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PONTIFICIA FACOLTÀ TEOLOGICA

MARIANUM

IL RITO DELL’UNZIONE
CELEBRARE LA PRESENZA DEL RISORTO
NELL’ESISTENZA DEL MALATO

Elaborato scritto per il conseguimento del Baccalaureato in Teologia

Relatore: Studentessa:
Prof. Sandrino Bocchin Diana Elizabeth Gil Higareda
(Mtr. 1579)

Roma
Anno Accademico 2020-2021
«In tutte le loro tribolazioni.
Non un inviato né un angelo,
ma egli stesso li ha salvati;
con amore e compassione li ha riscattati,
li ha sollevati e portati su di sé,
tutti i giorni del passato»
Is 63,9
Ringrazio il Signore per essere l’autore della vita e per starmi accanto nella debolezza.

Ringrazio i miei genitori per avermi insegnato l’amore per la vita e per lo studio,
per avermi dato due sorelle e un fratello con i quali imparare a vivere.

Ringrazio p. Ricardo, p. Giuseppe, p. Alvaro,


le Oasi e Realtà che hanno reso possibile i miei studi,
e ogni sorella e fratello con i quali ho vissuto in questi anni
a Guadalajara, Villardeciervos, Prusiny, Sicilia, Cogollo, Roma, Valcha e Camparmò.
Grazie per la condivisione della chiamata, per la vostra pazienza,
amicizia e affetto, per lo stare insieme, per accogliermi,
per darmi l’opportunità di studiare.
Grazie per la vostra presenza nella mia vita.

Ringrazio il mio relatore p. Sandro, Cristina, Gala e la comunità di studenti per il loro
aiuto e per condividere le gioie e le fatiche dello studio,
ringrazio i professori, i bibliotecari e il personale del Marianum,
ringrazio Alejandro, Maria e Michal e tutti i miei colleghi e amici per condividere
l’avventura di questo percorso accademico.

Ringrazio specialmente le mie nonne Hortensia e Senorina,


e con simile affetto Isabel, Maria, Catalina, Rosario, Ángel, Ilusión, Teodosia, Rosalia,
Antonia, Asunción y Rocío. Un grazie speciale al prof. Silvano Maggiani, a mio zio
José Lino e le mie zie María del Refugio e María del Carmen
e a molti altri che sono già alla presenza del Padre
perché hanno fatto risplendere il Risorto nella malattia.

Grazie a tutti coloro che sono nel mio cuore che mi hanno fatto crescere e mi fanno
diventare chi sono!
Grazie per la vostra presenza che è salvezza di Cristo per me.

Diana
INDICE

SIGLE E ABBREVIAZIONI .......................................................................................... 3

INTRODUZIONE ........................................................................................................... 5

CAPITOLO I. LA REALTÀ DELLA MALATTIA E


E LA RISPOSTA DELLA CHIESA ............................................................................... 9

I. 1. LA MALATTIA COME CIFRA DELL’UOMO ......................................................... 9


I. 2. LA MALATTIA DAL PUNTO DI VISTA ANTROPOLOGICO .................................. 11
I. 3. LA RISPOSTA DELLA CHIESA ........................................................................ 16
1.3.1. La risposta al mandato di Gesù .................................................... 17
1.3.2. La risposta della Chiesa nel suo Magistero .................................. 21

CAPITOLO II. UNZIONE DEGLI INFERMI .............................................................. 25

II.1. LA CELEBRAZIONE DEL RITO ...................................................................... 25

II.1.1. Elementi celebrativi significativi ................................................. 28


II.1.1.1. Gli attori ........................................................................ 28
II.1.1.2. Azioni gestuali, cose e oggetti ...................................... 29
II.1.1.3. Gli atti di linguaggio ..................................................... 31
II.1.1.4. Il dispositivo ecologico: il tempo e il luogo ................. 33
II.1.1.5. Il programma rituale ..................................................... 35
II.1.2. Elementi celebrativi che ci interrogano ...................................... 38
II.1.2.1. In riferimento al primato della partecipazione
partecipazione dinamica ............................................................. 38
II.1.2.2. In riferimento al ministro .............................................. 40
II.1.2.3. In riferimento all’approccio iniziale al malato e la sua
e la sua corporeità ....................................................................... 42
II.1.2.4. In riferimento alla presenza di Maria............................ 43

II.2. SIGNIFICATO DEL RITO DELL’UNZIONE DEGLI INFERMI ALLA LUCE DEL

ALLA LUCE DEL CONCILIO VATICANO II ............................................................. 44


CAPITOLO III. LE LINEE DI CONSEGUENZA NEL SENSO DELLA PRESENZA
PRESENZA DEL RISORTO SIA PER IL MALATO CHE PER LA CHIESA ........... 49

III.1. LE LINEE DI CONSEGUENZA DELLA PRESENZA DEL RISORTO PER IL MALATO .......... 49

III.1.1. La presenza del Risorto come sigillo della salvezza .............................. 49


III.1.2. La presenza del Risorto e il tessuto relazionale...................................... 50
III.1.3. La presenza del Risorto e i frutti dello Spirito ....................................... 52
III.1.4. La presenza del Risorto e la guarigione ................................................. 52
III.1.5. La presenza del Risorto che testimonia un cammino di maturazione umana
maturazione umana e cristiana ........................................................................... 53
III.1.6. La presenza del Risorto e l’ordine escatologico ..................................... 56

III.2. LE LINEE DI CONSEGUENZA DELLA PRESENZA DEL RISORTO PER LA CHIESA .......... 57

III.2.1. La presenza del Risorto nella solidarietà della Chiesa ........................... 58


III.2.2. La presenza del Risorto negli effetti e nella comunità che prega ........... 60
III.2.3. La presenza del Risorto nell’appartenenza alla Chiesa .......................... 61
III.2.4. La presenza del Risorto negli uffici e ministeri verso gli infermi .......... 63
III.2.5. La presenza del Risorto nella dimensione ecclesiale della malattia ...... 65

CONCLUSIONE ............................................................................................................ 69

BIBLIOGRAFIA ............................................................................................................ 75

2
SIGLE E ABBREVIAZIONI

AAS Acta Apostolicae Sedis, Typis Polyglottis Vaticanis, Civitas Vaticana


1909-2018, voll. 110.
AL Amoris Laetitia. Esortazione apostolica postsinodale sull’amore nella
famiglia (19 marzo 2016).
AT Antico Testamento
can. Canone
CEI Conferenza Episcopale Italiana
CIC Codice di Diritto Canonico
cit. Citato
CT Concilio di Trento
CVII Concilio Vaticano II
DH DENZINGER-SCHÖNMETZER, Enchiridion Symbolorum, definitionum et
declarationum de rebus fidei et morum, Herder, Friburgo Brisgoviae,
197636.
Dh Dignitatis humanae. Dichiarazione del Concilio Vaticano II sulla libertà
religiosa (7 dicembre 1965).
EG Evangelii Gaudium. Esortazione apostolica sull’annuncio del vangelo nel
mondo attuale (24 novembre 2013).
EL Enchiridion Liturgico, Piemme, Roma 1989.
EV Enchiridion Vaticanum, Edizioni Dehoniane, Bologna 198112.
Ev Evangelium vitae. Lettera enciclica sul valore e l’inviolabilità della vita
umana (25 marzo 1995).
GS Gaudium et Spes. Costituzione Pastorale del Concilio Vaticano II sulla
Chiesa nel mondo contemporaneo (7 dicembre 1965).
LF Lumen Fidei. Lettera Enciclica sulla fede (29 giugno 2013).
LG Lumen Gentium. Costituzione dogmatica del Concilio Vaticano II sulla
Chiesa (21 novembre 1964).
LO Liturgia delle ore, secondo il Rito romano, Vaticana, Città del Vaticano
1985, voll. 4.
LS Laudato Sii. Lettera enciclica sulla cura della casa comune (24 maggio
2015).
NT Nuovo Testamento
OUI Ordo Unctionis infirmorum eorumque Pastoralis Curae.
PNLO Principi e Norme per la liturgia delle Ore, Costituzione Apostolica.
Ufficio divino rinnovato a norma del Concilio Ecumenico Vaticano II.
(1° novembre 1970).
S.Th. Summa Teologica di S. Tommaso d’Aquino
SC Sacrosanctum Concilium. Costituzione del Concilio Vaticano II sulla
sacra Liturgia (4 dicembre 1963).
SD Salvifici doloris. Lettera Apostolica sul senso della sofferenza umana (11
febbraio 1984).
SUCPI Sacramento dell’Unzione e Cura Pastorale degli Infermi della
Conferenza Episcopale Italiana (23 maggio 1974).
Vol/voll. Volume/i

3
4
INTRODUZIONE

Vorrei cominciare da un’affermazione che nel 1999 fece Giorgio Mazzanti,


sacerdote e docente, che ha a cuore la teologia sacramentaria e la convinzione che la via
del simbolo ci aiuta a comprendere i sacramenti nella loro essenza e nella loro
celebrazione:

Il fatto teologico-cristiano è infinitamente aperto, come lo è ogni opera d’arte.


L’autentico testo poetico non si esaurisce nella sua letteralità, né nella sua
sonorità: esso si sporge su infiniti abissi di senso. Un brano musicale non si
consuma in un’unica esecuzione; né un dipinto o una statua vengono com-pressi
con un solo colpo d’occhio, da una unica angolatura. Così la realtà divina-
cristiana è inesorabilmente aperta e insanabilmente infinita.1

Questa infinita apertura è ugualmente rinchiusa nell’uomo, particolarmente


quando deve fare i conti con la propria debolezza, per scoprire che non è da solo nel
mondo, e per comprendere che nella propria lotta c’è sempre Dio, c’è sempre la presenza
del Risorto tramite coloro che gli stanno accanto. Pertanto vorrei guardare da vicino una
pennellata della bellezza nascosta nel mistero della malattia, che non è ovvia, non è
immediata, ma sta lì aspettando di essere trovata. Alla luce del mistero pasquale del
Cristo sofferente che ha assunto il peccato e la malattia su di sé e le ha vinte si
cercheranno delle risposte alle domande: che vita entra nella celebrazione del Sacramento
dell’Unzione degli infermi? Cosa comporta la celebrazione? Che vita ne esce? Allo
stesso tempo si vedrà lo specifico del rito e come nella liturgia si verifica la sintesi della
storia della salvezza, come il Risorto entra nell’esistenza del malato che crede e come la
sua realtà viene redenta, assistita dalla grazia dello Spirito Santo.
Tre principi ermeneutici guidano questo lavoro. Il primo recita che la
celebrazione liturgica è celebrazione del Mistero Pasquale di Cristo. Per mezzo della
parola e dei sacramenti Gesù continua tra e negli uomini una presenza permanente. Parola
e segni (gesti che esprimono sentimenti e atteggiamenti interiori) si uniscono nella
liturgia, continuazione dell’opera salvifica di Cristo. Il rito così, è presenza reale di
Cristo, attuazione del mistero pasquale, compiuto una volta e per sempre, valido ed

1
Cfr. G. MAZZANTI, I Sacramenti. Simbolo e Teologia, EDB, Bologna 1999, p. 14.

5
efficace per tutti gli uomini di tutti i tempi. La Pasqua è allora, centro, compimento e
realizzazione della storia della salvezza e la liturgia ne fa parte. Il momento rituale non è
solo ricordo, ma è anche presenza.
Il secondo principio ermeneutico è il principio della partecipazione, che viene
illustrato nella SC ai numeri 26 e 27, nei quali, sottolineando il sacerdozio comune dei
fedeli, si mette in luce come è il popolo nella sua totalità ad essere il vero e proprio
soggetto della liturgia.2 Le sequenze rituali instaurano un progressivo e graduale clima
celebrativo, in esso la Chiesa è presente nella preghiera e nella solidarietà partecipativa
che si prolunga anche con la presenza tattile del celebrante.3
Il terzo principio ermeneutico ci viene dall’actio celebrata che fa entrare il malato
nel mistero e lo rende partecipe dei suoi doni. Attorno alla celebrazione del mistero
pasquale di Cristo, centro della vita della Chiesa, la comunità locale trova la speranza per
vivere la malattia, e farla diventare una costante proclamazione di salvezza.4 L’unzione
è il linguaggio che esprime l’assoluta gratuità di Dio verso il malato. Il sacramento
nell’atto celebrativo dell’unzione degli infermi è la celebrazione della guarigione globale
dell’uomo, segno e caparra di salvezza definitiva. Il sacramento dell’unzione è
innanzitutto l’incontro del Cristo. Ricuperando il valore celebrativo dell’unzione la
comunità cristiana celebra la speranza e gli ammalati ritrovano il loro posto carismatico
nella costruzione del popolo di Dio.5
Questo lavoro sarà sviluppato in tre capitoli. Nel primo, «La realtà della malattia
e la risposta della Chiesa», si parlerà delle implicazioni e connotazioni antropologiche e
della fede cristiana, della situazione in cui si trova un malato durante questa circostanza
particolare della sua vita. Si scorgerà la malattia nella sua dimensione ecclesiale, così
come gli uffici e ministeri verso gli infermi, per arrivare alla concretezza del come la
Chiesa ha risposto anche attraverso alcuni documenti magisteriali. Nel secondo capitolo,
«Unzione degli infermi», si metterà a fuoco il significato del rito dell’unzione degli
infermi alla luce del CVII, si distingueranno alcuni particolari della celebrazione del rito
e del come l’azione sacramentaria celebra e influisce nella sua situazione. Si risponderà

2
Cfr. G. BONACCORSO, Celebrare la Salvezza lineamenti di Liturgia, Messaggero, Padova 20032, p.
25.
3
Cfr. S. MAGGIANI, «La proposta celebrativa del Rito dell’Unzione degli Infermi», in Rivista
Liturgica 80 (1993), pp. 29-53.
4
Cfr. A. DONGHI, L’olio della speranza, Paoline, Roma 1984, p. 11.
5
Cfr. Ibid., pp. 182-184.

6
alle domande sul senso della celebrazione, e come essa sia vita, esperienza e incontro col
Risorto, tramite la Liturgia che è un evento salvifico. Infine, nel terzo capitolo, «Le linee
di conseguenza nel senso della presenza del Risorto sia per il malato che per la Chiesa si
vedrà come il malato diventa testimone per la Chiesa, che è un ottimo aiuto e strumento
per la Sua presenza concreta.
L’insieme di questi capitoli ci aiuterà a scoprire la presenza reale e vicina del
Risorto e la sua salvezza all’interno della sofferenza prodotta dalla malattia, nella
Preghiera, nella Liturgia, nella Chiesa, nel Sacramento e nel suo Rito e, oltre ad essi.

7
8
CAPITOLO I

LA REALTÀ DELLA MALATTIA

E LA RISPOSTA DELLA CHIESA

I. 1. LA MALATTIA COME CIFRA DELL’UOMO

L’infermità deve essere riconosciuta come un momento dell’esistenza che ogni


cristiano è condotto a vivere prima o poi; momento in cui è indispensabile non lasciarsi
bloccare dalla paura, ma lasciarsi stimolare a vivere con coraggio l’oggi nella fede.6
La malattia è un male che ferisce e mortifica l’uomo, limita il suo spazio d’azione
ed ostacola il suo dinamismo esistenziale. Colpendo l’uomo nel corpo lo attacca nel vivo
della sua unità esistenziale, mettendo in discussione i suoi progetti e l’intero equilibrio
delle sue scelte. L’anima e il corpo sono unite come co-principi di un’unica realtà.
L’uomo è un soggetto personale intrinsecamente corporeo; toccare il corpo è toccare
l’uomo stesso. Nel corpo viene raggiunto l’uomo in tutta la sua complessità, esso è per
l’uomo la concretezza attiva e passiva del suo essere con gli altri e per gli altri nel mondo.
La malattia intacca il corpo e la mente e perciò instaura un modulo di presenza al
rovescio, il malato sperimenta la contingenza o precarietà dei suoi fini, la fragilità della
propria esistenza, la relatività delle proprie possibilità di dominio. La malattia scuote le
sue certezze, la sua scala di valori, i suoi giudizi, la sua mentalità. La malattia è una
situazione di crisi che tende a dividere l’uomo dai suoi riferimenti più immediati e
necessari: il proprio corpo, gli altri, il mondo. Questo aspetto coinvolge la dimensione
psichica e volitiva dell’uomo, ma ad esso si unisce la dimensione spirituale.7
La malattia è anche un momento di grazia, un kairos, una frattura nella
quotidianità o nella normalità della gestione della vita che apre la strada ad una nuova
dimensione non sempre facile da percorrere, quella dell’interdipendenza. In seguito si

6
Cfr. Ibid., p.173.
7
Cfr. G. MOIOLI, «L’unzione dei malati: il problema teologico della sua natura», in Rivista della
facoltà teologica dell’Italia settentrionale 3 (1978/1), p. 43.

9
cercherà il come questa interruzione della vita ordinaria può aprirsi all’intervento divino,
ad una nuova e più profonda dipendenza da Cristo che è venuto perché «non sono i sani
che hanno bisogno del medico, ma i malati».8
L’orientamento francescano considera la malattia come occasione e circostanza
del sacramento, che raggiunge l’anima del malato nella situazione ottimale. Più attenta
alla situazione di malattia è la posizione albertino-tomista, che analizza la complessa
condizione di «debolezza» del malato, e l’incidenza «medicinale» del sacramento in
ordine a questa debolezza e al suo superamento, sia in funzione dell’ingresso nella gloria
o nella vita eterna. S. Tomaso d’Aquino riprende la concezione albertina della malattia
come turbamento che incide sui rapporti anima-corpo.9 Nella prospettiva della
concretezza dell’esistenza umana tre elementi sono decisivi nell’influire a fondo
sull’esito finale dell’uomo: il peccato, l’amore e la sofferenza; oltre al sacramento
dell’unzione, dove l’intreccio è particolarmente visibile, questi tre elementi si trovano
soprattutto nei sacramenti della penitenza e del matrimonio.10
Quale cifra dell’uomo la malattia, la sua percezione e la maniera di affrontarla,
hanno avuto anche una loro evoluzione e presenza storica all’interno delle scienze e del
pensiero teologico. Pierre Adnès, amplia il termine allargando il contesto nel tempo e
approfondendolo nello spazio. Egli evidenzia come nell’Antico Testamento si riflette la
cultura orientale in cui Israele viveva. La malattia nell’Oriente Antico era spesso
considerata una disgrazia dovuta agli spiriti demoniaci o ad un castigo inviato dalle
divinità per qualche colpa contro di loro. Per ottenere la guarigione si praticavano
esorcismi o si implorava perdono. La letteratura babilonese ne è testimone con i suoi
formulari. Però sia la Mesopotamia che l’Egitto erano a conoscenza della vera medicina.
Alcuni papiri medici degli egiziani risalgono al terzo millennio a.C., ma fu con i greci
che la medicina formò anche un’etica medica.11
Insieme alla prospettiva storico-scientifica troviamo quella biblica che ci può
fornire una luce addizionale alla realtà della malattia. Nell’Antico Testamento,
specialmente nei Salmi, appena un malato si rivolge a Dio, si riconosce peccatore (Sal

8
Cfr. Mt 9,12.
9
Cfr. MOIOLI, «L’unzione dei malati: il problema teologico della sua natura», cit., p. 43 riporta
TOMMASO D’AQUINO, Summa contra Gentiles, IV, c. 73 e ALBERTO MAGNO, De Sacram., tr. 7, q.
4., Opera Omnia.
10
Cfr. Ibid., p. 47.
11
Cfr. P. ADNÈS, L’unzione degli infermi. Storia e teologia, San Paolo, Torino 1996, pp. 9-10.

10
22,5; 41,3), proclama la colpa che lo ha portato alla malattia (Sal 38,19). Pertanto, la
malattia nella Bibbia rispecchia la causalità divina. Secondo una visione teologica
retributiva essa è mandata da Dio. L’uomo religioso dell’Antico Testamento vede
spontaneamente un legame tra la malattia e il peccato.12 Ad esempio nel libro di Giobbe
si trovano tre concezioni diverse: la sofferenza come un castigo per chi non è innocente;
può essere anche una prova che verifica le scelte profonde; e, da ultimo, un mistero che
rivela la profondità dell’amore di Dio.13
Nel NT i malati si presentano a Gesù o agli apostoli chiedendogli la guarigione e
non il perdono, come lo era nella concezione veterotestamentaria. Per entrambi i
Testamenti, la malattia viene inserita nella sfera religiosa diversamente dall’oggi, dove
essa si colloca piuttosto nella sfera naturale del biologico o dello psicologico. Tuttavia,
nel NT, pur mantenendo la concezione veterotestamentaria della malattia, si aggiunge il
fatto che la prospettiva della retribuzione non è l’unica. Nel ministero di Gesù, la
guarigione diviene segno della nuova era del Regno di Dio che vuole la salvezza di tutto
l’uomo, del corpo e dell’anima, e di tutti gli uomini.14 Sotto questa prospettiva si
proclama la presenza del Risorto che fa concorrere tutto per il bene di coloro che ama
(cfr. Rm 8,28). Questo sguardo alla realtà apre la strada alla misericordia di Dio che regna
in mezzo al dolore e la sofferenza degli ammalati.
La malattia può diventare anche una circostanza privilegiata per cercare con forza
l’incontro col Signore. Molte volte quando si sperimenta l’impotenza si è più aperti ad
accogliere l’aiuto, ma anche più vulnerabili e in pericolo di essere sfiduciati, brontoloni
e refrattari.

I. 2. LA MALATTIA DAL PUNTO DI VISTA ANTROPOLOGICO

L’atteggiamento dell’uomo di fronte alla malattia nella cultura occidentale negli


ultimi decenni ha visto una evoluzione. Verso la fine del sec. XVII o l’inizio del sec.
XVIII la malattia era definita unicamente dal punto di vista soggettivo, del malessere

12
Cfr. Ibid., p. 10.
13
Cfr. Ibid., p. 88.
14
Cfr. Ibid., pp. 10-16.

11
avvertito. Il malato veniva curato a casa se la malattia non era grave, in tal modo non era
esposto al distacco, all’isolamento o alla solitudine; se invece era una malattia grave
molto spesso finiva con la morte, per lo più in giovane età. La relazione medico-paziente
allora era connotata dall’umanità, dall’amicizia, dal consiglio e dall’incoraggiamento.
Una svolta fondamentale succede nel nostro secolo, con l’importante sviluppo della
medicina, della chirurgia, delle specializzazioni e dei centri di ricovero ospedaliero. Oggi
con maggiore frequenza il malato è un anziano, con una malattia cronica e per
l’intervento medico essa è di lenta evoluzione. I notevoli progressi nella diagnosi
preventiva e terapeutica, hanno creato ipocondriaci e psicosi della malattia in alcune
persone sane, ma hanno anche favorito la conoscenza di nuove malattie. La malattia è
diventata una delle preoccupazioni dell’uomo contemporaneo, genera angoscia e, a
differenza del passato, non è necessariamente collegata col rischio di morte. Anche la
relazione medico-paziente è entrata in questa dinamica che si può chiamare il «mondo
dei malati» un altro mondo separato da quello dei sani. Così la malattia è percepita come
una questione senza senso né rilevanza.15 Con ciò che segue si mostrerà come questa
percezione sia sbagliata e lontana dal richiamo naturale alla salute che coinvolge l’uomo
tutto intero per cui essa è anche rilevante.
Di seguito, i due testi, quello classico e quello moderno, del giuramento
Ippocratico nei quali emergono chiaramente i richiami alla scienza medica.

