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Capitolo I

Gli zingari della politica


Italia violenta
In Europa, la Prima guerra mondiale si era conclusa con il trionfo della democrazia,
della sovranità popolare e del governo parlamentare. Tuttavia, in molti paesi europei,
le speranze furono presto deluse a causa dell’esplosione della violenza politica,
scatenata principalmente da due ragioni: gli effetti della rivoluzione bolscevica, che
trovò imitatori in vari Stati europei; l’esasperazione dei nazionalismi, sia nei paesi
che si sentivano umiliati dalla sconfitta subìta, sia in alcuni paesi che, seppur
vincitori, erano rimasti delusi per non aver ottenuto maggiori ingrandimenti
territoriali, come l’Italia.
Quando iniziò la pace, l’Italia si trovò in una situazione di guerra civile con due
schieramenti opposti: da un lato i reduci e gli interventisti che appoggiavano il mito
della “vittoria mutilata” creato dai nazionalisti; dall’altra i socialisti, che
condannavano la guerra, disprezzavano gli ideali nazionalisti e volevano attuare una
rivoluzione proletaria sull’esempio di Lenin.

Un uomo e un giornale
Promotori della violenza nella lotta politica furono i reduci, come i futuristi e gli
arditi, che si consideravano l’avanguardia di una nuova Italia nata dall’esperienze
delle trincee e che volevano attuare una “rivoluzione italiana” combattendo i “nemici
interni” della nazione. Trai fautori di questa rivoluzione ci fu Benito Mussolini. Egli
era apparso sulla scena politica nel 1912, quando fu nominato direttore
dell’“Avanti!”, e per due anni incitò il proletariato alla lotta rivoluzionaria per
abbattere lo Stato borghese. All’inizio della Grande Guerra egli si schierò per la
neutralità, ma dopo il fallimento dell’Internazionale socialista e l’adesione dei partiti
socialisti al patriottismo nazionale, egli si convertì all’interventismo, con la
convinzione che la guerra sarebbe stata l’occasione per promuovere la rivoluzione
sociale in Europa. Per sostenere l’interventismo, abbandonò la direzione
dell’“Avanti!” e fondò un proprio quotidiano, “il Popolo d’Italia”, fu quindi espulso
dal partito socialista. Dopo esser stato congedato dalla guerra a causa di alcune ferite
riportate in seguito ad un’esplosione, egli continuò a promuovere la guerra col suo
giornale, divenuto il portavoce dei reduci.

Fasci di combattimento
A marzo 1919, Mussolini decise di fondare i Fasci di combattimento a Milano. Dal
mese di agosto, il movimento fascista ebbe un proprio settimanale, “Il Fascio”. Il
fascismo si dichiarava repubblicano e anticlericale e proponeva un programma di
radicali riforme istituzionali, economiche e sociali. I fascisti disprezzavano i partiti
politici e il parlamento, volevano abolire il Senato e sostituire i deputati con i tecnici,
sostenevano le rivendicazioni espansionistiche dell’Italia e volevano portare al potere
gli uomini che avevano voluto e fatto la guerra. Poco numerosi, i fascisti si fecero
notare subito per l’uso della violenza. La loro prima manifestazione fu la distruzione
della sede dell’“Avanti!” a Milano nel mese di aprile. Per combattere contro i nemici
interni, i fascisti milanesi costituirono fin dall’inizio del movimento
un’organizzazione armata, che, come disse il questore di Milano, agiva contro le
leggi dello Stato, contro le forze dell’ordine, contro l’ordine pubblico, e che
commetteva reati contro le persone per raggiungere finalità politiche ed elettorali,
ricorrendo alle armi e a qualsiasi mezzo necessario.

Un cadavere politico
Nelle elezioni politiche del novembre 1919, i Fasci subirono una disfatta totale. Non
c’erano più neppure i soldi per stampare manifesti e “Il Popolo d’Italia” perdeva
lettori. Depresso e isolato, per un attimo Mussolini pensò di vendere il suo giornale e
di abbandonare la politica. Ma l’attimo della rinuncia passò presto e, deciso a
navigare a vista, senza una meta precisa, si accinse a riprendere la lotta politica
spostandosi a destra. Nel secondo congresso nazionale dei Fasci (Milano, maggio
1919), il programma radicale, repubblicano e anticlericale fu accantonato. Il fascismo
si presentò come difensore della borghesia produttiva e del capitalismo contro ogni
esperimento di rivoluzione sociale, ma questo non bastò a rilanciare il movimento.

