di
“SiFaPerFarBenEdizioni”
18
“Tabula Rosa”
“SiFaPerFarBenEdizioni”, improbabile casa editrice nata della libera fantasia di
Roberto Marzano, presenta il “18° dei Quadernetti poetici – Tabula Rosa”.
Il progetto a tema “libero come l’amore” ha visto la partecipazione di 49 artisti
provenienti da ogni parte del nostro paese e Grecia, Cuba, Inghilterra e Uzbekistan.
Poeti, narratori, fotografi e pittori che si sono uniti a comporre le colorate pagine di
quest'ultima avventura.
Troverete, nell’ordine di arrivo dei contributi, opere di: Roberto Marzano, Orietta
Biggi “Oriens”, Dispositivo Sensibile, Alessandra Vinotto, Eloisa Ticozzi,
Silvia Favaretto, Alessandra Sorcinelli, Mary Blindflowers, Roberta Benna,
Marino Tarizzo, Enrico Mario Lazzarin, Enrica Gugliotta, Petros K.
Veloudas, Davide Cortese, Carmen Ingrao, Michela Zanarella, Chirio, Stefi
Pastori Gloss, Fabrizio Casapietra, Fabrizio Nuovibri, Patrizia Camedda,
Stefano Urietti, Sherzod Artikov, Lorenza Auguadra, Giulia Savarelli,
Roberta Sdolfo, Rossana Pavone, Luca Valerio, Anna Sacco
“Oltretresillabe”, Angela Donna, Tania Di Malta, Giovanni Odino, Umberto
Barbera, Maria Grazia Ferro, Sandra De Felice, Marcella Saggese, Lia
Aurioso, Yuray Tolentino Hevia, Elena Paredi, Piera Giordano, Marilena
Boffo, Maura Taormina, Maria Ranalli, Lea Giacone, Sabrina Fiamma,
Claudia Purro, Domenico Cavallo, Cinzia Lanfranco, Mario Dettoni, Matteo
Cotugno e Helios Umberto Carbone.
Un nuovo giorno
il cuore pazzo di questo strano maggio senza illusioni di chissà quale affare
senza il coraggio di prendere una fuga l'amore qui con me non ha effusioni
dal vuoto ottuso che ci avvolge intorno né inutili preamboli a perder tempo
a un nuovo giorno che sfuma lento s'arriva presto al dunque, tutto è concesso...
La fradicia zoppia s'inzolla tumida che il mio servizio speri sia all'altezza
https://robertomarzano.jimdofree.com/
ORIETTA BIGGI - ORIENS 1
Orietta Biggi, in arte Oriens, nasce a Genova nel 1962 e ama la pittura da
sempre anche se compie studi classici. Espone nel 1990 a Le Corbusier; nel
1995 partecipa al premio Bogliasco in arte. Nel 1998 espone alle Cisterne di
Santa Maria di Castello; nel 2001 e nel 2002 espone in collettive al centro
promotore delle Arti Satura. Nel 2007 espone nella Galleria d’Arte A Modo
Mio; nel2009 ad Incantations; nel 2013 a Plastic Passions; nel febbraio del 2018
nello Studio d’Arte 256, a Vercelli, per il Memorial Francesco Montagna. Nel
2018, allo Zenzero, lascia annotare in un libro le impressioni di chi visita le
sue mostre di cui dice di lei Laura C.: “Dedita per la gioia del colore, per la
serenità di uno sguardo o la sua tristezza, libertà e vincolo dalla forma”; Drosi:
“Vita colore e forma, gioia e perplessità, mistero e tenerezza, grazie per questa
espressione così dolce e rotonda della ricerca al femminile”. E molte altre
impressioni ancora di persone comuni.
DISPOSITIVO SENSIBILE
Poesie di un amore che nasce e che muore
L’INIZIO
Vorrei vederti solo un giorno in più, anche domani, poi vediamo; e magari domani, un altro giorno in più,
dopodomani, e così tutti i giorni, ma sempre e solo un giorno in più. Ne più ne meno. Non vorrei approfittarne.
Si tratta di un giorno, in fin dei conti. Solo un giorno in più. E in quell'unico giorno mi basterà solo un minuto.
Niente se ci pensi. Con tutti i minuti che corrono in un giorno. Ma ti chiedo in quell'unico giorno, e in
quell'unico minuto, con tutti i minuti che gli corrono dietro, di tenere il tuo capo fermo e di guardarmi. Di
guardare solo me. Come se non ci fosse altro da guardare al mondo. Solo per un minuto. Solo per quel giorno.
Ciascuno di noi si appassiona in modi e tempi diversi, l’oggetto dell’amore non può essere
codificato, prestabilito, imposto.
Ciascun* deve sentirsi liber* di scegliere la situazione che sente maggiormente propria, liber*
di cambiare pelle, liber* di reinventarsi, liber* di darsi un’altra possibilità, qualunque essa sia
(gli asterischi non sono messi a caso, per quanto inflazionati).
In amore tutto è lecito, si dice: e per quanto mi concerne non percepisco limiti di sorta, fisici o
mentali che siano: naturalmente purché i protagonisti della storia d’amore siano maggiorenni
e consenzienti (e in questo periodo pandemico a maggior ragione anche vaccinati!).
La poesia, come tutte le arti, ha un ruolo fondamentale nel comunicare e veicolare passione e
libertà. Per questo è difficile che i poeti, quelli veri, siano di vedute limitate: è quasi impossibile
che siano coercitivi, impositivi, che si pongano in modo assolutisticamente negativo o
eccessivamente critico nei confronti dell’amore, di qualsiasi ‘gender’ esso sia.
Quindi ringrazio il nostro ospite prezioso, Roberto, che stimolando la nostra passione poetica
ci dà modo di esprimere ciò che teniamo dentro e ci aiuta a farci sentire vicini nell’amore,
nonostante le lontananze e tutte le differenze possibili.
E spero che le mie poesie ‘innamorate’ e le mie opere senza limiti vi possano tengano
compagnia nei giorni privi d’amore (tutti ne abbiamo, purtroppo, e la speranza è solo che
finiscano presto e vengano sostituiti da lustri traboccanti di emozioni amorose!).
FUORI CONTROLLO L'INCONTRO INGORDO ATROCE VERTIGINE
"Guardati dentro" foto di mia opera in argilla raffigurante gli organi genitali
femminili da fuori (vulva) a dentro (Coppa-calderone di creazione)
La piccola stella di mare rimase ancora un attimo fuori dall'acqua , sullo scoglio
sporgente, poi si abbandonò all'onda e ritornò giù, verso la barriera corallina, pullulante
di vita e colore.
-Lassù non possono sentirti, siamo molto lontani…-
-E tu chi sei?-
-Sono Bolla-
Aletta provò una strana sensazione, davanti a lei un delizioso cavalluccio marino, con
un grosso pancione, la gentile coda prensile avvolta intorno ad un'alga filamentosa, la
pinna dorsale vibrante e i grandi occhi a palla.
-Bolla? Strano nome per un maschio…-
-Mia madre desiderava solo femmine…- e sospirò.
Bolla sollevò gli occhi e nel frattempo riprese a divorar plancton con disinvoltura.
-Aspetta aspetta…mi stai dicendo che…sei una stella del cielo?-
-Ci siamo! Un'altra matta!-
Bolla esalò un bel respiro, ammiccando con i grandi occhi neri neri.
-Non farci caso, lei è Spirula, gelosa perché essendo un'alga è statica e sai…sempre le
stesse cose…sempre la stessa gente…sempre la stessa corrente…Noia, vive nella noia!-
Una lacrima le imperlò la corazza rossa e rugosa. Bolla provò uno strano disagio:
vedere una femmina piangere lo mise in difficoltà. La pinna dorsale riprese a vibrare.
-Raccontami la tua storia se vuoi…
-
Aletta si accostò allo scoglio sporgente, guardando verso il cielo come era solita fare
ogni giorno e ogni notte.
-Mi chiamo Aletta ed ero lassù fino a qualche giorno fa e splendevo nonostante fossi
una piccola stella, di una costellazione sconosciuta. La luna sa tante storie e ad ogni suo
cambio me ne raccontava una, per farmi addormentare.-
-E come mai sei finita qui?-
-Non so cosa sia successo Bolla. Sapevo di stelle scomparse. Fatto sta che giorni fa mi
sono svegliata qui, in fondo al mare, con questo aspetto rugoso, che davvero non mi
riconosco…ho freddo e non splendo più.-
-Hai però delle bellissime ciglia lunghe e una boccuccia che pare un cuore!-
Finalmente Aletta rise. Bolla si fece tutto serio, la pinnetta riprese a vibrare.
-Sei proprio carina quando ridi…e poi…magari non brilli più e ne sei dispiaciuta, ma…io
ti vedo risplendere con questa risata di cuore!-
Erano a poca profondità e i raggi del sole irradiavano una luce bellissima. Aletta ogni
tanto rideva quando Bolla, mentre parlava e raccontava, mangiava plancton con
voracità.
-Avevi ragione Bolla, è un mondo bellissimo quaggiù.-
-Non vuoi più provare a tornare nel cielo Aletta? Potrei aiutarti se vuoi…-
-Lo faresti davvero?- chiese, sbattendo le lunghe ciglia incredula.
-Lo farei per te se fosse ciò che desideri!-
Aletta capì di essere amata, Bolla aveva il cuore più grande che avesse mai visto.
-Resto qui Bolla, sono stella di mare ormai. Ho capito che la vita ti trasforma e tutto
può esserti di insegnamento. Resto qui così potrò spezzare gusci di conchiglia con le
mie forti braccia e tu potrai fare tutto il surf che vuoi e insegnarlo ad altri temerari
cavallucci, potrò inoltre fare compagnia a Spirula e le porterò delle perle, sai che è
molto vanitosa? Resterò qui e ti aiuterò con i tuoi figli. Resto qui con te Bolla!-
Da quel giorno, ma forse prima, furono inseparabili.
L'amore non è matematica: spesso somma due solitudini e il risultato è uno. Uno stato
condiviso di ben-essere. Almeno temporaneo.
Su una tabula rosa il petrolio può cacciare le colpevoli tarme ma è improbabile possa
accendere la passione.
Amava la natura. Quando ne scoprì il suo, parziale, narcisismo, cominciò a diffidarne. Con
discreti buoni motivi.
Bisogna amare se stessi per poter amare l'altro. Ecco perché la prova non può essere
superata. Per converso neppure dal narciso.
L'amore è la misura dell'energia espressa in scala decimata. Senza muri su cui appoggiarla.
Al fondo di una convinta osservazione dei fenomeni, in scrittura pare che sia proprio
l'aforisma il giusto metro dell'amore.
Amava gli animali, le piante, i boschi, le montagne, il mare, l'universo. Ciò che proprio non
gli riusciva era di amare la sua specie. E per quanto m'ingegni non trovo sufficiente abilità
dialettica per confutarne il sentire.
ENRICO MARIO LAZZARIN
N. 489
"Qualcosa"
Solistizio
Chiedo un Tamarindo al tizio del bar bio
Niente rindo
Tama forse
Otto
Va bene il chinotto
Soli in città e niente Tamarindo
Giornata da temporale
poche gocce
Solistizio estivo
Tama forse
Mentre rindo
Niente tama-rindo
Soli - stizio con zia zio soli
Otto chinotti scomparsi
Bisognerebbe arrivare in città di provincia con
torpedone e polvere sul cartone
A Piacenza
Entrare in qualche bar ordinare un Tamarindo
Fresco....
N. 490
"Qualcosa"
Margini espressi
Tazzina
Caffè nell'alba cittadina
Sulle dita di questa mattina
Nel reparto di ortopedia
Un amico ha rotula nuova
Camminare sul filo tracciate linee di
quotidiane vite
Margine tra parola e colore
Mentre ci sorprende sempre il confine
dello stupore di parole nuove.
N. 491
"Qualcosa"
N. 487
"Qualcosa"
Piego il tovagliolo
Dopo cena
Lavo i piatti
Penso alle nuvole
Al sorriso dietro al finestrino
Alle nuvole di Marte
Scivola la sera
Nemmeno una capinera
Cristallo lontano
Colore jmmaginato
Spengo la radio
Penso alle nuvole di Marte.
Απόσταση από τα μάτια του ήλιου Distance from the eyes of the sun
Σώμα νεκρό,καμμένο στις χρονοβόρες A dead body, burned in the time-consuming
παραισθήσεις του ονείρου. illusions of a dream.
Απόσταση Distance
χαρά ξεχασμένη joy forgotten
στα ντουλάπια της in the cupboards of
άγρυπνης τύχης. vigilant luck.
Ένα βότσαλο στη λίμνη θα ταράξει A pebble in the lake will disturb
την γαλήνη που νοικιάζατε την μήνι the peace you rented last month
και άλλος είχε την ευθύνη .. and responsibility for the
Γέλα να σε δούνε τα αστρα starsGella to see you and
και της νιότης η κρεμάστρα in youth the hangeralways
willbe waiting for you to hang
πάντα θα σε περιμένει να
the scalpel.
κρεμάσεις το νυστέρι…..!
ΠΑΡΑΒΟΛΉ PΑRABLE
Davide Cortese è nato nell' isola di Lipari nel 1974 e vive a Roma. Si è
laureato in Lettere moderne all'Università degli Studi di Messina con una tesi sulle
"Figure meravigliose nelle credenze popolari eoliane". Nel 1998 ha pubblicato la
sua prima silloge poetica, titolata “ES” (Edizioni EDAS), alla quale sono seguite le
sillogi: "Babylon Guest House" (Libroitaliano) "Storie del bimbo
ciliegia"(Autoproduzione), “ANUDA” (Aletti. In seguito ripubblicato in versione e-
book da Edizioni LaRecherche.it), “OSSARIO”(Arduino Sacco Editore),
“MADREPERLA” (Lieto Colle), “Lettere da Eldorado”(Progetto Cultura) e
“DARKANA” (LietoColle).
