Domande. 1)Quali università ha frequentato Galileo? Pisa e Padova 2)Quanti processi ha subito Galileo e per quali ragioni? Tre: il primo per la negazione del libero arbitrio, il secondo per la diffusione del sistema copernicano, il terzo per disobbedienza alle autorità ecclesiastiche 3)Quali elementi rilevati da Galileo confutano la fisica e l’astronomia di Aristotele? La caduta dei gravi che non dipende dal peso dei corpi, l’esplosione di una stella che attesta non sono fatte di etere 4)Quali scoperte astronomiche ha fatto Galileo? La via Lattea, le corrugazioni della Luna, le macchie del Sole, i satelliti di Giove, gli anelli di Saturno, le fasi di Venere (la prova del copernicanesimo) 5)Quali errori ha compiuto Galileo? Credeva che le comete fossero effetti ottici, che gli anelli di Saturno fossero pianeti, che i pianeti avessero un’orbita circolare, che le maree dipendessero dalla rotazione della Terra 6)Quale rapporto ci deve essere tra fede e scienza secondo Galileo? La Sacra Scrittura non è un trattato di astronomia e non bisogna interpretare i passi astronomici in modo letterale, ma talvolta in modo metaforico. 7)Su quali elementi si fonda il metodo scientifico di Galileo? Sull’osservazione diretta della natura, potenziata dagli strumenti, come il cannocchiale. Galileo contesta il “principio di autorità” nell’ambito della scienza, perché più di quello che hanno scritto i sapienti del mondo antico, conta l’osservazione diretta della natura che ha una struttura razionale comprensibile. Galileo non se la prende con Aristotele, che considera un grande ingegno, ma con gli aristotelici che prendono per oro colato quanto ha detto Aristotele, tradendo Aristotele stesso che invece un acuto osservatore della natura. La scienza più esattamente deve procedere da “sensate esperienze” e “necessarie dimostrazioni”. La scienze cioè deve appoggiarsi ad osservazioni attente e poi tradurre queste osservazioni in termini matematici cosicché tutti possano riconoscere le leggi che regolano la natura. La matematica è il linguaggio della natura che è accessibile a tutti gli uomini, è il linguaggio universale dell’umanità. La scienza deve saper poi riprodurre le leggi attraverso degli esperimenti appositi cosicché tutti gli uomini si convincano di tali leggi. Con Galileo la scienza più che una teoria è una verifica da laboratorio. Scienza, fede e filosofia sono tre ambiti di conoscenza distinti, perché la scienza riguarda come è fatto il mondo, la fede riguarda il rapporto con Dio e la filosofia ha come fine quello di spiegare il perché dei fenomeni. Cartesio (1596-1650) Cartesio filosofo e matematico durante la guerra dei Trent’anni si arruolò volontariamente nell’esercito francese e con esso si mosse in Germania e in Italia. Nel 1629 si trasferì in Olanda per il timore della censura ecclesiastica francese. Morì in Svezia per una polmonite. Era stato invitato dalla regina Cristina di Svezia a farle da precettore ma siccome doveva fare lezione alla regina la mattina presto quando le temperature erano più rigide egli non resse al freddo svedese. Le opere più importanti di Cartesio sono: Il discorso sul metodo (1637): la prima opera filosofica scritta in francese; Le meditazioni metafisiche (1641); Le passioni dell’anima (1649) scritte per la principessa Elisabetta del Palatinato. Ne’ “Il discorso sul metodo” Cartesio sostiene che l’unico metodo di conoscenza certo sia quello della matematica, tale metodo andrebbe esteso anche alle altre forme di conoscenza, come la metafisica e la morale. Il metodo della matematica segue quattro regole: 1. L’evidenza: in matematica si parte dagli assiomi che sono verità evidenti e non dimostrate. Per Cartesio quindi ogni conoscenza deve partire da ciò che è chiaro e distinto che sono le due caratteristiche dell’evidenza. 2. L’analisi: di fronte alla complessità delle cose, la matematica scompone in parti più semplici. 3. La sintesi: una volta scomposto in parti semplici il procedimento matematico procede alla ricomposizione delle parti per afferrare la complessità. 