
Gli uomini erano torturati a morte. Mi è accaduto d'incon
trare alcuni di questi marinai; collane di perle e di diamanti
pendevano sul loro petto villoso, le loro braccia e le loro mani
erano cariche di braccialetti e di anelli. V'erano tra essi mo
nelli di quindici anni. Molti erano grottescamente incipriati
e truccati. Si sarebbe potuto credere di assistere ad una ma
scherata infernale. A Yalta i marinai ammutinati attaccavano
grosse pietre ai piedi di coloro che fucilavano e gettavano in
mare. Un palombaro, esplorando più tardi il fondo del golfo,
diventò pazzo per aver visto tutti quei cadaveri ritti, ondeg
gianti come alghe al moto del mare. Andando a letto, non
eravamo mai sicuri di essere ancora vivi il giorno dopo. Un
pomeriggio, una banda di marinai comandata da un ebreo
venne da Yalta per arrestare mio padre. Dissi loro che era
ammalato e chiesi di vedere il mandato d'arresto. Natural
mente non lo avevano e io pensai di guadagnar tempo ingiun
gendo loro di andarlo a prendere. Dopo interminabili discus
sioni, due si risolvettero a fare quel che dicevo. Siccome in
capo a molte ore non erano ancora tornati, gli altri, stanchi
di aspettare, se ne andarono alla loro volta.
Qualche giorno dopo, un'altra banda scese dalle montagne.
Era una cavalleria navale di genere particolare, temuta an
che dai sovieti. Questi briganti, armati sino ai denti e montati
su cavalli rubati, invasero il nostro cortile sbandierando ves-'
216
silli con iscrizioni che promettevano: "Morte ai borghesi !
Morte ai controrivoluzionari ! Mòrte ai p roprietari ! ". Uno dei
nostri servitori, spaventato, venne ad avvertirci che reclama
vano da mangiare e da bere. Uscii nel cortile. Due marinai
misero piede a terra e vennero verso di me. Avevano fisiono
mie insolenti e brutali. Uno portava un braccialetto di dia
manti, l'altro una spilla preziosa ; i loro vestiti eran macchiati
di sangue. Siccome dicevano di volermi parlare, li feci entrare
nel mio appartamento dopo aver detto agli altri di rifocil
larsi in cucina.
Grande fu lo stupore di Irina vedendomi entrate con quei
brutti tipi. Feci portare qualche bottiglia di vino ed eccoci
tutti e quattro seduti come per una chiacchierata amichevole.
I nostri visitatori non sembravano menomamente imbarazzati,
ma ci squadravano con curiosità. Improvvisamente uno di
essi mi chiese se fossi veramente l'assassino di Rasputin.
Avendo io risposto affermativamente, bevvero alla mia salute
e dichiararono che in questo caso né io né i miei avevamo
nulla da temere da loro. Dopo di che si misero a raccontarmi
le loro prodezze contro l'esercito bianco. Poi, vedendo la mia
chitarra, mi chiesero di cantare. Dovetti accontentarli, abba
stanza soddisfatto di questo diversivo che troncava netto i
loro poco gradevoli racconti. Cantai varie canzoni di cui essi
riprendevano il ritornello in coro. Le bottiglie si vuotavano
l'una dopo l'altra e l'allegria dei singolari convitati diventava
sempre pm rumorosa, mentre i miei genitori, che avevano la
camera sotto la mia, si chiedevano quale potesse essere la
ragione di tutto quel baccano. La serata finì molto bene. I
marinai ci lasciarono stringendoci lungamente la mano e rio
graziandoci con effusione dell'accoglienza ospitale. Poi la
banda si rimise in sella e, agitando le bandiere con le iscri
zioni che ci condannavano tutti a morte, si allontanò facen
doci dei segni amichevoli.
217
ve mio cognato nelle proprie memorie. "Un tale Giorgiuliani,
che comandava la nostra guardia, fu richiamato, e il soviet di
Sebastopoli nominò al suo posto il marinaio Zadorojny. Il
giorno del suo arrivo gli fui presentato nella camera della
casa occupata dai nostri custodi. Era un uomo enorme, con
una fisionomia di bruto, ma nella quale era possibile discer
nere una certa bontà. Per fortuna il nostro primo colloquio
ebbe luogo a quattr'occhi. Sin dal principio si mostrò molto
gentile. Sedemmo e la conversazione incominciò. Gli doman
dai dove avesse prestato servizio. Mi rispose ch'era stato nel
l'aeronautica, aggiungendo che m'aveva visto parecchie volte
a Sebastopoli. Parlammo poi della situazione generale, e al
lora capii che ci era favorevole. Ammetteva che al principio
s'era lasciato trascinare dal movimento rivoluzionario... Quan
do ci separammo, eravamo amici. Era per noi un grande
conforto sapere di essere affidati alla guardia di quell'uomo.
Davanti ai suoi camerati, però, ci trattava con ruvidezza e
non lasciava trasparir nulla dei propri veri sentimenti".
Nel frattempo si presentò un ebreo di nome Spiro che fece
riunire tutti gli abitanti di Ai-Todor per farne l'appello.
L'imperatrice madre rifiutò di scendere e si mostrò soltanto
per un momento in cima alla scala.
Zadorojny era arrivato in dicembre. In febbraio annunciò
a mio suocero che tutti i Romanov residenti in Crimea insie
me con le persone del loro seguito dovevano essere riuniti nel
dominio di Dulber, proprietà del granduca Pietro Nicolaievic.
Spiegò che la sicurezza dei prigionieri imponeva quella mi
sura. Infatti, il soviet di Yalta esigeva la loro immediata ese
cuzione, mentre il soviet di Sebastopoli, dal quale dipendeva
Zadorojny, voleva aspettare gli ordini del compagno Lenin.
C'era da temere che il soviet di Yalta eseguisse un attacco a
mano armata per impadronirsi dei prigionieri. Dulber, con
le sue alte e spesse mura, era una specie di fortezza che sa
rebbe stato eventualmente più facile difendere di Ai-Todor,
aperto al primo venuto. Così, dunque, il palazzo moresco del
granduca Pietro fu scelto come carcere per i membri della
famiglia imperiale che si trovavano in Crimea, e cioè : l'im
peratrice madre, i miei suoceri e i loro sei figlioli; il granduca
218
Nicola Nicolaievic, sua moglie e i due figli nati dal primo
matrimonio della granduchessa; il granduca Pietro e la gran
duchessa Miliza con i loro figlioli, la p rincipessa Marina e il
principe Roman. La loro figlia più giovane, principessa Na
deja, diventata per matrimonio principessa Orlov, la gran
duchessa Olga Alessandrovna e mia moglie, sposate come lei
morganaticamente, furono lasciate libere.
A Dulber i prigionieri erano del tutto isolati. Solo nostra
figlia lrene, che aveva allora due anni, era autorizzata a far
loro visita. È per il suo tramite che riuscivamo a comunicare
con loro. La governante l'accompagnava sino all'ingresso della
proprietà, dove la bimba entrava sola, portando le nostre
lettere appuntate dentro il paltoncino. Le risposte ci giun
gevano nello stesso modo. La nostra messaggera, così giovane,
non ebbe mai un momento di debolezza nel compimento della
pericolosa missione. Sapevamo così come vivessero i prigio
nieri. Erano nutriti discretamente male e in modo insuffi
ciente ; il cuoco Karnilov, che più tardi, a Parigi, doveva
aprire un ristorante molto noto, faceva del suo meglio col
poco che riusciva a procurarsi. Il più delle volte si trattava
di grano saraceno e di una minestra con piselli secchi. Per
qualche giorno i prigionieri di Dulber avevan mangiato carne
d'asino, un'altra volta di caprone.
Sapendo ch'essi erano autorizzati a passeggiare nel parco,
mia moglie ideò uno strattagemma che ci permise per qualche
tempo di parlare con i suoi fratelli. Andavamo a passeggiare
con i nostri cani sotto il muro di cinta della proprietà. lrina
chiamava i cani, e subito l'uno o l'altro dei fratelli faceva
capolino al di sopra del muro. Quando scorgeva una guardia
nei dintorni si lasciava scivolare giù dal muro, mentre noi
continuavamo imperturbabili la nostra passeggiata. Disgrazia
tamente il nostro trucco non tardò ad essere scoperto e quindi
dovemmo rinunciare a questi appuntamenti.
Un pomeriggio incontrai Zadorojny. Si fece qualche passo
insieme. Dopo avergli domandato notizie dei suoi prigionieri,
gli dissi che avevo bisogno di parlargli. Parve sorpreso e im
barazzato. Supponendo che non ci tenesse gran che a farsi
vedere con me dai suoi uomini, gli proposi di venirmi a tro-
219
vare in serata, in un'ora nella quale potesse essere sicuro di
non incontrare nessuno. ?er entrare da me senza essere visto,
gli sarebbe bastato scavalcare il · balcone della mia camera
ch'era al pianterreno. Venne quella sera e parecchie altre
volte. Mia moglie era spesso presente ai colloqui. Per ore,
cercavamo insieme un mezzo di salvare l'imperatrice Maria
e la sua famiglia.
Era sempre più evidente che quello Zadorojny, tanto temi
bile all'aspetto, era tutto per noi. Mi spiegò che cercava di
guadagnar tempo sfruttando la rivalità dei due sovieti: quello
di Yalta, che voleva impadronirsi dei prigionieri per fucilarli
seduta stante, e quello di Sebastopoli che, d'accordo con Mo
sca, voleva che fossero processati. Gli suggerii di dire al
soviet di Yalta che i Romanov dovevano ben presto essere
trasferiti a Mosca per essere sottoposti a processo e che se
fossero stati fucilati prima avrebbero portato nella tomba
importanti segreti di stato che essi soli conoscevano. Zadorojny
seguì il mio consiglio. Sino a quel momento era riuscito a
mantenere in vita i prigionieri, ma la sua situazione diven
tava ogni giorno più difficile e più pericolosa, perché il soviet
di Yalta sospettava che egli cercasse di salvarli, e la sua stessa
vita era minacciata. Una notte venne a svegliarmi per dirmi
di avere saputo da fonte sicura che una grossa banda di
marinai doveva giungere il giorno dopo per rapire tutti i
prigionieri e portarli a Yalta, dove sarebbero stati fucilati.
Egli era risoluto a non trovarsi a Dulber nel momento in cui
tale handa vi sarebbe arrivata, perché era sicuro dei propri
uomini e sapeva, che lui assente, non avrebbero lasciato en
trare nessuno. Soggiunse che, già da parecchie notti, i più
giovani tra i suoi prigionieri si davano il cambio per montare
la guardia e che le armi erano pronte per essere distribuite
loro in caso di allarme. Mi disse anche che si stava prepa
rando una strage generale alla quale nessuno sarebbe sfug
gito... La notizia era tanto più spiacevole in quanto noi non
eravamo menomamente in condizioni di difenderci, dato che
ci erano state tolte tutte le nostre armi.
La banda annunciata arrivò difatti il giorno dopo da Yalta
e cercò di entrare a Dulber. Come Zadorojny aveva previsto,
220
i custodi risposero che in assenza d�l commissario non pote
vano clie obbedire alla consegna e non lasciar entrare nes
suno. Vedendo le mitragliatrici pronte a sparare, gli aggres
sori si ritirarono vociferando e pronunciando le peggiori
minacce all'indirizzo di Zadorojny.
Sapevamo che dopo questo insuccesso Yalta aveva riso
luto di farla finita. Prevedendo un attacco in forze, Zadorojny
si recò in persona a Sebastopoli a chiedere rinforzi. Doveva
tornare quella stessa sera. Ma Y alta era più vicina di Seba
stopoli...
Trascorremmo quella notte sul tetto della casa donde pote
vamo vedere le torri di Dulber e sorvegliare la strada mae
stra per la quale dovevano arrivare i rinforzi ... o, dal lato
opposto, i banditi di Yalta. Soltanto all'alba vedemmo appa
rire gli autocarri blindati che arrivavano da Sebastopoli. E
siccome non si vedeva niente dalla parte di Yalta, ce ne an
dammo a dormire.
Svegliandoci, apprendemmo che erano arrivati i tede
schi; questa circostanza, alla quale nessuno aveva pensato,
ci salvava.
Eravamo in aprile, a pochi giorni dalle feste di Pasqua.
Ora, 1'8 marzo, il governo sovietico aveva firmato la pace di
Brest-Litowsk, e i tedeschi cominciavano ad occupare certe
parti della Russia. Essi si atteggiarono con piacere a libera
tori di fronte a una popolazione troppo fiduciosa che, spos
sata dalle prove e dalle privazioni, era disposta ad accoglierli
come tali. In realtà fu proprio il loro arrivo a salvare i pri
gionieri di Dulber. È facile immaginare la gioia generale per
quella liberazione tanto improvvisa quanto inattesa. L'ufficia
le tedesco era pronto a impiccare Zadorojny e i suoi uomini.
Sarebbe impossibile esprimere la sua stupefazione quando i
granduchi lo pregarono di non farne nulla e chiesero anzi
che fosse lasciata loro momentaneamente la guardia di Dulber
e di Ai-Todor. Il tedesco finì per acconsentire, a condizione
d'essere scaricato di ogni responsabilità per le eventuali con
seguenze di quella pazzia, ma il suo atteggiamento rivelava
chiaramente la convinzione che la troppo lunga prigionia
avesse fatto dar di volta al cervello dei granduchi.
221
Alcuni giorni dopo, i carcerieri si congedavano dai pri
gionieri in modo commovente. I più giovani piangevano ba
ciando loro le mani.
In maggio arrivò a Yalta un ufficiale tedesco, aiutante di
campo dell'imperatore Guglielmo. Recava una proposta del
kaiser : si trattava di proclamare imperatore di tutte le Russie
quello dei membri della famiglia imperiale che avesse ac
cettato di controfirmare il trattato di Brest-Litowsk. Tutti i
Romanov presenti respinsero la proposta con indignazione.
Allora l'inviato del kaiser chiese a mio suocero di procurargli
un colloquio con me. Il granduca rifiutò, affermando che nes
sun membro della famiglia avrebbe mai accettato di diven
tare un traditore.
Dopo la liberazione, gli ex prigionieri erano rimasti an
cora per un po' di tempo a Dulber. Poi l'imperatrice andò
ad abitare ad Hara, proprietà di uno dei fratelli di mio suo
cero, il granduca Giorgio, e ognuno tornò alla propria casa.
La vita ricominciò pressoché normale. Nei più vecchi, il
sollievo non andava esente da inquietudine, ma i giovani si
abbandonavano pienamente alla gioia di sentirsi vivi e liberi,
gioia che si rivelava in un più grande bisogno di distrazione
e di moto. Le partite di tennis, le escursioni, le colazioni al
l'aperto si seguivano senza interruzione ...
Avevamo trovato un altro elemento di distrazione fondando
un giornale. Una delle nostre amiche, Olga Wassiliev, ragazza
gentile, intelligente e graziosa, ne era il redattore capo. Tutte
le domeniche il nostro gruppo si riuniva alla sera a Koreiz ;
dopo l e "attualità", Olga leggeva a d alta voce l ' "articolo"
che ognuno dei sedici collaboratori doveva aver composto nel
corso della settimana su un argomento di sua scelta. Viaggi
immaginari, avventure fantastiche in paesi lontani: ecco i te
mi abituali scelti da quei giovani incerti del domani. Un inno
alla gloria del giornale, che cantavamo in coro, iniziava e
concludeva ritualmente le sedute. A mezzanotte la corrente
veniva tolta e la serata terminava alla luce delle candele.
L'interesse che i nostri genitori dimostravano per il gior
nale e il divertimento che questo procurava loro, non impe
divano che essi concepissero qualche preoccupazione in pro-
222
posito. Sapevano che, in quei tempi, le più innocenti distra
zioni non erano senza rischi, e tutto, in quei tempi tanto agi
tati, suscitava i loro timori.
Il nostro settimanale ebbe una vita effimera. Ne appar
vero tredici numeri; ma dopo questa cifra fatidica la "spa
gnola." colpì, l'uno dopo l'altro, tutti i redattori. Quando giun
se l'ora della fuga, la prima cosa che mia moglie cacciò nella
valigia fu il nostro giornale.
Il granduca Alessandro aveva fatto dono a sua figlia di
un boschetto di pini aggrappato alla scogliera, al di sopra del
mare. Era un luogo maraviglioso. Nel 1 9 1 5 vi avevamo fatto
costruire una casetta rustica, tutta imbiancata a calce, den
tro e fuori, e con un tetto di tegole verdi. Siccome sorgeva
su un terreno in pendenza, una parte della casetta era più
alta dell'altra e la sua principale caratteristica era di non
avere alcuna simmetria. Dall'ingresso, dinanzi al quale si
stendeva un tappeto di fiori, scendendo alcuni gradini, si ac
cedeva a un balcone interno che dominava l'atrio. Questo si
apriva su una terrazza il cui centro era occupato da una va
sca. Dall'altro lato si scendeva alla piscina circondata da un
colonnato al quale si attorcigliavano, come d'altronde a tutta
la casa, rose e glicini. All'interno, i dislivelli avevano dato
luogo a una disposizione imprevedibile e divertente di sca
lette, di pianerottoli, di balconcini, ecc. La mobilia di quer
cia naturale ricordava gli. antichi mobili rustici inglesi. Cu
scini di tela fiorata ornavano le sedie, e i tappeti erano dap
pertutto sostituiti da stuoie. Gli avvenimenti sopravvenuti
dopo che questa casetta fu compiuta ci impedirono di an
darvi ad abitare, ma durante il periodo di relativa euforia
che vivemmo all'inizio del 1918 vi organizzammo di tanto in
tanto qualche gita. Siccome i viveri erano scarsi, ognuno dove
va portare le proprie provviste. In compenso, il vino non
mancava, perché tutti in Crimea possedevamo vigneti. E non
mancava nemmeno l'allegria, grazie � quella gioventù che
badava soltanto a vivere dimenticando le prove subìte e il
minaccioso avvenire.
Proprio il giorno prima di una di queste riunioni, ci giun
se la voce dell'assassinio dello zar e della sua famiglia. Ma
circolavano tante voci false che noi non prestavamo loro più
nessuna fede ; così che la progettata riunione ebbe luogo
egualmente. Difatti, qualche giorno dopo, la notizia fu smen
tita. Venne anzi pubblicata la lettera di un ufficiale che, si
diceva, aveva salvato i nostri sovrani. Ben presto però non
fu più possibile porre in dubbio l'orribile verità. Tuttavia
anche allora l'imperatrice madre rifiutò di credervi: sino al
l'ultimo giorno ella doveva conservare la speranza di rive
dere suo figlio.
227
la salvezza dell'imperatore e della sua famiglia. Le fece cre
dere che un gruppo di trecento ufficiali devoti erano pronti
a liberarli, quando fosse venuto il momento, a un suo cenno.
Tutti coloro ch'erano inviati da associazioni monarchiche per
preparare l'evasione dei prigionieri, cadevano inevitabilmente
nelle reti di Soloviev, e, non meno inevitabilmente, sparivano.
Quando Soloviev e sua moglie furono arrestati dall'esercito
bianco, a Vladivostok, nel 1919, l'esame delle loro carte fornì
la prova flagrante della loro colpevolezza. Tuttavia la cop
pia riuscì a fuggire e a riparare in Germania.
Nell'aprile del 1918 il commissario Yakovlev fu inviato da
Mosca in Siberia accompagnato da un distaccamento di cen
tocinquanta uomini e investito di poteri illimitati. Tre giorni
dopo il suo arrivo annunciò all'imperatore di essere venuto
per portarlo via, senza dirgli però verso quale destinazione.
Assicurava soltanto che non gli sarebbe stato fatto alcun ma
le, e che se qualcuno avesse desiderato accompagnarlo egli
'
non si sarebbe opposto. Così l'imperatrice si trovò posta di
nanzi a un dilemma, perché lo zarevic, gravemente amma
lato da vari giorni, non era trasportabile. La povera madre,
torturata dall'indecisione, non poteva risolversi ad abbando
nare suo figlio né a lasciar partire il marito senza di lei verso
un destino ignoto. Finalmente prese il partito di seguire l'im
peratore, lasciando il figlio affidato alla sorveglianza di tre
delle sue sorelle, del precettore Gilliard e del dottor Dere
venko. La granduchessa Maria, il principe Dolgorukov, il
dottor Botkin e tre domestici avrebbero accompagnato i so
vrani.
Il viaggio, compiuto in tarantass (1), lungo strade orribili,
fu assai faticoso. Il cambio dei cavalli venne fatto a Prokov
skoie sotto le finestre della casa di Rasputin. Poi venne la
fermata imprevista a Ekaterinburg e la prigionia nella casa
lpatiev, proprietà di un ricco mercante della città.
È stato stabilito che Yakovlev doveva condurre i prigio
nieri a Mosca e che la fermata a Ekaterinburg fu il risultato
di un tranello organizzato dal governatore degli Urali per
impadronirsi dell'imperatore, certo con la inconfessata com-
(1) Carrozza da contadini, fatta di vimini e senza sedili, in uso negli Urali.
plicità di Mosca. Non si poté mai sapere quali fossero le vere
intenzioni di Yakovlev. Può darsi, come certuni hanno affer
mato, ch'egli volesse salvare i prigionieri. Comunque sia, è
certo che, passato più tardi al servizio dell'esercito bianco,
venne ripreso dai bolscevichi e fucilato.
Tre settimane dopo la partenza dei loro genitori, lo za
revic, le cui condizioni erano migliorate, e le tre granduchesse
rimaste con lui a Tobolsk venivano condotti a Ekaterinburg.
Nella sua miseria, la famiglia imperiale aveva la supre
ma consolazione di trovarsi tutta riunita.
Per renderla adatta al nuovo impiego, la casa lpatiev era
stata frettolosamente circondata di una duplice staccionata di
assi che si alzava sin quasi alle finestre del secondo piano.
Sentinelle e mitragliatrici erano disposte un po' dappertutto,
all'interno e all'esterno. Qualunque tentativo di evasione era
ormai impossibile. Dal canto suo la Germania, avendo rinun
ciato a ottenere dall'imperatore la ratifica del trattato di Brest
Litowsk, aveva abbandonato la famiglia imperiale al pro
prio destino.
I prigionieri non potevano più nutrire alcun dubbio su ciò
che li aspettava. Essi vissero quest'ultima tappa del loro cal
vario in condizioni terribili. Nessuna umiliazione era rispar
miata loro, ma soprattutto essi soffrivano della continua pro
miscuità in cui dovevano vivere con i custodi, tutta gente di
una volgarità ignobile e per giunta abitualmente ubriaca. Le
porte della camera occupata dalle granduchesse erano state
tolte, e i soldati vi entravano come e quando volevano. Non
dimeno, sostenuti dalla mirabile fede che non li abbandonò
mai, i prigionieri non sembravano neppure accorgersi di ciò
che avveniva intorno a loro. Essi vivevano già in un altro
mondo, su un altro piano. La loro serenità nella sofferenza e
la loro dolcezza avevano finito coll'imporsi anche ai loro cu
stodi, al punto da aver ragione, negli ultimi giorni, della fe
rocia di quei bruti. Dal loro arrivo a Ekaterinburg, essi erano
stati separati dalla maggior parte dei compagni ( 1 ) ; ma per
(1) Eccettuati i due precettori, tutti coloro che avevano seguito la famiglia
imperiale in prigionia pagarono la loro devozione con la vita. II marinaio Nagorny,
umile contadino ucraino, avrebbe potuto salvare la propria rinnegando l'impera
tore; preferì morire.
fortuna rimanevano loro il dottor Botkin e qualche domestico.
Queste creature fedeli addolcirono gli ultimi giorni della fa
miglia imperiale, prima di accompagnarla nella morte.
L'assassinio dei prigionieri era deciso: l'avvicinarsi del
l'esercito bianco che si era formato in Siberia sotto gli ordini
dell'ammiraglio Kolciak determinò l'esecuzione.
Non racconterò qui questo infame delitto. Sono fatti ormai
universalmente noti. Nonostante le precauzioni prese dagli as
sassini per cancellare le tracce del misfatto, tutte le circo
stanze ne sono state ricostruite dal giudice istruttore Sokolov
che diresse i lavori dell'inchiesta con abnegazione e pa
zienza inesauribili. Quei documenti sono stati pubblicati ( 1 ) ,
e Gilliard, precettore dello zarevic, che aveva seguito l a fa
miglia imperiale in prigionia, ha dato relazione dell'essenziale
in un libro commovente : Le tragique destin de Nicolas Il.
Nel 1920, dopo il crollo del governo dell'ammiraglio Kolciak,
Gilliard ritrovava a Kharbin, in Manciuria, Sokolov e il suo ca
po, il generale Diterichs, molto preoccupati di mettere in luogo
sicuro i documenti dell'inchiesta di cui cercavano d'impadro
nirsi i bolscevichi. Il generale Janin, capo della missione fran
cese - che, di evacuazione in evacuazione, aveva raggiunto
la Manciuria - si incaricò di riportare in Europa le poche
reliquie della famiglia imperiale che avevano potuto essere
raccolte e tutti i documenti dell'istruttoria. Così furono sve
lati i particolari del delitto e i nomi degli assassini.
Accennerò soltanto a una strana scoperta fatta dal giu
dice istruttore Sokolov nel sottosuolo della casa lpatiev e di
cui mi parlò egli stesso. Su una parete figuravano due iscri
zioni : la prima riproduceva la ventunesima strofa del poema
di Heine, BaUhasar: "Balthasar roar in sebliger nacht von se i
nen knechten ungerbracht", (La notte stessa Baldassarre fu
ucciso dai propri servi). La seconda era scritta in ebraico
2 33
li guardava passare. Le lacrime scesero lungo le sue guance
mentre quei ragazzi e giovanotti che andavano a morire sa
lutavano la sovrana, dietro la quale potevano scorgere l'alta
figura del granduca Nicola, il loro ex generalissimo.
Lasciando la patria, quel 13 aprile 1919, sapevamo che
l'esilio non sarebbe stata la più piccola delle nostre prove,
ma chi di noi avrebbe potuto prevedere che dopo trentadue
anni dovesse essere ancora impossibile prevederne la fine?
PA RTE S EC ONDA
IN ESILIO
{1919-195 3)
CAPITOLO XX
(1919)
2 37
la cucina inglese ci era sembrata così buona, tanto gustoso il
pane bianco di cui avevamo dimenticato il sapore! I tre tur
ni consecutivi resi necessari dal gran numero degli emigranti
non bastavano a calmare quella fame arretrata. Anche nelle
ore tra i pasti, non smettevamo di mangiare. La voracità dei
passeggeri non mancava di preoccupare il comandante, per
la minaccia di veder esaurire in pochi giorni le provviste fat
te per parecchie settimane.
Alla mattina ci levavamo prestissimo per assistere all'al
zabandiera, mentre la musica di bordo sonava gli inni inglese
c russo. Seguiva una corsa disordinata verso la sala da pran
2 39
Viva Trotsky" (1), e via dicendo. Questo richiamo brutale
a uomini e avvenimenti cui aovevamo la nostra situazione
presente, incupì di colpo il nostro umore. La formazione del
treno che doveva portarci via richiese parecchie ore. Final
mente potemmo partire, e, attraversato lo stretto di Messina
in ferry-boat, arrivammo a Roma senza altri incagli. Ma non
eravamo alla fine delle nostre pene ; infatti, io ero sprovvisto
di valuta estera. Per fortuna possedevamo ancora qualche
oggetto di valore. Se la maggior parte dei gioielli di famiglia
era rimasta in Russia, avevamo potuto però salvare quelli che
mia madre e mia moglie portavano sempre con sé e che le
avevano seguite in Crimea. Misi in pegno una collana di dia
manti d'Irina e questo ci permise ai proseguire il viaggio.