I suoi versi sono inclusi in numerose antologie e riviste cartacee e on-line, tra cui
“Poeti e Poesia”, “Poetarum Silva”, “Atelier” e “I fiori del male”. Le poesie di
Davide Cortese nel 2004 sono state protagoniste del "Poetry Arcade" di Post Alley,
a Seattle. Il poeta eoliano, che nel 2015 ha ricevuto in Campidoglio il Premio
Internazionale “Don Luigi Di Liegro” per la Poesia, è anche autore di due raccolte di racconti: "Ikebana degli
attimi", “NUOVA OZ”, del romanzo “Tattoo Motel”, della monografia “I MORTICIEDDI – Morti e bambini in
un’antica tradizione eoliana” e di un cortometraggio, “Mahara”, che è stato premiato dal Maestro Ettore Scola
alla prima edizione di EOLIE IN VIDEO nel 2004 e all’EscaMontage Film Festival nel 2013. Ha inoltre curato
l’antologia “YOUNG POETS * Antologia vivente di giovani poeti” (con postfazione “live” di Giorgio
Linguaglossa) e “GIOIA – Antologia di poeti bambini”(Con fotografie di Dino Ignani. Edizioni Progetto
cultura).
CARMEN INGRAO
Carmen Ingrao. Sono nata in Sicilia nel giugno 1967 ma vivo a Torino dal 1989 dove lavoro, presso
Poste Italiane. Le mie passioni principali, fin dall’adolescenza, sono la musica e la scrittura ma, negli
anni ’80, ho anche recitato, disegnato e dipinto.
Nel 1985, un mio Tema è stato inserito nella graduatoria dei vincitori della “XXXII Giornata Europea
della Scuola.”
Dal 2000 al 2018 ho gestito e curato i testi di una Piattaforma Multimedia, con accesso a Sito Web,
Blog e Social, dedicati alla traiettoria artistica internazionale di Miguel Bosé.
Attualmente curo vari Profili Social.
Dal 2001 a tutt’oggi, le mie poesie e i miei approfondimenti tematici sono pubblicati sul Periodico
d’Informazione politica e cultura “La Voce del Nisseno” diretto dal giornalista Michele Bruccheri.
Da pochi anni ho acquisito consapevolezza che, il linguaggio social media che prediligo, deve ormai
essere affiancato da un impegno maggiore rivolto alla forma tradizionale della scrittura: quella eterna.
Pubblicazioni indipendenti: 2020 : “Ho aperto la porta” – Liriche; “C’erano una volta i 10
Comandamenti” - Racconti brevi vari autori. 2021 : “Vizi Capitali” - Racconti brevi vari autori; “La
luce nel buio” – Liriche di Carmen Ingrao, Lucrezia Ranieri e Daniele Mugnai. Riconoscimenti: Terzo
Premio ”Versi d’Autore 2020” – Cultura&Società - con la poesia “Mutazione Scrittura”.
INSEGNARE L’AMORE
Michela Zanarella è nata a Cittadella (PD) nel 1980. Dal 2007 vive e lavora a Roma.
Ha pubblicato tredici libri. Negli Stati Uniti è uscita in edizione inglese la raccolta tradotta
da Leanne Hoppe “Meditations in the Feminine”, edita da Bordighera Press (2018).
Giornalista, autrice di libri di narrativa e testi per il teatro, è redattrice di Periodico italiano
Magazine e Laici.it. Le sue poesie sono state tradotte in inglese, francese, arabo, spagnolo,
rumeno, serbo, portoghese, greco, hindi e giapponese. E’ tra gli otto co-autori del romanzo
di Federico Moccia “La ragazza di Roma Nord” edito da SEM.
CHIRIO
Colmalo
Ti prego
SILVIA FAVARETTO 2
L'impiccione si impiccò
Ambarabà ciccì cocò.
Apocalisse Snobbata
Fabrizio Nuovibri. Nato nel 1973 a Genova, dove vive e insegna Arte e
Immagine alle scuole medie.
Ha leggendari trascorsi da bassista rock (con Bambi Fossati & i Garybaldi
dal 1996 al 2008) ed è un infaticabile sperimentatore nel campo della
pittura, del collage e della poesia, nella quale inietta abbondanti dosi di
enigmistica. Dal 2016 ha partecipato a numerosi poetry slam in tutta
Italia. La sua prima raccolta “Quando il gioco si fa puro” è di prossima
pubblicazione, ma ne ha già in cantiere altre due.
PATRIZIA CAMEDDA
Canzone d’amori - Love song
La prima volta ti ho amato con gli occhi The first time I loved you with my eyes
eri una doppia striscia you were a double stripe
Poi ti ho amato con le orecchie then I loved you with my ears
eri Tu più di un rullante you were more than a snare
e poi molto ti ho amato con le mani and then I loved you with my hands
ti ho toccato infinite volte I’ve touched you endless times
per convincermi che eri vero to convince me that you were real
ti sfioravo I was touching you
ti premevo delicatamente I pressed you gently
sentivo il tuo peso I felt your weight
Ti ho amato nei sogni di notti insonni I loved you in the dreams of sleepless nights
Quanto, quanto ti ho amato How, how much I loved you
ed era nulla tutto quel sentire and it was nothing all that feeling
Non dimentico di averti amato con l’olfatto I don’t forget I loved you with my sense of smell
Sai di latte, no, sai di bambino you taste like milk no like a baby
è un miracolo, sei il mio bambino it’s a miracle, you’re my baby
con la barba e i capelli lunghi with a beard and long hair
con gli occhi che sono fondi di acque scure e pur brillanti with eyes that are deep waters, dark and bright
con denti resi regolari da fili d’acciaio with teeth made regular by steel wires
con le tue mani che ora mi prendono e mi sollevano with your hands that now take me up and lift me
e sono più in alto del cielo and take me higher than the sky
L’ho detto credendoci che posso morire I said it believing I could die
ho dato al mondo tutto quel che potevo I gave the world everything I could
e ancora un poco di più and even a little more
Ioriens mail
SHERZOD ARTIKOV
Sherzod Artikov è nato nel 1985 nella città di Marghilan, in Uzbekistan. Si è diplomato
al Politecnico di Fergana nel 2005. Nel 2019 è stato tra i vincitori del contest letterario
nazionale “My Pearl Region” nella sezione prosa. Nel 2020, la sua opera prima La sinfonia
d’autunno è stata pubblicata in Uzbekistan dalla casa editrice Yangi Asr Avlodi. Nel 2021,
sue opere sono state pubblicate nell’antologia World Writers in Bangladesh, Asia
sings e Mediterranean Waves in Egitto in lingua inglese. Nel 2021 ha partecipato al
congresso internazionale degli scrittori organizzato in Argentina, alla conferenza letteraria
internazionale “Mundial insurgencial cultural”, dedicate alla vita e all’opera di Federico
García Lorca, all’International Poetry Festival in Tunisia; all’International Poetry Carnival
di Singapore. Quest’anno è stato nominato Global Peace Ambassador dalla Iqra
Foundation, International Peace Ambassador dal World Literary Forum for Peace and
Human Rights; ha ottenuto il Certificate of friendship e altri riconoscimenti dalla Revista
Cardenal in Messico. Attualmente, è consulente letterario del sito culturale pachistano Sindh courier; è rappresentante e
delegato in Uzbekistan della rivista letteraria messicana “Revista Cardenal” e della rivista d’arte e letteratura cilena “Casa
Bukowski”. Sue opere sono state pubblicate in diverse riviste e giornali in Uzbekistan e sono state tradotte in russo, inglese, turco,
serbo, sloveno, macedone, spagnolo, italiano, polacco, albanese, rumeno, francese, greco, ebraico, portoghese, bengalese, arabo,
cinese, indonesiano, persiano e urdu.Sue opere sono state pubblicate su riviste letterarie e giornali in Russia, Ucraina, Turchia,
Montenegro, Serbia, Slovenia, Inghilterra, Germania, Grecia, Italia, Spagna, Romania, Polonia, Israele, Belgio, Albania,
Macedonia, Kazakistan, Bangladesh, Pakistan, Cina, Arabia Saudita, India, Indonesia, Iraq, Giordania, Siria, Libano, Yemen,
Iran, Egitto, Perù, Bolivia, Argentina, Colombia, Cile, USA, Messico, Costa Rica, Guatemala e Nicaragua.
Seguendo il sogno
Improvvisamente mi svegliai. Era mattina. Qualcuno mi chiamava con una voce forte che veniva dalla
strada.
- Zio Nurmat - salutai mentre aprivo il cancello e vidi il mio vicino vestito in modo strano.
- Io... io... - disse in fretta - Ti stavo cercando da molto tempo. Fa un freddo cane. Andiamo dentro-.
Lo zio Nurmat aveva settant'anni, un uomo molto magro e piccolo, ma nessun capello in testa era
caduto. Viveva come un mendicante. Sua moglie era morta molti anni prima, lasciandolo solo con i suoi figli.
A parte le due figlie, che ogni tanto andavano a trovarlo, non c'erano parenti che si prendessero cura di lui.
Era un attore che aveva interpretato solo ruoli minori nel corso della sua vita, un uomo mediocre il cui
sogno di incarnare i personaggi di Shakespeare sul palco si era trasformato in un desiderio ossessivo.
Quest'uomo, il cui unico ruolo significativo in teatro era Bobchinsky ne "L'ispettore del governo", era sincero,
privo della testardaggine intrinseca delle persone anziane, bonario ed energico. A quell'età, non aveva più nulla
da chiedere alla vita, e non aveva nulla del destino di cui da lamentarsi. Ma per qualche motivo, nonostante i
quarant'anni di esperienza, non si sentiva sicuro sul palcoscenico, e per questo, si dice, non poteva interpretare
il ruolo del vecchio Re Lear nella famosa opera di Shakespeare.
- Ho provato molto ieri, caro vicino - disse, correndo nella stanza prima di me a causa del freddo, scaldandosi
vicino alla stufa. - Non funzionava. Non andava bene. In quel momento mi sono detto: come posso provare
così, di sera? Devo provare la mattina, svegliandomi presto. Penso che sia la decisione giusta. Perché ieri sera
ho ripetuto il monologo del re miserabile nell'ultima scena quattro volte. Non andava bene. E questa mattina
l'interpretazione del tuo umile servitore è stata molto meglio.
Mentre diceva questo, si strofinò le mani.
- Posso sedermi sulla sedia? - continuò il vicino.
Il suo corpo sembrava riscaldarsi e si allontanò dalla stufa. - Guarda. Ero seduto così. Non dritto, un po'
ingobbito, perché è così che sta seduto Re Lear. È vecchio, esausto. Gli tremano sempre le mani. Ecco perché
non può abbracciare strettamente il corpo morto di sua figlia. Per di più, spalanca gli occhi, non volendo
credere che sia senza vita.
Aprì gli occhi come riteneva giusto, tirando fuori dalla tasca della giacca un pezzo di carta malamente
stropicciato. Assumendo finalmente la posizione di Re Lear, cominciò a recitare un doloroso monologo, dando
un'occhiata al pezzo di carta.
- Ho alcuni difetti su cui lavorare - disse mentre terminava il monologo. - Dovrò lavorare soprattutto su
quest'ultima scena. Questa è la parte più difficile.
Si alzò dalla sedia, si avvicinò a me e, guardandosi intorno timidamente, sussurrò:
- Anche i grandi attori riuscivano a malapena a recitare quell'ultima scena. Devo prendere sul serio il
monologo e impararlo. Fino a quando mi porterò dietro i monologhi scritti? Se torno a teatro oggi o domani,
non c'è modo di leggere il monologo su un pezzo di carta.
Si strofinò la tempia e fece un respiro profondo.
- Devo risolvere questo problema. È meglio che vada a casa.
Mi ha espresso frettolosamente la sua gratitudine per aver assistito alle sue prove e, stringendo in pugno il
foglio del monologo, è corso fuori dalla stanza.
Dopo che se n'è andato, sono uscito, vestito di tutto punto. Ho trascorso tutto il giorno a lavorare nella
biblioteca della città. Sfogliando libri, ho raccolto informazioni per la mia ricerca sulla letteratura
latinoamericana. Quando sono tornato a casa la sera, ho incontrato di nuovo lo zio Nurmat al cancello. Stava
battendo il pugno con impazienza al cancello. Era vestito come un paio di ore prima.
- Ah, non eri a casa? - disse quando mi vide.
- Sono andato in biblioteca - risposi indicando i libri.
- Oggi sono andato a teatro -, disse, ignorando i libri. -Volevo parlare con il direttore del mio ritorno al lavoro.
Ho aspettato a lungo fuori dal suo ufficio. Ma non è passato. Domani ci andrò di nuovo. Gli dirò che ho deciso
di tornare a lavorare: Interpreterò il ruolo di Re Lear.
Il giorno dopo, quando passai davanti a casa sua, la finestra che dava sulla strada si aprì con uno scricchiolio
del telaio, e zio Nurmat si affacciò.
- Caro vicino - ha gridato, agitando la mano. - Ieri sera ho incontrato il direttore: è venuto. Gli ho parlato della
mia intenzione. Mi ha ascoltato attentamente e ha parlato in modo lusinghiero del mio ritorno. Ma a quanto
pare il lavoro è stato rimandato per molto tempo perché, ha detto, al momento non c'è nessun posto libero in
teatro. Ha detto che mi avrebbe fatto sapere per telefono non appena ci fosse stato un posto libero.
Per i tre giorni successivi, lo zio Nurmat non è venuto a trovarmi. E quando finalmente l'ho incontrato,
sembrava molto seccato.
- Canaglie, canaglie - ripeteva incessantemente.
Era seduto vicino alla stufa, come al solito. Gesticolava molto mentre parlava.
- Le mie figlie sono qui - c'era una nota di rabbia nella sua voce che non era caratteristica del suo carattere. –
Ho detto loro che sarei tornato a teatro, ma non hanno approvato la mia idea. Hanno detto che sono vecchio e
che non posso lavorare come prima. Hanno detto che non posso lavorare adesso. No, questo non succederà! È
il momento giusto per interpretare Re Lear. E la mia età è giusta. Re Lear aveva circa settant'anni.
Improvvisamente si è alzato, camminando da una parte all'altra della stanza con la mano dietro la schiena.
- L'hai visto, vero? - disse, fermandosi improvvisamente davanti a me. - Hai visto che so recitare Re Lear, che
ho studiato profondamente il suo stato d'animo. Avete sentito con le vostre orecchie l'espressività con cui ho
letto il monologo. E loro non hanno nemmeno visto o sentito. Le mie figlie hanno addolorato la mia anima
dicendo parole spietate.