4. L’enumerazione: la revisione dei passaggi per vedere se ci sono errori o omissioni. Da questo metodo discende che di fronte ad una conoscenza incerta dobbiamo dubitare, anziché essere assertivi. Per Cartesio è ragionevole dubitare delle nostre conoscenze che non si fondano sulle evidenze; si tratta del dubbio metodico. Nelle Meditazioni metafisiche Cartesio intensifica il tema del dubbio. Dei sensi dobbiamo dubitare, perché a volte ci ingannano, ad esempio quando ci fanno credere che il bastoncino immerso nell’acqua sia ricurvo, mentre in realtà non lo è. E’ ragionevole dunque non dare ai sensi completa fiducia. Inoltre chi mi dice che adesso non stia dormendo? L’unica cosa che vale sia quando dormiamo che quando siamo svegli sono le conoscenze aritmetiche e geometriche, che 2+3=5 o che il quadrato ha quattro lati. Tuttavia per quanto queste realtà appaiano chiare e distinte, anche su queste verità è possibile esercitare il dubbio. Per Cartesio la nostra mente può estendere ulteriormente il dubbio, come faceva la demonologia al tempo di Cartesio. Noi possiamo immaginare di essere ingannati continuamente da un genio maligno che ci fa credere che 2+3= 5 e che il quadrato ha quattro lati, mentre in realtà non è così. Questo dubbio è il dubbio più estremo concepibile dalla mente umana ed è detto dubbio iperbolico. Tuttavia c’è qualcosa di cui posso essere certo anche se un genio maligno mi ingannasse sempre, vale a dire che per ingannarmi io comunque esisto; mi accorgo di esistere perché penso, anche se i miei pensieri sono ingannevoli. “Cogito, ergo sum” = Io penso, dunque esisto: ecco l’unica verità che il dubbio iperbolico non può scalzare. Il “Cogito, ergo sum” non è ragionamento ma un’evidenza immediata della ragione.
Per superare il dubbio iperbolico Cartesio fa un esercizio di introspezione
sulle proprie idee. Il filosofo distingue nella mente tre categorie di idee: a. Idee avventizie, che provengono (dal latino ad-venire) dall’esterno (come le idee degli altri uomini e delle cose naturali); b. Idee fattizie, costruite da noi stessi (come le idee chimeriche e fantastiche, come quelle del cavallo alato o delle sirene); c. Idee innate, che non possono derivare dall’esterno o da una mia creazione, ma che sembrano “nate con me” (come le idee matematiche). Ora tra le idee innate c’è anche quella di Dio. Noi ci figuriamo Dio come una sostanza infinita, eterna, perfetta, ma siamo esseri imperfetti. L’idea di Dio da dove ci viene? Non può che venirci da Dio stesso che è la Perfezione. Siccome poi un Essere Perfetto non può essere malvagio, perché la malvagità non è una perfezione, allora significa che l’idea di Dio non è frutto di un genio maligno. L’idea di Dio si sottrae all’ipotesi del dubbio iperbolico. Cartesio presenta la prova ontologica già formulata nel Medioevo da Anselmo d’Aosta. Dunque Cartesio ha colto la validità di due verità: la propria esistenza come essere pensante e l’ esistenza di Dio. Dio è il garante dell’ affidabilità della nostra ragione, della nostra capacità conoscitiva, lo riconosciamo come esistente attraverso l’idea di perfezione e una volta ammesso come esistente non possiamo ammettere che lasci poi la mente nostra, di cui è creatore, in balia del genio maligno, in balia dell’inganno. Allora perché compiamo degli errori di ragionamento? L’errore non deriva dall’intelletto, ma dalla volontà, che in noi è molto ampia ed estesa, è talvolta spinge l’intelletto a dare l’assenso a cose che non percepisce chiaramente e distintamente. Dietro ogni conoscenza sta la libertà che direziona l’intelligenza e se la libertà non è disponibile, la conoscenza diventa superficiale. Cartesio sostiene che il nostro intelletto è pienamente affidabile soltanto quando l’adoperiamo come Dio vuole e ci spinge a fare, cioè seguendo la regola dell’ evidenza. Ad esempio, possiamo con assoluta certezza stabilire che 2+3=5, poiché Dio ci ha dato idee matematiche chiare distinte. In ogni caso la nostra capacità conoscitiva essendo frutto di un Dio buono non è da screditarsi, Dio non ci ha dotati di un intelletto fallace! Dio gioca un ruolo fondamentale nell’elaborazione della scienza, perché è grazie alla sua esistenza che lo scienziato può essere certo di non sbagliare quando procede a identificare e a collegare le leggi naturali in un tessuto complesso di conoscenze. Il mondo esterno è consistente perché questa sua consistenza noi la percepiamo con evidenza e Dio che è buono non ci dà un’evidenza illusoria. Cosa conosciamo veramente del mondo fisico? Quando