La notizia del nostro arrivo a Parigi si sparse rapidamente
e ben presto l'Hotel Vendome fu invaso dalla folla degli amici
accorsi per testimoniarci la loro simpatia e per udire il rac
conto delle nostre tribolazioni. Tra le chiamate al telefono e
il flusso ininterrotto dei visitatori, non avevamo un momento
di riposo. Il gioiellere Chaumet ci recò un piccolo sacchetto
di diamanti rimasti presso di lui sin dal tempo in cui aveva
trasformato per mia moglie alcuni gioielli antichi. Fummo
gradevolmente sorpresi di ritrovare quelle pietre, di cui ave
vamo dimenticato persino l'esistenza. La scoperta della no
stra automobile, che dormiva da cinque anni in fondo a una
rimessa, fu anch'essa un dono del Cielo. I continui sposta
menti tra Francia, Inghilterra e Italia, dove le nostre fami
glie si trovavano disperse, dovevano esserne facilitati.
Non sapevamo ancora dove ci saremmo stabiliti. Irina ave
va accompagnato suo padre a Biarritz ; ne approfittai per
recarmi a Londra con la speranza di recuperare l'apparta
mento di cui ero sempre locatario, ma che avevo subaffittato
durante la guerra. Provvisoriamente alloggiai al Ritz. La se
ra del mio arrivo, mentre, per ingannare la nostalgia, can
ticchiavo accompagnandomi con la chitarra, sentii bussare
alla porta di comunicazione con l'appartamento vicino. Cre
dendo di aver disturbato qualcuno, smisi di sonare ; ma i col
pi continuavano. Mi alzai, girai la chiave e ... mi trovai a
(l) In italiano nel testo.
faccia a faccia col granduca Dimitri. Non lo avevo pm ri
visto dopo la faccenda di Rasputin, quando eravamo entrambi
guardati a vista nel suo palazzo di Pietroburgo. Ignorando
la mia presenza a Londra come io ignoravo la sua, aveva ri
conosciuto la mia voce attraverso la porta. Eravamo talmente
felici di esserci ritrovati che chiacchierammo sino all'alba.
Nei giorni seguenti non ci scostammo un momento l'uno
dall'altro; ma ben presto mi sembrò di notare un certo cam
biamento nel suo contegno. Esisteva allora tra gli esiliati un
partito monarchico che credeva fermamente alla p ossibilità
di un pronto ritorno in Russia, seguito da una restaurazione.
Certi membri di quel partito, preoccupati di mantenere il
loro dominio su colui nel quale vedevano il futuro impera
tore, cercavano in ogni modo di allontanarlo da tutti coloro
che ritenevano capaci di combattere il loro influsso. lo ero
uno dei primi a esser preso di mira. Ritrovai così quegli in
trighi di palazzo ai quali mi ero sempre sottratto con orrore.
Per fortuna il mio appartamento era libero, per cui mi af
frettai a lasciare l'albergo e a rientrare nei miei penati.
Poco dopo Dimitri venne a trovarmi. Mi confessò che tra
coloro che gli stavano vicini, taluni, desiderosi di sottrarlo
al mio influsso, gli avevano parlato male di me. Egli si ren
deva perfettamente conto di come costoro non mirassero che
al proprio interesse personale. Inoltre Dimitri non era di quel
li che consideravano probabile una restaurazione immediata.
Mi chiese di non abbandonarlo e mi propose anzi di andare
ad abitare con lui nei dintorni di Londra. Gli feci capire che
il momento sarebbe stato male scelto per un ritiro in cam
pagna : mi sembrava che il primo e il più urgente dei miei
doveri fosse quello di venire in aiuto ai rifugiati russi il cui
numero andava sempre aumentando. Più tardi mi sono do
mandato spesso se non avessi avuto torto di respingere l'of
ferta di Dimitri. Abbandonato a se stesso, egli non poteva non
diventare succubo degli intriganti che pensavano soltanto a
sfruttarlo e a comprometterlo.
Provai una gioia profonda ritrovandomi nel piccolo ap
partamento di Knightsbridge, il solo luogo al mondo nel qua
le potessi sentirmi un po' in casa mia e dove avevo tanti
buoni ricordi. Tuttavia non li evocai senza malinconia, perché
la guerra aveva prodotto molti vuoti tra i miei compagni di
gioventù. Mi fece molto piacere ritrovare il re Manuel di
Portogallo, la duchessa di Rutland e le sue deliziose figliole,
la signora Hwfa Williams, Eric Hamilton e Jack Gordon, i
vecchi amici di Oxford. Rimasi a Londra il tempo necessario
per rimettere in ordine l'appartamento nel quale lrina e io
avremmo potuto installarci provvisoriamente. Partii poi per
Parigi, dove mi fermai qualche giorno prima di raggiungere
mia moglie a Biarritz.
Trovai Parigi in piena festa : era il 14 luglio, giorno del
corteo della vittoria. Nelle vie invase da una folla delirante
era quasi impossibile circolare. La gente gridava, rideva, si
abbracciava. Passavano gruppi con la bandiera in testa re
cando cartelloni patriottici e cantando la Marsigliese. Quel
canto, rimasto associato nella mia memoria alle scene rivo
luzionarie più terribili, evocava ricordi penosi e recenti. Pen
savo anche con amarezza che, nonostante i sacrifici compiuti
e la fedeltà del suo zar, la Russia era ormai assente dal grup
po degli alleati e frustrata dei vantaggi della vittoria. Situa
zione tanto dolorosa qu'anto paradossale: la bandiera russa
non veniva portata sotto l'Arco di Trionfo, ma, in compenso,
l'inno nazionale francese accompagnava le peggiori atrocità
com m esse in Russia nel nome della libertà!
A Parigi ritrovai molte antiche conoscenze, tra le quali
la bella cortigiana Emiliana d'Alençon che avevo perso di
vista da molti anni. Ella mi fece un'accoglienza calorosa e
volle dare in mio onore un ballo in costume, al quale parte
cipai con un costume orientale di seta nera accompagnato
da un turbante laminato d'oro. Tutto il demi-monde parigino
era presente con gli abiti più sontuosi. Fu un hallo brillantis
simo e si svolse in quell'atmosfera di gaiezza spensierata che
caratterizzava la Parigi postbellica. La sera del ballo appresi
che un pittore olandese, artista di grande valore, aveva di
pinto senza conoscermi un mio ritratto del quale tutti quelli
che lo avevano visto vantavano la somiglianza. Curioso di
giud icare con i miei occhi, mi recai nel suo studio. Sin dal
primo momento egli mi fece un'impressione sgradevole. Quan-
to al ritratto, era una cosa macabra. Certo, quel viso livido
che spiccava su un cielo di tempesta striato dai lampi non
mancava di qualche somiglianza col mio. Ma mi sembrava
che si sprigionasse da esso alcunché di satanico. Girando lo
sguardo intorno, notai con una certa sorpresa non priva d'in
quietudine che i manici di tutti i pennelli disseminati nello
studio erano rosicchiati, sicuramente dai denti del pittore.
Ciò valse ad aumentare l'impressione di malessere che mi
avevano già ispirato la tela e il suo autore. Questi mi fece
mettere a fianco del quadro. I suoi occhi penetranti andavano
dal dipinto al modello; poi, evidentemente soddisfatto del
confronto, mi fece dono di quell'opera diabolica.
Qualche tempo dopo, ispirandosi a una fotografia apparsa
in un giornale illustrato, mi fece un altro ritratto nel costume
che avevo indossato al ballo di Emiliana d'Alençon e me lo
offrì come il primo; ma quando si giunse al terzo - equestre,
questo - gli scrissi pregandolo di scegliersi in avvenire un
altro modello.
Partendo per Biarritz in automobile con Teodoro, ave-v o
stabilito di fermarmi in Turenna per visitare i castelli della
Loira. Una di quelle visite mi ha lasciato un ricordo partico
lare. sia per il piacere che ne ebbi, sia per il suo carattere
d'imprevisto.
Oziando una sera a passeggio per le vie di Tours, dove
dovevamo passare la notte, mi fermai improvvisamente di
nanzi alla riproduzione di un ritratto maschile di Velasquez
esposta nella vetrina di un libraio. Preso dal desiderio irre
sistibile di vederne l'originale, interrogai il libraio e appresi
che quel ritratto apparteneva a uno spagnuolo di nome Le6n
Carvallo, proprietario del castello di Villandry, a pochi chi
lometri da Tours. Risolvetti subito di fermarmi di passaggio
al castello di Villandry il giorno dopo. Disgraziatamente,
siccome dovevamo partire di buon mattino, le ore di visita
non si accordavano col nostro orario ; tuttavia volli fare al
meno un tentativo.
Quando, la mattina seguente ci fermammo al cancello di
Villandry, erano appena le sette. Stupefatto di vedere visi
tatori presentarsi a un'ora così inconsueta, il portinaio ci chie-
2 43
se se avessimo un'autorizzazione speciale, e, alla nostra ri·
sposta negativa, rifiutò di !asciarci entrare. Nondimeno, data
la mia insistenza, finì con l'andare a chiamare il maggior
domo. Questi si mostrò più accomodante e così fummo intro
dotti nella galleria dei quadri, dove potei ammirare a mio
agio il ritratto che mi aveva attirato lì. Mentre lo contem
plavo, la porta si aprì davanti al padrone di casa drappeg
giato in un'ampia vestaglia di velluto rosso.
« Sono felice, signori, di poter soddisfare la vostra curio
sità », ci disse ; « però dovete riconoscere di avere scelto un'ora
abbastanza inconsueta per introdurvi in casa della gente ».
Feci il mio nome e lo pregai di scusare l'indiscrezione.
« Sarebbe poco grazioso da parte mia tenervi il broncio »,
riprese il nostro ospite, « dato che ciò mi dà modo di fare
la vostra conoscenza ».
Dopo di che, il signore di Villandry volle farci egli stesso
gli onori della sua bella dimora, che precedenti trasforma
zioni avevano sfigurato e che, grazie a lui, aveva ritrovato
il suo vero volto. Ciò che ammirammo di più furono i giar
dini, veramente magnifici.
La sera stessa arrivammo a Biarritz. La terra basca, che
vedevo per la prima volta, mi conquistò immediatamente.
Nondimeno non pensavo di fermarmici perché avevo fretta di
riportare lrina a Londra, dove avevamo deciso di stabilirei.
Durante quel breve soggiorno ci recammo a San Sebastiano
per vedere una corrida. Quello spettacolo, nuovo per me, mi
parve orribile e magnifico insieme.
Pochi giorni dopo eravamo a Londra, nel nostro apparta
mento di Knightsbridge. Dal canto suo la granduchessa Senia
lasciava Buckingham Palace per installarsi con i figli in una
casa di Kensington.
2 45
sentazione al teatro Saint- James del dramma di Tolstoi Il
cadavere vivente con Henry Ainley. Quel grande artista, non
contento di recitare la propria parte, rivolse al pubblico un
commovente appello col quale invitava i compatrioti a venire
in aiuto dei profughi russi, loro ex alleati.
Di primo mattino ci recavamo a Belgrave Square e vi tra
scorrevamo tutta la giornata. Mentre mia moglie dirigeva il
lavoro delle dame, la contessa Carlov e io, seduti a un grande
tavolo, facevamo fronte all'interminabile sfilata dei rifugiati
in cerca di un posto, di un sussidio o di un consiglio. Rice
vemmo anche una delegazione di volontari inglesi che vole
vano andare a combattere nelle file dell'esercito bianco e che
ci chiedevano di facilitare la loro partenza per la Russia,
cosa che le autorità britanniche si rifiutavano di fare.
Un giorno, tra i postulanti, apparve un ometto il cui
aspetto bizzarro attirò subito la mia attenzione. Era brutto,
gracile e timido, con gesti incerti da marionetta ; teneva la
testa leggermente piegata da un lato e sorrideva continua
mente, con un sorriso scaltro e un po' servile. V'era in tutta
la sua persona qualche cosa di comico e nello stesso tempo
di misero, vorrei dire di patetico, che evocava certi personaggi
di Dickens o di Dostoievski. Si inginocchiò davanti alla con
tessa Carlov per baciarle la mano e fece lo stesso con me ;
poi, sedutosi sull'orlo della sedia che gli indicammo, ci rac
contò la sua strana e dolorosa storia.
Bull, così si chiamava quel singolare individuo, era un
miscuglio di russo, di danese e d'inglese. In gioventù aveva
sposato la ragazza che amava, ma un disgraziato incidente
sopravvenuto alla fidanzata aveva fatto, di quel matrimonio di
amore, un matrimonio in bianco. « Se lo desiderate », soggiunse,
« posso darvi i particolari ». A questo punto un calcio d'al
larme della contessa Carlov m'ingiunse di arrestare le confi
denze. Me ne sarei guardato bene : « Continuate », dissi, « que
sti particolari mi interessano molto ». Mentre il nostro visi
tatore, così incoraggiato, riprendeva con nuovo ardore il rac
conto, la contessa Carlov si alzò e uscì dalla stanza. In con
clusione, Bull entrò al nostro servizio e vi rimase per molto
tempo, senza che le sue mansioni venissero mai definite.
Andavamo spesso a Marlborough House a far visita all'im
peratrice madre, che viveva allora presso sua sorella la regina
Alessandra. Nessuna somiglianza tra quelle due principesse
danesi rivelava la loro origine comune ; sembrava che ognuna
di esse fosse stata, per così dire, segnata dalla propria patria
d'adozione. Benché la regina fosse la maggiore e di un'età
già avanzata, sembrava più giovane della sorella. II suo volto
senza una ruga avrebbe potuto essere quello di una donna di
trent'anni. Si diceva di lei che possedeva un segreto di bel
lezza al quale doveva la persistente gioventù.
La mancanza di puntualità della regina era fonte di con
tinua irritazione per sua sorella, che era invece l'esattezza
personificata. Ogni volta che dovevano uscire insieme, l'im
peratrice, che scendeva sempre per prima, aspettava la ri
tardaiaria camminando febbrilmente in su e in giù per il
vestibolo e tenendo in pugno un ombrello minaccioso. Quando
finalmente appariva, la regina aveva immancabilmente di
menticato qualche cosa. Tutti si slanciavano alla ricerca del
l'oggetto in questione, e ciò portava al colmo l'esasperazione
dell'i m pera trice.
Quelle piccole bizzarrie non intaccavano menomamente
il prestigio delle due grandi sovrane. In nessuno dei membri
delle case regnanti che mi è stato dato avvicinare ho riscon
trato tanta maestà unita a tanta gentilezza e a tanta semplicità.
Ogni sabato riunivamo gli amici nell'appartamento di
Knightsbridge. Chitarre e canzoni zigane evocavano la Rus
sia. Il pappagallo Mary, ritrovato a Londra, circolava in li
bertà tra gli ospiti che si divertivano ai suoi modi originali e
specialmente alla sua ghiotta passione per le sigarette russe
che divorava a dozzine, fissando poi la scatola vuota con oc
chio da innamorato.
I nostri amici portavano i loro amici, spesso anche degli
estranei attirati da quell'atmosfera accogliente e un po' bo
hème ; accadeva frequentemente che un discreto numero dei
presenti ci fossero sconosciuti.
Una domenica mattina, all'indomani di una di quelle se-
247
rate, al momento di uscire per andare in chiesa con lrina,
aprii uno dei cassetti del mio scrittoio nel quale tenevo il da
naro e mi accorsi che il sacchetto dei diamanti che Chaumet
ci aveva consegnato a Parigi era scomparso. Poiché l'inter
rogatorio dei domestici non portò nessuna luce sul fatto, dissi
loro di fare delle ricerche durante la nostra assenza. Il sac
chetto rimase irreperibile. La servitù non poteva essere so
spettata, per cui fui costretto a concludere che il ladro era
uno degli ospiti della sera prima. Andai allora a trovare il
capo di Scotland Yard, sir Basilio Thompson, e gli esposi il
caso. Cominciò col dirmi che gli occorrevano i nomi di tutti
i nostri invitati. Mi era doppiamente impossibile comunicar
glieli : in primo luogo perché molti di essi mi erano sconosciu
ti, e poi perché un tal modo di agire mi sembrava inammis
sibile. Egli promise di fare del suo meglio per scoprire il
colpevole e ritrovare i diamanti.
Le settimane passarono senza recare nessuna luce, e, in
conclusione, il risultato dell'inchiesta si rivelò negativo. Evi
dentemente io ero il solo colpevole in questa faccenda, poi
ché, per abitudine e per principio, non chiudevo mai nessun
mobile a chiave; pensavo infatti che questa sarebbe stata
un'offesa per i domestici.
Il furto dei diamanti arricchì per qualche tempo di un
argomento inedito le nostre conversazioni ; ma ben presto la
faccenda fu sepolta e non se ne parlò più.
CAPITOLO XXI
(1920)
2 49
di cui eravamo stati testimoni in Russia. Quella donna di gran
cuore, non meno intelligente che bella, s'indignava dell'ac
cecamento dei governi alleati, pericolosamente ostinati a ve
dere nel bolscevismo una faccenda esclusivamente russa e
non un pericolo che minacciava il mondo intero. Lasciammo
Capodimonte forniti di lettere di presentazione che doveva
no aprirci molte nuove porte. Ognuno di noi aveva la pro
pria missione : la mia era di parlare, quella . di Teodoro di
incutere rispetto. L'alta statura e la prestanza fisica di mio
cognato facevano quasi sempre l'effetto voluto, ottenendo l'a
desione di coloro che le mie chiacchiere lasciavano esitanti.
Tornammo a Roma molto soddisfatti dei risultati del no
stro giro. Un comitato centrale, formato al nostro ritorno, en
trò immediatamente in funzione sotto la direzione di mia
madre.
Un giorno che mi trovavo nel vestibolo del Gran Hotel
dove aspettavo qualcuno, notai due signore che, dal fondo
del locale, mi guardavano insistentemente. Seccato di quel
l'indiscreta attenzione risolvetti di fingere d'ignorarle immer
gendomi nella lettura del giornale; ma ben presto mi accorsi
che le due signore facevano abili manovre d'approccio, tanto
che alla fine si trovarono abbastanza vicine a me. Udii al
lora una di esse dire all'altra :
« Tutto sommato, non è bello come credevo ».
Di botto mi voltai verso di lei.
« Se vi ho deluso, signora », le dissi, « credete che tutto il
rammarico è mio ».
L'arrivo della persona che aspettavo portò un diversivo
che pose fine all'incidente.
Invitato qualche giorno dopo a un pranzo, mi trovai ad
avere come vicina di tavola la dama in questione. Entrambi
ridemmo molto ricordando le circostanze del nostro primo
incontro.
Non ero ancora entrato in contatto col mondo romano,
quando una mattina trovai tra la corrispondenza una busta
il cui indirizzo mi colpì per l'originalità della scrittura. Con
teneva un invito a pranzo della marchesa Casati. Conoscevo
Luisa Casati soltanto di nome, ma quel nome era troppo noto
nella società cosmopolita per non essermi familiare, e la re
putazione di eccentricità della marchesa troppo ben affer
mata per non stuzzicare la mia curiosità. Afferrai dunque
con premura l'occasione che mi si offriva di soddisfarla. Deb
bo dire che la realtà superò notevolmente ciò che mi attendevo.
Nel salotto in cui fui introdotto, una donna che mi parve
dotata di singolare bellezza stava sdraiata davanti al camino
su una pelle di tigre ; veli leggieri disegnavano tutte le forme
del suo corpo sottile ; due levrieri, uno nero e uno bianco,
stavano sdraiati ai suoi piedi. Affascinato da quel quadro,
notai appena la presenza di una seconda persona, un ufficiale
italiano arrivato prima di me. La nostra ospite alzò verso di
noi due occhi splendidi, talmente grandi in quel viso pallido
che non si vedeva altro che essi, e con un moto lento e si
nuoso da cobra reale mi tese una mano ornata di perle enor
mi, una mano già incantevole di per se stessa. M'inchinai per
baciarla, godendo in anticipo di una serata che si annunciava
tutt'altro che comune. Conobbi allora il nome dell'ufficiale al
quale sino allora avevo accordato soltanto un'attenzione su
perficiale : era Gabriele d'Annunzio, l'uomo che desideravo
conoscere più di qualunque altro.
Per dire il vero, di prim'acchito egli deludeva. Fisicamen
te poco attraente, piccolo e sgraziato, pareva non avesse nul
la per piacere. Ma appena si metteva a parlare, quella prima
impressione si dileguava. Fui subito conquistato dal fascino
della sua voce calda, del suo sguardo penetrante. Bastava
udirlo parlare per capire l'attrazione che un simile uomo po
teva esercitare sulla folla. Egli fu inesauribile su tutti gli ar
gomenti, e benché si esprimesse alternativamente in francese
e in italiano, io non perdevo una sola parola di ciò che di
ceva. Interamente soggiogato, avevo perduto ogni nozione del
tempo, e la serata trascorse come un sogno.
Al momento di separarci il poeta mi diede tutta la misura
della sua fantasia dicendomi a bruciapelo :
< Prendo domani l'aeroplano per il Giappone ; sareste di
sposto ad accompagnarmi? :..
L'offerta era seducente, il tono imperativo sembrava scar
tare ogni possibilità di rifiuto. Tuttavia rifiutai : troppi ob
blighi mi trattenevano dei quali non avrei saputo come li
berarmi.
25 3
Da qualche tempo soffrivo di mali di testa e di dolori in
terni, cui andava unito un!} stato di stanchezza generale sem
pre più accentuato. Attribuendo tali malesseri al troppo la
voro e alla mancanza di sonno, avevo deciso di prendermi
qualche giorno di riposo. Ma la Croce Rossa russa era di nuo
vo senza danaro; venni quindi pregato di organizzare spet
tacoli e balli di beneficenza. Riunii allora un comitato che
comprendeva alcune delle più alte personalità londinesi sot
to il patronato della regina Alessandra, della principessa
Cristiana di Gran Bretagna e del maresciallo duca di Con
naught. Fu stabilito che avremmo offerto un grande ballo al
l'Albert Hall verso il principio dell'estate. Doveva esservi in
cluso anche uno spettacolo di balletti, per il quale la Paulova
mi promise il proprio aiuto e quello della sua compagnia.
Affidai la decorazione della sala al giovane architetto che
aveva mostrato tanto gusto e tanto ingegno nell'arredamento
del nostro appartamento di Pietroburgo, Andrea Beloborodov,
anch'egli rifugiato a Londra. Il colore dominante doveva es
sere l'azzurro, mio colore preferito. Ben presto a Londra non
si parlò d'altro che del "Ballo azzurro". Erano stati messi in
vendita seimila biglietti d'ingresso, ognuno dei quali contras
segnato da un numero che faceva di esso un biglietto di
lotteria.
I sovrani inglesi avevano offerto l'albo della loro incoro
nazione e una Storia del castello di Windsor, in edizioni e
rilegature di lusso ; la regina Alessandra una scatola d'ar
gento per la carta da lettera ; in forma di portantina, il re
Manuel un bastone da passeggio col pomo d'oro. Tutti gli al
tri premi, dovuti alla generosità di numerosi donatori, erano
oggetti di gran pregio o bellissimi gioielli offerti dai gioiel
lieri più noti.
A questo punto mette conto di narrare come un diamante
di cinque carati fosse aggiunto all'ultimo momento agli altri
premi. La signora che possedeva la pietra la mostrava un
giorno ad alcuni amici consultandoli sul modo di farla mon
tare. Quando ognuno ebbe ammirato il diamante ed espresso
25 4
la propria opinione, si parlò del "Ballo azzurro" di cui si
avv1cmava la data e la cui segretaria era appunto presente.
Siccome la proprietaria del diamante esprimeva il proprio
rammarico di non poter andare al ballo e, insieme, l'intenzione
di servire la buona causa offrendo trecento sterline per un
palco, la nostra segretaria, che non mancava né di spirito né
di faccia tosta, non esitò a dire che avrebbe preferito il dia
mante... e l'ottenne!
Ciò prova da quali preziosi collaboratori fossi circondato.
Lady Egerton, moglie dell'ambasciatore d'Inghilterra a Ro
ma, la signora Roscol Brunner e la sempre fedele signora
Hwfa Williams - per non citare che queste - si prodiga
rono senza risparmio. Dal canto suo, Beloborodov preparava
sollecitamente la decorazione della sala. Per diminuire le per
dite di tempo derivanti dai suoi andirivieni, decise di venire
ad abitare in casa nostra. Quando calava la sera, l'architet
to, che era anche ottimo musicista, si metteva al piano
forte, e la musica ci riposava del lavoro della giornata.
I miei malesseri non erano però cessati. Colto, una sera,
da violenti dolori intestinali, chiamai un medico che diagno
sticò una crisi d'appendicite. Il chirurgo consultato dichiarò
che l'operazione era urgente. Poiché mi ero messo in testa
di venir operato in casa mia, il salottino attiguo alla mia
camera fu trasformato in sala operatoria e, il giorno dopo,
ero già sul lettuccio. L'intervento, che durò quasi un'ora, ri
velò un'appendicite purulenta. A quanto pare si trattava di
un caso grave. Per quattro giorni nessuno fu autorizzato a
entrare in camera mia, eccettuati il medico e due infermiere
che si davano il cambio al mio capezzale. Tesfé, il mio do
mestico abissino, rifiutò qualunque cibo sino a che durò que
sto divieto. Affatto diversa fu la reazione di Bull : quando
conobbe la gravità del mio stato si vestì di nero dai p iedi
alla testa per essere pronto a intervenire al mio funerale, e
per quanto era lunga la giornata, andava ripetendo: c: Che
cosa faremo senza il nostro delizioso principe? > .
Le dimostrazioni di simpatia che ricevetti in quell'occa
sione, non soltanto dalla colonia russa, ma da tutti gli amici
inglesi, mi commossero profondamente. Regali d'ogni genere
2 55
si accumulavano tra le frutta e i fiori ; la profusione di que·
sti ultimi fu tale che ben presto la mia camera ebbe l'aria di
una serra. La buona signora Hwfa Williams arrivò seguita
da un rosaio che si durò fatica a far passare per la porta;
ma nulla mi fu più caro di un mazzolino di miosotidi, accom
pagnato da poche parole semplici e commoventi, che la Pau
lova mi portò.
Avevo pensato che fosse meglio non dare preoccupazioni
a lrina, che si trovava a Roma, parlandole della mia opera
zione, e non gliene scrissi se non quando fui fuori di pericolo.
Ella giunse pochi giorni dopo con Teodoro.
Contrariamente alle previsioni, la mia malattia contribuì
largamente al successo del "Ballo azzurro". Molte persone,
sapendo come avessi preso a cuore la cosa, si mostrarono più
che generose. Tra gli assegni eh� ricevetti, uno mi fu inviato
dal celeberrimo miliardario Basilio Zacharov. Era il ri
sultato di un colloquio avuto qualche tempo prima con quel
misterioso individuo, al quale avevo esposto la grande mi
seria dei compatrioti profughi. Il suo assegno di cento ster
line era accompagnato da una lettera nella quale egli mi
faceva osservare che, considerata la svalutazione della mo
neta, quelle cento sterline erano in realtà duecentosessanta,
vale a dire più del doppio. L'osservazione mi parve singo
lare e quanto meno fuori di luogo, per cui non resistetti alla
tentazione di aggiungere ai ringraziamenti che gli indirizzai
la proposta di versare alla cassa dei nostri profughi la som
ma di cui si trattava, non già in sterline, ma in rubli, il che,
al cambio del momento, avrebbe portato la sua liberalità al
la cifra di un milione di rubli.