Ho alzato lo sguardo, distratto dalle descrizioni del ritratto di Mario Benedetti: una parte del mio lavoro
accademico.
Non potevo lavorare quando lo zio Nurmat era così nervoso. In quel momento l'acqua nel bollitore elettrico
cominciava a bollire. Ho preparato del tè.
- Il tè alza la pressione del sangue - disse lo zio Nurmat.
Non aveva sete e mise la tazza sul davanzale della finestra.
- Zio, forse le tue figlie stanno dicendo la verità -, dissi mentre bevevo il tè fino in fondo. Poi guardai
tristemente il resto del tè che era rimasto sul fondo della tazza.
Lo zio Nurmat mi guardò con tristezza.
- Non sanno niente.
È qui che affittavo un posto per vivere. Le visite ai miei genitori erano a volte rimandate a causa del lavoro
all'istituto, poiché la scienza richiedeva molto tempo. Da quando ho preso del tempo libero dal mio lavoro al
dipartimento, ho il tempo di visitarli più spesso.
- Domani andrò al villaggio - ho detto quando ho percepito che lo zio Nurmat si era un po' calmato. - Andrò a
trovare i miei genitori, per due o tre giorni, forse una settimana.
Lui ha annuito, come per dire ok.
- Per allora, il direttore del teatro mi avrà chiamato.
Rimasi in paese per un paio di settimane. Le fredde giornate di gennaio sembravano ancora più fredde
lì. Ho continuato il mio lavoro di ricerca senza uscire di casa a causa del freddo. Le giornate erano noiose, e
ho tradotto i racconti di Benedetti in uzbeko. Il giorno in cui tornai in città si verificò una forte nevicata. La
neve era alta fino alle ginocchia. Le strade erano scivolose. Non solo era pericoloso camminare, ma anche
guidare la macchina. Ci muovevamo così lentamente che sembrava che il tachimetro del taxi non funzionasse
a causa della bassa velocità.
Quando sono sceso dall'auto vicino a casa mia, ho notato un'ambulanza vicino al cancello dello zio Nurmat, in
cui l'autista non si muoveva; si rannicchiava sul volante. Dopo un po', un paramedico uscì dalla casa con una
valigia di strumenti medici in mano, e si sedette sul sedile anteriore. Il veicolo si avviò lentamente lungo la
strada. Dopo aver saldato il conto con il tassista, andai a casa dello zio Nurmat. Quando entrai, sua figlia
maggiore Zarifa, che stava prendendo l'acqua dal pozzo, mi salutò. Mi informai sui suoi affari e sulla sua
salute, poi entrai in casa. Lo zio Nurmat era sdraiato nel suo letto e fissava il soffitto. La sua testa era coperta
da una benda bianca.
- Ieri si è ubriacato ed è scivolato nella neve - ha detto Zarifa. - Si è fatto male alla nuca.
Mi sono seduto su una sedia accanto al letto, mettendo via le mie cose.
- Il direttore non mi ha ancora chiamato dal teatro - disse lo zio Nurmat quando mi vide.
Ci fu un breve silenzio. Mi guardai intorno nella stanza. La stufa era spenta, un armadio appoggiato con
due dozzine di libri, un letto a molle e una vecchia sedia. C'era un vecchio telefono sul davanzale della
finestra, una bottiglia di vino vuota accanto, un mucchio di lenzuola e siringhe usate sparse ovunque. La stanza
era molto fredda.
- Caro vicino -, disse lo zio Nurmat ansiosamente, vedendo che avevo portato della legna dal cortile per la
cucina. - Dai un'occhiata al telefono, il filo è rotto?
- No, è tutto a posto - ho detto, dando un'occhiata al telefono. Ho visto i fiammiferi e ho acceso il fornello.
- Oh, bene - disse con grande soddisfazione, rassicurato dalla mia risposta, - se il direttore chiama, il telefono
suonerà -.
Presto la stufa si riscaldò e la legna scoppiettò. Il calore si diffondeva nella stanza. Zarifa deve aver visto il
fumo della stufa ed è entrata nella stanza per scaldarsi.
- Ho imparato a memoria tutti i discorsi e i monologhi di Re Lear -, disse lo zio Nurmat mentre sua figlia
usciva in cortile riscaldata.
Non poteva scuotere la testa a causa della sua ferita. Così ruotava gli occhi mentre parlava.
- Tuttavia, non c'è nessuna chiamata dal teatro. Aspetto ogni giorno. Non ci sono notizie.
Lo zio Nurmat si è addormentato presto, apparentemente il paramedico ha aggiunto dei sonniferi quando
ha fatto l'iniezione anestetica. La figlia più giovane dello zio Nurmat, Zamira, è andata verso il davanzale della
finestra non appena è entrata nella stanza e ha fatto a pezzi le lenzuola sparse. Quando ha finito, si è seduta sul
bordo del letto dove giaceva suo padre.
- Devi andare all'ospedale, senza discussioni- disse, avvicinandosi allo zio Nurmat mentre si svegliava.
Lo zio Nurmat la guardò sorpreso, poi guardò la figlia maggiore che aveva portato il tè nella stanza.
- Non voglio andare all'ospedale. Riceverò presto una chiamata dal teatro.
Le figlie scossero la testa quando sentirono le sue parole.
- 'Non chiameranno', disse Zamira, con un profondo gemito. Sapete perché non ti chiameranno? Perché non
hanno bisogno di te. Ci sono decine di attori in teatro che possono fare la parte di Re Lear. E hanno tutti più
talento degli altri. Il regista non ti darà la parte; la darà a loro. Non ti hanno dato il ruolo principale quando
lavoravi lì; pensi che te lo darebbero ora?
- Le parole di mia sorella sono giuste - Zarifa, la figlia maggiore, ha alzato la voce dalla porta di casa. - Per
tutta la vita hai sognato di interpretare il ruolo di Re Lear. Gran parte della tua vita e della tua giovinezza è
stata spesa per questo sogno. Ma non si è avverato; non era il tuo destino. Ora sei diventato vecchio... Non hai
più l'età per correre sulle orme di un sogno.
Lo zio Nurmat sospirò pesantemente, stringendo il bordo del letto con tutte le sue forze.
- Voi... tutti e due... uscite dalla stanza.
Dopo che se ne furono andate, rimase sdraiato in silenzio, senza staccare gli occhi dalla porta. Quando
parlava, non riuscivo a distinguere se stava parlando a se stesso o a me.
- La mia vita è passata senza seguire un sogno, ma con i problemi di occuparmi delle mie figlie. Tutti i miei
colleghi venivano a teatro la mattina vestiti e pettinati in modo pulito, mentre io venivo in abiti vecchi con la
barba incolta da settimane perché non avevo abbastanza tempo per avere cura di me. Mi sono preso la cura
quotidiana delle mie figlie a causa della malattia di mia moglie. Mi prendevo cura di loro, le lavavo, le nutrivo,
le portavo all'asilo e a scuola; facevo i compiti con loro quando erano malate, stavo con loro in ospedale per
qualche giorno. A causa di questo, non ho potuto lavorare a teatro come avevo sognato di fare. Avevo anche
talento. Ma ci voleva molto tempo per accudire le mie figlie. Quando mettevo in scena uno spettacolo a teatro,
venivo spesso rimproverato dal direttore di scena perché non solo non riuscivo a recitare perfettamente il ruolo
che mi era stato assegnato, ma addirittura non riuscivo a memorizzare i testi dei personaggi. Non riuscivo a
lavorare su me stesso, come gli altri. Non ho letto libri, non ho sviluppato il discorso. Ventiquattro ore al
giorno pensavo solo alle figlie. E hanno smesso di darmi dei ruoli. Agli occhi del direttore di scena, mi sono
guadagnato la reputazione di attore inetto, inadatto a qualsiasi ruolo, completamente irresponsabile, e sono
stato liquidato, scavalcato nella distribuzione dei ruoli prima di una rappresentazione. Non ho recitato nulla per
mesi. Mi sono stati assegnati dei ruoli solo occasionalmente e inaspettatamente, ma erano ruoli minori in
produzioni piccole e impopolari, episodici, con due o tre battute.
Lo zio Nurmat taceva, fissando sconsolato il telefono. Le lacrime gli salivano negli occhi e, accumulandosi,
scorrevano lungo gli zigomi.
- La mia vita non ha mai seguito un sogno - disse, chiudendo gli occhi.
La legna nella stufa doveva essere ormai esaurita, perché il calore della stufa era notevolmente diminuito.
Portai un altro fascio di legna dal cortile.
Mentre cercavo di riscaldare, la porta si aprì e il paramedico che avevo visto quella mattina apparve sulla
soglia.
- Abbiamo cercato di portare tuo padre all'ospedale - disse a Zamira, scusandosi, ma non ha voluto andare.
- Un uomo diventa così capriccioso quando diventa vecchio - rispose la figlia, lanciando uno sguardo
imbarazzato al letto dove giaceva suo padre.
I due uomini posero con cura lo zio Nurmat su una barella. Lui non fece resistenza. Non ha nemmeno
aperto gli occhi.
Sono andato alla finestra, rimanendo per un po' da solo al centro della stanza. Ritagli di fogli su cui erano
stati scritti monologhi e versi di Re Lear erano sparsi sul davanzale della finestra, alcuni giacevano accanto a
una bottiglia di vino e a una siringa, altri dietro un telefono.
- Volevo far prendere aria e riordinare un po' la stanza.
Vedendo Zarifa in piedi sulla soglia, sono uscito nel corridoio. Sono rimasto lì pensieroso, appoggiato al
muro. All'improvviso il telefono squillò. Dopo un po' ho sentito la voce di Zarifa che prendeva la cornetta.
- Hai ricoverato papà? Sto arieggiando la stanza, c'è odore dappertutto. 2019, ottobre.
ОРЗУ ОРТИДАН
Эрталаб бехос уйғониб кетдим. Кимдир мени баланд овозда чақираётганди. Овоз кўчадан келарди.
−Нурмат амаки,- дедим дарвозани очгач, қаршимда кутилмаганда жудаям юпун кийиниб олган қўшнимни кўриб.
−Мен... мен,- деди у шоша-пиша.- Кўпдан бери чақираман. Совуқда қотиб қолдим. Ичкарига кирайлик.
Нурмат амаки етмиш ёшлардаги, жуда ориқ, бўйи паст, кексайган бўлишига қарамай сочларининг бир туки ҳам
тўкилмаган киши бўлиб, уйида бир ўзи яшарди. Хотини анча йиллар бурун қазоси етиб уни ташлаб кетган, иккита қизи баъзи-
баъзида кўргани келиб туришар ва шуларни ҳисобга олмаганда бошқа иссиқ-совуғидан хабар олиб турадиган бирорта қон-
қариндоши йўқ эди.
У умри давомида фақат иккинчи даражали ҳамда эпизодик ролларни ижро этиб кексайган, Шекспир қаҳрамонларини
саҳнада гавдалантириш орзуси ушалмай армонга айланган ўртамиёна, нафақадаги бир театр актёри эди. Театрдаги фаолияти
давомида эсда қолган ягона сезиларли роли “Ревизор” спектаклидаги Бобчинский бўлган бу инсон табиатан самимий,
кексаларга хос бўлган ўжарликдан четда қолган, юмшоқтабиат ва серғайрат кишилар тоифасидан бўлиб, шу ёшида уни хаётдан
сўрайдиган ёки нолийдиган ҳеч нимаси қолмаганди. Аммо негадир Шекспирнинг “Қирол Лир” асаридаги кекса қиролнинг
ролини қирқ йиллик актёрлик фаолияти давомида ўйнай олмаганидан хуноб бўлиб яшарди.
−Кеча роса репетиция қилдим, қўшни,- деди у совқотиб кетганидан мендан ҳам олдин хонага кириб тўғри печнинг
олдига бориб исинаркан.- Бўлмади. Ўхшамади. Шунда ўзимга ўзим кечқурун ҳам репетиция қиладими, тонгда барвақт уйғониб
репетиция қилиш лозим, дедим. Бу борада адашмабман. Шўрлик қиролнинг охирги саҳнадаги монологи бор-ку, ана ўшани
кечқурун тўрт марта қайтаргандим. Ўхшамаганди. Тонгда бўлса қарорим иш бериб каминанинг ижроси кечқурундагига
қараганда дурустроқ чиқди.
У шундай деб қоқсуяк қўлларини бир-бирига ишқаб қўйди.
−Стулга ўтирсам майлими?-давом этди танасига иссиқ югурди шекилли, печнинг олдидан узоқлашаркан.- Бир қаранг-
да. Мана бундай ўтирдим. Тўғри эмас. Сал букчайиб. Қирол Лир шундай ўтиради. У кекса, кучдан қолган-да. Қўллари доим
қалтираб туради. Шу туфайли қизининг жонсиз танасини ҳам махкам қучолмайди. Бундан ташқари унинг жонсизлигига
ишонгиси келмай, кўзларини катта-катта қилиб очади.
У кўзларини айтганидек қилиб очди, орада камзулининг чўнтагидан йиртилиб кетиш арафасида турган қандайдир
қоғозни чиқарди ва пировардида, қирол Лирнинг охирги саҳнадаги ҳолатига тушиб, қоғозга қарай-қарай бўғиқ овозда қайғули
монологни ўқий бошлади.
−Айрим камчиликлар устида ишлашим керак,-деди монолог ниҳоялагач.- Асосан, шу охирги саҳна устида мени
машаққатли меҳнат кутяпти. Ўзиям энг мураккаб саҳна шу-да.
У ўрнидан туриб ёнимга келди-да, дастлаб атрофга аланглаб чиқди.
−Ҳатто, буюк актёрлар ҳам шу охирги саҳнани аранг уддалашган,- деди сўнг қулоғимга яқин келиб.- Монологларга
жиддий ёндошишим, уларни ёд олишим керак. Қачонгача қоғозга ёзиб уларни ёнимда олиб юраман? Эрта-индин театрга
қайтсам, томошабинни олдига чиққанимда бунинг ҳечам иложи бўлмайди-ку.
У гапиришдан тўхтаб, энди кўрсаткич бармоғи билан чаккасини нуқишга тушди.
−Мен ҳозир уйга кириб шу муаммо устида ишламасам бўлмайди.