Testo classico del giuramento Ippocratico


Giuro per Apollo medico e per Asclepio e per Igea e per Panacea e per tutti gli
Dei e le Dee, chiamandoli a testimoni che adempirò secondo le mie forze e il mio
giudizio questo giuramento e questo patto scritto. Terrò chi mi ha insegnato quest'
arte in conto di genitore e dividerò con Lui i miei beni, e se avrà bisogno lo
metterò a parte dei miei averi in cambio del debito contratto con Lui, e
considererò i suoi figli come fratelli, e insegnerò loro quest'arte se vorranno
apprenderla, senza richiedere compensi né patti scritti. Metterò a parte dei precetti
e degli insegnamenti orali e di tutto ciò che ho appreso i figli del mio maestro e i
discepoli che avranno sottoscritto il patto e prestato il giuramento medico e
nessun altro. Sceglierò il regime per il bene dei malati secondo le mie forze e il
mio giudizio, e mi asterrò dal recar danno e offesa. Non somministrerò a nessuno,
neppure se richiesto, alcun farmaco mortale, e non prenderò mai un'iniziativa del
genere; e neppure fornirò mai a una donna un mezzo per procurare l'aborto.
Conserverò pia e pura la mia vita e la mia arte. Non opererò neppure chi soffre di
mal della pietra, ma cederò il posto a chi è esperto di questa pratica. In tutte le
case che visiterò entrerò per il bene dei malati, astenendomi da ogni offesa e da
ogni danno volontario, e soprattutto da atti sessuali sul corpo delle donne e degli
uomini, sia liberi che schiavi. Tutto ciò ch'io vedrò e ascolterò nell'esercizio della

15
Cfr. G. COLOMBO – C. CIBIEN, «Unzione degli infermi», in D. SARTORE – A.M. TRIACCA – C.
CIBIEN (a cura di), Liturgia, (I Dizionari san Paolo), Cinisello Balsamo 2001, pp. 2038-2039.

12
mia professione, o anche al di fuori della professione nei miei contatti con gli
uomini, e che non dev’essere riferito ad altri, lo tacerò considerando la cosa
segreta. Se adempirò a questo giuramento e non lo tradirò, possa io godere dei
frutti della vita e dell'arte, stimato in perpetuo da tutti gli uomini; se lo trasgredirò
e spergiurerò, possa toccarmi tutto il contrario.16

Testo odierno del giuramento


Consapevole dell'importanza e della solennità dell'atto che compio e dell'impegno
che assumo, giuro: di esercitare la medicina in libertà e indipendenza di giudizio
e di comportamento; di perseguire come scopi esclusivi la difesa della vita, la
tutela della salute fisica e psichica dell'uomo e il sollievo della sofferenza, cui
ispirerò con responsabilità e costante impegno scientifico, culturale e sociale,
ogni mio atto professionale; di non compiere mai atti idonei a provocare
deliberatamente la morte di un paziente; di attenermi alla mia attività ai principi
etici della solidarietà umana, contro i quali, nel rispetto della vita e della persona,
non utilizzerò mai le mie conoscenze; di prestare la mia opera con diligenza,
perizia, e prudenza secondo scienza e coscienza ed osservando le norme
deontologiche che regolano l'esercizio della medicina e quelle giuridiche che non
risultino in contrasto con gli scopi della mia professione; di affidare la mia
reputazione esclusivamente alla mia capacità professionale ed alle mie doti
morali; di evitare, anche al di fuori dell'esercizio professionale, ogni atto e
comportamento che possano ledere il prestigio e la dignità della professione. Di
rispettare i colleghi anche in caso di contrasto di opinioni; di curare tutti i miei
pazienti con eguale scrupolo e impegno indipendentemente dai sentimenti che
essi mi ispirano e prescindendo da ogni differenza di razza, religione, nazionalità,
condizione sociale e ideologia politica; di prestare assistenza d'urgenza a qualsiasi
infermo che ne abbisogni e di mettermi, in caso di pubblica calamità a
disposizione dell'Autorità competente; di rispettare e facilitare in ogni caso il
diritto del malato alla libera scelta del suo medico, tenuto conto che il rapporto
tra medico e paziente è fondato sulla fiducia e in ogni caso sul reciproco rispetto;
di osservare il segreto su tutto ciò che mi è confidato, che vedo o che ho veduto,
inteso o intuito nell'esercizio della mia professione o in ragione del mio stato; di
astenermi dall’accanimento diagnostico e terapeutico.17

In entrambi i testi si vede come il medico si impegna a difendere la vita. Questo


giuramento viene fatto nel giorno in cui i medici ricevono il loro titolo per poter esercitare
la missione loro affidata.
Il corpo umano è forma e organizzazione, per esso la persona umana si accorge
di essere corporeità e non semplicemente di avere un corpo in maniera contingente. Nel
corpo si vive, si arriva a sé e agli altri tramite esso. Per la sensibilità del romanticismo
nel composto umano è presente un suo centro unitario e unificante, che le da armonia
[l’anima]; ma è proprio nella corporeità che si aprono molteplici dimensioni d’incontro.
La consapevolezza di sé ha come punto di partenza l’esperienza della relazione col

22
Cfr. FONDAZIONE ONAOSI – ORDINE MEDICI-CHIRURGHI E ODONTOIATRI DI NAPOLI E PROVINCIA,
«Giuramento di Ippocrate», https://www.ordinemedicinapoli.it/1142-giuramento-di-ippocrate.php
(ultima visita 29 dicembre 2020).
17
Cfr. Ibid.

13
proprio corpo, lo spazio del proprio io, del proprio essere e divenire, tramite il cui la
persona si percepisce e si vede. Quando quest’interiorizzazione di sé è collegata alla
dimensione spirituale, la persona umana si accorge che il proprio corpo è in qualche
modo simbolo del suo mondo interiore ed ex-pressione di un in; allora sa che la sua realtà
intima (in) e quella esterna (ad) sono unite18 anche se costituzionalmente sono diverse.
In mezzo ad una società che si è abituata a misurare il valore di un uomo in diretta
corrispondenza con la sua produttività, la sua efficacia ed efficienza Giorgio Bonaccorso,
approfondendo il senso della parola «successo», parla del bisogno di mettere al centro il
malato che non produce, che non è utile, e sottolinea «il valore dell’uomo per il solo fatto
di esistere»; questa sua in-utilità come quella del rito, ci ricorda che è prezioso vivere,
che possediamo un grande dono ogni giorno: l’essere, l’esistere.19 In questa chiave di
lettura si può leggere anche la pandemia, un dolore e sofferenza grandi che però ci
ricordano l’essenziale della vita.
Ora, attingendo da vari autori ed esponenti in questo campo di ricerca, vengono
messi in luce alcuni dei componenti più rilevanti nella connotazione antropologica della
malattia. Così, per esempio, Robert Langs chiama «mente emotiva» i fattori di sanità ed
equilibrio psichico provenienti dalle capacità percettivo-cognitive del sistema inconscio
profondo. L’angoscia di morte e l’angoscia della sanità si trovano tra cinque angosce
individuate da Langs nell’inconscio profondo. L’angoscia di morte è alla base di tutte le
altre e sintetizza le angosce fondamentali della vita e quelle relative alla sua inevitabilità.
È un dramma presente in ciascun essere umano. 20
Secondo il pensiero di Romano Guardini i sensi, non sono dei sensori fisiologici,
ma essendo congiunti in maniera stretta col cuore sono semplicemente l’uomo.21
Attraverso i sensi, l’uomo è in grado di situarsi nel suo spazio circostante, i sensi sono il
«me», ed è l’«io» che percepisce e capta. L’affermazione di William Blake per il senso
della vista, «si guarda con l’occhio e attraverso l’occhio», è valida per il resto dei sensi.
Ogni atto ha una sua dimensione spirituale, ad esempio nel mangiare umano c’è il fatto

18
Cfr. MAZZANTI, I Sacramenti. Simbolo e Teologia, cit., pp. 56-58.
19
Cfr. BONACCORSO, Celebrare la Salvezza lineamenti di Liturgia, cit., p. 50.
20
Cfr. A. GRASSI, Psicologia analitica a orientamento comunicativo. Discorso su teoria e metodo
clinico, Persiani, Vicenza 2012, pp. 54-56. 393.
21
Cfr. R. GUARDINI, Diario. Appunti e testi dal 1942 al 1964, Morcelliana, Brescia 1983, pp. 68-69.

14
vitale per cui l’uomo assume la potenza vitale del cibo per il sostentamento della sua
dimensione spirituale.22
Da parte sua Xavier Lacroix sostiene la necessità di superare due rischi:
l’immanentismo che appiattisce l’espressione a ciò che essa esprime e l’estrinsecismo,
che stacca il valore dei gesti dalla corporeità.23 C’è una relazione di reciprocità per cui
l’uomo si costituisce mondo e anche lo costituisce; alla stessa maniera percependosi nel
corpo può intravvedere la presenza dell’Altro (epifania) nella sua condensazione spazio
temporale24 che attraverso l’altro (eterofania) si rende vicino. L’esperienza della
corporeità passa attraverso l’essere maschio o femmina. La relazione della persona con
le altre persone si realizza nella compresenza di un animus e di un’anima. Attraverso la
corporeità e l’espressione umana gestuale e verbale, espressa nella parola, l’uomo si pro-
ferisce. Vive nel e del linguaggio, luogo privilegiato della condizione ed esperienza
simbolica dell’uomo. Seguendo il pensiero di Lacroix «ogni atto umano ha un suo
significato irriducibile». L’uomo forgia e dà vita alla parola, alla propria voce.25
L’uomo quando parla, tra sé o con un altro, opera plasmando qualcosa,
esprimendosi, compie un poiema.26 Secondo José Ortega y Gasset il dover parlare è una
parte costitutiva integrante dell’essere umano.27 Così la persona che è ammalata ha con
frequenza una percezione diversa dei dintorni, e vede modificata la sua espressione nei
confronti degli altri, e di sé stessa. Non a caso nel pensiero biblico la parola è paragonata
al frutto: come «il frutto dimostra come è coltivato l’albero, così la parola rivela il
sentimento dell’uomo» (Sir 27,6); comunica il suo cuore. La parola umana è sempre
poetica, storica e temporale, ad-viene nel tempo e grazie al tempo. L’uomo raggiunge
l’altro soltanto attraverso il simbolo, anche il più affettuoso gesto, è simbolico, fisico,
epidermico. 28 Così Dio dialoga con la persona che è ammalata, il dialogo avviene anche
tra lei e chi le sta accanto, e con sé stessa attraverso l’insieme dei simboli.

22
Cfr. G. BRIGANTI, I pittori dell’immaginario. Arte e rivoluzione psicologica, Electa, Firenze 1977,
p. 28 e n. 10, pp. 268-269; R. GUARDIANI, «La funzione della sensibilità nella conoscenza
religiosa», in Scritti filosofici, 2 (1964), p. 145.
23
Cfr. X. LACROIX, Il corpo di carne, EDB, Bologna 2016, p. 84
24
Cfr. MAZZANTI, I Sacramenti, cit., pp. 60-61. Per lo studio sull’Altro si veda R. OTTO, Il Sacro.
L’irrazionale nell’idea del divino e del suo rapporto con il razionale, Feltrinelli, Milano 19763.
25
Cfr. LACROIX, Il corpo di carne, cit., p. 90; C. BOLOGNA, Flatus vocis, Mulino, Bologna 1992.
26
Cfr. C. HAGÉGE, L’uomo di parole. Linguaggio e scienze umane, Einaudi, Torino 1989.
27
Cfr. MAZZANTI, I Sacramenti, cit., p. 64 e n. 117.
28
Cfr. Ibid., pp. 64-66.

15
La conoscenza simbolica è sempre comunionale-esperienziale, in cui il concetto
viene paragonato ad una «finestra» sul reale, ma non l’esaurisce. Lo sguardo è il rendersi
presente dell’anima, il suo risalire dal fondo alla superficie. Non si è chiamati ad intel-
ligere, a leggere dentro, ma a fare esperienza globale della cosa che si rivela nella sua
totalità attraverso l’esperienza della sua materialità e configurazione somatica.29 Il
simbolo è costitutivo dell’uomo ed esso ne ha bisogno di lui. Quando l’uomo diviene
narcisista il simbolo è ferito e contradditorio. Il simbolo evoca e convoca. La ripetizione
è il luogo dell’intensificazione.30 La vita del malato è piena di simboli che vengono
sigillati con la grazia dell’unzione. Per rendersi vicino agli uomini Dio ha scelto di parlare
il nostro linguaggio e coinvolgere tutto l’essere anche attraverso i diversi gesti, simboli,
parole e chiama l’uomo a fare esperienza globale dell’altro che si rivela.

I. 3. LA RISPOSTA DELLA CHIESA

Difronte alla malattia la Chiesa si pone in continuità con l’opera e il mandato di


Cristo. Gesù è il salvatore dell’uomo e la guarigione della malattia rientra nella sua opera
di salvezza. Gesù univa alla predicazione l’azione di guarigione. Secondo il vangelo di
Matteo, Giovanni Battista dal carcere sentendo parlare delle “opere di Gesù” invia i suoi
discepoli a domandargli se era lui colui che doveva venire o dovevano aspettare un altro.
Gesù non risponde direttamente ma rinvia alle opere: «Andate e riferite a Giovanni ciò
che voi udite e vedete: I ciechi ricuperano la vista, gli storpi camminano, i lebbrosi sono
guariti, i sordi riacquistano l'udito, i morti risuscitano, ai poveri è predicata la buona
novella, e beato colui che non si scandalizza di me» (Mt 11,4-6). Gesù è colui che è
venuto a dare compimento alle parole profetiche annunciate dal profeta Isaia (cfr. anche
Is 42,1-4). Le guarigioni operate da Gesù sono segnali che manifestano la vicinanza di

29
Cfr. Ibid., pp. 64-71.
30
Cfr. Ibid., pp. 71.73-89 e n. 134 riporta anche O. LAGERCRANTZ, L’arte di leggere e scrivere,
Marietti, Genova 1987, pp. 3. 44-45.

16
Dio all’uomo nella sua più esistenziale necessità e per questo sono parte costitutiva del
suo annuncio.31

I.3.1. La risposta al mandato di Gesù

Gesù darà il mandato ai discepoli di guarire gli infermi (Mt 10,8) e di curarli:
«Allora il re dirà a quelli che saranno alla sua destra: Venite, benedetti del Padre mio,
ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo, perché [...]
ero malato e mi avete visitato». Nel mandato missionario, nel finale di Marco, vengono
indicati i segni che accompagneranno i credenti, tra i quali vi è quello della guarigione
per l’imposizione delle mani sui malati (Mc 16,18).
Nella parabola del giudizio finale (Mt 25,31-46), il Signore Gesù riconosce la
figura dell’ammalato. Il suo mandato è visitare, venire a, servire. In un vedere che
osserva, si sofferma, si preoccupa. Aiutarlo significa servirlo concretamente in tutti i
modi possibili.32 Nell’orizzonte dell’esperienza umana segnata dalla malattia la Chiesa
ha dato diverse risposte per aiutare i malati a vivere la loro condizione con fiducia e
dignità, partecipando empaticamente e in modo solidale con azioni ispirate dall’amore.33
A livello strutturale organizzativo la Chiesa ha risposto attraverso diverse
congregazioni e istituti, formati in medicina e in teologia pastorale della cura e della
salute, un esempio dei quali lo troviamo nell’Istituto Internazionale di Teologia pastorale
Sanitaria Camillianum in materia di salute, sofferenza e cura in rapporto stretto con la
teologia, pastorale, etica, bioetica, filosofia, psicologia, sociologia e scienze giuridiche.
Ci sono anche molteplici Fondazioni che si occupano della cura dei malati terminali a
domicilio in maniera gratuita. Inoltre si dà assistenza spirituale ai sofferenti negli
ospedali, con cappellanie, medici, infermieri e visite di religiosi, chierici e laici volontari.
Gli ospedali sono, alla radice, un’iniziativa religiosa o, meglio, cristiana. In
principio erano luoghi di riparo e di soccorso per i pellegrini. Posteriormente, in
corrispondenza ai principi e ai valori della solidarietà e dell’obbligo verso indigenti e

31
Cfr. B. MAGGIONI, «Gesù e i malati nel vangelo di Matteo», in Malattia e Guarigione 40 (1999/2),
p. 87.
32
Cfr. Ibid., p. 86.
33
Cfr. R. FABRIS, «Ero malato e mi avete visitato (Mt 25, 31-46)», in Malattia e Guarigione 40
(1999/2), p. 97.

17
migranti, prevalse l’impegno dell’assistenza e della cura per i malati. È vasta la storia
delle strutture caritative, dei luoghi di assistenza e case di cura attraverso i secoli.34
La risposta della Chiesa non si limita a ciò che la Chiesa fa per il malato.
Prendendo ad esempio Paolo che a causa di una infermità annunciò il vangelo (cfr. Gal
4,13); il malato stesso è coinvolto nell’azione missionaria dentro le coordinate
dell’economia salvifica.35 La Chiesa nel corso dei secoli ha cercato di mantenere viva la
convinzione che la malattia può essere arrestata dalle mani innalzate al cielo. La Chiesa
considera Cristo come il medico dei Cristiani, e i Padri come Ireneo di Lione considera
Cristo come il Medico dei malati.
Fadiey Lovsky illustra il percorso ecumenico della risposta della Chiesa a partire
del secolo II e fino al secolo XX, secondo tre distinzioni. Secondo la prima, Cristo è il
Medico dei cristiani; seguendo la seconda, c’è diversità nelle vie di guarigione; per
ultimo differenzia la compassione curante da quella orante. Ireneo di Lione, Origene e
Gregorio di Nazianzo, consideravano Cristo come il medico di coloro che sono malati o
deboli. Alla stessa maniera la liturgia di san Marco supplica «Signore ... Medico delle
anime e dei corpi, visitaci e guariscici».36 A Timgad è stata trovata una iscrizione che
riconosce in Cristo il solo medico.37 Un’altra testimonianza viene da un Rituale bizantino
del secolo VIII che conserva l’unzione conforme a Gc 5,14.38 Per ultimo Lovsky illustra
altre due testimonianze; una del 1838 di François de Salignac de La Mothe-Fénelon che
aggiunge che Dio è il vero medico dell’anima ancor più che del corpo, e l’altra del 1902
di Dorothée Trudel, una cristiana che verso il secolo XIX aveva aperto una Casa di cura
in Svizzera; diceva che le guarigioni avvenivano perché portavano tutti a Cristo il solo
vero medico. In questa linea il Canone 22 del Concilio Lateranense IV, nel 1215, sollecita
i medici a indurre i malati a chiamare i medici delle anime perché provisti della salute
spirituale possano procedere al rimedio della medicina corporale con maggior efficacia.
A sua volta, Calvino parla dei mezzi per conservare e prevedere la cura della vita e i
rimedi da non disprezzare. Per confermare l’importanza dell’aiuto della medicina e la

34
Cfr. G. GALIETI, «Gli antichi ospedali della Diocesi di Albano», in Il giornale di chirurgia 31
(2010/4), p. 104.
35
Cfr. C. DE LORENZI, «Paolo: infermità del corpo, forza dello Spirito», in Malattia e Guarigione 40
(1999/2), pp. 115-121.
36
Cfr. F. LOVSKY, «Chiesa e malattia», in Malattia e Guarigione 40 (1999/2), pp. 153-154.
37
Cfr. H. LECLERQ, «Médecins», in Dictionnaire d’Archéologie chrétienne et de Liturgie, XI/1,
Letouzey et Ané, Paris 1933, p. 159.
38
Cfr. B. BOTTE, «L’onction des malades», in La maison-Dieu 15 (1948), p. 97.

18
chirurgia, Jean-Christophe Blumhardt, fondatore di una casa per la cura dei malati nel
1852 disse che rifiutarle è una follia.39
La compassione curante della Chiesa inoltre è stata accompagnata da una
compassione orante, sia nella preghiera orale improvvisata che nella preghiera liturgica
o sacramentale, sia espressa con parole di potenza che con l’imposizione delle mani per
la guarigione. Riguardo la compassione curante Lovsky fa il percorso storico iniziando
da Cipriano di Cartagine che assegna alla santificazione l’ammirevole finalità di guarire
i malati. Prosegue con Dionigi d’Alessandria che porta agli estremi la compassione
curante per cui chi guarisce riceve nel proprio corpo persino la morte che minacciava gli
altri. Un’altra testimonianza venne da Gregorio di Nazianzo che imponeva le mani, e
dagli pseudo Canoni di Ippolito che indicano la visita dei malati e la preghiera su di loro
come doveri del vescovo. Giovanni Crisostomo parla della forza della preghiera per
mettere in fuga la malattia. Lovsky sostiene la probabilità che sia stato Gregorio Magno
ad aprire la via alle teorie che valorizzano la sofferenza in comunione con quelle di Gesù.
L’autore porta l’esempio di Sequanus, un sacerdote che nel secolo VI, dopo una notte di
preghiera, unse le articolazioni di un paralitico invocando Cristo e l’indomani dopo aver
fatto la comunione, il malato fu guarito. Riporta anche Cesario d’Arles, il quale sosteneva
che l’olio benedetto e l’Eucaristia sono portatori della salute del corpo e dell’anima. Nel
secolo XII il Pontificale romano riporta una preghiera per l’imposizione delle mani in
vista della guarigione dei malati. Lovsky continua elencando Beda il Venerabile che
segnala l’interazione tra l’olio consacrato, la preghiera che accompagna l’unzione e
l’invocazione del nome del Signore sul malato; mentre san Francesco Saverio da parte
sua inviava i bambini a pregare preso i malati recitando testi evangelici, prendendo Mc
16,17-18 alla lettera: «Questi saranno i segni che accompagneranno quelli che credono:
[...] imporranno le mani ai malati e questi guariranno». George Fox, il fondatore dei
Quaccheri fin dal 1652 pregava per i malati e talvolta imponeva loro le mani. Alla fine
del secolo John Wesley aveva lo stesso atteggiamento. Fino al secolo XVIII i Protestanti
si accontentavano di denunciare l’estrema unzione, così come era praticata, ma con
Bengel teologo luterano si assiste alla resurrezione dell’unzione dei malati. Alla pari di
John Wesley e i Metodisti che propagavano l’insegnamento di Bengel, papa Benedetto
XIV ricorda che l’unzione dei malati riguarda il loro corpo. Nel secolo XIX, la posterità

39
Cfr. LOVSKY, «Chiesa e malattia», cit., pp. 155-156; P. SCHERDING, Christophe Blumhardt et son
père. Essai sur un mouvement de réalisme chrétien, Alcan, Paris 1937, pp. 34-35.

19
di Bengel e di Wesley doveva riabilitare i carismi e la guarigione divina nell’ambito di
un certo Protestantesimo, con Edward Irving e poi i movimenti di Santificazione in cui
nascerà il pentecostismo. Nel Cattolicesimo in seguito alle apparizioni avute nel 1858 da
Bernadette Soubirous, occupa un posto importante la Madonna di Lourdes nella
compassione orante e curante.40
Ogni cristiano ha, in forza dell’amore ricevuto da Gesù, la chiamata ad uscire da
sé stesso per andare a trovare gli altri. La Chiesa in questi riflessi intra-ecclesiali del
nuovo contesto socio-culturale costituisce la famiglia dei figli di Dio, unita per il corpo
e il sangue di Cristo che prega con e per il malato.