Frattanto il giorno del ballo si avvicinava. lo ero ancora
molto debole e non avevo il permesso di alzarmi, ma nulla
avrebbe potuto trattenermi. Avevo dato troppo di me stesso
all'organizzazione di quella manifestazione perché potessi ri
nunciare ad assistervi e a gioire di un successo del quale non
dubitavo menomamente. Mentendo sfrontatamente con lrina
e con l'infermiera, affermai che il medico mi aveva autoriz
zato a uscire per quell'occasione, a condizione che mi facessi
trasportare all'Albert Hall dall'ambulanza. Le mie afferma-
2 56
zioni, però, le lasciarono incredule, per cui telefonarono al
medico; questi, per fortuna, era assente. L'ambulanza fu
quindi ordinata e, la sera, entrai all'Albert Hall scortato da
lrina, dai miei cognati Teodoro e Nikita e dall'infermiera,
tutti in domino e con la maschera nera.
Mentre si formavano le prime coppie e al centro della sala
cominciavano le danze, dal palco in cui ero disteso contem
plavo stupito la decorazione concepita e attuata dall'amico
Belobodorov. La fantasia di quel mago aveva trasformato il
vecchio Albert Hall in un giardino fatato. Leggieri veli azzurri
dissimulavano il grande organo e formavano intorno ai pal
chi drappeggi trattenuti da ghirlande di rose tee. Un arco
di rose incorniciava il boccascena, e cascate di ortensie az
zurre cadevano tutt'intorno alla sala. La luce filtrava attra
verso mazzi di rose che ornavano i lampadari impennacchiati
di piume di struzzo azzurre, mentre raggi che si sarebbero
potuti prendere per quelli di una bella luna d'estate venivano
proiettati sui ballerini.
A mezzanotte le danze furono interrotte per lo spettacolo
di balletti. Una lunga ovazione salutò l'apparizione della
Paulova, involantesi come un uccello azzurro da una pagoda
dal tetto d'oro posta al centro della scena. La sua interpre
tazione de La notte di Rubinstein portò il delirio nella sala.
Al Bel Danubio blu, danzato dal corpo del balletto, seguirono
danze russe e orientali. Infine Anna Paulova riappane,
con Alessandro Volinin e il resto della compagnia, in un mi
nuefto di Marinuzzi. Quel minuetto, di cui Bakst aveva di
segnato i costumi, portò al colmo l'entusiasmo del pubblico.
Gli artisti, debitamente applauditi e acclamati, vennero poi
a mischiarsi a quello stesso pubblico, e le danze ripresero con
nuovo slancio. I lampadari impennacchiati di piume di struz
zo si spensero soltanto all'alba, alla partenza degli ultimi bal
lerini.
Rincasai spossato, ma felice. Sapevo già che le previsioni
più ottimistiche erano state largamente sorpassate e che l'im
portanza dell'incasso avrebbe permesso alla Croce Rossa di
vivere e funzionare per molto tempo.
25 7
Per ristabilire la mia salute e il mio equilibrio nervoso
scosso, i medici mi prescrissero un periodo di riposo. Divonne
mi sembrava il luogo più indicato, e il ricordo di un soggiorno
che vi avevo fatto con mio fratello nel 190?' confermò la
scelta. Partii dunque con mia moglie, accompagnato da un'in
fermiera e da Bull.
Non riconobbi Divonne. Un immenso palazzo, l'Hotel Chi
cago, schiacciava con la propria massa le abitazioni che lo
circondavano e aveva disgraziatamente trasformato il carat
tere del luogo togliendogli tutto il suo fascino e la sua sem
plicità.
La cura, che iniziai il giorno successivo a quello dell'ar
rivo, consisteva di docce scozzesi, massaggi e lunghe ore di
riposo, steso sul1a terrazza. Benché la clientela di Divonne
non si componesse che di nevrotici, di ossessionati, di ma
niaci vari, e non di veri pazzi, il comportamento di certi ma
lati avrebbe autorizzato ogni errore in questo senso. Si udi
vano a volte latrati, miagolii, gridi d'uccello; oppure era un
uomo che, passeggiando, si fermava improvvisamente, girava
su se stesso come una trottola, per poi proseguire in modo
del tutto normale. Uno dei pensionanti dell'albergo misurava
con l'ombrello la profondità di immaginarie pozze d'acqua
che poi scavalcava o evitava con un salterello. L'attrazione
che hanno sempre esercitato su di me i pazzoidi mi consen
tiva di osservare quelli di Divonne con interesse e simpatia,
senz'esserne menomamente depresso, come accade invece alla
maggior parte delle persone normali, o che si considerano
tali, in presenza degli squilibrati.
Divonne piacque molto .a Bull. Il Monte Bianco lo affa
scinava in modo particolare : « Qui è il paradiso per terra »,
diceva. Siccome gli avevo consigliato di fare anche lui qual
che doccia, divertì moltissimo il personale dello stabilimento
moltiplicando i saluti e i ringraziamenti mentre si trovava
sotto il getto d'acqua.
Scegliendo Divonne come luogo di riposo avevo sperato
di rimanervi solo con Irina ; ma la nostra solitudine non durò
a lungo ; dovunque fossimo, finivamo sempre coll'incontrare
persone di conoscenza.
In capo a poche settimane ero tornato in forze e potei
fare lunghe passeggiate. La prima visita fu per i miei pro
fessori d'un tempo, il signore e la signora Pénard, che abita
vano a Ginevra. La mia gioia di rivederli era aumentata dal
piacere di evocare con loro tutti i ricordi d'infanzia. Un'altra
mèta di passeggiata fu la proprietà acquistata in altri tempi
dai nonni sulle rive del Lemano. La villa Tatiana, che ve
devo per la prima volta, era affittata a una famiglia di ame
ricani. Questi, apprendendo che ero figlio dei p roprietari,
accolsero me e lrina molto cortesemente e ci offrirono di farci
visitare la villa. Noi pensavamo di riprenderla alla fine del
contratto, per abitarvi. Il luogo era delizioso; la casa, grade
vole e spaziosa, aveva intorno un giardino che giungeva fin
sulla riva del lago. L'idea ci sorrideva e la sua attuazione
presentava molteplici vantaggi. Ma la vista ossessionante del
Monte Bianco, che s'incorniciava in tutte le finestre, bastò a
farci rinunciare al progetto.
I miei cognati Teodoro e Dimitri erano venuti a raggiun
gerei a Divonne. Verso la fine di settembre, quando la cura
fu terminata, partimmo tutti e quattro per l'Italia. Ho serbato
il ricordo di una partenza movimentata, di bagagli lanciati
a volo su un treno in moto, e, soprattutto, del cattivo umore
dei compagni di viaggio che mi consideravano colpevole del
ritardo, causa iniziale di tutto quel disordine. A ogni modo,
non lo ero dello sciopero che ci trattenne per due ore in sta
zione a Milano. Come a Siracusa, qualche mese prima, le gri
da di: "Viva Lenin ! Viva Trotsky ! " {1), particolarmente sgra
devoli alle nostre orecchie russe, accompagnavano queste ma
nifestazioni.
A Venezia ritrovammo alcuni vecchi amici, tra cui la si
gnora Hwfa Williams. Certi conoscenti veneziani ci intro
dussero in casa della principessa Morosini. Il p alazzo Moro
sini, cupo e lussuoso, è uno dei più belli di Venezia. La p rin
cipessa, alta, molto bella, era temuta non meno che ammirata
a causa della sua franchezza e del suo spirito mordace. Teo
doro fu evidentemente quello di noi che, sin dal p rincipio,
la interessò di più. Dopo averlo valutato con uno sguardo,
(1) In italiano nel testo.
2 59
ella puntò l'indice verso di lui chiedendo: « E questo chi è? :..
Passammo una settimana a Venezia. Alcuni degli amici
ci accompagnarono a Firenze, dove ci fermammo qualche
giorno prima di proseguire per Roma per rivedere i nostri
genitori.
Durante il soggiorno a Roma l'organizzazione futura della
vita familiare provocò interminabili discussioni. I punti di
vista differivano : mio padre rimaneva persuaso che un pros
simo ritorno in Russia era possibile, se non probabile ; mia
madre, come noi, non condivideva il suo ottimismo; entrambi
però si accordavano nel desiderio di non cambiar nulla della
loro attuale esistenza e nella determinazione di non lasciare
Roma. Rimaneva la questione di nostra figlia. lrina voleva
portarla a Londra. Io, invece, ero risolutamente contrario a
tale soluzione, poiché la nostra esistenza nomade non poteva
che nuocere alla fragile salute della bambina. Ella aveva bi
sogno di una vita regolare e di cure che mia madre era, as
sai più di noi, in grado di prodigarle. Restò dunque stabilito
che sarebbe rimasta affidata ai nonni. Questa decisione,
che sembrava dettata dalla saggezza, fu ugualmente un errore
che non dovevo tardare a rimproverarmi. Infatti i miei ge
nitori, che adoravano la nipotina, si piegavano a tutti i suoi
capricci, e non andò molto che la bimba esercitò un vero
dispotismo su di loro.
scienza .
2 73
meo, aveva infatti di che stupire. Indossava una giacca lisa
e un paio di calzoni a quadretti; le scarpe erano enormi e scal
cagnate, e le dita uscivano dai buchi dell'unico guanto. En
trando assunse una posa di noncuranza, incrociando i piedi
e facendo mulinelli con un bastoncino di bambù che aveva in
mano. "Una discreta imitazione di Charlot", pensai. Interruppi
quell'esercizio domandandogli in che cosa potessi essergli utile.
Con un gesto teatrale, lo strano individuo si levò il feltro ver
digno orna to con una penna di pernice, e inginocchiandosi con
un saluto degno del gran secolo:
« Altezza », disse, « il destino del discendente di un'illustre
famiglia è tra le vostre mani. Io cerco un posto e vi prego di
assumermi al vostro servizio ».
Obiettai che avevo già un numeroso personale e che tutte
le camere erano occupate.
« Altezza », riprese il mio singolare visitatore, « la cosa non
deve preoccuparvi. Nostro Signor Gesù Cristo è nato in una
stalla ; io posso ben dormire nell'angolo di un granaio ».
Lo sconosciuto mi divertiva, ed ero già disposto ad arren
dermi; gli chiesi dunque che genere di lavoro avrebbe potuto
fare. Egli si avvicinò a un vaso che conteneva delle rose, ne
prese una e, dopo averne lungamente aspirato il profumo, si
volse verso di me.
« lo adoro i fiori. Sarò il vostro giardiniere ».
lrina prese la cosa molto male. Per essere precisi, era fu
ribonda. La sua casa, diceva, non era un circo. Ne aveva già
abbastanza di Bull e di Elena senza che le fosse imposto que
sto nuovo cloron.
Debbo riconoscere che lrina non aveva torto. Queste per
sone, che mi distraevano la sera, quando rincasavo dopo aver
passato la giornata a correre dall'una all'altra delle nostre
opere, durante la mia assenza erano sulle sue spalle ; toccava
a lei appianare le continue discussioni, placare gli incessanti
litigi.
Questa volta la mia imprudenza apparve lampante sino
dal giorno dopo.
Il sole era appena spuntato quando fummo svegliati da
un gridìo di animali che saliva dal giardino. Corsì alla finestra
e vidi il nostro nuovo giardiniere che, brandendo un idrante,
innaffiava non già i fiori, ma tutti gli esseri viventi che passa
vano alla sua portata. Cani e volatili correvano terrorizzati
in tutte le direzioni facendo a chi strillava di più.
Un'altra finestra si aprì: Elena, strappata come noi al son
no, si affacciò per vedere che cosa accadesse. Male gliene in
colse! L'idrante, subito diretto dalla sua parte, l'asperse dalla
testa ai piedi : « Prendi », le gridò il discendente dell'illustre
famiglia, « questo è per te, fiore sterile che non hai pagato il
tuo tributo alla natura ! » .
Quello stesso giorno, nel pomeriggio, ricevetti la prima
visita di Boni di Castellane. Lo vidi arrivare molto dignitoso,
come aveva reputazione d'essere sempre, e vestito in modo im
peccabile. Makarov e il conte giardiniere lo accompagnavano,
parlandogli contemporaneamente in russo e dirigendolo verso
il piccolo teatro dove una compagnia di cantanti stava pro
vando un numero musicale. A causa del caldo, che quel giorno
era soffocante, eravamo tutti più o meno svestiti. Boni non
mostrò alcuna sorpresa; anzi ascoltò molto cortesemente il con
certo improvvisato che gli fu offerto, senza scostarsi nemmeno
per un momento dalla propria aria compassata. Quali furono
le sue impressioni personali, egli stesso ce lo ha detto descri
vendo questa visita nei propri Souvenirs, che perderebbero
troppo a essere riassunti in uno stile diverso dal suo. Dopo
avermi paragonato ad Antinoo e a Nerone, a Gengis K.han
e a Nostradamus, egli aggiunse:
"Questo insieme un po' demoniaco fu lungamente conser
vato nei ghiacci di Pietroburgo. Gli feci una visita e lo trovai
in una casetta semplicissima di Boulogne-sur-Seine, circon
dato da cani, da pappagalli, da una quantità di servitori più
o meno abbandonati dal destino, che egli aveva raccolto per
bontà d'animo: tra gli altri, un giardiniere che portava guanti,
giacca e un cilindro bucato mentre zappettava nel giardino,
e un cuoco, ex ufficiale della Guardia imperiale.
"Un personale numeroso viveva lì, sotto lo sguardo freddo
e benevolo della silenziosa principessa Yussupov, nata gran
duchessa, con una placidità e una fiducia nell'avvenire della
Russia assolutamente ammirevoli.
2 75
"Di lì a qualche minuto, uscì dalle cantine un'orchestra
composta di parecchi musicisti che vennero a cantare, per
farmi onore, arie patriottiche e folcloristiche del migliore ef
fetto. Poi mi fu fatta vedere in un angolo del giardino una
rimessa trasformata in teatro e decorata nel modo più mo
derno, dove il principe si proponeva di far recitare le opere
dei suoi autori preferiti.
"In quell'atmosfera di decomposizione deliziosamente pro
fumata, il mio istinto pratico di latino logico si impennava , e
io non potevo fare a meno di compatire quello spirito vago
ma interessante, pure apprezzando il fascino infinito di quella
concezione zingaresca della vita".
2 79
il lettore troverà qui di seguito. Mi sono ben guardato dall'ap
portare a questo scritto la menoma correzione, così come mi
astengo da qualsiasi commento che possa alterarne il sapore.
--.....
28g
stenza, era riuscito a vincere la mia repugnanza ad accordar
gli l'appuntamento che mi chiedeva, ma mi trovò già sulla
difensiva, e il modo con cui si presentò, senza togliersi né il
cappello, né il soprabito, e neppure il sigaro di bocca, non
era certo fatto per migliorare le mie disposizioni nei suoi
riguardi. Egli mi informò che arrivava da Hollywood, inviato
da una ditta americana del cinema, che mi offriva una somma
ragguardevole per recitare la parte del mio personaggio in un
film su Rasputin !
Il mio rifiuto parve sorprenderlo, ma non scoraggiarlo. Con
vinto che fosse questione di prezzo, aumentò la p ropria offerta,"
sino ad arrivare rapidamente a cifre astronomiche. Mi ci volle
del bello e del buono per convincerlo che perdeva il suo tempo.
Finalmente si risolvette ad andarsene, non senza lasciar esplo
dere il suo cattivo umore: « Il vostro principe è un idiota ! »,
esclamò, lanciando così la freccia del Parto al domestico stu
pefatto. E uscì sbattendo la porta.
Frattanto le nostre difficoltà finanziarie si aggravavano di
giorno in giorno. Ci restavano ancora gioielli e altri oggetti
di valore, ma si trattava di venderli alle migliori condizioni
possibili. Sapevo che in America avrei potuto averne un rica
vato migliore che in Europa, per cui risolvetti di recarmi a
New York, dopo un breve soggiorno a Roma per congedarmi
dai genitori. Volevo anche indurii a consegnarmi i loro gioielli
per venderli negli Stati Uniti ; il capitale così ottenuto avreb
be dovuto dare rendite tali da garantire la loro esistenza.
Non avevo riveduto i miei genitori da molti mesi. Li trovai
invecchiati e moralmente abbattuti. Avevano ormai perduto
ogni speranza di tornare in Russia, e capii anche che soffri
vano di essere separati dalla nipotina. Li invitai ancora una
volta a venire ad abitare con noi a Parigi, ma non riuscii a
convincerli. Essi amavano Roma, dove avevano ormai le loro
abitudini, e preferivano restar lì.
Mia madre si mostrò contraria alla nostra partenza per
gli Stati Uniti : non poteva accettare l'idea di saperci così
lontani. Mi scongiurò di rinunciare a questo progetto e di tentar
di vendere i gioielli a Parigi o a Londra. Per parecchie setti
mane feci la spola tra le due capitali senza ottenere alcun
risultato. Mi urtai alla maffia (1) dei gioiellieri, tutti d'accordo
contro di me. Se offrivo perle, mi chiedevano diamanti ; quan do
portavo i diamanti, pretendevan o rubini e smeraldi. Quanto
ai gioielli che avevano appartenut o a Maria Antonietta, si
('redeva che portassero disgrazia ; altrettanto dicasi per le
perle nere.
Citerò a questo proposito un esempio tipico. Avevo ven
duto a un'americana gli orecchini di diamanti di Maria An
tonietta. Glieli consegnai in cambio di un assegno e, aderendo
al suo invito, l'accompagnai alla banca. Disgraziatamente,
lungo la strada ella ebbe la spiacevole idea di entrare da un
grande gioielliere parigino per fargli vedere il nuovo acqui
sto. Io l'aspettai in automobile, molto inquieto circa i risultati
di quel passo. E avevo ragione d'esserlo: ella riapparve poco
dopo e, disfatta in volto, mi rese gli orecchini pregandom i
di restituirle a mia volta l'assegno. Il gioielliere aveva giudi
cato i diamanti magnifici, il prezzo ragionevole, ma l'ave-va
convinta che quelle pietre appartenute alla regina decapitata
avevano un potere malefico. E potrei citare molti altri casi
come questo.
L'impossibilità di vendere i gioielli in Europa mi appa
riva ormai evidente, per cui rinunciai alla lotta e risolvetti di
correre l'alea di un viaggio nel Nuovo Mondo. Un'altra ra
gione rendeva necessario questo viaggio: ero ben lontano dal
l'aver rinunciato a riscattare i due Rembrandt affidati a Wi
dener. Ora, la scadenza spirava il primo gennaio 1924 ed
eravamo già agli ultimi mesi del 1923. Nei colloqui che avevo
avuto a Londra col mio avvocato Barker, questi mi aveva
confermato per iscritto ciò che mi aveva già detto: a suo
parere, il secondo contratto che le circostanze mi ave-vano
costretto a firmare mio malgrado, non annullava il primo che
il signor Widener aveva redatto di suo pugno.
"Sono convinto", scriveva Barker, "che se prima della sca
denza del primo gennaio 1924 voi sarete in condizioni di ri
scattare i due Rembrandt, sarà impossibile al signor Widener
rifiutare di renderveli. Qualunque tribunale imparziale lo co
stringerebbe a farlo".
{l) In italiano nel testo.
Per due anni avevo tentato invano di procurarmi la som
ma. Qualche mese prima della scadenza ebbi la fortuna di
incontrare Gulbenkian, il re del petrolio in Asia Minore, e gli
parlai del mio litigio con Widener. Quando gli ebbi esposta
tutta la faccenda, egli mi propose di prestarmi, tramite una
banca, il denaro necessario per riscattare i quadri. Ebbe per
sino la finezza di non chiedermi nessuna ricevuta, ma solo l'im
pegno verbale a non vendere i quadri ad altri che a lui, nel
caso che un giorno mi fossi deciso a farlo.
Il denaro fu spedito a un avvocato di New York che io
incaricai di fare il versamento a Widener in cambio dei due
Rembrandt. Widener rifiutò. Ero risoluto, se si fosse ostinato,
a intentargli un processo, ma speravo ancora di riuscire, tro
vandomi sul luogo, a fargli accettare la mia offerta.
Non eravamo gran che entusiasti di quel viaggio, che non
poteva certo esser definito "di piacere" e che ci obbligava a
lasciare nostra figlia, che aveva allora otto anni e dalla quale
eravamo stati separati sin troppo a lungo. D'altro canto, la
bambina era inconsolabile di vederci partire senza di lei. Sic
come non c'era da pensare a portarsela dietro, ella doveva
restare affidata alla governante, signorina Coom, donna per
fetta sotto tutti gli aspetti, che giustificava pienamente la
nostra fiducia e il nostro affetto. Per dire il vero, il suo com
pito non era dei più agevoli, poiché il carattere della piccola
lrina presentava spiacevoli analogie con quello di suo padre,
e, ricordandomi la mia infanzia, talvolta non potevo fare a
meno di compiangere la disgraziata governante.
La sola prospettiva veramente gradevole che ci offrisse
quel viaggio era la compagnia della nostra ottima amica ba
ronessa Wrangel, che doveva imbarcarsi con noi. Dopo l'an
nientamento dell'esercito bianco il generale e sua moglie vive
vano a Bruxelles dove consacravano la maggior parte del loro
tempo e della loro attività al servizio degli emigrati. La baro
nessa Wrangel aveva pensato che fosse utile accompagnarci
agli Stati Uniti, dove sperava trovare aiuti efficaci.
Per poco non fummo trattenuti all'ultimo momento da un
telegramma di mia madre che ci aspettava a Cherbourg : mio
padre aveva avuto un attacco di apoplessia e le sue condi-
zioni erano gravi. Eravamo già risoluti a rimandare il nostro
viaggio e a partire immediatamente per Roma quando un
secondo telegramma ci portò notizie più tranquillanti. Ogni
pericolo era per il momento allontanato e mia madre ci pre
ga va di non rmandare la partenza.
Così, in una bella giornata del novembre 1923, carichi di
tutti i nostri gioielli e della nostra collezione di oggetti pre
:dosi, salimmo a bordo del piroscafo Berengaria diretto a
New York.
CAPITOLO XXV
( 1923-1924)
295
li portati da noi in America erano stati sottratti alla corona
di Russia ! In un paese nel quale tutto va in fretta e la gente
è specialmente avida d'informazioni impressionanti, questa
si sparse come su una striscia di polvere, risvegliando una dif
fidenza che avrebbe potuto rendere difficile la vendita di quei
gioielli "rubati", ammesso che la dogana acconsentisse a re
stituirceli.
Mentre le autorità discutevano di ciò, lo spirito ospitale
degli americani continuava a esercitarsi senza reticenza e gli
inviti a piovere. Uno di quei ricevimenti, offerto in onore di
Irina, fu segnato da un incidente che ce lo rese indimentica
bile. La casa era sontuosa e la messa in scena grandiosa. Sa
limmo uno scalone di marmo bianco a due rampe, in cima al
quale la padrona di casa ci accolse con tutta la solennità che,
secondo lei, imponeva la situazione. Fummo poi introdotti
nella sala da ballo, dove tutti gli invitati erano disposti in cir
colo come per un ricevimento ufficiale.
Irina, presa dal panico dinanzi a tutti quegli sguardi fissi
su di noi, dichiarò che se ne sarebbe andata immediatamente
Conoscevo mia moglie e sapevo che era capacissima di fare
come diceva. Ma la padrona di casa si incaricò di prevenire
la catastrofe che io temevo, e nel modo più inaspettato.
Avanzandosi nel mezzo della sala, ci indicò con un gesto
enfatico e annunciò a voce alta : « Il principe e la principessa
Rasputin ! ... ».
Tutti restarono di marmo. Noi eravamo orribilmente im
pacciati, più per la nostra ospite che per noi ; ma, per quanto
imbarazzante fosse la situazione, il lato comico di essa aveva
il sopravvento su tutti gli altri. I giornali del giorno dopo ri
ferirono l'incidente, e l'intera città ne rise di cuore.
Ben presto fummo popolari come le dive del cinema o l'e
lefante dello zoo. Una giovane americana attraversò una sera
la sala in cui ci trovavamo e, sedendosi accanto a lrina, le
piantò un dito nel ginocchio. « È la prima volta che vedo una
vera principessa reale », esclamò. « Permettete che vi tocchi ! ».
Un'altra volta una signora ignota mi scrisse pregandomi di
ricevere il suo segretario che sarebbe venuto a intrattenermi
su una faccenda di carattere privato. Il segretario si presentò
e mi disse senza preamboli :
« La mia padrona vorrebbe avere u n figlio da voi, e mi ha
incaricato di chiedervi quali sarebbero le vostre condizioni�.
« Un milione di dollari, non un soldo di meno>, ribattei
mostrandogli la porta e dominando a stento una folle voglia
di ridere.
Stupefatto, il povero diavolo batté in ritirata, mentre io
mi abbandonavo all'ilarità.
29 7
collezione di tabacchiere, miniature e gingilli diversi. Gli al
tri gioielli non ci sarebbero stati resi se non in cambio del de
posito di una somma equivalente all'ottanta per cento del lo
ro valore, il che era superiore ai mezzi di cui disponevo.
Elsie di Woolfe, più tardi lady Mendl, che aveva allora
una casa di arredamento a New York, ci aveva offerto i pro
pri locali per l'esposizione degli oggetti preziosi, e io li col
locai con le mie mani in una vetrina posta in una delle sale.
Miniature con cornici di diamanti, tabacchiere di smalto e
orologi d'oro, statuette di divinità greche o cinesi, fuse in
bronzo o intagliate in un blocco di rubino o di zaffiro, daghe
orientali con le impugnature incrostate di pietre preziose,
ultime vestigia di un passato finito per sempre, furono dispo
sti come li avevo sempre visti nella vetrina dello studio di
mio padre a Pietroburgo, reminiscenza che portò con sé una
certa malinconia.
Tutta New York si affrettò a venire a vedere quell'esposi
zione, e i locali di Elsie di Woolfe divennero il luogo degli
appuntamenti alla moda. Ma le cose non si spinsero più in là.
La gente veniva lì per incontrarsi, per vedere oggetti prezio
si, e soprattutto per vedere me e mia moglie. Tutti ci guar
davano, si entusiasmavano dinanzi alla vetrina, ci compiange
vano, ci stringevano le mani con effusione, e se ne andavano
senza aver comprato nulla. Una persona stravagante e spet
tinata si presentò un giorno chiedendo di vedere "The black
ruby" (il rubino nero). Inutilmente ci sforzammo di convin
cerla che la cosa da lei cercata non esisteva, ella si ostinava
a chiedere il suo "black ruby", dicendo che era venuta appo
299
sare che una parola data impegna quanto una firma. Dichia
rai dunque di essere pronto al processo che appariva ine
vitabile.
Finalmente la collana di perle nere fu venduta. Di colpo,
la nostra vita cambiò: niente più biancheria da lavare, niente
più soste in cucina o davanti all'acquaio; un'èra di passeggera
prosperità si apriva dinanzi a noi.
La colonia russa era molto importante. Vi ritrovammo pa
recchi nostri amici, tra cui il colonnello Giorgio Liarsky e uno
dei miei condiscepoli del ginnasio Gurevic, Gleb Derujinsky,
scultore di grande merito, il quale, durante il nostro sog
giorno a New York, fece due bellissimi busti di mia moglie
e di me. Il barone e la baronessa Soloviev, che erano nuove
conoscenze, diventarono in breve nostri intimi. Frequentava
mo soprattutto gli ambienti artistici e musicali. I Rachmani
nov, gli Ziloti e soprattutto la moglie del celebre violinista
Kosciansky si erano mostrati particolarmente amichevoli du
rante i nostri giorni di miseria. Una sera Rachmaninov, dopo
aver sonato il suo famoso preludio in do diesis minore, ce ne
fece un interessante commento, spiegandoci come il tema di
quel preludio traducesse l'angoscia di un sepolto vivo.