Наздида рўй бериши эҳтимоли юқори бўлган фавқулоддаги шу ҳодисаларни ўйлаб, у шоша-пиша ўрнидан турди ҳамда
боя ўзи стул устида қолдирган қирол Лирнинг монологи битилган қоғозни олиб, менга репетициясини кузатганим учун
миннатдорчилик билдирганча хонадан чиқиб кетди.
У чиқиб кетгач, мен ҳам кийиниб кўчага чиқдим. Кун бўйи шаҳар марказий кутубхонасида бўлдим. У ерда Лотин
Америкаси адабиёти ҳақида ёзаётган илмий ишим учун турли рисола ва китобларни титкилаб маълумот йиғдим. Кечга яқин
уйга қайтганимда, Нурмат амакини яна дарвозам олдида учратдим. У худди эрталабкидек юпун кийиниб олиб, қўлини мушт
қилганча тинмай дарвозамни тақиллатарди.
−Э, уйдамасмидингиз?- деди мени кўриб ва ёнимга келди.
−Кутубхонага кетгандим,- дедим унга қўлимдаги китобларни кўрсатиб
−Бугун театрга бордим,- деди у китобларга аҳамият бермай.- Ишга қайтишимни директор билан маслаҳатлашгани.
Хонасининг олдида уни роса кутдим. Лекин келмади. Эртага яна бораман. Унга ишга қайтишимни айтаман. Ишга қайтиб, қирол
Лирни ўйнайман.
Эртасига унинг уйи олдидан ўтаётганимда, уйнинг кўча томонга қараган деразалари шарақ этиб очилиб, деразанинг
олдида у пайдо бўлди.
−Қўшни,- деди менга қўлларини силкитиб бақираркан.- Театрга бориб директорга учрадим. У келди. Мақсадимни унга
айтгандим, мени диққат билан эшитди. Қайтишимга ижобий қаради. Фақат бу иш бир оз кечиктирилади шекилли, чунки театрда
ҳозир бўш жой йўқ экан. Бўш жой бўлиши билан менга телефон орқали хабар беришаркан.
Кейинги уч кун мобайнида Нурмат амаки бошқа олдимга чиқмади. Фақат учинчи куни ўтибгина чиқди. У ғоятда асабий
кўринарди.
−Ярамаслар, ярамаслар,- такрорларди бетиним.
У доимгидек печнинг олдига бориб ўтирди. Кўринишидан ким биландир жанжаллашганга ўхшарди.
−Қизларим келишганди,- деди табиатига хос бўлмаган ғазаб билан.- Театрга қайтишимни айтгандим, улар бу фикримни
маъқуллашмади. Кексайдингиз, ишлай олмайсиз, дейишди. Кексайибман, ишлай олмас эканман. Бундан чиқди қирол Лирни ҳам
ўйнай олмас эканман-да. Йўқ, бунақаси кетмайди. Ҳозир уни айни ўйнайдиган пайтим. Ёшим хам тўғри келади. Қирол Лир
етмиш ёш атрофида бўлган.
У ўрнидан сапчиб оёққа туриб, қўлларини орқасига қилиб олганича хонада бемақсад у ёқдан бу ёққа юра бошлади.
−Ахир сиз кўрдингиз, тўғрими?- деди баногоҳ қаршимда тўхтаб. – Қирол Лирни ўйнай олишимни, унинг аҳволини,
руҳиятини чуқур ўрганганимни ўз кўзларингиз билан кўрдингиз.Унинг монологини таъсирли қилиб ўқиганимни қулоқларингиз
билан эшитдингиз. Улар эса кўришгани йўқ, эшитишгани ҳам йўқ. Шунга бемаза гапларни гапириб дилимни хуфтон
қилишяпти.
Мен қилаётган ишимдан бошимни кўтариб унга юзландим. Марио Бенедеттининг портретига чизгиларим ҳам бир
чеккада қолиб кетди. Бу илмий ишимнинг бир қисми эди. Нурмат амакини ҳануз асабий ҳолдалигини кўргач, қўлим ишга
бормади. Бу орада хонанинг бир бурчидаги электр чойнакдаги сув варақлаб қайнади. Ўрнимдан туриб чой дамладим.
−Шу тобда чой қон босимимни кўтариб юборади,- деди Нурмат амаки унга чой узатгандим, ичгиси келмай пиёлани
токчага қўйиб.
Мен ўзимга қуйган чойни охиригача ичдим-да:
−Амаки, балки қизларингиз ҳақ гапни айтишаётгандир,- дедим пиёланинг тагида қолган шамаларга маъносиз тикилиб.
Нурмат амаки шунда менга маҳзунлик билан қаради.
−Улар ҳеч нимани билишмайди.
Бу ерда мен ижарада турардим. Институтда ишлаш билан бирга илмий ишни ёзиш кўп вақтимни олгани учун қишлоққа,
ота-онамнинг олдига бориб уларни йўқлаб туришим баъзида чўзилиб кетарди. Шу кунларда институт кафедрасидаги ишимдан
таътилга чиққаним боис эндиликда уларни йўқлаб келишга менда етарлича фурсат юзага келганди.
−Эртага қишлоққа кетяпман,- дедим Нурмат амакига у бир оз ҳовуридан тушганини сезгач.- Ота-онамни кўриб келгани.
Икки-уч кунга. Балки бир ҳафтагадир.
У яхши дегандек бошини қимирлатиб қўйди.
−Унгача менгаям театрдан қўнғироқ қилиб қолишади.
Қишлоқда икки хафта қолиб кетдим. Январнинг совуқ об-ҳавоси у ерда янаям билинди. Шунинг учун ташқарига
чиқмай, хонамнинг ичига қамалиб олиб илмий ишимни давом эттирдим. Хатто ана шундай зерикарли кунларнинг бирида
Бенедеттининг битта ҳикоясини қизиқишда ўзбек тилига ўгирдим. Шаҳарга қайтадиган кунимдан бир кун олдин гупиллаб қор
ёғди. Тизза бўйи қор. Йўллар сирпанчиқ бўлиб пиёда юришдан ташқари машинада юриш ҳам қийинлашиб кетди. Паст тезликда
юргани учун спидометри ишлаб-ишламаётгандек тасаввур уйғотган таксида бир амаллаб шаҳаргача келиб олдим. Уйим олдида
ундан тушганимда, негадир Нурмат амакининг уйи олдида турган “тез ёрдам” машинасига кўзим тушди. Унинг ичидаги
ҳайдовчи машина ролига қунишиб олганча қимир этмасди. Бир оз ўтиб, уйнинг ичидан қўлига тиббиёт анжомлари солинадиган
темир жомадон кўтариб олган фельдшер йигит чиқди ва унинг олди ўриндиғига ўтирди. Машина жойидан секин қўзғалиб юриб
кетди.
Такси ҳайдовчиси билан хисоб-китоб қилгач, уйимга кирмай тўғри Нурмат амакининг уйи томон юрдим. Кирсам эшик
олдида унинг катта қизи Зарифа қудуқдан сув оляпти. Мени кўриб саломлашди. Ундан хол-аҳвол сўраб, ичкарига кирдим.
Хонанинг ичида Нурмат амаки кўзларини шифтга тикканча каравотда ётар, унинг боши оппоқ бинт билан ўраб ташланганди.
−Кеча ўлгудек ичган эканлар. Қорда сирпаниб кетибдилар,- деди ортимдан ичкарига кирган Зарифа.- Орқа миялари
шикастланибди.
Мен нарсаларимни четроққа қўйиб, секин каравотнинг олдига бордим ва у ерда турган стулга чўккаладим.
−Театрдан ҳали қўнғироқ қилишмади,- деди Нурмат амаки мени кўргач.
Орага бир зум сукунат оралади. Мен бу вақтда хонага кўз ташладим. Хонада шу шалдироқ каравот билан эски стулдан
ташқари ичига ўт қаланмаган печь, йигирмага яқин китобдан иборат эшиги қийшайиб ётган шкаф бор эди. Бундан ташқари
парда тортилмаган дераза токчасида эски телефон аппарати турар, унинг ёнида бўм-бўш вино шишаси билан бир уюм қоғоз
ҳамда икки-учта ишлатилган шприцлар ҳар тарафга сочилиб, тартибсиз ҳолда ётарди. Хонанинг ичи ниҳоятда совуқ эди.
−Қўшни,- деди Нурмат амаки ҳовлидан ўтин олиб келиб, уларни ёқиш учун печнинг ичига жойлаётганимда
безовталаниб.- Телефон аппаратини бир қаранг-чи, сими жойидамикин, узилиб кетмадимикин?
−Сими узилмаган, жойида,- дедим қўлимдаги гугуртни чақиб ёндиришдан олдин телефон аппарати турган томонга бир
қараб қўйиб.
−Узилмаган бўлса яхши,- деди у жавобимдан қониқиш ҳосил қилгач.- Қўнғироқ қилишса жиринглайди.
Кўп ўтмай ўтинлар қасир-қусир овоз чиқариб, печь гуриллаб ёнишга тушди. Хонанинг ичида иссиқнинг тафти бир
мунча билинди. Мўридан чиқаётган тутунни кўрди шекилли, ҳовлида иш қилиб юрган Зарифа ичкарига кириб совуқ қотган
қўлларини печга тутиб иситди.
−Кекса қиролнинг ҳамма гаплари ва монологларини ёдладим,- деди Нурмат амаки қизи исиниб бўлиб, ҳовлига чиқиб
кетгач.
У сирпаниб йиқилиши оқибатида лат еган бошини қимирлата олмай қолганди. Шу боис гапирганида фақат кўзларини
мен томонга бурарди.
−Бироқ театрдан қўнғироқ қилишмаяпти. Ҳар куни кутаман. Қўнғироқдан дарак йўқ.
Ҳали фельдшер йигит унга оғриқ қолдирувчи укол қилганида, унинг таркибига ухлатадиган доридан ҳам қўшган чоғи,
Нурмат амаки сал ўтиб ухлаб қолди. Кичик қизи Замира келганида ухлаб ётарди. Замира хонага кириши билан тўғри токча
томон юрди ва у ерда сочилиб ётган қоғозларни қўлига олиб, майда-майда қилиб йиртиб ташлади. Бу ишни якунлагач, келиб
отаси ётган каравотнинг четига ўтирди.
−Қайсарлик қилмай касалхонага ётасиз,-деди Нурмат амаки уйғонгач, унга яқин келиб.
Нурмат амаки гўё ҳеч нимага тушунмагандек бир унга, бир хонага чойнак кўтариб кирган катта қизига пича анграйиб
қараб қолди.
−Касалхонага ётмайман. Менга ҳадемай театрдан қўнғироқ қилишади.
Унинг гапини эшитиб қизлари бирин-кетин бошларини чангаллашди.
−Қўнғироқ қилишмайди,- деди Замира оғир уҳ тортиб.- Биласизми нега? Чунки уларга сиз керак эмассиз. У ерда қирол
Лирнинг ролини ўйнайдиган ўнлаб актёрлар бор. Ҳаммаси бир-биридан истеъдодли. Улар турганида сизга бу ролни
топширишмайди. Худди шундай. Ишлаб юрган пайтингизда топширишмаган, ҳозир топширишармиди?
−Синглим тўғри гапни айтяпти, - деди катта қизи Зарифа остонада турганича.- Қирол Лирни ўйнашни бир умр орзу
қилиб яшадингиз. Ёшлигингиз ва умрингизни катта қисми шу орзу ортидан ўтиб кетди. Аммо, насиб қилмаган экан. Энди
кексайдингиз. Энди бу орзу ортидан чопиб юрадиган ёшда эмассиз.
Нурмат амаки бор кучи билан тўшагининг четини ғижимлади-да, оғир-оғир нафас олди.
−Хонадан чиқиб кетинглар. Икковинг ҳам.
Улар чиқиб кетишгач, эшикдан кўзини узмай бир неча дақиқа гапирмай ётди. Кейин ўзига ўзи гапирдими ё менгами –
тўғриси, буни ажрата олмадим.
−Умрим орзум ортидан эмас, аслида уларнинг ортидан ўтиб кетди. Театрга ҳамма эрталаб озода кийимда ва тараниб-
нетиб келса, мен эгнимда оҳори бузилган кийимлар билан соч-соқолимга ҳафталаб устара тегмаган ҳолда келардим, чунки
ўзимга қараш учун менда фурсат бўлмасди. Хотиним касалманд бўлгани учун қизларимнинг кундалик ташвишлари менинг
бўйнимда эди. Уларга қарардим, ювинтирардим, овқатлантирардим, боғчага ва мактабга олиб борардим, бирга дарсларини
тайёрлардим, касал бўлишса бир неча кун касалхонада олиб ётардим. Шу сабабдан театрда ўзим ҳоҳлагандек ишлай олмадим.
Истеъдод менда ҳам бор эди. Фақат кўп вақтим қизларимга қараш билан ўтарди. Бунинг натижасида театрда бирорта спектакль
қўйиладиган бўлса режиссёрлардан кўп танбеҳ эшитардим, боиси менга топширилган ролларни маромига етказиб ижро этиш
тугул ундаги персонажларнинг гаплари ва монологларини ҳам тузукроқ ёд ола билмасдим. Бошқалар каби ўз устимда деярли
ишламасдим, китоб ўқимасдим, нутқимни ривожлантирмасдим. Хаёлим йигирма тўрт соат қизларимда бўларди.
Кейинчалик бора-бора менга роль ҳам топширмай қўйишди. Ҳамма режиссёрларнинг назарида истеъдодсиз, ролга
маъсулият билан ёндошмайдиган актёр бўлиб қолдим ва кўпинча спекталларга роллар тақсимланаётганида мени четлаб
ўтадиган бўлишди. Мен керак бўлса, ойлаб роль ўйнамасдим. Айрим ҳолларда, тасодифан роль топширишарди. Бироқ, бу
роллар ўртамиёна спектакллардаги аҳамияти йўқ, майда эпизодик роллар бўлар ва менинг ролим баъзида иккита ёки учта
жумлани айтишнигина ўз ичига оларди, холос...
Нурмат амаки токчада турган телефон томон маъюс нигоҳ ташлаганча жим қолди. Унинг кўзларида кутилмаганда ёш
қалқиб, яноғигача оқиб тушди.
−Умрим асло орзум ортидан ўтмади,- деди бир маҳал кўзларини юмаркан.
Печдаги ўтинлар ёниб улгурганга ўхшади, чунки печь турган ердан елкамга урилаётган иссиқнинг тафти анча камайди.