È quindi ottima cosa che tutti i battezzati partecipino a questo mutuo servizio di
carità tra le membra del corpo di Cristo, sia nella lotta contro la malattia e
nell’amore premuroso verso i malati, sia nella celebrazione dei sacramenti degli
infermi. Anche questi sacramenti infatti hanno, come tutti gli altri, un carattere
comunitario, e tale carattere deve risultare, per quanto è possibile nella loro
celebrazione.41

Nella preghiera di guarigione c’è una richiesta più profonda di essere liberati dalla
superbia, dall’autosufficienza, dal dolore, dalla paura, dall’angoscia, in questo caso di
essere liberati dalla persecuzione della prova; tutte quante richiamano un abbandono più
profondo nel Signore, un Salvatore che libera. Gesù che gratuitamente si è auto
manifestato e si rivela come l’unico Signore, Salvatore e Messia. Egli è colui la cui
preoccupazione principale è liberare l’uomo dalla tendenza a costruirsi idoli, compresa
la salute, che l’allontanino da questa differenza fondamentale: quella di essere creatura e
Creatore. Lui non è venuto a sopprimere la differenza, bensì a ricordarci che il limite
umano ha una soluzione: riconoscere il primato divino,42 il Trascendente che però si è
incarnato per amore dell’uomo (Gv 3,16).

40
Cfr. Ibid., pp. 156-160.
41
Cfr. CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA, Sacramento dell’Unzione e Cura Pastorale degli Infermi
della Conferenza Episcopale Italiana (= SUCPI) (23 maggio 1974), n. 33.
42
Cfr. BONACCORSO, Celebrare la Salvezza lineamenti di Liturgia, cit., p. 147.

20
I.3.2. La risposta della Chiesa nel suo Magistero

Il pontefice Giovanni Paolo II, un uomo la cui vita fu segnata dalla sofferenza,
scrisse e pubblicò la lettera apostolica sul valore salvifico della sofferenza Salvifici
doloris (SD) nel 1984 e la lettera enciclica Evangelium Vitae (Ev) nel 1995. Nella lettera
apostolica viene messa al centro l’azione salvifica di Dio, l’atto di donazione del Padre e
di Gesù Cristo come manifestazione suprema della carità divina. Il documento distingue
diversi tipi di sofferenza: quella corporale o fisica, spirituale o morale e quella psichica
che accompagna sia la sofferenza del corpo che quella dell’anima (SD, 5). Più avanti nel
documento si mostra come l’amore divino sia la fonte ultima del senso di tutto ciò che
esiste e si afferma che «l’amore è la sorgente più piena della risposta all’interrogativo sul
senso della sofferenza. Risposta data da Dio all’uomo nella croce di Gesù Cristo» (SD,
13). Cristo va alla radice vincendo il peccato con la sua obbedienza e la morte con la sua
risurrezione. Il senso fondamentale e definitivo alla sofferenza si trova nella possibilità
della vita eterna, nella dimensione della Redenzione oltre al senso temporale (SD, 14).
Alla domanda sul perché della sofferenza, Cristo risponde con la sua sofferenza (SD, 26),
gettando una luce nuova, la luce della salvezza (SD, 15). L’umana sofferenza è entrata in
un nuovo ordine è stata legata all’amore, la Sua croce diventa una sorgente d’acqua viva.
Il servo sofferente si addossa quelle sofferenze in modo del tutto volontario e soffre
innocentemente (SD, 18). «Nella croce di Cristo non solo si è compiuta la redenzione
mediante la sofferenza, ma anche la stessa sofferenza umana è stata redenta» (SD, 19).
Un’altra idea cardine della Salvifici doloris è la partecipazione alla croce di Cristo e alle
sofferenze di Cristo. Le sofferenze umane possono essere permeate dalla stessa potenza
di Dio nella chiamata a ritrovare la forza nella debolezza, nel paradosso evangelico per
il dono dello Spirito Santo (SD, 23). Nella sofferenza si nasconde una particolare forza
che avvicina interiormente l’uomo a Cristo; essa è strumento per la maturità e la
grandezza spirituale attraverso la conversione e la cooperazione con la grazia del
Redentore crocifisso; è un cammino in cui prendendo la propria croce l’uomo trova la
pace interiore e perfino la gioia spirituale (SD, 26) quando non la vede più come una
sofferenza inutile. Da ultimo, il Pontefice polacco sottolinea la capacità dell’uomo di
offrire un dono sincero di sé (GS, 24) che, sprigionando nell’uomo l’amore, ha
compassione, da aiuto, si ferma accanto alla sofferenza del prossimo. Nella sofferenza
c’è un doppio insegnamento di Cristo: fare del bene con la sofferenza e far del bene a chi

21
soffre (SD, 28-30). Al numero 31, Giovanni Paolo II, conclude dicendo che la sofferenza
ha un doppio senso, uno soprannaturale, che si radica nel mistero divino della redenzione,
e uno profondamente umano perché in esso l’uomo ritrova sé stesso, la propria umanità,
la propria dignità e la propria missione.43
Nell’Evangelium Vitae (Ev), ai numeri 12 e 15, il Pontefice denuncia un
atteggiamento anti-solidaristico, promosso da forti correnti culturali, economiche e
politiche che si configura in molti casi come vera cultura di morte e una concezione
efficientistica della società. Delinea anche lo svanimento di significato della sofferenza
per considerarla inutile (Ev, 23). Ad esse egli oppone il senso di Dio e la «vita come uno
splendido dono di Dio, una realtà sacra affidata alla sua responsabilità e quindi alla sua
amorevole custodia» che non è di sua esclusiva proprietà (Ev, 22), vista così, la vita che
nasce e la vita che muore interrogano il senso più autentico dell’esistenza.
Successivamente afferma che nella vita stessa di Gesù, dall’inizio alla fine, si ritrova
questa singolare «dialettica» tra l’esperienza della precarietà della vita umana e
l’affermazione del suo valore (Ev, 33). 44
Da parte sua, il papa emerito, Benedetto XVI, invita alla premura per l’esercizio
della carità nei confronti dei malati nell’amministrazione dei Sacramenti e l’annuncio
della Parola. Egli ricorda che Gesù si identifica con i bisognosi e unisce insieme l’amore
di Dio con l’amore del prossimo. Come nella nota parabola del buon Samaritano, così la
risposta ai malati è che siano curati con competenza professionale e umanità in vista della
guarigione, con l’attenzione del cuore e con una fede che diventa operante nell’amore.45
In continuità col suo predecessore, parlando della sollecitudine verso gli ammalati e,
particolarmente dei malati anziani, il Pontefice tedesco afferma:

Accanto alle indispensabili cure cliniche, occorre mostrare una concreta


capacità di amare, perché i malati hanno bisogno di comprensione, di conforto
e di costante incoraggiamento e accompagnamento. Gli anziani, in particolare,
devono essere aiutati a percorrere in modo consapevole ed umano l’ultimo tratto
dell’esistenza terrena, per prepararsi serenamente alla morte, che - noi cristiani
lo sappiamo - è transito verso l’abbraccio del Padre celeste, pieno di tenerezza
e di misericordia [...] Dinanzi alla sofferenza e alla malattia i credenti sono
invitati a non perdere la serenità, perché nulla, nemmeno la morte, può separarci

43
Cfr. GIOVANNI PAOLO II, Lettera Apostolica Salvifici doloris (11 febbraio 1984), n. 31: EV 9/ 684.
44
Cfr. GIOVANNI PAOLO II, Lettera Enciclica Evangelium Vitae (25 marzo 1995), nn. 12.15.22.23.33:
EV 14/ 2179.2182.2179.2180.2190.
45
Cfr. BENEDETTO XVI, Lettera Enciclica Deus caritas est (25 dicembre 2005), nn. 15.22.3: EV 23/
1553.1560.1561.

22
dall’amore di Cristo. In Lui e con Lui è possibile affrontare e superare ogni
prova fisica e spirituale e, proprio nel momento di maggiore debolezza,
sperimentare i frutti della Redenzione. Il Signore risorto si manifesta, in quanti
credono in Lui, come il vivente che trasforma l’esistenza dando senso salvifico
anche alla malattia ed alla morte.46

Anche nell’insegnamento dell’attuale Pontefice, troviamo la forza consolante


della fede nella sofferenza, per esempio, ai numeri 56 e 57 della lettera enciclica Lumen
Fidei. Per lui la sofferenza, come per il suo predecessore, «può diventare atto di amore,
affidamento alle mani di Dio che non ci abbandona ed essere una tappa di crescita della
fede e dell’amore». All’uomo che soffre, Dio offre una presenza che lo accompagna, una
storia di bene che si unisce alla propria storia di sofferenza per aprirle un varco di luce.
La sofferenza inoltre è al servizio del bene comune e della speranza perché guarda in
avanti, trovando il suo fondamento escatologico nel Risorto.47 Implicitamente al numero
209 dell’esortazione apostolica Evangelii Gaudium, il papa Francesco ci invita ad avere
cura della fragilità altrui come compito di ogni evangelizzatore che vuole seguire
l’esempio del Maestro, perché prendersi cura dei più piccoli, significa prendersi cura di
Gesù che si identifica con loro (Mt 25,40), mentre al numero 270 ci invita ad avvicinarci
al dramma umano per conoscere la forza della tenerezza.48 Nella Lettera enciclica
Laudato Sii (LS) sulla casa comune il Pontefice argentino segnala che l’interdipendenza
delle creature è voluta da Dio e che nessuna creatura basta a sé stessa, ma tutte le creature
esistono per completarsi vicendevolmente, al servizio le une delle altre (LS, 86). Egli
esorta inoltre allo stare pienamente presenti davanti ad ogni essere umano (LS, 227).49
Nell’esortazione apostolica Amoris Laetitia (AL) indica la Parola di Dio come compagna
di viaggio anche nel dolore e come Gesù si lascia coinvolgere del dramma della malattia
e la sofferenza (AL, 21-22). Inoltre, il papa invita i coniugi e le famiglie alla fraternità,
alla sensibilità sociale e alla difesa delle persone fragili, a rendere presente la forza
dell’amore di Dio nella società (AL, 184) allargando gli orizzonti del proprio cuore (AL,

46
Cfr. BENEDETTO XVI, Discorso ai partecipanti alla XXII Conferenza Internazionale del Pontificio
Consiglio per gli Operatori Sanitari, Sala Clementina (17 novembre 2007). Disponibile in:
http://www.vatican.va/content/benedict-xvi/it/speeches/2007/november/documents/hf_ben-
xvispe200711 17_xxii-operatori-sanitari.html (ultima visita 2 novembre 2020).
47
Cfr. FRANCESCO, Lettera Enciclica Lumen Fidei (29 giugno 2013), nn. 56-57: EV 29/ 1034-1037.
48
Cfr. FRANCESCO, Esortazione apostolica Evangelii Gaudium (24 novembre 2013), nn. 209.
270: EV 29/ 2315.2377.
49
Cfr. FRANCESCO, Lettera enciclica Laudato Sii (24 maggio 2015), nn. 86.227: EV 31/ 666.807.

23
196) anche verso i malati amici (AL, 196-197),50 e sottolineando (AL, 109) l’importanza
di curare le malattie. Per ultimo, nella Lettera enciclica Fratelli Tutti ai numeri 2 e 48,
san Francesco è posto come esempio di apertura e ascolto ai malati, ascolto che identifica
con l’ascolto della voce di Dio, augurando che esso diventi uno stile di vita.51
Indicando il percorso di questo capitolo, abbiamo visto cosa è la malattia, le sue
implicazioni antropologiche e come essa, inserita in un contesto cristiano, può
rappresentare un riflesso della risurrezione. Nella vita ecclesiale c’è la presenza del
Risorto, nei suoi atti, nei sacramenti, nella preghiera, nello stare insieme, nella sua
misericordia, nella sua azione, nel suo amore concreto e vicino attraverso le diverse
strutture di cura e servizi medici, infermieristici, ecc. I documenti del Magistero danno
un’ulteriore luce sul come l’amore di Dio e l’amore altrui entra nella realtà del malato,
come sia possibile trovare senso alla propria sofferenza alzando lo sguardo attraverso
l’aiuto della fede, e quale sia la rilevanza dell’affrontarla bene, sperando con più fortezza
nella guarigione prossima o definitiva.

50
Cfr. FRANCESCO, Esortazione apostolica postsinodale Amoris Laetitia (19 marzo 2016), nn.
21.22.184.109.196.197: EV 32/ 250.251.413.338.425.426.
51
Cfr. FRANCESCO, Lettera enciclica Fratelli tutti (3 ottobre 2020), nn. 2.48. (Disponibile in:
http://www.vatican.va/content/francesco/it/encyclicals/documents/papa-francesco_20201003_
enciclica-fratelli-tutti.html (ultima visita 22 aprile 2021).

24
CAPITOLO II

UNZIONE DEGLI INFERMI

Dopo aver considerato la malattia e la risposta della Chiesa al di là del rito, ci si


sofferma sulla celebrazione, sul suo significato e sul come la Chiesa fatta di uomini che
interagiscono tra di loro e con Dio, è sacramento di salvezza e presenza concreta nella
situazione della malattia. Si espongono gli elementi celebrativi significativi e le sfide che
affronta il presente rito dell’unzione degli infermi nella Chiesa pellegrina nel terzo
millennio. A tale scopo ci si avvale degli studi dei teologhi O. Semmelroth, G.
Bonaccorso, K. Rahner, S. Maggiani, A. Grillo ed altri.
La celebrazione del sacramento consiste sostanzialmente nell’imposizione delle
mani fatta dai presbiteri della Chiesa, con la preghiera della fede e l’unzione dei malati
con l’olio santificato dalla benedizione di Dio; in questo rito viene significata e conferita
la grazia del sacramento.52

II.1. LA CELEBRAZIONE DEL RITO

Il rituale voluto dal CVII e attualmente in vigore introduce la malattia e il suo


significato nel mistero della salvezza ai numeri 1-4 dei Preanotanda, o premesse: al
numero uno si sofferma sul problema del dolore che sorretto dalla fede in Cristo da
significato e valore alla sofferenza per la salvezza propria e del mondo. Cristo è accanto
e ama chi è malato, così come fece nella sua vita mortale recandosi a visitare i malati e
guarendoli. Al numero due, parlando dallo stretto rapporto tra malattia e peccato si
afferma che la malattia in linea generale non è un castigo dei peccati personali (cfr. Gv
9, 3). Cristo stesso, pure senza peccato, soffrì nella sua passione facendo suoi i dolori di
tutti gli uomini, anzi, è ancora Lui, che soffre in noi. Il significato della malattia nel

52
Cfr. SUCPI, n. 5.

25
mistero della salvezza, sta nel fatto che le prove e i dolori sono di breve durata e lieve
entità paragonati con la quantità di eterna gloria che procurano (cfr. 2 Cor 4,17). Al
numero tre, parla della lotta contro la malattia che rientra nel piano stesso di Dio e della
sua provvidenza, l’uomo deve lottare contro essa in tutte le sue forme e con tutte le sue
forze, adoperandosi in ogni modo per conservarsi la salute per svolgere il suo compito
nella società e nella Chiesa. I malati hanno nella chiesa una missione particolare quella
della testimonianza cristiana, rammentando a chi è in salute i beni essenziali e duraturi
da tener presenti e che solo il mistero della morte e risurrezione di Cristo può redimere e
salvare la nostra vita mortale. Per ultimo, al numero quattro, in questa lotta contro la
malattia si inseriscono i medici, gli addetti al servizio degli infermi, che indirizzandosi
all’integralità dell’essere umano recano sollievo nel fisico e conforto nello spirito mentre
visitano i malati. 53
Si sottolinea la dimensione ecclesiale del rito, richiamando la Prima Lettera di
san Paolo ai Corinzi (1 Cor 12,26) per cui «Nel corpo di Cristo, se un membro soffre,
tutti gli altri membri soffrono con lui». Per essa, la condivisione del dolore e
dell’infermità dei fratelli costituisce la migliore preparazione a vivere comunitariamente
la celebrazione del sacramento.54 Inoltre, si afferma che questo sacramento conferisce al
malato la grazia dello Spirito Santo, per la quale tutto l’uomo riceve aiuto per la sua
salvezza. Rinfrancata la sua fiducia in Dio, ottiene forze nuove per sopportare e
combattere il male ottenendo innanzi tutto un vantaggio per la sua salvezza spirituale.55
A livello celebrativo vengono offerte due indicazioni significative: la prima, la
possibilità di adattamento del rito alla situazione concreta (SUCPI 14, 15, 19, 20, 23, 37,
40, 41 ...) avendo particolare attenzione alla persona e alla concreta assemblea celebrante;
la seconda, fare uso dell’omelia domenicale per un’appropriata e approfondita
educazione al sacramento, ogni qualvolta la Parola di Dio offra la possibilità.56
La Chiesa è costituita dalla comunità dei fedeli intimamente uniti nella fede e nei
sacramenti a tutti gli altri cristiani, del passato e del futuro, riuniti in Cristo. Nella prova

53
Cfr. ADNÈS, L’unzione degli infermi, cit., p. 76; SUCPI, nn. 1-4.
54
Cfr. SUCPI, nn. 32-33 citato in BONACCORSO, Celebrare la Salvezza lineamenti di Liturgia, cit., p.
162.
55
Cfr. SUCPI, n. 6, citato in BONACCORSO, Celebrare la Salvezza lineamenti di Liturgia, cit., p. 161.
56
Cfr. COLOMBO – CIBIEN, «Unzione degli infermi», cit., p. 2050.

26
il malato partecipa all’unico mistero pasquale con gli altri fedeli, è il Signore che lo
sostiene e gli dà sollievo nella sua malattia come parte del suo corpo.57

Il nuovo rituale mette in forte evidenza il fatto che l’unzione, come gli altri
sacramenti, è una ritualizzazione degli interventi salvifici di Cristo, un
prolungamento degli interventi salvifici di Cristo, un prolungamento nell’oggi
della sua opera santa, un atto salvifico di Gesù in persona. Sulla scia di questo
vigoroso orientamento cristologico, sottolinea vivamente anche l’azione dello
Spirito, dando molto rilievo alla dimensione pneumatologica. L’unzione è
concepita soprattutto e primariamente come grazia dello Spirito che rinfranca e
solleva il malato nella sua situazione di crisi (n. 6).58

Celebriamo che l’olio dell’unzione, l’olio della letizia, l’olio della salvezza
raggiunge la vita e la sofferenza di un membro del corpo di Cristo che può alzare lo
sguardo dalla propria malattia e vederla con occhi di eternità. Il malato può ascoltare,
non si trova isolato, annuncia il Regno di Dio, nel suo corpo sofferente testimonia la
speranza, tocca, mangia e odora. Riceve conforto dalla Chiesa, testimonia la Chiesa. La
sua guarigione è quella dell’amore, per poter amare sentendosi amato dal Signore, dal
suo corpo, nel suo corpo. Il malato si riconosce riconosciuto e così conosce chi è
veramente.59 L’uomo provato, può diventare partecipe della sofferenza redentiva di
Cristo. Ottenendo conforto nel corpo, nell’anima e nello spirito, celebra che è testimone
della sua risurrezione nelle molte tribolazioni per la gioia dello Spirito Santo60 che l’unge
con l’olio. Per la vicinanza di Dio va verso l’altro; ama e si lascia amare da entrambi
(epifania - eterofania) in una celebrazione che è evento e rito.61
Occorre mettere in chiaro che la guarigione fisica non è l’effetto primario e
principale di questo sacramento, ma in realtà esso è destinato ad aiutare il cristiano nello
stato di malattia grave, donandogli la grazia e il sollievo del conforto spirituale,62 e che

57
Cfr. BONACCORSO, Celebrare la Salvezza lineamenti di Liturgia, cit., p. 143.
58
Cfr. G. GOZZELINO, L’unzione degli infermi. Sacramento della vittoria sulla malattia, Marietti,
Casale 1976, p. 83 riporta J.L. SUENENS, Lo Spirito Santo nostra speranza, Paoline, Alba 1975, pp.
48-52; A. PEDRINI, «Il dato pneumatologico e la dimensione epicletica nel nuovo rito dell’unzione
degli infermi», in Ephemerides liturgicae 89 (1975), pp. 345-379.
59
Cfr. A. GRILLO, Sacramenti spiegati ai bambini, Cittadella, Assisi 2012, pp. 63-66.
60
Cfr. GIOVANNI PAOLO II, Lettera Apostolica Salvifici doloris, n. 19: EV 9/651-653 e ID.,
Esortazione Apostolica Christifideles laici (30 dicembre 1988), n. 53: EV 11/1841-1844.
61
Dio irrompe con la sua salvezza qui e ora (evento storico salvifico ed evento rituale). Cfr.
BONACCORSO, Celebrare la Salvezza lineamenti di Liturgia, cit., p. 186.
62
Cfr. ADNÈS, L’unzione degli infermi, cit., p. 7.

27
esso va accompagnato da un contesto propizio di relazioni e azioni dei medici, famigliari,
amici e circonstanti che facilitano l’apertura al dono di Dio.

II.1.1. Elementi celebrativi significativi

Considereremo gli elementi celebrativi tra cui gli attori; le azioni gestuali
nell’ordine delle cose e gli oggetti: le unzioni, l’olio, il colore liturgico bianco; gli atti di
linguaggio compresa la formula; il dispositivo ecologico: il tempo e il luogo; e il
programma rituale.

II.1.1.1. Gli attori

Gli attori della celebrazione sono pensati in un contesto di comunione ecclesiale


e di ecclesialità. Assieme al malato o ai malati (n. 69) si trovano il sacerdote che presiede
o i sacerdoti (n. 76) e l’assemblea partecipe e attiva, composta di parenti e amici o anche
altri malati (n. 68). Anche se la celebrazione si svolge senza la partecipazione dei fedeli
nel ministro e nell’infermo è già presente la Chiesa (n. 40 b). Lo Spirito fortifica, libera
e sana ed è donato per mezzo di una umanità che si vuole partecipe e attenta al dolore e
alla sofferenza. I molteplici richiami delle rubriche testimoniano che il sacramento
dell’Unzione è «propter homines».63
L’Unzione, trova il suo senso nella ecclesia localmente presente. L’assemblea o
i presenti sono coinvolti intensamente nelle azioni specifiche: dialogare, pregare, dare
delle risposte, fare le acclamazioni, istaurare il dialogo, eventualmente anche col
comunicare al corpo di Cristo. Per rispettare la realtà umano-divina dell’azione liturgica
occorre tenere presente il come, il che cosa e il perché si celebra. Avere un programma
rituale adatto permette di amare ciò che si celebra e pregare ciò che si celebra per una
sapiente e qualitativa partecipazione in spirito e verità.64

63
Cfr. MAGGIANI, «La proposta celebrativa del Rito dell’Unzione degli infermi», cit., pp. 40-42.
64
Cfr. Ibid., pp. 41-42.52.