Il barone Soloviev, che lavorava per il costruttore di aero
plani Sikorsky, ci condusse un giorno a visitare l'officina do
ve quest'ultimo, col solo aiuto di sei ufficiali di aviazione rus
si, aveva costruito il suo primo aeroplano. Quella visita fu
seguita da una colazione succulenta in una casetta di cam
pagna nella quale Sikorsky abitava con due vecchie sorelle.
I Soloviev ci conducevano talvolta da uno dei loro amici,
il generale Filipov, che aveva un possedimento tra le mon
tagne, a quattro ore da New York. Vi passavamo giorni di ri
poso deliziosi, tanto più apprezzati da lrina in quanto ella
era stanca della vita mondana che conducevamo in città. Ri
trovavamo qui un angolo della patria. I nostri ospiti, la loro
casa, il loro modo di vivere e persino il paesaggio coperto di
neve, tutto concorreva a creare in noi l'illusione di essere tra
sportati nel nostro paese. Durante la giornata facevamo pas
seggiate in slitta, e alla sera, dopo aver fatto onore al borsc'c
e alle costolette Pojarsky, ci raccoglievamo intorno al grande
300
camino in cui ardevano ciocchi enormi. La stanza era illumi
nata soltanto dalle fiamme del focolare. Allora prendevo la
mia chitarra e, in coro, cantavamo canzoni russe. Ci senti
vamo felici, lontani da New York e da quella vita fittizia del
la quale eravamo stanchi.
301
cipavano anche i figli piccoli dei danzatori, in costume na
zionale, erano il numero più importante della serata. Il suc
cesso fu immenso, e la portata dell'incasso superò ogni nostrn
previsione. L'onore toccava specialmente a Taukan Kerevov
che si era prodigato per aiutarci a organizzare quella serata.
Era stato lui a prendere la direzione delle danze di cui era
nello stesso tempo la maggior attrazione. Come tutti quelli
della sua razza, Taukan aveva il culto dell'amicizia. Io mi
ero acquistato la sua occupandomi dei suoi compatrioti e an
che per averlo forse salvato dalla sedia elettrica.
Bellissimo e seducente, Taukan aveva avuto sempre grandi
successi con le donne. Egli fece dunque la conquista di una
donna maritata che, un giorno, si trovò incinta di lui. Se
guendo i consigli del segretario del marito ingannato, e gra
zie all'intervento di una levatrice, il piccino, considerato in
desiderabile, non aveva visto la luce. Quando fu messo al cor
rente della faccenda, il selvaggio figlio del Caucaso vide ros
so. Il codice della civiltà occidentale aveva sottigliezze che
sfuggivano alla sua natura primitiva. Egli risolvette di ven
dicare la morte del suo bambino nel modo più sommario e
spedito uccidendo la madre, il marito, il segretario e la le
vatrice. A quello scopo, infatti, aveva comperato una rivol
tella. Per fortuna, il giorno precedente a quello da lui fissato
per l'esecuzione in massa, ebbe la buona idea di venirmi a
confessare le sue criminose intenzioni. In seguito a un collo
quio patetico che si prolungò tutta la notte, egli finì per ri
nunciare ai propositi vendicativi. Da quel giorno Taukan mi
fu interamente devoto, a tal punto che, quando lasciammo
gli Stati Uniti, abbandonò tutto per seguirei in Europa.
La primavera era giunta. Eravamo a New York da sei
mesi e avevamo fretta di tornarcene a casa. Era ormai chiaro
che la questione con Widener non avrebbe potuto risolversi
che con un processo; quanto ai gioielli confiscati dalla do
gana, la somma che questa esigeva sorpassava le mie possi
bilità. Investii in un affare immobiliare il danaro pr-oveniente
dalla vendita degli oggetti affidati a Cartier e, fattici restituire
"i gioielli della Corona", ci imbarcammo per la Francia. Ab
bandonavamo senza rimpianto l'ospitale ma spossante New
302
York. La pagina americana era voltata - così per lo meno
credevo - e noi eravamo tutti pieni di gioia al pensiero di ri
vedere al più presto la nostra bimba e di ritrovare la casetta
di Boulogne, diventata il nostro focolare di esiliati.
Gli individui senza fede e senza legge, che con i loro in
trighi e le loro manovre tenebrose erano riusciti così bene a
disgregare la società russa e a precipitarne la rovina, conti
nuavano l'opera nefasta nell'esilio. Il loro scopo era duplice ;
seminare la discordia tra gli emigrati e far nascere tutte le
possibili occasioni di scandalo per screditarli agli occhi del
l'estero.
Nel 1924 due gravi avvenimenti gettarono il turbamento
negli emigrati. Il primo fu il manifesto del granduca Cirillo,
cugino dello zar, che si proclamava imperatore di Russia ; il
secondo la scissione che divise la Chiesa russa.
La dannosa attività politica del granduca Cirillo si era
iniziata già in Russia, nel 1917. L'atteggiamento che egli ave
va creduto di dover assumere allora, severamente criticato da
tutti i russi rimasti fedeli, aveva prodotto una deplorevole
impressione all'estero. Ciò non impedì al granduca di attri
buirsi, nel 1922, il titolo di custode del trono di Russia e,
nel 1924, quello di imperatore.
Fatta eccezione per il piccolo gruppo che sosteneva le sue
pretese, la gran massa dei russi esiliati (a cominciare dall'im
peratrice madre e dal nostro ex generalissimo granduca Ni
cola) , accolse malissimo quell'autodesignazione e rifiutò di ri
conoscere il granduca Cirillo come futuro sovrano.
Ebbi la notizia a Bruxelles. Il generale W rangel, che mi
aveva invitato a colazione, non nascondeva la propria indi
gnazione. Mi mostrò un documento in suo possesso, scoperto
dall'esercito bianco nel 1919 tra gli archivi di una città russa
abbandonata dai bolscevichi. Era il programma della propa-
3 08
ganda bolscevica in Europa : uno dei primi articoli era preci
samente la proclamazione del granduca Cirillo a imperatore
di tutte le Russie.
Non appena fu posto al corrente delle intenzioni del gran
duca, il generale Wrangel gli inviò una copia di quel docu
mento, scongiurandolo di non prestarsi al giuoco dei bolsce
vichi. Non ricevette mai risposta.
Dopo l'assassinio dell'ultimo zar e della sua famiglia, la
mancanza di eredi diretti poneva la grave question e della suc
cessione al trono. Coloro che provassero qualche interesse per
tale questione troveranno qui in calce (1) tre articoli estratti
dal codice delle leggi dell'impero russo, fatto redigere dal
l'imperatore Nicola l. I più eminenti giuristi non sono ancora
riusciti a mettersi d'accordo sull'interpretazione che conviene
dare a questi tre articoli. La questione della legittima succes
sione al trono di Russia resta infatti incerta. Si tratta di un'in
certezza alla quale io attribuisco un'importanza relativa, giac
ché se la monarchia dovesse prima o poi essere restaurata nel
nostro paese senza portare un mutamento di dinastia, spette
rebbe probabilmente al Sobor {2) designare il futuro zar, sce
gliendo tra la giovane generazione dei Romanov la persona
che esso considererebbe più degna di portare la corona degli
antenati.
Il conflitto dei vescovi, alcuni dei quali volevano ricono
scere il patriarca di Mosca, mentre altri si rifiutavano a que
sto riconoscimento, concorse anch'esso a dividere gli emigrati
in due campi avversi. La Chiesa, come la monarchia, deve
restare irriprovevole. Soltanto a questo prezzo l'una e l'altra
possono conservare il loro prestigio e la loro benefica influen-
(1) Art. 5- I due sessi hanno diritto entrambi alla successione al trono, ma la prio
rità appartiene al sesso maschile per ordine di primogenitura. In caso di estinzione del
l'ultima generazione maschile, la successione passa alla generazione femminile per or
dine di primogenitura.
Art. 141 - Nessun membro della famiglia imperiale che possa essere chiamato alla
successione al trono, può contrarre unione matrimoniale con una persona di religione
diversa se non dopo la conversione di tale persona alla religione ortodossa.
Art. 144 - Nessun membro della famiglia imperiale che abbia contratto unione
matrimoniale con una persona non eguale di nascita, e cioè che non appartenga a nes
suna casa regnante o sovrana, può comunicare a tale persona, o ai discendenti usciti
da questa unione, i diritti spettanti ai membri della famiglia imperiale.
Estratto dal Codice delle Leggi dell'Impero Russo, redatto per ordine dell'impera
tore Nicola l, ed. 1892, vol. l, articoli 5, 14.1, 1".
(2) Assemblea nazionale dei rappresentanti della Chiesa e del popolo.
309
za. Gli esiliati senza patria erano come bambini senza fami
glia. Per quelli che avevano la fede, la Chiesa avrebbe potuto
farne le veci. Per un gran numero di questi infelici la casa di
Dio e le icone sostituivano il focolare perduto ; essi si rifugia
vano là per trovare nella preghiera la pace del cuore e l'oblio
delle sofferenze. È una fortuna che la loro fede sia stata ab
bastanza salda da far sì che essi non si sentissero straniati
dalla Chiesa a causa delle divisioni dei vescovi.
3 11
Ricevevamo clienti d'ogni nazionalità. Molti, attirati dalla
curiosità, cercavano prima di tutto l'inedito. Una avrebbe
voluto che le si servisse il tè in un samovar. Un'altra - ame
ricana, questa - chiedeva di vedere il principe di cui le era
stato detto a New York che aveva gli occhi fosforescenti co
me quelli di un felino! Ma la più stupefacente di tutte era
la signora Whobee. Tanto per cominciare, dirò che era enor
me: e quando dico enorme, è perché non trovo un aggettivo
migliore. Nulla potrebbe dare un'idea, sia pure approssima
tiva, clelle proporzioni della signora Whobee. La sua prima
visita alla Casa lrfé impressionò tutti. Quando fece il suo
ingresso nel salone, sostenuta da un lato dall'autista, dall'al
tro da un domestico, e seguita da una persona che pareva la
dama di compagnia - una donnetta senza età, dall'aria mo
desta, che, come seppi più tardi, era una baronessa austriaca
- si stava presentando una collezione. Non appena la nostra
nuova cliente fu, non senza fatica, installata su un divano,
si udì una voce grave e possente:
« Chiamatemi il principe, voglio vederlo. E portatemi del
la vodka :..
La signora Barton venne, imbarazzatissima, a espormi la
situazione.
« Che devo fare, principe? È uno scandalo. La nostra casa
non è una bettola > .
«: Non ci vedo nessuno scandalo :., l e risposi. « Diamo d a be
fusa.
c: Zitta, idiota , , tagliò corto l'altra.
3 18
dri, ma confessò di avere speculato sulla mia fede in una re
staurazione dell'antico regime, alla quale egli, dal canto suo,
non credeva. Era per lui una gittata di dadi, sulla quale rite
neva di poter puntare a colpo sicuro. Possibile che qualcuno
considerasse ciò come un delitto?
Mi ero sentito ingiurare copiosamente, ma debbo ricono
scere che, dal canto loro, i miei avvocati non ebbero riguardi
per Widener. Buckner gli diede dell'usuraio, Sheam del "coz
zone furbo e senza scrupoli".
« Potrei dire che Widener è uno spergiuro, un ladro e un
truffatore », concluse. « Non è necessario: egli stesso ha trac
ciato qui, davanti alla corte, il proprio ritratto. Tutto ciò che
potrei dire non aggiungerebbe nulla » .
I miei avvocati non avevano nessun dubbio circa i l felice
esito del processo, e io condividevo il loro ottimismo. Il ver
detto non doveva essere reso che due mesi più tardi, e la mia
presenza a New York era ormai inutile ; non pensai dunque
che a prendere la prima nave per l'Europa.
319
ospitale e di una non comune lealtà. Se avessi incontrato un
bandito còrso - un mito, senza dubbio, al giorno d'oggi -
gli avrei accordato la mia fiducia più volentieri che a certa
gente conosciuta a Parigi, Londra o New York.
La cortesia della popolazione era commovente. A vendo noi
espresso davanti alla gente del paese il rammarico che nel
giardino della fattoria mancassero i fiori, l'anno dopo lo tro
vammo interamente fiorito per opera loro. Nel caffè del porto,
dove andavamo sovente per sentir cantare i pescatori, questi
non mancavano mai di offrirei da bere.
Una donna del paese, Restituta Orsini, che ci teneva in
ordine la casa quando eravamo a Calvi, ebbe un gesto par
ticolarmente commovente. Messa al corrente delle difficoltà
finanziarie in cui ci trovavamo, venne apposta a Parigi per
offrirei le sue economie. Un altro anno in cui mi trovavo a
Calvi solo, abitavo nella fattoria e vi avevo organizzato un
pranzo per i pescatori. Al cadere del giorno vidi arrivare
un fila di vetture che portavano, insieme con gli invitati,
una grande quantità di viveri : aragoste, capretti, frutti vari
in abbondanza e bevande di vario genere : vino, champagne,
cognac, liquori, ecc. Avevano portato persino delle lanterne
multicolori che appesero ai rami. In un batter d'occhio il
giardino illuminato assunse uh aspetto festoso. Davanti alla
mia aria stupita e un po' preoccupata, essi .credettero di do
vermi rassicurare : « Non prendetevela, non vi presenteremo
mica il conto ».
32 1
m stile veneziano dal pittore Sciuhaiev, anch'esso in rue du
Mont-Thabor; era piuttosto un locale notturno lussuoso e in
ternazionale, che si apriva all'ora in cui La Maisonnette si
chiudeva. Mon Repos, in avenue Victor-Hugo, che fu aperto
più tardi, era, come La Maisonnette, specificamente russo, ma
di genere rustico, con un giardino attiguo che contribuiva a
dargli l'aria di un albergo di campagna. Ne affidai la gerenza
a Makarov, il cui carattere, sempre più ostico, era a Boulogne
una fonte di conflitti quotidiani. Mi costava separarmi da un
uomo di cui conoscevo la devozione e al quale ero anch'io
molto affezionato, ma la pace della mia casa lo esigeva.
Incoraggiati dal successo delle nostre imprese, aprimmo
una succursale della Casa Irfé al Touquet, sotto la direzione
della principessa Gabriel. Il principe Gabriel, cugino di Iri
na, e sua moglie abitavano anch'essi nella nostra casa a Bou
logne e la loro presenza era per noi una gioia. La principessa
era stata ballerina dei Balletti imperiali. Impastata di spi
rito e di allegria, Nina adorava il marito e viveva per lui.
Se Gabriel era riuscito a sfuggire alla sorte degli altri mem
bri della famiglia, lo doveva all'intelligenza e all'abilità di
sua moglie.
Vennero aperte altre due filiali della Casa Irfé: la prima
a Londra, in Berkeley Street, la seconda a Berlino nella casa
dei Radziwill, in Parisenplatz. La direttrice di Londra era
un'inglese, la signora Ansel, donna intelligente, piena di ener
gia e di autorità. Quanto alla succursale di Berlino, era di
retta dalla principessa Thurn-und-Taxis. Con quella donna
seducente e intelligente, che i suoi familiari chiamavano Titì,
mi sono divertito un mondo. Trovandomi a Berlino qualche
tempo prima dell'inaugurazione della nostra succursale, ave
vo fatto in compagnia della principessa il giro dei locali not
turni, dove speravamo di trovare qualche bella ragazza adat
ta a diventare indossatrice. Non ci eravamo ingannati ; ma
quando Titì ne ebbe invitate certune al nostro tavolo, quelle
graziose fanciulle mi parvero bizzarre... Confidai le mie ap
prensioni alla mia compagna che scoppiò a ridere: « Non vi
stupite :&, mi spiegò; « queste ragazze sono ragazzi ! :&. Quel
giorno concepii qualche inquietudine nei riguardi della mia
322
futura direttrice ... Tuttavia, prima dell'inaugurazione, tro
vammo delle indossatrici ch'erano vere donne.
Avevamo preso in affitto al Touquet una villa dove tra
scorrevamo in allegra compagnia numerosi roeek-ends. La vil
la si chiamava "I funghi", e mai nome fu più adatto. In vita
mia non ho mai trovato luogo più umido di quello. Ma era
vamo ancora abbastanza giovani pe �ché tutto ci servisse di
pretesto per divertirci e scherzare.
Approfittai del tempo di cui disponevo al Touquet per
riesaminare un gran fascio di carte, lettere e documenti che
avevo portato con me allo scopo di riordinarli. Tra quelle
carte ritrovai certi quadernetti nei quali avevo preso nota
degli avvenimenti politici sopravvenuti nel corso degli ultimi
anni che avevamo passato in Russia. Irina, alla quale feci
vedere quelle note, le trovò abbastanza interessanti per me
ritare d'essere tradotte e pubblicate. Erano stati diffusi a pro
posito di tali avvenimenti tanti errori e tante menzogne, che
mi sembrava fosse giunto il momento di rendere nota la mia
testimonianza personale, almeno su quelli nei quali mi ero
trovato direttamente immischiato.
Il mio amico Edmondo di Zuylen mi aiutò a riordinare le
note allo scopo di preparare un libro che avrebbe dovuto
uscire col titolo La fin de Raspoutine. Lunghe ore di lavoro
in comune mi hanno dato modo di conoscere meglio e di ap
prezzare la sottile intelligenza e la nobiltà di carattere di
questo amico perfetto.
33 1
"Nondimeno, la vera 'notte di principi', la cena che raduna
intorno alle uova dipinte di rosso, al rituale formaggio alla
crema e ai porcellini di latte, gli autentici granduchi e le
belle slave, non svolge i propri fasti né da Kornilov, né al
Pesce d'oro e nemmeno allo Sheherazade, bensì in una caset
ta di Boulogne, tra innumerevoli fotografie di monarchi più
o meno scoronati. Il buffet è sontuoso, pieno di fantasia ed
eteroclito: salsicce recate da un piccolo danzatore stanno ac
canto a un tacchino tartufato, donato generosamente dalla
Royal Dutch per il tramite di lady Deterding, e il 'rosso comu
ne' è mischiato nei bicchieri col più prezioso degli Chamber
tin e il più raro degli Chateau-Lafitte.
"Scortato dallo stuolo dei fedeli caucasici, il padrone di
casa va da un gruppo all'altro, parla con questi, offre da bere
a quelli, cortese, distante e misterioso, senza tuttavia dimen
ticarsi neppure per un istante di recitare la propria parte.
Il suo volto fine si illumina di un sorriso felice quando donna
Vera Mazzucchi versa la vodka nel pianoforte o quando Ser
gio Lifar compie acrobazie appeso a un lampadario.
"Una giovane donna bruna canta con una voce di rame
un po' rauca una melopea zigana, ripresa in coro da quattro
principesse, tre contesse e due baronesse. Ricordandosi del pro
prio sangue russo, Maria Teresa d'Uzès, prima duchessa di
Francia e nipote di Galizin, dà il bacio pasquale a un sona
tore di balalaika. I vicini ricordano alle Loro Altezze che so
no le cinque del mattino, che è ora di andare a letto e di farla
finita con le cerimonie moscovite".
333
cente granduchessa e le parlarono. Tutti costoro furono d'ac
cordo nel denunciare l'impostura, ma se la loro testimonianza
fu sufficiente a convincere i parenti prossimi e gli intimi del
la famiglia imperiale, essa non riuscì ad arrestare la campa
gna organizzata intorno alla falsa Anastasia.
Quell'anno mi trovai a passare per Berlino, dove incontrai
un medico russo, il professar Rudniev, che era uno dei più
ardenti partigiani della falsa Anastasia.
La mia convinzione era troppo radicata perché potesse
essere scossa dai suoi racconti entusiastici, tuttavia fui cu
rioso di conoscere per il suo tramite gli organizzatori della
faccenda e di vedere la persona che questi pretendevano far
passare per la figlia dello zar. Mi fu detto che ella si trovava
al castello di Seéon, proprietà del duca di Leuchtenberg, nei
dintorni di Monaco, dove Rudniev mi propose di condurmi.
Notai come questi, durante il tragitto, insistesse grandemenfe
nell'avvertirmi che i colpi di fucile e di baionetta ricevuti al
volto della "granduchessa" l'avevano resa irriconoscibile.
A Seéon, ci fu detto che "sua altezza imperiale" era indi
sposta e non riceveva nessuno. Tuttavia un'eccezione fu fatta
per il professore Rudniev, che salì nella di lei camera. Tornò
in capo a un istante per comunicarmi la gioiosa emozione che
l'annuncio della mia visita aveva, così egli diceva, provocato
nell'ammalata. « Felice ! », pare che ella avesse gridato. « Che
gioia rivederlo! Ditegli che mi vesto e scendo subito. C'è an
che lrina? » .
Tutto ciò aveva qualcosa di falso. Non potevo dubitare
che quella gioia fosse finta, a meno che Io stesso Rudniev non
l'avesse inventata per le necessità della causa. Fui pregato
di attendere in giardino dove, un quarto d'ora dopo, vidi ar
rivare la pseudo granduchessa appoggiata al braccio del pro
fessore, che era risalito a prenderla.
Anche se non avessi avuto ragione di concepire alcun dub
bio, mi sarei accorto subito di trovarmi al cospetto di un'at
trice che recitava assai male la parte. Nulla in lei, né i linea
menti, né la figura, né il contegno, ricordava nessuna delle
figlie dell'imperatore. Ella era soprattutto ben lungi dal pos
sedere quella naturalezza e quell'innata semplicità, appan-
334
naggio della famiglia imperiale, e che in nessun modo i colpi
di fucile e di baionetta (di cui, comunque, il suo volto non
recava traccia alcuna) avrebbero potuto distruggere. La no
stra conversazione fu breve e insignificante. Le rivolsi la pa
rola in russo; ella mi rispondeva in tedesco, lingua che i figli
dello zar conoscevano assai male. In compenso non sa peva
una parola né di francese né d'inglese, che essi parlavano
invece alla perfezione. In mancanza di altre prove, la mia
visita a Seéon sarebbe stata sufficiente a convincermi del
l'inganno.
Un'inchiesta p rivata intrapresa l'anno dopo col concorso
della polizia di Berlino rivelò che la sedicente granduchessa
era una semplice operaia di origine polacca, di nome Fran
cesca Schanzkowska. Sua madre viveva ancora con due figli
e altre due figlie in un villaggio della Pomerania orientale.
Tutta la famiglia riconobbe senza esitazione Francesca n elle
fotografie che le furono mostrate. Sin dal 1 920 la ragazza era
scomparsa e i parenti non avevano più potuto trovarne le
tracce. Un'inchiesta ufficiale venne più tardi a confermar e le
conclusioni dell'inchiesta privata.
Tutta la faccenda si fondava sulla convinzione general
mente accettata che capitali importanti, costituenti la for
tuna personale dell'ultimo zar, fossero rimasti in deposito
presso banche straniere. La sopravvivenza di un erede na
turale era indispensabile p er poter mettere le mani sull'ere
dità. Soltanto pochi valori ammontanti a una somma minima
erano invece restati in una banca di Berlino.
Fu così che Francesca dovette la propria elevazione al
rango di granduchessa a una banda di bricconi risoluti a im
possessarsi di un'eredità inesistente.
335
che correva alla mia ricerca su e giù per l'Italia, telegrafaì
a mia madre pregandola, per il caso che il maragia fosse an
dato a chiederle di me, di dirgli che ero in Corsica. La pre
cauzione non era inutile. Ben presto, infatti, mia madre mi
segnalò il suo passaggio. "Chi è dunque questo maragia che
ti cerca dappertutto, e che cosa vuole da te?", mi domandava.
Sarei stato molto imbarazzato a risponderle. Sapevo con asso
luta certezza che egli nascondeva qualche progetto a mio ri
guardo: me lo aveva lasciato capire più volte, senza tuttavia
spiegarsi più chiaramente. Le sue vere intenzioni restavano
un enigma per me. Dovevo averne la spiegazione, un giorno,
ma quel giorno non era ancora giunto.
Seppi che era tornato a Parigi furibondo. In seguito a
tale delusione cessò di perseguitarmi e, per un periodo di
tempo abbastanza lungo, non diede segno di vita.
337
ritorno, il portiere mi annunciò che la signora Whobee aveva
litigato col direttore per un pianoforte che questi aveva rifiu
tato di far portare nella sua camera, e che i due sposi avevano
lasciato l'albergo. Mi diede l'indirizzo della casa che Bibì ave
va preso in affitto e dove questa mi pregava di raggiungerla al
più presto.
Bibì non aveva perso un momento e la casa portava già
il suo segno. Quanto a lei, stava seduta, col suo bravo koko
sc'nik in testa, insieme con il marito davanti a un pranzo ser
vito quasi per incanto. Whobee beveva in silenzio e sembrava
di pessimo umore, al contrario di sua moglie che aveva l'aria
trionfante di un bambino che ha messo nel sacco i genitori.
« Rarità », mi disse vedendomi, « eccovi finalmente qui ! lo
detesto gli alberghi. Tutti i direttori sono dei sudicioni e degli
idioti, e mi disgustano ... Ho preso in affitto questa casa per tre
mesi e ho fatto chiamare alcuni musicisti russi che saranno
qui tra poco. Sedetevi, mangiate e bevete... Non avete abba
stanza affari a Parigi, per correre a Bruxelles a scovarne al
tri? ... Sono pazzie ! ».
I musicisti di un locale notturno arrivarono durante la
cena, e la serata terminò gradevolmente.
Il giorno dopo, all'alba, la signora Whobee mi faceva chia
mare. La trovai seduta in mezzo al letto; piangeva a calde
lacrime.
« Willy! Ho perduto Willy ! », diceva tra i singhiozzi. c: Se
ne è andato stanotte. lo lo adoro, non posso vivere senza di
lui ... Rarità, aiutatemi a ritrovarlo! » .
Mi tendeva u n biglietto tutto spiegazzato che suo marito
le aveva lasciato andandosene : "Cara Anna, parto e non tor
nerò più. Buona fortuna. Willy".
Telefonammo a Parigi, in avenue Friedland. Il barone Tur
pin rispose che Willy non si era visto, ma che se fosse arri
vato la signora ne sarebbe stata subito avvertita.
Intanto la signora Whobee aveva deciso di tornare subito
a Parigi e di fare quanto era possibile per ritrovare il fug
giasco. Durante tutto il viaggio bevve e pianse, e più beveva,
più piangeva. La polizia fu subito messa al corrente, e l'ap
partamento dell'avenue Friedland si empì di poliziotti, pro-
338
fessionisti e privati. Troneggiando in mezzo a essi come un
generale circondato dallo stato maggiore, la signora Whobee,
in kokosc'nik e camicia da notte, li sovraccaricava di ordini
contraddittori e bizzarri. Scorgendo improvvisamente un gio
vanotto che, per dire la verità, aveva più l'aria di un becchino
che di un poliziotto, lo apostrofò in modo veemente :
« E tu, faccia di c ... , con la tua aria da funerale ! Che c . ..
fai qui ? Dovresti essere già tornato ».
Finalmente Willy fu scoperto a Nizza, in una pensioncina
di famiglia dove si era nascosto. Bibì chiese la propria auto
mobile, e partì immediatamente per la Costa Azzurra. Tornò
qualche giorno dopo, riportando suo marito all'ovile, con la
coda tra le gambe e più morto che vivo.
CAPITOLO XXIX
(1927)
340
vano durante ore e ore per dimostrare che il mio libro era Wl
vero scandalo e che io avevo insultato la memoria dell'impe
ratore e della sua famiglia, non avevano in realtà da rimpro
verarmi che una cosa : quella di aver mostrato quale fosse il
vero volto de] "sant'uomo".