Ташқарига чиқиб, яна бир даста ўтин олиб келдим. Уларни печнинг ичига солаётганимда, эшик очилиб остонада эрталабки
фельдшер йигит пайдо бўлди.
−Хали касалхонага олиб кетмоқчи бўлдик,- деди у ортидан хонага кирган Замирага айб мендамас қабилида.- Ўзлари
унамадилар.
−Одам кексайганида шунақа инжиқ бўлиб қолади,- деди Замира отаси ётган томонга ҳижолат аралаш кўз югуртириб.
Нурмат амакини икки киши замбилга авайлаб ётқизишди ва тезда касалхонага олиб кетишди. У айтарли қаршилик
кўрсатмади. Кўзлариниям очмади.
Хонада бир муддат ўзим ёлғиз қолгач, деразанинг олдига бордим. Унинг токчасида қирол Лирнинг монологи ва сўзлари
битилган қоғозлар майдаланган ҳолда, айримлари вино шишаси ва шприцларнинг атрофида, айримлари эса телефон
аппаратининг рақамларини беркитганча сочилиб ётарди.
−Хонани бир оз шамоллатиб, тозалаб олсам дегандим.
Остонада турган Зарифани кўриб хонани бўшатиш учун йўлакка чиқдим. Йўлакда бир оз деворни ушлаб ўйчан турдим.
Шунда ичкаридан телефоннинг жиринглагани эшитилди. Бир оз ўтиб гўшакни кўтарган Зарифанинг овози эшитилди.
−Касалхонага жойлаштирдингми? Мен хонани шамоллатяпман, деворларигача ҳидланиб кетибди. 2019 йил, Октябрь
LORENZA AUGUADRA
Eroticovid
Grata al ronzio
Lorenza Auguadra è nata e vive in provincia di Como. Si occupa di salute e sicurezza del lavoro anche
come formatrice.
Pubblicazioni: Sbagliare è umano, un viaggio nella realtà carceraria narrata con il linguaggio poetico, ed. CTL,
Livorno, 2019; per l’Istituto di storia contemporanea Pier Amato Perretta di Como ha collaborato al libro “…
noi andavamo fora” I giuliano-dalmati nel territorio comasco, ed. Il filo di Arianna, Bergamo, 2018; il saggio
storico I Francescani Secolari a Cermenate, una ricostruzione dalla fine del XV secolo ai nostri giorni, ed. A.
Dominioni, Como, 2017; il diario di viaggio Ho visto sorgere il sole a Sarajevo, in cui riflette in presa diretta su
uno dei più atroci conflitti della fine del secolo scorso, ed. Àcàrya, Como, 2015; la raccolta di poesie Salmo a
sera, ed. Pagine, Roma, 2014; la raccolta di fiabe Gelato a colazione, ed. Italia Letteraria, Milano, 1997.
Diverse sue poesie sono contenute in agende, riviste, e antologie di rilevanza nazionale e internazionale e in
video You Tube.
SILVIA FAVARETTO 3
Giulia Savarelli (Castiglion Fiorentino, 1990) è laureata in Lingue presso l’Università di Roma Tre e frequenta la scuola di
fotografia Csf Adams con sede a Roma . Attualmente vive a Rende (CS), dove insegna lingue e letterature europee . Autrice di vari
libri, nel 2017 pubblica il racconto Come volersi sul settimanale “Oggi”, nel 2019 il romanzo Vic, dopo la tempesta (Edizioni Effetto)
e nel 201 il romanzo Giunio di giugno (Edizioni Effetto) e il saggio Noi in noi . Viaggio introspettivo attraverso l’autoritratto
fotografico (PAV Edizioni). È membro dell’Associazione culturale fotografica “Ladri di luce”, collabora con il blog “I racconti delle
ragazze” e con la rivista “22 pensieri” . Assieme agli autori Alessandro Genovese e Doriana De Vecchi, tiene “Il caffè delle arti”,
luogo di incontro per artisti a tutto tondo.
ALESSANDRA VINOTTO 2
Vivificata
Dai turbini delle correnti,
Mi doni
I colori del tuo peregrinare.
Effimero gesto,
Grande testimonianza.
INONDAZIONE
IN TE
Riconoscersi.
È bello per
-immediatamente-
Perdersi.
Adesso,
Con la tua bocca negli occhi
Voglio chiudere il cuore.
Nel 2011, con il trio di Alberto Bonacasa, ho inciso, per la storica etichetta discografica Philology, Il Lato
Jazz del Cuore, un disco di standards rivisitati con testi originali di mia composizione, per merito del quale
sono entrata nella classifica Top Jazz redatta dal mensile Musica Jazz relativamente alle categorie Migliori
Voci e Migliori Nuovi Talenti.
Nel 2015, con lo stesso gruppo e con la partecipazione straordinaria di due grandi artisti italiani quali
Emanuele Cisi e Sandro Gibellini, ho inciso, ancora per Philology, il mio secondo disco Spirito del Vento.
Con l'intenzione di stimolare alla ricerca coloro che si incamminano sulla strada del canto, nel 2016 ho
scritto e pubblicato una guida propedeutica dal titolo Iniziazione alla via del canto. Quaderno di
sperimentazioni vocali.
Negli anni a seguire ho approfondito lo studio della Fisiologia Vocale Applicata Metodo Lichtenberger
Institut für angewandte Stimmphysiologie, privatamente, in seminari i intensivi e presso la Scuola di Villa
San Fermoa a Lonigo (Vicenza), seguendo corsi con ( in ordine casuale) Luciana del Col, Gabriella Greco,
Luciano Borin, Pierluigi Molinaro, Giuseppe Costi, Maria Silvia Roveri e Maria Corno.
Dal 2018 ho iniziato inoltre ad interessarmi al Body Mind Centering col desiderio di esplorare il legame tra
la voce ed il corpo. sulla via di una appassionata e continua ricerca del mio personale approccio che si
propone come obiettivo principale di sviluppare la consapevolezza e la creatività della voce legata al corpo
e la musicalità innata, sciogliendo i blocchi attraverso un approccio intuitivo, naturale innovativo
in un atmosfera facilitante e divertente
Oppure, visto da un'altra prospettiva, sviluppare le p otenzialità creative e l'autostima dell' individuo
attraverso un percorso di esplorazione della voce in relazione al corpo , alla musica e all'
immaginario in un clima non giudicante, accogliente e facilitante.
ROSSANA PAVONE 1
SCHERZO
Era fragile la luna, al suo primo quarto. Fantasticava sul suo grande amore, teneramente
tempestoso, capace di magie di luce e corallo e mormorio d’onde che la facevano fremere.
Ancora danzavano, nel suo cuore rotondo, intense serenate di risacca. Paga di appassionate
maree si avvicinò al proprio riflesso, sfaccettato nello scintillio di mille frammenti fra le
increspature dell’azzurra superficie cangiante. Dita salate cercarono gioiosamente di
trattenerla: si schernì.
La raggiunse una voce turbata: “Tu, che riamata, ami, non sai che nell’infinito cielo arde il
desiderio del mio cuore!”. Così si struggeva dal fondo una stella marina, che evidentemente
aveva imparato a parlare da qualche galeone naufragato nella notte dei tempi.
La luna riuscì a individuarla, tra i flutti, poi, sollevato lo sguardo, scorse, limpido, un piccolo
astro palpitante di luce. Tante cose aveva viste, nel suo girare per l’universo, e capì quell’intesa
di stelle. “Si può fare”, decise, prendendo a cuore il destino di quelle due anime all’unisono,
incuranti della distanza, della lingua, del contesto ambientale... Calcolò l’angolo di rifrazione e
di riflessione, il colore del cielo e il calore del sentimento, la salinità dell’acqua con un piccolo
margine concesso alle lacrime (di gioia, naturalmente) … Si dondolò in modo impercettibile
per guidare la scia di luce – tremolante nell’aria, incerta nel tuffarsi tra le onde – e bisbigliò
all’acqua di assorbire il luccichio adorato (quello dell’astro, per intenderci), fino a portarne il
lume proprio accanto all’altra stella, laggiù, nella profondità baluginante di emozioni
E fu il primo amore virtuale di cui si trovò testimone e artefice.
LUCA VALERIO
LAVANDARE
Luca Valerio, nasce a Genova nel 1967, il 5 maggio. E’ laureato in filologia italiana e
insegna lettere al liceo. Suoi componimenti poetici sono apparsi in varie antologie e in un flip
book nel 2004. La sua poesia si incentra sulla ricerca dell’io e si basa sulla riscoperta della
metrica. Ha pubblicato le raccolte poetiche “Calma” (2016), “Pertanto” (2018) e “Mater
paterque” (2019) da “Editrice Zona Contemporanea”.
OLTRETRESILLABE
Anna Sacco, nata a Torino l’11 dicembre 1985. Scrive da molto, performa da pochi anni i
suoi testi e trova nella poesia un margine che la riunisce a se stessa.
“Ho impiegato una vita intera ad indossare maschere su maschere, me le sono tolte tutte
quante in un solo istante nello scorrere veemente di grande debolezza”.
Si presenta, con il suo nome d’arte - Oltre Tre Sillabe - come e dove coesi vivono l’A-mo-re
ed il Do-lo-re.
Partecipa alla Raccolta Tabula Rosa con una silloge omonima al progetto.
TABULA ROSA
RIFLESSI Yo a ogni persona pido por favor
che al nome “amore”
Sono il lago
presto
nello stesso istante in cui
chiami con voce in sparsi
sono Narciso
spersi, uguali e diversi richiami
Uguali
Prendimi ed abbraccia
i nostri baci li chiamano diversi
la mia alla tua faccia
uguali dammeli
ti prego dammeli
Prendimi e lascia
in loro lascia ch’io li abiti
che tutto rovinosamente cada
in versi senza alibi
solo perché le nostre braccia
diventino ali
Uguali
volte a volare sopra
i nostri baci li chiamano diversi
ogni quota mai sfiorata
uguali dammeli
ti prego dammeli
Prendimi e lascia Prendimi nel sono
che la quota piano, piano Prendimi nel suono
si alzi senza fine Prendimi nel siamo
e vada più lontano e lascia qui, sul suolo
da dove mai
si sia posato l'occhio umano Prendimi nel volo
volto a mete sconosciute
Prendimi per andare arriveremo a quote
dove mai siam state che da sempre
e lascia sulla terra le paure sono state date per perdute
che attanagliano i pensieri
recando danni che Prendimi e guarda
dimezzano le parti in quarti
senza fare di due metà un intero Prendimi nel
l'immortalità di un sentimento
Prendimi nel volo
che può vivere e librare
volto a mete sconosciute
solo attraverso
arriveremo a quote
la mortalità di due corpi in movimento
che da sempre
sono state date per perdute
COLISIÒN
Prendimi e guarda
La collisione tra corpo e pensiero
l'ombra sulla terra
per vagliare l’universo intero
diventare ali nello slancio
Io te la chiedo
che unite lasciano le nostre braccia
a pezzetti
Prendimi nel un po’ alla volta
l'immortalità di un sentimento un’altra volta ancora
che può vivere e librare
solo attraverso per l’emozione e il sentimento
la mortalità di due corpi in movimento la profonda e forte collisione
tra corpo e pensiero
Prendimi e guarda
Prendimi e fermati
Yo te la pido
Prendimi ed abbraccia
Yo te la pido toda
Prendimi e lascia
Yo la quiero por entero
Prendimi e lascia
che la quota piano, piano ECCEZIONE
si alzi senza fine
Condannami …
e vada più lontano
da dove mai
rifiutiamo ogni elisir d'amore
si sia posato l’occhio umano
Facciamo unica eccezione
per il tuo, per il mio
Prendimi per andare
… condannami
Prendimi nel sei
quante volte mi condoni
ANGELA DONNA
AMAI / I LOVED
( a Umberto Saba)
Ci sono giorni che sembrano ritagli di un giornale senza data. Luoghi invisibili dove si fermano le
lancette. Giri l'angolo e il grande brusio ti investe. Una terza dimensione dove tutto si mette a
posto. A volte mi sento come un mazzo di carte cadute a terra: le devo raccogliere, ad una ad una.
Ognuno è il proprio solitario da sfidare, fino a quando tutto non torna al proprio posto. Strano vero?
Non ci pensiamo mai. Ci stanno abituando a credere che possiamo essere qualsiasi cosa, Invece
ognuno ha solo una recita a disposizione: la propria.
Solo chi è armato di coraggio e umanità potrà traghettare il post-umano, poiché il post-umano si
avvarrà di risorse ancora impensabili, come la telepatia, la telecinesi e altro. Si scandaglierà ogni
potenzialità dell'energia. Solo i vasi colmi d'acqua e d'empatia possono sopravvivere alla terribile
tempesta dell'inaridimento relazionale di una società fondata sul narcisismo. Ci sono giorni che
sembrano ritagli di un giornale senza data. Luoghi invisibili dove si fermano le lancette. Giri
l'angolo e il grande brusio ti investe. Una terza dimensione dove tutto si mette a posto. A volte mi
sento come un mazzo di carte cadute a terra: le devo raccogliere, ad una ad una. Ognuno è il proprio
solitario da sfidare, fino a quando tutto non torna al proprio posto. Strano vero? Non ci pensiamo
mai. Ci stanno abituando a credere che possiamo essere qualsiasi cosa, Invece ognuno ha solo una
recita a disposizione: la propria. pesta dell'inaridimento relazionale di una società fondata sul
narcisismo. Il poeta è la chiave d'oro per comprendere tutto quello che ancora è incomprensibile. Il
Realismo Terminale è la flora batterica saprofita capace di regolare l'armonia fra il dentro e il
fuori dei tessuti. Chi pensa di usarlo in maniera autoreferenziale e sconclusionata non solo
dimostrerà una stupidità imperdonabile, ma danneggerà uno strumento importantissimo di
lettura del mondo.
Il pH
L'accendino
Game Le corde
È un gran casinò a forma di imbuto Ne abbiamo passate tante, passerà anche questa.
ad est a Jungle Camp a Lipa a Vucjak
Le cicatrici, corde dure abbandonate nei cantieri.
si punta si gioca e non si raccoglie
dondoliamo a un filo e non si piange più.
ci si realizza in bidoni di compost.