28
II.1.1.2. Azioni gestuali, cose e oggetti

Il rito nella sua espressività non verbale è indirizzato al malato, e trova nel
simbolo sacramentale dell’imposizione delle mani e dell’olio il segno vero che reca
salvezza. Il simbolo dell’olio, oggetto di «actio gratiarum» o di benedizione, permette
il riferimento alla forza salvifica dello Spirito di Cristo e alla preghiera fatta con fede,
superamento di ogni magicismo rituale. All’interno del linguaggio non verbale l’infermo
è unto due volte (n. 78).65
L’olio può essere in caso di necessità, diverso all’olio di oliva, sempre che sia di
origine vegetale. Il gesto dell’imposizione delle mani non è essenziale al rito
dell’unzione, ma si integra, prima dell’unzione, compiuto in silenzio dal sacerdote sul
capo del malato. Il gesto dell’unzione consiste nello spalmare con un po’ d’olio la fronte
e le mani del malato: «L’unzione si fa spalmando un po’ di Olio sulla fronte e sulle mani»
(n. 23) tuttavia in caso di necessità si può limitare all’unzione sulla fronte; se è
impossibile per le circostanze della malattia, l’unzione potrà essere compiuta su un’altra
parte del corpo più adatta. L’olio può essere eccezionalmente benedetto durante la
cerimonia in cui il sacerdote amministra l’unzione.66
L’Aquinate, osservava che l’olio significa la purezza di coscienza ed è una
medicazione che sana dolcemente. Egli definisce l’unzione come un medicamento
spirituale che ha la sua efficacia per l’istituzione divina, anche se promulgato dagli
apostoli con la legge nuova dello Spirito Santo per significare la purezza di coscienza
con l’olio. I sacramenti producono ciò che significano (cfr. S. Th III, q. 62, a. 1, ad 1) le
parole essenziali, l’orazione deprecatoria venne pronunciata da tutti e nell’unzione oltre
alla consacrazione della materia è necessaria un’altra consacrazione al momento dell’uso
per santificare l’infermo attualmente. (S. Th II, sup., q. 29-33):

La cura spirituale che si fa alla fine [della vita] deve essere perfetta, poiché dopo
di quella non ce n'è un'altra; e delicata, affinché la speranza, tanto necessaria ai
moribondi, non venga distrutta, ma nutrita. Ora, l'olio ha una funzione lenitiva e
profondamente penetrativa, e inoltre tende a diffondersi. Perciò, in forza di queste
due qualità, è la materia adatta per questo sacramento. E poiché per olio si intende
soprattutto il succo dell'oliva, mentre gli altri succhi sono chiamati olio per una

65
Cfr. Ibid., pp. 42-44.
66
Cfr. ADNÈS, L’unzione degli infermi, cit., pp. 79-80.

29
somiglianza con quello, di conseguenza quale materia dell'estrema unzione va
preso l'olio d'oliva.67

Nella realtà sacramentale, per l’impostazione della realtà che si avvera nel
momento dell’unzione, non ci si può staccare dal nesso che l’intreccia con gli altri
sacramenti, la connexio misteriorum. Pur conservando l’unicità propria, essi sono legati
dall’unico Mistero di Cristo che è sempre inserito nella costellazione trinitaria.68 Per gli
ebrei, l’immagine dell’unzione serviva ad esprimere la gioia del popolo di Israele, riunito
a Gerusalemme nelle grandi feste (Sal 133,2), o la consolazione apportata agli afflitti di
Sion dopo l’esilio (Is 61, 3); faceva pure parte della descrizione del banchetto messianico,
in questo contesto ritorna la formula di olio di esultanza che esprime il suo valore
simbolico.69 La natura dell’olio è assunta nel simbolismo biblico-liturgico per esprimere
l’unzione dello Spirito che risana, illumina, conforta, consacra e permea con dei doni e
carismi.70
Nel caso dell’Unzione è necessario coinvolgere simbolicamente e più
compiutamente e ampiamente il corpo durante l’azione rituale che è manipolatoria del
corpo stesso. Probabilmente si dovrà ritornare a ungere più parti del corpo e a farlo più
abbondantemente e diffusamente. L’unzione così è compassione che si dice al corpo
provato per amore alla e della vita.71
Celebrando l’imposizione delle mani e l’unzione per gli ammalati si compie il
memoriale dei gesti reali grazie ai quali Cristo guarisce e salva e anche il suo modo di
essere accanto ai sofferenti. Così nell’oggi si fa memoria di tutto il mistero della vita di
Cristo, che assume e rigenera al malato.72 La presenza silente dello Spirito trova nel
linguaggio dell’agire, dell’azione efficace, del dare vita, creare, e trasmettere doni.
Questa armonizzazione assoluta, nella mano è in relazione al corpo l’archi-simbolo e la
trama simbolica mette in atto un’azione vitale e trasformante, attività creatrice e
spirituale, manifestazione della signoria interiore, potenzialità espressiva molteplice. La

67
Cfr. S. TOMMASO D’AQUINO, S. Th. II, sup. q. 29, a.4. ris.
68
Cfr. MAZZANTI, I Sacramenti, cit., pp. 16-18.
69
Cfr. I. DE LA POTTERIE, «Unzione», in L. DUFOUR (a cura di), Dizionario di teologia biblica,
Marietti, Bologna 1976, p. 1316.
70
Cfr. DONGHI, L’olio della speranza, cit., p. 96 che riporta la Benedizione degli oli e dedicazione
della chiesa e dell’altare dal pontificale Romano riformato a norma dei decreti del concilio
ecumenico Vaticano II, CEI, Libreria Editrice Vaticana, 1980, pp. 9-10.
71
Cfr. MAGGIANI, «La proposta celebrativa del Rito dell’Unzione degli infermi», cit., p. 45.
72
Cfr. DONGHI, L’olio della speranza, cit., p. 136.

30
mano acquista senso e diventa, ad-viene quando le parole umane, tramite cultuale la
significano. Esiste nella mediazione simbolica. Nella trasmissione della fede cristiana del
dono spirituale del ministero, per significare il legame dalla mano di Cristo che giunge
fino a noi, si significa ed esprime con l’imposizione delle mani una catena ininterrotta.73
Il colore liturgico fino alla riforma liturgica del Vaticano II era viola, poi divenne
bianco (n. 69) come il colore usuale da usarsi. Con esso, essendo il colore pasquale per
eccellenza, si vuole esplicitare la fede della Chiesa che si riporta alla morte e risurrezione
di Cristo e ulteriormente richiama l’iniziale rinascita quando collegato al sacramento
della riconciliazione. Il bianco, armonia di tutti i colori, esprime una totalità sintesi di
esperienze a cui i vari colori rinviano simbolicamente. Il colore bianco è facile
relazionarlo con la Trasfigurazione; rappresenta la vittoria della luce sulla opacità, sulla
malattia e sulla morte nel Risorto. Il bianco esprime relazione diretta con il significato
del sacramento e con i suoi effetti.74

II.1.1.3. Gli atti di linguaggio

Rilevanti sono anche gli atti di linguaggio, i gesti e le parole coinvolte che
rappresentano una certa forma di azione, dalla loro articolazione nasce il Programma
rituale.75 La cerimonia dell’unzione sacramentale si svolge in una celebrazione ordinaria
che include tre parti: i riti iniziali; la parte essenziale (liturgia della Parola e celebrazione
del sacramento) e i riti di conclusione. Nei riti iniziali, c’è il saluto religioso «Pace a
questa casa e a quanti vi abitano» oppure «la pace del Signore sia con voi»; l’aspersione
d’acqua benedetta (secondo l’opportunità); una monizione che spiega il significato del
sacramento; la confessione del malato o un atto penitenziale; la lettura da parte di uno
dei presenti o del sacerdote della Scrittura. Nella parte essenziale; c’è una preghiera
litanica, l’imposizione delle mani in silenzio sulla testa del malato, una preghiera di
rendimento di grazie sull’olio benedetto o la sua benedizione, l’unzione sacramentale
accompagnata dalla formula. Segue una preghiera adatta al malato se è anziano, malato
in serio pericolo o agonizzante. Per ultimo, i riti di conclusione comportano la recita

73
Cfr. S. MAGGIANI, «La mano e lo Spirito. Per una lettura simbolica della imposizione delle mani»,
in Rivista liturgica 77 (1991), pp. 391-401.
74
Cfr. MAGGIANI, «La proposta celebrativa del Rito dell'Unzione degli infermi», cit., pp. 45-48.
75
Cfr. Ibid., p. 49.

31
comune del Padre Nostro e la benedizione finale del ministro. Il nuovo rituale prevede la
possibilità di conferire il sacramento adattando la strutturazione dell’azione rituale per il
sacramento degli infermi durante la messa, modalità che si può verificare con i
pellegrinaggi come quello di Lourdes. È suggerito pure che si svolga in un ambiente di
calma e sobrietà per favorire la serenità e la brevità della celebrazione.76
Nel Programma rituale l’unità del linguaggio liturgico è costituita da diversi atti
di linguaggio. Il saluto iniziale è di natura fatica (n. 70), inserito in una dinamica
perlocutoria con l’obiettivo di raggiungere per induzione esistentiva, degli affetti tra
sensibilità umana e apertura a valori divini. La formula per l’aspersione (n. 71) è
tipicamente performativa. La monizione iniziale (n. 72) è esortativa. Le seguono le
preghiere litaniche come atti di domanda, il rendimento di grazie sull’olio già benedetto
(n. 77) e la benedizione dell’olio (n. 77 bis), così come la formula dell’unzione (n. 78)
tutte di carattere performativo e l’orazione (nn. 79, 80) dove il performativo viene
accompagnato da azione presentificanti aspetti del mistero di Cristo. Gli atti del
linguaggio propri delle varie sequenze rituali, istaurano un progressivo e graduale clima
celebrativo.77
La costituzione apostolica Sacram Unctionem Infirmorum di Paolo VI, enuncia
un elemento significativo per cui fu modificata la formula sacramentale come la riforma
più importante. Mentre la formula che durante il Medioevo accompagnava l’unzione
nelle sedi degli organi di senso diceva: «Per questa santa Unzione e per la sua
misericordia pietosa, il Signore ti perdoni tutto ciò che hai commesso di male»78. La
nuova formula è divisa in quattro membri di frase che sono pronunciati dal sacerdote
mentre unge sulla fronte, e su ognuna delle due mani:
Per questa santa Unzione e E, liberandoti dai peccati, ti
la sua piissima misericordia salvi
Ti aiuti il Signore con la E nella sua bontà ti sollevi
grazia dello Spirito Santo (R. Amen).
(R. Amen)

Nelle quattro punti costitutive, la prima riprende l’antica formula romana, la


seconda si ispira al Concilio di Trento, la terza e la quarta provengono dalla lettera di

76
Cfr. ADNÈS, L’unzione degli infermi, cit., pp. 81-83; DONGHI, L’olio della speranza, cit., pp. 113-
146.
77
Cfr. MAGGIANI, «La proposta celebrativa del Rito dell’Unzione degli infermi», cit., pp. 49-51.
78
Cfr. PAOLO VI, Costituzione apostolica Sacram Unctionem Infirmorum (30 novembre 1972): EV 8/
998-1007.

32
Giacomo (Gc 5,15). La formula è suddivisa a sua volta in due parti, nella prima si
sottolinea la grazia specifica; nella seconda, gli effetti che ci aspettano: «ti aiuti», «ti
salvi», «ti sollevi».79 Questo testo interpreta in modo egregio la visione unitaria della
persona: corpo e spirito, malattie e peccato non sono entità separate.80
Cambiando la formula sacramentale viene stabilito anche il numero delle unzioni,
riducendolo a due: una sulla fronte e l’altra sulle mani con un’unica formula. Tuttavia
può essere adattato se occorre nei diversi popoli.

II.1.1.4. Il dispositivo ecologico: il tempo e il luogo

Il tempo per l’unzione è messo in relazione allo stato del malato. Così il tempo
per l’unzione è sempre, notte e giorno, appena risulta che lo stato di salute è seriamente
compromesso per malattia o vecchiaia (n. 8), reiterabile anche quando il malato subisse
un aggravamento (n. 9). Lo «stato» del malato indica l’orientamento per la scelta del
tempo della celebrazione. 81
Lo statuto canonico dell’unzione è tratto dalla LG e si trova nel can. 998 del CIC
e la sua reiterazione è regolata dal can. 1004, al paragrafo 2. Ma il nuovo rituale è più
completo e preciso: l’unzione può essere amministrata in un tempo di scadenza puntuale
a un malato che sta per essere operato (n. 10), a patto che la causa dell’intervento
chirurgico sia una malattia grave; può essere amministrata alle persone anziane anche
senza una malattia grave (n. 11) che si trovano in uno stato debilitante.82 L’indole
dialogale del sacramento esige una partecipazione di fede personale aperta alla speranza
cristiana, per essa si può dare la sacra unzione ai bambini purché abbiano raggiunto un
uso di ragione sufficiente a far loro sentire il conforto del sacramento (SUCPI, 12).83
Il rito è sintesi dei vari momenti salvifici, che uniti in un’unica azione cultuale
vengono attualizzati e inseriti nella storia della salvezza, il tempo della Chiesa nel tempo
escatologico. La liturgia diventa luogo dell’annuncio e dell’attuazione della storia della

79
Cfr. ADNÈS, L’unzione degli infermi, cit., pp. 78-79.
80
Cfr. A.N. TERRIN, «Unzione degli infermi», in G. BARBAGLIO – G. BOFF – S. DIANICH (a cura di),
Dizionario san Paolo, San Paolo, Cinisello Balsamo 2002, p. 1820.
81
Cfr. MAGGIANI, «La proposta celebrativa del Rito dell’Unzione degli infermi», cit., p. 37.
82
Cfr. ADNÈS, L’unzione degli infermi, cit., pp. 80-81; Cfr. SUCPI, nn. 10-12; Can. 998.1004-1005.
83
Cfr. COLOMBO – CIBIEN, «Unzione degli infermi», cit., p. 2049.

33
salvezza finché tutto e tutti saremo ricapitolati in Cristo (1 Cor 15,28). Il rito non è
soltanto mezzo comunicativo tra Dio è l’uomo ma è segno del rapporto esistente tra Dio
e l’uomo, diventa presenza di Dio. Unendo gesto e parola, la parola si fa carne. Il rito
allora esplicita il mistero di Cristo, la salvezza umana realizzata. È presenza di azione
divina sotto la forma dell’azione rituale. Inserisce nell’adorazione perfetta, è espressione
di fede, è Dio in Cristo che entra in comunione con gli uomini. Nel rapporto della liturgia
con il rito, il Cristo è il sacramento originario e la Chiesa è il sacramento sintetico-
universale, di cui i singoli sacramenti sono la loro espressione nella celebrazione
cristiana. È memoriale, anamnesi dei fatti pasquali. Chi compie l’azione liturgica è Dio
stesso, il Verbo incarnato, è momento di santificazione perché attualizza l’evento storico
della salvezza a cui si unisce la comunità inserita mediante il battesimo. La storia della
salvezza e l’azione ecclesiale sono i due binari su cui cammina la liturgia. La teologia
della celebrazione pone il malato sul “treno della salvezza” concreta a chi si lascia
introdurre nell’evento di salvezza, nel proprio qui e ora.84 Perciò è molto importante
strutturare la celebrazione tenendo conto dei tempi reali per lo stato del malato, giacché
la percezione del tempo nel suo stato subisce cambiamenti profondi.85
Il simbolo rituale agisce in caso di morte soltanto se prima ha agito in caso di vita.
Il contesto festivo dei riti cristiani è fondato sulla comunione tra Cristo e la Chiesa. Il
cristiano sin dall’inizio della sua esistenza è unito al mistero dell’incarnazione, morte e
resurrezione, e lo ritrova nella propria vita sino alla fine quando conoscerà il suo Signore
non più solo per speculum.86
Precisando il luogo per il malato non costretto a degenza si dà la preferenza alla
chiesa (n. 68) o in un altro luogo adatto in cui vi sia spazio sufficiente per l’ammalato, i
parenti e gli amici. Ma l’unzione degli infermi può essere celebrata negli ospedali (n. 68)
avendo di mira la dimensione ecclesiale della celebrazione per aprirsi al suo senso pieno
che acquista per la ecclesia e nella ecclesia. Celebriamo nello spazio ed è importante la
qualità e la possibilità di un luogo adatto.87

84
Cfr. A. GRAMMATICA, TKŠ Teologická korespondenční Škola, ST, Lezioni 5-7, Plzeň (CZ) 2020.
85
Cfr. MAGGIANI, «La proposta celebrativa del Rito dell’Unzione degli infermi», cit., p. 38.
86
Cfr. A. GRILLO, Riti che educano. I sette sacramenti, Cittadella, Assisi 2011, pp. 104-111.
87
Cfr. MAGGIANI, «La proposta celebrativa del Rito dell’Unzione degli infermi», cit., p. 39.

34
II.1.1.5. Il programma rituale

La struttura rituale fondamentale segnala una preminente presenza di preghiere,


relativizzando anche il momento della Liturgia della Parola. Dalla sequenza rituale il rito
giunge alla prospettiva escatologica quando inserisce il viatico per la vita eterna che è in
realtà l’ultimo dei sacramenti.88
A partire dallo scorso secolo la riflessione teologica ha riconsiderato la concezione
tricotomica che è originata dagli Israeliti. Per essa, l’uomo è fatto di corpo (soma, sarx),
anima (pshyché) e spirito (pneuma, nous)89 e come risultato ha prodotto delle formule e
strutture del rito. Le disposizioni conciliari della Costituzione sulla Sacra Liturgia SC del
1964, hanno determinato la pubblicazione di un rituale dell’unzione l’Ordo Unctionis
Infirmorum eorumque pastoralis curae (OUI) il rituale fu approvato il 30 novembre 1972
e promulgato il 7 dicembre successivo, l’edizione tipica italiana fu pubblicata il 23
maggio 1974, a cura della Conferenza Episcopale Italiana sotto il titolo Sacramento
dell’unzione e cura pastorale degli infermi (SUCPI). L’unzione degli infermi è inserita
nel quadro di tutta la pastorale dei malati90 a modo di elemento vertice. Il suo decorso
obbligatorio a partire dal 16 febbraio 1975, prima domenica di quaresima.91
Il primo capitolo tratta della visita e della comunione degli infermi. Per la visita
presenta alcune direttive pastorali (nn. 42-45). Per la comunione introduce un
doppio rito, uno ordinario (nn. 49-60) ed uno breve (nn.61-65). Il secondo
capitolo si intitola «Rito della unzione degli infermi». Contiene il rito ordinario
del sacramento (nn. 66-82) con le varianti richieste dal caso in cui sia conferito
durante la messa (nn. 83-96).
Il terzo capitolo considera la celebrazione dell’unzione in una grande assemblea
di fedeli (nn. 97-127), distinguendo la celebrazione senza la messa dalla
celebrazione durante la messa.
Il quarto capitolo ha come tema il viatico (nn. 128-164), con la consueta
distinzione del conferimento durante la messa e senza la messa.
Il quinto capitolo tratta del rito per conferire i sacramenti ad un infermo in
pericolo di morte. Presenta dapprima il rito continuo della penitenza, della
unzione e del viatico (nn. 165-187). Poi il rito della unzione senza il viatico (nn.
188-203). Infine quello della unzione sotto condizione (n. 204).

88
Cfr. Ibid., pp. 51-52.
89
Cfr. B. MONDIN, L’uomo secondo il disegno di Dio. Trattato di antropologia teologica, ESD,
Bologna 1992, p. 41. Cfr. 1 Ts 5, 23: «Il Dio della pace vi santifichi interamente, e tutta la vostra
persona, spirito, anima e corpo, si conservi irreprensibile per la venuta del Signore nostro Gesù
Cristo».
90
Cfr. ADNÈS, L’unzione degli infermi, cit., p. 6; COLOMBO – CIBIEN, «Unzione degli infermi», cit.,
p. 2046.
91
Cfr. GOZZELINO, L’unzione degli infermi, cit., p. 79.

35
Il sesto capitolo parla della eventuale amministrazione del sacramento della
confermazione al malato in pericolo di morte (nn. 205-206).
Col settimo capitolo si passa alla raccomandazione dei moribondi (nn. 207-241),
ove sono raccolti, in forma abbreviata ed adattata, gli elementi che figuravano nei
capitoli quinto, settimo ed ottavo del rituale di Paolo V. Seguono, per comodità
del ministro, il rito della messa (nn. 242-295), ed un lezionario contenente una
raccolta di testi biblici ed eucologici da alternare a scelta a quelli contenuti sia nel
rito della unzione (nn. 296-361), da inserire, secondo l’opportunità, nella
celebrazione della unzione e nella raccomandazione dei moribondi. Accanto a
questa edizione ne esiste una seconda, ridotta che omette i nn. 85-96 sulla
celebrazione del rito durante la messa, i nn. 98-127 sulla celebrazione in una
grande assemblea di fedeli, i nn. 132-147 sul viatico durante la messa, ed i nn.
242-295 che riportano l’ordinario della messa. In compenso aggiunge una doppia
appendice. La prima riproduce, per comodità del ministro, il rito nuovo per la
riconciliazione dei singoli penitenti, la seconda presenta dapprima due forme (una
ordinaria e l’altra breve) di rito della comunione degli infermi, e poi una forma
del rito del viatico, per i casi in cui la comunione o il viatico debbano essere
amministrati da un ministro straordinario (non sacerdote o diacono).92

Con l’Ordo unctionis infirmorum e la Sacram Unctionem Infirmorum (1972) la


Chiesa ha a disposizione il rito dei malati. Il rituale comporta un radicale cambiamento,
sia dal punto di vista teologico, che da quello pratico: il passaggio alla tradizione liturgica
del primo millennio invece della teologia e la pratica medievali ratificate dal concilio di
Trento; il passaggio dalla «estrema unzione» alla «unzione degli infermi».93
Col passare dei secoli, nella Tradizione liturgica furono più esattamente precisate,
pur se in vario modo, le parti del corpo dell'infermo che dovevano essere unte con l'Olio
santo, e furono aggiunte più formule per accompagnare con la preghiera le unzioni:
queste formule sono appunto contenute nei libri rituali delle varie Chiese. Durante il
medioevo, nella Chiesa Romana invalse la consuetudine di ungere gli infermi nelle sedi
degli organi di senso, con l'uso di questa formula: «Per questa santa Unzione e per la sua
misericordia pietosa, il Signore ti perdoni tutto ciò che hai commesso di male», formula
che veniva adattata a ciascuno dei sensi.94
Dato, poi, che l'olio d'oliva, quale fino ad ora era prescritto per la validità del
Sacramento, in alcune regioni manca del tutto o può essere difficile procurarlo,
abbiamo stabilito, su richiesta di numerosi Vescovi, che possa essere usato in
futuro, secondo le circostanze, anche un olio di altro tipo, che tuttavia sia stato
ricavato da piante, in quanto più somigliante all'olio d'oliva.
Per ciò che riguarda il numero delle unzioni e le membra da ungere, ci è sembrato
opportuno procedere ad una semplificazione del rito. Pertanto, poiché questa

92
Ibid., p. 80.
93
Cfr. ADNÈS, L’unzione degli infermi, cit., p. 7.
94
Cfr. PAOLO VI, Costituzione apostolica Sacram Unctionem Infirmorum (30 novembre 1972).
Disponibile in: http://www.vatican.va/content/paul-vi/it/apost_constitutions/documents/hf_p-
vi_apc_19721130_sacram-unctionem.html (ultima visita 15 maggio 2021).