esaminiamo un pezzo di cera che prima è duro e poi al contatto col fuoco si scioglie, certamente non abbiamo una forma che permane, ma sempre qualcosa di esteso nello spazio: la vera natura della cera consiste, pertanto, non nella forma, ma unicamente nell’ estensione, ovvero che occupi uno spazio fisico. Il mondo si presenta a Cartesio come materia, ossia come una grande “ sostanza estesa” ( res exstensa ). Cartesio ritiene che il mondo sia una materia uniforme e continua e riempie allo stesso modo lunghezza, larghezza e profondità dello spazio. Egli nega la possibilità del vuoto e considera il mondo come un tutto pieno. Per Cartesio nell’ universo fisico non c’è incremento o decremento dell’ estensione. Nella materia c’è solo variazione di forma, come avviene nel caso di una spugna che muta il suo aspetto quando è piena d’acqua, risultando più compatta e meno estesa di quando è vuota e secca, ma non cambia la quantità di materia. La fisica cartesiana è un sistema semplice e rigorosamente meccanicistico, che si fonda su due principi: a. La materia inerte; b. Il moto costante che Dio ha impresso nella creazione all’atto della creazione. La natura per Cartesio è come una macchina, un congegno organizzato. La sua visione dell’universo è infatti definita “ meccanicismo”. L’esempio a cui spesso Cartesio fa riferimento è quello dell’ orologio in quanto ordigno formato da un perfetto ingranaggio di piccole ruote in movimento. Per Cartesio esistono due realtà separate: a. La res exstensa (la sostanza estesa); b. La res cogitans (la sostanza pensante). Con il pensiero coincide l’anima autonoma rispetto al corpo che è res exstensa. E’ il dualismo, per cui c’è un puro pensiero del tutto indipendente dai processi fisiologici, perfino da quelli del cervello. Per Cartesio se il cervello si lesiona, l’anima non viene lesa. Cartesio cercò di identificare il luogo in cui l’anima ( o mente ) interagisce con il corpo, individuandolo all’interno del cervello, nella cosiddetta ghiandola pineale, l’unica componente del cervello non divisa in due parti simmetriche e pertanto in grado di unificare le sensazioni provenienti dagli organi di senso. Ne’ Le passioni dell’anima Cartesio distingue tra azioni e passioni, le azioni sono frutto della nostra libertà, mentre le passioni sono involontarie, dipendono dalle forze che regolano il corpo umano. Le passioni non sono di per sé negative o positive, a volte sono efficaci per salvarci la vita, come la paura del vuoto o del fuoco, altre volte ci allietano la vita con l’allegria e l’amore, altre volte favoriscono la conoscenza come la meraviglia, altre volte ancora ci incupiscono come la tristezza e l’odio. Come i greci anche Cartesio sostiene che le persone sagge sanno evitare gli eccessi, cioè il cattivo uso delle passioni, che rendono schiavo l’uomo di esse. Per Cartesio l’uomo saggio, che sa regolare se stesso, è l’uomo effettivamente libero. Come Socrate ritiene che sia la capacità di riflessione a lungo esercitata a rendere l’uomo saggio e libero. Blaise Pascal (1623-1662) Pascal è un filosofo esistenzialista che concepisce la filosofia come una riflessione sulla vita non sul mondo o sulla scienza. La filosofia pascaliana ha una chiara curvatura religiosa, perché ritiene che solo la religione spieghi bene cos’è l’uomo e quale sia la sua condizione effettiva. Pascal ha compiuto numerosi studi scientifici. A soli 19 anni ha realizzato – per aiutare la contabilità del padre – una macchina calcolatrice, nota come “Pascalina”. Pascal si converte al Cristianesimo di ispirazione giansenista quando entra in contatto con i fratelli Deschamps, due medici incaricati di curare il padre. Pascal, pur frequentando gli scienziati più importanti del suo tempo e i circoli intellettuali di Parigi, intrisi di “libertinismo”, non cedette mai alla vita mondana. L’opera filosofica che compendia le sue idee con il titolo di Pensieri, sarà pubblicata dopo la sua morte nel 1670. Verità scientifica e verità di fede La scienza e la fede sono due percorsi distinti e sbaglia Cartesio ad usare Dio per fondare la conoscenza scientifica. La scienza si fonda sui sensi e sui ragionamenti, la fede sulla adesione a persone autorevoli per la vita che conducono, sull’autorità delle testimonianze. La fede supera i ragionamenti