I tre croupier con facce di bronzo Vestiti lasciati troppo a lungo nell'armadio
rimbalzano players come pedine il tuo dolore, il mio, apri un'anta e lo ritrovi,
tavoli verdi con dadi truccati
come un cencio mangiato dalle tarme.
a fine gioco raccolgono fisches.
I battelli Il pacco vuoto
Incaricata dall’Opi di Rimini, ha curato un progetto, basato sul Realismo Terminale, per il Bicentenario di
Florence Nightingale.
Ha inoltre ideato e curato la trilogia Christmas Blues e il Realismo Terminale , Carnevale dei piedi Maschere
e Mascherine e Lo sgabello degli angeli, con le note di Guido Oldani nelle prime due, di Beppe Mariano
nella terza. Ha inoltre fatto insieme a Giuseppe Langella una video intervista dal titolo Dieci anni di
Realismo Terminale.
*Il ritratto è di Marian Maciek Ledlinski
MARINO TARIZZO 2
Le strade dell'amore sono lastricate di rime in fiore e cuore. Dimenticanza o auto-censura
lo scordare il dolore?
Si vive in stato di libertà condizionale di amare e contestualmente con fine pena mai.
Vorrei essere in grado di odiarti con tutto l'amore che sono capace di provare. Quindi se sto
fermo risparmio un sacco di energie.
Le parlarono di un suo passato pressoché stregonesco. Di un suo disinteresse al fare tanto,
della sua chimerica illusione olistica di equilibrato benessere tra tutti i regni. E niente, in
lei si rafforzò l'amore per il biodimanico. Perché fra tutti era il più buono.
Lo sport è un argomento di cui tutti parlano e in pochi praticano. Ecco quel senso di affinità
percepita nel parlarmi di amore e sport!
Se appena si supera il confine tra la mia libertà di amare e la tua di volare si finisce nel
territorio di stalker-city.
La forza dell'amore solleva il mondo. Peccato che il S.S.N. non si faccia carico
dell'ernioplastica.
L'amore è Dio. Quindi è dimostrato che non esiste. Vale anche il contrario.
L'amore è talmente importante che ogni religione se lo inscrive come proprio fondamento. E
per spiegarvelo non lesina risorse: crociate, fatwe, roghi, stragi...
Allora provò a guardare la cosa da un punto di vista opposto. Ma l'eroma lo convinse ancor
meno.
Diciamole Giacere
A piccoli passi si avvicina alla corrente del Realismo terminale del maestro Giudo
Oldani padre fondatore. Presente nelle antologie Realista terminale: Christmas Blues e Carnevale dei Piedi a cura di
Tania Di Malta, You publy ed.
ORIETTA BIGGI - ORIENS 4
La sposa dell'aria
MARIA GRAZIA FERRO
Strano il mio destino
Mi chiamo Patience. Nacqui 28 anni fa nella vecchia Delhi, in uno dei numerosi e miseri slum, per la
precisione a Kathputli, il più grande ghetto di artisti, dimora dei dimenticati maghi che un tempo
resero onore e fama alla grande India.
A Kathputli saltimbanchi, burattinai, acrobati, cantanti, musicisti e sciamani condividevano questo
spazio e arte e magia prendevano forma tra le misere stradine colorate. Avrebbe potuto essere tutto
molto suggestivo, naif, ma la mancanza di servizi igienici, acqua corrente, sistemi fognari, eccetera,
rendeva la vita degli abitanti una continua lotta.
Per di più, io vi nacqui durante la pandemia del 2020, sicché di nome faccio Patience, suor Patience,
ora.
Un nome un destino, ma anche la pazienza ha un limite e decisi di salvarmi;
Presi i voti della fede cattolica e mi rifugiai in un monastero dove la vita era sì più insipida, una vita
dalla faccina smorta, orfana di sole, senza la bellezza di una ruga appassionata, sapevo bene che la
vita vera era altrove, dall'altra parte dei muri di preghiera e silenzio, tra le braccia di Jaffar . Ne ero
pienamente consapevole. Cosa volete che vi dica, succede… succede che una donna fugga e decida di
sposare non già la persona che ama di più ma quella che la farà soffrir di meno, il mio lui-altro fu
nientepopodimeno che Dio Nostro Signore e lui-lui Jaffar, appunto, il povero mangiafuoco dal
destino tracciato nella polvere.
Capita… capita che per quieto vivere si vada avanti avanti a finire a tanti piccoli passetti di dolore in
un limbo di minime cose, minime gioie, una vita di tante cose minuscole al riparo dal dolore . Ma
prima o poi si paga. Già.
Un giorno il destino mi presentò il conto, annunciato da uno squillo del telefono della segreteria del
convento, alzai la cornetta e risposi cortese come mi competeva in qualità di addetta alle pubbliche
relazioni con il mondo esterno.
"Sì?"
Una voce di uomo concitata:
"... Non mettere giù, non farlo!"
"..."
"E ripetilo ancora quel sì, tu che quel sì lo hai detto a un altro nonostante sapessi che ti amavo…"
Jaffar! Dopo tanti anni, era mai possibile che fosse proprio lui, che mi avesse rintracciata?
Appoggiai la schiena alla parete a sostenere con energia il crollar delle certezze, il fastidio denso del
vuoto di quella mancanza pneumatica che dilata, forgia e distrugge, che s'arruffa e precipita in
pensieri sciocchi, tristi e anarchici. Un amore folletto che si azzuffa con il cervello e si inciampa nelle
mille pieghette interiori, ogni pieghetta una bomba inesplosa, pronta alla deflagrazione.
E non seppi cosa dire, non seppi come spiegare, non esisteva vocabolario acconcio. Per cui tacqui.
Lui no, parlava e parlava.
"Non è stato facile rintraccarti, ma talvolta la vita ci riserva occasioni, indizi, incontri solo
all'apparenza fortuiti. Ricordi cosa c'era scritto sul portone di quel vecchio palazzo del centro? Redde
rationem, dammi una spiegazione."
"Sì…"
Diamine, no! Non ricordavo. Ma ricordavo la sua rabbia di vivere, che era il suo fascino e sarebbe
stata la mia dannazione. Dovevo chiudere la telefonata, chiudere…
"Mi hai sempre detto di no. E adesso non riesci a dir altro che sì? C'è da ridere, vero?"
E rise, nervosamente.
"Ti prego sono qui sotto, davanti al tuo portone. Il tempo di un minuto, lascia che io ti veda, potrai
anche non dire una parola."
"..."
"L'ho portata sempre con me la tua fotografia, il tempo e le mie mani nervose l'hanno graffiata,
confusa. Vorrei tanto rivederti."
Ricordavo bene i suoi guizzi di poesia con cui riusciva sempre a riprendermi quando scappavo.
Jaffar aveva ancora e sempre un coltello premuto contro il mio cuore.
"Promettimi che aprirai la porta, che mi lascerai entrare."
Tremavo, dire di sì o dire di no, una sillaba, uno sforzo che sarebbe durato lo spasmo di un fiato
avrebbe potuto ribaltare il mio destino.
Dissi:
"Sì…"
C'era così tanta luce in quel momento, così tanta. Avvenne che ogni dolore si sfilacciò dentro un cielo
carico di azzurre possibilità, così fondo, così bello che faceva venir voglia di piangere e sghignazzare e
tenersi stretti stretti con qualcuno.
"Sì! Aspettami Chandra, solo un minuto e sono da te."
Rimasi lì a guardare dentro la cornetta, a cercare di capire dove era andato a nascondersi il mio
destino.
Il campanello restava zitto. Tutto taceva. Patience...
Maria Grazia Ferro. La mia professione come operatore olistico, specializzata in pranoterapia,
è sempre stata affiancata dalla passione verso la letteratura e la scrittura, infatti per soddisfare
questa esigenza ho anche lavorato come freelance in una piccola redazione giornalistica.
Fin dall'età di quindici anni, ho soffiato sulla fiamma del Sacro Fuoco della scrittura creativa con
costanza ma in un bilico di amore-odio verso la stessa. In questo campo il mio pubblico esordio
avvenne nel 1999, in seguito alla partecipazione al premio letterario bandito dalla rivista "LETTERE,
il mensile dell'Italia che scrive"; un mio racconto venne selezionato per la pubblicazione di
un'antologia di racconti a titolo "Parole dal cuore".
Da lì iniziò una collaborazione con la rivista stessa per l'angolo dedicato a racconti e aforismi.
Partecipai ad altri concorsi con soddisfazione, tra i più significativi quello bandito della casa Editrice
Laterza e Libri Millelire avvenuto nell'anno 2000, classificandomi terza.Vari miei racconti sono stati
pubblicati in antologie, nel corso degli anni, in seguito alla partecipazione a concorsi nel
settore.Nell'anno 2017 ho radunato tutti i racconti editi in una antologia titolata "Schiaffi di felicità",
edizioni Streetlib.
SANDRA DE FELICE
OGNI AMORE
Ogni amore
è una fragile foglia danzante
tra i colori autunnali,
ogni amore
ha il profumo di una viola
ed è immenso come il mare.
Ogni amore è un teatro di emozioni,
una cattedrale di luce e di poesia,
ogni amore
è il tocco di campana
a mezzo dì
nella piazza del paese,
è leggiadra emozione
splendente nel cielo di maggio...
Ogni amore è un colpo al cuore.
Leggera volteggio,
dinanzi una verde distesa
cattura il mio sguardo,
papaveri rossi adagiati
sbocciano al sole…
E' magico l'incanto in primavera
ed e' colmo il mio cuore di felicita'.
Innamorata volteggio gioiosa,
catturo l'immenso e
valico i limiti,
innamorata volteggio elegante,
aleggio misteriosa
e tra i capelli il profumo dei papaveri.
Sandra De Felice è nata a Scafa (PE). Vive con la sua famiglia a Pescara.
La sua Opera prima il libro di Poesie d’amore “Frammenti di Luna “è del
1998. La sua seconda Opera il Libro di Poesie “Trasparenze “del 2011.
Nel 2016 nasce la terza Raccolta di Poesie dal titolo “Dipinti Poetici “.
Il 23 marzo 2019 in occasione della Giornata Mondiale del libro Pubblica
il Collage Poetico “La Solitudine del Mare D’Inverno che raccoglie
Fotografie e Poesie dell’autrice e sempre nel 2019 ad Ottobre viene
pubblicata la quinta raccolta di Poesie dal titolo “Evanescenze“.
“Sandra De Felice, la Poetessa che dipinge il fluire incessante della sua
anima tra malinconia, solitudine, amore e passione”. (Prof.ssa E.
Mancinelli )
ROSSANA PAVONE 2
PER SEMPRE
Gli astri, le stelle, i pianeti, erano organizzati nel loro moto di luce e tenebra.
Si erano staccati da un ammasso di energia originale in cui erano impastati tutti gli elementi.
Uno di quei pianeti, né il più piccolo né il più grande, e nemmeno il più bello… uno, insomma,
che aveva il suo destino da inventare, o forse già scritto piccolo piccolo in ogni granello di
materia, era caldo come una pietra lasciata nel camino.
Nessuna pianta, nessun animale potevano posarsi su quella superficie rovente. Infatti non ce
n’erano.
Ma anche i milioni di anni trascorrono, lenti o veloci o secondo i loro programmi e la crosta
terrestre cominciò a raffreddarsi: per il contrasto tra caldo e freddo scaturirono quei gas
fondamentali a un progetto di vita.
Le gocce d’acqua stillate dal caos si radunarono in mari e oceani e si adagiarono sulla roccia,
riempiendone ogni avvallamento e imparando a scorrere in un divenire sempre nuovo e
regolare.
Più volte l’acqua ricoprì la terra, insegnandole nuove consistenze e donandole piccoli indizi di
vita e più volte la terra riemerse a cercare luce e calore.
Quando la trapunta d’ombra svaniva in un latte di luce che arrivava a bagnarla, un fuoco si
preparava ad ardere nella volta celeste, attraversando, grande e generoso, come sospinto o
trainato da forze invisibili, tutto l’azzurro fino al momento di spegnersi: allungava allora lembi
di fiamma in tutti i toni del viola, dell’arancio, del rosso, che poi diluivano nel giallo,
nell’indaco, nel turchino…
Fino a svanire.
Milioni e milioni di anni fa, lontano lontano,
nel fondo profondo del mare,
c’era una volta….
…un mondo di silenzio e luci filtrate, alghe fluttuanti, rocce, organismi,
crostacei, erbe, molluschi… ritmato dalle onde e dalle stagioni.
Cinquantanove milioni di anni fa, nel fondo profondo del mare, dove il
buio è più blu, era adagiata, sopra un sottile strato di sabbia, una
conchiglia.
Immemore della vita che aveva protetta, provava una incerta immagine di
quanto le era accaduto. O che era forse accaduto prima di lei.
Intorno guizzavano pesci. Pesci grandi, pesci piccoli, diversi, si capisce, da
quelli che vediamo in un tuffo ai nostri giorni: pesci di milioni e milioni di
anni fa, prototipi che imparavano piano piano ad abitare il mare.
Da quanto tempo la conchiglia giaceva in quel letto d’acqua salata? Da
dove era venuta? Che cosa era quel luccichio che baluginava in segni
diversi, popolato di pulviscolo danzante?
Dove andavano ondulando quei vermi che la sorpassavano indifferenti?
E quei ragni, quei minuscoli crostacei che si diceva volessero popolare la
terra… Quale segreto istinto li guidava? La terra…
La conchiglia stava bene come era, cullata leggermente da certe onde
grandi che la sollevavano appena e la lasciavano ricadere nello stesso
punto.
Niente avrebbe voluto modificare e non le interessava andare in nessun
luogo.
Se avesse saputo guardare nella profondità di se stessa, avrebbe detto che
detestava i cambiamenti, perché sono zone sconosciute, paurose.
I granelli di sabbia erano invece curiosi e instabili. Scivolavano via alla
sollecitazione dell’acqua, lasciavano che i vermi disegnassero sopra di loro
tracce labili, volteggiavano al colpo di coda più energico di un pesce,
ricadendo poi or qua or là. Sembravano divertirsi un mondo, senza legami.
Al di sotto di questa volubile velatura, la conchiglia intuiva però una
superficie stabile che le dava sicurezza.
Aveva imparato a rivolgersi a questa sconosciuta entità che la sorreggeva e
si mostrava tanto gentile nei suoi confronti.