36
revisione tocca in alcune parti anche lo stesso rito sacramentale, con la Nostra
Autorità Apostolica decretiamo che, per l'avvenire, sia osservato nel Rito Latino
quanto segue:
Il sacramento dell’unzione degli infermi si conferisce a quelli che sono ammalati
con serio pericolo [chi?], ungendoli sulla fronte e sulle mani con olio d’oliva
[come?], o, secondo l’opportunità, con altro olio vegetale, debitamente benedetto
e pronunciando, per una volta soltanto, queste parole: «Per questa santa unzione
e per la sua misericordia pietosa il Signore ti aiuti con la grazia dello Spirito Santo
e liberato dai peccati ti salvi e ti guarisca» [perché?].
Tuttavia, in caso di necessità, è sufficiente compiere un'unica unzione sulla fronte
oppure, a motivo di particolari condizioni dell'infermo, in un'altra parte più adatta
del corpo, pronunciando integralmente la formula anzidetta. [Come?].
Questo Sacramento può essere ripetuto, qualora l'infermo, dopo aver ricevuto
l'Unzione, si sia ristabilito e sia poi ricaduto nella malattia, oppure se, perdurando
la medesima infermità, il pericolo diviene più grave. [Perché?].

Segue la Promulgazione ed entrata in vigore del nuovo rito:


Stabiliti e dichiarati questi elementi relativi al rito essenziale del Sacramento
dell'Unzione degli infermi, Noi approviamo con la Nostra Autorità Apostolica
anche l'Ordo concernente l'Unzione degli infermi e la cura pastorale di essi,
quale è stato rivisto dalla Sacra Congregazione per il Culto Divino, derogando,
nello stesso tempo, se sarà necessario, alle prescrizioni del Codice di Diritto
Canonico o alle altre leggi finora vigenti, o anche abrogandole, mentre
conservano stabile valore le prescrizioni e le leggi, che non sono abrogate o
mutate dal medesimo Ordo. L'edizione latina di tale Ordo, contenente il nuovo
rito, andrà in vigore non appena sarà pubblicata, mentre le edizioni in lingua
volgare, preparate dalle Conferenze Episcopali e approvate dalla Sede
Apostolica, andranno in vigore dal giorno che sarà deciso dalle medesime singole
conferenze; il vecchio Ordo potrà essere usato fino al 31 dicembre dell'anno
1973. Tuttavia, dal 1° gennaio 1974, tutti gli interessati dovranno fare uso
soltanto del nuovo Ordo.
Vogliamo che tutto quanto Noi abbiamo deciso e prescritto abbia, ora e in
avvenire, piena efficacia nel Rito Latino, nonostante - per quanto è necessario -
le Costituzioni e gli Ordinamenti Apostolici, emanati dai Nostri Predecessori, e
le altre disposizioni, anche se degne di speciale menzione.95

Oltre al Sacramento dell’unzione (1974) per la chiesa italiana 96 la Congregazione


per la Dottrina della Fede, nel 2000, ha scritto l’Istruzione circa le Preghiere per ottenere
da Dio la guarigione con normative indirizzate a regolarle.
A partire di questo insieme di azioni, gesti, parole e sequenze, inserite nel tempo
nello spazio e nella corporeità del malato, è possibile affermare che per la presenza
effettiva e reale del Risorto sono elementi celebrativi significativi la presenza dei fratelli,

95
PAOLO VI, Sacram Unctionem Infirmorum: EV 8/ 998-1007.
96
Cfr. BONACCORSO, Celebrare la Salvezza lineamenti di Liturgia, cit., p. 159 per approfondire cfr.
Rituale Romano riformato a norma dei decreti del Concilio Ecumenico Vaticano II; F. DELL’ORO,
Il sacramento dei malati. Aspetti antropologici e teologici della malattia (Teologia e Pastorale), Elle
Di Ci, Leumann (TO) 1975.

37
della compassione, della fede, perché si tratta di un passaggio pasquale. Il segreto del
trasferimento dalla disperazione alla speranza feconda si trova nella disponibilità alla
preghiera e all’offerta delle proprie infermità allo Spirito di Cristo che le fa sue. La
condizione del passaggio è una sola e consiste nella comunione col Cristo, aperta a tutti,
realizzabile da tutti, continuamente offerta a tutti. La malattia entra così nella totalità
della salvezza.97

II.1.2. Elementi celebrativi che ci interrogano

Dall’analisi condotta finora sorgono delle considerazioni. Facendo leva su un


articolo del professore Silvano Maggiani ci poniamo delle domande per chiederci come
si può passare dal sacro rubricizzato al santo celebrato nella malattia e nella sfida odierna
della pandemia. Lo spazio fisico si sposta alla domus ecclesiae. La lex orandi ci ispira e
si ispira alla lex credendi per una lex vivendi di cui si fa già esperienza nella lex orandi
nella quale si mette in pratica la celebrazione dell’evento Gesù Cristo.98

II.1.2.1. In riferimento al primato della partecipazione dinamica

La malattia diventa il «luogo» di un sacramento, da significato al rapporto tra la


comunità cristiana e i membri ammalati della comunità. Il gesto ecclesiale, compiuto in
ubbidienza a Cristo con la sua peculiarità diventa intelligibile entro il rapporto tra Gesù
e il malato, in quanto ne rappresenta una specifica istituita attualizzazione. La struttura
dell’uomo religioso ammalato in un’antropologia aperta, può trovare posto anche un
simbolismo dell’incontro con Dio, espresso in un gesto concreto, come quello
dell’Unzione. Per Karl Rahner è un’ontologia che implica l’affermazione
dell’esistenziale soprannaturale, il teorema del simbolo reale come visibilizzazione della
grazia: nell’umanità di Cristo, nella realtà della Chiesa, nel singolo malato.99

97
Cfr. GOZZELINO, L’unzione degli infermi, cit. pp. 132-134.
98
Cfr. S. MAGGIANI, «Dal sacro rubricizzato al santo celebrato nella riforma liturgica del Concilio
Vaticano II», in Rivista Vivens Homo. Rivista teologica Florentina 8 (1997/2), pp. 353-388.
99
Cfr. MOIOLI, «L’unzione dei malati: il problema teologico della sua natura», cit., p. 49.

38
Rahner nella sua opera Chiesa e Sacramenti considera alla Chiesa che non si ritira
imbarazzata quando giunge la morte, ma che vive nella speranza escatologica, per
pronunciare per questa situazione l’attesa della speranza cristiana nella risurrezione.100
La SC al numero 8 si esprime sulla liturgia terrena e quella celeste: Nella liturgia
terrena partecipiamo per anticipazione a quella celeste verso la quale tendiamo, dove
Cristo ministro del santuario e del vero tabernacolo siede alla destra di Dio. Ricordiamo
i santi, aspettiamo come Salvatore il Signore nostro Gesù Cristo fino a quando noi saremo
manifestati con lui nella gloria (cfr. Fil 3,20; Col 3,4). E al numero 9 nota che la liturgia
non esaurisce l’azione della Chiesa. Prima che gli uomini possano avvicinarsi alla
liturgia, occorre che siano chiamati alla fede e alla conversione. Per questo la Chiesa
annunzia il messaggio della salvezza a chi non crede ancora, così che tutti gli uomini
conoscano l’unico vero Dio e il suo inviato Gesù Cristo. La Chiesa inoltre predica la fede
e la penitenza, dispone ai sacramenti ai credenti, e incita ad essere luce del mondo e a
rendere gloria al Padre dinanzi agli uomini.101
Andrea Grillo, facendo un’analisi sulla riforma della liturgia della Chiesa, egli
esamina il proemio inaugurale per la costituzione SC al numero 1 dove si propone far
crescere, aggiornare, adattare l’azione liturgica e permettere che essa entri in dialogo
verso l’unità delle confessioni e del genere umano. L’intento del concilio è considerare
il rito cristiano come il punto delicatissimo di mediazione della tradizione. Una
ricomprensione della Chiesa e della Parola, sono necessarie, e per quello occorre
ricuperare la nozione profonda della liturgia e della partecipazione, rinnovando la
dimensione esperienziale ecclesiastica onnicomprensiva, aprendosi alle altre confessioni
e alle altre religioni. Un nuovo paradigma tutto implicito nel nuovo rito. La chiave di
lettura per comprendere la riforma liturgica è la lettura della sua ragion d’essere, il
primato della partecipazione dinamica, della celebrazione festosa, che è esperienza
eucaristica, un’«azione del prete che presiede» ma con valore comunitario originario che
comprende «la Chiesa che celebra». Scaturisce dalla riforma della Chiesa la peculiarità
ecclesiale e comunitaria, che non accoglie una ministerialità bloccata e isterilita. Grillo
inoltre afferma che occorre mettere mano ad un grande ripensamento delle forme
ministeriali e delle istituzioni in cui queste forme si esprimono, per farle diventare non

100
Cfr. K. RAHNER, Chiesa e Sacramenti, Morcelliana, Brescia 1965.
101
Cfr. CONCILIO VATICANO II, Costituzione Conciliare Sacrosanctum Concilium (4 dicembre 1963),
nn. 8-9: EV 1/1-244.

39
solo semplice amministrazione, privilegio o esclusiva sull’azione rituale (EG 25) ma
celebrazioni di indole ecclesiale e comunitaria. «L’atto non si chiude mai nel circolo
ristretto e vizioso tra prete ed elementi, mediato dalla formula, ma nel circolo ampio e
virtuoso che si istituisce tra comunità, ministri, presidenza, liturgia della parola e liturgia
eucaristica».102

II.1.2.2. In riferimento al ministro

La CEI prevede nella sua appendice al numero II, che il sacerdote e il diacono
diano la Comunione e il Viatico agli infermi secondo quanto è descritto nel rito del
SUCPI. Prevede anche che a norma di diritto si deve osservare il rito quando la SS.
Eucaristia è portata agli infermi da un accolito o da un ministro straordinario della
Comunione.103
Nonostante ci sia la proposta del rito continuo, è necessario differenziare
l’elemento penitenziale da quello dell’unzione, per favorire l’inserimento ecclesiale del
diacono nel sacramento dell’unzione. Occorre ricuperare il senso di unità perfetta che
non viene distrutta dalla diversità della materia e della forma che si trova nelle parti. Così
l’unzione diventa un insieme, un’azione perfetta, l’unzione di tutti i sensi esterni, secondo
il pensiero dell’Aquinate, mediante essi si contraggono le infermità interiori.104 Anche
questo collegamento tra peccato e malattia l’abbiamo approfondito in anticipo.
Riguardo l’amministrazione del sacramento da parte di un laico, Tommaso si
esprime così:

Secondo Dionigi [De eccl. hier. 5, 1, 3] alcuni uomini possono compiere azioni
gerarchiche, e altri possono soltanto riceverle: e questi sono i laici. Quindi i laici
per loro ufficio non possono amministrare alcun sacramento: che poi in caso di
necessità possano battezzare è una concessione divina affinché a nessuno manchi
la possibilità di rinascere spiritualmente.

Il sacerdote pronuncia quella preghiera non in nome proprio, perché allora nel
caso che si trovasse in peccato non verrebbe esaudito, ma in nome di tutta la
Chiesa, come suo pubblico rappresentante; il laico invece è una persona privata.

102
Cfr. A. GRILLO, «Paura liturgica: riforma della Chiesa, non “semplice amministrazione”», in
Munera. Rivista europea di Cultura. Pubblicato il 31 luglio 2020 nel blog: Come se non. Disponibile
in: https://www.cittadellaeditrice.com/munera/paura-liturgica-riforma-della-chiesa-non-semplice-
amministrazione/ (ultima visita 4 agosto 2020).
103
Cfr. SUCPI, Appendice II, cit., pp. 226-245.
104
Cfr. TOMMASO D’AQUINO, S.Th. II, sup. q.29, a.2., sol. 1-3. Per approfondimento consultare
l’articolo 2: Se l’unzione sia un sacramento unico per ritornare al senso dell’unicità del sacramento
in paragone alla sua continuità.

40
I diaconi, secondo Dionigi [De eccl. hier. 5, 1, 6], possiedono la facoltà di
"purificare". Ora, l'estrema unzione fu istituita proprio per purificare l'anima e il
corpo dalle infermità. Quindi i diaconi possono amministrarla105.

In un altro suo studio, Tommaso afferma il compito del presbitero: «il nostro
Salvatore, mandando i discepoli a predicare, ingiunse loro: primo di insegnare la fede;
secondo di amministrare i sacramenti ai credenti».106 Questo ruolo si è ormai esteso
rendendo altri protagonisti sia dell’insegnamento della fede che dell’amministrazione dei
sacramenti in via straordinaria.
La riflessione del CVII inserisce il sacramento dell’unzione come un sacramento
dei malati e avvia il discorso per quelli che cominciano ad essere in pericolo di morte,
superando così la visione teologico-pastorale codificata dal CIC del 1917 (can. 940), e
quella del CIC del 1983 (can. 1004).107 Nel Decreto della Sacra Congregazione per il
Culto Divino (Prot. n. 1501/72) del 7 dicembre 1972: fu riaffermata l’ordinanza del
concilio per la preparazione di un rito continuo, per conferire al malato l’Unzione dopo
la confessione e prima del Viatico (SC 75).
Fino ad oggi, il sacerdote è il solo e unico ministro possibile dell’unzione.
Tuttavia nell’interpretazione del nuovo rituale, si è lasciata un’espressione tridentina che
potrebbe aprire spazio ai ministri straordinari: «ministro proprio dell’unzione degli
infermi» questo sarebbe di grande aiuto per i paesi dove sono rari i sacerdoti, nei paesi
di missione o in circostanze straordinarie come nella pandemia dove l’amministrazione
del sacramento sarebbe affidata ai diaconi e, in assenza di loro, ai laici ben preparati.108
Grillo studia il ragionamento proposto da Tommaso, riportando che la domanda
non solo della «res», ma della «significatio rei», viene argomentata esclusivamente in
rapporto alla «significatio» della «eminentia gradus»: il sesso femminile è escluso dalla
ordinazione perché incapace di «significare ed esercitare la autorità». La similitudo di cui
l’Aquinate109 parla riguarda non il rapporto tra Cristo e il suo ministro ordinato, come la

105
Cfr. TOMMASO D’AQUINO, S.Th. II, sup. q.31, a.1. Per approfondire si consiglia leggere anche ciò
che riguarda i diaconi all’articolo 2 e 3 riguardo i vescovi.
106
TOMMASO D’AQUINO, Expositio primae Decretalis, § 1, Opuscula Theologica, Marietti, Taurini-
Romae 1954, p. 1138.
107
Cfr. COLOMBO – CIBIEN, «Unzione degli infermi», cit., p. 2040.
108
Cfr. ADNÈS, L’unzione degli infermi, cit., p. 83.
109
Cfr. TOMMASO D’AQUINO, Super Sent., lib. 4 d. 25 q. 2 a. 1 qc. 1 co.: «Unde etsi mulieri exhibeantur
omnia quae in ordinibus fiunt, ordinem non suscipit: quia cum sacramentum sit signum, in his quae
in sacramento aguntur, requiritur non solum res, sed significatio rei; sicut dictum est, quod in

41
intende inter insigniores, ma la somiglianza tra la condizione di schiavo e quella della
donna che si trova in una soggezione insuperabile, come principio antropologico e
sociologico del suo tempo. Grillo conclude dicendo che questi ragionamenti per
raggiungere il mondo femminile odierno devono essere rielaborati e rispondere ad un
mondo in assenza di schiavitù elaborando con audacia paziente e esigente cogitazioni
magisteriali e teologiche adatte.110

II.1.2.3. In riferimento all’approccio iniziale al malato e la sua corporeità

Il nostro mondo si trova immerso in una crisi, quella di vedere la morte come una
fatalità individuale,111 unita a quella della malattia e come essa viene intesa. Riguardo la
connessione con il sacramento della penitenza occorre dire che non è la colpa ad unirli,
ma è la crisi che unifica i due sacramenti della guarigione, una è per la colpa, l’altra è per
la malattia. Il progresso tecnologico ha modificato anche il nostro modo di morire,
assolutizzando la qualità della vita, e tralasciando quella della morte, lasciandola in una
zona residuale, anonima. Senza intersoggettività è inconcepibile il morire come orizzonte
della vita, la morte viene emarginata o persino rimossa. Con la medicalizzazione abbiamo
imparato a curare il malato, ma abbiamo scordato come consolare l’afflitto. Si ha un
sapere persino accuratissimo, ma senza cura; si è creata una cultura incapace di prendersi
cura del morire o del morente, il disporsi a morire è allora un come se non fosse, che
“accade” nella spersonalizzazione di luoghi della “cura medica”, e non in un addio più
intimo.112 Ne consegue l’urgenza di ricuperare non i principi e le norme, ma i gesti, le

extrema unctione exigitur quod sit infirmus, ut significetur curatione indigens. Cum ergo in sexu
femineo non possit significari aliqua eminentia gradus, quia mulier statum subjectionis habet; ideo
non potest ordinis sacramentum suscipere».
110
Cfr. A. GRILLO, «Quaestio de mulierum similitudine: Tommaso d’Aquino, la donna e lo schiavo»,
in Munera. Rivista europea di cultura. Pubblicato il 30 ottobre 2019 nel blog: Come se non.
Disponibile in: https://www.cittadellaeditrice.com/munera/quaestio-de-mulierum-similitudine-
tommaso-daquino -la-donna-e-lo-schiavo/ (ultima visita 04 agosto 2020).
111
Cfr. J. BEAUDRILLARD, Lo scambio simbolico e la morte, Feltrinelli, Milano 1979, p. 144.
112
Cfr. GRILLO, Riti che educano, cit., pp. 99-101; M. DE CERTEAU, L’intervenzione del quotidiano,
Lavoro, Roma 2001, pp. 267-268.

42
parole, le presenze e le relazioni con le persone, anche all’interno della prospettiva
teologica.113

La struttura rituale fondamentale segnala una preponderante presenza di azioni


eucologiche, relativizzando anche il momento della Liturgia della Parola. La
strutturazione così concepita è tuttavia lineare ed armonica, nervosa nel «voler»
giungere all'unzione. Denuncia quindi un «voler» far presto, che se è
comprensibile in alcuni casi terminali in cui dovrà essere celebrato il Sacramento,
non dovrà scusare altre situazioni, salvo la cura e l'attenzione da avere sempre per
il malato.
La struttura stessa, inoltre, ricorda e richiama un andamento celebrativo in cui la
«ecclesia» è presente nella preghiera e nella solidarietà partecipativa che si
prolunga anche con la presenza tattile del celebrante. Dalla sequenza rituale
iniziale, intrisa di umana carità, il rito giunge alla prospettiva escatologica,
chiarissima quando si inserisce il rito della comunione, il viatico, per la vita
eterna, in realtà «l'ultimo» dei sacramenti.114

II.1.2.4. In riferimento alla presenza di Maria

Maggiani rifacendosi ad A. Serra solleva la mancanza di un accenno a Maria,


Madre del Signore negli atti di linguaggio del Rito dell’Unzione, asserendo che
basterebbe il mistero racchiuso in Gv 19, 25-27 per motivarne la sua presenza in questo
contesto sacramentale così segnato dal mistero della croce di Cristo.115

113
Cfr. G. MOIOLI, «Introduzione alla riflessione teologica contemporanea sulla morte dell’uomo», in
La scuola Cattolica 105 (1977), pp. 543-566; S. MAGGIANI, «Elementi del dibattito odierno sul
tema della morte», in Rivista Liturgica 66 (1979), pp. 270-317.
114
Cfr. MAGGIANI, «La proposta celebrativa del Rito dell’Unzione degli infermi», cit., p. 52.
115
Cfr. Ibid., p. 51.

43
II.2. SIGNIFICATO DEL RITO DELL’UNZIONE DEGLI INFERMI ALLA LUCE
DEL CONCILIO VATICANO II

Al rito dell’unzione viene assegnata una virtù terapeutica che può provvedere per
la salute corporale. La medicina venne allora usata come strumento, ma Dio è l’agente
principale e può servirsi dell’olio amministrato dal sacerdote per ridonare la salute.
Inoltre, la guarigione può essere ottenuta anche per intercessione dei santi, servi di Dio.116
Il rito dell’unzione degli infermi intende fare della malattia un periodo
privilegiato di grazia in cui il sacramento è la celebrazione dell’energia pasquale che
invade l’infermo.117 Esso è un atto di Cristo, della Chiesa e del cristiano. «È la
ritualizzazione degli interventi di Cristo, un prolungamento, oggi, della sua opera
sacramentale, nella Chiesa e mediante la Chiesa, a vantaggio del cristiano che, nella
malattia, si apre all’oggi del Cristo pasquale».118
Il passaggio che ha operato il CVII ci ricorda che l’esperienza spirituale è
cristocentrica, ma ha anche una dimensione pneumatizzante, per essa, prima, durante e
dopo i sacramenti, lo Spirito Santo ci concede progressivamente di saper vivere il mistero
del Cristo crocifisso e risorto nel vissuto di fede e carità. Dunque, la configurazione
spirituale non è autonoma; la spiritualità liturgica invita a partecipare all’unica santità
divina diffusa nella Chiesa, nella comunità, nel corpo mistico di Cristo per lo Spirito.
Una volta che si è membra del corpo di Cristo si entra nelle ineffabili relazioni tra le
Persone divine (theologia gloriae), come assemblea che si va purificando (theologia
crucis).119
La riflessione teologico-magisteriale della Chiesa cattolica sull’unzione ha
conosciuto una notevole evoluzione, da un rigido ancoramento iniziale alla morte e alla

116
Cfr. A.M. LÉPICIER, «In qual modo il sacramento dell’estrema unzione restituisce agli infermi la
sanità», in Rivista di Apologia Cristiana 6 (1914), pp. 1309-1319.
117
Cfr. DONGHI, L’olio della speranza, cit., p. 5.
118
Cfr. Ibid., p. 79.
119
Cfr. T. GOFFI, La Spiritualità contemporanea. Storia della Spiritualità, vol. 8: XX sec, EDB,
Bologna 1987, p. 89 che cita: R. GUARDINI, La realtà della Chiesa, Morcelliana, Brescia 1967; M.
THURIAN, L’uomo moderno e vita spirituale, Morcelliana, Brescia 1962; E. MERSCH, Morale e
Corpo mistico, Morcelliana, Brescia 1946; F. JÜRGENSMAIER, Der mystische Leib Christi als
Grundprinzip der Aksese, Hennwack, Germania 1936; K. ADAM, Das Wesen des Katholizismus,
Haas & Grabherr, Augsburg 1924.