umani, dà una conoscenza che per l’intelligenza naturale degli uomini non è accessibile. La scienza si fonda sull’ “esprit de géometrie”, la facoltà con cui noi intuiamo gli elementi semplici di ogni conoscenza, come spazio, tempo, movimento, numero, ecc. La fede si fonda sull’ “esprit de finesse”, il cuore, la facoltà per cui noi intuiamo l’ affidabilità di una persona. Pascal rimarca dunque che vi è un sapere scientifico e un sapere esistenziale, scrive Pascal: “la ragione dimostra, il cuore comprende”, insieme costituiscono la totalità del sapere umano. La condizione dell’uomo Ma qual è la condizione dell’uomo secondo Pascal? Scrive: “ Un nulla in confronto all’infinito, un tutto in confronto al nulla, qualcosa di mezzo tra il nulla e il tutto. Infinitamente lontano dal comprendere gli estremi, il termine delle cose e il loro principio sono per lui invincibilmente nascosti in un segreto impenetrabile. Egli è egualmente incapace di scorgere il nulla, da cui è tratto, e l’infinito in cui è inghiottito” Pensiero 84 L’uomo è tra Dio e il nulla, tratto dal nulla da Dio, capisce poco di Dio, ma anche di ciò che è piccolo e di ciò che è grande nell’universo. L’uomo ha una conoscenza limitata della realtà. Inoltre per Pascal, l’uomo è afflitto da una miseria di ordine morale, quello che la religione chiama “peccato originale”. L’origine della miseria morale dell’uomo sta nel suo amor proprio o orgoglio, che lo porta ad essere “ avverso alla verità”, infatti è sordo alle critiche e cedevole alla lusinghe. L’orgoglio umano porta l’uomo ad essere ipocrita, cioè a nascondere i propri difetti e ad accentuare quelli degli altri per elevare se stesso. Siccome sa che le critiche fanno male alle persone perché fanno male a lui, per quieto vivere, evita quindi di farle agli altri e così facendo altera il rapporto con gli altri rendendo la vita di società una dissimulazione, una farsa. L’uomo cerca di sfuggire dalla consapevolezza della propria miseria, non pensandoci. Esso cerca dunque la distrazione, il divertimento (divertissement) perché se si fermasse a guardare se stesso coglierebbe un’immagine indesiderabile di sé. Per Pascal invece è proprio questa capacità di cogliere la propria miseria e la propria finitezza a dare dignità all’uomo. Per quanto piccolo, pieno di vizi e incapace di conoscere la totalità del reale, l’uomo sovrasta ogni altra cosa per la sua condizione di essere pensante che lo fa cosciente del proprio nulla. Scrive nel Pensiero n. 264: “L’uomo non è che una canna, la più fragile di tutta la natura; ma è una canna pensante. Non occorre che l’Universo intero si armi per annientarlo: un vapore, una goccia d’acqua è sufficiente per ucciderlo. Ma quand’anche l’Universo lo schiacciasse, l’uomo sarebbe prue sempre più nobile di ciò che lo uccide, dal momento che egli sa di morire e sa del vantaggio che l’Universo ha su di lui; l’Universo non sa nulla. Tutta la nostra dignità sta dunque nel pensiero. E’ in virtù di esso che dobbiamo elevarci, e non nello spazio e nella durata che non sapremmo riempire. Lavoriamo dunque a ben pensare”. Siccome il pensiero è ciò che ci dà dignità, allora una vita spesa a coltivare il pensiero è una vita veramente umana. L’uomo aspira ad un sapere completo perché ha nostalgia di una perfezione perduta, come riporta la Bibbia raccontando del peccato di Adamo ed Eva. L’uomo in fondo nasconde i propri difetti perché sa che sarebbe stato destinato a non averli. Il Dio della fede e il Dio dei filosofi Il Dio dei filosofi è il risultato di ragionamenti non tocca il cuore e non cambia la vita, mentre il Dio della fede, che è un dono, tocca il cuore e cambia la vita. Di fronte agli ambienti libertini in cui era immerso Pascal elabora l’ argomento della scommessa. Secondo Pascal non è ragionevole scommettere sulla non esistenza di Dio per poter andare con più donne, quanto piuttosto scommettere sull’esistenza di Dio e rimanere fedeli ad una donna. La differenza del piacere è minima e se poi Dio c’è nell’al di là premierà la condotta dell’uomo fedele. Comunque la scelta pro o contro l’esistenza di Dio è inevitabile per l’uomo. Per Pascal anche se una persona non fosse convinta dell’esistenza di Dio sarebbe meglio per lei vivere come se Dio esistesse, perché non si perderebbe nulla di buono.