Lentamente aveva intuito che la roccia si sentiva sola in quel viavai di
mare, svagatezza di onde, riflessi superficiali, instabili brillii, vagabondare
di esserini, silenzi d’alghe.
Accoccolata sul fondale, che era poi il suo modo per abbracciarlo, aveva
intuito che entrambi avevano bisogno di un colloquio, di uno scambio di
idee, pensieri, dubbi, sensazioni. Che insieme era più bello osservare il
movimento intorno a loro e insieme meglio potevano mettere a fuoco certi
impercettibili mutamenti che avvertivano: il rivestimento dei pesci, la
nascita di nuove forme, certe cosette rotonde irte di aculei che si
muovevano, animali protetti da una crosta bruna con lunghe antenne…
Persino la luce pareva più intensa, come se arrivasse da fonti più vicine o
dovesse attraversare uno spessore più breve di quel liquido che li
avvolgeva.
Avevano scoperto insieme che insieme l’imprevisto è una bella avventura.
Nel loro modo un po’ roccioso, un po’ calcareo, si erano scambiati una
promessa “per sempre” e per sempre intendevano vivere insieme.
La Terra tutta, intanto, continuava a piroettare attraverso l’universo, perpetrando la sua danza
con gli altri pianeti. Intorno le stelle brillavano.
Nel suo grembo conservava la scintilla di eternità, la matrice infuocata che lentamente, in
superficie, si era lasciata raffreddare e addomesticare per consentire alla vita di attecchire.
L’acqua era stata la cifra capace di manipolarla: gli oceani l’avevano coperta e abbandonata
più volte e aveva subito glaciazioni.
Dalle alghe ebbero principio muschi e licheni che si erano trasferiti sulla terraferma, dove
avrebbero dato origine ad altre specie vegetali, grandi piccole e piccolissime, ben decise a
ricoprire rocce e sabbie dei loro colori e ad allungare radici alla ricerca di altra acqua, in una
continua risacca di piante che procedono, arretrano, si sostituiscono le une alle altre.
Le antiche cycas, comparse duecento milioni di anni fa, impararono così bene il segreto
dell’esistenza da essere arrivate sino a noi intatte e beneauguranti.
Ancora dal mare escono millepiedi e ragni, predominano gli anfibi. Alcuni sarebbero poi
migrati sulla terraferma dando origine ad altre specie. Compaiono i rettili: i coccodrilli e gli
antenati delle tartarughe, gli ammoniti e le prime rane.
La terra ascolta il ronzio degli insetti che hanno scoperto il volo…
Dinosauri si sviluppano si trasformano e gradualmente scompaiono, fino a cedere il dominio
ai mammiferi.
La Conchiglia e il Fondale intendono, abbracciati in quel loro modo esclusivo, urti
incontenibili provenire dal basso, dall’incandescenza primordiale non ancora doma, non del
tutto intrappolata nella crosta pullulante di vegetazione e animali.
Fondale riconosce il segno, sa di non potersi esimere dall’assecondarne il richiamo: poco è il
tempo che gli rimane nella loro dimora d’acqua, nel fluttuante azzurro che li ha congiunti e
custoditi.
Conchiglia ascolta la spiegazione di Fondale, senza mai staccarsene.
Forze più grandi di me… più grandi di noi - è affannato, non è ancora il tempo di cedere alla
spinta - premono e io devo ubbidire.
Conchiglia gli si stringe più forte.
Il calore… formidabile mi modella e mi spinge fuori… fuori…
Fuori da questo mare amico in cui siamo vissuti, fuori nell’aria…
Aria?
Aria… una sostanza leggera in cui altri vivono, anche altri usciti dall’acqua prima di noi.
Ricordi i ragni… l’impulso che li conduceva verso una nuova vita e gli altri…
I piccoli crostacei?
Sì, e altri… altri…
Salirò salirò… intorno ci saranno altre alghe, nuove… erbe… colori… stelle… fiori…
Sembra adesso che Fondale traduca per lei immagini che gli appaiono ora più chiare, ora più
confuse.
Fiori, alberi, grandi alberi… frutti… boschi… muschio… Animali … con… quattro … zampe…
Ti seguirò.
Non puoi, tu sei d’onda, di mare…
Dentro portava il mare, Conchiglia. Anche Fondale aveva echi di mare… ma doveva salire.
La spinta era sempre più urgente, Fondale tremava nello sforzo sconosciuto e previsto.
Avrebbe dovuto staccarsi dalla sua Conchiglia.
Anche tu sei di mare… Per sempre, ricordi?
Per sempre… mormorò piano lui, intuendo l’imminenza del distacco.
Per sempre! ripeté Conchiglia stretta a Fondale che ormai saliva, saliva oltre la schiuma delle
onde, saliva oltre tutto il mondo che conoscevano, saliva in alto in alto, in una sostanza
diversa, leggera e ignota che li avvolgeva comunque di azzurro.
Per sempre.
E divenne conchiglia fossile. Per sempre nel cuore della roccia.
Mario Novaro.
Gli animali.
di essere felice.
poesie.
MARCELLA SAGGESE
Come ti illumina l’azzurro o forse quello sguardo
o quella parola giusta
(blues dell’azzurro)
o il tuo afflato
tutto sembra semplice
Come ti illumina l’azzurro, amore mio ma quello che è complicato
acque trasparenti sotto le onde è essere come te
strisce velate dalle nuvole nel sentirsi donato
mi fanno seguire strade
che riportano a te
Il posto giusto (a mia figlia Winnie)
Come ti sta bene l’azzurro, amore mio
E Barcellona era presente
l’ho bevuta come una bambina assetata
grande città
pensando che fosse acqua
e poi la tua mente e il tuo corpo
e invece era vita
là
e suonava, suonava
e io sapevo che quello
un ritmo che mi eccitava
era il posto giusto
non sapevo se saresti tornata
Come ti sta bene l’azzurro, amore mio
forse non lo speravo
è entrato nelle falde della mia terra
per te e per tutti quelli
ha aperto nuovi canali
che come te
le radici si sono moltiplicate
cercano sé stessi
e hanno germogliato
nella difficoltà di sapere
se proprio c’è una città
Come ti sta bene l’azzurro, amore mio
che ci può aiutare
non è cobalto o polveroso
eppure tutto sembrava
lascia indelebili tracce argentate
sostanziarsi in muri
e disegna futuri che si incontrano
e calles bianchi
case matte, pittori amati
Come ti illumina l’azzurro, amore mio
e senza tempo
con alberate verso il mare
Se penso a un gesto (a mia madre)
tu su una spiaggia
in un mestiere antico
Se penso a un gesto
quello di dar da bere agli assetati
è quella carezza sulla testa
L'appuntamento Improvvisamente
(2017)
Lia Aurioso. Napoletana, autrice per la rivista culturale Il Pickwick e per il magazine
Cinquecolonne e fondatrice della pagina dedicata alla diffusione della poesia: Setteversi.
Appassionata e curiosa della vita, delle persone con le loro storie, del cinema, del mare e del viaggiare,
non sa ancora cosa farà da grande. Giunta alla sua terza adolescenza, dopo essere stata scultrice,
mascherera, docente ed ora autrice, amerebbe una carriera da astrofisica. Nell'attesa si prefigge di
ricercare ed applicare l'impalpabile arte dell' ironia e della leggerezza...con gran fatica!
ALESSANDRA VINOTTO 3
URAGANI
A volte
basta davvero poco
un'inezia
un grumo di dolore
per far virare la meraviglia in dubbio quello che mai
si sarebbe creduto quello che solo gli altri facevano.
Un nulla
una leggerezza.
E tutto rotola verso l'unheimlich.
Basta sentirsi sperduti tornare bambini nascondersi dietro il dito del "non l'ho fatto io"
per scatenare l'inferno dentro una lontananza che già da sola uccide.
Certo non crolla il mondo,
il mare non si asciuga,
e le montagne stanno dove sono. Ma l'età dell'oro
- quell'unica illusione fusionale - vacilla sino a sgretolarsi.
E solo perché un no
più volte
è affiorato alla bocca
di un te fattosi altro quando io pensavo
che noi si fosse uno, quando nel grigio dei muri intrisi di formalina
tu eri tutto il mio cielo,
e mi bastavi,
e il nostro amore era una fontana incantata.
Adesso è tutto secco,
non ho abbastanza lacrime per lavare quella sillaba,
la voce che non era tua.
Non voglio darti colpe: il dolore ci muta,
e lo so bene.
Peccato
che per gli dei altro non siamo che pupazzi
dei loro esperimenti.
Con noi hanno giocato a toglierci l'anima.
YURAY TOLENTINO HEVIA
TABULA ROSA
Nel manto
Bufali inferociti
Avvolgo
Cavalli mansueti
Sorsi di lillà
Oche selvagge
Il tuo volto
Giochi di luci
Si dipinge di percorsi
Fra gli occhi dei Gatti
Astratti
Sentimenti delicati
Invocando Maestà
Dei Cerbiatti
Microstato
Il tempio delle Vanità
nel suo modo d’essere
Quanto stupore,
Psichico vivere risate
per così poche parole
Allegorie, che scherniscono il passato;
speculazioni pletoriche lacrime infiammate
sorgono che toccano il cuore
fra l’ignoto e vacuo del più crudele degli Abissi:
della Psiche rispecchiata. il Tempio delle Vanità.
Elena Paredi, classe 1971. Dall’età di 13 anni ho iniziato a scrivere poesie, alcune delle quali sono
state pubblicate sulla rivista di Poesia “Club degli Autori”. Dall’età di 18 anni mi sono avvicinata al
mondo della Tradizione Egizia, seguendo gli insegnamenti del dott. Angelini dell’Associazione Kemi
Hathor, attraverso corsi di Astrologia, Egittologia, Spagiria e Alchimia. Dal settembre del 1998 scrivo
articoli sulla Spiritualità Celtica sull’omonima rivista dell’Associazione collaborando attivamente con
quest’ultima. Scrivevo alcuni articoli inerenti sempre il mondo spirituale celtico sulla rivista “Société
d'Histoire Celtique” di Aosta e altri pubblicati su vari siti Internet tematici. Nel novembre del 2003,
ho fondato, assieme ad altri appassionati, a Milano: Associazione Celtegh Medhelan – Innamoraa de
Milàn. Ho tenuto una conferenze sulla Simbologia Celtica di Milano in collaborazione con Giancarlo
Minella dell’Associazione Terra Insubre di Varese, e ho pubblicato diversi articoli su Internet. Iniziai
gli studi esoterici esortata da mio padre nel lontano 1987, sotto la sua stretta guida e quella di
Angelo Angelini, esoterista ed alchimista fondatore della Kemi Hathor (casa editrice e rivista alchemica). Da allora ho seguito passo dopo
passo gli studi sempre più complessi ed intensi, sotto la supervisione di mio padre, collaborando con lui, dal 1990 fino al 2016, nella
realizzazione delle tinture spagiriche presso il suo laboratorio. Ho collaborato attivamente con la rivista Kemi Hathor dal 1990 al 1992
pubblicando articoli sulla tradizione e simbologia esoterica celtica. Attualmente scrivo poesie anche in vernacolo milanese e continuo la
diffusione della conoscenza della storia celtica di Milano e Lombardia, e gli articoli sull’esoterismo egizio, come richiestomi da mio padre a
suo tempo. Ho pubblicato alcuni libri, sulle tradizioni celtiche milanesi, poesie in dialetto milanese ed un vocabolario sulla ricerca
etimologica dei vocaboli più arcaici della parlata locale sia milanese che brianzola. Dal 1993 al 2004, ho collaborato con diverse riviste
pubblicate online che trattavano argomenti storici, legati ai misteri e alle simbologie celtiche, nonché studi esoterici. Attualmente divulgo
le conoscenze sin qui apprese, diffondendo articoli sia miei che di mio padre, mia prima ed unica guida spirituale, nonché articoli di
Angelo Angelini, a carattere essenzialmente esoterico. Ho pubblicato 5 libri postumi.
SILVIA FAVARETTO 4
L'uomo ideale e il compagno ideale, due mie strisce di fumetti del mio webcomic
EVA E LA SERPENTE
PIERA GIORDANO
Il vento solleva nei secoli dei secoli.
una cartolina di San Valentino Voglio cadere nell’arabesco
si vedono una panchina dei tuoi occhi, trovare
e noi due seduti tra fili neri il fuoco
a guardare il tramonto per sempre e sempre
e il cerchio dello stagno ubriacarmi, danzare, sognare
dove brilla una curva di sguardi. con te.
Ci baciamo fissi e non sentiamo
il vento e la pioggia nel tempo. Non basta il fiammeggiante oro
del giorno nuziale perché il nero
È che vortico nel giro dei tuoi occhi impone la sua legge in trame
tra scie dorate e oscurità di fondale, di confine che cattura il sonno.
è che risorgo abbandonandomi Troppa ruggine ha sollevato il vento.
all'alta marea dei tuoi baci Allora mi chiudo nel silenzio del cielo
è che m'innaffio dove al mutare di ogni singolo blu
con le tue carezze d'onda. cerco il gioco della festa, la ruota del ballo
l’offerta del corpo. Ma il tempo oscilla
Ti voglio con scompigli tra un confuso me e te, s’infrange
slanci venti vorticando su di noi con paura e coraggio.
Ricordo di Formentera
MAURA TAORMINA
L' orlo birilli le ossa Butta via
vortice di profumi doloroso rimpianto
Scosta la stoffa nell'aria bagascia il parafango
che ammicca dal dirupo
Tra le lenzuola al portami via ragazza cattiva
invoco senza lasciare traccia dai polpacci bruciati
in un batter di ciglia da marmitte roventi
il tuo più fulgido ricordo Peso leggero
piumosa e distante Butta via baci e calci
Fammi vedere dal mondo bastardo pallonate sul mento
sull' orlo del precipizio un sapere noioso secchiate dal tetto
le scorribande che inneggia getti di respiri
di pensieri scollacciati a fragili sogni sudati sputi
desideri infiniti di saliva bianca
Frena la discesa di stabile appoggio a chi arriva più in là
di flussi di parole senza paura di tornare
che una lama di voce che poi, un giorno, Butta via
mi taglia la gola proverò a cadere essenze voluttuose
spire di fumo
Ancora... i fiori in mezzo
Butta via a virtuose danze
Un giorno proverò a volare
staccando dal muro Butta via Butta via
le vesti discinte umori grigi
da fracassi ormonali tossine e amarezze Ma tu rimani
il pianto scadente che anche il niente conta
scarpe nel vento la fronte amaranto
Maura Taormina nata a Genova l’11 luglio 1963 da genitori siciliani trasferitisi a Genova alla fine degli
anni ’50 per motivi di lavoro.