44
penitenza essa passa a porre la base del sacramento nella malattia come tale.120 La Chiesa
ha definito e strutturato la sua dottrina per raggiungere la realtà dell’uomo colpito dalla
malattia.
Il Signore vuole agire in chi celebra la vita mentre si celebra l’unzione degli
infermi perché a Lui importa che i suoi sperimentino e celebrino la sua salvezza: «Egli
ha preso le nostre infermità e si è caricato delle nostre malattie».121 È nell’insieme dei
gesti, delle parole e degli eventi che l’atteggiamento del corpo di Cristo si traduce in uno
«stare di fronte» agli altri, a sé stessi e al Signore, perché nel malato c’è il Signore:
«Quando mai ti abbiamo visto malato [...] e siamo venuti a visitarti? [...] in verità io vi
dico: tutto quello che avete fatto a un solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto
a me».122 Diverse volte ci è capitato di visitare degli infermi che a mala pena riescono a
comunicare, ma che nel silenzio con i loro occhi, la loro serenità, il loro sorriso, un
chiudere le palpebre per assentire, o un «Amen!» movendo le labbra alla fine della
preghiera dicono tanto di più che mille parole. Un silenzio che non è mutismo, o
indifferenza, ma partecipazione attiva, «partecipazione degli uomini alla natura dialogale
della Trinità».123
Conviene ricordare che la Liturgia secondo la definizione del Concilio Vaticano
II, nella SC, 7 è un’azione sacra attraverso la quale, con un rito, nella Chiesa e mediante
la Chiesa, viene esercitata e continuata l’opera sacerdotale di Cristo, cioè la
santificazione degli uomini e la glorificazione di Dio.124 La liturgia è il modo di attuare
il mistero attraverso i riti. Esercitata e continuata si attua senza interruzioni. L’opera
sacerdotale di Cristo fa riferimento alla mediazione che unisce gli uomini a Dio e Dio
agli uomini. La liturgia e la Chiesa si relazionano in un’azione comune di Cristo. La
liturgia è l’azione della Chiesa, in cui Cristo ne è il capo e la Chiesa è il corpo nella sua
concretizzazione nel ministro e nella comunità. La funzione di Cristo si esercita in due
maniere, prima quando partecipa ai ministri, seconda quando partecipa alla Chiesa.125

120
Cfr. GOZZELINO, L’unzione degli infermi, cit., p. 111.
121
Cfr. Is 53,4 e Mt 8,11.
122
Cfr. Mt 25,39-40.
123
Cfr. BONACCORSO, Celebrare la Salvezza lineamenti di Liturgia, cit., p. 144.
124
Cfr. CONCILIO VATICANO II, Sacrosanctum Concilium, n. 7: EV 1/7.
125
Cfr. S. MARSILI – D. SARTORE, «Liturgia», in D. SARTORE – A.M. TRIACCA – C. CIBIEN (a cura di),
Liturgia (I Dizionari san Paolo), San Paolo 2001, pp. 1044-1052. Per la celebrazione della liturgia
delle ore si consiglia consultare PNLO 20-28.

45
Il Centro Azione Liturgica esplicita il rito ai numeri 73 a 75 della SC. Al numero
73 si afferma che l’unzione degli infermi non è il sacramento di coloro che sono in fin di
vita (estrema unzione). Si specifica che il tempo opportuno per riceverla è quando il
fedele inizia ad essere in pericolo di morte. Al numero 74 si asserisce la esistenza di un
rito continuato per cui l’Unzione è conferita dopo la Confessione e prima del Viatico.
Per ultimo, al numero 75 si raccomanda rivedere il numero delle unzioni adattandole alle
condizioni dei malati.126
Aiutati dalla valorizzazione dei contesti esterni delle celebrazioni, possiamo
affermare con S. Maggiani che gli Ordines sacramentali nella trama simbolica rituale
fanno emergere lo statuto istitutivo dei sacramenti di natura fontalmente cristologica.
Con tratti evocativi, poetici, Cristo Gesù emerge come il fondatore e il fondamento in
una dinamica storico-salvifica, dove lo Spirito è Signore e dà la vita e la comunità
ecclesiale celebra e prega in Spirito Santo. Le sequenze rituali, linguaggio verbale e non
verbale, vanno oltre l’origine esterna e l’istituzione dei sacramenti; questi elementi
potenziano armonicamente la dimensione di compimento da parte di Cristo di un progetto
salutare, nell’unità e progressività della storia della salvezza. In una teologia che è poesia
e linguaggio simbolico si attua continuamente ciò che affermava Ambrogio: «Chi è
l’autore dei sacramenti, se non il Signore Gesù».127
A conclusione di questo capitolo si è osservato il sacramento sotto la luce del
Vaticano II, si è scoperto che senso ha la celebrazione. La celebrazione che è vita,
esperienza e incontro col Risorto, evento salvifico nella liturgia, è innanzitutto incontro
compassionevole per amore alla e della vita. Il rito dell’unzione degli infermi ha elementi
che le sono significativi tali come la presenza e partecipazione dei fratelli, la
compassione, la fede, l’evento pasquale attraverso i segni, simboli, le formule, i gesti, il
corpo, l’uso del colore, la Parola e le parole, la Presenza; e altri che sono altrettanto critici
e aprono un sentiero per ulteriore valutazione e approfondimento.
Si porta alla luce un brano del pensiero di Silvano Maggiani, un innamorato della
vita e del Signore che visse la realtà della malattia nel proprio corpo:

126
Cfr. CONCILIO VATICANO II, Sacrosanctum Concilium: EV 1/ 73-75.
127
Cfr. S. MAGGIANI, «Istituzione dei sacramenti e “lex orandi”. Il contributo degli “Ordines” del
Concilio Vaticano Secondo», in Rivista Liturgica 81 (1994), pp. 151-174. Per approfondire cfr.
anche la nota 34 in cui viene citato S. AMBROGIO, De Sacramentis IV, 4,13, Città nuova, Roma
1982, pp. 92-93.

46
"In questo stato percettivo di ambivalenza o polivalenza del corpo sembrerebbe
inutile privilegiare alcune parti, di fatto inesistenti, neppure nell'ottica di un
simbolismo corporeo che non si dà e non si dice nel concreto. Proprio per questo,
e nel caso dell'unzione, probabilmente il problema non è tanto quello di
coinvolgere alcune parti del corpo nella dinamica rituale, ma come coinvolgere
tutto il corpo, simbolicamente. E anche qualora si recuperasse il modello corporeo
della medicina orientale, simbolicamente non percepiremo il segno puntuale fatto
con l'olio, leggermente, indicativamente... Probabilmente si dovrà ritornare ad
ungere più parti del corpo e in ogni caso farlo più abbondantemente e
diffusamente. Questo sembra necessario qualora il malato viva acutamente la
malattia, abbia perduto la parola e la vista, o altre sensibilità. L'unzione
sacramentale è lotta, antropologicamente parlando, per non dire ritualmente,
contro ogni istanza che rende ob-sceno il dolore e la malattia compresa la sua
terminalità, è compassione che si dice al corpo provato per amore alla e della
vita.128

128
Cfr. MAGGIANI, «La proposta celebrativa del Rito dell’Unzione degli infermi», cit., p. 45.

47
48
CAPITOLO III

LE LINEE DI CONSEGUENZA NEL SENSO DELLA PRESENZA


DEL RISORTO SIA PER IL MALATO CHE PER LA CHIESA

III.1. LE LINEE DI CONSEGUENZA DELLA PRESENZA DEL RISORTO PER IL


MALATO

«Guariscimi, Signore, e guarirò, salvami e sarò salvato, poiché tu sei il mio vanto».
(Ger 17,14)

Alla salute si deve aspirare senza trascurare nessun tentativo per migliorarla, ma
di essa ci si deve accontentare, accettando dei limiti anche se sgradevoli, ricordando che
in sé il corpo ha delle risorse di ripresa impensabili.129
Due vie inseparabili di attuazione del Regno sono il servizio alla Parola e alla
salute. L’annuncio deve essere terapeutico e salutare, mentre la cura deve essere
annuncio e attuazione della salvezza per essere efficace. E l’origine di quest’efficacia è
Cristo che agisce con la forza dello Spirito.130

III.1.1. La presenza del Risorto come sigillo della salvezza

Il sigillo battesimale come azione consacrante opera nella storia della salvezza,
nel simbolismo dell’Unzione lo Spirito che è Signore dà la vita, esprime
sacramentalmente il mistero del «per sempre» di Dio. L’appartenenza al Signore e la

129
Cfr. M. PETRINI – G.M. SALVATI – E. SAPORI – P. SGRECCIA, Lineamenti di teologia pastorale
della salute, Camilliane, Torino 2013, p. 276. Per approfondire si rinvia a B. CYRULNIK, Il dolore
meraviglioso. Diventare adulti sereni superando i traumi dell’infanzia, Frasinelli, Milano 2000.
130
Cfr. F. ÁLVAREZ RODRÍGUEZ, Teologia della Salute, Camilliane, Torino 2014, p. 257.

49
definitività della salvezza di Cristo donata e accolta, attuano nel soggetto una peculiare
conformità al Kyrios, di cui il carattere è il signum spirituale. Il carattere per lo Scheeben
è l’impronta che riflette la natura umano-divina di Cristo, mediante essa la consacrazione
battesimale concede i doni del Signore Gesù per agire nella Chiesa. Questo Signum
configurativum, presente già in san Tommaso (S.Th. III, q. 63, a.3) si sviluppa nella LG
10 e 11 col sacerdozio comune dei fedeli e l’esercizio del sacerdozio comune nella
celebrazione sacramentale. S. Maggiani riportando C. Rocchetta affermaa che la «ratio»
biblica del «carattere» va cercata nell’evento di alleanza che contraddistingue, da un capo
all’altro, l’economia del «mystèrion» e il suo compimento neotestamentario. Inoltre, per
quanto possano essere gravi le mancanze dell’uomo l’alleanza è compiuta una volta per
sempre.131
Cosa apporta di nuovo allora il rito dell’unzione se il malato entra già con la vita
nuova e la liberazione dal peccato ricevuta nel battesimo? Abbiamo stabilito che nella
visione unitaria della persona: corpo, spirito, anima sono entità interconnesse, e la grazia
viene per aiutare, salvare e sollevare.

III.1.2. La presenza del Risorto e il tessuto relazionale

Il Dio della Misericordia non sopporta che neppure la vita possa diventare un
idolo davanti a Lui. Per ciò il ruolo comunionale è decisivo. Partendo dalla rete di
relazioni che donano sé stessi, attraverso le relazioni in cui si trova, coltiva e sviluppa un
intimo rapporto col proprio io. I riti cristiani trovano una giustificazione relazionale della
vita donata e scambiata.132
Un primo possibile esito salvifico della malattia sta nella istaurazione di un nuovo
rapporto con Dio, superando le immagini idolatriche, introducendo la persona in una vera
conoscenza della sua trascendenza inviolabile. Altra possibilità salvifica riguarda la
liberazione dai peccati propri, attraverso l’assenso a Dio e alla malattia stessa. Chi ne
soffre, reagisce alla malattia, la contrasta con tutte le sue forze, in sé e negli altri, ma non
dubita della bontà di Dio, ma accetta una logica superiore che riguarda la realtà della

131
Cfr. S. MAGGIANI, «Il “carattere sacramentale” in alcuni “ordines” della Riforma Liturgica
Conciliare», in Rivista Liturgica 86 (1999/1), pp. 43-61.
132
Cfr. GRILLO, Riti che educano, cit., p. 103.

50
Creazione. L’atteggiamento autentico dell’uomo di fronte alla malattia e alla sofferenza
deve comporre la resistenza e la resa, resistere alla malattia e arrendersi ad essa perché
la vera lotta contro la sofferenza nasce dalla accettazione della sofferenza stessa.133
L’esperienza della salute è e sarà sempre limitata allo spazio della storia e del
percorso dell’uomo nel mondo, finendo nella morte. Il suo riferimento alla salvezza viene
mediato dalla fede che unisce la salute alla salvezza, l’uomo è chiamato a coinvolgersi
responsabilmente e creativamente in tale direzione. La nuova alleanza sigillata nel
mistero pasquale e prolungata nella sacramentalità della Chiesa fa che essa possa
sbocciare nella salvezza come guarigione, nella salvezza come salute con la reciprocità
indissolubile tra la salute e la qualità di vita, o nella salvezza come esperienza salutare.
La salvezza è la chiave ermeneutica di lettura, essa si da in un sistema aperto di
relazionalità; la cura non è possibile se non in un’alleanza che unisce competenza e
umanità, partecipazione e compartecipazione, passione e compassione. La
cura/guarigione si svolge attraverso la ricomposizione dell’unità interiore persa,
ristrutturando il tessuto relazionale, ricuperando la finalità e il senso, riconciliandosi con
gli inevitabili dell’esistenza. La salute è guidata da un’interna teleologia, che agisce
orientando il biologico verso il biografico, la salute verso la salvezza, verso la
realizzazione di un fine, di una vocazione insita per grazia nel cuore dell’uomo. Poiché
Dio ha assunto e trasformato radicalmente la realtà e gli eventi umani fondamentali: la
vita e la morte, la salute e la malattia, la sofferenza e i limiti della natura umana, ha reso
possibile che queste realtà siano vissute in maniera nuova e rinnovata. Persino il
camminare verso la morte, può essere vissuto come l’inizio della vita nuova in pienezza,
che è spinta da un nuovo dinamismo di pienezza, di risurrezione anticipata, di speranze
compiute e orizzonti infiniti.134

133
Cfr. GOZZELINO, L’unzione degli infermi, cit., pp. 124-127.
134
Cfr. ÁLVAREZ RODRÍGUEZ, Teologia della Salute, cit., pp. 367-395.

51
III.1.3. La presenza del Risorto e i frutti dello Spirito

L’uomo si trova ad affrontare due tipi di crisi, una causata dal suo peccato e
un’altra subita che lo colpisce, come ad esempio quella della malattia, non sempre come
conseguenza di una mancanza di prevenzione o associata ad un determinato peccato. Il
malato allora può ricevere dalla Chiesa di Cristo, i frutti dello Spirito: speranza, amore,
fede, consolazione, gioia... La sua malattia può diventare annuncio della risurrezione,
sorgente in lui di un «alter Christus». Tramite la guarigione innanzitutto del suo rapporto
con sé stesso, con gli altri e con Dio, è testimone del fatto che la vita è per il bene e non
per il male, segni che non necessariamente implicano la guarigione fisica, ma nemmeno
la escludono.135 Anche quando c’è passività nella malattia, il malato è chiamato a non
vivere più per sé stesso, ma per il Signore Gesù e così edificare il corpo ecclesiale con
una testimonianza indimenticabile.136
L’uomo che soffre è chiamato a vivere la trasformazione soggettiva della
disgrazia in Grazia, ciò avviene quando «chi soffre o chi ha subito finora il dolore come
uno schiavo, si rende padrone di sé stesso, afferma il suo dolore con libertà interiore, e
quando (...) si affida a Dio».137

III.1.4. La presenza del Risorto e la guarigione

Una vita con le caratteristiche viste nel primo capitolo entra in contatto con una
realtà che la supera e coinvolge. La struttura stessa del sacramento chiama in causa un
uomo che tende a perdere la logica della Grazia e della speranza per cedere alla disgrazia
e alla disperazione. In questo, l’entrare con la sua vita, non è un bisogno astratto del
sacramento. La logica sacramentale è essenzialmente corporeità di grazia e spiritualità di
corpi, l’efficacia del sacramento si trova nell’esperienza ed espressione della concretezza

135
Cfr. GRILLO, Sacramenti spiegati ai bambini, cit., pp. 59-62.
136
Cfr. GRILLO, «L’unzione degli infermi: salvezza, guarigione», in A. GRILLO – E. SAPORI, Atti della
XXXI settimana di Studio dell’Associazione Professori di liturgia Valdragone, San Marino (24-29
agosto 2003), Liturgiche, Roma 2005, p. 58.
137
Cfr. H.U. VON BALTHASAR, «Frammenti a proposito della malattia e della salute», in Communio 33
(1977), p. 87.

52
celebrativa, rituale e spazio temporale e allo stesso tempo al di là e al di sopra
nell’efficacia penitenziale dell’agire quotidiano ordinario dei malati e degli operatori
sanitari. Il corpo in quanto paziente e sofferente acquisisce una soggettività sacramentale
assai rilevante, condizionata dalla libertà e dalla coscienza del soggetto. Malattia/corpo
e penitenza/spirito non sono in contrapposizione ma fanno riferimento alla relazione tra
i sacramenti di guarigione. Sia la sofferenza per colpa che quella senza colpa fanno capo
alla redenzione della Pasqua di Cristo, entrambi ricevono delle conseguenze. Grillo,
sottolineando la correlazione tra il corpo e lo spirito enuncia due tipi di guarigioni, quella
dell’uomo e quella del cristiano: la prima avviene mediante il battesimo, che inserendo
nel corpo di Cristo, consente la comunione ordinaria con la salvezza nell’eucaristia e fa
di essa il sacramento di salvezza e di guarigione dell’uomo; la seconda, è resa possibile
dai due sacramenti di guarigione e ha rapporto con le peculiarità di disagio o disgrazia in
cui il soggetto e la Chiesa si trovano collocate. L’unzione ha effetti sia fisici che meta-
fisici.138
In Cristo «ogni uomo diventa la via della Chiesa»139 specialmente quando nella
sua vita entra la sofferenza. Nel rituale dei malati il celebrante nella preghiera di
raccomandazione dell’anima prega affinché l’infermo sia liberato dal peccato e da ogni
tentazione.140

III.1.5. La presenza del Risorto che testimonia un cammino di maturazione


umana e cristiana

Il Direttorio liturgico pastorale per l’uso rituale dei sacramenti e dei sacramentali,
approvato e sancito dalla CEI il 23 febbraio 1967, offre una prospettiva nuova mettendo
come perno non la morte o la penitenza ma la malattia, interpretata non solo come
pericolo ma anche come occasione di salvezza. Le infermità affidate al Cristo, unico
vincitore, divengono capaci di offrire all’uomo una maturazione trascendente.141

138
Cfr. GRILLO, «L’unzione degli infermi: salvezza, guarigione», cit., pp. 42.46-50.53.
139
Cfr. GIOVANNI PAOLO II, Lettera Enciclica Redemptor hominis, nn. 14.18.21.22: EV 6/
1209.1240.1257.1262.
140
Cfr. SUCPI, n. 73.
141
Cfr. GOZZELINO, L’unzione degli infermi, cit., pp. 78.132-134.

53
Il Cristo non ha soppresso la sofferenza, l’ha presa su di sé ed essa è di grande
valore. Il mistero della sofferenza umana si immerge nella luce della risurrezione facendo
che l’ammalato si senta uomo nuovo.142 Ritrova mediante la fede, la sua sofferenza
arricchita di un nuovo contenuto e di un nuovo significato. Cristo che l’ha introdotto nel
Regno di Dio perché non muoia eternamente mediante la sofferenza le offre un mezzo di
maturazione avvolto dal mistero della redenzione di Cristo.143
La Chiesa inserisce la sua missione evangelica in questa lotta dell’uomo contro
la malattia in tutte le sue forme; offre all’uomo credente la possibilità di donare la propria
vita per un impegno di testimonianza cristiana al mondo. Inoltre, è grande il compito del
malato in una società che valuta gli uomini in base all’efficienza e alla capacità
produttiva: egli deve annunciare il valore della persona umana, la sua dignità profonda.
D’altro canto l’evangelizzare i sofferenti è un segno dell’opera messianica. La comunità
cristiana ha il compito di rispondere all’urgenza di un’evangelizzazione del mondo dei
medici e degli infermieri, per essere segno vivo della presenza di Cristo.144
Nel sacramento si verifica il «diventare uno DA e IN due».145 L’avvenimento del
Cristo morto-risorto viene liturgicamente comunicato, in modo che appare realmente
attualizzato nell’assemblea cristiana. L’azione liturgica è allora il medesimo mistero
salvifico di Cristo che diventa esistenza cristiana. La dimensione epicletica trasforma in
corpo di Cristo, è lo Spirito che consacra l’esistenza come continua liturgia, plasmando
sia il pensare che il volere e accordandoli a quelli del Padre.146
Secondo Giorgio Moioli, nessuna limitazione dovrebbe essere imposta al modo
di realizzazione della forza salvifica della Pasqua nella situazione critica della malattia:

L’unzione è un gesto carico di senso salvifico posto nella Chiesa per la situazione
della malattia: è una situazione che può essere salvata, è bene lo sia, e dunque è bene
che la forza della pasqua si esprima nel malato come partecipazione vissuta alla morte
ed alla risurrezione di Cristo, offrendo la possibilità di assumere da uomo spirituale
la malattia, senza escludere la forza salvifica del Signore che può operare sulla
malattia stessa fino al miracolo.147

142
Cfr. DONGHI, L’olio della speranza, cit., pp. 10-11.
143
Cfr. GIOVANNI PAOLO II, Salvifici doloris, cit., n. 19: EV 9/651-653.
144
Cfr. G. COLOMBO, Rito dell’unzione degli infermi. Aspetti teologici antropologici e liturgico-
pastorali del rito dell’unzione degli infermi, Cinisello Balsamo, Como 1974, pp. 518-530.
145
Cfr. MAZZANTI, I Sacramenti. Simbolo e Teologia, cit., pp. 51-54. Per approfondimento Mazzanti
rinvia a G. DURAND, L’immaginario, Dedalo, Bari 1972, pp. 51ss.
146
Cfr. GOFFI, La Spiritualità contemporanea, cit., pp. 81-85.
147
Cfr. MOIOLI, «L’unzione dei malati: il problema teologico della sua natura», cit., p. 54.

54
La pastorale sanitaria e con essa la cura dei malati è Presenza e presenza.
Pronunciare allora il nome proprio di Dio è celebrare, in simbolo e in rito, l’evento
dell’automanifestazione di Dio (epifania) che l’accompagna col sigillo del suo Spirito
Santo.148
Tra le conseguenze più rilevanti di questo processo di riunificazione stanno «la
riconciliazione con la corporeità, la restaurazione della comunione con i fratelli,
l’integrazione del finito e della morte nella concreta storia con la vocazione dell’uomo
all’immortalità».149

Nella sua misericordia Gesù «si è caricato delle nostre sofferenze, si è addossato i
nostri dolori» (Is 53,4) e ha istituito il sacramento dell’unzione degli infermi perché
l’uomo malato, attraverso la fede e il rito della Chiesa, possa incontrarsi con Lui,
salvatore di tutto l’uomo. I fedeli poi, riconoscendo nella Vergine la «compagna
generosa» (LG 61: EV 1/ 435) del Redentore e la «donna del dolore» (cfr. Lc 2, 35.48),
e consci della sua materna partecipazione alle sofferenze umane, si rivolgono a lei
invocandola come «Salute degli infermi».150

Cristo simboleggia l’atteggiamento sublime nato nel livello incontaminato


dell’anima umana di qui la Vergine Maria con la sua purezza rappresenta simbolicamente
lo stato di assoluta incontaminazione. Il fondo dell’anima è un centro interiore di pace e
di consapevolezza allargata in cui si riuniscono tutte le potenze dell’anima: intelletto,
memoria, sensorialità, affettività-volontà, in questo punto adimensionale nasce il Cristo
interiore, che sul piano psichico dona, attraverso la dimensione simbolica la vera
conoscenza e l’amore per la conoscenza interiore di sé.151

148
Cfr. GRAMMATICA, Teologická korespondenční Škola, TKŠ, cit., Lezioni 1, 5-7.
149
Cfr. DONGHI, L’olio della speranza, cit., p. 141.
150
Cfr. GIOVANNI PAOLO II, Unzione degli infermi nell’anno mariano: dalla Pentecoste 1987 -
Assunzione della Vergine 1988. Celebrazione dell’anno mariano, cap. IV, Celebrazione dei
sacramenti e anno mariano, il sacramento dell’unzione degli infermi (3 aprile 1987), nn. 35-38: EV
10/ 1477-1481, Roma 1987.
151
Cfr. GRASSI, Psicologia analitica a orientamento comunicativo, cit., pp. 390-396.