Per fortuna trovai un largo compenso alle critiche e alle
ingiurie nelle approvazioni che ricevetti da altre persone, spe
cialmente da quell'uomo stimabile ed eminente ch'era il me
tropolita Antonio, capo della Chiesa ortodossa nell'emigra
zione. La sua unica riserva non riguardava menomamente ciò
che mi era imputato dagli altri come un delitto : "Solo un leg
gero sospetto di costituzionalismo occidentale, estraneo allo
spirito russo", mi scriveva, "mi vieta di accordare un premio
d'eccellenza a questo libro. In compenso, il vostro amore p er
lo zar e la Russia, come per la fede ortodossa, induce il lettore
alla più calda approvazione".
Non dovevo tardare a conoscere altre seccature. Una sera
- o piuttosto una notte - ricevetti la visita di una parente di
mia moglie, la quale mi spiegò la sua apparizione in quell'ora
indebita con l'importanza e l'urgenza del motivo che l'aveva
condotta a casa nostra. Ella affermava infatti di essere stata
incaricata dal ministro degli Interni di avvisarmi che dovevO'
lasciare immediatamente la Francia, e ciò per evitare che il
mio nome venisse coinvolto pubblicamente con quelli delle
persone compromesse nello scandalo dei falsi biglietti di banca
ungheresi, di cui allora tutti i giornali erano pieni. II mini
stro, desideroso di risparmiare seccature alla famiglia impe
riale, con la quale mi sapeva imparentato, aveva inviato da
lei il proprio segretario particolare per p regarla di fare quel
passo presso di me.
Ero al colmo della stupefazione! Frattanto la mia visita
trice insisteva perché partissi, anche se l'accusa era ingiusti
ficata, cosa di cui mi faceva la grazia di affermarsi sicura.
Aveva con sé, nella borsetta, due lasciapassare p er la Spagna,
uno per me e uno per il mio domestico. Irina, niente affatto
impressionata, mi consigliò di non tener conto di un avverti
mento che le pareva sospetto. Era anche la mia impressione, e
la prima reazione era stata di rifiutarmi di lasciare Parigi. Ma,
considerando la personalità della mia visitatrice, di cui non
potevo mettere in dubbio la buona fede, e desideroso soprat
tutto di evitar noie alla famiglia di lrina, presi la decisione
di partire.
Novembre non è il mese più. propizio per visitare i paesi
meridionali che vogliono sole e calore. Col freddo e con la
pioggia la Spagna non ebbe alcun fascino per me. Trovai Ma
drid glaciale, e si sarebbe detto che più andavo verso il sud,
più la temperatura scendesse. A Granata, tuttavia, la mia
ammirazione resistette a tutte le intemperie ; però mi augurai
di rivedere un giorno i giardini dell'Alhambra con un tempo
più clemente.
Andando da Granata a Barcellona, mi fermai a Ronda,
una deliziosa cittadina dove mi proponevo di passare la notte
e la mattinata del giorno dopo. C'ero da appena poche ore
quando mi fu consegnato un invito a pranzo della duchessa
di Parsent. Il nome mi era ignoto. Il portiere dell'albergo,
interrogato, mi disse che quella signora era una tedesca che
abitava da molto tempo nella città di cui era diventata la
benefattrice. Veniva chiamata la Reina de Ronda. L'albergo
aveva l'incarico di segnalarle gli stranieri di passaggio ed ella
invitava a pranzo quelli che le sembravano degni d'essere
conosciuti. "Un'altra originale", pensai, avviandomi per an
dare da lei.
Trovai una donna deliziosa sotto tutti i punti di vista, che
mi ricevette come una vecchia conoscenza. Infatti scoprimmo
ben presto di avere parecchi amici comuni. La sua abitazione,
la Casa del Rey Moro, era un sogno, prodotto felice dell:unio
ne tra il carattere spagnuolo e le comodità inglesi. La duchessa
mi offrì di far ritirare i bagagli all'albergo se avessi accettato
di trascorrere la notte sotto il suo tetto, proposta che accettai
senza farmi pregare.
Nuovi invitati arrivarono, non meno ignoti alla padrona
di casa di quanto lo fossi io pochi minuti prima. Il pranzo fu
molto gaio, appunto per quel che v'era in esso d'imprevisto
e per l'assenza di qualsiasi formalismo. Lo spirito, la genti
lezza e l'umorismo della nostra ospite contribuirono a fare
34 2
della serata uno di quei rari momenti di cui a volte ci fa pia�
cere rievocare il ricordo.
Il giorno dopo, prima della mia partenza, la duchessa mi
fece visitare le scuole e i laboratori da lei fondati. E qui com
perai alcuni oggetti per ricordo delle ore passate in compa
gnia della gentile Reina de Ronda.
Stanco degli alberghi di second'ordine dove il cibo era dete
stabile e dove morivo di freddo, al mio arrivo a Barcellona
non esitai a farmi portare al RHz. Mi rimaneva ben poco de
naro, ma non me ne preoccupavo esageratamente. Siccome
l'imprevidenza, che è la regola della mia vita, aveva ricevuto
sempre la giustificazione dei fatti, ero certo che anche quella
volta, al momento giusto, le cose sarebbero andate a posto.
Ritrovai a Barcellona parecchi spagnuoli che avevo già
incontrato a Parigi. Essi mi fecero conoscere i loro amici, la
maggior parte dei quali abitava in campagna, e in pochi giorni
mi trovai in relazione con tutta la città e dintorni. I catalani
sono gentili e ospitali. In nessun paese ho trovato un'acco
glienza più semplicemente amichevole né una simpatia che
mi sia parsa più sincera.
Ero ancora a Barcellona quando ricevetti da lrina una
serie di lettere disperate. Da quando ero partito, il contegno
di Jacovlev, il nostro amministratore, le era parso sospetto.
Jacovlev le chiedeva continuamente la sua firma, ed essa sen
tiva di non dovergliela concedere, particolarmente quando
egli aveva tentato di farle firmare una autorizzazione per la
vendita di tutti i gioielli che ci rimanevano.
Deciso a tornare in Francia checché potesse accadere, av
visai lrina del prossimo arrivo, raccomandandole di rifiutare
da ora in poi di firmare qualsiasi foglio. Inviai il mio p assa
porto alla persona che mi aveva p rocurato il salvacondotto,
spiegandole come fosse urgente che io tornassi a Parigi e p re
gandola di ottenere per me un visto p er il Belgio, d'onde con
tavo di poter tornare a casa senza difficoltà. Mi venne rispo
sto che dovevo restare dove mi trovavo; del mio passaporto,
neanche una parola.
Uno degli amici di Barcellona al quale confidai il mio im
barazzo mi offrì di condurmi in automobile sino alla frontiera
343
e di farmela passare. Lasciai le valige all'albergo, affidandone
la sorveglianza al mio domestico, e la sera stessa arrivavamo
al villaggio montano di Puigcerdà. Venuta la notte, cammi
nando per sentieri sepolti sotto la neve nella quale sprofon
davamo sino al ginocchio, raggiungemmo la frontiera, che
varcai senza incidenti.
Sorgeva il giorno quando giunsi a Font Romeu, spossato
da varie ore di marcia in montagna, ma talmente abbagliato
dalla bellezza di quello scenario di neve sotto il sole levante,
che dimenticai la stanchezza.
Mia prima cura fu di telefonare a lrina per rassicurarla.
Le dissi di mandarmi immediatamente Kataley con abiti di
ricambio e le assicurai che mi avrebbe riveduto prestissimo.
Quando arrivò, Kataley aveva l'aria di un'ombra. Seppi al
lora tutto ciò ch'era accaduto durante la mia assenza. Ero
sufficientemente informato della condotta di Jacovlev, ma, co
me mi era facile immaginare, egli non era il solo in causa.
lrina mi aspettava alla stazione con uno dei più vecchi
amici, il principe Michele Gorciakov ; avevano entrambi il
viso sconvolto. Mi dissero che all'annuncio del mio ritorno
Jacovlev era fuggito, e che non si riusciva a trovare le sue
tracce. Quanto alla persona che mi aveva spedito in Spagna,
era partita per l'America. E tuttavia sapevo che Jacovlev
non era una canaglia, ma soltanto un uomo debole. Quando,
tre anni dopo, preso dai rimorsi, venne a implorare il mio
perdono per il male che ci aveva fatto, non mi fece sapere
nulla di nuovo dicendomi che in quella disgraziata faccenda
egli non era stato altro che uno strumento.
lrina, estenuata da tante preoccupazioni, era assai dima
grita e con i nervi a pezzi. Mi sentivo pieno di rimorsi per
ché mi consideravo in parte responsabile di ciò, ed ero pro
fondamente addolorato che la mia fiducia fosse stata tradita.
Non era la prima volta e non doveva essere l'ultima, ma la
diffidenza non entra nel mio carattere né nei miei princìpi;
essa ci pone a rischio di ferire le persone oneste e di rendere
le altre più disoneste di quel che sono. Io mi fido a priori
della gente, e, a dispetto delle numerose delusioni che questo
principio mi ha procurato, gli sono rimasto sempre fedele.
344
La cosa p iù urgente era trovare qualcuno per sostituire
Jacovlev e mettere ordine in una situazione nella quale il
caos regnava sovrano. Conoscevo un russo, Arcadio Polunin,
che il generale Wrangel mi aveva descritto come uomo di
provata onestà e molto pratico d'affari. Lo incaricai di sbro
gliare i nostri. Sua prima cura fu di chiarire il mistero del
mio invito in Spagna. Grazie alle sue amicizie negli ambienti
politici, la cosa non richiese che pochi giorni. Un'inchiesta
ordinata da Briand rivelò che mai il mio nome era stato p ro
nunciato nella faccenda delle false banconote ungheresi, e
che mai il ministro degli Interni aveva inviato il p roprio
segretario alla persona ch'era venuta a trovarmi da parte sua.
Quella storia era stata dunque architettata di sana pianta,
evidentemente con lo scopo di allontanarmi da Parigi e faci
litare così la consumazione della nostra rovina.
Non bastava avere un amministratore : occorreva trovare
il denaro necessario per far fronte alle scadenze e salvare i
gioielli messi in pegno. Un greco ricchissimo, di nome Vaglia
no, mi aveva detto che in caso di difficoltà avrei potuto sem
pre rivolgermi a lui. Pieno di fiducia nel risultato del mio
passo, sonai dunque alla porta del suo palazzo in avenue du
Bois. Ma quando mi vedevo già fuori dai guai, il portinaio
mi disse: « Il signor Vagliano è morto l'altro ieri > .
Grazie a Polunin potevamo ancora resistere. Egli s i faceva
in quattro per salvare una situazione che a volte sembrava di
sperata, ma era solitamente in questi momenti che, in un
modo o nell'altro, arrivava la salvezza. E così accadde, un
giorno, alla Casa lrfé. Era la fine del mese. V'erano da pa
gare grosse somme, e non un soldo in cassa. Quella mattina
arrivai in rue Duphot con le tasche vuote, ma, come sempre,
fiducioso e pieno di speranza. Alle undici la cara amica si
gnora Vanderbilt entrava come una folata di vento nel mio
ufficio. Arrivata il giorno precedente da New York, la sua
prima visita era stata per la nostra casa. Capitando in un'at
mosfera di catastrofe, aveva interrogato la direttrice, signora
Barton, che l'aveva informata della situazione. < Felice :. , mi
domandò, < perché non mi avete scritto? Di quanto avete bi-
345
sogno? ». E, tirando fuori il libretto di assegni, ne staccò uno
su cui scrisse la cifra da me indicata.
La signora Whobee, avendo avuto notizia delle difficoltà
in cui ci trovavamo, ci propose di acquistare la nostra casa
di Boulogne, }asciandoci l'uso del locale in cui avevo fatto
costruire il teatro. Non potevamo nascondere a noi stessi i
molteplici inconvenienti di una simile coabitazione. La pro
spettiva di avere Bibì continuamente alle costole, di subire
il suo dispotismo, non era tale da allettarci, tuttavia la situa
zione era così disperata che non ci rimaneva altra via d'u
scita. Questa risoluzione, dettataci dalla ragione, implicava la
partenza dei nostri numerosi locatari. Tutti però dimostrarono
molta comprensione e molta buona volontà, e la casa si vuotò
rapidamente. La coppia Whobee s'installò nell'edificio princi
pale, e noi nell'appartamènto sopra il teatro.
347
sabile. Le nostre relazioni finirono molto presto, ma debbo ri
conoscere che, sino a quando durarono, i consigli ch'egli mi
diede si rivelarono eccellenti, e io sono tuttora persuaso che
avesse il sincero desiderio di essermi utile. Evidentemente era
uno di quei pazzoidi di cui mi divertivo a far collezione. Se
condo qualcuno, egli raccontava a chi voleva starlo a sentire
di essere figlio di mio padre e di · una granduchessa.
35 1
colavano per Parigi (ne ho avute molte tra le mani, e debbo
riconoscere che la firma era imitata alla perfezione), oppure
venivo pregato di passare alla Prefettura dove mi s'informava
che un'americana mi accusava di averle rubato un braccia
letto di diamanti. Ella aveva incontrato in una sala da ballo
un individuo che si spacciava per il principe Yussupov ; i due
avevano danzato, si erano piaciuti, si erano amati, poi si era
no separati. Accorgendosi allora che il "principe" si era por
tato via il braccialetto per ricordo, l'americana aveva sporto
denuncia. La polizia identificò l'albergo in cui aveva abitato
l'individuo in questione e, nel registro dell'albergo, la data
alla quale egli si era iscritto col mio nome ; ma l'individuo
era scomparso.
Maria Teresa d'Uzé mi fece chiamare, un giorno, per mét
termi in presenza di uno scrittore che pretendeva di avermi
incontrato in un club molto malfamato, che egli aveva voluto
conoscere per uno studio che stava preparando sui costumi
parigini. Qualcuno gli aveva detto che il principe Yussupov
era tra i presenti, e quando aveva chiesto che gli fosse indi
cato, gli era stato designato il primo venuto. Soltanto quando
mi ebbe visto in persona si convinse di esser stato indotto in
errore.
Se volessi raccontare tutte le storie del genere che, in quel
periodo di tempo, mi venivano riferite ogni giorno, non la fi
nirei più. Impotente a lottare da me solo contro una campa
gna così bene organizzata, tornai dall'avvocato de Moro-Giaf
feri. Egli mi consigliò di scrivere al ministro degli Interni una
lettera di cui mi dettò i termini. Vi segnalavo le azioni di questi
individui che si abbandonavano a ogni sorta di eccentricità
usurpando il mio nome, il che poteva riconnettersi con la
campagna di diffamazione contro la quale ero ricorso ai tri
bunali. Come era intuibile, la protesta rimase senza effetto.
Il governo francese aveva evidentemente altre gatte da
pelare.
In quel penoso periodo riconoscemmo per lo meno i veri
amici. Maria Teresa d'Uzès mostrò una volta di più la retti
tudine e l'indipendenza del proprio carattere obbligandoci
a pranzare con lei al Ritz, sotto lo sguardo stupito e ironico
35 2
dei presenti. Le smentite e la successiva sanzione inflitte al
Dni, non cambiarono gran che la situazione, tanto è vero che
il pubblico è più facilmente interessato dagli scandali che
attento alle rettifiche.
La morte del generale Wrangel, il 22 aprile 1 928, mi recò
un profondo dolore. La Russia perdeva in lui un grand'uomo
e un grande patriota, io un fedele amico. Quanti lunghi col
loqui avevamo avuto tra noi sull'avvenire del nostro disgra
ziato paese! Quante speranze, troppo spesso deluse, ma sem
pre rinnovate, avevamo condiviso! Fidando nella rettitudine
dei suoi giudizi e nella saggezza delle sue opinioni, avevo p re
so l'abitudine di parlargli delle mie preoccupazioni e, nei
momenti difficili che stavo attraversando, il conforto della
sua amicizia non mi era mai mancato.
Quella primavera, durante un'assenza di Irina, che era
andata a trovare sua madre in Inghilterra, fui intossicato dai
frutti di mare. Folco, vedendomi ammalato abbastanza grave
mente, se ne preoccupò più di quanto fosse ragionevole. Egli
si era convinto che l'intossicazione fosse dovuta non già ai
mitili, bensì all'opera criminale di Pedan, il mio domestico
che aveva deciso di avvelenarmi. Invano cercai di dimostrar
gli l'assurdità di una simile supposizione ; non ci fu verso di
fargli cambiare idea. Era la prima volta che scoprivo in quel
ragazzo amabile, ma squilibrato, una bizzarria che rivelava
l'immaginazione morbosa di cui più tardi doveva dare prove
più gravi.
I Lareinty, che dovevano partire per il loro castello di Le
Lac, nei pressi di Narbona, mi proposero di raggiungerli là
per terminare la convalescenza, invito che accettai tanto p iù
volentieri in quanto che Irina, dovendo andare dalla nonna
in Danimarca, dopo il suo soggiorno a Frogmont Cottage, non
sarebbe tornata prima di parecchie settimane.
Portai con me Elena Trofimov e, nonostante i sinistri so
spetti di Folco, il mio domestico Pedan.
353
gi XIII, era un puro capolavoro d'armonia e di gusto, che
Folco doveva distruggere con le proprie mani in Ùno dei suoi
accessi di follia.
lo occupavo una grande camera sulla facciata nord. Da
questo lato, al di là delle immense praterie, si stendeva il
grande lago salato che dava il nome alla proprietà. V'era
nella camera, in fondo a un armadio a muro, una scala se
greta che comunicava con quella del proprietario. Facendomi
visitare il castello, Falco mi aveva mostrato nel sottosuolo una
stanzetta bassa, qualche cosa come una cella, nella quale egli
si chiudeva pe r parecchi giorni di seguito, facendosi passare
il cibo da uno spioncino.
A Le Lac feci la conoscenza della sorella della mia ospite,
la contessa Alice Depret-Bixio, bella come sua sorella e tanto
bionda quanto Zizì era bruna. La sera Elena Trofimov ci fa
ceva un po' di musica. La ascoltavamo sdraiati sugli ampi
divani del salotto cinese, sotto lo sguardo enigmatico di un
Budda di bronzo dorato. Una sera dissi scherzando a Folco
che quella statua mi sembrava sprigionare un fluido male
fico. II giorno dopo egli la fece togliere dal suo posto e get
tare nel lago. Altrettanto fece, più tardi, con una Kroa-Nin,
deliziosa statuetta in bianco di Cina alla quale teneva in mo
do particolare. Siccome alcuni pescatori la ritrovarono nelle
reti e gliela riportarono, egli la fece gettare ancora nel lago,
dove fu ripescata di nuovo. Quando, per due volte di seguito,
quella deliziosa dea gli fu tanto miracolosamente restituita,
egli la collocò in un cofanetto, la circondò di fiori, la coprì
di petali di rosa, e, dopo aver chiuso ermeticamente il coper
chio, procedette a una terza immersione che, questa volta,
risultò definitiva. u� impulso dello stesso genere doveva far
gli distruggere con le proprie mani la sua maravigliosa di
mora. Quando ebbe fatto saltare il castello con la dinamite
egli fece costruire con le stesse pietre due piccoli edifici per
sé e per i bambini. La sua vita folle e tragica finì pietosa
mente nel 1944 sotto le pallottole delle F.F.I. : "Tra dieci mi
nuti sarò fucilato", diceva l'addio patetico che mi fu conse
gnato dopo la sua morte.
La vita di Zizì non era sempre facile, ma ella aveva una
354
pazienza angelica e adorava il marito, il che non poteva stu
pire, perché, nonostante le sue stravaganze, egli era davvero
seducente.
Mi trovavo da poco a Le Lac, quando una lettera che ri
cevetti da Vienna mi costrinse ad abbreviare il soggiorno.
Uno dei miei amici mi scriveva che un banchiere viennese era
pronto ad anticiparmi una somma importante per sostenere
le mie imprese parigine, e che la mia presenza era indispen
sabile per concludere l'affare.
Non mi staccai dai Lareinty senza far loro promettere di
venire di lì a un mese a Calvi, dove allora mi sarei trovato
con lrina. Al momento degli addii, Folco mi raccomandò an
cora una volta di licenziare il mio domestico : era sempre con
vinto che Pedan mi avvelenasse !
355
carmi. lrina era ancora in Danimarca e io non avevo nes
suna ragione né alcun desiderio di tornare a Parigi prima
della partenza per Calvi. Risolvetti dunque di andare a tra
scorrere qualche giorno a Divonne, soggiorno ideale per sten
dere i nervi. Sapevo, oltre tutto, che vi avrei trovato un'amica.
Elena Pitts, che faceva una cura a Divonne con la madre,
era russa di nascita e aveva sposato un inglese. Sia lei che il
marito si erano mostrati amici fedeli, specialmente nel mo
mento delle nostre peggiori seccature. Fine, slanciata, sempre
molto elegante, Elena era una compagna deliziosa di cui ap
prezzavo la mente colta, larga di vedute e nel cOntempo
sottile. Le nostre conversazioni serali, sulla terrazza dell'al
bergo, si prolungavano talvolta sino a tarda ora e furono i mo
menti più gradevoli della mia permanenza a Divonne.
La madre di Elena, che aveva sposato in seconde nozze
uno zio del proprio genero, si chiamava, come la figlia, si
gnora Pitts. Era una persona molto rigida e d'aspetto severo.
Non ci tenevo gran che a mettermi in relazione con lei ; ma,
essendo tanto amico di sua figlia, dovevo, non foss'altro che
per semplice cortesia, farmi presentare a lei. La fine della
colazione mi parve il momento più adatto, per cui mi alzai
e mi diressi verso la tavola dove le signore Pitts prendevano
il caffè. Ma quando mi vide avvicinare, la signora Pitts madre
si alzò dalla sedia con un movimento talmente brusco che
rovesciò la tazza di caffè sulla tovaglia e sul suo abito, e, dopo
avermi fulminato con uno sguardo pieno di corruccio, mi volse
le spalle. « Rifiuto di stringere la mano a un assassino », bor
bottò allontanandosi.
Era un punto di vista davanti al quale non potevo non
inchinarmi, ma la situazione non era perciò meno imbaraz
zante e sgradevole per me. Sperai di poter raddolcire la vec
chia signora facendole portare un mazzo di rose, accompa
gnato dal mio biglietto da visita sul quale avevo scritto i ver
si seguenti che mi permetto di citare, non senza vergogna :
Lorsque je vins à votre table
Vous avez fui comme un démon
Et une haine implacable
Brulait vos yeux d'un feu ardent.
O, Mrs. Pittsl ces roses rares
Feront revivre en vos pensées
Le fier pro{il du prince tartare
Qui malgré tout est à vos p ieds (1).
357
barco, in mezzo a un assembramento di gente provocato dalla
presenza dei miei musicisti, ed ella salì a bordo al suono del
la chitarra e della siringa. Avevo telefonato ai miei amici di
Calvi per dir loro di prepararci un'accoglienza degna della
regina che portavo con me. Disgraziatamente la traversata
fu cattiva e, all'arrivo, la povera sovrana aveva perduto tutta
la propria imponenza. Ciò non toglie che Calvi le facesse
un'accoglienza entusiastica. Trascorremmo i giorni seguenti
facendo escursioni in quell'isola d'incanto. Ma non avevo che
una minuscola automobile Rosengart, mentre la brigata era
numerosa. Presi perciò in affitto un camion scoperto dove fu
rono disposte alcune sedie e una poltrona per "la regina".
Con questo char à bancs improvvisato correvamo per le stra
de della Corsica. La sera andavamo qualche volta nei caffè
del porto e ballavamo con i pescatori. I nostri musicisti ci
accompagnavano dappertutto, e io organizzavo persino sere
nate sotto le finestre della "regina", che si affacciava al bal
cone e ringraziava agitando il fazzoletto.
Avevo trovato da un antiquario uno di quei graziosi gin
gilli che rendono felici i collezionisti di automi: una gab
bietta che conteneva un minuscolo uccello canterino messo
in moto da un meccanismo, la cui voce imitava alla perfe
zione il canto dell'usignuolo. Poiché la nostra amica stupiva
di sentirlo cantare in qualunque ora del giorno : « Vedete be
ne », le dissi, « persin o l'usignolo vi esprime il suo amore e
rinuncia alle proprie abitudini per celebrare le vostre gra
zie ». Portavo con me l'uccellino durante le passeggiate e ap
profittavo della miopia della "regina" per mettere in moto
il meccanismo. Udendo il canto, ella sospirava : « Il mio fe
dele usignuolo mi segue ! ),
I giorni passavano rapidamente. lrina aveva ritardato
l'arrivo e finalmente sbarcò il giorno in cui i Lareinty e tutti
gli altri amici, tranne i Kalasc'nikov, dovevano !asciarci. Ave
va preso freddo in viaggio e dovette subito mettersi a letto.
Qualche giorno dopo, un telegramma di mia madre mi chia
mava a Roma, perché le condizioni di salute di mio padre
si erano improvvisamente aggravate. lrina era ancora a letto
con la febbre e si disperava di non potermi accompagnare.
L'affidai alle cure di Nona Kalasc'nikov e partii la sera stessa
per Roma.
359
d'altronde tale da facilitarle le cose. Suo marito era quel So
loviev, agente a un tempo dei bolscevichi e dei tedeschi, la
cui attività aveva paralizzato gli sforzi di tutti coloro che
preparavano l'evasione della famiglia imperiale, allora im
prigionata a Tobolsk, in Siberia.
La figlia di Rasputin era sostenuta nelle proprie pretese
da un ebreo, Aronne Simanovic, ex segretario di Rasputin.
Era stato quest'ultimo a prendere l'iniziativa del processo
ch'era pronto a finanziare.
Quando mi fui assicurato del non luogo a procedere, tor
nai a raggiungere Irina a Calvi. Questa mi riferì che gli abi
tanti, avendo saputo che Maria Soloviev m'intentava un pro
cesso, avevano indirizzato una protesta al deputato della Cor
sica, Landry.
Ben presto partimmo per Roma. Com'era da temere, tro
vai mia madre in condizioni di salute pietose. Tante Bichet
te non mi nascose di essere molto preoccupata. Mi disse che
gli articoli diffamatori usciti sul mio conto, i processi, senza
parlare delle lettere di amici bene o male intenzionati che i
miei genitori avevano ricevuto negli ultimi mesi, avevano cer
tamente aggravato l'esaurimento nervoso di mia madre e af
frettato la morte di mio padre. Queste rivelazioni mi erano
tanto più crudeli inquantoché ero impotente a riparare il
male fatto. Mi sforzai di convincere mia madre a venire a
vivere con noi a Boulogne. Il mutamento d'ambiente, la pre
senza della nipotina che adorava, la compagnia delle vec
chie amiche che abitavano a Parigi e che essa non aveva più
riveduto da anni, mi sembravano condizioni più giovevoli al
la sua salute di quelle che l'attendevano se fosse rimasta
a Roma.
Ella finì per acconsentire e fu stabilito che sarebbe venuta
entro pochi mesi a stabilirsi a Boulogne.
366
ne frenetica, e da quando essa è terminata, non soltanto ho
perduto ogni desiderio di disegnare, ma quand'anche si trat
tasse di 15alvare la mia stessa vita non sarei in grado di rifare
ciò che ho fatto allora.
Quasi a ogni arrivo, il piroscafo ci portava nuovi amici
i quali rimanevano a pensione da noi per qualche settimana.
Finimmo, dunque, col cedere loro la casa della cittadel1a, di
ventata troppo piccola, per trasferirei alla fattoria. La no
stra brigata era troppo numerosa per consentirci una vita cal
ma; ogni giorno facevamo passeggiate o gite sul mare. Du
rante una di queste ultime per poco Kalasc'nikov non annegò.