Sono sposata e ho 2 figli. Ho un diploma in perito tecnico per il turismo. Mio padre mi ha trasmesso l’amore
per la danza, il canto e l’arte in genere. Divento prima ballerina di danza classica e modern/jazz,
successivamente insegnante delle due suddette discipline. Ho diretto saggi e spettacoli scrivendone
personalmente i testi e curandone la regia. Ho partecipato a concorsi di danza in qualità di giurata e preso
parte a film e spettacoli teatrali. L’anno scorso la mia coreografia “Mia ombra di luce” ha avuto vari
riconoscimenti in 5 differenti concorsi anche a livello internazionale. Ho lavorato in varie radio private
genovesi tra gli anni 80 e 90. La mia passione per la scrittura nasce poco dopo aver imparato a scrivere.
Avendo smesso di insegnare da qualche anno, mi dedico un po’ di più alla poesia quando gli impegni di lavoro
e familiari me lo permettono. Mi piace ridere e scherzare in compagnia, per contro adoro trasferire su carta le
mie inquietudini ed i miei pensieri chiudendomi in piccoli spazi fisici e mentalmente comodi.
ORIETTA BIGGI - ORIENS 6
Tessitrice
MARIA RANALLI
CHIAROSCURI
Bianco.
Parole che esprimono silenzi.
Silenzi che sanno di parole.
Grigio.
Il cielo annuvolato dell’indifferenza,
metamorfosi dell’orgoglio.
Nero.
Inutile cercare la luce nei tuoi occhi
o la lucciola di un palpito d’anima.
Bianco attenzione.
Potrà l’arcipelago dei dettagli
colmare le lacune di un placido odiarsi ?
Grigio gatto.
Forse il felino istinto ci guiderà verso terre di quiete,
dove potremo dissetare i nostri eserciti di alibi e
pregiudizi ?
Nero potere.
Imperterriti beviamo al calice della vendetta,
assaporando il vino della rivalsa.
Bianco timore.
Fragile questo volersi bene,
ma porcellana le nostre tane.
Grigio fumo.
Lo strumento di seduzione di una sigaretta,
sfumiamo via senza parlare.
Nero notte.
A farci da cornice una trapunta di stelle,
ma noi siamo graffi nell’impossibile.
Bianco spuma.
Come un’onda del mare,
risorgiamo dalle profondità dei nostri errori,
salata scorre la confessione di lacrime
al tempio di un nuovo guardarsi.
Grigio tempo.
Il ponte dell’addio a liberarci della prigionia delle nostre ore vuote,
fra il tango dei rimorsi ed il walzer dei rimpianti.
Nero confusione.
Come tornare alle origini di una storia senza finale ?
Come riscrivere gli interminabili capitoli della nostra passione ? …
Maria Ranalli, nata in Piemonte, vivo a Roma, laureata in Giurisprudenza. La poesia è per
me rifugio, ricerca di equilibrio, mosaico di armonie, pittura di metafore, trasfigurazione
dei limiti, visione passionale del vivere, albero di semplicità e raffinatezze, elaborazione di
incertezze e soprattutto metamorfosi del pensiero. La mia sfida è concettualizzare uno stato
d'animo, un'immagine lirica od onirica.
Cosa ho fatto ,
cosa ho dentro
non è la verità che gli altri,vedono ,
ma è un'illusione di essa, é una mia verità,
che vuole uscire,
esplodere come una mina e librarsi nel vento
e andare, andare.
Sì, come stelo al vento,
ma il cielo è nuvoloso.
Vorrei trovare una luce,
e che la poesia mi desse
la forza di essere ,di esistere,
una connotazione nuova.
É la voce interiore,
che fa rumore
è come l'acqua di una fontana,
con il suo scialacquio,
è come il suono di campane,
che irrompe nella tiepida domenica.
Parlo con Dio e lo invoco,
sento il suono delle intemperie che
mi hanno travolta.
Vorrei uscire,
dall'idea che ho di me,
crearmi confini nuovi,
baciare il vento,
abbracciare i fiori,
giocare con le onde del mare, volare, eludendo i "se e, i ma!"
La verità è che vorrei arrampicarmi sulle rocce del mondo e urlare il mio esistere.
Perché la verità canta
l'amore nel mondo.
Irrompe nella ragione,
odia gli inganni,
annulla i silenzi,
offre al sentimento
l'illusione di una rivincita
e parla con una ragione nuova,
per una vita diversa.
riappropriarmi di smarrite certezze,
nel miraggio di una vita infinita,
per salvare la consapevolezza e la speranza.
Vorrei seminare amore,
nell'arido deserto della mia solitaria anima
e liberarmi delle ombre che oscurano il sole.
#Barriere
Insormontabili segnali,
di esseri viscerali,
inesplicabili concetti,
di tutti i non detti,
di vite improbabili,
nere come tante sere.
Ignobili strutture
dell'animo impigliato,
di un ulteriore agguato,
di vita in salita.
Difficil sormontare,
meglio aggirare,
ma non si puo' ignorare
la loro esistenza,
la morte e la violenza,
che provocan d'intorno
Ritrovare gli arcobaleni. e non si vede il giorno
ne' la risalita,
Devo fuggire dalle insidie del cemento, ne' una luce nuova,
dagli abbracci di Giuda, ne' qualcun che prova
devo cercare le valli colorate degli arcobaleni ad abbatterle a negarle.
e ritrovare il calore di gesti veri La vita e' bloccata
e di perduti equilibri. rimbalza e' stregata,
Vorrei osservare il passaggio del tempo, come una naufragata nave,
dall'imbrunirsi delle foglie, non trovi la banchina, perduta hai la chiave,
dallo scolorirsi degli alberi, distrutti son gli ormeggi,
nei purpurei tramonti, nessuno nei paraggi.
o nei marmorei giorni d'autunno. Vi guardo
Devo ancora ascoltare il vento, non so andare,
il suo dimenticato lamento, son qui' al di la' del mare
intrufolarsi tra i capelli imbiancati. il corpo e'
Devo vedere il chiarore, ormai in cancrena
di risplendenti albe, imperlate di brina, mi guardo,
sentire ancora il suono della terra nessuno per la cena.
e il fruscio labile delle farfalle. Son sola sopra il monte
Devo ritrovare gli arcobaleni, e' come stare al fronte,
che colorano i miei preziosi istanti, barrire distruttrici,
di me e delle mie radici,
non sento ciò che dici.
Sabrina Fiamma, nasce a Roma negli anni 50, arguta e vivace, solare. Cresce con la
madre e la nonna. Studia pianoforte e in seguito agli studi liceali consegue la laurea in
Scienze Biologiche e il dottorato di ricerca. Sposata dal 1986, si dedica in toto sia al figlio che
alla famiglia. Dotata di grande comunicativa, riscopre la passione per la scrittura poetica
solo da alcuni anni e partecipando a concorsi radiofonici e letterari riceve due menzioni di
merito. Inoltre alcune poesie le vengono pubblicate. Si dedica quotidianamente ad una
pagina La MIA Poesia su Facebook. Alla perenne ricerca di se dentro le parole, con
l'esternazione delle proprie emozioni, continua il suo viaggio nella sperimentazione poetica.
CLAUDIA PURRO
Guardando il tramonto
Passeggiata a Stupinigi
Orecchino
su un lobo ormai avvizzito,
tatuaggio
che non miagola più
in una sera d'empatia
dove una falsa luna
sembra caderti in testa;
ma tu ridi
perché l'amore
si è impossessato di te
e la vita
mi regala un sorriso ebete
mentre tu mi tieni la mano
e mi inietti un caldo fervore
per cui le fitte della mente
assumono distanze maggiori.
Minori sono le nostre,
nei colori di case
arroccate sul mare.
Mi chiamo Domenico Cavallo, sono di Torino e scrivo poesie dal 1996. Ogni tanto
partecipo a concorsi di poesia e letture durante mostre, presentazioni di libri ed eventi legati
alla poesia e all'arte in genere. Da qualche tempo partecipo agli slam poetry. Ho scritto un
libro uscito a settembre 2018: si intitola Miscellanea, stampato da Aga Editrice in un
formato tascabile e contiene 101 poesie di genere diverso non disposte in ordine cronologico.
Creo anche oggetti legandoli ai miei testi, come quadri, bijoux, calamite.
CINZIA LANFRANCO
TUFFO affondo in uno specchio di luce.
eterno amore
attrazione fatale
Matteo Cotugno, modenese di adozione, nasce nel '63 a Foggia, nel 2010 pubblica il suo primo libro di poesia
“PoesiAnima” che diventa selezione del premio poesia Alessandro Tassoni di Modena, lo stesso anno espone per il mese
di settembre al Palazzo dei Musei di Modena la sua silloge poetica a tema museale “Silloge per il museo” tratta da
PoesiAnima.
Nel 2011 espone al Maschio Angioino di Napoli le sue poesie a tema spirituale nella personale pittorica di Aurora
Cubiciotti “La passione di Maddalena” (medaglia di rappresentanza dal Presidente della Repubblica)
Dal 2012 cura diverse antologie di poesia diffondendole gratuitamente in formato ebook:
9 edizioni dell'antologia Un cielo di poesia
5 edizioni dell'antologia Goccia a goccia
9 edizioni dell'antologia Alda nel cuore (dedicata a Alda Merini)
5 edizioni dell'antologia InfinitAmore
2 edizioni dell'antologia Papa Francesco
2 edizioni dell'antologia 100mila poeti per il cambiamento
I portali internazionali in cui sono collocati in libera condivisione e lettura i 32 ebook a sua cura sono
https://issuu.com/viscatto ; https://ita.calameo.com/accounts/1749813
http://poesiedimatteocotugno.blogspot.it/ - cotugnomatteo@libero.it
HELIOS UMBERTO CARBONE
Cinzia e Omar
Da alcuni giorni, un tacito appuntamento li unisce, i loro sguardi volano oltre il brusio della folla.
In questo istante condividono un cielo pieno di stelle.
Lei lo invita.
Lui la guarda di sottecchi. Annuisce piano.
Lei insiste.
Lui alza un poco gli occhi. Sorride.
Lei ride.
Lui chiude gli occhi. Sospira.
Lei… Spicca il volo.
Lui riapre gli occhi e…
Scruta incredulo. Scuote il capo: scruta davanti a sé, si guarda intorno. Di nuovo: si guarda intorno.
Un mare in tempesta rimbomba nel suo petto. Dov’è finita?
Un fruscio leggero alle sue spalle.
Si volta sorpreso.
Sguardi che si fondono.
Pochi passi ancora.
Mani e braccia che s’intrecciano.
Occhi che si chiudono.
Morbido abbraccio infinito.
Danza in tondo, cuore contro cuore.
Labbra che si cercano. Si sfiorano. Si schiudono.
Le feste si avvicinano.
Sentirò amici e parenti lontani. Parlerò anche con te, Rosa. Giuro: ti scriverò.
So già cosa dirai, appena vedrai la mia lettera: “Toh, chi si rivede: mio fratello. E’ una vita che non ho tue
notizie. Dov’eri finito?”
Proprio una vita non direi: ti ho scritto che non è molto.
Diciamo, piuttosto, che è una vita che non ci vediamo.
Quando ero bambino, un fitto mistero avvolgeva il tuo nome. Un segreto indicibile ci separava.
Sembrava che nessuno avesse parole per parlarmi di te.
Quando le ho chiesto di te, la nonna stringeva tra le mani il suo libro di preghiere.
Tremavo: quel libro misterioso, con la copertina nera e i fogli bordati di rosso, mi faceva tanta paura.
Ha smesso di pregare. Mi ha guardato. Mi ha fulminato.
Il nonno non ha smesso di tacere.
L’unica che sembrava avere parole era mamma. “Perché una mamma…”, mormorava affranta, “In certi
momenti…” Tutte le volte che le chiedevo di te, ripeteva così.
Io la guardavo stranito: non capivo.
Poi, un giorno, all’improvviso, guardandomi negli occhi, ha esclamato: “Ah, se ci fosse qui la mia bambina!”
Quel giorno, ho capito.
Sei nata già morta, strozzata dal cordone ombelicale. Due anni prima di me.
Quel giorno, anch’io, come loro, ho visto il mio dolore sgattaiolare via, scappare lontano.
Mamma, per me, è sempre stata un mistero: un mistero molto più grande del tuo.
Parlarle era difficile. Anche ora non saprei da dove cominciare.
Appena sfioro il suo ricordo, mi congelo.
Colleziono ossessivo grovigli di pensieri, frasi senza senso: “Avrei potuto… Avrei voluto… Dovuto.”
Non ci riesco. E’ più forte di me.
Mamma incomprensibile.
Mamma lontana.
Mamma troppo vicina.
Mamma irraggiungibile.
Mamma persa nei suoi tormenti.
Mamma prigioniera del suo pathos. Del suo caos.
Certo, mamma!
Sono stato un figlio buono. Silenzioso, educato, ubbidiente. Bello, vero? Ero il primo della classe.
Ho solo un rimpianto, mamma: non sono stato un buon figlio.
E così sono qua, alla resa dei conti, incapace di dare pace al mio tormento.
Già: un fantasma.
E’ proprio questa la chiave. Ora comprendo.
Quanti fantasmi nella storia della nostra famiglia.
Quanta angoscia.
A me e a Rosa l’esistenza ha assegnato un compito delicato: portare in scena, sul teatro della vita, l’epico
scontro con la morte, che da anni attanagliava, in segreto, la nostra famiglia.
Troppe morti premature. Troppi lutti irrisolti. Troppa sofferenza.
Morendo, Rosa ha preso su di sé tutta questa sofferenza. L’ha fatta emergere. L’ha fatta esplodere.
Nascendo vivo, ho riscattato la sua morte. E quelle precedenti.
Mi sono arrovellato tutta la vita per cercare di dare un senso al mio rapporto con te, mamma.
Solo oggi finalmente comprendo.