55
III.1.6. La presenza del Risorto e l’ordine escatologico

In ogni unzione degli infermi accolta nella fede, c’è un effetto corporale che non
dipende dal medico, ma dal teologo e dal pastore. La malattia non è soltanto un disturbo
dell’organismo: è un’aggressione a tutta la persona che introduce un’inerzia, una
resistenza passiva della vita sensitiva, frenando lo slancio della volontà verso i beni
spirituali e verso Dio. L’effetto corporale dell’unzione può essere un certo miglioramento
passeggero o la completa guarigione, altre volte l’efficacia entra più in ambito di natura
psico-fisiologica, attraverso le cause seconde, ad esempio le cure mediche in vista del
bene più grande. Il sacramento è destinato a conferire conforto interiore spirituale e
corporale, non è il sacramento della morte probabile o certa, da amministrarsi solo ai
malati esposti a una grave minaccia. La guarigione corporale o almeno il miglioramento
fisico sono in ogni modo subordinati alla salvezza spirituale dell’anima e ad essa viene
in ausilio la grazia sacramentale restituendo all’uomo la fortezza per sottomettere le
facoltà sensitive allo spirito152 e vivere nella fede il proprio stato. Esso ridona la libertà,
la libera risposta di fede del soggetto, la fiducia e la capacità di ritrovare e vivere
concretamente la sua comunione con Dio e con i fratelli, la situazione specifica a cui si
rivolge il sacramento è la malattia e l’indole comunitaria è in primo piano
costantemente.153
La malattia non ha l’ultima parola. Lo sguardo del credente non si orienta verso
il passato, ma verso il futuro. La fiducia in Dio ed il senso della trascendenza aprono la
strada all’ordine escatologico, dove c’è pure la risurrezione dei morti. La malattia da
scandalo diventa vittoria, e anche essa sarà completamente sconfitta, segno dell’avvento
del tempo messianico e dell’inaugurazione delle realtà finali. La fede nella risurrezione
non è una funzione del desiderio di vita come affermava Marx, ma una funzione
dell’affidarsi alla parola di Dio che non si smentisce.154

152
Cfr. ADNÈS, L’unzione degli infermi, cit., pp. 72-75.
153
Cfr. GOZZELINO, L’unzione degli infermi, cit., p. 84.
154
Cfr. Ibid., cit., p. 29 per approfondimento si rinvia a A. RIZZI, La sofferenza ed il male nel mondo:
interrogativi e soluzioni, Disp. Cicl., Verona 1973.

56
III.2. LE LINEE DI CONSEGUENZA DELLA PRESENZA DEL RISORTO PER LA
CHIESA

Focalizzando l’attenzione non soltanto sulla sacralità della vita, ma vedendola


come dono di grazia, attraverso l’incontro con una persona, che è morta per il malato e
nella cui compagnia consolante e salvante può vivere anche la propria sofferenza si trova
conforto, e speranza.155
Lo spessore sacramentale è garantito dall’unione ipostatica del divino e
dell’umano in Cristo, dalla Sua vita e le Sue azioni. Attraverso i segni corporei, sensibili
dei sacramenti l’uomo può incontrare il Redentore. Quest’incontro è mediato dalla
Chiesa corpo visibile del Cristo. Il Cristo è il sacramento fondante, sorgivo,
fondamentale, e originario e la Chiesa è il sacramento sintetico-universale, di cui i singoli
sacramenti sono la loro espressione dettagliata. La fede cristiana per essere un’esperienza
globale, non può polarizzare una delle Sue due nature. Se è ben compresa la risurrezione
di Cristo fa del Suo umano esistenziale e corporeo l’elemento valido per tutti i tempi e
concernente tutti gli uomini. L’evento della Sua risurrezione realizzata dal Padre, per
mezzo dello Spirito Santo conserva attuale la sua presenzialità, essa si mantiene, attua,
conserva e dona, così che ogni persona umana può trovare nel Risorto il proprio destino
e quindi «il criterio esistenziale della propria avventura storica e terrena». Il sacramento
è il luogo, un «fare memoria» un compiere consapevolmente nella memoria sempre
attuale dello Spirito del mistero di Cristo. Il sacramento è gesto, azione è parola; è
simbolo reale e in atto, è simbolo effettivo che per avverarsi deve entrare nel reale
dell’uomo, come atto nella sua storia che lo segna secondo il volere del Padre, per la
presenza del suo agente primo, lo Spirito Santo.156

eGrrma

155
Cfr. G. ANCONA, «Preparare l’incontro con il Signore nella morte», in Rivista Liturgica 93 (2006),
pp. 700-714.
156
Cfr. MAZZANTI, I Sacramenti. Simbolo e Teologia, cit., pp. 7-11.

57
III.2.1. La presenza del Risorto nella solidarietà della Chiesa

In parole di Papa Francesco nell’ Humana communitas, del 6 gennaio 2019: La


fragilità, la finitezza e la vulnerabilità sono il comune denominatore di tutti gli esseri
umani. Queste realtà richiedono, come parte costitutiva della condizione umana, una
conversione che includa ed elabori esistenzialmente e socialmente l’esperienza di perdita.
Soltanto con questa consapevolezza saremmo aperti alla solidarietà responsabile nei
confronti dei fratelli. Questo sforzo ha delle conseguenze a livello etico e di salute
pubblica: prima, l’assunzione e distribuzione equa delle risorse sanitarie e dei rischi
ineliminabili; seconda, la ricerca scientifica responsabile di tutelare l’autonomia e
l’indipendenza, nella trasparenza e comunicazione chiara per evitare deviazioni per
interessi politici o economici; terza, la tutela della dignità della persona umana che
promuove il coordinamento e la cooperazione a livello globale per rendere effettivo il
diritto universale di curare la salute. Come afferma: Querida Amazonia al numero 8:
«Siamo chiamati a un atteggiamento di speranza…Il sogno… potrebbe diventare un
sogno universale, un sogno per l’intero pianeta “che integri e promuova tutti i suoi
abitanti perché possano consolidare un “buon vivere”». A questo riguardo il prof. Henk
ten Have nota che «La pandemia del Covid-19 come fenomeno globale dimostra che oggi
siamo intrinsecamente interconnessi. Condividiamo tutti la stessa vulnerabilità perché
abitiamo nella stessa casa comune. Questa esperienza ci rende consapevoli che il nostro
benessere individuale dipende dalla comunità umana». Dal canto suo il prof. Roberto
Dell’Oro fa presente che sulla famiglia umana al tempo della pandemia, l’intenzione del
documento è di riconoscere che insieme, come famiglia umana (humana communitas),
dobbiamo tornare alle lezioni che abbiamo imparato dalla vita nel suo insieme.157
La Chiesa ci chiama a interrogare le nostre esperienze più profonde, abbiamo
una chiamata alla conversione, che è prima di tutto un cambiamento nel nostro modo di
guardare alla realtà e di costruire i nostri sforzi su una rinnovata consapevolezza».158

157
Cfr. F. DELL’ORO, Il sacramento dei malati, cit., p. 8.
158
Cfr. PONTIFICIA ACCADEMIA PER LA VITA, Rivista on-line Zenit: «L’Humana Communitas nell’era
della Pandemia» – Comunicato Stampa del 22 luglio 2020. Disponibile in: https://it.zenit.org/
2020/07/22/pontificia-accademia-per-la-vita-abbiamo-imparato-la-lezione-della fragilita/?utm_
medium=email&utm_campaign=22072020%20%20LHumana%20Communitas%20nellera%20de
lla%20pandemia%201595420899%20ZNP&utm_contcon=22072020%20%20LHumana%20Com
munitas%20nellera%20della%20pandemia%201595420899%20ZNP+CID_bd90cc1954fefd6e76
7a82cbd1eb50c1&utm_source=Editions&utm_term=Pontificia%20Accademia%20per%20la%20

58
Questo è valido sia per la pandemia che per la malattia in generale, di cui ci occupiamo
nel presente lavoro. Grillo solleva il bisogno di una Chiesa che abbia pienezza corporea
e spirituale profetiche, per offrire remissione del peccato e recupero della salute,
invisibile comunione col Cristo e principio visibile di vera speranza. Egli paragona questa
corporeità con quella di una anziana esperta nel canto, nell’abbraccio, nel tatto, nel tono,
nella memoria e nella considerazione di ogni suo figlio.159 Queste sono il preambolo al
sacramento, insieme alla partecipazione attiva e cosciente del popolo di Dio, e la sua
natura simbolica, come riconosciuta dallo studio di Tullo Goffi della SC che riporta alle
origini dell’autentica tradizione liturgica; in essa il celebrante deve svolgere un ruolo
mistagogico, nell’articolazione della parola, il silenzio e i gesti per condurre i fedeli verso
Dio, in Cristo, nell’alleanza e nella luce dello Spirito.160
La preghiera liturgica come Chiesa è un’esperienza spirituale sullo sfondo della
storia della salvezza. La liturgia identificandosi col mistero pasquale di Cristo, offerto
nella Chiesa a gloria del Padre e mediante lo Spirito è sorgente d’esperienza spirituale
cristiana come afferma la SC, 7. Così l’azione liturgica è l’olocausto pasquale di Cristo
storicizzato nell’oggi per la salvezza del mondo (SC, 6). La partecipazione alla liturgia,
inizia e introduce nell’evento salvifico, ecclesialmente attualizzato nell’oggi. Il fedele è
santificato nella misura in cui si lascia immettere dallo Spirito Santo nei santi misteri
(SC, 5). La liturgia è anche proclamazione del significato profetico della vita cristiana,
segno sensibile dell’esperienza spirituale che ha compimento escatologico. La Liturgia è
«nello stesso tempo umana e divina, visibile ma dotata di realtà invisibili, ardente
nell’azione e dedita alla contemplazione, presente nel mondo e tuttavia pellegrina» (SC,
2). La liturgia è insieme culmine dell’azione della Chiesa e fonte da cui promana tutta la
sua virtù (SC, 10).
A livello teologico-sistematico la LG 11 porta avanti una riconciliazione con la
logica corporea del Mistero pasquale per cui l’efficacia del sacramento assume il suo
senso più vero illuminando il ministerium alleviationis et salutis. A livello teologico-
pastorale il problema del senso della malattia chiama ad una responsabilità ecclesiale e

Vita%20Abbiamo%20imparato%20la%20lezione%20della%20fragilit (ultima visita 22 luglio


2020).
159
Cfr. GRILLO, L’unzione degli infermi: salvezza, guarigione, cit., p. 59.
160
Cfr. GOFFI, La Spiritualità contemporanea, cit., p. 77. Per approfondire Y. CONGAR – P.M. GY –
J.P. JOSSUA – M.D. CHENU, La liturgie après Vatican II, Du Cerf, Paris 1967; A. BALLESTRÈRO,
Perché il Concilio diventi vita, Ecumenica, Bari 1977.

59
spirituale perché essa si renda prossima, nella parola, nella preghiera, nel silenzio del
gesto, nell’unzione, chiama anche al significato terapeutico della guarigione del
cristiano. Per ultimo, a livello teologico rituale, occorre riscoprire il Mistero Pasquale
come contenuto e forma della relazione a Dio per Cristo nello Spirito, anche nello stesso
essere malato. Penitenza e guarigione non sono antitesi. Il piano rituale del sacramento è
non solo espressione ma anche esperienza di fede e l’ordo luogo sintetico di guarigione
e penitenza.161

III.2.2. La presenza del Risorto negli effetti e nella comunità che prega

Da ciò che possiamo ricavare da Gc 5,14 secondo P. Adnès, l’oggetto


dell’unzione è un malato con una malattia seria che l’immobilizza, e l’obbliga a stare a
letto e non necessariamente morente. Il ministro dell’unzione nelle comunità cristiane
primitive come attestano le lettere pastorali di San Paolo e il libro degli Atti era costituito
dagli anziani o coloro che avevano l’autorità per adempiere le funzioni sacre: i presbiteri.
L’unzione fatta dai presbiteri, si collega col Signore Gesù Cristo di cui parla il NT
suggerendo che l’unzione è compiuta in virtù di un ordine Suo, così l’unzione è stata in
qualche modo voluta da Lui stesso. Mentre al versetto 15 si trovano gli effetti
dell’unzione: il primo, la preghiera della fede che lo salva; la preghiera diventa
l’elemento più importante del rito per il suo significato e indole religiosa. L’unzione così
vista è una professione di fede e fiducia del presbitero nella bontà e potenza salvifica del
Signore, sia per il corpo che per l’anima. Il secondo, è il sollievo, che è anche alleggerire
o far alzare;162 questo sollievo viene dal Signore e mostra l’efficacia dell’unzione fata a
nome Suo. Il terzo, è la remissione o perdono dei peccati, effetto che tuttavia non è
primario. Se occorre, il cancellare il peccato sarà un effetto dell’unzione affinché non
ostacoli la salvezza. Perché non sono solo dei peccatori a poter ricevere l’unzione dei
malati, ma tutti i cristiani, anche giusti e santi, l’autore sottolinea la forma ipotetica della
proposizione: «se avrà commesso dei peccati, gli saranno rimessi». Il testo di Gc ci fa
vedere un rito istituzionalizzato nel quale sono chiamati i presbiteri della Chiesa e ha un

161
Cfr. GRILLO, L’unzione degli infermi: salvezza, guarigione, cit., pp. 57-59.
162
Lo stesso verbo egeiro viene usato per i tre miracoli di risurrezione fisica compiuti da Gesù (cfr. Mt
9,25; Lc 7,14; Gv 12,9).

60
carattere ecclesiale, la sua efficacia dipende dalla presenza di Cristo risuscitato e
salvatore presente tra i suoi.163
La Chiesa è presenza che accompagna e anche presenza che prega e intercede,
che chiede la guarigione e la salvezza. Per S. Marsili e D. Sartori, la preghiera privata, si
sviluppa avendo come protagonisti i soggetti che agiscono da privati, in modo privato.
Essa è un atteggiamento inalienabile dall’uomo, ma esso non comporta l’isolamento o
l’indifferenza riguardo gli altri, perché costituirebbe una pseudo o falsa preghiera. Visto
che Cristo, maestro dell’unità è la sorgente e l’origine da dove scaturisce la preghiera,
alla stessa maniera in cui Cristo porta tutta l’umanità alla salvezza, il cristiano portando
tutti nella propria preghiera, coopera per la salvezza di tutti, incorporandosi attraverso ad
esempio, il Padre Nostro alla comune persona della Chiesa intera.164
La Chiesa comprende che la liberazione dalla malattia accompagna l’anelito di
felicità dell’uomo, perciò vede nella malattia un mezzo di unione con Cristo e di
purificazione spirituale per il malato, ma anche un’occasione di esercizio della carità che
favorisce un momento privilegiato di preghiera, sia per richiedere la grazia della
guarigione, sia per accogliere con fede la volontà divina. La malattia e la guarigione
hanno un senso e un valore nell’economia della salvezza, per quello la Chiesa si è
preoccupata di curare gli aspetti dottrinali affinché le guarigioni che sono segni della sua
missione messianica risanino l’uomo tutto intero, corpo e anima.165

III.2.3. La presenza del Risorto nell’appartenenza alla Chiesa

Giacché l’anima naturale della Chiesa si radica nel rapporto con gli uomini, essa
non può sostituire gli uomini con lo Spirito Santo. La natura umana diventa così
recipiente di una virtù soprannaturale e divina che la penetra. E tramite questa, diventa
un solo popolo, un solo corpo. Un solo regno per mezzo dei vincoli stretti a cui fa
riferimento (Ef 4,4), nella Chiesa si verifica l’unione degli spiriti, la fusione della volontà

163
Cfr. ADNÈS, L’unzione degli infermi, cit., pp. 21-26.
164
Cfr. MARSILI – SARTORE, «Liturgia», cit., p. 1051.
165
Cfr. CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Istruzione circa le preghiere per ottenere da
Dio la Guarigione (14 settembre 2000), Paoline, Città del Vaticano 2000, n. 1.

61
e l’armonia dell’azione.166 Riguardo l’azione della grazia, papa Pio XII affermò: «è
pacifico che i sacramenti del NT devono simbolizzare la grazia che producono e devono
produrre la grazia che simbolizzano»,167 circa un anno e mezzo prima, egli stesso
nell’Allocuzione al Concistoro del 20 febbraio affermava che «La Chiesa è il principio
vitale della società umana».168
O. Semmelroth asserisce l’indissolubilità di questo legame, dicendo che
l’appartenenza alla Chiesa equivale alla possessione della salvezza, mediante i due tipi
di grazia: quella abituale e quella giustificante che sono strettamente collegate e agiscono
sia in maniera oggettiva che soggettiva. In cosa consiste questa appartenenza? Ne è
membro della Chiesa chi contribuisce a realizzare il segno visibile sacramentale che è la
Chiesa stessa, attraverso gli atti dell’uomo e gli atti umani. Negli atti umani, ciò che rende
umana l’azione dell’uomo è la sua intenzione, una decisione della libera volontà che
nasce dalla conoscenza della relazione tra il mezzo e il fine.169
In termini generali, sono elementi costitutivi: il compiere il rito con la dovuta
intenzione, per entrambi le parti, sia il ministro che il ricevente; il rito, che in sé stesso è
espressione di una convinzione religiosa, ed e destinato ad estrinsecare un atteggiamento
interno. Per ciò l’uomo rimane membro della Chiesa, anche se internamente non aderisce
a tutto ciò che la Chiesa insegna, anche se soltanto da fuori ne professa la fede.170
Il dono comunitario dell’unzione può far percepire ai malati che non sono soli a
soffrire e che sono beneficiari in tutte le cure di cui sono oggetto, di una solidarietà dei
sani in cui si intravede con la fede la solidarietà della Chiesa.171 Tra i gesti di Gesù e le
sue intenzioni sacramentali all’interno della Chiesa anche oggi scaturisce una
comprensione del rapporto tra cristologia e antropologia nell’orizzonte dell’antropologia
e la teologia dell’Alleanza.172 La celebrazione sacramentaria dell’unzione degli infermi

166
Cfr. O. SEMMELROTH, La Chiesa sacramento di salvezza, (trad. G. GALEOTA), M. D’Auria, Napoli
1965, p. 113.
167
Cfr. PIO XII, Costituzione Apostolica Sacramentum ordinis (30 novembre 1947): AAS 40 (1948/5),
DH 3001.
168
Cfr. PIO XII, Allocuzione al Concistoro (20 febbraio 1946), n. 149: AAS 38 (1946).
169
Cfr. SEMMELROTH, La Chiesa sacramento di salvezza, cit., p. 123.
170
Cfr. Ibid., pp. 136-139.
171
Cfr. C. ORTEMANN, Il sacramento degli Infermi. Storia e Significato, Elle Di Ci, Torino 1971, pp.
86-112.
172
Cfr. MOIOLI, «L’unzione dei malati: il problema teologico della sua natura», cit., p. 48.

62
diventa sorgente nella vita della Chiesa,173 la salvezza raggiunge l’uomo e per mezzo
della celebrazione liturgica la storia della salvezza può trovare la sua attualizzazione.
L’uomo è radicalmente differente da Dio, ma è anche immagine e somiglianza Sua.174
La malattia non è necessariamente collegata al peccato, ma lo può produrre e perciò per
aiutare il malato a sperimentare la grande misericordia del Signore e il suo amore
concreto occorre che partecipi di questo intervento gratuito di Dio, della sua grazia divina
che può trovare nella celebrazione liturgico – sacramentaria.175 In quanto azione della
Chiesa è un atto eucaristico.176 In questo dialogo relazionale ci si introduce e mantiene
all’interno della comunione col Signore che impedisce ogni possesso e ogni identità per
vivere insieme un tempo di festa. Si celebra «perché il credere e il celebrare sono
strettamente uniti. La fede è anche la sua celebrazione».177

III.2.4. La presenza del Risorto negli uffici e ministeri verso gli infermi

Nei numeri 32 a 35 del Ordo del rito, troviamo che il corpo di Cristo ha il compito
della misericordia, i battezzati, i familiari, i sacerdoti e la comunità sono chiamati a
visitare personalmente e aiutare al malato. Inoltre, la preghiera d’intercessione è un
valido ausilio.

32. Nel Corpo di Cristo che è la Chiesa, se un membro soffre, soffrono con lui tutti
gli altri membri (1 Cor 12,26).178 Perciò la misericordia verso gli infermi e le
cosiddette opere caritative e di mutuo aiuto, destinate ad alleviare ogni umano
bisogno, sono tenute dalla Chiesa in grande onore;179 e tutti i tentativi della scienza
per prolungare la longevità biologica180 e tutte le premure verso gli infermi, chiunque

173
Cfr. BONACCORSO, Celebrare la Salvezza lineamenti di Liturgia, cit., p. 63.
174
Cfr. Ibid., p. 146.
175
Cfr. Ibid., p. 68.
176
Cfr. Ibid., p. 144.
177
Cfr. Ibid., p. 59.
178
Cfr. CONCILIO VATICANO II, Costituzione dogmatica Lumen Gentium (21 novembre 1964), n. 7:
EV 1/ 298.
179
Cfr. CONCILIO VATICANO II, Decreto Apostolicam Actuositatem (18 novembre 1965), n. 8: EV 1/
944.
180
Cfr. CONCILIO VATICANO II, Costituzione pastorale Gaudium et Spes (7 dicembre 1965), n. 18: EV
1/1371.

63
le abbia o le usi, si possono considerare come preparazione ad accogliere il vangelo
e partecipazione al ministero di Cristo che conforta i malati.181
33. È quindi ottima cosa che tutti i battezzati partecipino a questo mutuo servizio di
carità tra le membra del Corpo di Cristo, sia nella lotta contro la malattia e nell’amore
premuroso verso i malati, sia nella celebrazione dei sacramenti degli infermi. Anche
questi sacramenti infatti, hanno, come tutti gli altri, un carattere comunitario, e tale
carattere deve risultare, per quanto è possibile nella loro celebrazione.
34. In questo servizio di carità, prestato a sollievo dei malati, hanno un compito tutto
particolare i familiari dei malati stessi e coloro che in qualsiasi modo sono addetti
alla loro cura; tocca a loro soprattutto confortare i malati con parole di fede e con la
preghiera comune, raccomandarli al Signore sofferente e glorificato, esortarli anzi a
unirsi spontaneamente alla passione e morte di Cristo, per contribuire al bene del
popolo di Dio;182 se poi il male si aggrava, tocca ancora a loro avvertire il parroco, e
con delicatezza e prudenza preparare il malato a ricevere tempestivamente i
sacramenti.
35. Si ricordino i parroci e ai vescovi, parroci e i loro cooperatori, i cappellani di
ospedali o di case di riposo e i superiori delle comunità religiose clericali, che è loro
dovere visitare personalmente e con premurosa frequenza i malati, e aiutarli con senso
profondo di carità secondo il can. 468 paragrafo 1 del CIC. Soprattutto quando
amministrano i sacramenti, cerchino di rendere più salda la speranza e più viva la
fede di tutti i presenti nel Cristo sofferente e glorificato; con questo richiamo alla
premura materna della Chiesa e al conforto che proviene dalla fede, recheranno
sollievo ai credenti, e ridesteranno negli altri il senso delle realtà ultraterrene.