Mio cognato Nikita si buttò in acqua e riuscì a trarlo felice
mente in salvo. Ma quello era il giorno degli incidenti : sbar
cati a Calvi, prendemmo l'automobile per rincasare ; c'era
un bellissimo chiaro di luna e io non avevo acceso i fari, fin
ché a una svolta del1a strada, che vidi male, la macchina si
rovesciò in un fossato pieno di fichi d'India. Tutti conoscono
le minuscole spine, innumerevoli e traditrici, di cui queste
piante sono armate. Nikita ne fu letteralmente crivellato, co
me Punch che aveva preso parte alla gita ; così che il medico
chiamato per curare il primo, dovette occuparsi anche del
secondo.
Un telegramma da Roma, col quale mia madre annunciava
la prossima partenza, mise fine al nostro soggiorno ; partim
mo col primo piroscafo per andare ad aspettarla a Boulogne.
Pensavo a quella riunione tanto desiderata con una gioia nel
la quale la vicinanza della signora Whobee insinuava qual
che inquietudine. Mi chiedevo come quelle due donne così
diverse avrebbero potuto vivere vicine senza che si p rodu
cesse qualche scintilla pericolosa. Non potevo pensarci senza
preoccupazioni. Bibì, che aveva una grande curiosità di co
noscere mia madre, la chiamava già col nome di battesimo,
Zenaide, il che non era molto rassicurante.
Mia madre arrivò piena di vita e in ottima salute; sem
brava molto contenta di trovarsi con noi. Era accompagnata
dalla signorina Medvedev, l'infermiera che aveva curato mio
padre, dal1a vecchia cameriera Pelagia {la quale aveva cam
biato il proprio nome con quello di Paolina, che le pareva
più elegante) e da un cagnolino di Pomerania ch e rispondeva
al nome di Drolly.
La nostra casetta le piacque molto, ma entrandovi si la
sciò sfuggire questa esclamazione: « Oh! com'è piccola! ».
Ahimè, sì, era piccola, e ce ne accorgemmo poco dopo quando
arrivò il camion su cui erano caricati gli innumerevoli bauli,
casse e valige che costituivano i suoi bagagli. Dovetti pren
dere in affitto una rimessa dei dintorni per poterli sistemare
tutti. Nondimeno, ella trovò di proprio gradimento la camera
assegnatale, che chiamò subito: « la mia cella ».
Ed ecco giungere il momento temuto dell'incontro con Bi
bì. Questa entrò nel salotto dove mia madre l'aspettava, so
stenuta da due domestici e seguita da un terzo che recava
un mazzo di rose.
« Questi fiori sono per la piccola Zenaide », disse. « Io ado
ro il vostro nome, cara principessa, e l'ho continuamente sulle
labbra. Non dovete farmene una colpa; bisogna prendermi
come sono. Rarità, dite a vostra madre che io sono una crea
tura timidissima. Chiamo vostro figlio Rarità perché gli vo
glio molto bene, ma è una canaglia, un beone... E talmente
mal circondato! Vi compiango di avere un figlio come lui ! ».
Temevo di peggio. Mia madre, che in vita sua non aveva
mai visto nulla di simile, era evidentemente molto stupita,
un po' urtata, ma, fortunatamente, anche divertita. Ed era
abbastanza intelligente e acuta per capire di primo acchito
con chi avesse che fare ; anzi, cosa davvero imprevedibile,
le due donne si piacquero. Avvicinate dall'affetto che entram
be avevano per me, amavano parlare di me denigrandomi
con tenerezza.
La signora Whobee aveva una nipote originale quanto lei,
ma di tutt'altro genere. Valeria si vestiva da uomo, fumava
la pipa e portava sui corti capelli neri un berretto da tep
pista. Piccola e rotondetta, con un colorito bronzeo e gli oc
chi neri, aveva l'aria di un ragazzone levantino. Viveva sola
su un barcone, servita da una vecchia coppia fedele e circon
data da una quantità di animali diversi. Infatti Valeria, che
non amava gli esseri umani, adorava le bestie, che compren
deva e dalle quali sapeva farsi comprendere.
3 68
L'avevamo conosciuta per caso; prima ancora di aver in
contrato sua zia, ed eravamo tra le pochissime persone che
acconsentisse a ricevere e a incontrare.
Sono certo che la sua selvatichezza e la singolarità del suo
modo di vivere dipendessero in gran parte da un complesso
d'inferiorità. Le sue maniere, che alzavano una barriera tra
lei e il mOndo esterno, non le impedivano però di essere buo
na e intelligente. Per q:uesto, e nonostante la sua incomoda
eccentricità, le volevamo un gran bene. Ella aveva vinto pa
recchie corse automobilistiche. Una sera che aveva accettato
di pranzare a casa itostra con alcuni altri ami-ci, ci raccontò
come qualche tempo prima si fosse fatta asportare le mam
melle che, grosse com'erano, la disturbavano quando guidava
l'automobile da corsa. E, così dicendo, si sbOttonò la camicia
per mostrarci due orribili cicatrici !
La signora Whobee, che non ammetteva nessun genere di
eccentricità negli altri, e particolarmente quelle di cui si com
piaceva sua nipote, non la riceveva mai, e quando seppe che
noi la vedevamo, andò su tutte le furie. Dopo una scenata
epica, durante la quale molti oggetti furono mandati in fran
tumi, . si calmò improvvisamente e mi disse: « Rarità, voglio
vederla, portatela a pranzo da me questa sera > .
Ricevette l a nipote stando a letto e , squadrandola da capo
a piedi, le dichiarò con aria disgustata : « Quando si è erma
froditi, si sta a casa propria. Vattene e non farti più vedere
da me ».
Quando la povera Valeria fu così mandata via_senza pran
zo, sua zia rimase alquanto soprappensiero. Poi, dopo un po' :
« Rarità », disse, « siate gentile, fate per quel m:ostro qual
che abito della Casa lrfé : tre per il pomeriggio e tre per la
sera, con i relativi mantelli. Vedremo un po' che cosa ne
uscirà > .
Il giorno dopo portai Valeria i n rue Duphot, dove il suo
arrivo produsse un effetto che è facile immaginare. I n mezzo
allo stupore generale, ella fece la propria scelta, e l'ordina
zione fu invl.at� al laboratorio. La signora Whobee mi tor
mentava per sapere quando sarebbero .stati pronti gli abiti,
perché voleva organizzare un pranzo di famiglia per ricon-
g 6g
ciliare Valeria con gli altri zii e zie che, disgustati come lei
dal suo contegno maschile, l'avevano anch'essi messa al bando.
Il giorno fissato, la signora Whobee sedette in salotto, cir
condata dalla famiglia, di fronte alla porta da cui doveva
entrare Valeria. Ma, quando apparve, la disgraziata fu ac
colta da un grido d'orrore generale : Valeria vestita da uomo
aveva ancora vagamente l'aria di una donna, ma vestita da
donna sembrava in tutto e per tutto un uomo!
Bibì si nascose il volto tra le mani e con voce soffocata
dalla collera : < M . ! ::&, esclamò. « Ridatele i suoi calzoni ! :..
..
37 1
Mio cognato Nikita e sua moglie, nonché altre persone, se
guirono l'esempio di mia madre e dettero le dimissioni. Poco
tempo dopo, l' A qu ila bicipite chiudeva la sua esistenza.
37 2
Da quando lo avevo così ben turlupinato mettendolo su una
falsa strada, non avevo più visto il maragia. Cominciavo a
chiedermi se il nostro screzio non fosse definitivo, quando mi
telefonò per dirmi ch'era a Parigi e che m'aspettava a pranzo
in uno dei giorni successivi. Mi accolse con perfetta natura
lezza, senza fare la minima allusione a quanto era avvenuto e,
di nuovo, mi domandò di andare con lui quando avrebbe ri
preso la strada dell' India. A che mirava quel maniaco, e che
cosa si nascondeva sotto la proposta alla quale torna va conti
nuamente? Non potevo, infatti, fare a meno d'immaginare che
la sua insistenza avesse altri motivi oltre quello di assicurarsi
il piacere della mia compagnia. Anziché lasciarsi scoraggiare
dai reiterati rifiuti, egli mostrò una volta di più con quanta
ostinazione rimanesse attaccato alle proprie idee. Venuto a
Boulogne per fare una visita a mia madre, cercò di persuadere
sia lei sia mia moglie a usare della loro influenza per indurmi
a seguirlo. Tutt'e due risposero ch'ero abbastanza grande per
prendere da me le mie decisioni. Non insistette e m'invitò al
lora a passare qualche giornata in Scozia, in un castello che
aveva preso in affitto per la stagione della pesca.
La nuova proposta mi lasciò esitante. Mia madre e Irina
mi sconsigliarono di accettarla, e il mio buon senso mi diceva
che avevano ragione, ma, come sempre, la curiosità e il fascino
dell'ignoto ebbero il sopravvento sul buon senso.
La Scozia, ove mi ero recato durante gli anni di Oxford,
m'era apparsa come un misto di Finlandia e di Crimea, pieno
di fascino per me. Il carattere della regione che vedevo questa
volta era del tutto diverso: la natura vi era selvaggia e austera.
Il castello, sperso tra le montagne, lontano da ogni centro abi
tato, era sinistro. Con le sue alte muraglie di granito grigio e
le torri merlate, mi fece l'effetto di una prigione. Nell'interno,
le camere a volta erano fredde, cupe e umide. Gli apparta
menti dei piani superiori comunicavano tra loro mediante un
dedalo di scale, corridoi e gallerie, nel quale era difficile non
smarrust.
Il mio ospite alloggiava al primo piano, io al secondo, e
avevo per vicino un giovane aiutante di campo, il solo di tutti
quelli che avevo visto al seguito del maragia all'inizio della
373
nostra conoscenza che facesse ancora parte della sua casa. Un
giorno avevo avuto l'imprudenza di rilevarlo e di domandare
la ragione di questi continui mutamenti : il silenzio che aveva
accolto la domanda, facendomi capire che essa era indiscreta,
mi aveva allora vagamente preoccupato. Nelle attuali circo
stanze non potevo che rallegrarmi della presenza rassicurante
di quel giovanotto, che consideravo un amico.
Il maragia mi aveva ricevuto a braccia aperte e mi voleva
sempre con sé. Pranzavamo nel suo appartamento, e durante
il pomeriggio lo accompagnavo alla pesca del salmone. Il velo
azzurro con cui s'avvolgeva il volto per difendersi dalle zan
zare gli conferiva un aspetto comico e un po' pauroso. Nei
nostri lunghi colloqui della sera accanto al camino, non par
lava più del mio viaggio in India, tanto che si sarebbe potuto
credere che avesse abbandonato l'idea.
Ma ben presto entrò in scena un nuovo personaggio,
vestito come un monaco, che arrivava dall'India. Era un uomo
ancor giovane, molto erudito, e parlava inglese e francese alla
perfezione. Fui soprattutto colpito dai suoi occhi. La potenza
e la penetrazione del suo sguardo mi misero subito a disagio.
Aveva le mani belle, lunghe e sottili, curate come quelle di
una donna.
Egli prese l'abitudine di venire alla sera nel mio apparta
mento; mi parlava per ore di filosofia e di religione. Quando
se ne andava, la porta del mio vicino si apriva: l'aiutante di
campo voleva sapere tutto ciò che lo strano individuo mi aveva
detto. Il risultato di tutte queste conversazioni fu che non dor
mivo più e avevo i nervi tesi. Ciò durò sino alla sera in cui il
simpatico vicino, entrando come al solito nella mia camera
dopo che il monaco ne era uscito, mi fece le più inquietanti
rivelazioni.
c Devi abbandonare al più presto questo luogo maledetto �.
374
c: Ma che diavolo vogliono fare di me, in India ? >.
Egli non poté o non volle rispondermi.
Le parole del giovane aiutante di campo mi resero cosciente
dell'incantamento che già cominciavo a subire. Egli aveva ra
gione: stavo per perdere il sangue freddo e il controllo del
pensiero. Gli sguardi di quei due uomini mi perseguitavano,
mi ricordavano quello di un altro .. Per non soccombere all'ip
.
3 75
« Io non sono nulla di ciò che pensate ,, protestai con vee
menza. « lo non sono menomamente fatto per restare immerso
nella meditazione accanto al vostro maestro per dieci anni.
Amo troppo la vita, la famtglia e gli amici. Sono di carattere
nomade e detesto la solitudme ».
Senza tener conto della mia interruzione, il maragia rispose
con calma :
« Quando partii per l'Europa nel 1921, il maestro mi disse :
"Tu incontrerai uno straniero che dovrai portare con te e di
cui io farò uno yogi". Egli mi descrisse così bene il vostro viso
che, quando vidi il vostro ritratto in casa della signora inglese
che m'accompagnò da voi, vi riconobbi subito. Per un essere
come voi, non deve esistere nessun legame terrestre : dovete
partire e partirete ».
Rimasi silenzioso un momento, poi bruscamente gli dissi :
« Credete in Dio? ».
Un lampo brillò nel suo sguardo.
« Sì », rispose seccamente.
« Ebbene, se credete alla potenza divina, lasciamo che essa
ci guid i e stabilisca ciò che devo fare ,,
Detto ciò lo lasciai e corsi dall'aiutante di campo per comu
nicargli quel colloquio e la mia intenzione di andarmene il
giorno dopo.
Egli si mostrò scettico.
« Tu non conosci quell'uomo », mi disse. « Quando si è mes
so un'idea in testa, nulla e nessuno lo fa arretrare. Egli si op
porrà alla tua partenza con tutti i mezzi ».
"È quel che vedremo", pensai.
Al mattino feci le mie valige, ma quando ebbi chiesto
·
379
portanti ; e quando rilevavo la cosa, si prendeva la testa tra
le mani e rispondeva d'essere ammalato. Mi dava la netta im
pressione di avere il cervello scombussolato. Finii col dirgli
che doveva andare a riposarsi e lo invitai a prendersi una
lunga licenza che, nelle mie intenzioni, doveva essere defini
tiva. Non lo rividi più. Seppi più tardi ch'era stato scoperto
il suo cadavere in un treno, ma il mistero della sua morte è
rimasto inspiegato.
Nel momento delle nostre peggiori difficoltà ebbi la for
tuna di fare la conoscenza di un inglese, sir Paolo Dukes,
che aveva abitato lungamente in Russia e parlava corretta
mente la nostra lingua. I suoi discorsi mi ricordavano talvolta
quelli del maragia, in quanto anch'egli pensava che un
soggiorno in India mi avrebbe fatto bene. Nel frattempo si
occupò dei nostri affari così abilmente che, grazie a lui, go
demmo di un periodo di calma. Disgraziatamente, mia ma
dre, che la malattia e le successive disgrazie avevano reso so
spettosa e talvolta ingiusta, ferì Dukes con qualche parola
detta senza riflettere, così fummo privati dei suoi servigi. Al
lora un'altra fortunata combinazione, mi fece conoscere un
avvocato russo, Sergio Korganov. Intelligente e competente,
egli era anche un brav'uomo. Dio sa i guai che mi ha rispar
miato! Molto probabilmente la prigione, perché, abituato per
lungo tempo a non aver bisogno di tener conto del danaro,
mi trovavo mal preparato alla gestione di affari impodanti
quali erano quelli in cui mi ero venuto ingolfando, per cui
cadevo in tutti i tranelli che, in queste condizioni, si aprono
sotto i passi delle persone bene intenzionate ma inesperte.
Korganov, il quale possedeva soltanto una modesta fortuna,
per trarmi da una situazione particolarmente pericolosa non
esitò a impegnare la sua proprietà, e la moglie di lui fece al
trettanto con i propri gioielli. Sono cose che non si dimenti
cano. Korganov e sua moglie si sono assicurati per sempre
la mia amicizia e la mia gratitudine.
Però neanche i più abili soccorsi potevano ormai ritar
dare la catastrofe. Non avevamo più Polunin ; ben presto fu
evidente che non ci restava altra soluzione che quella di li
quidare le nostre imprese. Fu un colpo particolarmente duro.
380
Era il crollo di tutto ciò che in dieci anni avevamo creato,
accanendoci a sostenerlo. La necessità di nascondere tutto a
mia madre, il cui stato di salute peggiorava di giorno in gior
no, non era certo fatta per facilitare il nostro compito. Ma la
situazione non aveva altra via d'uscita, e Irina pensava come
me
. che quella penosa risoluzione si imponesse.
Frattanto le banche continuavano a rifiutarci ogni credito,
il che ci costrinse a chiedere alle clienti della Casa lrfé di
pagare le loro ordinazioni alla consegna, cosa che non era
nelle nostre consuetudini. Bull fu incaricato della delicata
missione di presentare il conto. Quando incontrava qualche
resistenza, egli s'inginocchiava con la fattura in mano, e as
sumeva un'aria candida per implorare : « La Casa è al falli
mento, bisogna aiutare il nostro caro principe! ». Il tono e la
messa in scena ottenevano quasi sempre l'effetto desiderato.
La maggior parte delle clienti, divertite e commosse, saldava
no subito le fatture e Bull non tornava mai dal giro con le
mani vuote.
3 82
i lavori. Voglio anche far scavare nel cortile una vasca per
mettervi dei coccodrilli >.
Accettai il nuovo accomodamento, stabilendo che nulla do
vesse esser mutato prima del prossimo matrimonio di mio
cognato Dimitri e che, in tale occasione, il ricevimento doveva
aver luogo in casa nostra.
Di tutti i miei cognati, Dimitri è quello più indipendente
di carattere. Egli ha sempre saputo ciò che voleva e ha di
retto la propria vita senza i consigli e gli aiuti di nessuno.
La ragazza che sposava era deliziosa, e l'unione si presentava
sotto i più lieti auspici. La sorte decise diversamente. La na
scita di una figlia, Nadejda, non impedì ai due sposi di divor
ziare pochi anni dopo.
-
Il maragia d'A lma r .
giunta e il più delle volte andavamo nei dintorni di Parigi.
La nostra mèta favorita era Le Colombier, proprietà della
baronessa Thyra Seillière, a La Celle-Saint-Cloud, una casa
rosa che si accordava graziosamente con la verzura che la
circondava. Anche l'interno di quella dimora, dalla quale
emanava un fascino indicibile, era rosa. Avevamo conosciuto
Thyra Seillière prima della guerra del 1 9 1 4. Ella aveva per
duto successivamente tre mariti : Enrico Menier, un russo,
Elisseiev, e l'ultimo, Riccardo Pietro Bodin che faceva la cri
tica cinematografica nel Figaro. Vedova per la terza volta,
aveva ripreso il nome di ragazza. Amica adorabile e padrona
di casa raffinata, Thyra era anche un'ottima musicista. La sua
voce stupenda era una seduzione di più in quella donna as
sai bella, di una bellezza da cariatide. Pur avanzando in età,
ella rimase sempre ugualmente attraente e i suoi adoratori
non diminuirono. Le numerose traversie non hanno al
terato la dolcezza del suo carattere. Una fede profonda le ha
permesso di accettarle e di sopportarle con rassegnazione.
Oggi vive nel Lussemburgo, ritirata dal mondo, in una dimo
ra che si è arredata col gusto abituale, sola con i propri ri
cordi di cui ha parlato con grazia in due opere letterarie:
Oui, j'ai aimé e L'intelligence du coeur.
Al ritorno da una serata passata al Colombier, mentre
eravamo in strada per Parigi molto tardi e con una gran sete,
proposi ai compagni di fare una fermata in un albergo di
Saint-Germain per bere qualcosa. Tutto l'albergo dor
miva, compreso il portiere di notte che russava davanti alla
porta spalancata. Senza turbare il suo sonno, scendemmo nel
le cucine dove il contenuto delle molte ghiacciaie ci offriva
la possibilità di un pasto completo. La cena improvvisata fu
seguita da una siesta in un appartamento vuoto del primo
piano. Debitamente zavorrati, abbeverati e riposati, dopo
aver lasciato sul banco di che pagare largamente le consuma
zioni, uscimmo come eravamo entrati, senza che il guardiano
addormentato davanti alla porta aperta facesse il più pic
colo movimento.
Allora frequentavo lo studio di Cléo Beklemiscev, scul
trice di valore che abitava a Montmartre con la sorella. Nono-
gss
stante la loro situazione modesta, esse davano piacevoli rice
vimenti. Il numero degli invitati era sempre incerto, ma tutti
erano sicuri di trovare un'accoglienza calorosa e un ambiente
simpatico. Dalle Beklemiscev incontravo molti artisti e tutta
la bohème di Montmartre.
Quando i lavori furono terminati a Boulogne, lasciai non
senza rimpianto quel porto di pace ch'era l'Hotel Vouille
mont e i cari delle Donne che, con la loro bontà e la loro ami
cizia, mi avevano dato un appoggio morale di cui avevo il
più grande bisogno.
CAPITOLO XXXIII
(1931-1934)
J....Je
trasformazioni arrecate dalla signora Whobee alla casa
di Boulogne meritavano tutta la mia approvazione, tranne
forse l'idea bizzarra che aveva avuto di accecare le finestre
della mia nuova camera che davano sul cortile, facendo tin
gere i vetri di un color ocra sul quale erano dipinte carovane
di cammelli. Non vedevo più i fiori, il cielo, gli uccellini ; ve
devo cammelli, soltanto cammelli. La prima cosa che feci fu
di grattare qua e là la tinta per poter gettare almeno un'oc
chiata sul mondo esterno.
Una mattina, svegliato dalle grida provenienti dall'abita
zione della nostra vicina, mi precipitai alla finestra e, guar
dando di tra i cammelli, scorsi Bibì che, in camicia da notte
sul balcone, emetteva urla disperate.
« Rarità, Rarità, venite presto: Willy se ne è andato! > .
Accorsi immediatamente e appresi che suo marito le ave
va fatto lo stesso scherzetto di Bruxelles, lasciandole, parola
per parola, lo stesso biglietto: "Cara Anna, me ne vado e non
tornerò p iù. Buona fortuna. Willy".
Bibì soffocava per l'indignazione e la rabbia.
« Rarità, andate a cercarmi subito quel miserabile. Non
voglio aver più da fare con quei c ... di detectives. Andate,
correte, e in fretta ».
Le feci osservare come non si poteva sperare di trovarlo,
mettendosi in moto a caso, senza il menomo indizio della di-
rezione presa dal fuggitivo. Ella finì coll'acconsentire a tele
fonare alla prefettura di polizia, e, dopo tre giorni di attesa
angosciosa durante i quali non mi lasciò un momento di re
spiro, Willy fu scoperto a Nizza nella stessa pensione di fa
miglia della prima volta. Evidentemente era un uomo privo
d'immaginazione.
Ma poiché egli si rifiutava ostinatamente di tornare al do
micilio coniugale, fui spedito a Nizza con l'automobile di Bibì
e la missione di ricondurre l'indegno. Riflettendo lungo la
strada a ciò che gli avrei detto, mi sembrava di essere l'ultima
persona che potesse fargli capire la ragione.
Lo trovai molto abbattuto e maldisposto. In fondo, mi ispi
rava una certa simpatia. Aveva l'aria di un bambino che si
sente in colpa e ha paura del castigo. Avendogli finalmente
strappato la promessa di tornare a Parigi con me, telegrafai
a Bibì : "Riconduco pecorella smarrita. Partiamo domani. Cor
dialità, Felice".
La risposta arrivò proprio poco prima della nostra par
tenza : "Lupo aspetta pecorella. Rarità, vi adoro, Anna".
Mi guardai bene dal mostrare il telegramma a Willy.
Durante il viaggio di ritorno egli mi confidò certe cose
che io avevo già in parte intuito. Era certo più intelligente
di quanto sembrasse, e il giudizio che dava di sua moglie era
molto giusto. Mi disse che ella provava un piacere sadico a
colmarmi di elogi davanti a lui, facendo confronti scortesi
che lo esasperavano.
A misura che ci avvicinavamo a Boulogne, egli mi faceva
fermare davanti alle osterie, provando certamente il bisogno
di darsi coraggio prima di affrontare Bibì. Il lupo aspettava
la pecorella in salotto, in un silenzio gravido di minacce. Li
lasciai a quattr'òcchi e me ne andai per i miei affari, ma
avevo brutti presentimenti circa quello che sarebbe accaduto.
Al mio ritorno seppi da Griscia che i due sposi si erano se
parati con grande fracasso. « Madama ha mandato via s uo
marito dopo una scenata terribile. Lo copriva d'ingiurie, but
tava fuori dalla finestra i suoi abiti e le sue valige in mucchio
col fonografo e i dischi. Poi ha chiamato un tassì, e quando
il signore è stato in vettura gli ha gridato: "Buon viaggio,
signor Whobee, buon viaggio ! " �.
Vedevo benissimo la scena, ma non avevo previsto che le
cose si sarebbero spinte sino a quel segno. Me ne stetti cheto,
aspettando che la signora Whobee si facesse viva. In capo a
qualche giorno mi fece chiamare.
« Rarità », mi disse, « tengo a dichiararvi che tutto è finito
tra me e Willy. È un brav'uomo, ma stupido e sempre ubria
co; io detesto i beoni. Mi risposerò prossimamente con un a f
fascinante americano. Non ne dite niente a nessuno. Siete il
primo a saperlo » .
Credetti sulle prime a uno scherzo, ma ella diceva l a ve
rità, e poco dopo sposava il suo americano. Non fummo invi
tati al matrimonio, che si svolse davanti ai soli testimoni.
39 1
Bibì che, non so per quale motivo, disapprovava il processo,
si era fatta premura di avvertirci che se lo avessimo perso
ci avrebbe ripreso i locali in cui abitavamo.
Partii per Londra in aeroplano per guadagnar tempo. Il
mio orrore dell'altezza mi aveva sempre tenuto lontano da
questo mezzo di trasporto; si trattava quindi del mio primo
viaggio aereo. Tuttavia, quando l'apparecchio si librò, non
provai nessuna apprensione e nessuna vertigine ; soltanto l'im
'pressione inebriante di essere strappato alla terra. Bull,
che avevo portato con me, restava pensieroso e silenzioso.
Quando fummo in vista della costa inglese, qualche cosa si
guastò nell'aeroplano, che cominciò a scendere in modo preoc
cupante. In quel momento critico Bull mi disse, inchinan
dosi : « Altezza, credo che stiamo involandoci insieme verso
il regno dei cieli ». Per fortuna la riva era prossima e l'aereo
riuscì ad atterrare, restando però per metà nell'acqua. · Ne
uscimmo immollati come spugne. Tutto sommato, mi convinsi
che erano preferibili il treno e il piroscafo.
Irina era arrivata da Windsor e ci stabilimmo a Londra
per essere più vicini ai nostri avvocati. Inoltre eravamo stati
avvertiti che la nostra presenza in tribunale era indispensa
bile per tutta la durata delle udienze. Non avevo nessuna
preoccupazione per Irina. Timida e silenziosa per natura, ella
ha sempre saputo, quand'era necessario, mostrarsi intrepida e
tenere in rispetto l'avversario. La vista dell'aula nella quale
dovemmo entrare, piena zeppa di gente, era veramente im
pressionante.
Quando sir Patrick Hastings ebbe esposto i motivi della
querela, l'udienza fu interrotta per consentire ai giurati di
assistere alla proiezione del film. Poi Irina fu chiamata alla
sbarra. Con un abile interrogatorio, sir Patrick rese evidenti
t utti i punti di identità tra la principessa Natascia e mia mo
glie. Inoltre insistette sul fatto che quest'ultima non aveva
mai conosciuto Rasputin.
Allora la parola fu concessa all'avvocato della parte av
versa, sir William Jowitt, che si rivolse a Irina con perfetta
cortesia.