I nemici interni trionfano


Nel XVI congresso nazionale del partito socialista (Bologna, ottobre 1919), i
massimalisti adottarono un programma rivoluzionario che si ispirava alla rivoluzione
bolscevica e cominciarono a organizzare gli strumenti per la rivoluzione. Durante le
numerose agitazioni promosse dal partito socialista (scioperi, occupazioni di terre,
manifestazioni di piazza e insurrezioni locali) operò un’organizzazione armata, la
Guardia Rossa. Anche nel partito socialista, i reduci usavano la violenza senza farsi
scrupoli.
Alle elezioni politiche del 1919, il PSI diventò il primo partito nel parlamento italiano
con quasi 2 milioni di voti e 156 deputati, seguito dal partito popolare che ne ottenne
100. Allo stesso tempo, aumentarono gli iscritti al partito.
Durante il “biennio rosso” (1919-20), il divampare violento del fanatismo politico e
della lotta di classe fece apparire l’Italia un paese sull’orlo della guerra civile.
Dilagavano sanguinosi conflitti che causarono diversi morti e feriti.

Mobilitazione antinazionalista
Dopo la disfatta elettorale, il fascismo accentuò la sua organizzazione militare. Dalla
metà del 1920, le squadre fasciste cominciarono a distruggere le organizzazioni
socialiste e proletarie e furono coinvolte in diversi episodi di violenza, ma i fascisti
restavano comunque ai margini della scena politica, ancora dominata dal partito
socialista.
La prima offensiva squadrista su larga scala fu lanciata dai fascisti alla fine del 1920,
in coincidenza con l’occupazione delle fabbriche di settembre che sembrava
preludere a un moto rivoluzionario, con le guardie rosse armate che presiedevano le
officine occupate. L’occupazione delle fabbriche cessò dopo 22 giorni con un
accordo fra la CGdL e la Confederazione degli industriali, raggiunto con la
mediazione di Giolitti e approvato dallo stesso Mussolini.
L’occasione per la reazione antisocialista furono le elezioni amministrative che si
svolsero tra ottobre e novembre. Il successo elettorale, infatti, rinfocolò la retorica
rivoluzionaria dei massimalisti eletti alla guida di molti comuni e provincie: essi
annunciarono che avrebbero usato le istituzioni dello Stato borghese per combatterlo
dall’interno fino a determinarne il crollo e la rovina. La bandiera rossa, al posto del
tricolore, sventolava dalla sede dei municipi e dei consigli provinciali e le autorità
governative non osavano intervenire per evitare violente conseguenze.

L’ora del fascismo


Nonostante il successo elettorale, la potenza del partito socialista era minata
dall’interno dalle aspre divisioni tra massimalisti, riformisti e comunisti. Intanto,
dopo la sconfitta subita nell’agosto dall’Armata Rossa in Polonia, cominciava a
tramontare il mito della rivoluzione bolscevica. Mussolini comprese che era giunto il
momento opportuno per rilanciare il fascismo, conferendogli abilmente un nuovo
abito ideologico e una nuova immagine: accentuò l’orientamento a destra, sostenendo
che il fascismo era il più attivo e aggressivo movimento di difesa della borghesia
produttiva, e assunse un atteggiamento rispettoso verso il cattolicesimo. Infine,
accentuò le ambizioni espansionistiche del fascismo presentandolo come
l’espressione di una modernità romana. In questo modo, per Mussolini il fascismo
cessava di essere uno zingaro della politica e assurgeva a movimento con salde radici
nel solco della storia italiana.

E guerra civile sia!


La guerra civile antisocialista fu iniziata dai fascisti a Bologna il 20 novembre. Nelle
elezioni amministrative, i socialisti bolognesi avevano conquistato la maggioranza
assoluta la comune, e il 21 novembre avevano organizzato una grande manifestazione
davanti a Palazzo d’Accursio per l’insediamento del nuovo consiglio. Quando il
sindaco si affacciò al balcone, un gruppo di fascisti si mescolò alla folla sparando
colpi di rivoltella. Mentre esplose il panico tra la folla, dal palazzo furono lanciate
alcune bombe e un consigliere nazionalista fu ucciso. Il governo decise di sciogliere
il consiglio comunale e di nominare un commissario prefettizio. I fascisti bolognesi,
protestando di essere vittime di un’aggressione, diedero inizio alla rappresaglia.
Simultaneamente, l’offensiva squadrista esplose in diverse provincie e regioni
italiane senza che nessuno l’avesse prevista, e in pochi mesi gli zingari della politica
si trasformarono in movimento di massa, che proseguì la guerra civile eleggendosi a
milizia della nazione.

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