Per l’ordinamento del rito del Sacramento dell’Unzione occorre che il sacerdote
prepari il rito e predisponga il suo svolgimento informandosi previamente sulla
condizione dell’infermo, così da scegliere la lettura biblica e le orazioni adatte, per
discernere se è opportuna la celebrazione o meno della messa e l’eventuale conferimento
del viatico, ecc.183
All’interno dei ruoli e uffici, secondo il teologo A. Grillo, il ruolo dei medici
assume implicitamente una funzione di direttore spirituale, ma il più delle volte
improvvisata, trovandosi davanti alla complessità dell’uomo che insieme ai mali fisici
vive la crisi che a esso ne consegue. Di questa sua tesi ne danno prova sia testi biblici
che altri testi fondamentali per la medicina; in essi si afferma questa delega implicita di
una funzione sacerdotale. P. Adnès invece, solleva la distinzione per cui il medico cura
la malattia, mentre alla Chiesa urge il malato col sacramento destinato ai malati.
Il primo confronto lo troviamo nella Sacra Scrittura:
Onora il medico per le sue prestazioni, perché il Signore ha creato anche lui.
Dall’Altissimo infatti viene la guarigione, e anche dal re riceve doni. La
scienza del medico lo fa procedere a testa alta, egli è ammirato anche tra i
grandi. Il Signore ha creato medicamenti dalla terra, l’uomo assennato non li
disprezza. L’acqua non fu resa dolce per mezzo di un legno, per far conoscere
la potenza di lui? Ed egli ha dato agli uomini la scienza perché fosse

181
Cfr. CONCILIO VATICANO II, Lumen Gentium, cit., n. 28: EV 1/354.
182
Cfr. Ibid., n. 21: EV 1/334-335.
183
Cfr. SUCPI, n. 37.

64
glorificato nelle sue meraviglie. Con esse il medico cura e toglie il dolore, con
queste il farmacista prepara le misture. Certo non verranno meno le opere del
Signore; da lui proviene il benessere sulla terra. Figlio, non trascurarti nella
malattia, ma prega il Signore ed egli ti guarirà. Allontana l’errore, regola le
tue mani, purifica il cuore da ogni peccato. Offri l’incenso e un memoriale di
fior di farina e sacrifici pingui secondo le tue possibilità. Poi ricorri pure al
medico, perché il Signore ha creato anche lui: non stia lontano da te, poiché
c’è bisogno di lui. Ci sono casi in cui il successo è nelle loro mani; anch’essi
infatti pregano il Signore perché conceda loro di dare sollievo e guarigione
per salvare la vita. Chi pecca contro il proprio creatore cada nelle mani del
medico.184

Così non è soltanto il ministro ad essere impiegato nella vita che viene fuori
dall’unzione degli infermi, ma si tratta di un tessuto ecclesiale più ampio che è veicolo,
canale e presenza della grazia di Dio.
Riguardo la visita del Ministro dell’Eucaristia, l’eucaristia è riconciliazione e
farmaco. Il corpo di Cristo esprime l’avere Dio per Padre, l’essere corpo del Figlio; è
mangiare e fare comunione con Cristo; una comunione che viene dall’ascolto della Parola
e la professione di fede nella liturgia della Parola. Così anche nel letto del dolore si può
vivere questa relazione filiale col Padre e gustare la comunione col Padre in Cristo.185
Quando il malato riceve l’eucaristia gli è permesso di partecipare del perdono battesimale
e della guarigione eucaristica della Chiesa. Con la sua preghiera può scoprire che non è
da solo, ma fa parte di un corpo, che per altro è stato raccomandato in nome di Gesù a
visitare gli ammalati.186

III.2.5. La presenza del Risorto nella dimensione ecclesiale della malattia

La comunitarietà è un carattere dell’unzione per almeno tre motivi: primo, perché


l’ecclesialità qualifica ogni vero sacramento; secondo, l’unzione rappresenta il segno del
conforto non soltanto del Cristo ma anche della Chiesa; terzo, la comunitarietà si mostra
fondamentale perché l’unzione come segno efficace corona tutto un complesso di altri

184
Cfr. Sir 38,1-15.
185
Cfr. BONACCORSO, Celebrare la Salvezza lineamenti di Liturgia, cit., p. 140.
186
Cfr. GRILLO, Sacramenti spiegati ai bambini, cit., pp. 74-77.

65
segni efficaci di intervento sui malati fatti dalla intera comunità. L’ecclesialità e la
comunitarietà sono essenziali sempre.187
Nel gesto dell’unzione c’è la presenza della comunità liturgico-ecclesiale e la
comunitarietà è veramente il luogo “terapeutico” del Cristo che salva. La presenza dello
Spirito Santo è determinante e qualificante, perché essa crea l’ambiente privilegiato in
qui il mistero pasquale agisce. La celebrazione dell’unzione assicura la misteriosa
presenza del Signore e trasmette il dono vivificante della Chiesa.188
La Chiesa è corpo di Cristo, e allo stesso tempo è in divenire, è un continuo farsi
corpo di Cristo. Alla stessa maniera che Cristo si offre offrendo la Chiesa (1 Cor 10,16-
17). È la comunità che si ritrova in un luogo. Nell’eucarestia si realizza pienamente il
culto spirituale dei cristiani. Il segno sacramentale è il Corpo stesso che nella sua totalità
si offre e viene trasformato. Il sacerdozio comune e il sacerdozio ministeriale sono
entrambi finalizzati al culto spirituale eucaristico di Cristo, entrambe sono parte
integrante e costitutiva della Liturgia. Nella liturgia il segno diventa non solo espressione,
ma anche veicolo di grazia effettiva. È nella celebrazione che la Chiesa si scopre Chiesa.
È nel segno che ci riconosciamo uniti e facciamo esperienza della salvezza e dell’essere
Chiesa. Questa è l’esperienza che introduce il malato nel mistero celebrato.189
Per il nuovo rituale, la comunitarietà si realizza in una lotta comune contro la
malattia, nell’azione pastorale di assistenza religiosa ai malati (n. 35), nell’adeguata
catechesi (nn. 36.37) e nella incarnazione della dimensione comunitaria del rito (nn.
17.33).190
Davanti alla realtà antropologica e psicologica che accompagna l’uomo,
denominata da Robert Langs come angoscia della morte e angoscia della sanità, il
sacramento si propone all’interno della comunità ecclesiale come presenza che risponde
alle angosce fondamentali della vita e a quelle relative all’inevitabilità della morte.
L’inserimento ecclesiale permette di rispondere alle problematiche di interazione con il
mondo che possono persino derivare in patologie di esclusione in maniera inconscia. La
presenza dell’altro produce una rinascita ad un assetto sano della personalità e rinnova la
forza per trovare un nuovo equilibrio al disturbo emozionale e psicofisico prodotto dalla

187
Cfr. GOZZELINO, L’unzione degli infermi, cit., pp. 171-173.
188
Cfr. DONGHI, L’olio della speranza, cit., pp. 80-85.
189
Cfr. GRAMMATICA, TKŠ Teologická korespondenční Škola, ST, cit., Lezioni 1, 5-7.
190
Cfr. GOZZELINO, L’unzione degli infermi, cit., pp. 174-176.

66
malattia. Altre angosce come quella dell’abbandono, la separazione, la perdita, o quella
stessa della malattia vengono superate facendo entrare la persona in una nuova
dimensione dialogica. «La vita non può mai cedere alla morte», disse C.G. Jung. La vita
non è un bene accessorio, occorre per ciò educare alla coscienza della vita biologica,
spirituale, comunitaria e interpersonale. È importante riconciliarsi con sé stessi, con la
vita e con Dio in una condiscendenza a tutto ciò che avviene come segno di
riconoscimento del disegno di Dio onnicomprensivo nell’unica esperienza di salvezza.191
Riguardo questa realtà antropologica complessa che coinvolge la totalità
dell’uomo, non è possibile avere un atteggiamento ascetico di pia rassegnazione o
accettazione.192 La malattia è un’opportunità che fa spazio ad un nuovo rapporto di
dialogo in preghiera col Signore. È lo stesso Signore che si preoccupa per la salute del
corpo e dell’anima. Il malato è un annuncio e una testimonianza per il corpo intero di
Cristo. Nella sua Chiesa «la celebrazione della penitenza è aperta anche alla guarigione
e la celebrazione dell’unzione degli infermi presuppone l’atteggiamento di conversione».
Dio delega autorità all’uomo per prendersi cura di sé stesso e degli altri e allo stesso
tempo con l’annuncio del suo regno segnala la propria signoria su tutte le cose e vicende
umane.193 La malattia allora, non è più uno stato di vita e di santificazione, ma una forte
esperienza suscettibile di apertura al mistero del soprannaturale; non ha una spiritualità
propria. Sa da provocazione nei confronti della Chiesa, chiamata tutta alla logica della
croce,194 ma anche alla logica della risurrezione che ne viene in Gesù.
La malattia entra allora nella Providenza divina come parte dell’economia della
salvezza, per cui con Giovanni evangelista possiamo affermare davanti a qualsiasi genere
di malattia che «non porterà alla morte [eterna], ma è per la gloria di Dio, affinché per
mezzo di essa il Figlio di Dio venga glorificato».195
A conclusione di questo capitolo abbiamo ricavato le conseguenze della presenza
del Risorto sia per il malato che per la Chiesa e riaffermato che sono interrelati giacché
è nella comunitarietà e attraverso di essa che si trasmette il dono vivificante del Risorto
al malato.

191
Cfr. TERRIN, «Unzione degli infermi», cit., pp. 1824-1825.
192
Cfr. COLOMBO – CIBIEN, «Unzione degli infermi», cit., p. 2039.
193
Cfr. BONACCORSO, Celebrare la Salvezza lineamenti di Liturgia, cit., pp.154-155.
194
Cfr. COLOMBO – CIBIEN, «Unzione degli infermi», cit., p. 2039.
195
Cfr. Gv 11,4.

67
68
CONCLUSIONE

L’unzione degli infermi è una risposta alla ricerca profonda dell’uomo di sentirsi
amato, in essa si innesca anche nel profondo dell’uomo una ricerca più grande, più
significativa, quella della salvezza. La malattia può essere o non essere legata ad un
peccato, ma certamente il sacramento vuole agire operando non soltanto per la guarigione
fisica, ma innanzitutto per la salvezza dell’anima sofferente. Nella malattia come in altre
prove della vita c’è un passaggio particolare del Signore, un’opportunità di grazia che
acquista un volto visibile, la Presenza del Risorto, nella presenza della sua Comunità con
dei singoli individui che sono il suo volto, le sue mani, il suo amore concreto e tangibile.
La liturgia è vita che viene celebrata attraverso un rito, attualizzata e interpretata
attraverso una particolare esperienza di salvezza, è un’azione ecclesiale che esprime la
identità della comunità, in essa il popolo di Dio riconosce il suo legame con Lui, è anche
epifania trinitaria vissuta e attualizzata, per la sua dinamicità la si chiama propriamente
azione liturgica. Mentre il rito può variare, la sua motivazione, il perché di esso rimane
immutabile. La liturgia propriamente detta non è soltanto un fatto tradizionale nemmeno
un fatto giuridico, ma è una celebrazione autentica inserita nella storia della salvezza, il
legame tra Dio e l’uomo viene istaurato attraverso il rito e la sua attuazione nell’orizzonte
del momento storico salvifico compiuto già da Gesù. Cristo è presente nella Chiesa nel
memoriale, la sua presenza sta nel rito e attraverso il rito. L’azione liturgica è azione e
presenza del Cristo nella Chiesa. La Rivelazione che è storia della salvezza è la vera
chiave di interpretazione del culto e della natura della liturgia. La liturgia essendo azione
salvifica di Cristo nella Chiesa rende presente il fato storico salvifico mediante la grazia
comunicata attraverso dei segni celebrativi, c’è la memoria e la presenza.196
La natura in cui vive l’uomo è un’immensa foresta di simboli,197 essi pervadono
tutti gli ambiti della vita, e occorre tornare al valore simbolico del sacramento
dell’unzione. Nel sacramento dell’unzione ne è fonte la benedizione dell’olio da parte
del vescovo, mentre il gesto dell’unzione è il momento applicativo di ciò che è già stato

196
Cfr. GRAMMATICA, TKŠ Teologická korespondenční Škola, ST, cit., Lezioni 1.7.
197
Cfr. MAZZANTI, Sacramenti. Simbolo e Teologia, cit., p. 62, n. 112 riporta la poesia di C.
BAUDELAIRE, Le fleurs du Mal in Frye, Il grande codice, 102, Einaudi 1986: «La nature est un
temple ou de vivants piliers, laissent parfois sortir de confuses paroles, l’homme y passe à travers
des forêts de symboles, qui l’osservante avec de regardes familiars».

69
198
celebrato, qui subentrano la corporeità e l’uso del colore liturgico bianco come
apertura al Risorto.
Nel presente lavoro abbiamo accennato alla risposta che la Chiesa ha dato in alcuni
dei documenti Magisteriali più rilevanti. La risposta della Chiesa coinvolge attivamente
tutti i membri di essa nel renderli partecipi della vita del Risorto, particolarmente a chi
attraversa per un momento di fragilità, vulnerabilità e possibile disperazione.
La guarigione prende la figura di una risurrezione, non intesa come restituzione
dell’equilibrio anteriore, ne ritorno al tipo di esistenza interrotto dalla malattia, ma vita
nuova. La malattia permette di rovesciare la scala dei valori per ritrovare l’essenziale, in
questa donazione di significato la malattia è una seconda nascita, non la guarigione
stessa. Spetta alla libertà assumere o respingere questa seconda nascita e in questo senso
il ruolo della comunità-della Chiesa, dell’oikos, è sostegno fondamentale per costruire la
vera libertà nella ricerca di senso. L’unzione è segno di una grazia dello Spirito, procura
il sollievo del malato, cancella i postumi del peccato, dà il senso della guarigione, ed
eventualmente può rimettere i peccati. Perché ci sia una sensibilizzazione riguardo la
realtà della patologia, o la malattia come una realtà facente parte della condizione attuale
dell’uomo è necessario familiarizzare i credenti con la possibilità di una malattia
personale o vicina e aggiungere ad esse la fede, la speranza e la carità. La comunità
ecclesiale deve percepire la propria responsabilità e il proprio impegno verso i malati
come un’esigenza privilegiata dell’annuncio e dell’esistenza evangelica.
Con lo scandire della pastorale sanitaria nel percorso si evita di scadere
nell’intendere il rito dell’unzione come un “atto magico”. La pastorale sanitaria allora
riprenderebbe l’unità che è stata dissociata a partire della Rivoluzione Francese, per cui
sono stati isolati i problemi del corpo da quelli dell’anima. Sia il medico che la famiglia
e la comunità cristiana collaborano nella cura del paziente e nel trovare risposta alla
domanda spirituale che accompagna ogni malattia seria.
La lettera di Giacomo (Gc 5,14-15) ci fa vedere un rito istituzionalizzato che fa
venire ai presbiteri della Chiesa e ha un carattere ecclesiale, la sua efficacia dipende dalla
presenza di Cristo risuscitato e salvatore. I presbiteri – gli anziani pregano e la preghiera
fatta con fede produce degli effetti tra cui la remissione dei peccati se è necessaria
favorisce l’arrivo della salvezza, effetto primario dell’unzione. Il culto esteriore è

198
Cfr. DONGHI, L’olio della speranza, cit., p. 100, riporta Ph. ROUILLARD, «Le ministre du sacrament
de l’onction des malades», in Nouvelle Revue Théoloquique 3 (1979), pp. 395-402.

70
collegato con un atteggiamento interiore: il bisogno della salvezza nella situazione
concreta della malattia. La santità non sta soltanto nelle grandi opere, ma nei piccoli gesti
del quotidiano, essa esprime la fiducia in Dio e l’azione misericordiosa verso i fratelli, il
concetto di misericordia,199 alla cui siamo chiamati tutti: malati e sani.
All’inizio del nostro lavoro ci siamo posti le domande: Che vita entra nella
celebrazione? Cosa comporta la celebrazione? Che vita ne esce? Avendo fatto insieme
questo percorso possiamo ora rispondere.
Entra una vita colpita nella sua unità esistenziale, che esperimenta precarietà e
vulnerabilità, contingenza e desiderio di trovare senso nel dialogo con Dio, con sé, con
gli altri. Entra una vita aperta al mistero del soprannaturale, con una richiesta profonda
di essere liberata dalla superbia, dall’autosufficienza, dal dolore, dalla paura,
dall’angoscia. Entra una vita bisognosa di comprensione e amore, di conforto,
incoraggiamento e accompagnamento. L’uomo può, sia perdere la logica della grazia e
della speranza, sia vivere un tempo particolare di apertura ad esse.
La celebrazione liturgica è celebrazione del mistero pasquale per cui nel sacramento
dell’unzione il malato viene inserito nella morte di Cristo per risorgere con Lui. La
Chiesa partecipando nella celebrazione liturgica agisce per celebrare l’assistenza della
grazia donata al malato. Cristo intercede davanti al Padre, mentre si celebra egli
sconvolge le nostre proiezioni e previsioni,200 ha voluto entrare nella nostra storia,
salvando tutti gli uomini e tutto l’uomo; nella credenza che «il malato in tutto il proprio
essere patisce la realtà e che il dolore è veicolo di conoscenza per immedesimazione».201
Il sacramento dell’unzione ha una natura poliedrica, per essa i sacramenti si
inseriscono nell’ordine della redenzione del cosmo, l’uomo è redento perché la sua natura
è stata assunta da Cristo.202 Nella triade mistero, celebrazione e vita, il mistero entra
nella celebrazione attraverso il memoriale, il come della celebrazione è stabilito dal OUI
- SUCPI come atto ecclesiale e ha come scopo produrre la vita. Il mistero pasquale è
quello di un Cristo sofferente che ha assunto la malattia, e il peccato su di sé e li ha vinti.
Che è morto, ma che ha vinto risorgendo.

199
Cfr. A. GRAMMATICA, En el camino del papa Francisco, A.E.P.C., Padova 2020, pp. 120-121.
200
Cfr. BONACCORSO, Celebrare la Salvezza lineamenti di Liturgia, cit., p. 53.
201
Cfr. S. NATOLI, L’esperienza del dolore. Le forme del patire nella cultura occidentale, Feltrinelli,
Milano 19926, p. 8.
202
Cfr. SEMMELROTH, La Chiesa sacramento di salvezza, cit., pp. 103-112.

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La fede viene celebrata e diventa operante. Il sacramento è la celebrazione
dell’energia pasquale che trasforma. La dinamica storico-salvifica si verifica all’interno
della comunità ecclesiale dove ogni membro esercita un suo ruolo, la Chiesa celebra e
prega in Spirito Santo e le sequenze rituali facilitano la realizzazione e attualizzazione
dell’accoglienza della vita nuova. La struttura dell’azione rituale cura i momenti e i
simboli ed essa è inserita nel quadro globale di tutta la pastorale dei malati come elemento
vertice, a essa accompagnano la cura quotidiana degli aspetti sanitari, antropologici e
relazionali che facilitano l’apertura e l’accoglienza della grazia. La Chiesa celebra
attraverso una partecipazione dinamica l’incontro con Dio e l’amore riversatosi in Gesù
per il singolo nel mistero pasquale. Si istituisce quel cerchio virtuoso tra cura sanitaria,
comunità, ministri, presidenza, liturgia della parola e liturgia eucaristica; i gesti, le parole,
le presenze e le relazioni sono la Presenza del Risorto espressione sacramentale del «per
sempre» di Dio. La logica sacramentale rende tangibile la grazia nel corpo attraverso i
segni che l’accompagnano e ricorda al corpo la sua dignità spirituale. L’unzione ha
effetti sia fisici che metafisici, perché la propria vita viene donata e scambiata con quella
di Cristo.
Nella celebrazione c’è una epifania, nel rito avviene “un incontro” salvifico. In
questo modo esce una vita abbandonata di più nel Signore, in un processo di
riunificazione, cosciente sì della sua creaturalità, ma anche dell’amore del Creatore, che
sa riconoscere il primato divino. Una vita illuminata e sorretta dalla fede, con sguardo
escatologico in attesa della gloria. La vita di un battezzato che in mezzo alla sofferenza
si sa accompagnato da Cristo e dai suoi. L’amore divino diventa fonte ultima del senso
alla malattia. Esce un cristiano con maturità e grandezza spirituali che vede anche nel
dolore la luce della salvezza. Lo Spirito Santo viene in aiuto per dargli fortezza, sollievo
e il dono di saper vivere e lottare nella propria malattia per conseguire anche la
guarigione. Esce una vita confortata nell’anima, nel corpo e nello spirito, con nuova
speranza nell’attesa della risurrezione. La liberazione dai peccati e la guarigione fisica
risolvono i due ambiti di guarigione dei sacramenti: quello della colpa e quello della
malattia. Esce un nuovo rapporto con Dio, l’uomo chiamato a rendere testimonianza di
un piano trascendente che supera le difficoltà di questa vita, si rende fratello degli altri.
Escono nuove relazioni interpersonali: la Chiesa è strumento del Risorto e il malato
diventa testimone per essa.
Il malato esperimenta nella malattia un sigillo della salvezza operata già dal
battesimo, è la stessa grazia che si esprime, rivive, è grazia battesimale in atto, un

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ricupero del suo tessuto relazionale, i frutti dello Spirito che denotano una guarigione
interiore, entra in un iter di maturazione umana e cristiana e si apre al futuro. Esperimenta
la solidarietà, la preghiera, il sostegno nell’appartenenza alla Chiesa.
Ci si è indirizzati seguendo tre principi ermeneutici: la celebrazione liturgica come
celebrazione del Mistero Pasquale di Cristo; il principio della partecipazione; e l’actio
celebrata. Dalla posizione attuale della Chiesa oggi si deve evitare di considerare il
sacramento dell’unzione come l’estrema unzione. Rimane aperta la questione dei ministri
straordinari, l’amministrazione dei sacramenti in via straordinaria e con essi
l’ampliamento del concetto di ministro proprio. Si apre lo spazio per approfondire
l’inserimento ecclesiale del diacono; l’inclusione della corporeità in maniera simbolica.
Un'altra area di opportunità sta nel coinvolgimento del ruolo della Vergine Maria, un
ruolo da essere ricuperato nel Rito, riconoscendo la sua materna partecipazione alle
sofferenze umane, e invocandola come «Salute degli infermi». Si suggerisce di ricuperare
la presenza e la partecipazione attiva attraverso le parole e i gesti per rendere più visibile
la Presenza.
Concludiamo con un’affermazione di A. Grillo nel suo libro I sacramenti spiegati
ai bambini:
La guarigione dell’unzione dei malati è poter amare ancora, sentendosi amati. Il
malato grave si riconosce riconosciuto. Così, può non solo ascoltare una parola
buona, ma può annunciare il Vangelo dell’amore. Nella sua carne sofferente spira
uno spirito di speranza, nonostante tutto, il bene vince il male.203

203
Cfr. GRILLO, Sacramenti spiegati ai bambini, cit., pp. 63-64.

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