« Io non pretendo che una relazione di qualsiasi genere
39 2
sia mai esistita tra voi e Rasputin », disse. c: Al contrario, af
fermo che tutto, nella vostra vita e nelle vostre maniere, è
così profondamente opposto a ciò che Rasputin rappresen
tava, che è perfettamente assurdo per chiunque vi conosca,
fosse pure soltanto di fama, immagina re che voi possiate es
sere in causa ».
L'indomani sir William Jowitt riprese con lrina il dialogo
iniziato il giorno prima : interrogatorio sempre cortese, ma
serrato, che si prolungò per ben cinque ore. S forzandosi di
sottolineare la scarsa analogia esistente tra l'eroina del film
e mia moglie, egli aggiunse che i registi si erano presi le più
grandi libertà anche con gli altri personaggi, e insinuò che
v'erano sensibili diversità anche tra me e il principe Cego
daiev quale ap pariva sullo schermo col volto di John Barry
more. Egli si sforzava di far stabilire queste diversità dalla
stessa lrina.
« Suppongo voi conosciate l'ambasciatore di Francia Mau
rizio Paléologue che, nelle sue memorie, parla del principe
Yussupov. "Delicato, effeminato" ; è questa una descrizione
esatta di vostro marito? ».
« No, non credo. Almeno per me ».
« Egli era delicato, non è vero? ».
« Sì ».
« Dotato di grande intelligenza e di gusto per le arti » .
« Sì ».
« Un dilettante :..
« Sì ».
Sir William fa notare che nel film il principe Cegodaiev
è rappresentato come un ufficiale di cavalleria dal carattere
solidamente temprato, autoritario, brutale. Egli vive nell'in
timità della famiglia imperiale e viene esiliato dopo l'assas
sinio di Rasputin. Questi due ultimi fatti non lo ravvicinano
piuttosto al granduca Dimitri che fu uno dei complici del de
litto? L'avvocato della Metro-Goldwin cita altre scene del
film per sostenere le proprie affermazioni. Insomma, secondo
lui, i registi si sono presi tante e tali libertà con la storia che
nessuno può riconoscersi nel film. Egli conclude col doman-
393
dare come, in realtà, fu ucciso Rasputin, domanda che gli
attira questa risposta :
« Domandatelo a mio marito. L o s a meglio di me ».
L'interrogatorio di Irina era terminato.
« Quando la bellezza è in causa, tutti gli oratori sono mu
ti », lasciò cadere sentenziosamente il giudice Avory, « ma
non sir William Jowitt », aggiunse con una punta di malizia.
Il giorno dopo toccò a me. Non mi fu risparmiata alcuna
domanda e io dovetti, a pezzi, fare il racconto completo di
quella notte d'incubo. Sempre preoccupato di mettere in ri
lievo le diversità tra i personaggi del film e quelli della real
tà, sir William Jowitt mi domandò se, nei momenti che ave
vano preceduto l'assassinio, non avessi provato un grande
nervosismo.
« È abbastanza naturale », risposi, « dato che non sono un
assassino di professione ».
Dopo l'escussione degli ultimi testimoni, che durò ancora
due giorni, fu pronunciato un verdetto in nostro favore. La
proiezione del film nella forma attuale era proibita, e la Me
tro-Goldwin era colpita da una ammenda abbastanza forte
da farle rimpiangere l'ingiuria fatta all'onore di mia moglie.
I nostri avvocati si rallegrarono calorosamente con noi,
aggiungendo che quel processo avrebbe costituito per loro
un ricordo imperituro, in quanto che essi non avevano mai
e probabilmente non avrebbero avuto mai più l'occasione di
vedere alla sbarra una principessa del sangue e di udire un
principe ricostruire pubblicamente l'assassinio di cui era sta
to l'autore.
CAPITOLO XXXIV
( 1 934-1938)
395
Tutte le sere facevamo un po' di musica. Valeria, come
sua zia, aveva una voce bassa e commovente, ma la sua sel
vatichezza e un complesso d'inferiorità l'avevano sempre trat
tenuta dal cantare in pubblico, come io la spingevo a fare.
Quando, più tardi, si decise, i parigini poterono udirla per
qualche tempo al Poullailler a Montmartre, dove compariva
in smoking color turchese con bottoni di diamanti e calzoni
neri. Con i capelli corvini appiccicati al cranio e la carna
gione fosca, sembrava più orientale che mai. Di prim'acchito
ebbe un successo che si fece sempre più grande, ma era ap
punto questo successo a spaventar1a, per cui non tardò a
troncare una carriera che prometteva d'essere brillante per
tornare al barcone e alle sue bestie.
Trascorremmo l'estate sul barcone di Valeria. Nel frat
tempo il ricorso in appello della Metro-Goldwin era stato re
spinto e il versamento dell'indennità prevista ci avrebbe per
messo di pagare i debiti e di disimpegnare una parte dei
gioielli. Secondo il desiderio di lrina, il resto della somma
fu messo a frutto, risoluzione di cui dovevo riconoscere la
saggezza.
Ci eravamo da poco ristabiliti in rue de la Tourelle, quan
do un giorno fui chiamato al telefono dal presidente della
Loggia massonica russa di Parigi. Diceva di avere una pro
posta da farmi e precisava che il colloquio avrebbe dovuto
aver luogo in casa mia, senza testimoni e a un'ora tarda. Cu
rioso di sapere che cosa volesse, gli diedi appuntamento nelle
condizioni richieste. Egli mi fece l'impressione di un uomo
intelligente, autoritario e molto convinto. La sua visita aveva
lo scopo di invitarmi a far parte dell'associazione ch'egli pre
siedeva. Dipendeva da me vedere la mia situazione radical
mente mutata. Somme importanti sarebbero state poste a mia
disposizione e io sarei partito immediatamente per l'America,
incaricato di una missione di fiducia. L'avvenire mi era pre
sentato sotto i colori più lusinghieri, ma quando volli sapere
in che consistesse la missione di cui avrei dovuto essere inca
ricato, il visitatore dichiarò che non poteva rivelarmela pri
ma di aver avuto il mio consenso. Gli dissi che, in queste con
dizioni, mi vedevo costretto a declinare un'offerta che, per
quanto lusinghiera, minacciava di limitare un'indipendenza
alla quale tenevo più che a tutto il resto.
In seguito lo incontrai più volte, e sempre egli mi ripeté
l'offerta.
Nel maggio 1 935, a Londra, doveva aprirsi un'esposizione
di gioielli di provenienza russa. Gli organizzatori ci avevano
pregato di prestar loro la "Pellegrina", per cui andammo
a portarla di persona. Arrivati a Londra in piena stagione
elegante senza aver preso la precauzione di prenotare una
camera, trovammo tutti gli alberghi pieni. Dopo inutili e spos
santi ricerche, essendo troppo tardi per andare a Frogmore
Cottage, finimmo col suonare alla porta di una casa ancora
illuminata in Jermyn Street, che aveva l'aria di una pen
sione di famiglia. Fummo accolti da una signora dai capelli
bianchi, correttamente vestita di nero, con un medaglione
d'oro al collo. C'era in salotto, tra molte fotografie di gente
nota, un ritratto del re Edoardo VII. A vendo chiesto senza
grandi speranze se ci fosse ancora una camera libera, fummo
gradevolmente sorpresi di ricevere una risposta affermativa.
La camera era attigua a un gabinetto da bagno, il tutto molto
elegante, per non dire lussuoso. Eravamo stanchissimi e non
pensavamo che alla soddisfazione di fare un bagno e di an
dare a letto, senza troppo chiederci a che cosa dovessimo
quella singolare fortuna. N el cuor della notte fummo sve
gliati da un rumore di voci nel corridoio e da colpi battuti
alla nostra porta.
Quei rumori notturni, abbastanza insoliti in una casa di
apparenza tranquilla, potevano essere attribuiti al ritorno tar
divo di un cliente un po' brillo. Troppo stanchi per preoccu
parcene, quando il rumore cessò, ci riaddormentammo.
Mia suocera e i miei cognati Dimitri e Nikita vennero la
mattina dopo a far colazione con noi. Lo stesso giorno ap
prendemmo da uno dei nostri amici, Tony Gandarillas, ad
detto all'ambasciata del Cile, che la padrona di quell'albergo
era una certa Rosa Lewis, che si era meritata la celebrità
come cuoca. Edoardo VII aveva apprezzato tanto la sua cu
cina quanto la sua bellezza. Ben presto ella aveva abbando
nato le casseruole per aprire quell'albergo, noto negli am-
397
bienti festaiuoli londinesi come, in altri tempi, a Vienna, l'al
bergo di Frau Sacher, frequentato da tutta la gioventù do
rata della capitale austriaca. Rosa Lewis beveva parecchio
e unicamente champagne, solo vino ammesso nella casa.
Tony Gandarillas ci propose di andar a stare con lui, nel
la sua deliziosa casa di Cheyne Walk, in cui avevamo sog
giornato già varie volte. Eternamente giovane e grande fa
vorito della società londinese, Tony è uno degli uomini più
spiritosi e divertenti che abbia conosciuto. Ha anche scritto
un libro, My royal past, di una buffoneria irresistibile.
Una nota nel catalogo dell'esposizione definiva la "Pelle
grina" come una perla storica che, nel XIV secolo, aveva fat
to parte della corona di Spagna. La leggenda secondo cui in
origine avrebbe appartenuto alla regina Cleopatra era an
ch'essa menzionata. Nondimeno, il principe d'Abercorn, pos
sessore di una perla che considerava come la vera "Pellegri
na", contestava l'autenticità della nostra. Confrontando le due
perle potemmo renderei conto di come esse presentassero no
tevoli differenze di dimensioni, di forma e di peso. Per met
tere la cosa in chiaro, andai alla biblioteca del British Mu
seum a consultare le opere relative ai gioielli storici. La de
scrizione che vi trovai della "Pellegrina" di Filippo II e l'in
dicazione del suo peso corrispondevano non già alla perla del
duca d'Abercorn, ma molto esattamente alla nostra.
L'esposizione contava numerosi visitatori. La principessa
Fafka Lobanov di Rostov, sorella di lady Egerton ed ex da
migella d'onore della granduchessa Elisabetta, che io cono
scevo dal tempo della mia infanzia, vi passava le giornate
come guida officiosa. Ella non mancava né di fantasia né di
parlantina, e nulla poteva divertirla come mettere alla prova
la credulità della gente raccontando con grande faccia tosta
le cose più impossibili. Un giorno la trovai circondata da un
uditorio molto attento, davanti alla vetrina ov'era la "Pelle
grina". Essendomi avvicinato per ascoltare il suo imboni
mento, udii che stava raccontando la storia della perla che
Cleopatra fece sciogliere nell'aceto allo scopo di stupire An
tonio con le stravaganze del proprio lusso. Terminato il rac-
conto, fece una pausa p er preparare l'effetto e concluse : < È
la stessa perla che avete ora davanti a voi » .
Incidentalmente, raccontava che l e sale del suo palazzo
di Pietroburgo erano talmente vaste che, stando all'uno dei
capi, non si poteva vederne l'altro ; o come, mentre faceva il
bagno nel golfo di Sebastopoli, avesse salvato una corazzata
in difficoltà afferrando la catena dell'ancora e trascinandosi
dietro a nuoto la nave sino in porto.
Durante quel soggiorno a Londra, la signora Lythgaw
Smith, inglese per matrimonio, ma russa di nascita, mi pro
pose di aprire un negozio a Londra per vendere i profumi
della Casa lrfé. Accettai subito la proposta e ben presto si
poté vedere, al 45 in Dover Street, un elegante negozietto in
stile Direttorio, dipinto in grigio chiaro con tendine di cretonne
a righe grigio e rosa. Di una delle stanze attigue avevo fatto
una stanza da letto dove dormivo con lrina. La concezione
di quella camera, alla quale avevo dato l'aspetto di una ten
da, divertiva i visitatori e contribuì al successo del nostro
negozio.
Tornati da Londra, nostra figlia ci comunicò l'intenzione
di sposare il conte Nicola Cheremetev. I genitori sono sempre
un po' addolorati di dover ammettere che i figli si fanno gran
di, e noi non sfuggivamo alla regola. Non potevamo adattarci
all'idea che la bambina fosse diventata una signorina e pen
sasse a sposars i ! Nondimeno, Nicola aveva quanto era neces
sario per piacerei, e noi non potevamo se non approvare la
scelta di nostra figlia. Ci rallegravamo dunque p ienamente
della sua felicità, quando un incidente imprevisto per poco
non la compromise definitivamente : Nicola, colpito dalla tu
bercolosi, dovette partire per la Svizzera. Ogni progetto ma
trimoniale doveva per il momento essere messo da parte, e,
nonostante il dolore di nostra figlia, dovemmo rifiutarle il
permesso che ella ci chiedeva di raggiungere il fidanzato.
Qualche mese dopo le notizie si fecero abbastanza rassicu
ranti da indurci a permetterle di partire, ma riservammo
egualmente il nostro consenso al matrimonio sino a che i me
dici non ci avessero data la garanzia dell'avvenuta totale
guarigione.
399
Bibì, stabilitasi in campagna per l'estate, mi telefonò una
mattina per dirmi che aveva preso in affitto per noi una villa
vicina alla sua proprietà e per invitarci ad andare ad abi
tarvi al più presto. Diffidando dei suoi capricci e sapendo
che era capace di aver preso in affitto tanto un palazzo quan
to un molino in rovina, andai a vedere come stessero le cose.
Per fortuna la casa in questione, posta sulle rive dell'Aisne,
al margine della foresta di Compiègne, era molto graziosa e
comoda. Andammo subito ad abitarvi con qualcuno dei no
stri amici russi, tra cui la coppia Kalasc'nikov e una donna
affascinante, la contessa Elisabetta Grabbé, che faceva l'in
dossatrice da Molyneux. Qui, come in qualunque alfro luogo,
la sua bellezza e il suo carattere amabile le attiravano tutte
le simpatie.
Trascorrevamo le giornate nella foresta o sul fiume. Le
serate in casa di Bibì erano sempre rallegrate da qualche di
strazione. Il più delle volte si trattava del violinista Gulesco
o di altri musicisti che ella invitava. In mancanza di musica
faceva proiettare dei films. Allora ella veniva sistemata in
mezzo alla stanza su una poltrona a dondolo, davanti a un
tavolo a rotelle pieno di bottiglie, col suo vaso da notte d'ar
gento a portata di mano. Accanto a ognuna delle sedie de
stinate agli invitati si trovava un tavolinetto con portacenere,
sigarette e bicchierini da liquore. Tutti gli abitanti della ca
sa, compresi i domestici, dovevano assistere alle rappresen
tazioni. Bibì cominciava col dondolarsi un poco, poi batteva
tre colpi col bastone e lo spettacolo incominciava. Se, come
accadeva spesso, uno degli attori non era di suo gusto, lo co
priva di ingiurie e lanciava le bottiglie contro lo schermo.
Bibì aveva acquistato tutta una famiglia di gazzelle ch'e
rano state chiuse provvisoriamente in una rimessa, luogo scel
to assai male, perché proprio nei pressi si trovava una gabbia
che conteneva un orso discretamente feroce. Una mattina i
domestici vennero a chiamarci in gran fretta : qualcuno aveva
sbadatamente lasciato aperta la porta della rimessa e le gaz
zelle, impaurite dai grugniti dell'orso, erano fuggite. Tutti
i vicini dovevano essere mobilitati per riprenderle. Trovammo
400
T: autore con la moalie, a C alo i ( 1928).
Bibì seduta sulla terrazza, circondata dai domestici ai quali
impartiva ordini incoerenti.
« Andate a cercarmi i cani », gridava agitando il bastone.
La cameriera si allontanò e tornò poco dopo tenendo a
guinzaglio due piccoli fox terriers. Quando li vide, Bibì di
venne furibonda :
« Pezzo di idiota », urlò, « non è con simili aborti che si
possono prendere delle gazzelle! Ci vogliono cani da caccia,
cani da muta. Andateli a chiedere ai vicini :�>.
Fortunatamente per le gazzelle, esse si lasciarono cattu
rare senza cani.
La giornata terminò con un pranzo eccellente accompa
gnato, come sempre, dai vini più squisiti. In quell'occasione
facemmo più ampia conoscenza col nuovo marito di Bibì,
che sino allora avevamo scorto appena. Aveva un ottimo aspet
to : alto, elegante, capelli brizzolati. Si sarebbe detto che le
eccentricità di sua moglie non avessero p resa alcuna sul suo
carattere flemmatico. D'altronde non ebbe da sopportarle mol
to a lungo, perché ella doveva morire qualche mese dopo.
Bibì si era messa in mente di far costruire una casa per
noi accanto alla propria. Chiamò l'architetto e, p er ore, dise
gnò i piani della nostra futura dimora. Nello stesso temp o ci
comunicò l'intenzione di lasciare a nostra figlia uno dei suoi
palazzi di Parigi. A tale scopo andò anzi a trovare il
notaio e prese tutte le disposizioni necessarie.
Prima della fine dell'estate partimmo per Frogmore Cot
tage, dove mia suocera riuniva quell'anno tutti i suoi figliuoli,
cosa eccezionale, specialmente per quel che riguardava Roti
slavo e Basilio che da anni abitavano in America, dove si era
no ammogliati. Avevano sposato entrambi una principessa
Galizin. Quelle cognate, che conoscevo appena, erano molto
diverse l'una dall'altra, ma tutte e due molto belle e simpa
tiche. La riunione di famiglia, che rappresentò una grande
gioia per mia suocera e per tutti noi, doveva essere l'ultima
tenuta a Windsor. Il re Giorgio V era morto l'inverno prece
dente e la granduchessa venne avvisata che doveva lasciare
Frogmore Cottage per una nuova residenza ad Hampton
Court.
401
Tornati a Parigi, fummo informati della scomparsa del ge
nerale Miller, il quale, dopo aver tenuto un comando nell'eser
cito bianco, era succeduto al generale Kutiepov come presi
dente dell'Associazione degli ex combattenti. Il ratto del ge
nerale Kutiepov aveva rivelato come fosse necessario p'ro
teggere il suo successore; di conseguenza erano state prese
misure di sicurezza e un certo numero di guardie del corpo,
scelte tra gli ex ufficiali, aveva l'incarico di vegliare sul ge
nerale Miller. Sapendo che i suoi subordinati avevano tutti
necessità di guadagnarsi la vita, il generale aveva accettato
controvoglia quella risoluzione che obbligava qualcuno di es
si a un supplemento di lavoro. Spesso, anzi, usciva solo, no
nostante le proteste degli amici. In capo a un certo tempo,
non essendo accaduto alcun incidente sospetto, egli aveva
definitivamente soppresso la guardia personale, fidandosi per
la propria sicurezza degli autisti di cui si serviva per i suoi
spostamenti.
Il 23 settembre 1936 il generale era passato al proprio uf
ficio in rue du Colisée, dove aveva lasciato un rigo per l'ami
co e collaboratore generale Kussonsky, avvisandolo che si
recava a un appuntamento cui era stato invitato dal gene
rale Skoblin, uno dei membri dirigenti dell'Associazione de
gli ex combattenti, e durante il quale avrebbe dovuto incon
trarsi con un agente anticomunista che tornava da Mosca.
Si poté stabilire che il generale aveva preso la sotterranea
per recarsi all'appuntamento, era sceso alla stazione Jasmin
ed era entrato in una casa della rue Raffet, dalla quale era
stato poi visto uscire insieme col generale Skoblin e salire
in un'automobile di cui quest'ultimo aveva preso il volante.
Da quel momento si perdono definitivamente le sue tracce.
Arrivato alla fine del pomeriggio in rue du Colisée, il ge
nerale Kussonsky trovò sulla scrivania del capo il messaggio
con cui questi lo informava che si recava all'appuntamento da
togli da Skoblin. Nello stesso momento la signora Miller, in
quieta per l'assenza prolungata del marito, telefonava in rue
du Colisée. In preda all'angoscia, i collaboratori del generale
402
telefonarono in varie direzioni, rivolgendosi a tutti coloro che
presumevano avessero potuto vederlo durante il pomeriggio.
A questo punto sopravvenne il generale Skoblin, ostentando
una calma assoluta. Quando gli venne mostrato il biglietto e
gli fu chiesto che cosa fosse accaduto del generale Miller,
balbettò qualche parola confusa e uscì dicendo che sarebbe
tornato di lì a poco. Venne atteso invano: nessuno lo rivide
mai più. Sua moglie, Nadeja Plcvizkaia, celebre interprete
di canzoni russe, fu arrestata, processata e condannata a ven
t'anni di prigione, giacché l'inchiesta stabilì ch'era stata com
plice del marito nel ratto del generale Miller. Ella doveva
morire durante la prigionia.
Tutta questa faccenda ci commosse molto, in quanto che
conoscevamo la coppia Skoblin. La Plevizkaia, specialmente,
era venuta spesso a cantare in casa nostra, e ci aveva anzi
sempre urtati per l'affettazione del proprio atteggiamento
quando si inginocchiava e piangeva davanti al ritratto del
l'imperatore.
41 I
di cortesia che veniva smentita dai suoi occhi da gatto.
« Noi desi deriamo soltanto favorirvi », . mi disse, « ma , se
la vostra perla vi è restituita, acconsentirete in cambio a ren
derei un scnizio? Sappiamo benissimo tutto quanto vi riguar
da e ciò chP voi rappresentate : se accetterete di essere il no
stro agente mondano vi metteremo a disposizione uno dei più
bei palazzi di Parigi. Vi abiterete con la principessa e darete
feste per le quali vi saranno aperti crediti illimitati e alle
quali saranno invitate le persone che vi indicheremo ».
Risposi a quella stupefacente proposta come si meritava,
facendo capire all'ufficiale tedesco che aveva sbagliato in
dirizzo.
« Né mia moglie né io acconsentiremo in nessun caso a
recitare una simile parte », gli dissi. « Piuttosto che prestarci
a ciò, preferiremmo perdere mille volte la nostra perla ».
Mi ero alzato e mi dirigevo verso la porta, quando il tede
sco mi fermò e mi strinse la mano con convinzione !
Non avevo fatto un sol passo avanti, e soltanto tre anni
e mezzo più tardi, dopo la partenza dei tedeschi, la perla mi
fu finalmente restituita.
Durante il periodo dell'occupazione ci accadde più volte
di ricevere inviti da personalità tedesche, ma non li accet
tammo senza una certa riserva. Ciò nonostante, i tedeschi si
fidavano di noi, cosa che ci permise più di una volta di of
frire la nostra garanzia per qualche persona minacciata della
prigione o della deportazione.
Un giorno incontrai Valeria, che non vedevo più da molto
tempo: era sempre sul suo barcone, dove ci invitò a pranzo.
Fummo sorpresi di trovarci dei tedeschi. Debbo riconoscere
ch'erano tutti persone bene educate, anche simpatiche, e, co
me la maggior parte di quelle che ebbi l'occasione d'incon
trare durante l'occupazione, antihitleriane. Tuttavia la loro
presenza in casa di una francese era ugualmente fuori luogo.
In seguito la povera Valeria doveva commettere errori più
gravi, e alla fine pagarli con la vita.
Fino a che durò l'estate, la vita a Sarcelles fu possibile.
I legumi del nostro orto erano una preziosa risorsa, e aveva
mo nel cortile un albicocco che piegava sotto il peso dei frut
ti. Così davamo albicocche in cambio di generi alimentari di
prima necessità. Ma con i primi freddi, il soggiorno in cam
pagna, senza possibilità di riscaldarci, divenne impossibile.
In novembre risolvemmo di tornare a Parigi.
Vi abitammo per alcuni mesi in un appartamentino a mmo
biliato, di una delle poche case di Parigi ancora riscaldate, nel
la rue Agar. Ci permettevamo anche il lusso inaudito di un ba
gno caldo due volte la settimana. In quei giorni parecchi ami
ci, privi a casa loro di acqua calda, venivano ad approfittare
di quell'eccezionale fortuna. Con i loro oggetti di toletta sot
to il braccio, attendevano pazientemente in salotto che venisse
il loro turno di entrare nel gabinetto da bagno. Dopo di che
facevamo onore alle provviste che ognuno aveva portate.
Più tardi presi in affitto uno studio vuoto, in rue La Fon
faine, nel quale dovevamo trascorrere un anno. Quello studio
immenso aveva un po' l 'aria di una rimessa. Per fortuna io
conoscevo abbastanza bene l'ambiente degli antiquari pari
gini; e molti di essi, essendo ebrei, non chiedevano di meglio
che mettere i loro più bei mobili in deposito presso un pri
vato, dove sarebbero stati al riparo dalle investigazioni delle
truppe di occupazione. Questo ci permise di vivere per qual
che tempo in un vero museo.
Un pittore italiano, che conoscevo di vista, venne un gior
no a chiedermi di ricevere un tedesco inviato da Hitler, il
quale aveva da farmi una comunicazione relativa all'avve
nire politico del mio paese. Non avevo nessun motivo per sot
trarmi a un tale colloquio, ma siccome non ci tenevo a rice
vere l'inviato del Fiihrer in casa mia né a recarmi da lui, pro
posi un incontro in luogo neutrale. Fu dunque stabilito che
saremmo andati tutti e tre a far colazione in un salottino pri
vato e scegliemmo una trattoria del quartiere della Madeleine.
Il tedesco era incaricato di comunicarmi le intenzioni di
Hitler, ch'erano di liberare la Russia dal giogo bolscevico e di
restaurarvi la monarchia. Mi chiese se la questione mi interes
sasse personalmente. Gli risposi che avrebbe fatto meglio a
rivolgersi ai membri sopravvissuti della famiglia dei Roma
nov che si trovavano a Parigi e dei quali gli diedi i nomi e
gli indirizzi. Mi domandò allora che cosa pensassi degli ebrei.
Confessai che, in linea generale, non mi erano molto simpa
tici. Avevo potuto rendermi conto della parte nefasta che
avevano recitata nel mio paese - e, in un certo senso, nella
mia vita - e li consideravo come i principali responsabili
delle rivoluzioni e delle guerre; ma giudicarli in base a una
regola assoluta era, secondo me, assurdo.
« In ogni modo », soggiunsi, « non vi sono scuse per il mo
do come voi li trattate, che è indegno di un popolo civile ».
« Ma il nostro Fiihrer lo fa per il bene generale », esclamò
egli, « e vedrete che presto il mondo sarà liberato da questa
razza maledetta ».
Davanti al fanatismo di quel puro ariano vidi che era
inutile continuare la discussione, e, finito il pasto, non tardai
a congedarmi da lui e dal pittore italiano.
418
potevamo infatti corrispondere facilmente con nostra figlia,
stabilita a Roma, con mio cognato Nikita e con la sua fami
glia. Fu così che sapemmo di essere sul punto di diventar
nonni ! ... Nel marzo 1 942 nasceva a Roma una piccola Senia,
ma dovevano passare più di quattro anni p rima che ci fosse
concesso di far la conoscenza della nostra nipotina.
43 0
generosità inaudita verso coloro che non potevano pagare il
conto. Un'amabile coppia russa, gli Olifer, aveva fatto la stes
sa cosa nel loro bellissimo appartamento dell'avenue Camoens,
dove l'illuminazione era disposta in modo particolarmente in
gegnoso e le cameriere erano deliziose. Arrivando una sera
per il pranzo, trovammo i nostri amici costernati, in mezzo
al più terribile disordine : l'appartamento era stato svaligiato
da un certo numero di individui mascherati e armati di mi
tra. Avevano portato via tutto il danaro e tutti gli oggetti
di valore, l'argenteria e le provviste esistenti in cucina. Que
sto non ci impedì di far onore al pranzo già pronto che ave
vano avuto la delicatezza di !asciarci.
Da Caterina Starov feci la conoscenza di Sofia Zernov
che consacra la propria attività a un focolare per i bambini
russi, di cui è segretaria generale. Quest'opera, che accoglie
principalmente gli orfanelli, vive in gran parte di carità. Un
vecchio russo assai poveramente vestito era venuto un giorno
a portare un biglietto di cinquemila franchi. Siccome Sofia
Zernov, un po' sorpresa, lo interrogava sui suoi mezzi di sus
sistenza, rispose che riceveva tremila franchi il mese come
indennità di disoccupazione e che riusciva a . economizzare
parte di questa somma "vuotando le pattumiere", il che gli
aveva permesso di risparmiare quei cinquemila franchi por
tati lì per gli orfani. Sofia Zernov rifiutò da principio di ac
cettarli, ma poi finì col prenderli per non addolorare il vec
chio. La sua generosità suscitò quella degli altri : poco tempo
dopo, tornò portando altri cinquemila franchi ; questa volta
si trattava di un dono dei suoi compagni francesi, vagabondi
come lui, che mandavano le loro "economie" agli orfanelli
di Sofia Zernov.
43 1
sono stati pienamente esposti in un articolo che comparve
il 6 giugno 1952 nelle U. S. News and World Report. Un set
timanale d'informazione indipendente pubblicato a Washing
ton. Per giustificare il rifiuto degli Stati Uniti di rimandare
per forza ai loro focolari i prigionieri fatti in Corea, l'autore
di questo articolo narra ciò che non teme di definire "uno de
gli episodi più macabri della più sanguinosa guerra della
storia". Non credo di poter fare nulla di più efficace che !a
sciargli la parola:
"Quando la guerra in Europa finì, gli Alleati scoprirono
che più di due milioni di russi erano prigionieri dei tedeschi
o combattevano con loro. Un'intera armata russa era incor
porata alle forze tedesche sotto il comando del generale russo
Andrei Vlassov, l'ex difensore di Mosca. Centinaia di migliaia
di prigionieri furono ripresi, molti di essi inviati nei campi
d'Inghilterra e perfino degli Stati Uniti. La maggior parte
mostrava la più grande ripugnanza all'idea di tornare in
patria.
"Nondimeno la sorte dei russi liberati fu stabilita in base
agli ordini impartiti dall'alto comando alleato, poco dopo la
conferenza di Yalta, secondo i quali 'tutti i russi liberati nella
zona controllata dall'alto comando dovevano essere consegnati
alle autorità russe nel più breve spazio di tempo possibile'.
"Così il rimpatrio in massa cominciò nel maggio 1945 e du
rò più di un anno. Durante questo periodo centinaia di mi
gliaia di russi cercarono di sottrarsi al ritorno obbligatorio
nel loro paese e parecchie decine di migliaia si uccisero lungo
la strada. Gli americani incaricati della loro sorveglianza
erano costretti a intervenire per farli imbarcare. Un ufficiale
alleato fu tradotto davanti a una corte marziale per essersi
rifiutato di farlo�
"l russi fatti prigionieri nel sud dell'Europa erano inviati
a Linz, in Austria, donde dovevano essere rimpatriati. Lungo
il viaggio circa un migliaio di essi si gettò dai finestrini
dei vagoni, durante la traversata delle Alpi, quando il treno
passò su un ponte che scavalcava una gola profonda presso
la frontiera austriaca ; tutti morirono. Una nuova serie di sui-
43 2
cicli si ebbe a Linz; molti si annegarono nella Drava piuttostfl
che ricadere sotto il controllo dei sovieti.
"Sette nuove operazioni massicce di rimpatrio si svolsero
in Germania : a Dachau, Passau, Kempton, Platting, Bad Ei
bling, St. Veit e Marburg. Tutte provocarono tentativi di sui
cidio a gruppi; l'impiccagione era la forma più frequente.
Spesso, all'arrivo delle autorità sovietiche, i russi si rifugia
vano nelle chiese o nelle cappelle del luogo. Secondo quanto
riferiscono testimoni americani, i soldati sovietici trascina
vano invariabilmente fuori questi russi 'liberati' e li coprivano
di randellate prima di caricarli sugli autocarri.
"Altri ex prigionieri russi, condotti in Inghilterra, furono
chiusi in tre campi riservati al personale liberato. Più tardi
vennero ammucchiati su navi inglesi e, tra una nuova ondata
di suicidi, inviati a Odessa, nella Russia meridionale.
"Si cita un caso nel quale ci vollero tre giorni per sbar
carli tutti, trascinandoli fuori a forza dagli angoli oscuri del
la nave o dal fondo della stiva dove si nascondevano.
"Certi russi, liberati poco dopo il giorno J, in Normandia,
furono condotti negli Stati Uniti e internati nei campi del
l'Idaho. Pochi di essi volevano tornare in patria. La maggior
parte fu ben presto imbarcata su navi russe a Seattle e a
Portland. Centodiciotto, che avevano ostinatamente rifiutato
di imbarcarsi, rimasero. Furono inviati in un campo del New
Jersey, nell'attesa che fosse decisa la loro sorte. Alla fine an
ch'essi furono restituiti alle autorità russe ; ma era stato ne
cessario servirsi dei gas lacrimogeni per farli uscire dai ba
raccamenti, e molti si uccisero prima di essere rimpatriati.
"Quan do circa due milioni di russi furono così restituiti
al controllo sovietico, squadre di soldati russi e di agenti del
la M.V.D. passarono al setaccio buona parte dell'Europa
per scoprire e riprendere quelli che erano riusciti a fuggire
per evitare il rimpatrio. Le squadre catturarono in tal modo
quei russi che avevano fatto il lavoro forzato in Germania e
che tentavano di farsi passare p er soldati del vinto esercito
tedesco
"Una volta nelle mani dei russi, i rimpatriati venivano da
principio- trasportati in gran parte nei campi di sele-
433
zione stabiliti nell'est della Germania. Qui l'inchiesta era con
dotta col concorso dei denunciatori di cui le autorità dispo
nevano per mettere in stato d'accusa decine di migliaia di ex
prigionieri. I russi 'liberati', colpevoli di defezione o suppo
sti tali, che avessero servito nell'esercito tedesco o rifiutato di
lasciarsi rimpatriare, erano interrogati, condannati a morte,
e mandati immediatamente davanti al plotone di esecuzione.
"Gli altri venivano imbarcati o diretti a piedi in Russia
per un più ampio esame delle loro dichiarazioni. Una grande
quantità veniva poco dopo inviata nei campi di lavoro in
Siberia o altrove, il che significava che la maggior parte scom
pariva per il mondo esterno. Processi ed esecuzioni pro
seguirono per molti anni dopo la guerra.
"Questa faccenda ebbe un completamento dopo che i ca
richi di ex prigionieri russi furono rimpatriati e l'esercito
rosso ebbe iniziato l'occupazione dell'Est europeo. Allora le
diserzioni di soldati sovietici divennero frequenti. I soldati
si consegnavano per lo più alle autorità americane e chiede
vano di restare in Occidente. Ma i rappresentanti degli Stati
Uniti che, nei primi tem pi dell'occupazione, si sforzavano di
mantenere buone relazioni con la Russia sovietica, restitui
vano i disertori ai sovieti, ed essi venivano regolarmente fu
cilati davanti ai loro compagni riuniti !
"L'abitudine di restituire ai sovieti tutti i russi evasi finì
ad ogni modo nell'estate del 1947. Ma il male era fatto. La pa
rola d'ordine era ormai diffusa nell'esercito sovietico e il nu
mero di disertori che si consegnavano alle autorità americane
divenne insignificante.
"Questa è la lezione che i rappresentanti degli Stati Uniti
hanno fissa nella memoria e che li ha decisi a non accettare
nessun compromesso nella questione in discussione relativa
ai prigionieri fatti in Corea (1) ".
434
del primo, anche se poneva complicati problemi di trasporto
e di sistemazione. Non era tanto facile, allora, spostare una
tribù come quella che noi formavamo, comprendente bam
bini, cani, gatti e numerosi bagagli. L'idea di Rodolfo era di
prendere a nolo un camion per trasportarci tutti !
Partii prima io, come esploratore, per cercare una villa.
Dopo vari anni di un'immobilità per me inconsueta, mi senti
vo come uno scolaretto in vacanza. La prima persona in cui
m'imbattei al mio arrivo a Bia rritz fu un'amica di mia ma
dre, la contessa de La Viiiaza, vedova di un ex ambasciatore
di Spagna a Pietroburgo. Per l'aspetto, le maniere e la cortesia,
la gran dama apparteneva a un tempo ormai finito. La sua
villa, le Tre fontane, rimaneva il centro di una vita mondana
che, a Biarritz, come altrove, non era più quella di un tempo.
Invitato alle Tre fontane, vi incontrai parecchie vecchie
conoscenze, tra cui Pietro di Cartassac e sua moglie, p roni
pote dell'imperatrice Eugenia, sempre ugualmente affascinan
te, vivace e piena di spirito. C'erano anche il conte e la con
tessa Baciocchi, quest'ultima ex dama d'onore dell'ultima im
peratrice dei francesi, ch'era morta tra le sue braccia, e la si
gnora Léglise, per gli intimi "la Mosca", molto amica di mia
suocera che : in altri tempi, aveva fatto lunghi soggiorni a Biar
ritz. Era, allora, "la belle époque" di quella Deauville del pae
se basco, città cosmopolita se mai ve ne furono, nella quale si
incontravano così pochi francesi. "La belle époque" di Biar
ritz era passata. Anche la mia, senza dubbio, ma io ci ripen
savo senza grandi rimpianti ; privo ormai di quel lusso nel
quale ero nato, mi sentivo alleggerito e, per così dire, più
felice.
Contrariamente a ciò che m'aspettavo, trovai abbastanza
facilmente una villa · che poteva convenirci nei dintorni del
l'aerodromo di Parme. Accordatomi con la proprietaria, tornai
a Parigi soddisfatto di avere compiuto la mia missione feli
cemente e con tanta rapidità.
L'idea della partenza collettiva in camion era stata abban
donata ; fu dunque stabilito che sarei partito con Irina, e che
Rodolfo e la suà. famiglia ci avrebbero raggiunti più tardi.
Il giorno precedente a quello della partenza, la proprietaria
435
della villa che avevo preso in affitto ci fece sapere di aver
cambiato idea. II noioso contrattempo non ci arrestò : eravamo
convinti che avremmo potuto accomodare le cose sul luogo.
La proprietaria rifiutò di tornare sulla propria decisione, però
ci propose un 'altra villa nel quartiere della Négresse. La mag
g ior parte delle case disponibili erano requisite dagli ameri
can i ; non ci rimaneva dunque altra risorsa che prendere quel
la che ci veniva offerta.
La villa Lou-Pradot ci parve graziosa, nonostante l'incre
dibile disordine che regnava all 'interno. Nella sala da pranzo,
specialmente, una montagna di granoturco arrivava al sof
fitto. La casa aveva un altro inconveniente più grave: quello
di non essere abbastanza grande per accoglierci tutti. Nond i
meno le cose si accomodarono, giacché una lettera di Rodolfo
ci annunciò che egli aveva cambiato idea e partiva per l'Ame
rica. Quando ci mettemmo a demolire la montagna di grano
turco che ingombrava la sala da pranzo, disturbammo nugoli
di tarme che si sparsero per tutta la casa, e per sbarazzarci
delle quali ci volle del bello e del buono.
A Lou-Pradot avevamo piacevoli vicini. La proprietà
che confinava col nostro giardino era quella del barone Chas
seriau. La grande casa palladiana era proprio la cornice più
adatta a quel gentiluomo elegante e cortese, amico delle arti e
delle lettere. Molto intimo di Francis Jammes, dopo la morte
del poeta, egli aveva fondato la società degli amici di Francis
Jammes, di cui è presidente.
Giacomo di Bestegui, il mio antico condiscepolo di Oxford,
e la sua deliziosa moglie Carmen, abitavano anch'essi nel vi
cinato, come quella grande artista e affascinante donna di
mondo ch'è Gabrielle Dorziat, come Mabel Aramayo, vedova
del conte Giovanni d'Arcangues, e un'amica d'infanzia di Iri
na, Catalina de Amezaga. Costei e Mabel erano le due persone
con cui ci incontravamo più spesso. Sciarade e quadri vi
venti, con costumi improvvisati, occupavano generalmente le
serate che si prolungavano spesso sino a tarda ora, con accom
pagnamento di chitarra e di canzoni, nel sottosuolo tramutato
in bar. Una delle sorelle di Mabel ha sposato il fratello di suo
marito, il marchese d' Arcangues. Musicista e poeta, Pietro
d'Arcangues è stato ed è ancora, come in passato suo parlre,
il grande animatore e organizzatore delle feste di Biarritz.
Sua moglie è musicista di valore ; canta con buon gusto
e con uno stile molto puro, nonché con una voce che ispira il
rimpianto di non sentirla più spesso. La famiglia d'Arcangues
è quasi un'istituzione sulla costa basca. Tutte le celebrità che
vi soggiornano o vi passano sfilano da Arcangues. Qui mi in
contrai con Cécile Sorel, miracolo di artifizio che sfida il tem
po e gli avvenimenti e che, chiusa la carriera di attrice, rivolge
al Cielo le sue ultime riverenze.
Passammo tutta l'estate e una parte dell'autunno a Lou
Pradot. Qualche amico veniva a riposarsi delle fatiche della
vita parigina. La mancanza di automobile limitava le passeg
giate e le distrazioni. Le eventuali gite dovevano essere fatte
in bicicletta. Alla fine dell'autunno tornammo a Parigi per
prepararci al viaggio in Inghilterra, che speravamo prossimo.
Ma formalità e complicazioni numerose dovevano trattenerci
in Francia sino alla primavera seguente.
Andare dalla Francia all'Inghilterra, nel 1 946, non era né
facile né gradevole. Per terra come per mare, le comunicazioni
erano ristabilite soltanto in parte, e la traversata si faceva tra
Dieppe e Newhaven. Dopo un viaggio che ci parve intermi
nabile, avemmo il piacere di essere accolti alla stazione Victo
ria dagli amici Kleinmichel. Merika Kleinmichel è la figlia
ciella contessa Carlov che, all'inizio del nostro esilio, aveva
lavorato con noi nel laboratorio di Belgrave Square. Piena di
luminosità e di gaiezza, spiritosissima, possedeva un'abi
lità d'imitatrice impareggiabile. Il suo primo marito, il p rin
cipe Boris Galizin, combattente nell'esercito bianco, era stato
ucciso nel Caucaso. Rimasta vedova con due figli, aveva
sposato il conte Kleinmichel ch'è per noi non soltanto un
amico, ma anche un consigliere. Marito e moglie si sono mo
strati ugualmente devoti a mia suocera. Essi appartengono a
quella specie di persone che si ha l'impressione di aver sempre
conosciuto e che non si vorrebbe mai lasciare.
Giungemmo in serata ad Hampton Court, molto commossi
e felici di rivedere la granduchessa dopo una così lunga sepa
razione. La sua salute era abbastanza buona, ma si mo-
43 7
strò molto inquieta per Teodoro il cui stato si aggravava sem
pre più. La notte era avanzata quando ci separammo senza
aver finito tutto ciò che avevamo da dirci. Madre Marta, una
suora russa che si trova al fianco di mia suocera e la cura da
molti anni con la più affettuosa e instancabile devozione, ven
ne a ritrovarci nella nostra camera, e la conversazione ripresa
con lei durò quasi tutta la notte ..
Lasciammo l'Inghilterra all'inizio dell'estate. La grandu
chessa ci aveva ch iesto di portare Teodoro in Francia, dove
avrebbe potuto trovare un clima più favorevole. Dopo un
esame medico subìto a Parigi egli venne inviato in un sana
torio di Pau. Il nostro soggiorno a Biarritz ci permetteva di
andare spesso a fargli visita.
Ben presto avemmo la grande gioia di rivedere nostra figlia,
giunta da Roma con la p iccola Senia che aveva già quattro
anni e che non conoscevamo ancora. Esse trascorsero con noi
tutta l'estate a Lou-Pradot.
439
A Calaoutça ho conosciuto anche il padre Giacomo Lavai.
Sotto il porticato del piccolo chiostro la sua tonaca bianca di
domenicano sembrava far parte dello scenario. Parlavamo con
la stessa semplicità che se ci fossimo conosciuti da sempre.
lo sentivo in lui qualche cosa di patetico e di particolarmente
commovente. Avrei desiderato che la mia esperienza, dovuta
alla particolare fiducia dimostratami da tante persone diverse,
potesse essergli di qualche utilità. Il nostro primo incontro fu
breve, ma ci eravamo promessi di rivederci a Parigi. La sim
patia reciproca che ci aveva attirato l'uno verso l'altro doveva
trasformarsi in profonda amicizia.
443
Quando giunse l'estate tornammo a Saint-Savin con Cate
rina Starov. Qui cominciai a scrivere le mie memorie; passa
vo le giornate sulla terrazza, preso interamente da questo la
voro e dall'evocazione del passato.
Altrettanto accadde a Lou-Pradot, dove passammo tutto
l'inverno. In maggio, essendo ormai in grado di viaggiare,
Teodoro venne a stabilirsi ad Ascain, all'albergo Etchola. Vi
restammo per qualche tempo con lui, ma in mezzo al rumore
incessante delle automobili e dei torpedoni mi era impossibile
scrivere. Sin dalle prime ore del mattino quel delizioso villag
gio era invaso dai turisti. Si vedevano tra loro parecchie di
quelle vecchie inglesi erranti che si incontrano dappertutto
e che, al centro di un deserto o in cima a un picco di mon
tagna, sono sempre uguali ; piede piatto, petto inesistente e
dentiera aggressiva. Sono tutte armate di un baedeker e di
una kodak, non parlano altra lingua che la loro e hanno sem
pre l'aria di non saper bene perché siano lì e non altrove.
Tornato a Lou-Pradot, vi ritrovai la pace e il silenzio di
cui avevo bisogno per scrivere. lrina, che ha una memoria
assai migliore della mia, mi fu di grande aiuto per portare
a termine questo lavoro. Prima di dare a esso l'ultima mano,
mi recai a Parigi per avere l'opinione di qualche amico, in
modo particolare quella della signorina Ladvocat, presiden
tessa delle librerie di Francia, nel cui giudizio avevo la più
grande fiducia. Gli apprezzamenti di varie persone mi han
no incoraggiato a mettere queste pagine nelle migliori condi
zioni per essere pubblicate. Per il tramite della contessa di Ca
stries feci la conoscenza di una sua amica, Irene di Gironde,
che si occupa di traduzioni e che accettò di aiutarmi nel
lavoro.
Andai da lei a Saint- Jean-de-Luz, e in quel luogo di pace
iniziammo una collaborazione che doveva durare mesi e mesi
e che ha . stabilito tra lei e me un'intimità di pensiero di gior
no in giorno più grande. lrene di Gironde si era guadagnata
rapidamente la mia fiducia. Sentivo che potevo dirle tutto
444
perché ella poteva tutto comprendere. Il suo giudizio era si
curo, le sue osservazioni giuste, e quando le nostre opinioni
divergevano su qualche punto, sapevo sempre che era lei ad
aver ragione : cosa, questa, che mi faceva stizzire, benché mi
rallegrassi in pari tempo del senso di sicurezza ch'essa mi
dava. La voce di lrene mi ricordava a tratti quella di mia
madre.
In autunno Nikita ci comunicò la sua decisione di andare
a vivere negli Stati Uniti con la famiglia. In tal modo la casa
di Auteuil tornava libera, e noi ci affrettammo ad approfit
tarne per ristabilirei nei nostri penati.
Quando lrene tornò da Saint- Jean-de-Luz il lavoro in co
mune riprese a Parigi. Ella veniva regolarmente in rue Pierre
Guérin e si installava sulla sedia a sdraio, col suo piccolo
bassotto Isabella, che le serviva di leggio, sulle ginocchia. Cer
ti amici ci avevano regalato una piccola cagna di nome Mopsy,
e le due bestiole divennero amicissime ; non appena lrene
giungeva, cominciavano folli gare di corsa durante le quali
le pagine del manoscritto volavano spesso da tutte le parti.
Non saprei come ringraziare abbastanza gli amici devoti
che mi hanno aiutato in un compito che si è rivelato più lun
go e più difficile di quanto avessi previsto: lrene, nata prin
cipessa Kurakin, seconda moglie del principe Gabriel, la si
gnora Blacque Belair, il barone Derwies, il barone di Witt,
Nicky Katkov, la cui mente è una vera enciclopedia. A lui
sono ricorso ogni volta che ho avuto bisogno di un'informa
zione o quando la mia memoria mi tradiva. Ed è stato lui a
occuparsi della traduzione inglese. Ho trovato un grande com
penso alle mie fatiche in questa evocazione di un passato ric
co di emozioni diverse e in quella di tanti volti cari, oggi
scomparsi.
Come dovevo aspettarmi, la p ubblicazione della prima
parte delle mie memorie non ha incontrato l'unanime appro
vazione della colonia russa ; tutt'altro ! Ma ciò non poteva
impedirmi di scrivere la seconda ( 1 ) . Mia moglie, che seguiva
(l) Le memorie de1 principe Yussupov furono pubblicate in due volumi : A.oant
l' e.ril (188?-1919) e En e.ril, qui riuniti per comodità del lettore. [N.d.T. ] .
445
il lavoro, mi minacciava a volte di scrivere anche lei le pro
prie memorie e d'intitolarle: Quello che mio marito non ha
detto. Le rispondevo che certo esse avrebbero avuto molto
più successo delle mie. lriria ha infatti tutte le qualità per
diventare una scrittrice umoristica. Aveva cominciato a scri
vere il Diario di Bull - fingendo che Bull stesso lo avesse re
datto - nel quale questo testimone della nostra vita faceva
una narrazione pittoresca di ciò che accadeva intorno a lui :
vi sono in questo manoscritto pagine inenarrabili e disgra
ziatamente intraducibili.
446
ne, celebrità d'uno o d'altro genere. Potrei incontrarmi ancora
con loro, ma ne ho perduto la voglia. Quanto a coloro che
passano per spiriti superiori, mi accade di non capire nean
che la metà di quel che dicono... Alla compagnia di quegli
uomini troppo intelligenti preferisco quella delle person e più
semplici nelle quali il cervello non domina il cuore, giacché,
in fatto d'intelligenza, è soprattutto quella del cuore a inte
ressarmi.
M'incontro spesso col padre Giacomo Lavai, diventato p er
me Giacomo e basta. Non abbiamo la stessa età, le nostre vie
sono diversissime, e tuttavia la nostra amicizia si fa più salda
ogni giorno. Senza aver attraversato le stesse prove, abbiamo
reazioni simili e proviamo lo stesso dolore, continuamente
rinnovato, dinanzi alle miserie umane. Egli, che ha rinun
ciato a tutto, dice che nessuna fortuna sarebbe stata suffi
ciente per il bene che avrebbe voluto fare, m a la sua carità
si rivolge soprattutto alle sofferenze del cuore. In gioventù
avrebbe voluto diventare attore, ma il richiamo imperioso di
una vocazione religiosa gli ha fatto abbandonare i sogni del
l'adolescenza. Posso indovinare le lotte che questo ragazzone
dall'anima inquieta e dallo sguardo fiducioso certamente so
stiene con se stesso. A volte egli stupisce che una vita piena
di vicissitudini qual è la mia non mi abbia distrutto:
« Come sei giunto a questa fede incrollabile? >.
« Tutto è mistero intorno a noi. Perché cercare di pene
trare ciò che è impenetrabile? L'unica vera saggezza è una
sottomissione totale al Dio che ci ha creati. In questa fede
semplice, senza discussione, senza analisi, io ho trovato la so
' '
la vera felicità: LA PACE E L EQUILIBRIO DELL ANIMA. E tuttavia
non sono quel che si dice un baciapile. Anzi, non sono nem
meno praticante e non pretendo certo di aver condotto una
vita esemplare, ma so che Dio esiste, e questo mi basta. lo
non Gli chiedo nulla. Lo ringrazio semplicemente di ciò che
mi manda : ventura o sventura, so che tutto è per il meglio >.
447
Spesso, la sera, mi metto alla finestra della mia piccola
casa, e nel silenzio del villaggio di Auteuil, al di sopra dei
pochi rumori che giungono da Parigi, ascolto qualcosa che è
come l'eco di tutto il mio passato.
Rivedrò mai la Russia? ...
Nulla ci vieta mai di sperare. Giunto a un'età nella quale
non si può, senza follia, far conto sull'avvenire, mi accade
ancora di sognare, qualche volta, un tempo che per me non
giungerà forse mai : il tempo che avrebbe nome : Dopo l'esilio.
Settembre 195J.
FINE
I NDICE D E L TESTO
PARTE PRIMA
Prima dell'esilio
( 188? 1919)
-
CAPITOLO I . pag. 9
La mia nascita - Delusione di mia madre - I genitori - Mio
fratello Nicola - Incoronazione dell'imperatore Nicola II -
Maria, principessa ereditaria di Romania - Il principe Grizko.
CAPITOLO II . . pag. 1 8
Mia infanzia malaticcia - L'argentino - I viaggi formano
la gioventù - Napoli e la Sicilia.
CAPITOLO IV . pag. 36
Mosca - La nostra vita ad Arkangelskoie - Il pittore Serov -
Spaskoie Selò.
CAPITOLO V . . pag. 44
Il mio cattivo carattere - Gli zigani - Una conquista regale -
Esordio al Music-Hall - Balli in maschera - Colloquio tem
pestoso con mio padre.
CAPITOLO VI . pag. 5 1
Zarskoie Selò - I l granduca Dimitri Pavlovic - Rakitnoie -
La Cr imea - Koreiz - Strani capricci di mio p adre - I nostri
vicini - Ai-Todor - Primo incontro con la principessa lrina.
449
CAPITOLO VIII . . pag. ?'4
La granduchessa Elisabetta Fiodorovna - Suo benefico in
flusso - Mia attività al suo fianco a Mosca - Progetti per
l'avvenire.
CAPITOLO IX . pag. 85
Partenza per la Crimea - Morte di Padre Giovanni da Kron
stadt - Mia partenza per l'estero - Un mese in Inghilterra .
CAPITOLO X . . pag. 92
Primo incontro con Rasputin - Partenza per Oxford - La
vita all'Università - Anna Paulova - Addio all'Università -
Ultimo soggiorno a Londra La signora H w fa-Williams .
PARTE SECONDA
In esilio
(1919-1953)
45 1
sione - L'emigrazione - Ciò che diceva Lenin dei rapporti
russo-tedeschi - Preoccupazioni finanziarie - Difficili tratta
tive con Widener - Un affare iniziato male.
45 2
CAPITOLO XXVIII (1925-192?) . . p ag. 32?
Keriolet - Rappresentazioni teatrali a Boulogne - Le feste
di Pasqua dei russi esiliati - "Nuits de prince" - Matrimonio
del granduca Dimitri - Una falsa granduchessa Anastasia -
Il maragia mi cerca ma non mi trova - L'educazione m usi
cale di Bibì e le sue generosità - A Bruxelles con i Whobee
- Fuga di Willy.
453
CAPITOLO XXXIV (1934-1938) . . pag. 395
Il barcone di Valeria - Esposizione di gioielli russi a Londra
- Il negozio di Dover Street - Fidanzamento di mia figlia e
malattia del fidanzato - Con Bibì in campagna - Ultima riu
nione di famiglia a Frogmore Cottage - Rapimento del ge
nerale Miller - Screzio con Bibì - Mia madre si stabilisce a
Sèvres - Matrimonio di mia figlia - Morte di Bibì - Sarcelles.
Rasputin . . . . . . . . . . . 288
DI RIZZOLI EDITORE
IN M I LANO